Diego Arria, L'Espresso, febrero 2009

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È nato un nuovo dittato- re. Il Fidel Castro del Ventunesimo secolo. Si chiama Hugo Rafael Chavez Frìas ed è stato autorizzato da un voto popolare a governare a vita il suo Paese, il Venezuela. Chavez, al potere da dieci anni, reincarna sotto forme moderne la tradizione latino-americana del Libertador, il rivoluzionario che si met- te alla testa del popolo per liberarlo dal- l’oppressione e poi lo imprigiona di nuovo, mostrando tutte le facce del potere assolu- to e impadronendosi dello Stato in ogni sua articolazione. Chavez aveva già provato a dicembre del 2007 a chiedere un plebiscito per togliere dalla Costituzione il vincolo dei due manda- ti presidenziali. Ma era stato sconfitto con un margine di poco meno di tre punti per- centuali. Adesso ce l’ha fatta. Come? Utiliz- zando lo Stato come fosse sua proprietà pri- vata, dai soldi alle strutture, dal tempo agli uomini, in un crescendo populista che ha pochi esempi nel mondo. Sotto lo sguardo compiacente del suo mentore Fidel Castro e di una festante claque che va dal presidente della Bolivia Evo Morales al leader di Hez- bollah Hassan Nasrallah, dal presidente dell’Ecuador Rafael Correa a quello del- l’Iran Mahmud Ahmadinejad. Hugo Chavez è stato tutto e il suo contra- rio dal 1992 a oggi. Un ufficiale golpista e un militare che mente ai suoi uomini di- cendo che stanno andando a una parata invece che all’assalto del palazzo presiden- ziale. Il politico che in nome del socialismo promette l’inferno ai ladri e ai corruttori e poi lascia i suoi compagni di avventura li- beri di rubare a man bassa. Un padre e ma- rito premuroso e un ganimede impeniten- te che usa le guardie del corpo per proteg- gere le sue avventure di un’ora. L’uomo che ama stare in mezzo al suo popolo allo stadio del baseball e colui che fugge a gambe levate quando quello stesso popolo lo contesta. Chi è stato accanto a lui negli ultimi 25 anni tratteggia un ritrat- to che, fotogramma per fotogramma, ap- pare illogico e contraddittorio ma che, vi- sto come un film, trova spiegazione nel de- lirio del potere assoluto. Figlio di un maestro di campagna, Hugo Rafael nasce a Saboneta il 28 luglio 1954, nello Stato di Barinas, una regione sud oc- cidentale del Venezuela. Per ragioni econo- miche, cresce nella casa della nonna pater- na. Fin dalle scuole elementari fa grup- L’espresso 26 febbraio 2009 43 42 PRIMO PIANO Ha vinto il referendum e regnerà a vita sul Venezuela. Ritratto di un dittatore populista. Tra moglie, amanti e amicizie pericolose DI ANTONIO CARLUCCI - FOTO DI FABIO CUTTICA Sopra e a destra: sostenitori di Chavez festeggiano a Caracas la vittoria nel referendum. A sinistra: il presidente Hugo Chavez Per sempre CHAVEZ

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Diego Arria, página 2

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Page 1: Diego Arria, L'Espresso, febrero 2009

Ènato un nuovo dittato-re. Il Fidel Castro delVentunesimo secolo. Sichiama Hugo RafaelChavez Frìas ed è statoautorizzato da un votopopolare a governare a

vita il suo Paese, il Venezuela. Chavez, alpotere da dieci anni, reincarna sotto formemoderne la tradizione latino-americanadel Libertador, il rivoluzionario che si met-

te alla testa del popolo per liberarlo dal-l’oppressione e poi lo imprigiona di nuovo,mostrando tutte le facce del potere assolu-to e impadronendosi dello Stato in ogni suaarticolazione.Chavez aveva già provato a dicembre del2007 a chiedere un plebiscito per toglieredalla Costituzione il vincolo dei due manda-ti presidenziali. Ma era stato sconfitto conun margine di poco meno di tre punti per-centuali. Adesso ce l’ha fatta. Come? Utiliz-

zando lo Stato come fosse sua proprietà pri-vata, dai soldi alle strutture, dal tempo agliuomini, in un crescendo populista che hapochi esempi nel mondo. Sotto lo sguardocompiacente del suo mentore Fidel Castro edi una festante claque che va dal presidentedella Bolivia Evo Morales al leader di Hez-bollah Hassan Nasrallah, dal presidentedell’Ecuador Rafael Correa a quello del-l’Iran Mahmud Ahmadinejad.Hugo Chavez è stato tutto e il suo contra-

rio dal 1992 a oggi. Un ufficiale golpista eun militare che mente ai suoi uomini di-cendo che stanno andando a una paratainvece che all’assalto del palazzo presiden-ziale. Il politico che in nome del socialismopromette l’inferno ai ladri e ai corruttori epoi lascia i suoi compagni di avventura li-beri di rubare a man bassa. Un padre e ma-rito premuroso e un ganimede impeniten-te che usa le guardie del corpo per proteg-gere le sue avventure di un’ora. L’uomo

che ama stare in mezzoal suo popolo allo stadiodel baseball e colui chefugge a gambe levatequando quello stessopopolo lo contesta. Chi è stato accanto alui negli ultimi 25 anni tratteggia un ritrat-to che, fotogramma per fotogramma, ap-pare illogico e contraddittorio ma che, vi-sto come un film, trova spiegazione nel de-lirio del potere assoluto.

Figlio di un maestro di campagna, HugoRafael nasce a Saboneta il 28 luglio 1954,nello Stato di Barinas, una regione sud oc-cidentale del Venezuela. Per ragioni econo-miche, cresce nella casa della nonna pater-na. Fin dalle scuole elementari fa grup-

L’espresso 26 febbraio 2009 4342

PRIMO PIANO

Ha vinto il referendum e regnerà a vita sulVenezuela. Ritratto di un dittatore populista.

Tra moglie, amanti e amicizie pericoloseDI ANTONIO CARLUCCI - FOTO DI FABIO CUTTICA

Sopra e a destra: sostenitori di Chavez festeggiano a Caracas la vittoria nel referendum. A sinistra: il presidente Hugo Chavez

Per sempreCHAVEZ

Page 2: Diego Arria, L'Espresso, febrero 2009

po fisso con altri tre ragazzi, innamoratipersi come lui del baseball: Jesus Perez, cheè stato suo ministro degli Esteri e ambascia-tore all’Unesco e i fratelli Vladimir e Fede-rico Guevara, figli di un maestro orgoglio-so di aver insegnato ai ragazzi i rudimentidel comunismo. «Tra i primi libri che homesso loro in mano», ha raccontato il mae-stro a Cristina Marcano e Alberto BarreraTyszka, autori di una biografia di Chavez,«c’erano il “Contratto sociale” di Rousse-au e “Il Principe” di Machiavelli». Magro,un po’ allampanato, soprannominato Tri-bilìn, il nome in spagnolo del disneyanoPippo, spende la sua vita a Barinas fino aquando, diciassettenne (1971), non entranell’Accademia militare per la stessa ragio-ne per cui era stato cresciuto dalla nonna.Problemi economici risolti affidandosi inquesto caso alle cure dello Stato.È un Venezuela tranquillo, quello dei pri-mi anni Settanta, non attraversato dalleaspirazioni rivoluzionarie che tormenta-no altri paesi latino americani e neanchedalla furia fascista di latifondisti e milita-ri. Al potere c’è una sonnacchio-sa Democrazia cristiana che go-verna quasi 25 milioni di vene-zuelani sotto l’ombrello protet-tivo degli Stati Uniti. C’è il pe-trolio che arricchisce la borghe-sia locale, e questo basta a man-dare avanti le cose senza preoc-cuparsi di larghi strati di pover-tà e analfabetismo. Per Chavezla carriera militare è un modoper sbarcare il lunario. Sulle sueperformance esistono versionidifferenti: chi lo ricorda ultimodella classe, chi sventola il suopunteggio più che decoroso, ot-tavo su settanta, ma aggiungen-do che la pagella è stata riscrit-

ta quando lui era già al potere.Cominciata la carriera da ufficiale, Chavezne affianca subito un’altra da cospiratore.Con altri ufficiali comincia a sognare di ri-pulire il Paese come fece Fidel Castro a Cu-ba: questa volta nel nome di Simon Bolivar,il Libertador che mise fine al dominio co-loniale spagnolo. Nasce l’Esercito Rivolu-zionario Bolivariano, poi ribattezzatoMRB-200, che però usa gli stessi metodidelle altre dittature fasciste latino america-ne ed entra in azione la notte del 2 febbra-io 1992 per decapitare la presidenza diCarlos Andrés Perez. Tra errori, tradimen-ti e paure dei congiurati il golpe fallisce.Per Hugo Chavez si aprono le porte del car-cere. Ed è la sua fortuna. Perché dalla cellacomincia a costruire il personaggio che seianni più tardi e solo dopo due di carcere da-rà la scalata a Palazzo Miraflores. Accan-to ha la moglie Nancy Colmenares, affet-tuosamente ribattezzata La Negra, e i tre fi-gli Rosa Virginia, Maria Gabriela e Hugui-to. Ma riceve regolarmente anche la visitadi Herma Marksman con la quale convivedal 1984 e il cui rapporto si chiude nel1993. La sua amante, nella cui abi-tazione di Caracas si erano svoltele riunioni dei congiurati, è furiosaper un’intervista nella quale Cha-vez parla così della moglie Nancy:«Senza di lei e il suo supporto nonso come avrei potuto far crescere ilmovimento». Uscito di prigione li-cenzia Herma, formalizza la sepa-razione dalla Negra con il divorzioe comincia una relazione con Ma-risabel Rodriguez, che è l’esattocontrario di Nancy, pelle bianca,occhi blu e capelli biondi. La spo-sa, ha una figlia (Rosinés) e una re-

lazione contrassegnata da burrasche e cal-me piatte: Marisabel ha ambizioni politi-che (entra in Parlamento), vuol dire la suasu tutto, si atteggia perfino nel taglio di ca-pelli a Evita Perón. La loro unione si con-clude nel 2004 e ancora oggi si trascina traliti e tribunali.Ma è nel 1998 che Hugo Chavez corona ilsuo sogno. Entra a Palazzo Miraflores, noncon i carri armati ma con un voto popola-re che fotografa il regime democristianoimploso per la sua inefficienza. Chi siaChavez in quei giorni lo sa solo lui. «Nonsono comunista, ma nemmeno anticomu-nista!». E poi: «Sono un bolivarista!». Eancora: «Mi danno del radicale, del rivo-luzionario? Bene, è quello che sono e chedevo essere!» Un occhio alla Terza via diTony Blair, un ammiccamento alla rivolu-zione cubana, un affondo anti-Usa, biso-gna attendere fino al 2005 per vedere Cha-vez dichiararsi un socialista che vuole co-struire in Venezuela il socialismo del Ven-tunesimo secolo.Il suo governo dei primi anni, sostenuto daconsensi vicini all’80 per cento, si snoda tra

mille contraddizioni. Minaccia di naziona-lizzare tutto, ma poi è portato ad esempiodal Fondo monetario internazionale perl’applicazione dei consigli ricevuti. Creauna milizia popolare distribuendo Kala-shnikov ai suoi sostenitori e sceglie comeprincipale finanziatore della sua campagnaGustavo Cisneros, un magnate della televi-sione Venevisìon, un tipo che definirlo con-servatore è quasi dargli del comunista (poiChavez lo rinnega e lo accusa di essere unnarcotrafficante). Fino al 2002, il presiden-te del Venezuela, che sarà oggetto di un gol-pe ispirato da Washington e che fallisce do-po due giorni, ha un problema irrisolto: noncontrolla ancora lo Stato e, soprattutto,l’industria petrolifera.Chi lo mette in condizioni di farlo, chi glisuggerisce le mosse giuste e gli fornisce iconsiglieri è Fidel Castro. Tra i due nasceun feeling che oggi è un legame a filo dop-pio. Castro, abbandonato dai russi, conuna crisi economica e politica che può far-lo affondare, capisce che nelle sue maniChavez è una gallina dalle uova d’oro. Hail petrolio (e ne riceve subito quanto glieneserve), è un populista doc, è una spina nelfianco degli Stati Uniti. Castro ha final-mente un figlio naturale da coltivare. E perlegarlo a sé, il vecchio Fidel usa un truccoda bambini. Prima di lasciare Caracas, sus-surra all’orecchio di Chavez che i servizi se-greti cubani hanno sventato due complot-ti. «Volevano ucciderti», gli dice.Caracas e il Venezuela cominciano a riem-pirsi di cubani. Aiuti nobili, medici, infer-mieri e maestri nelle poblaciones e nelle

campagne, si affiancano a presenze inquie-tanti, militari e spie che infestano palazzoMiraflores e i gangli vitali dello Stato. Dal2002, Chavez affonda l’acceleratore dellarivoluzione bolivarista. Cambia anche lo-ok per l’ennesima volta: se dalla divisa erapassato al liqui-liqui, il costume popolare

venezuelano, dalla camicie epantaloni eleganti di un sar-to portoghese della primapresidenza, vira sull’unifor-me del Libertador del Ven-tunesimo secolo, ovveromaglietta o camicia rossa epantaloni da addestramen-to, stile paramilitare. E se-gue le gesta del suo amico Fi-del anche nel rapporto con ilpopolo. Chavez, che ha giàuna propensione naturale adiscorsi senza fine, inaugurala stagione del monologo te-levisivo senza fine con “AlòPresidente!”.Nello stesso tempo stringe isuoi artigli sulla ricchezzadel Venezuela: il petrolio.Chavez usa la Pdvsa, la com-pagnia petrolifera statale,

come il suo bancomat. E dà il via libera al-l’assalto alle finanze dello Stato in nome delbolivarismo. Si crea così una classe di nuo-vi ricchi che giocano sul cambio del dolla-ro e sulle nazionalizzazioni che vengonochiamati i robolucionarios, dove robo vuoldire furto. Il petrolio, il cui prezzo in disce-sa comincia a creargli seri problemi di ma-novra, è anche lo strumento di politica este-ra continentale che serve a mettere in filachi ha bisogno di denaro: l’Argentina,l’Ecuador, la Bolivia. Chavez non perde oc-casione di giocare partite pericolose: com-pra armi da Mosca, flirta con Ahmadine-jad, finanzia i narcoterroristi delle Farc co-lombiane per poi recitare la parte di coluiche vuole salvare gli ostaggi.L’obiettivo finale? Cambiare le regole delgioco. Ci prova varie volte su aspetti im-portanti ma non decisivi per il suo pote-re. E il risultato è promettente. Fino aquando non fa l’affondo su quello che piùgli sta a cuore, la norma che impedisce diessere presidente per più di due volte. Vaal referendum nel 2007, ma perde per unsoffio. Ora ce l’ha fatta. State pur certiche da oggi in poi l’Hugo Chavez Showcontinuerà per un tempo che nessuno saquanto potrà essere lungo. n

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PRIMO PIANO

«C’è una grande delusione. In particolare nei giovani e negli studenti che si sono impegnati nel referendum. Per loro sapereche Chavez potrebbe essere presidente a vita,significa non avere speranza per il futuro».Parla Diego Arria, ex governatore di Caracas ed ex ambasciatore del Venezuela alle Nazioni Unite, oggi esponentedell’opposizione che cerca con tutte le sueforze di riunire tutti sotto un’unica bandiera.Il voto è stato regolare?«In quale Paese si chiama regolare un voto se il governo usa mezzi e soldi dello Statocome se fossero suoi per fare campagnaelettorale? In Venezuela è accaduto questo, in altri paesi democratici non sarebbe potuto accadere».Come giudica il fatto che quasi il 34 percento degli elettori non ha voluto votare?«Che esistono tre paesi differenti: unochavista, uno anti-chavista e un terzo che non ha voglia di entrare nello scontro.L’opposizione avrebbe dovuto conquistarequesti consensi per smascherare i piani di Chavez, ma non ne è stata capace».Perché?«Non è riuscita a elaborare e presentare una prospettiva politica alternativa a quella

di Chavez che non fossefondata solo sul no aChavez. Senza prospettivae programmi è difficilecreare una maggioranza alternativa a quellaattuale. Non è un caso che gli astenuti siano saliti dal 25 al 34 per cento rispetto al referendum del 2007 che Chavez perse».Questo vuole anche dire che l’opposizionenon è unita?«Purtroppo sì, troppi gruppi siautodefiniscono l’opposizione a Chavez. Ma cisono proprio poche idee su quale deve essereil progetto alternativo a un leader che gode di grande popolarità nel Paese, nonostante il suo governo non abbia fatto granché e ha goduto della stagione felice del petrolio a un prezzo superiore ai 100 dollari».Qual è il futuro del Venezuela?«Chavez continuerà a fare quello che ha fattonegli ultimi anni. Impadronirsi del potere in ogni sua forma piazzando i suoi fedelidappertutto. È probabile che assisteremoa un assalto a quei giornali e a quelletelevisioni che ancora parlano liberamente,che altre aziende saranno nazionalizzate e che gli spazi di libertà si restringerannosempre di più».

Tempi duri per la libertàcolloquio con Diego Arria di Antonio CarlucciNato in una

famiglia povera,diventò soldatoper sbarcare il lunario. Da lì è cominciata la sua ascesa

Un campo di golf e,sopra, un quartiere

di Caracas. A destra:sostenitori di Chavez e, in alto, Diego Arria

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