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VOL. X L V - X L V I 2004 e 2005
ATTI del
Sodalizio Glottologico Milanese
MILANO 2 0 0 7
ATTI DEL SODALIZIO GLOTTOLOGICO MILANESE
presso i l Dipartimento di Scienze dell 'Antichità Sezione di Glottologia e Orientalistica
Università degli Studi Via Festa del Perdono, 7 -20122 Milano
Direttore GIANCARLO BOLOGNESI
Comitato di redazione ROSA BIANCA FINAZZI ROBERTO G I A C O M E L L I
PAOLA PONTANI PAOLA TORNAGHI
INDICE D O VOLUMI XLY e XLYI
A . DTAumiJMU, I U M Saggistiche e varianti stilistiche nell 'elabora- 1
CL l U B O , Bacamo Coserai e il Sodalizio Glottologico Milanese: il
G &xz<&€S. Sik-k pM mmidht ribiBnr di alcuni vocaboli italiani 2 G. i f e B M . GBmmwida Limami di Prussia nei secoliXVII e XVIII ... 2 - >; - . Ì ? K - ~ . A'.r^-z z-r-.::—.:>-.: '.:rsuisr.^he :K margine agli Aenig-
\L SkMASH,SmB etimologiadiarm spiwrid "cesta" 1 2 G GOSBEJL Evoluzione delle flessioni nominali tedesche 1 2 R. SflftlWI. alami tumulti narici emergenti dall'analisi interlinguistica 13 ! ?:}-.-••-. 5z~.s.~:: òsadh:- "erba, erba medicinale: rimedio", ausa-
dha- "semplici, medicina" e albanese bar "erba: medicina". Riflessioni in merito 2 1
G. BOLOGNESI, Ancora sulla datazione di vocaboli italiani 35 L . M A C I N I , L'etrusco, lingua dell'Oriente indoeuropeo VI: un po' di
glosse e un po' di lessico 3 6 M . PITTALI, Sulla etimologìa di Felsina, Cesena, Modena, Parma, Pole
sine e Rimini 4 1 G . BORGHI, Toponimi lombardi in -ate da composti indoeuropei preisto
rici 53 L. RADIF, L"'aperantologìa" dissacrante del Verro (Cic. Verr. II4, 94-
95) 53 G . ROCCA, Spigolature festine 64 C. M I L A N I , Gli Egei nel Mediteraneo: il caso dei Micenei 65 O . CARRUBA, Anatolia e 'Grecia di mezzo' 88 A . SCALA, Etimologie zingare 89
[segue in III di copertina]
COMUNICAZIONI:
L . M A G I N I , L'etrusco, lingua dell'Oriente indoeuropeo VI: un po ' di glosse e un po' di lessico
I l mio progetto iniziale prevedeva di chiudere i l ciclo di relazioni iniziato nel lontano ' 99 - e addirittura prima, se metto nel conto anche la relazione dell'11 marzo 1996 sui Profumi d'Oriente in terra etrusco: lo zafferano - con questa, la sesta, dedicata alle sole glosse e poi con un'altra, la settima e ultima, dedicata ai termini del vocabolario etrusco individuati in base alla documentazione superstite e agli elementi etruschi passati nel lessico latino. Due considerazioni - la vostra pazienza e la mia età - m'inducono a modificare i l programma, riunendo in un'unica conversazione i tre aspetti della questione.
Inizio dunque con le glosse. Di glosse, in realtà, ho già parlato nel corso di queste conversazioni: per esempio, a proposito di alcuni nomi di mesi etruschi Aclus/Acale, Hermius, Traneus/Turane e Vel-citanus - e del nome di "Ulisse", Ndvoi;, e di quello dell'"aurora", aÙKqXox;1.
Ora mi limito a considerare la glossa di Dioscoride (3.36 RV; cfr. TLE 846): 6ùuo<;... Teojidioi OOÙUOULI, ... ©oùoxoi uomouica «timo. .. i Romani (lo chiamano) timo, gli Etruschi mutuca».
Già così sembrerebbe di dover aprire una lunga e dotta disquisizione per accertare quale fosse la pianta di cui parla Dioscoride: se i l timo dei Greci, che è i l nostro timo, o i l timo dei Romani, che è o dovrebbe essere la Satureia thymbra, una varietà della nostra santoreggia.
Fortunatamente non è necessario, e la questione non ha un'importanza determinante, perché, da una parte, oggi si sa che la Satureia thymbra produce un olio che contiene circa i l 19% di olio di timo, tanto da essere utilizzata per l'estrazione industriale di quest'olio2; e
1. L . Magini, L'etrusco, lingua dell'oriente indoeuropeo I, "Atti del Sodalizio Glottologico Milanese", X X X I X - X L (1998-1999), pp. 229-249; Idem, L'etrusco, lingua dell'oriente indoeuropeo IV: nomi di dèi e moti di astri, "Atti del Sodalizio Glottologico Milanese", X L I I I - X L i V (2002-2003), p. 53. 2. Cfr. M. Grieve, A Modem Herbal, Harmondsworth 1977, pp. 808-813 per il timo, pp. 719 e 812-813 per la santoreggia.
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dall'altra, fin dall'antichità, le due piante - timo e santoreggia - sono associate nel loro impiego più importante, tanto che Virgilio non esita a ricordarle assieme, e addirittura nello stesso verso:
Haec circum casiae virides et olentia late serpulla etgraviter spirantis copia thymbrae floreat, inriguumque bibant violarla fontem.
«Là intorno, verdi lavande, e il timo che profuma da lontano, e tanta santoreggia fiorisca, col suo forte odore, e a ricca fonte s'abbeverino le viole» 3.
Qui i l poeta sta descrivendo l'ambiente più adatto per l'allevamento delle api, e qui deve crescere la mutuca - timo o santoreggia che sia - degli Etruschi. Dunque, non è forzare i dati proporre la comparazione tra i l termine di Dioscoride, UOÙTOUKO:, e i l nome indiano di "una pianta dolce", madùghah.
Come spiega i l Mayrhofer4, i l termine madùghah è i l risultato di un'aplologia del composto rigvedico madhu-dùgha "che estrae dolcezza", nel quale i l primo elemento, màdhu-, rinvia a una radice indoeuropea, *medhu-, da cui viene i l nome del "miele" e/o dell'idromele", e i l secondo elemento, dùgha-, si lega a un'altra radice che indica "estrarre, mungere".
Passo ai termini del lessico etrusco individuati in base alla documentazione, ossia a partire dalle iscrizioni superstiti, e prendo in esame tre termini, sui quali occorre fare qualche osservazione: puia "moglie", ruva "fratello" e suOi, suQina "tomba".
Dell'etrusco puia "moglie" Pallottino notò una volta che, all'interno dell'indoeuropeo, i l termine poteva esser messo in relazione solo con la forma verbale greca ònuico "prendo in moglie, sono sposo di" - che è di etimo incerto - e qui si fermò. Se, invece, si fosse spinto un po' più a Oriente e avesse aperto un vocabolario sanscrito, avrebbe trovato la forma nominale pujà "adorazione, venerazione", e la parallela verbale pujàyati "(egli) onora, rispetta, adora, venera", con le quali l'operazione di confronto sarebbe stata senza dubbio più completa.
3. Georg. IV, 30-32. 4. M. Mayrhofer, Kurzgefasstes etymologisches Wòrterbuch des Altindischen, II, Heidelberg 1963, p. 569.
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L'etrusco ruva "fratello", a sua volta, può davvero essere confrontato unicamente con una forma - isolata? - dell'avestico recente urudwan-, uruQwar-, che vale, alla lettera, "intestini, visceri" e, in senso traslato, "seme". I l confronto ripropone su scala internazionale - da iranico a etrusco - i l passaggio semantico interno al greco che porta da 5eX.<|>ù<; "matrice, utero" a à8eA,(()ó<; "fratello".
Riguardo all'ultimo dei tre termini - suOi, suOina "tomba" - si deve ricordare un dato, per così dire, 'antico'. Nell'ormai lontano 1975, in uno scritto intitolato Avviamento allo studio della lingua etnisca, Nelida Caffarello5 inserì un "dizionarietto" - così lo chiamò la stessa Autrice - dell'etrusco allora conosciuto, che, in realtà, non era allora molto più misero ed evanescente di quello conosciuto oggi, trent'anni dopo.
In quel dizionarietto, su quasi 500 voci registrate, circa una ventina si riferiscono a termini di ambito funerario, come tomba, sarcofago, urna, loculo, defunto, con tutte le loro varianti; tra queste voci si trova, appunto, suOi "tomba" e s'uOina "sepolcrale, piccola tomba".
Ora, è vero che gran parte delle testimonianze etnische pervenuteci è proprio di origine funeraria; è vero anche che gli Etruschi sono noti per le loro necropoli e i l culto dei morti da loro praticato. Ma si provi a entrare in un cimitero oggi, e a vedere quante volte davvero, e in che percentuale, è dato di incontrare un termine di ambito funerario; e quante volte, invece, accade di imbattersi in un termine come "famiglia". Se si fa questa prova, anche oggi che le "tombe di famiglia" - attenzione alla locuzione! - tendono a sparire e quasi non esistono più, si riscontra facilmente che i l termine "famiglia" è molto più frequente del termine "tomba" e delle sue numerose varianti. In particolare, si trova spesso o quasi sempre l'espressione "Famiglia XY", e mai o quasi mai "Tomba XY".
Stando così le cose, perché non confrontare l'etrusco suOi, s'uOina, con le forme iraniche, anche queste dell'avestico recente, la nominale haota- "stirpe, casato, famiglia, razza, ecc." e la verbale hav-"partorire, mettere al mondo un figlio", nonché con le forme sanscrite raccolte attorno al verbo éute, dal medesimo valore? Ricordando, magari, anche una delle poche notazioni giunteci dall'antichità - la conserva YArs Agroecii de orthographia - sulla pronunzia degli Etruschi: «Presso i l Lazio, d'onde è nata la latinità, i l popolo più po-
5. N. Caffarello, Avviamento allo studio della lingua etnisca, Firenze 1975.
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tente e più grande per le arti egregie fu quello dei Tusci, i quali appunto per la natura della loro lingua raramente pronunciano la lettera s (qui quidem naturae linguae suae s litteram raro exprimunt)»6.
Un'ultima cosa: i tre termini considerati, non solo sono stati individuati in base alla documentazione superstite, ma appartengono a quel settore del vocabolario che designa i rapporti familiari - "moglie", "fratello", "famiglia" - e che fu, a suo tempo, additato come la prova provata della non appartenenza all'indoeuropeo dell'etrusco. Al contrario, se si accettassero i confronti qui proposti, essi ritornerebbero a pieno titolo a rifluire nel grande alveo dell'indoeuropeo.
Restano i termini passati nel vocabolario latino dall'etrusco; qui - anche per ragioni di spazio - porto i l solo esempio di vétérmus.
Fin dalle più antiche testimonianze scritte - Catone e Vairone - i l termine vétérmus indica la bestia "adatta a portare i carichi", cioè "da soma o da tiro". Ma i suoi derivati sono meno specifici, perché non conoscono la limitazione alle bestie adatte alla fatica, a portare i carichi, da soma o da tiro: vétértnàrius "medico degli animali" e vétérmàrium "infermeria per gli animali" si riferiscono a tutte le bestie. E la qualifica più ampia si conserva anche nell'italiano "veterinario" che designa, genericamente, i l "medico degli animali".
Certo, a volte la semantica di una parola compie strani percorsi e niente impedisce che dal termine 'originario' vétérmus — di etimo ignoto, però - col significato 'originario' di "bestia da soma o da tiro", sia nato i l derivato vétérinàrius, e che questo derivato abbia perso rapidamente le limitazioni semantiche di partenza. È una spiegazione, forse poco economica, ma una spiegazione, che però non dice nulla sull'origine, la provenienza, i rapporti di vétérmus.
Se, invece, lo si confronta con la forma sanscrita vàdhrih "non maschio, castrato", vétérmus viene a collocarsi in un insieme semanticamente armonioso.
Quando si vanno a rileggere i classici del de re rustica, si nota che uno degli argomenti più importanti, sul quale i diversi autori abbondano di avvertenze e di indicazioni, è i l come e i l quando gli animali vanno castrati.
Si prenda Vairone. Dopo aver descritto i caratteri che distinguono
6. Cfr. G. Buonamici, Fonti di storia etnisca tratte dagli autori classici, Firenze 1939, pp. 367-368.
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1"animale di buona razza e indicato l'ambiente più adatto per allevarlo, Vairone fa spiegare dal suo alter ego Vaccio:
Habeo tauros totidem, quot Atticus, ad matrices LXX duo, unum anni-culum, alterum bimum
«Tengo il medesimo numero di tori che ha Attico, due per ogni 70 fattrici, uno di un anno e l'altro di due» 7,
i l che permette di calcolare che soltanto 3 vitelli su 100 sono destinati a rimanere sessualmente attivi, adibiti alla monta e alla riproduzione.
Tutti gli altri - oggi come al tempo di Vairone - sono divisi in due gruppi: quelli destinati all'alimentazione dell'uomo e quelli destinati a diventare "bestie da soma e da tiro". I primi, destinati all'alimentazione dell'uomo, sono di gran lunga la maggioranza, e hanno questo destino: o sono macellati prima della maturità sessuale o, molto più di rado, sono castrati prima di mandarli all'ingrasso; in ogni caso, l'essere sessualmente attivi l i rende immangiabili, e i tori da monta non sono utilizzati per l'alimentazione umana. Al contrario, i secondi, destinati a diventare "bestie da soma e da tiro", sono tutti sottoposti alla castrazione.
Vairone, poco più avanti, spiega:
Castrare non oportet ante bimum, quod difficulter, si aliter feceris, se recipiunt; qui autem postea castrantur, duri et inutiles fiunt.
«Non vanno castrati prima che abbiano compiuto due anni perché, se si fa altrimenti, recuperano difficilmente; quelli che vengono castrati più tardi, diventano difficili da trattare e inutili (duri et inutiles)»9.
In parole diverse, "se si fa altrimenti", si ottiene i l perfetto contrario di quello che si vuole: un animale difficile da trattare e inutile, e non una bestia da soma e da tiro docile e utile. Dunque, è la castrazione che segna i l destino delle bestie da soma e da tiro, e le differenzia definitivamente dai tori da monta e dai vitelli e manzi da allevamento. È l'operazione praticata dal "castratore" sul "castrato" -
7. Varr. de re rustica: i caratteri a 2.5.7-9; l'ambiente a 2.5.11-2; il passo citato a 2.5.12. 8. Varr. de re rustica, 2.5.17.
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dal vétèrinàrius sul vétérmus - che permette di riunire i l sanscrito vàdhrih al latino vétérmus; per i l tramite - com'è segnalato dalla fonetica - dell'etrusco.
M. PITTAU, Sulla etimologia di Felsina, Cesena, Modena, Parma, Polesine e Rimini
Che Bologna fosse una antica fondazione etnisca, chiamata Felsina, è una notizia che sanno tutti e da parecchio tempo, almeno dall'epoca di Plinio i l Vecchio, i l quale si esprime esattamente così: In-tus coloniae Bononia, Felsina vocitata tum cum princeps Etruriae esset.... «Dentro la colonia (c'è) Bologna, chiamata Felsina allorquando era la principale dell'Etruria....» {Nat. Hist. I l i , 15). Ed è pure noto che essa cambiò nome quando fu conquistata dai Galli Boi (sec. IV a. C), che le misero i l nome celtico di Bononia1.
La presenza degli Etruschi nel sito di Bologna o nelle immediate vicinanze è ampiamente dimostrata anche da numerosi resti e reperti archeologici, come pure da una quarantina di iscrizioni in lingua etnisca.
Ebbene, è del tutto legittimo chiedere se i l nome della città risulti documentato anche nelle numerose iscrizioni etnische che ci sono state conservate oppure no. La risposta è senz'altro positiva.
Per i l vero i l nome della città in quanto tale non risulta documentato nelle iscrizioni, mentre risultano ampiamente documentati alcuni gentilizi che sono strettamente connessi col toponimo in questione (è noto che in tutti i domini linguistici molto di frequente antroponimi e toponimi si richiamano tra di loro, dato che un antroponimo può derivare da un toponimo o viceversa). Questi gentilizi sono:
[FJelzanas "(di) Felsinio", gentilizio masch. in genitivo patronimico fossilizzato ( L E G L 78), variante di Felz[n]a. Felzfnja "Felsinio", gentilizio masch., da confrontare con quello lat. Felsìnius. Felznei "Felsinia", femm. del gentilizio Felz[n]a. Felsinei "Felsinia", gentilizio femm., da confrontare con quello lat. Fel-sinius.
1. Cfr. W. Schulze, LEN, p. 568; C. Battisti, Sostrati e parastrati nell'Italia preistorica, Firenze 1959, p. 364.
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