cultura Repubblica Pamuk e i disegni della vita minima...

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DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010/Numero 291 D omenica La di Repubblica cultura Pamuk e i disegni della vita minima MARCO ANSALDO e ORHAN PAMUK l’attualità Cile, lettere dei minatori dal sottosuolo OMERO CIAI i sapori Salento magico, cucina d’Oriente LINO BANFI e LICIA GRANELLO l’incontro Branciaroli, battitore libero e felice RODOLFO DI GIAMMARCO spettacoli Acrobati della risata contro la censura DARIO FO e MARIO SERENELLINI ENRICO FRANCESCHINI FOTO © DAVID DAWSON, COURTESY OF HAZLITT HOLLAND-HIBBERT LONDRA «H o avuto a lungo un sogno ricorrente», confessa la scrittrice Esther Freud, figlia del grande pittore Lucian Freud, pronipote dell’inventore della psicoanalisi, Sigmund Freud. «Sognavo che cercavo una casa, la casa perfetta per me e per la mia famiglia. In sogno sapevo com’era, come doveva essere fat- ta, questa casa, ma non riuscivo mai a trovarne una che le asso- migliasse, che mi soddisfacesse. Ho smesso di fare quel sogno quattro anni fa, quando con mio marito e i nostri tre figli siamo venuti ad abitare qui. Dal momento in cui l’ho trovata nella realtà, non ho più visto la casa nei sogni». (segue nelle pagine successive) SIGMUND FREUD VIENNA IX, BERGGASSE 19 aro Ernst, oggi t’ho inviato 150 fl. (fiorini, ndt) per zia Mizzi da parte di Lessa & Kann. Sono contento che tu ti senta bene e sono convinto che la pausa lavorativa non ti nuocerà in alcun modo. Il matrimonio di Rosi col mutilato di guerra dott. Waldinger ha avu- to luogo domenica in piena tranquillità. Poi da Anna c'è stato un piccolo ritrovo di famiglia, molto piacevole. Da lì la giovane coppia è partita per Kehl, per visitare la madre della sposa. Non è che con questo matrimonio la nostra famiglia abbia guadagnato una testa di grado di contribuire al suo mante- nimento. (segue nelle pagine successive) Freud Casa Il bisnonno, Sigmund Il nonno, Ernst, Il papà, Lucian E infine lei, Esther “Ecco il ritratto della mia famiglia” C 5.2. 1923 Repubblica Nazionale

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DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010/Numero 291

DomenicaLa

di Repubblicacultura

Pamuk e i disegni della vita minimaMARCO ANSALDO e ORHAN PAMUK

l’attualità

Cile, lettere dei minatori dal sottosuoloOMERO CIAI

i sapori

Salento magico, cucina d’OrienteLINO BANFI e LICIA GRANELLO

l’incontro

Branciaroli, battitore libero e feliceRODOLFO DI GIAMMARCO

spettacoli

Acrobati della risata contro la censuraDARIO FO e MARIO SERENELLINI

ENRICO FRANCESCHINI

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LONDRA

«Ho avuto a lungo un sogno ricorrente»,confessa la scrittrice Esther Freud, figlia

del grande pittore Lucian Freud, pronipote dell’inventore dellapsicoanalisi, Sigmund Freud.

«Sognavo che cercavo una casa, la casa perfetta per me e per lamia famiglia. In sogno sapevo com’era, come doveva essere fat-ta, questa casa, ma non riuscivo mai a trovarne una che le asso-migliasse, che mi soddisfacesse. Ho smesso di fare quel sognoquattro anni fa, quando con mio marito e i nostri tre figli siamovenuti ad abitare qui. Dal momento in cui l’ho trovata nellarealtà, non ho più visto la casa nei sogni».

(segue nelle pagine successive)

SIGMUND FREUD

VIENNA IX, BERGGASSE 19

aro Ernst, oggi t’ho inviato 150 fl. (fiorini, ndt) per zia Mizzi da

parte di Lessa & Kann. Sono contento che tu ti senta bene e sonoconvinto che la pausa lavorativa non ti nuocerà in alcun modo. Ilmatrimonio di Rosi col mutilato di guerra dott. Waldinger ha avu-to luogo domenica in piena tranquillità. Poi da Anna c'è stato unpiccolo ritrovo di famiglia, molto piacevole.

Da lì la giovane coppia è partita per Kehl, per visitare la madredella sposa. Non è che con questo matrimonio la nostra famigliaabbia guadagnato una testa di grado di contribuire al suo mante-nimento.

(segue nelle pagine successive)

FreudCasa

Il bisnonno, SigmundIl nonno, Ernst,Il papà, LucianE infine lei, Esther“Ecco il ritrattodella mia famiglia”

C5.2. 1923

Repubblica Nazionale

la copertinaAlbum

Sigmund, il bisnonno, inventò la psicanalisi: “Dai vecchimobili salta ancora fuori qualche suo foglietto”. Ernst,il nonno, fu un grande architetto. Suo padre, Lucian,è uno dei maggiori pittori viventi: “Davvero ha avutoquaranta figli?”. Lei, scrittrice, qui si confessa:“Non mi sveglio al mattino pensando al mio cognome”

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010

(segue dalla copertina)

Chissà cosa avrebbe commentato il suo celebre bisnonno,considerato che la casa in cui Esther ha traslocato, ad Hi-ghgate, è vicina a quella in cui visse il fondatore della psi-coanalisi, ad Hampstead, ora diventata un museo. Unacoincidenza?Non è lontana nemmeno la casa di Ernst Freud, uno dei fi-

gli di Sigmund, a St. John’s Wood, e in fondo anche la casa-studio in cuiabita il figlio di Ernst, il pittore Lucian, a Notting Hill, appartiene alla me-desima zona di Londra: la parte settentrionale dell’immensa metropoli,la più intellettuale, progressista, influenzata e attraversata nel tempo dal-la presenza ebraica.

Sigmund Freud arrivò a Londra da Vienna nel 1938, l’anno in cui l’Au-stria fu annessa al Terzo Reich, mentre nella Germania nazista esplode-va l’antisemitismo, presagio dell’Olocausto e della Seconda guerra mon-diale: sarebbe morto appena un anno più tardi, nella capitale britanni-ca. Suo figlio Ernst Ludwig Freud era un affermato architetto a Berlino,quando nel 1933 sentì che l’aria era pericolosamente cambiata e prece-dette il padre a Londra, dove ricominciò subito a lavorare con successo:fu lui a restaurare la casa di Hampstead in cui si trasferì Sigmund, quellache adesso è un museo. Ernst morì trent’anni fa. In Germania gli eranonati tre figli, di cui due maschi, uno dei quali, Clement, deceduto a Lon-

dra lo scorso anno, è stato un uomo politico e notissimo commentatoreradiofonico nel Regno Unito; l’altro, Lucian, nato a Berlino nel 1922, im-migrato in Inghilterra con i genitori quando era undicenne, è considera-to uno dei maggiori pittori viventi. I suoi quadri di parenti, amici, perso-nalità dello spettacolo, della moda, dell’alta società, spesso ritratti nudi,distesi su un letto o su un divano, a tinte fosche, cariche di drammaticoerotismo, sono un’icona dell’arte contemporanea.

L’erotismo che lo contraddistingue non si limita al suo atelier di arti-sta, dove quando è al lavoro rimane chiuso per ore, giorni, indossandoun lungo grembiule da macellaio macchiato di vernice, e talvolta pocoaltro sotto di quello. Lucian Freud ha pure fama di insaziabile dongio-vanni, o predatore secondo i maligni. La leggenda afferma che ha avutoquaranta figli, all’incirca da altrettante donne. Mesi fa lo incontrai a unparty della Londra bene: c’erano l’attrice Christine Scott Thomas, il can-tante Brian Eno, tanti vip, ma la vera star della serata era lui, che a ottan-totto anni si aggirava silenzioso fra gli invitati, sguardo rapace, camiciadi fuori e cravatta penzolante, seguito da una giovane donna che gli an-dava dietro come un cagnolino.

«Quaranta figli?», sorride Esther, che è una di loro. Non pare imbaraz-zata, casomai divertita. «Non saprei il numero esatto. Di certo siamo tan-ti. Con molti mi sono incontrata, con alcuni abbiamo creato un bel rap-porto. Ma sono consapevole che ve ne sono altri di cui nemmeno cono-sco l’esistenza. Penso che ci incontreremo tutti soltanto dopo la morte dimio padre, davanti a un notaio, alla lettura del testamento».

Esther Freud ha praticamente conosciuto suo padre soltanto dopoavere compiuto sedici anni. Sua madre ebbe una breve relazione con Lu-

cian: «Non stavano già più insieme quando io sono nata», ricorda. «Dapiccola andavo a trovarlo un paio di volte l’anno. Ma solo quando sonocresciuta abbiamo cominciato a frequentarci regolarmente e a svilup-pare un vero rapporto padre-figlia». I suoi due romanzi più famosi han-no una forte chiava autobiografica: Innamoramenti (pubblicato in Italiada Voland) è la storia di una sedicenne che impara a conoscere il padre;e Marrakech(di prossima uscita per la stessa casa editrice) è il ricordo deltumultuoso viaggio e delle impreviste avventure in Marocco, negli anniSessanta dei figli dei fiori, di una bambina di cinque anni con la madre,proprio come accadde a lei da piccola. Un libro, quest’ultimo, che in GranBretagna la fece entrare nella classifica dei «venti scrittori giovani più pro-mettenti» stilata dalla rivista Granta.

Nonostante i suoi successi nella narrativa e il matrimonio con un af-fermato attore inglese, David Morissey (l’interprete di Basic Instinct 2ac-canto a Sharon Stone), Esther è abituata a suscitare curiosità per il suo co-gnome. «Del mio bisnonno, naturalmente, ho solo sentito parlare», rac-conta. «E neanche molto. Mio padre aveva diciassette anni quando Sig-mund Freud morì. Si ricorda del nonno, ma ne parla di rado. Dice che erabuffo, divertente. Tirava i denti a lui e ai suoi fratelli, quando erano bam-bini, per gioco. Scherzava volentieri, almeno con loro. Non so quanto ilnome Freud abbia pesato su mio padre, se e quanto si sia interrogato sulnonno. Una volta mi disse di avere scoperto un foglietto di carta, appa-rentemente nascosto in un vecchio tavolo che era stato nella casa di Sig-mund e poi era finito nella sua. C’era scarabocchiato qualcosa in tede-sco, mio padre lo fece tradurre pensando che potesse contenere un mes-saggio, magari, fantasticava, le ultime parole di Freud sulla psicoanalisi,

Esther Freud, ritratto di famiglia

ENRICO FRANCESCHINI

FREUD PER TUTTI A PORDENONELEGGE

È dedicato all’ultimo romanzo di Esther Freud,

Innamoramenti (Voland), l’incontro che la scrittrice

londinese terrà sabato 18 settembre

(ore 19, Palazzo Montereale Mantica) all’11esima

edizione di pordenonelegge.it, la “Festa del Libro

con gli Autori” in programma dal 15 al 19

come sempre a cura di Gian Mario Villalta,

Alberto Garlini e Valentina Gasparet.

Ma quest’anno il festival di Pordenone dedica

anche un percorso alla “liberazione”

delle opere di Sigmund Freud dai diritti esclusivi,

a settant’anni dalla morte. Curato da Enzo Golino,

approfondirà gli scenari editoriali nella nuova corsa

al “Freud per tutti”. Fra gli ospiti Antonio Alberto

Semi, Anna Oliverio Ferraris, Ernesto Franco,

Renata Colorni, Renzo Guidieri, Cesare Viviani

Fra i protagonisti di pordenonelegge.it anche

Ben Jelloun, Evtushenko, Giorello, Hack, Le Bris,

Ondaatje, Pahor, Scalfari, Schine, Schmitt,

Shishkin, Spiegelman, Steiner,Taibo II

(Info: www.pordenonelegge.it)

LE GENERAZIONINelle foto da sinistra, Sigmund Freud con il padre Jacob;con la moglie Martha Bernays; con il nipote Stephan Gabrielprimogenito del figlio Ernst e (sotto) con Heinz ed Ernst, i bambinidella figlia Sophie precocemente scomparsa; Lucian Freud; i tre figlidi Ernst Freud: Stephan, Lucian e Clement. Infine, i tre figli maschidi Sigmund da bambini: Oliver, Martin ed Ernst a Berchtesgadennel 1902. Qui a destra Lucian e Esther Freud

I RITRATTIAl centro EstherFreud ritrattadal padre LucianIn copertina:Lucian Freudintento a ritrarreil nipote Albie,uno dei trefigli di Estherdi cui, sulla destra,si intravedeuna gambaIl dipinto si trovanella casadi Esther Freud,a Londra

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010

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dall’aldilà: invece era solo una lista della spesa, o qualcosa del genere,senza importanza, e probabilmente nella fessura del tavolo ci si era fic-cato per sbaglio».

Lucian non ha nulla del nonno, secondo sua figlia. «Ne è l’antitesi. Sig-mund è lo scopritore dell’inconscio, fruga nei significati reconditi dietroogni nostra azione. Mio padre è l’uomo più istintivo che io conosca. Perquesto non si può criticare il suo comportamento privato, con le donne ocon altri: tutto quello che fa, lo fa a pelle, di getto, con incredibile natura-lezza. Mio padre non ha mai fatto analisi, non è mai stato da uno psicote-rapeuta, non è il tipo». La sessualità, però, è stata un tema al centro deglistudi di Freud ed è un elemento cruciale anche dei quadri di Lucian. «È ve-ro. Ma le confido un curioso aneddoto su mio padre. In uno solo dei mieiromanzi ci sono pagine di sesso, che descrivono esplicitamente una cop-pia che fa l’amore. Poiché il protagonista è un artista, lo diedi da leggere amio padre, per sapere se il personaggio era realistico. Mi disse che l’arti-sta andava benissimo, ma che le scene di sesso, secondo lui, erano trop-po esplicite, e non aggiungevano nulla alla storia. Suggerì di tagliarle».

Esther è stata a casa di Sigmund Freud solo dopo che l’edificio era di-ventato un museo. «La prima volta mi ha fatto un effetto strano. La sen-tivo estranea e familiare al tempo stesso. Non sono una che si sveglia almattino pensando: mi chiamo Freud. Eppure, in quella casa, provai unbrivido». Ernst Freud morì quando lei era una bambina di sette anni:«Credo di averlo visto in tutto un paio di volte il nonno. Più tardi visitai lanonna, nella casa di St. John’s Wood, volevo sapere di più su di loro, e sulpadre di Ernst, su Sigmund. Il genio, e la sregolatezza che spesso l’ac-compagna, forse si sono tramandati saltando una generazione, nella no-stra famiglia: da Sigmund a mio padre Lucian, saltando Ernst, che era unarchitetto stimatissimo ma una persona molto ordinata e regolare, pro-prio come me. Mio nonno avrebbe potuto essere un ottimo rabbino, sefosse stato religioso, senonché suo padre, Sigmund, aveva respinto to-talmente la fede e la religiosità, e i figli sono cresciuti alla stessa maniera».

Nella casa di Highgate, Esther apre un cassetto, estrae un vecchio qua-derno: elenchi di nomi, appunti sparsi, il menù di una cena del 1928, ver-gati con bella calligrafia da suo nonno Ernst. Dalle pagine ingiallite saltafuori un foglietto piegato a metà: «Una lettera di Sigmund Freud a suo fi-glio Ernst, avevo dimenticato di averla, non so nemmeno cosa ci sia scrit-to, né ricordo come l’ho avuta». Cerca di tradurre qualche parola, con ilpoco di tedesco che ha imparato: una lingua che ha voluto studiare, unlegame anche quello con il bisnonno, con il passato. Alle sue spalle, ap-pesa al muro, c’è una grande fotografia: ritrae suo padre Lucian che stafacendo il ritratto a suo figlio Albie. In un angolo della foto si intravede unpiede, una gamba: «È la mia, ero seduta per terra nello studio di papà, aNotting Hill, stavo leggendo l’Hobbit a mio figlio, per distrarlo nella lun-ga seduta di posa». Si sofferma in silenzio a guardarla. È il ritratto di suopadre, grande pittore? O di suo padre che ritrae suo figlio, il più piccolodei Freud, sebbene porti il cognome del padre? Oppure il vero soggettodell’immagine è quello fuori quadro, è quello che guarda non visto dal-l’esterno, è lei, Esther Freud? «Forse è il ritratto di tutti e tre. Non capitaspesso che più generazioni della nostra famiglia si ritrovino insieme, nel-la stessa casa». Casa Freud. La casa che Esther infine ha trovato, e che hasmesso di sognare.

LA LETTERA RITROVATAIl testo della lettera scritta da Sigmund Freudal figlio Ernst nel febbraio del 1923e ritrovata da Esther Freud nella sua casa di Londra

SIGMUND FREUD

(segue dalla copertina)

In realtà non crediamo alla possibilità di una visita a Vienna daparte di Oli e di Henni, anche se li vedremmo volentieri. Il mioviaggio per il matrimonio a Berlino è infatti molto incerto.

Se devoritagliarmi tre mesi di ferie, qui non posso perdere nem-meno un giorno per la carriera.

A casa tutto bene. Anna è senz'altro molto allegra, benché nelsuo futuro non veda nulla di ciò che desidera. Heinele cresce be-ne, in generale ci si chiede se la scuola riuscirà a intontire anche

questo bambino. Harry si sta riprendendo dall'itterizia perun'influenza.

L'ultima foto di Henni con Gabriel non era buona, mostrauna decadenza dell'arte di Oli. Quanto a Michael, in lui nonc'è ancora nulla di autentico.

Per il resto Vienna è molto ripugnante. Cari saluti a te e, tramite te, a Lux

Tuo padre

(Traduzione di Alessandra HenkeTrascrizione di Harald Toniatti. Si ringrazia

per la collaborazione l'Archivio di Stato di Bolzano)

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“La scuola intontisce”

Repubblica Nazionale

l’attualitàI minatori cileni

Le lettere: “Non voglio dirti bugie, ma non so se ce la faremoa sopravvivere”. I graffiti sulle rocce: “Resisti, papito querido”E poi le foto dei figli, e le dediche inviate a settecento metridi profondità. A un mese dal crollo della miniera di San José,i trentatré uomini rimasti intrappolati nelle viscere della terrasi aggrappano alla vita. Anche con le parole

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010

MINIERA

«Cara moglie non soper quale ragionenon sono ancora

impazzito, dormiamo sul fango, qui in-torno è tutto bagnato, non abbiamo ma-gliette, solo pantaloni e stivali, è tuttobuio, ho la gastrite, siamo stati quindicigiorni mangiando un cucchiaino di ton-no ogni quarantotto ore aggrappandocialla vita, gli altri giorni solo acqua…». Eun altro: «Non ti dirò bugie, qua sottostiamo malissimo, è pieno d’acqua, so-pra di noi la montagna si muove e se cifosse un altro crollo non avremmo mol-to spazio dove scappare. Cerco di essereforte ma non è facile. Quando mi addor-mento a volte sogno di essere in un fornoe quando mi risveglio mi ritrovo impri-gionato in questa oscurità eterna cheogni giorno mi sfinisce. Sopravviveròper voi, fino alla fine, ma non raccontarenulla di tutto questo a nostra figlia».

Erano le prime, drammatiche lettere,che dall’inferno raggiungevano i fami-liari dei trentatré minatori sepolti a set-tecento metri sottoterra. Foglietti di car-ta stropicciati scritti in stampatello, albuio, da dita tremanti. Oggi, ad un mesedal crollo che li ha intrappolati in fondoalla galleria e a due settimane da quel fo-glietto che riemerse con la prima sondadalle viscere della Terra («Estamos bienen el refugio los 33»), la situazione è unpo’ migliorata. Le comunicazioni fra iminatori e i familiari si svolgono ancoraper lettera, hanno parlato al telefono so-lo una volta e per pochi secondi, ma daivideo che il governo distribuisce alle tv èevidente che stanno meglio. Hanno ri-cevuto magliette pulite e scarpe di gom-ma contro il fango, da giorni si alimenta-no bene e, con le torce a pile, hanno unpo’ di luce. Dormono su delle brandineleggere che hanno ricevuto smontate apezzetti e da rimontare.

Vicino all’ingresso della miniera, do-

ve ci sono le sonde, da qualche giorno c’èun piccolo ufficio postale. Alla sera, pri-ma del tramonto, una alla volta le fami-glie vengono chiamate. Ricevono le let-tere scritte quel giorno dai minatori econsegnano quelle che hanno scritto lo-ro, che verranno spedite là sotto duran-te la notte. È un ciclo vitale. Alcuni mina-tori scrivono anche quattro o cinque let-tere al giorno. Mantengono i contatticon tutti: mogli, figli, parenti vicini, pa-renti lontani. Nel weekend l’ufficio po-stale s’affolla, c’è la fila. Ieri Jessica Yañezha ricevuto tre lettere dal marito EstebanRoca. Ma non erano per lei, Esteban le hascritte per i loro tre figli, ormai grandi.Jessica è una delle mogli che non ha mailasciato la miniera fin da quel dramma-tico 5 agosto. «Preferisco dormire qui, acasa non ci riesco», ci dice. Ha una pic-cola tenda dietro il prefabbricato cheserve da refettorio e cucina. In quelle piùgrandi montate dall’esercito per i fami-liari cento metri più su non c’è mai an-data. Jessica è la donna che ha ricevuto

dal suo compagno la promessa di matri-monio nella prima lettera spedita da sot-toterra: «Viviamo insieme da venticin-que anni ma non ci siamo mai sposati inChiesa perché non avevamo i soldi per lafesta, il ricevimento…». E adesso?: «Spe-riamo», risponde Jessica. «Beh — provaa rincuorarla la sorella — Esteban ormailo ha detto a tutto il mondo, mica può ri-pensarci, ci sarà tutta la stampa cilena alloro matrimonio quando risorgerà da làsotto». Qualche minatore è già un casointernazionale. Dopo Mario Sepulvedae Mario Gomez, i più anziani che hannoguidato il gruppo e hanno messo la fac-cia nei primi video girati sottoterra, oratocca a Yonni, il bigamo. Tutta colpa diquel maledetto documento che i mina-tori hanno ricevuto dall’assicurazione.Per riscuotere i premi hanno firmato unfacsimile dove hanno dovuto specifica-re a chi andava consegnato l’assegno.Per prendere quello di Yonni si sono pre-sentate due donne: la moglie e l’amante.Una all’insaputa dell’altra. Ora tutte e

Quei messaggi dal sottosuolo

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Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010

due l’aspettano per suonargliele, quan-do sarà di nuovo libero. Insieme alle let-tere dei familiari i minatori ricevono an-che fotografie con dedica. Collabora lacomunità dei fotografi. È una delle coseche i parenti chiedono più spesso. Le ra-gazze si fanno fotografare con i figli pic-coli in braccio vicino alla miniera, pren-dono l’autobus, tornano a Copiapò,stampano la foto e ci scrivono sotto unadedica. Poi, il giorno dopo, tornano su e,grazie alla sonda, la buttano settecentometri sottoterra. Qualcuna ci aggiungeanche un braccialetto o un fiore. Un se-gno d’amore.

Con il trascorrere dei giorni l’area in-torno alla miniera è stata riorganizzata.All’inizio era anarchia pura. Tutti parla-vano con tutti. Ora intorno alle tende deifamiliari c’è un posto di blocco come pri-ma della zona dove ci sono le sonde, l’uf-ficio postale, e le macchine perforatrici.Autorizzati a parlare con i giornalisti so-no solo il capo delle operazioni di soc-corso e il ministro delle miniere. Ognigiorno conferenza stampa all’aperto,sempre puntuali, alle 13,15 ora locale.Ma avvicinare i familiari resta facilissi-mo, nessuno di loro rispetta le regole evanno nella zona chiusa delle tende soloquando sono stanchi. Verso mezzogior-no mangiano tutti insieme sotto il pre-fabbricato accanto alla sala stampa, untendone con cinque grossi tavoli. L’ulti-ma parte della strada che sale verso l’im-bocco della miniera è un reliquiario. Pa-renti e amici dei minatori lasciano mes-saggi sulle rocce. Prima le graffiavano,adesso si portano gessetti e spray perscrivere. «Ti aspettiamo». «Resisti». «Ab-

biamo fiducia in te». I ragazzini scrivonograndi fogli colorati che poi appendonosotto una bandiera del Cile e che inizia-no con «Papito querido». Quasi per ogniminatore ci sono altarini improvvisatiche cambiano e s’arricchiscono di gior-no in giorno. Ci sono foto di loro più gio-vani, ricordi di quando erano ragazzi,immagini di feste, matrimoni. Unamamma ha appeso la foto del figlio inguantoni, quando provava a fare il pugi-le prima di diventare minatore.

È uno scenario che con il passare deltempo scatena anche paradossali invi-die e gelosie. Molti qui sono convinti chele famiglie dei minatori diventerannoricche grazie a questa tragedia, alle do-nazioni, alla solidarietà e alle esclusivestampa e tv quando i loro cari riemerge-ranno dalla miniera. E così spuntano cu-gini di terzo grado che nessuno in fami-glia ha mai visto. O il figlio avuto da ado-lescente da un’altra donna, ormai gran-de e mai più incontrato. Chi sfiora lamorte senza che questa se lo porti via, fi-nisce per dover fare con largo anticipo iconti con il suo passato.

Ogni sera, quando scende il tramon-to, il campo intorno alla miniera si svuo-ta. Il freddo punge e s’accendono fuochi.Alcune mogli, le più anziane, come Lily eJessica, restano insieme al turno dei tec-nici che seguono lo scavo del tunnel. Do-mani è un altro giorno, arriva un’altramacchina perforatrice, la terza. Nuovesperanze: facciamo più in fretta, rag-giungiamoli prima. Magari in due o tresettimane e non a metà novembre comeprevisto in un primo momento. Chissà.

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LE TAPPE

L’INCIDENTEIl 5 agostocrolla una partedella miniera d’oroe rame di San José,nel desertodi Atacama, in Cile:33 uomini restanointrappolati a 700metri di profondità

I PRIMI CONTATTIPassano duesettimane primache le sondelocalizzanoi minatori:il 22 agostola webcamrestituiscele loro immagini

IL CIBOIl 30 agostoi minatori ricevonoi primi pasti caldi:brodo di polloin bottigliettedi plastica e polloI medici: hannobisogno di 2000calorie al giorno

LE OPERAZIONIIl 31 agostoiniziano i lavoridi scavo per salvarei trentatré minatoriSecondo gli espertisaranno portatiin superficienon prima di metànovembre

LE FAMIGLIEI familiaridei minatori si sonoaccampatisulla superficiedella minieraper cercare di starevicini ai propri cariUn’attesa lungae disperata

LE IMMAGINIIn alto a destra,il moduloche la compagniaassicurativaha chiestoai minatoriintrappolatidi firmareAccanto, alcunedelle lettereche i trentatréminatorisono riuscitia far arrivare ai propri familiariattraversouna sonda:quella al centro,parzialmentetradotta in basso, è stata scrittail 27 agostoNella paginaaccanto (da sinistra) gli altarinie i messaggiscritti dai parentisu roccee bandiereIn basso, i sorrisi e i gestidi vittoriadei minatoriin occasionedi un video girato il 1 settembre e poi trasmessoin televisione

‘‘Cara moglie......ti ringrazio delle preghiere. Qui sotto dormiamo sul fango, è tutto bagnato. Non abbiamomagliette, solo pantaloni e stivali. Il buio, la solitudine non mi hanno fatto impazzireHo le bolle sul corpo, la gastrite, mi si vedono le costole, siamo stati quindici giornimangiando un cucchiaino di tonno ogni quarantotto ore, aggrappandoci alla vita...

Repubblica Nazionale

Avrebbe voluto fare il pittore, o l’architetto, e oggiil Nobel per la letteratura finalmente si prende divertitola sua rivincita. Nel nuovo libro appena uscito

in Turchia ha raccolto immagini di Istanbul, vecchie foto, progetti di stesuradei suoi romanzi più celebri. Ma soprattutto brevi racconti di vitaaccompagnati da disegni, schizzi e caricature. Eccone alcuni

CULTURA*

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010

MARCO ANSALDO

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ISTANBUL

Nella grande stanza doveOrhan Pamuk lavora, aIstanbul, con la finestra tri-pla che si affaccia sul Bosfo-

ro e il piccolo terrazzo che pare incasto-narsi fra i due minareti della moschea difronte, c’è un nuovo tavolo. È addossato al-la finestra di sinistra, quasi davanti allascrivania lunga dove il premio Nobel per laletteratura ha scritto tanti dei suoi capola-vori, da Neve ad Altri colori. Sebbene sia

nuovo, sembra già conformarsi all’aria vis-suta dei mobili intorno. E sopra un pannoverde consumato ci sono, buttati accanto,un astuccio pieno di matite colorate, unaserie di quaderni spessi dalla copertina du-ra che formano quattro piccole pile.

«Puoi pure curiosarci dentro», dice Pa-muk, che spunta dalla cucina con una taz-za di tè bollente in mano. Ma dentro — sor-presa — non ci sono testi. Quelli stannosulla sua agendina nera, al centro dellascrivania grande, dove il romanziere tur-co annota, giorno per giorno, le cose chevede e intende poi fissare sulla carta. Cistanno invece dei disegni, alcuni a penna,altri a colori, pieni di sbaffi e di sbavatureda acquerello. Per lo più sono prove: unostesso soggetto — ad esempio una monta-gna dalla forma tozza a Rio de Janeiro — ri-prodotto per pagine e pagine, alla ricercadell’effetto voluto. Non tutti sono perfetti,ovviamente. Pamuk lo sa, e si prende in gi-ro, quando a lato della “montagna sacra”massacrata dalla pioggia brasiliana anno-ta in inglese con un breve verso autoironi-co: «Ma che meraviglia sono questi dipin-ti, disse Kiran (Kiran Desai, la scrittrice in-diana vincitrice del Booker Prize che è lasua fidanzata, ndr.), mentre sedeva nellastanza ormai ubriaca».

I disegni invece più azzeccati, i progettidi stesura dei suoi romanzi, le immaginiche ritraggono Istanbul, le foto che mo-strano l’autore in azione mentre intervista

alcuni soggetti per formare le storie desti-nate a diventare Il mio nome è rosso oppu-re Il libro nero, sono entrati adesso accan-to a molti testi nel suo nuovo libro da pocouscito in Turchia. Il titolo, ManzaradanParçalar (edito come sempre da Ileti-shim), Pezzi di panorama (sottotitolo: Vi-ta, strade, letteratura) sembra nato pro-prio qui, su questa terrazza prospicente ilmare che divide l’Asia dall’Europa, men-tre quattro piani più sotto, nel quartierecolorato di Cihangir, la vita di Istanbul cor-re sfrenata fra le urla dei venditori di simit(le ciambelle di pane al sesamo) e le chiac-chiere che si rincorrono fra i tavolini deibar all’aperto.

Pamuk ha sempre detto di aver deside-rato fare il pittore e l’architetto, prima didedicarsi a tempo pieno alla scrittura, co-me fece dai ventuno anni in poi. Un’affer-mazione che si evince chiaramente dai ti-toli di quasi tutti i suoi libri, quasi nessu-no senza il nome di un colore, e anche dal-l’impalcatura complessa dei suoi impian-ti narrativi, costruiti in trame fitte e inter-connesse. Così, questa volta lo scrittoreha preso i pezzi brevi e gli articoli scritti daisuoi esordi a oggi, alcune belle intervistecome quella con il critico e intellettualeMurat Belge, svariati scatti in bianco e ne-ro fatti dal grande fotografo Ara Guler, e hariorganizzato tutto in questo libro di 563pagine, che in Italia e altrove, spiega Pa-muk, «verrà pubblicato solo fra sei o sette

anni», perché ancora diversi sono i ro-manzi dello scrittore turco pronti a uscirenel prossimo lustro nelle cinquantottolingue in cui il Nobel oggi è tradotto in tut-to il mondo. Ci sono racconti risalenti aglianni Novanta dati a quotidiani e settima-nali turchi, del tutto inediti all’estero. Pic-cole storie, come quelle pubblicate qui afianco, intitolate In ascensore, Un piccolotaglio. Pezzi corredati ognuno dal propriodisegno, fatto a mano dallo stesso Pamuk,che si è voluto divertire nel caricaturizza-re i bottoni di un montacarichi, il lettosfatto di un insonne divorato la notte da-gli insetti, o il volto ferito per l’incauto usodel rasoio a mano. Altri sono invece com-pletati da schemi e scalette di capitoli, o daimmagini scattate nel lavoro preparato-rio che Pamuk compie sempre a livelloiconografico prima di mettersi a tavolino(anzi, alla scrivania lunga). La foto più bel-la, naturalmente, è andata in copertina,ed è anche questa inedita, opera del foto-grafo Manuel Citak. C’è un Pamuk piùgiovane di oggi (lo scatto è del 2000), chein un bar di Kars, l’ultima città prima delconfine con l’Armenia, intervista con unregistratore poggiato su un ripiano un ra-gazzo del posto per un libro che diverrà ungrande successo internazionale, Neve.Evocativo di un colore, naturalmente, an-che senza nominarlo.

PamukLe mie storie fatte a mano

I DISEGNIAppunti, progettidi stesura dei romanzie disegni fatti a manodallo stesso Pamuka corredo dei racconti

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010

Un piccolo taglioORHAN PAMUK

Mentre mi radevo, mi sono tagliato di nuovo.Questa volta poco sotto il labbro. Il taglio èpure profondo: appena mi sono tagliato è

subito sgorgata una goccia rossa. Un piccola sfera disangue in cui si riflette il lampadario del bagno, unapallina rossa che si allarga lentamente. L’ho lava-ta via e non è rimasto nulla. Il mio viso è sempre lostesso. Nessuno si accorgerà di nulla, questa è lamia solita faccia.

È in momenti simili che uno capisce che la vi-ta è fatta di costanti e che davvero poche sonole cose mutevoli. Anzi, forse è proprio la pic-cola ferita durante la rasatura che ci insegnal’urgenza delle costanti. Nient’altro impor-ta: c’è solo il labbro che sta sanguinando.

Lascia perdere, cerca di pensare ad altro.Prendo l’aliscafo o il dolmus? Mangio

un toast al formaggio o il pollo arrosto?Tra poco sentirò sulla mia pelle il profu-mo e la freschezza della mia camiciapulita. L’acqua fredda è un vero tocca-

sana per tutto. L’acqua fredda… Acqua fredda,acqua fredda che fai scorrere veloce il sangue nellemie vene, ti butto sul mio viso. La mia camicia, il mio

tavolo, la mia sedia… adesso vi faccio vedere comescendo le scale. Ad attendermi ci sono i marciapiedi,gli autobus, le strade, la vita.

Eppure la carne appena sotto il mio labbro conti-nua a sanguinare.

I bottoni si staccano di continuo dai vestiti, ho i cal-zini bucati, mi dimentico di rispondere alle telefona-te, sono sempre in ritardo per farmi perdonare… poigiro l’angolo e bum, vi urto.

Ricominciamo da capo. Il rubinetto. Il lavandino.Lo specchio. Un mondo fatto di volumi e di cose. Seavessi saputo che sarebbe andata così, sarei stato piùattento.

Non voglio che mi esca sangue. Voglio che restinodentro di me i demoni, i sogni selvaggi, le oscure tem-peste.

Guardatemi: stringo il rasoio dal manico intarsiatocon la stessa sicurezza di un grande chirurgo, il rasoiodalla lama sottile e affilata con cui tutte le mattine ope-ro sul mio viso, con gesti precisi e misurati, senza maifar uscire una goccia di sangue.

Come vedete, sono un uomo: in tasca le chiavi e glispiccioli, ai piedi delle scarpe dignitose, e vicino al lab-bro un puntino di sangue coagulato.

Aspettate, dò una sistemata anche alle vostre vite!Se vi manca qualcosa provvedo subito e risolvo i vo-stri guai in un baleno: qui dev’essere così, fate questo,non fate quello, pensate una cosa, dimenticateneun’altra, ecco.

Sì, lo so, mentre mi facevo la barba stamattina, la ca-micia fresca di bucato con il colletto bianco, voi vi sie-te accorti del cambiamento sul mio labbro, io eviden-temente no.

Del resto se fossi stato uno che fa caso a simili ine-zie, pensate che mi sarei tagliato?

(Copyright Orhan Pamuk 2010Traduzione di Barbara La Rosa Salim)

Io ele mie borse di plastica in mano cene stavamo lì, cose tra le cose, perconto nostro, ignari di noi stessi e del

mondo attorno, quando a un tratto leporte dell’ascensore si aprirono.

Capita a volte che voi ve ne stiate per ifatti vostri, dimentichi di tutto e tutti,quand’ecco che si aprono le porte al-l’improvviso e…

Una bella donna. Aspetta: una belladonna? Nemmeno di questo siete certi.Avete intravisto il suo corpo di profiloper un attimo, di sfuggita. Il suo viso po-co più che una fantasia, o forse neanchequesto. L’esperienza vi rende dubbiosi,l’esperienza di vita e di viaggi in ascen-sore: forse non è nemmeno una belladonna. Forse l’avete soltanto immagi-nata. Ma anche se l’ascensore è inebria-to dal suo profumo, voi pensate alla vo-stra vita.

Che piano? Nel rispondere avete tenuto gli occhi

sulla pulsantiera, non sulla donna.

La sua mano, la sua mano che sembraprovenire da un’altra galassia, ha pre-muto prima il pulsante del vostro piano.

Ognuno ha le proprie mani — unghielunghe e curate — ognuno ha la propriavita.

Da dentro queste vite, loro vi guarda-no e fantasticano sulla vostra. Un uomo.Un estraneo.

Ecco cosa sono. Ormai ci ho fatto l’a-bitudine a essere “un uomo”. L’imba-razzante silenzio degli ascensori non mimette più a disagio: ho smesso di dirmi,come ai tempi del liceo e dell’università,adesso bacio la persona che c’è con meoppure la uccido. Invece mi sottomettoumilmente alle regole del mondo e del-l’ascensore. Tutti i piani a uno a uno,tante porte e tante vite, tutte simili tra lo-ro.

Mi è venuto in mente tutt’a un tratto:come ho fatto a non pensarci prima! De-vo dare un’occhiata all’orologio. Ho sol-levato il braccio, con un gesto deciso edelegante ho piegato il polso. Il mio oro-logio è un Rolex, ma non importa.

Io sono un bell’uomo, mamma miache ore sono? Sono un uomo molto im-pegnato. O almeno è così che mi atteg-gio. Prego, guardatemi: vediamo che oresono, sono così indaffarato! Ecco. Miperdoni bella signora, non è a lei chepenso, mi sono perso a riflettere su que-stioni importanti come il destino delmondo e il senso della vita. Guardo l’ora— mi state guardando? — e mi chiedo seriuscirò ad arrivare in tempo per i mieiimportanti impegni. Magari adesso ilmio telefono sta squillando e dall’altrocapo del filo c’è il presidente del consi-glio. Forse fantasticherete che ho un al-levamento di cavalli. Forse avete intuitoche ho avuto una vita tragica e avventu-rosa. Ma nelle borse che ho in mano cisono solo: un chilo di mele, un chilo diarance, mezzo filone, del tonno in sca-tola e due libri nuovi. No, questi non liavrà visti di certo. Però una cosa l’avràsenz’altro notata: io in ascensore nonvoglio dar fastidio a nessuno, per questonon guardo le belle donne in viso.

Se tutti fossero sensibili come me ilmondo sarebbe diverso.

Eppure, stare qui con voi, con voi inascensore, senza dire una parola, rendela vita, come dire?, un po’ bizzarra. Saràper questo che, all’ultimo momento,proprio mentre esco dalla porta, rivolgoa voi, proprio a voi, uno sconsolato:

“Arrivederci”. (Copyright Orhan Pamuk 2010

Traduzione di Barbara La Rosa Salim)

In ascensoreORHAN PAMUK

I RITRATTINella foto grande,un’immagine di IstanbulNelle altre, alcuni scattiche ritraggono Pamukbambino e adolescentepubblicatiin Manzaradan Parçalar

IL LIBRO

La foto di copertina di Manzaradan Parçalar, il volume da poco uscitoin Turchia edito da Iletishim,è opera di Manuel Citak:ritrae un Pamuk più giovanedi oggi (lo scatto risale al 2000),che in un bar di Kars, al confinecon l’Armenia, intervistaun ragazzo del postoper un libro che diventerà un suo grande successointernazionale: Neve,pubblicato in Italia da Einaudi

Repubblica Nazionale

Nino Taranto tra mille equivoci guida la rivolta contro zie, presidi di scuolae ammuffiti libri di testo. Macario, al trampolino di lancio, autocensurandosibersaglia di gag i deliri fascisti. Il festival di Venezia riscopre

la dura vita della comicità durante il Ventennio. Pellicole, scenette e attoriche apriranno la strada alla commedia all’italiana

SPETTACOLI

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010

VENEZIA

Covava sotto l'orbace. Una volta una battuta, un'altrauna canzonetta. Sotto il controllo occhiuto del regi-me, il rigetto prorompeva in risate, ancora a dentistretti, in ammicchi, allusioni, doppi sensi, in prosa o

in rima. Canzoni-canzonatura, dialoghi cifrati, piroette verbali, sucui immancabilmente piombava la censura, non di rado con la co-da di paglia, pronta a sfumare, annacquare, azzerare. Il risvegliodell'intelligenza, e comunque della dignità, nell'Italia del letargofascista, ha dato i primi segnali, come sempre, sul fronte satirico: ifogli umoristici, le scene del varietà e della rivista e, più sommes-samente, i fllm comici, sporadici e intimiditi sugli schermi mes-si in cornice dai “telefoni bianchi”. Telefoni bianchi degli annineri: l'Italia finta, di bambagia, costruita da una propaganda al-lora non ancora televisiva cui, fuori schermo (allora già picco-lo, quanto a credibilità), faceva da controcanto l'Italia reale,assuefatta al potere, a testa bassa, stracciona o arrogante evolgare, con le istituzioni-spauracchio e la giustizia con duepesi e due misure. Una realtà sociale che, tra alibi del para-dosso comico e abili sotterfugi, è riuscita a far capolino al ci-nema, sotto la cappa del consenso del Ventennio nero e poiagli albori del Trentennio bianco, come lo definiva Paso-lini.

Un sintetico campionario è fornito da un tris d'assi nel-la retrospettiva sulla risata made in Italy del secolo scor-so, La situazione comica, organizzata fino all'11 settem-bre alla Mostra di Venezia dalla Cineteca Nazionale diRoma con la collaborazione dell'Immagine Ritrovatadi Bologna e della Cineteca Italiana di Milano. Sono tretappe illuminanti del rapporto cinema-censura inItalia o, più in generale, delle vittorie della risata pu-

ra e semplice (cioè complice) contro la ridicola ottusità degli edittidi turno: sono Imputato, alzatevi! (1939) di Mario Mattoli, 6x8/48-Tutta la città canta (1943-45) di Riccardo Freda, Guardie e ladri(1951) di Mario Monicelli e Steno, film perseguitato da tagli e prote-ste, come il successivo Totò e Carolina, per le presunte offese al cor-po di polizia, visto per la prima volta senza retorica patria.

Tre diversi decenni, con relativi condizionamenti politici, tre ti-toli di diverso valore artistico, di cui la rarità assoluta è il film di Fre-da, recuperato e appositamente restaurato dalla Cineteca milane-se. Primo e unico tentativo di «musical spaghetti», come ironizzaval'autore, allora agli esordi, poi re dell'horror e del cinema di genere,6x8/48-Tutta la città cantaè un carosello d'equivoci per un'eredità:la Miniera d'oro, che non è un giacimento ma una scalcinata com-pagnia di rivista, sepolta dai debiti. Il perno è Nino Taranto per la pri-ma volta protagonista, un Monnsù Travètdel Sud con bombetta al-la Totò, tartassato in casa dalle zie e a scuola dal preside: spazzoloneumano (in una delle sequenze più surreali), supplente di geografiamentre sa tutto di fisica (e dunque s'inventa una personalissima«geo-fisica»), darà scacco matto a persecutori e profittatori, inermidavanti al suo frac musicale che intona Ciribiribìn, assecondato nel-la riscossa dalla “Miniera” di comici e ballerine, tra cui i tre Bonos,versione-spaghetti dei fratelli Marx. Un finale riscatto, un respironedi Liberazione, che vede ridicolizzate le autorità del molto allegori-co «Istituto di Severità e Cultura», che nella scelta dei libri di testo pre-cetta le edizioni con le tavole non a colori ma severamente in bian-co e nero. In 6x8/48, dalla fabbricazione tormentata (interrotto do-po l'8 settembre 1943, completato con un cast dimezzato o cambia-to: l'attrice ingrassata, alcuni attori morti, altri al nord con i Repub-blichini), la rivolta contro un regime a rotoli diventa una sfida nellamusica (dovuta a Gorni Kramer, Giovanni D'Anzi, Gino Filippini,con un formidabile Natalino Otto, alluso già nel titolo), finalmentescatenata nel genere proibito, il jazz. «Nel '43, il fascismo, per quan-

to agonizzante, imperava ancora», ricordava Freda, «e imperandoaveva tra l'altro messo al bando, insieme al caffè, alla stretta di ma-no e al “lei”, anche il jazz, questa “espressione giudaico-massonica”come si amava allora definire tutto ciò che non era “puro romano”.L'incisione delle musiche venne fatta alla Fono Roma di fronte a tec-nici attoniti che non credevano alle loro orecchie e con piantoni al-l'esterno dell'edificio pronti a segnalarci l'arrivo di qualche “nero”.In tal caso, il Louisiana Bluessi sarebbe trasformato all'istante in Fu-niculì-Funiculà».

Qualche anno prima, Imputato, alzatevi!, cine-trampolino dilancio di Macario, aveva invece giocato di contropiede: autocensu-randosi. Il processo grottesco, debitamente risolto in burletta, è pru-dentemente spostato in Francia: e una didascalia iniziale ammoni-sce che il film «è di pura fantasia e vuol essere una caricatura di fattie istituzioni fortunatamente ben lontani dal nostro clima». Ma purnella dichiarata improbabilità «meteorologica», la minuscola Italiaanni Trenta è bersaglio di gag a getto continuo da parte di un opero-so manipolo d'umoristi, poi ricorrenti nelle sceneggiature brillantie, un giorno, nella commedia all'italiana, da Ruggero Maccari a Car-lo Manzoni, a Giovanni Guareschi, Vittorio Metz, Marcello Mar-chesi, Steno (gli ultimi tre, con il non accreditato Federico Fellini, pu-re in 6x8/48). Quasi tutti, fresche reclute del Bertoldo o del Marc'Au-relio, vivaio del cinema italiano a venire. Accanto a cui corre paral-lela l'altra fondamentale palestra, il teatro di rivista e di varietà, coninterpreti come Totò, Taranto, Alberto Sordi, Nino Manfredi, UgoTognazzi, rilanciati poi dal cinema, e con copioni di perenne alle-namento, se non alla rivolta, allo sberleffo del potere. Come la rivi-sta di Michele Galdieri Con un palmo di naso, dove nel 1944 Totò-Pi-nocchio potrà finalmente cantare: «...Quand'io pontificavo dal bal-cone/ dovevi farmi almeno un pernacchione./ Quand'io facevo tuttoa mio piacere/ dovevi darmi un calcio nel sedere...».

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MARIO SERENELLINI

Quando cinema e varietàsbeffeggiavano il regime

SUL GRANDE SCHERMOLe locandine di Totòe Carolina di Mario Monicelli(1955) e Imputato alzatevi!di Mario Mattoli (1939)Nella pagina accanto, alcunescene dei film presentatia Venezia nella retrospettivasulla risata made in Italydel secolo scorso:tra i protagonisti, Nino Taranto

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010

Allegorie, paradossi e totali folliequante acrobazie per raccontare la verità

DARIO FO

La politica ha sempre considerato la comicitàun’arma puntata sulla sua testa, perché attra-verso la battuta, il paradosso, lo sberleffo si di-

svela la realtà. La memoria mia e di Franca è disse-minata di storie e episodi che da più di cinquanta an-ni in qua sono legati ai tentativi dei governanti di zit-tire il nostro teatro: tentativi che ebbero particolareclamore con la Canzonissima del ’62, quando ab-bandonammo la trasmissione per non accettare il“controllo” sui nostri testi.

Per aggirare la censura a un certo punto deci-demmo di fare teatro come associazione culturale:questo ci lasciava fuori dai finanziamenti e dai con-tributi dello Stato, ma ci permetteva di essere liberi.Gli spettatori non pagavano un biglietto ma una tes-sera, poche lire: arrivammo ad avere 80 mila asso-

ciati solo a Milano. E più di un milione di parteci-panti nell’intera penisola. La cosa suscitava pa-

recchi allarmi: perché essendo un’associazio-ne, la polizia non poteva entrare ai nostri spet-

tacoli. Ma durante la tournée dello spettaco-lo sul colpo di stato in Cile, a Sassari nel ’73

fui arrestato perché mi ero opposto con al-tri compagni a far entrare i poliziotti in

teatro durante la rappresentazione. Miaccusarono di resistenza a pubblico uf-

ficiale e mi feci una notte in gattabuia.Poi la questura si spaventò: a Sassariarrivarono le televisioni di mezzaEuropa per parlare del nostro caso,anche la Rai fece delle riprese, for-se per finta, che non so nemmenose andarono mai in onda. Intantodavanti al carcere si era riunitauna gran folla... Mi liberarono e alprocesso vinsi.

Per altri spettacoli, anche laChiesa ha provato a zittirci: dopoil monologo su Bonifacio VIII in tvnon so quanti vescovi abbiano

gridato alla scomunica. A Treviso una volta organiz-zarono una sedizione di giovani cattolici che notte-tempo strapparono tutti i manifesti de Gli Arcange-li non giocano a flipper: non c’era nessuna battutasul clero, ma chissà, forse era il titolo…

Da autore so che, per sfuggire ai controlli del po-tere, la battuta sarcastica non deve essere diretta.Ben lo sapevano i teatranti greci e poi quelli romani.La storia di Siracusa che si ribellò agli ateniesi ricac-ciandoli in mare dove furono affrontati e stermina-ti in quasi diecimila, non si poteva raccontare adAtene. Così, quel disastro divenne un fatto avvenu-to in una città di fantasia che per una guerra di cuinon si svelavano le ragioni perse tutti gli uomini va-lidi. E toccò alle donne, rimaste sole, governare lacittà, inventandosi leggi semplici ed oneste. Quellospettacolo era Le donne in parlamento, dove Aristo-fane mettendo al potere le madri e le vedove dei sol-dati uccisi, sollecitava il popolo minuto a partecipa-re e a prendersi la responsabilità della politica.

È proprio dai greci che noi satirici di questo tem-po abbiamo imparato ad usare allegorie e parados-si per dire le verità che non piacciono al potere. InMorte accidentale di un anarchico ho raccontato lamorte di Pinelli ambientandola in America cin-quant’anni prima; in Settimo ruba un po’ menoil pa-radosso di trasferire un cimitero metteva alla berli-na gli intrallazzi dei socialisti e della Dc. Sono equi-librismi acrobatici della comicità per galleggiare an-che in cattive acque. Con L’anomalo bicefalo, peresempio, abbiamo messo in scena Berlusconi e Pu-tin che subiscono un attentato in conseguenza delquale i loro cervelli vengono assemblati in uno solo.Col pretesto che Berlusconi, perduta la memoria,doveva ricostruire la propria vita, rappresentavosulla scena la storia con sua moglie, con le altre don-ne, dei processi, dei malaffari e le caterve di menzo-gne… La verità. Ma chi poteva accusarci? Franca edio stavamo recitando solo una storia di totale follia...

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LA RETROSPETTIVA

In una trentina di titoli, firmati tra gli altrida Blasetti, Soldati, Bragaglia, Pietrangeli,Monicelli, Dino Risi, Tognazzi, la retrospettivacurata da Marco Giusti, Domenico Monettie Luca Pallanch, La situazione comica(1910-1988), ripercorre fino all’11 settembrealla Mostra di Venezia (Sala Volpi e Sala Perla)l’umorismo all’italiana, con particolareattenzione ai suoi protagonisti, taloradimenticati, come la coppia Giorgio e Guido

De Rege (rilanciata da WalterChiari nel tormentone “Vieni

avanti cretino!”) in Gli allegrimasnadieri (1937)

di Marco Elter,restaurato dalla Cineteca Italianadi Milano

Repubblica Nazionale

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010

i saporiTerra e mare

Cozze, polpi e aragostine, ma anche olive e formaggi, fichi secchi e legumi, fino alle carni equine. La tradizione culinaria del tacco d’Italia si conferma come una tra le più amatedel Belpaese. Anche grazie al “fuori tavola”: architetture barocche e scogliere da capogiro...

Il più entusiasta è il regista Ferzan Ozpetek: «IlSalento è meraviglioso, nelle architetture co-me negli ambienti naturali. Sono stato colpitoanche dalla gente: la città la fanno le persone,non solo gli edifici... E poi si mangia beneovunque!».

Quella del regista de Le mine vaganti, ambientatoin un Salento magico e splendente, è solo l’ultima di-chiarazione d’amore di un lunghissimo elenco, checertifica come il tacco d’Italia oggi sia considerato atutti gli effetti il nuovo “Shire”, dopo Chianti e Mar-che, approdo estivo per Helen Mirren e Colin Firth,Roberto Benigni e Jude Law, Francis Ford Coppola eGerard Depardieu.

Affondato tra architetture barocche e orizzonti ni-tidi, mari scintillanti e vigneti robusti, sabbie finissimee scogliere da capogiro, qui, last but not least, si man-gia benissimo praticamente ovunque. Perché la cuci-na regionale, ricca e saporita, perde fronzoli ed ecces-si nel suo scendere verso Santa Maria di Leuca e capod’Otranto, impreziosita da profumi salmastri e richia-mi d’Oriente, in un trionfo di pesce, extravergine e ver-dure che fa la felicità del più severo dei nutrizionisti.

Esistono aree dove il privilegio alimentare passa dacotture elaborate e ingredienti immancabili. Invece,da Punta Prosciutto a Tricase, passando per il cuoredel Salento, Galatina — dove si trova la straordinariachiesa di San Caterina — tutte le materie prime sem-

brano intercambiabili, pur ruotando intorno ai capi-saldi della tradizione iper-mediterranea. Cipolle e po-modori, mosto cotto e semola, olive e formaggi, fichisecchi e legumi sono l’impalcatura su cui generazionidi cuochi sapienti e massaie avvedute hanno costrui-to la fortuna gastronomica dell’antica Terra d’Otran-to.

Le proteine animali arrivano sia dal mare — cozzepelose, polpi, aragostine in primis — sia da terra, do-ve agnello e cavallo dominano le pietanze. La tradi-zione di cucinare carni equine deriva dai primissimiabitanti, i Messapi, abili allevatori e domatori di ca-valli, ed è continuata nel Medioevo, quando, durantele feste, al posto di spiedi e braci si allestivano fuochi ecalderoni (in dialetto quataroni) dove cuocere per orele dure carni di cavalli e muli troppo vecchi per lavo-rare. Una pratica arrivata fino a noi, se è vero che neipaesi dell’interno, da Campi Salentina a Secli, nel re-tro delle macellerie ancora si prepara il quatarone, in-teso come frattaglie di cavallo bollite, finger food pri-mordiale per stomaci robusti.

Ma i vegetariani non si avviliscano: gli orti salentinisono sontuosi. Fave, ceci, fagioli, erbe selvatiche,spunzali (cipollotti) si traducono in zuppe magnifichee goduriosi condimenti per le frise, da ammollare pri-ma in acqua di mare, all’uso dei pescatori.

Se riuscite a organizzare una gita settembrina in zo-na, alzatevi presto per andare al mercato del pesce diGallipoli, quando le barche tornano a riva con ricci egamberi viola. Aggiungete un trancio di focaccia cal-da e una bottiglia di Rosato del Salento Li Veli (secon-do in Italia solo al Cerasuolo di Valentini nella guidaEspresso) per salutare degnamente la fine dell’estatecon un pic nic da sogno sulla spiaggia di Lido Pizzo.

LICIA GRANELLO

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Cucina

Il richiamo

dell’Oriente

TaieddhaCozze, riso e verdurea strati, insaporite con origano e pecorino e poi infornate per la versione salentina della barese tiella, vale a dire: la teglia

LampascioniI piccoli bulbi del muscari

comosum, già citati nel ricettario di Apicio, vantano unaspiccatanota amarognolaSi gustano sia crudi che bolliti, arrostiti,fritti e conservatisott’olio

OgliarolaSi raccoglie nel leccesea fine ottobre, l’oliva piccola, lucida e violacea, alla basedell’eccellenteproduzionedi extravergine perfetto per condire i piatti locali

NegroamaroNiger e maru, due volte nera(tradotto dal latinoe dal greco)l’uva simbolodella viticolturasalentina, da cui si ricavano vini rossi e rosati di strutturae profumo intensiMolto caratteristici

OstricheLe Imperiali arrivanodallo Jonio salentinoQuesti molluschiimpreziosiscono i piatti di crudo con il loro intensoprofumo di mareIl loro guscio è ruvido,spesso, incrostatoda una spugnarossastra

MuniceddeGravita intornoalla campagnadi Cannole la produzione di chiocciole helix aperta. I colori del guscio ricordanoil saio monacaleSi cuociono con cipolla e pomodoro

Salentodel

Repubblica Nazionale

Gli appuntamentiGiorni di feste popolari

e mangerecce in provincia di Lecce,dalla sagra del maiale

oggi a Villa Baldassarre, alla Festa per la Madonna delle Grazie, in programma

da domani a mercoledì a Galatone, secolare appuntamento con il tipico pasto

dei pellegrini: pane, sarde, ricotta forte e un bicchiere di Negroamaro

Mentre Galatina, terramadre del pasticciotto, ospita nei week end settembrini la festa dell’uva:

presente il meglio dell’enogastronomia del Salento

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010

Noi, che il burro non lo conosciamo

LINO BANFI

L’ars culinaria pugliese non è basata sulmangiare questo o quello, ma sul comemangiare questo o quello e come farlo di-

ventare “alla pugliese”. Proverò a spiegarmi.Già dall’Ottocento siamo stati i primi man-

giatori di pesce crudo. Gli allievi (che sono leseppioline), inteneriti dal movimento sussulto-rio e ondulatorio dei cesti di vimini con acqua dimare, diventano tenerissimi se si mangianocrudi. Altro che nipponici! E se sugli allieviqual-che goccia di limone ci può pure stare, per amo-re del Padreterno sui ricci appena aperti usare illimone è delittuoso. Il riccio non va mangiatoneanche col cucchiaino, va gustato con il pez-zettino di focaccia calda che assorbe tutto il con-tenuto riccesco. Alcuni allieviun po’ più grandi,sempre crudi, vanno invece tagliuzzati a liste-relle, à la julienne, direbbe la noblesse pugliese,quella laureata in Lecce.

Questo per dire che noi pugliesi siamo itticodipendenti. Per noi la cozza nera, la cozza pelo-sa, i taratuffi viola che sanno di ferro, mangiaticrudi, sono un rito quasi sacro. La famosa tielladi riso, patane (patate) e cozze è la nostra paellaalla baresana che poi è diventata alla valenzia-na. Gli spagnoli l’hanno sempre ammesso. E in-fatti hanno una devozione per i pugliesi, soprat-tutto per quelli del Salento.

Ma non è finita. Noi prepariamo anche piatticome il puré di fave con la cicoria, la braciola, in-tesa come involtino, la salsizza, che poi è la sal-siccia, fatta a punta di coltello e non con la car-ne tritata.

Gli ingredienti sono solo tre o quattro, ma im-

portanti: cipolla grossa rossa e dolce per le insa-late (ce l’abbiamo anche in Puglia, come quelladi Tropea); l’aglio da usare con olio e peperon-cino per tutti i tipi di verdure e paste; e la cipollanormale o gli sponsali, cioè le cipolline lunghe,per sughi di carne, pesce e i molluschi. Da noi, sidice — quando si cucinano polpi, seppie, cala-mari — la cipodda gliè la morta loro, è la morteloro. E c’è anche un aneddoto. Anni fa, a Bari, inun cinema, durante la proiezione di Tentacoli lapiovra mostruosa ammazzava tanta gente e nonriuscivano a farla fuori con nessun tipo di arma.Nel silenzio si sentì una voce: “U vulite capi’ cala morte du pulpo è la cipodda?”.

E veniamo a me. A me piace cucinare le orec-chiette con la rughetta e il pomodoro perché so-no i tre colori della bandiera italiana. Ricordocon affetto le sfide con Ugo Tognazzi. Una voltami ero fatto preparare un piatto con tre spazi:per le orecchiette sbollentate, per la rughettacotta (che perde l’amaro) e per il pomodoro. Enell’angolo c’era la ricotta salata da grattugiare.Quanto alla Puglia, mi mancano i profumi,quando ci torno mi faccio accompagnare negliorti a sentire l’odore dei pomodori sulla pianta,dell’acc che è il nostro sedano, oppure degli oli-vi. Noi pugliesi usiamo solo olio d’oliva. L’unicavolta che mio padre comprava il burro era adagosto, quando arrivavano i fratelli da Parigi chelo volevano a tavola. Mi faceva un po’ schifospalmarmelo sul pane: «Pascal, c’est bon», dice-va mio zio. Ma non mi ha mai convinto.

(testo raccolto da Silvia Fumarola)

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Cristina Conte è la chef-proprietaria de “Laltro Baffo”,a pochi passi dal Castello Aragonese,nel cuore di Otranto. Tra i suoi piatti più sfiziosi,la parmigiana di melanzane e pesce spada al pesto

itinerari

Adagiata su una piana tra Jonio e Adriatico La capitaledel Salento,

anche conosciuta come “Firenze del barocco”, è sede universitariae meta turistica internazionale

DOVE DORMIREPALAZZO PERSONÈ Via Umberto I 5Tel. 0832-246302Doppia 90 euro con colazione

DOVE MANGIARECORTE DEI PANDOLFIPiazzetta OrsiniTel. 0832-332309Chiuso domenicamenù da 35 euro

DOVE COMPRAREPASTICCERIA NATALEVia Trinchese 7Tel. 0832-256060

Lecce

Ciceri e triaNasce per la festa di San Giuseppeil ricco piatto di pasta (l’arabaitrya), dove le tagliatelle sonoin parte lessate

(nel coccio insieme ai ceci) e in partefritte, per poi essere aggiunte nel finale

TurcinieddiFagottini a base di interiora d’agnelloo capretto, avvoltinelle budellinelavate con aceto,profumati con prezzemolo,

disposti in spiedini e cotti lentamentein un angolo della griglia

Sagne’ncannulateRappresenta i trucioli della pialla di San Giuseppe, la pasta lungadi semola di granoduro dalla forma

attorcigliata. Condimento con sugodi pomorodo e casu-ricotta o pecorino

PasticciottoNato a metàSettecento dagli avanzi di cremae pastafrolla nella pasticceriaAscalone di Galatina(ancora in attività),

è una micro-torta ovale da servirerigorosamente calda e fragrante

Abitato da romani,aragonesi e bizantini,patrimonioUnesco,

il borgo all’estremità orientaledell’Adriatico battezza il canale che ci unisce all’Albania

DOVE DORMIREHOTEL DEGLI HAETHEY Via Sforza 33Tel 0836-801548Doppia 90 euro con colazione

DOVE MANGIAREMASSERIA PANAREOLitoranea Otranto-S. Cesarea Terme Tel. 0836-812999 Chiuso lunedì, menù da 30 euro

DOVE COMPRAREFMSALENTO Piazza Castello 17Tel. 335-6622394

Otranto (Le)Affacciatasullapenisolasalentina, nelgolfo di Taranto,

ha un affascinante centrocostruito su un’isola di calcarecollegata alla terra da un ponte

DOVE DORMIREB&B CORTE MANTA 9Via Corte Manta 9Tel. 347-4509216Camera doppia da 70 euro

DOVE MANGIAREIL BASTIONERiviera Nazario Sauro 28Tel. 0833-263836Chiuso domenicamenù da 40 euro

DOVE COMPRAREMACELLERIA CORIBELLOVia Specolizzi 17Tel. 0833-264163

Gallipoli (Le)

Repubblica Nazionale

le tendenzeLow cost

In plastica o cuoio, maglia metallica o corda,in tessuto oppure in argento. Con pietre colorate,forme geometriche e fiori, i “falsi” gioielli tornanoa essere oggetti del desiderio. Tutta colpa della crisi,ma anche merito di materiali innovativi e dell’estrodi designer che così stanno conquistando il mercato

42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010

Bijouxnuovi

IRENE MARIA SCALISE

«Igioielli sono seri e noiosi come i mariti, ibijoux allegri e divertenti come gli amanti»,proclamava senza esitazione una saggiaMarilyn Monroe che di uomini se ne in-tendeva. Erano gli anni del boom econo-mico e oggi, che quel boom sembra un mi-

raggio, c’è un motivo in più per pensare ai “falsi” gioielli.Sono uno dei pochi lussi raggiungibili. Un universo mera-viglioso e, soprattutto, low cost. Poveri ma belli. E allora, inbarba alla crisi, via libera a bangle, cabochon, chandelier,creoles, jais e pavè. Parole che, solo a sentirle, mettono al-legria.

Con il tempo la sostanza del bijoux è cambiata. Nati co-me imitazione del vero, i bijoux appaiono per la prima vol-ta negli anni Trenta. Era il periodo della grande depressio-ne e divine come Vivien Leight, Greta Garbo (nel film Ro-mance), Marlene Dietrich (in Venere bionda) li usavano sulset come fossero veri. Poi col benessere economico trion-fano i gioielli e i “falsi” tornano prepotenti solo nei Settan-ta. È il periodo della contestazione in piazza e i bijoux spa-ziano dall’optical alla pura plastica fluo. Trent’anni dopo(anche grazie al design e ai nuovi materiali) gli stessi “falsi”rinascono come oggetti di pregio.

«Oggi troviamo sul mercato collane, orecchini e anelliche sono autentiche forme d’arte», spiega Michele Cam-melli del Clubbi (Associazione Italiana di Fabbricanti dibijoux), «molti designer e artigiani danno forma a creazio-ni poetiche, usando materiali semipreziosi, e così il bijouxdiventa un bene come succede per i gioielli». All’ascesa sulmercato ha contribuito il sempre maggiore interessamen-to da parte degli stilisti. Sulle passerelle sfilano sempre piùspesso collane coloratissime, bracciali decorati con pietrearcobaleno e orecchini scintillanti firmati Armani, LouisVuitton, Ferragamo, Cavalli, Hermes, Escada.

Tra le prime designer, ad intuire il potenziale dei bijoux,c’è sicuramente Consuelo Castiglioni, ideatrice della grif-fe Marni: «Gli elementi decorativi riflettono periodi sto-rici molto precisi e non hanno mai smesso di far partedel guardaroba femminile, sono un accessorio versa-tile che permette di modificare o far risaltare un abi-to». Il segreto delle collane ideate dalla Castiglioni èsoprattutto nei contrasti: «Il mio approccio inizia dal-la ricerca e dalla contrapposizione e dalla sovrap-posizione di forme, materiali e colori. Per l’in-verno ho ideato maglie metalliche oro e nastriin seta nera, applicazioni in resina coloratabagnata da una lamina argento, elementi inlegno bruciato con frammenti di pirite e in-crostazioni di pietre sbriciolate, strati di goc-ce in resina colorata e foglie in lauro bagnatenell’oro». E proprio l’inverno sembra riservare,al pubblico femminile, raffinate sorprese. «Di fron-te alla concorrenza rappresentata da prodotti pre-valentemente asiatici», spiega Cammelli, «bisognapuntare ad una vendita molto qualificata».

Tra le tendenze in arrivo, poi, va segnalata la se-cond life dell’etnico. Rielaborato in ogni dettaglio, ilbijoux d’ispirazione tribale o orientale, conserva sì la suaanima esotica ma in più diventa chic.

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Poveri ma belli

EXTRA LARGEPiaceràa chi hala passioneper dimensioniXXL l’anellonel coloredi moda,il viola,firmatoStroili Oro

REVIVALSanno di antico

gli orecchini Sodinidalla lavorazione

artigianale e raffinataUn ornamento

che illumina il viso

FANTASIABracciale fantasiaper Morellato: tantidiversi disegnie lavorazioni divertentiPer una composizionepensata soprattuttoper le giovanissime

TRAMELa collana di Gazelsceglie la stoffaper foderare le sfere Il cordoncinodoppio fa da chiusura

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010

L’importante è apparire

MICHELA GATTERMAYER

Isondaggi dichiarano che il novanta per cento delle donne, do-vendo scegliere un accessorio, si butta sulle scarpe. Ma vuoimettere con i gioielli? Di scarpe ne puoi portare solo due. Al

massimo un paio dentro la borsa, come facevano negli anni Ot-tanta le manager americane che noi da qui credevamo sempre dicorsa su e giù per Manhattan con addosso le sneaker (che allora sichiamavano scarpe da tennis) e, in ufficio, sexy in décolletés. In-vece stando alle ultime della moda per essere in tendenza una do-vrebbe andarsene in giro con addosso un’intera cassaforte: cate-ne d’oro, fili di perle, collier di strass, collane con pietre di tutti co-lori, anelli con diamanti come nocciole, bracciali con monete d’o-ro, orecchini a cerchio enormi... Come si fa a non sembrare deivenditori ambulanti o dei ladri per quanto gentili?

L’importante è che i veri ladri capiscano che è tutto finto, che ilbottino non vale niente, che è solo apparenza, così da non corre-re inutili rischi. Perché è tutto un gioco, una farsa. Deve esserel’euforia dopo anni di minimalismo assoluto in cui al massimo lacatenina del battesimo. Ora sarà la crisi che ti fa povero ma tu nonvuoi sembrarlo. Saranno le vetrine che è tutto un beige, un bon ton,uno chic, un ritorno ai Cinquanta. Saranno tutti questi jeans chevanno un po’ educati visti gli strappi, i buchi, le scuciture che ti sfi-do a farli diventare presentabili. Fatto sta che il gioiello ci vuole. Mafalso, e che sembri più vero del vero, così per scherzo. O un po’ ve-ro, d’argento low cost con vetri luminosi come rubini e smeraldi.

Non imbroglia la plastica, leggerissima, che ti permette di an-dare in giro con enormi sculture alla Calder. Le nostalgiche po-tranno tirare fuori dai cassetti le broche di modernariato ameri-cano senza sembrare mia zia (e allora via alle moltiplicazioni suirevers delle giacchette di tweed). La recessione aguzza l’ingegnoquindi fai-da-te legando assieme con lo spago tutte le cianfrusa-glie, i pendenti, gli anellini, i cornetti, le medaglie, i cucchiaini, i na-stri accumulati negli anni, soluzione poetica e irripetibile usataanche da molti designer. E poi la carta, il vetro, il Das, la pasta dimais (oltretutto biodegradabile al cento per cento). L’ultima ten-denza? A parte l’invasione dei teschi che poverini non fanno piùpaura a nessuno, non ne esiste una e il clima detta legge, come fada sempre: d'inverno vanno di più le collane perché gli orecchinitirano i fili di lana del berretto, i bracciali non passano per le ma-niche del cappotto e gli anelli non entrano nei guanti.

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FLOREALEAnello con ciondoliSwatch Tanti piccolipetalitintinnanti,in una fantasiaverdeacceso, per rallegrarele giornateinvernali

REGOLABILECordino viola

e ciondoli a formadi stelle nel bracciale

Fossil regolabilesecondo le dimensioni

del polso

MULTICOLORBracciali luccicantiper un pavè multicolor. Di CavalliSono perfettiper impreziosire abitieleganti in inverno

ETNICOIl ritorno all’etnico

più chic lo proponeEscada con collanedai raffinati ciondoli

di forma geometricaabbinata a un cordino

FLUOLettere dai colori fluo

che, tintinnando,ricordano le iniziali

dello stilista:è l’originale bracciale

di Giorgio Armani

BLINDATOBracciale “logo”

Louis VuittonCome

decorazionelucchetto e chiavenelle tinte accese

del rosa e del viola

OPTICALOrecchini optical

bianco e nerodi Bliss

dal sapore retròPerfetti da giorno

e da sera

SHOCKNei toni del rosashockingi braccialiBlugirl

SFERICASottile ed elegantela collana Breil:I ciondoli sono sferedi varie grandezzeda intrecciarea piacere

Repubblica Nazionale

Èil 1975. Un attore di ventottoanni conosce il suo primovero successo recitando ateatro accanto a una maturavedette di settant’anni as-surta da tempo a gloria na-

zionale. Lui, Franco Branciaroli, oggi ri-corda così lei, Wanda Osiris, in Nerone èmorto? di Hubay con regia di AldoTrionfo: «Era stata anche un mio mito digioventù, insieme a Coppi, lei coi suoivestiti d’un diametro di quattro-cinquemetri, con la sua canzone Sentimental,e lì, in palcoscenico, me la ritrovavo chenon era bella, non aveva le doti virtuo-sistiche d’una cantante, non ce la face-va a mostrare uno spavaldo passato diballerina, eppure emanava carisma efascino anche solo esprimendo la gran-diosità dell’effimero e del kitsch. E poi,vuoi mettere gli aneddoti che ti snoc-ciolava? A proposito di quando volle ab-bandonare uno spettacolo perché dasuperstiziosa s’imbatté in un pesantecolor viola, e poco dopo si tagliò una co-scia per il copri-water rotto d’un bagno.O a proposito di quella conchiglia che laconteneva, che doveva scendere giù fi-no alla ribalta, e che accidentalmente laintrappolò. Ma il massimo me lo con-fidò con naturalezza la sera in cui mi de-cisi di chiederle perché, prima d’uscirea prendersi i cinque minuti di applausitutti per lei, tenesse le braccia alte die-tro le quinte: “Caro, così il sangue scen-de meglio, e le mani sono perfettamen-te bianche”».

Franco Branciaroli, teatrante che tifissa con occhi liquidi e chiari, corpora-tura avvezza al footing, indole tra l’an-gelico e lo sdegnato, «né di destra né disinistra» o meglio sempre pronto aschierarsi all’incontrario per amore dipolemica (e non più in primo piano,adesso, ai meeting di Cl), distante anniluce «dal prototipo dell’artista che vuo-le essere rifiutato dalla società ma elo-

l’incontroBattitori liberi A ventotto anni il primo successo

accanto a Wanda Osiris, suo mitodi gioventù, dopo un’infanzia passataa vendere sigarette nel bar di famiglia

Oggi che il palcoscenicoè diventato la sua secondacasa, è sempre prontoa schierarsi “contro”per amore della polemicaE insegue una suafilosofia: “La felicità

ha bisogno dell’ostacolo. Se la vaiad acchiappare non è nienteL’infelicità è scoprire tutto questo”

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La solitudine non mi fapaura e la compagniami piace solo a piccoledosi. Adoro il peccato,sostengo che il maledeve entrare in giocoE poi, insomma,chi non peccache razza di vita fa?

giato dalla stampa», è uno che è andatodi pari passo con Carmelo Bene, conGiovanni Testori e con Luca Ronconi, èuno che ha sessantatré anni, di cui dueterzi passati a recitare. Nato a Milano,oltre San Siro, quasi vicino alle risaieche c’erano all’epoca, quand’era picco-lo vendeva sigarette nel bar di famigliao lisciava la pista di un annesso campodi bocce. Poi seguì a Torino le sorti delpadre, inventore d’un brevetto per con-servare con proprietà particolari lapanna, un’attività che fruttò il marchiodella Panna Elena, poi ceduta una deci-na d’anni fa. «Vuoi perché avevo fattol’Istituto per periti tecnici in telecomu-nicazioni, vuoi perché avevo un po’ fre-quentato Biologia alla facoltà di Scien-ze naturali, e vuoi perché avevo trascor-so un anno in Francia a imparare la lin-gua per rendermi più utile in fabbrica, atutto pensavo meno che al teatro. Maavevo il problema del servizio militare,e un’amica attrice mi suggerì di riman-darlo iscrivendomi alla Civica Scuoladel Piccolo Teatro di Milano. Il provinolo superai malgrado grattassi la erre, di-fetto simile a quello che affliggeva Pao-lo Grassi, il quale mi dette un anno ditempo per togliermi il difetto, minac-ciandomi sennò l’esclusione dai corsi.Misi a posto la erre».

Mostra presto una marcia in più, ilgiovane Branciaroli, e a ventitré anni, inuno spettacolo del quasi coetaneo Pa-trice Chéreau al Piccolo, in Toller diDorst da comparsa passa a quarto in lo-candina. «All’epoca ci fu anche un’e-sperienza di teatro mobile col camion.Con me c’erano vari compagni, tra cuiMaurizio Micheli. Non avevamo lepiazze per le rappresentazioni, e Grassimi mandò da Ripa di Meana ,che era re-sponsabile del Touring Club di Milano,e lui ci procurò varie tappe in Lombar-dia. Il camion s’apriva ad ali di gabbia-no, e diventava un palcoscenico. Erava-mo pagati centomila lire e avevamo di-ritto a due turni di pasti». Poi lo adottaAldo Trionfo, che lo fa lavorare allo Sta-bile di Torino, tra l’altro con Nerone èmorto, con Gesùdi Dreyer, e col pastichesuo e di Salveti Faust-Marlowe-Burle-sque dove lui si scambia i ruoli di Fauste Mefistofele con Carmelo Bene. «La vi-ta è fatta anche di mancati incontri.Consideravo Fratelli d’Italia di Arbasi-no un romanzo di respiro europeo, e Ar-basino, che avrei tanto voluto incontra-re, è tra gli spettatori della Torre di Hof-mannsthal diretto da Luca Ronconi, chem’aveva introdotto nel suo Laboratoriodi Prato: uno spettacolo di dieci ore, e iodovevo restare chiuso in uno scatolonedi mattoni per almeno due ore, e Arba-sino dopo venti minuti se ne va...».

Branciaroli, diciamolo, mette sem-pre i piedi dove c’è qualcosa di nuovo intermini di regia, di drammaturgia dellavoce, di solitudine della mente. «Sì, masul concetto di “nuovo” dobbiamo in-tenderci: all’uomo non è dato di faregranché né continuamente qualcosa dinuovo. Guardi il teatro cinese, che esi-ste da duemila anni e solo ogni duecen-to modifica qualche piccola cosa».D’accordo. «E poi ha pensato al rappor-to che c’è tra nuovo e noia?». Lo guardo,e aspetto. «Un quadro si lascia vederecon due secondi di noia. Uno spettaco-lo ti può riservare non meno di due oredi tedio. Ecco perché la pittura produceuna cultura più veloce, ampia, comuni-cabile». Concetti liberi di un battitore li-bero. Dopo aver dato voce solitaria alleBranciatrilogie che Giovanni Testoriaveva scritto appositamente per lui dametà degli anni Ottanta (titoli liturgici eprofani come Confiteor, In Exitu, Verbò,Sfaust, SdisOré) in omaggio a un sodali-zio naturale («Eravamo come padre e fi-glio. L’omosessualità di Testori eramolto impacciata, e lui la consideravauna maledizione che d’altronde glialienò i favori della sinistra, dei cattoli-

ci e degli omosessuali stessi perché luila reputava un peccato»), dopo la sca-brosa e memorabile invettiva di Féerie -Pantomima per un’altra volta di Célinein cui lo ricordo benissimo a Spoleto, edopo tanti suoi atteggiamenti da uomoe artista appartato, non è strano sentir-gli dire che «per vivere la solitudine bi-sogna essere un po’ cinici, io non la cer-co ma non mi fa paura, e la compagniami piace solo a piccole dosi». Poi si con-traddice durante le cene al ristorantenel dopo-spettacolo, dove è generosodi confidenze, cattiverie e falstaffianeintemperanze. E s’esalta per le battute.«Ho sempre amato una frase di Carme-lo, “solo il mediocre è migliore”, e un’al-tra di Ronconi, “si diventa bravi standoa casa”». E ha una sua filosofia dello starbene. «La felicità ha bisogno dell’osta-colo. Se la vai ad acchiappare diretta-mente non è niente. L’infelicità è sco-prire tutto questo. Detto in altre parole,la felicità è l’impossibilità di averla, el’infelicità è esserne consci». Sorride.Con quella sua aria socratica non privadi una perfidia sana. E ti sembra d’aver-lo colto in contraddizione quando ti di-ce di credere, d’essere religioso («Hoimparato a guidare il nonsenso della vi-ta, l’alternativa dell’aldilà, e d’altrondese ti fidi di tante balle, perché non fidar-si di questa cosa qui?») e però, oltre adaver partecipato a film di Antonioni, diJancso, di Faenza e della Comencini, haall’attivo cinque film con Tinto Brass, ene La chiave era integralmente nudocon una protesi («Da outsider adoro ilpeccato, sostengo che il male deve en-trare in gioco, e poi, insomma, chi nonpecca che razza di vita fa?»).

Sbaglia, però, chi si fa l’idea di unBranciaroli ingovernabile, lupo appar-tato. «Oddio, una certa chiusezza affet-tiva forse ha origine nell’educazione ri-cevuta, nella Milano difficile dell’infan-zia». Tralasciando il tetto che oggi ha aMilano, e la villa di famiglia a Torino, luinella casa di Pavia a ridosso del Ticino hacomunque una moglie di circa dieci an-ni più giovane, Annamaria, che un tem-po recitò con lui, e che nessuno vedemai. «Io metto in prova tutto davanti alei, è il mio primo spettatore, è stata lei aconsigliarmi di fare la voce da ispettoreClouzot quando ho impersonatoHamm in Finale di partita di Beckett».L’imitazione, ecco una raffinatezza chelo induce a riprodurre i suoni “costruiti”del parlato degli altri, e l’ha messo in evi-denza senza freni nel Don Chisciotte re-cente dove s’è sdoppiato nei timbri diCarmelo Bene e Vittorio Gassman in unincontro ultraterreno. «Al reale non homai creduto, tant’è che nell’autunnodell’anno prossimo metterò in scena al

Centro Teatrale Bresciano, di cui sonoconsulente artistico da poco, con la co-produzione della Compagnia degli In-camminati lasciatami da Testori (in cuiresto solo primattore), la Commediadella vanità di Elias Canetti, dove aitrentacinque personaggi resi da quindi-ci attori è bandito il vedersi, lo spec-chiarsi, il fotografarsi». E d’altra parteanche i testi scritti da lui, Dyonisos, Cos’èl’amore, Lo Zio, e l’inedito Romeo e Giu-lietta, prova generale(con una coppia digrandi attori che si divorano i figli pernon lasciare loro il futuro e la scena),procedono per metafore forti, trame in-sostenibili. E uno come Branciaroli è ca-pace di leggere tanto e amare tanto lemacchine veloci. «Forse il mio libro piùserio degli ultimi tempi è stato InfiniteJest di Forrest Wallace. E le auto che hoguidato sono state Jaguar, Porsche, Ma-serati, una Mercedes di vent’anni fa,un’Audi. Da giovane correvo». Usa l’i-pod ma glielo caricano gli altri. Non usail computer. Non gli dispiace, in scena,una manipolazione al femminile delsuo corpo. «Già due volte ho assunto unaspetto di donna. Nella Medeacon la re-gia di Ronconi avevo una sottoveste allaMagnani, tacchi a spillo e gambe con icollant scuri. Ora in Edipo Re diretto daCalenda faccio anche una Giocasta conguêpière, calzature rosse e cosce in vi-sta. In entrambi i casi a torace nudo e vil-loso, da sembrare un travestito. E con-fesso che da tempo avrei l’idea di met-termi nei panni delle Sorelle Materassimagari con Carlo Cecchi e con GabrieleLavia. A loro gliene ho parlato...».

Ai saluti, mi fa un regalo, un cenno diversi in lingua lombarda, a riprova del-l’amore per i paesaggi piatti. «O pianü-ra, che te vet driss(o pianura che vai drit-to), m’e quei che te sumena (come quel-li che ti seminano), el rüsa el ris sota lapalta (spinge il riso sotto il fango)...».Una poesia scritta venticinque-trent’anni fa. ‘‘

RODOLFO DI GIAMMARCO

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Franco Branciaroli

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Repubblica Nazionale