Crocevia Magistero
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Magistero
AA. VV.
TEMPONAUTICA
Dove realismo tomista e Magistero Cattolico disputano con la contemporaneità.
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Sommario ECCLESIAM SUAM: Per quali vie la Chiesa cattolica debba oggi adempiere al suo mandato. ............................ 3
Evangelii Gaudium: leggiamola insieme! 1 – 8 .................................................................................................... 9
Evangelii Gaudium – Riflessioni: 1-13................................................................................................................ 13
In PaceEVANGELII GAUDIUM – RIFLESSIONI: 14 – 33 ....................................................................................... 15
VANGELII GAUDIUM – RIFLESSIONI: 34 – 49 ..................................................................................................... 17
Evangelii Gaudium: leggiamola insieme! – 39 (e cosa NON E’ il Dogma).......................................................... 19
Omosessualità: per un approccio accettato ...................................................................................................... 22
Dominus Iesus: ritorno al futuro? ..................................................................................................................... 25
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ECCLESIAM SUAM: Per quali vie la Chiesa cattolica debba oggi adempiere al
suo mandato.
By minstrel on 2 ottobre 2013 • ( 4 )
Anche Paolo ci fa volare!
Sentendo personalmente il dovere di formulare una risposta degna di questo nome a DR che mi ha
omaggiato di una replica su MiL, risposta che purtroppo necessita di tempo che ora non ho causa
impegni di lavoro e di studio;
personalmente stanco di dover rincorrere tutti i qui pro quo che alcuni leggono nelle parole di Papa
Francesco – come fanno ad esempio coloro che il termine “proselitismo” in modo positivo ed
evangelico, quando è palese che il Papa lo citi come nozione protestante, da setta americana di turno
(il cristianesimo non fa proselitismo, fa apostolato!) – ;
Spinto dall’ennesima rilettura di Mic della Mortalium animos, enciclica che oramai anche i sassi
conoscono a memoria nella sua traduzione italiana visto che ogni mese viene riproposta da qualcuno
con grande spreco di memoria fisica dei server web;
ho deciso ieri di leggermi una Enciclica, citata da Papa Francesco nel suo discorso all’incontro
internazionale per la pace del 30 settembre 2013, sulla quale non mi ero mai soffermato e che ho
trovato davvero attuale!
Ecclesiam Suam. Paolo VI scrive ai Padri che a breve si riuniranno nella seconda sessione del Vaticano II.
E’ il 6 agosto 1964.
Ci state a leggerla insieme?
Estrapolerò, a rischio di essere tacciato di fondamentalismo, solo le parole della traduzione offerta
dal sito del Vaticano che mi più mi appaiono interessanti.
Non commento, consapevole che si può discutere tramite i commenti in calce circa il valore
contemporaneo (“Francescano” per così dire) di alcune frasi.
Cito, consapevole che si può riprendere l’intera frase e il suo contesto semplicemente leggendosi
l’intera Enciclica.
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Suddividerò l’enciclica in
- TITOLI (miei personali)
ed eventualmente in ulteriori
- Titoli (come pensati da Paolo VI stesso.)
Buona lettura!
PREMESSA
7. Non vuole questa Nostra Enciclica rivestire carattere solenne e propriamente dottrinale, né
proporre insegnamenti determinati, morali o sociali, ma semplicemente vuol essere un messaggio
fraterno e familiare.
I TRE DESIDERI E UN PENSIERO ALLA PACE
9. Vi diremo subito, Venerabili Fratelli, che tre sono i pensieri, che vanno agitando l’animo [...]
10. Il pensiero che sia questa l’ora in cui la Chiesa deve approfondire la coscienza di se stessa,
meditare sul mistero che le è proprio, esplorare a propria istruzione ed edificazione la dottrina, già a
lei nota e già in questo ultimo secolo enucleata e diffusa, sopra la propria origine, la propria natura,
la propria missione, la propria sorte finale, ma dottrina non mai abbastanza studiata e compresa,
come quella che contiene il piano provvidenziale del mistero nascosto da secoli in Dio… affinché sia
manifestato… per mezzo della Chiesa [...]
12. E deriva perciò un bisogno generoso e quasi impaziente di rinnovamento, di emendamento
cioè dei difetti, che quella coscienza, quasi un esame interiore allo specchio del modello che Cristo di
sé ci lasciò, denuncia e rigetta. [...]
13. Terzo pensiero Nostro, e vostro certamente, sorgente dai primi due sopra enunciati, è quello
delle relazioni che oggi la Chiesa deve stabilire col mondo che la circonda ed in cui essa vive e
lavora.[...]
15. Si presenta cioè il problema, così detto, del dialogo fra la Chiesa ed il mondo moderno. È
problema questo che tocca al Concilio descrivere nella sua vastità e complessità, e risolvere, per
quanto è possibile, nei termini migliori. [...]
Assiduo e illimitato zelo per la pace 17. Alla grande e universale questione della pace nel mondo Noi diciamo fin d’ora che Ci sentiremo
particolarmente obbligati a rivolgere [...] l’interessamento altresì più assiduo ed efficace [...]
premuroso di contribuire alla educazione dell’umanità a sentimenti ed a procedimenti contrari ad
ogni violento e micidiale conflitto, e favorevoli ad ogni civile e razionale pacifico regolamento dei
rapporti fra le nazioni; e sollecito parimenti di assistere, con la proclamazione dei principi umani
superiori, che possano giovare a temperare gli egoismi e le passioni donde scaturiscono gli
scontri bellici, l’armonica convivenza e la fruttuosa collaborazione fra i popoli; e d’intervenire, ove
l’opportunità ci sia offerta, per coadiuvare le parti contendenti a onorevoli e fraterne soluzioni.
LA COSCIENZA
19. Noi pensiamo che sia doveroso oggi per la Chiesa approfondire la coscienza ch’ella deve avere di
sé [...]
20. Pare infatti a Noi che tale atto di riflessione possa riferirsi al modo stesso scelto da Dio per
rivelarsi agli uomini e per stabilire con essi quei rapporti religiosi di cui la Chiesa è al tempo stesso
strumento ed espressione. [...]
28. È a tutti noto che la Chiesa è immersa nell’umanità, ne fa parte, ne trae i suoi membri, ne deriva
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preziosi tesori di cultura, ne subisce le vicende storiche, ne favorisce le fortune. Il suo [dell'umanità]
pensiero, la sua cultura, il suo spirito sono intimamente modificati sia dal progresso scientifico,
tecnico e sociale, sia dalle correnti di pensiero filosofico e politico che la invadono e la
attraversano.[...] Ora pare a Noi che, per immunizzarsi da tale incombente e molteplice pericolo
proveniente da varie parti, buono e ovvio rimedio sia l’approfondimento di coscienza della Chiesa in
ciò ch’essa veramente è [...]
30. [il pensiero dell'uomo moderno] si curva facilmente su se stesso, e allora gode di certezza e di
pienezza, quando s’illumina nella propria coscienza. Non è che questa abitudine sia senza pericoli
gravi; correnti filosofiche di grande nome hanno esplorato e magnificato questa forma di attività
spirituale dell’uomo come definitiva e suprema, anzi come misura e sorgente della realtà, spingendo
il pensiero a conclusioni astruse, desolate, paradossali e radicalmente fallaci; ma ciò non toglie che
l’educazione alla ricerca della verità riflessa nell’interno della coscienza sia di per sé altamente
apprezzabile e oggi praticamente diffusa come espressione squisita della moderna cultura; come
non toglie che, bene coordinata con la formazione del pensiero a scoprire la verità dove essa
coincide con la realtà dell’essere obbiettivo, l’esercizio della coscienza riveli sempre meglio a chi
lo compie il fatto dell’esistenza del proprio essere, della propria spirituale dignità, della propria
capacità di conoscere e di agire.
32. [...]il Concilio Ecumenico Vaticano II altro non è che una continuazione e un completamento del
Vaticano I
35. Noi ci asteniamo di proposito dal pronunciare qualsiasi Nostra sentenza, in questa Nostra
Enciclica, sopra i punti dottrinali relativi alla Chiesa, posti ora all’esame del Concilio stesso, cui
siamo chiamati a presiedere: a così alto e autorevole consesso vogliamo ora lasciare libertà di studio
e di parola
39. Il mistero della Chiesa non è semplice oggetto di conoscenza teologica, dev’essere un fatto
vissuto, in cui ancora prima d’una sua chiara nozione l’anima fedele può avere quasi connaturata
esperienza
40. Che se noi sapremo accendere in noi stessi e educare nei fedeli, con alta e vigilante pedagogia,
questo corroborante senso della Chiesa, molte antinomie che oggi affaticano il pensiero di studiosi
di ecclesiologia
IL RINNOVAMENTO
44. Questo studio di perfezionamento religioso e morale è stimolato anche esteriormente dalle
condizioni in cui la Chiesa svolge la sua vita. [...] Da un lato la vita cristiana, quale la Chiesa difende
e promuove, deve continuamente e strenuamente guardarsi da quanto può illuderla, profanarla,
soffocarla, quasi cercasse di immunizzarsi dal contagio dell’errore, e del male; dall’altro lato la vita
cristiana deve non solo adattarsi alle forme di pensiero e di costume, che l’ambiente temporale le
offre e le impone, quando siano compatibili con le esigenze essenziali del suo programma religioso e
morale, ma deve cercare di avvicinarle, di purificarle, di nobilitarle, di vivificarle, di
santificarle: altro compito questo che impone alla Chiesa un perenne esame di vigilanza morale, che
il nostro tempo reclama con particolare urgenza e con singolare gravità. [...]
In quale senso intendere la riforma 46. [...] A voi, perciò, Venerabili Fratelli, spetterà indicarci quali provvedimenti saranno da prendere
per mondare e ringiovanire il volto della santa Chiesa [...] per infondere nuovo spirituale vigore nel
Corpo Mistico di Cristo, in quanto società visibile, purificandolo da difetti di molti suoi membri e
stimolandolo a nuove virtù.
48. [La riforma] non può riguardare né la concezione essenziale, né le strutture fondamentali della
Chiesa cattolica. La parola riforma sarebbe male usata se in tale senso fosse da noi impiegata.
49. Così che, su questo punto, se si può parlare di riforma, non si deve intendere cambiamento, ma
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piuttosto conferma nell’impegno di mantenere alla Chiesa la fisionomia che Cristo le impresse, anzi
di volerla sempre riportare alla sua forma perfetta
Danni e pericoli della concezione profana della vita 51. [...] il relativismo, che tutto giustifica e tutto qualifica di pari valore, attenta al carattere assoluto
dei principi cristiani; [...] talvolta il desiderio apostolico d’avvicinare ambienti profani o di farsi
accogliere dagli animi moderni, da quelli giovani specialmente, si traduce in una rinuncia alle forme
proprie della vita cristiana e a quello stile stesso di contegno [non rumoreggiate voi ai primi banchi,
vi sento che sparlate dei Vescovi a Rio... n.d.r], che deve dare a tale premura di accostamento e di
influsso educativo il suo senso ed il suo vigore. Non è forse vero che spesso il giovane Clero, ovvero
anche qualche zelante Religioso guidato dalla buona intenzione di penetrare nelle masse popolari o
in ceti particolari cerca di confondersi con essi invece di distinguersi, rinunciando con inutile
mimetismo all’efficacia genuina del suo apostolato?
Non immobilità, ma « aggiornamento » 52. Ciò non vuol dire che debba essere nostra intenzione credere che la perfezione sia l’immobilità
delle forme, di cui la Chiesa s’è, lungo i secoli, rivestita;
Obbedienza, energie morali, sacrificio 53. Ma sia ancora una volta ripetuto a nostro comune ammonimento e profitto: non tanto cambiando
le sue leggi esteriori la Chiesa ritroverà la sua rinascente giovinezza, quanto mettendo
interiormente il suo spirito in attitudine di obbedire a Cristo, e perciò di osservare quelle leggi
che la Chiesa nell’intento di seguire la via di Cristo prescrive a se stessa: qui sta il segreto del suo
rinnovamento, qui la sua « metanoia » [...] la vita cristiana, quale la Chiesa viene interpretando e
codificando in sapienti disposizioni, esigerà sempre fedeltà, impegno, mortificazione e sacrificio;
sarà sempre segnata dalla via stretta, di cui nostro Signore ci parla;(34) domanderà a noi cristiani
moderni non minori, anzi forse maggiori energie morali che non ai cristiani di ieri, una
prontezza all’obbedienza, oggi non meno che in passato doverosa e forse più difficile. [...]Non
molle e vile è il cristiano, ma forte e fedele.
Lo spirito di povertà, l’ora della carità
56. Accenniamo dapprima allo spirito di povertà. Pensiamo che esso sia così proclamato nel santo
Vangelo, che sia così insito nel disegno della nostra destinazione al regno di Dio, che sia messo così
in pericolo dalla valutazione dei beni nella mentalità moderna, che sia così necessario per farci
comprendere tante nostre debolezze e rovine nel tempo passato [...] Noi attendiamo che voi, quale
voce autorevole che interpreta gli impulsi migliori, onde palpita lo Spirito di Cristo nella santa
Chiesa, diciate come debbano Pastori e fedeli alla povertà educare oggi il linguaggio e la condotta:
57. [...] non Ci esonera dal ricordare che tale spirito non Ci preclude la comprensione e l’impiego, a
Noi consentito, del fatto economicoPensiamo anzi che l’interiore liberazione, prodotta dallo spirito
della povertà evangelica, ci renda più sensibili e più idonei a comprendere i fenomeni umani
collegati con i fattori economici. [...] Tutto quanto si riferisce a questi beni economici, inferiori a
quelli spirituali ed eterni, ma necessari alla vita presente, trova l’alunno del Vangelo capace di
valutazione sapiente e di cooperazione umanissima
58. Noi pensiamo [...] che la carità debba oggi assumere il posto che le compete, il primo, il
sommo, nella scala dei valori religiosi e morali, non solo nella teorica estimazione, ma altresì nella
pratica attuazione della vita cristiana. Ciò sia detto della carità verso Dio, che la sua Carità riversò
sopra di noi, come della carità che di riflesso noi dobbiamo effondere verso il nostro prossimo, vale a
dire il genere umano. La carità tutto spiega. La carità tutto ispira. La carità tutto rende possibile. La
carità tutto rinnova.
Chi di noi ignora queste cose? E se le sappiamo, non è forse questa l’ora della carità?
7
IL DIALOGO
60. Vi è un terzo atteggiamento che la Chiesa cattolica deve assumere in quest’ora della storia del
mondo, ed è quello caratterizzato dallo studio dei contatti ch’essa deve tenere con l’umanità. [...]
61. Il Vangelo, che conosce e denuncia e compatisce e guarisce le umane miserie con penetrante e
talora straziante sincerità, non cede tuttavia né all’illusione della bontà naturale dell’uomo
64. Ecco come san Paolo medesimo educava i cristiani della prima generazione: Non unitevi… [...]
65. Ma questa distinzione non è separazione. Anzi non è indifferenza, non è timore, non è
disprezzo. Quando la Chiesa si distingue dall’umanità non si oppone ad essa, anzi si congiunge.
Come il medico, che, conoscendo le insidie d’una pestilenza, cerca di guardare sé e gli altri da tale
infezione, ma nello stesso tempo si consacra alla guarigione di coloro che ne sono colpiti, così la
Chiesa non fa della misericordia a lei concessa dalla bontà divina un esclusivo privilegio. [...] è
annuncio da diffondere. È il dovere dell’evangelizzazione. È il mandato missionario. È l’ufficio
apostolico.
67. La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la
Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio.
CARATTERISTICHE DEL DIALOGO DELLA SALVEZZA
74. Il dialogo della salvezza fu aperto spontaneamente dalla iniziativa divina [...]
75. Il dialogo della salvezza partì dalla carità, dalla bontà divin [...]
76. Il dialogo della salvezza non si commisurò ai meriti di coloro a cui era rivolto [...]
77. Il dialogo della salvezza non obbligò fisicamente alcuno ad accoglierlo [...] Così la Nostra
missione, anche se è annuncio di verità indiscutibile e di salute necessaria, non si presenterà
armata di esteriore coercizione, ma solo per le vie legittime dell’umana educazione, dell’interiore
persuasione, della comune conversazione offrirà il suo dono di salvezza, sempre nel rispetto della
libertà personale e civile.
78. Il dialogo della salvezza fu reso possibile a tutti; a tutti senza discriminazione alcuna [...]
79. Il dialogo della salvezza ha conosciuto normalmente delle gradualità
80. Sembra a Noi invece che il rapporto della Chiesa col mondo, senza precludersi altre forme
legittime, possa meglio raffigurarsi in un dialogo, e neppure questo in modo univoco, ma adattato
all’indole dell’interlocutore e delle circostanze di fatto 81. Questa forma di rapporto indica un proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà da
parte di chi lo instaura; esclude la condanna aprioristica, la polemica offensiva ed abituale, la
vanità d’inutile conversazione.
83. Il colloquio è perciò un modo d’esercitare la missione apostolica; è un’arte di spirituale
comunicazione. Suoi caratteri sono i seguenti. La chiarezza [...] la mitezza [...] la fiducia [...] e la
prudenza pedagogica la quale fa grande conto delle condizioni psicologiche e morali di chi
ascolta
SIMON… ECCOCI AL MASSIMO COMUN MOLTIPLICATORE?
86. Nel dialogo si scopre come diverse sono le vie che conducono alla luce della fede, e come sia
possibile farle convergere allo stesso fine. Anche se divergenti, possono diventare complementari,
spingendo il nostro ragionamento fuori dei sentieri comuni e obbligandolo ad approfondire le sue
ricerche, a rinnovare le sue espressioni. La dialettica di questo esercizio di pensiero e di pazienza
ci farà scoprire elementi di verità anche nelle opinioni altrui, ci obbligherà ad esprimere con
grande lealtà il nostro insegnamento e ci darà merito per la fatica d’averlo esposto all’altrui
obiezione, all’altrui lenta assimilazione. Ci farà sapienti, ci farà maestri. [...]
91. L’arte dell’apostolato è rischiosa. La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una
8
attenuazione, in una diminuzione della verità. [...]
92. E solo chi vive in pienezza la vocazione cristiana può essere immunizzato dal contagio di
errori con cui viene a contatto.
Con chi il dialogo 97. [... ] la Chiesa cattolica oggi deve assumere con rinnovato fervore, vogliamo semplicemente
accennare che essa dev’essere pronta a sostenere il dialogo con tutti gli uomini di buona volontà,
dentro e fuori l’ambito suo proprio.
98. Nessuno è estraneo al suo cuore. [...]
101. Dovunque è l’uomo in cerca di comprendere se stesso e il mondo, noi possiamo comunicare con
lui; dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire i diritti e i doveri dell’uomo, noi siamo
onorati, quando ce lo consentono, di assiderci fra loro. Se esiste nell’uomo un’anima naturalmente
cristiana, noi vogliamo onorarla della nostra stima e del nostro colloquio.
TRE “CERCHI”: GLI ATEI,I CREDENTI IN DIO, I FRATELLI SEPARATI
La negazione di Dio: ostacolo al dialogo
103. Noi sappiamo però che in questo cerchio sconfinato sono molti, moltissimi purtroppo, che non
professano alcuna religione; sappiamo anzi che molti, in diversissime forme, si professano atei. [...]
106. L’ipotesi d’un dialogo si fa assai difficile in tali condizioni, per non dire impossibile, sebbene
nel nostro animo non vi sia ancor oggi alcuna preconcetta esclusione verso le persone che
professano i suddetti sistemi e aderiscono ai regimi stessi. Per chi ama la verità, la discussione è
sempre possibile.
109. [...] Noi non disperiamo che essi [i movimenti atei] possano aprire un giorno con la Chiesa
altro positivo colloquio, che non quello presente della Nostra deplorazione e del Nostro obbligato
lamento.
Secondo cerchio: i credenti in Dio 111. Noi non possiamo evidentemente condividere queste varie espressioni religiose, né possiamo
rimanere indifferenti, quasi che tutte, a loro modo, si equivalessero [...]
112. Ma non vogliamo rifiutare il nostro rispettoso riconoscimento ai valori spirituali e morali delle
varie confessioni religiose non cristiane, vogliamo con esse promuovere e difendere gli ideali, che
possono essere comuni nel campo della libertà religiosa, della fratellanza umana, della buona
cultura, della beneficenza sociale e dell’ordine civile. In ordine a questi comuni ideali un dialogo da
parte nostra è possibile; e noi non mancheremo di offrirlo là dove, in reciproco e leale rispetto, sarà
benevolmente accettato
Terzio cerchio: i Cristiani Fratelli Separati 113. In questo campo il dialogo, che ha assunto la qualifica di ecumenico, è già aperto; in alcuni
settori è già in fase di iniziale e positivo svolgimento [...] mettiamo in evidenza anzitutto ciò che ci
è comune, prima di notare ciò che ci divide. È questo un tema buono e fecondo per il nostro
dialogo. Siamo disposti a proseguirlo cordialmente. Diremo di più: che su tanti punti differenziali,
relativi alla tradizione, alla spiritualità, alle leggi canoniche, al culto, Noi siamo disposti a studiare
come assecondare i legittimi desideri dei Fratelli cristiani, tuttora da noi separati.
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Evangelii Gaudium: leggiamola insieme! 1 – 8
By minstrel on 28 novembre 2013 • ( 0 )
Mi sono accorto che la lettura della Evangelii Gaudium mi richiamava alla memoria ricordi,
riflessioni parallele, piccoli aforismi. Alcuni li ho annotati a margine delle righe che leggevo, altri li
ho perduti. Ritornando indietro non mi sono sembrati completamente peregrini e allora mi sono
chiesto se potessero servire a qualcuno… Allora mi sono detto: perché non tentare di pubblicare
l’intera Esortazione comprensiva dei miei piccoli commenti come nota a piè pagina?
Potrebbe essere un invito in più alla lettura integrale dell’esortazione apostolica, e questo non è mai
male. Inoltre i miei piccoli commenti non darebbero molto fastidio se lasciati a piè pagina, si
potrebbero saltare senza alcun problema…
Ed eccoci qui dunque.
La mole di lavoro è immane e sapendo quello che ho da fare nei prossimi giorni è come tirarmi la
zappa sui piedi. Ma voglio tentarci comunque, sapendo che posso anche prendermela abbastanza
comoda e quello che riuscirò a fare, in caso non riuscissi a portare a termine il compito fino in fondo,
non è comunque tempo perso.
Non aspettatevi nel mio commentario frammenti di portata epocale o richiami a chissà che
somme letture. Non faccio altro, davvero, che leggere con voi lo scritto e durante la lettura
appuntarmi i pensieri che la lettura stessa in me solleva.
Mi piacerebbe molto che nei commenti apparissero, in modo analogo e per quanto possibile, delle
riflessioni che corrano parallele ai passi che mano a mano trascriverò e “commenterò”. Un modo per
arricchirci a vicenda di aneddoti, di pensieri, di apoftegmi, dubbi, domande, risposte, dialogo,
comprensione, cammino.
Croce-via.
ESORTAZIONE APOSTOLICA
EVANGELII GAUDIUM
10
1. La GIOIA 1 DEL VANGELO riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con
Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto
interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione
desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da
questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni.
1 – GIOIA come prima parola dell’esortazione! Gioia che deriva in modo NECESSARIO dal Vangelo inteso come annuncio (cfr. Segalla, Evangelo e
Vangeli). L’Abstract dell’Esortazione è dunque tracciare come e perché la Gioia irrompa necessariamente dal Vangelo e dal suo annuncio! Nelle varie
traduzioni ecco l’inizio dell’esortazione (tutte stampate dalla tipografia Vaticana in maiuscolo!)“The JOY OF THE GOSPEL”, “La ALEGRIA DEL
EVANGELIO” “Die FREUDE DES EVANGELIUM”, “la JOIE DE L’ÉVANGILE”, “a ALEGRIA DO EVANGHELO”
I. Gioia che si rinnova e si comunica
2. Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una
tristezza individualista 1 che scaturisce dal cuore comodo
2 e avaro, dalla ricerca malata di piaceri
superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più
spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della
dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo
rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza
vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa
non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto.
1 – tristezza individualista: la tristezza è individualista. La tristezza è un cuore che si chiude. Tristezza è un cuore che cede al materialismo moderno e
al Homo homini lupus di Plauto citato da Hobbes! San Tommaso diceva invece: Homo Est Homini Amicus (De regimine principum, cfr. anche Contra
Gent. III C, 117) poiché solo in forza dell’amicizia io posso istituire qualcosa che è garanzia dell’amicizia (cioè ad esempio lo Stato di Diritto qui o la
pretesa di amicizia fra uomo e Dio)
2 – cuore comodo: un cuore che non brama più essere cuore può chiamarsi ancora tale? Un cuore che non cerca non è che un cuore VINTO.
3. Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso 1 il suo
incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui,
di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito
non è per lui, perché « nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore ».[1] Chi rischia, il Signore
non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo
arrivo a braccia aperte. Questo è il momento per dire a Gesù Cristo: « Signore, mi sono lasciato
ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un’altra volta per rinnovare la
mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le
tue braccia redentrici ». Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una
volta 2: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua
misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare « settanta volte sette » (Mt 18,22) ci dà l’esempio:
Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle 3 una volta dopo l’altra. Nessuno
potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di
alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la
gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, 4 accada quel che accada.
Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!
1 – oggi stesso: il pragmatismo di Papa Francesco si dimostra dirompente. Oggi stesso! Non attendere, non sai quando arriverà la notte, incontra oggi
Cristo! E’ un richiamo dirompente a guardare la quotidianità, diretto ad ogni lettore. Ad ogni nuova lettura questa sarà un’esortazione PERENNE quasi
a dire: “incontra ORA Dio perché l’ORA è di Dio”, ritrova Cristo nel tuo oggi, nel presente.
11
2 – ancora una volta: una delle sue prime omelie fu proprio dedicata alla misericordia. “Misericordiando” è uno dei neologismi più belli scaturiti
dall’intervista del Papa per Civiltà Cattolica. E’ l’esortazione dalla quale, scrive Tornielli, molte persone sono tornate al sacramento della
riconciliazione. A tale proposito, aneddoto. Il Don della mia parrocchia mentre parlava ai genitori di figli in attesa della prima confessione, fra cui io e
mia moglie, salta fuori così: “si dice che la riconciliazione sia un sacramento in crisi. Tutte cazzate”. Amen
3 – sulle sue spalle: Ricordi dal corso fidanzati di cui già parlai. “Una notte un uomo fece un sogno. Sognò di passeggiare lungo la spiaggia con il
Signore. In cielo balenavano scene della sua vita. Per ciascuna scena notò due serie di orme sulla sabbia: una apparteneva a lui e l’ altra al Signore.
Quando gli fu balenata davanti agli occhi l’ ultima scena, si voltò a guardare le orme e notò che molte volte lungo il cammino vi era una sola serie di
impronte. Notò anche che questo avveniva durante i periodi più sfavorevoli e più tristi della sua vita. Ne rimase disorientato e interrogò il Signore.
“Signore, tu hai detto che se io avessi deciso di seguirti, tu avresti camminato tutta la strada accanto a me, ma io ho notato che durante i periodi più
difficili della mia vita vi era una sola serie di orme. Non capisco perché, quando avevo più bisogno di te, mi hai abbandonato.” Il Signore rispose:
“Mio amato figlio, io ti voglio bene e non ti abbandonerei mai. Durante i tuoi periodi di dolore e sofferenza, quando vedi solo una serie di orme,
quelli sono i periodi in cui io ti ho portato in braccio.”
4 – per vinti: appunto! cfr. 1, 2 – cuore comodo
4. I libri dell’Antico Testamento avevano proposto la gioia della salvezza, che sarebbe diventata
sovrabbondante nei tempi messianici. Il profeta Isaia si rivolge al Messia atteso salutandolo con
giubilo: « Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia » (9,2). E incoraggia gli abitanti di Sion
ad accoglierlo con canti: « Canta ed esulta! » (12,6). Chi già lo ha visto all’orizzonte, il profeta lo
invita a farsi messaggero per gli altri: « Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion!
Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme » (40,9). La creazione intera
partecipa di questa gioia della salvezza: « Giubilate, o cieli, rallegrati, o terra, gridate di gioia, o
monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri » (49,13).
Zaccaria, vedendo il giorno del Signore, invita ad acclamare il Re che viene umile e cavalcando un
asino: « Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re.
Egli è giusto e vittorioso! » (Zc 9,9). Ma forse l’invito più contagioso è quello del profeta Sofonia,
che ci mostra lo stesso Dio come un centro luminoso di festa e di gioia che vuole comunicare al suo
popolo questo grido salvifico. Mi riempie di vita rileggere questo testo: « Il Signore, tuo Dio, in
mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con
grida di gioia » (Sof 3,17).
È la gioia che si vive tra le piccole cose 1 della vita quotidiana, come risposta all’invito affettuoso di
Dio nostro Padre: « Figlio, per quanto ti è possibile, tràttati bene … Non privarti di un giorno felice »
(Sir 14,11.14). Quanta tenerezza paterna si intuisce dietro queste parole!
1 – tra le piccole cose: fu l’errore di Giordano Bruno. Meglio mancare alte imprese degne di una creatura di Dio, che riuscire in piccole! Immane
cretina ovviamente poiché è meglio fare bene (in senso biblico, fare in grande, FARE DA DIO!) cose piccole, che pretendere che l’uomo sia più di
quello che è chiamato da Dio stesso ad essere
5. Il Vangelo, dove risplende gloriosa la Croce di Cristo, invita con insistenza alla gioia. Bastano
alcuni esempi: « Rallegrati » è il saluto dell’angelo a Maria (Lc 1,28). La visita di Maria a Elisabetta
fa sì che Giovanni salti di gioia nel grembo di sua madre (cfr Lc 1,41). Nel suo canto Maria
proclama: « Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore » (Lc 1,47). Quando Gesù inizia il suo
ministero, Giovanni esclama: « Ora questa mia gioia è piena » (Gv 3,29). Gesù stesso « esultò di
gioia nello Spirito Santo » (Lc 10,21). Il suo messaggio è fonte di gioia: « Vi ho detto queste cose
perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena » (Gv 15,11). La nostra gioia cristiana
scaturisce dalla fonte del suo cuore traboccante. Egli promette ai discepoli: « Voi sarete nella
tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia » (Gv 16,20). E insiste: « Vi vedrò di nuovo e il
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vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia » (Gv 16,22). In seguito essi,
vedendolo risorto, « gioirono » (Gv 20,20). Il libro degli Atti degli Apostoli narra che nella prima
comunità « prendevano cibo con letizia » (2,46). Dove i discepoli passavano « vi fu grande gioia »
(8,8), ed essi, in mezzo alla persecuzione, « erano pieni di gioia » (13,52). Un eunuco, appena
battezzato, « pieno di gioia seguiva la sua strada » (8,39), e il carceriere « fu pieno di gioia insieme a
tutti i suoi per aver creduto in Dio » (16,34). Perché non entrare anche noi in questo fiume di gioia?
6. Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua 1 . Però riconosco che la
gioia non si vive allo stesso modo in tutte la tappe e circostanze della vita, a volte molto dure. Si
adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza
personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto. Capisco le persone che inclinano alla
tristezza per le gravi difficoltà che devono patire, però poco alla volta bisogna permettere che la gioia
della fede cominci a destarsi, come una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori
angustie: « Sono rimasto lontano dalla pace, ho dimenticato il benessere … Questo intendo
richiamare al mio cuore, e per questo voglio riprendere speranza. Le grazie del Signore non sono
finite, non sono esaurite le sue misericordie. Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà … È
bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore » (Lam 3,17.21-23.26).
1 – stile di Quaresima senza Pasqua: lo stile di questa frase è puro Bergoglio, per come l’abbiamo conosciuto. Uno che affonda diretto la ragione nella
realtà e se ne esce con immagini secche ed evocative. Da dove nasce la gioia del Vangelo, dell’annuncio? Ovvio: dalla Pasqua! Tutto il resto è
conseguenza! Perciò come si può non avere sempre sottocchio il MOTIVO che spinge il cristiano? Semplice, quadrato, Bergoglio.
7. La tentazione appare frequentemente sotto forma di scuse e recriminazioni, come se dovessero
esserci innumerevoli condizioni perché sia possibile la gioia. Questo accade perché « la società
tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la
gioia ».[2] Posso dire che 1 le gioie più belle e spontanee che ho visto nel corso della mia vita sono
quelle di persone molto povere che hanno poco a cui aggrapparsi. Ricordo anche la gioia genuina di
coloro che, anche in mezzo a grandi impegni professionali, hanno saputo conservare un cuore
credente, generoso e semplice. In varie maniere, queste gioie attingono alla fonte dell’amore sempre
più grande di Dio che si è manifestato in Gesù Cristo. Non mi stancherò di ripetere quelle parole di
Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: « All’inizio dell’essere cristiano non c’è una
decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla
vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva ».[3]
1 – Posso dire che: sarò uno che ha letto poco di Magistero, ma a me pare la prima volta che un Papa si metta a parlare di sé stesso e dei suoi ricordi in
modo tanto colloquiale. E’ come un amico che ti incoraggia e per farlo prende come esempio quello che vive lui, nell’oggi (appunto!). Dice: “a me
succede così, credimi!”. Come dice spesso Don Armando (uno degli esempi di Don più belli che io abbia mai avuto l’onore di incontrare) usando il bel
bergamasco: “arda che bel!”
8. Solo grazie a quest’incontro – o reincontro – con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia,
siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità. Giungiamo ad essere
pienamente umani 1 quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di
noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero. Lì sta la sorgente dell’azione
evangelizzatrice. Perché, se qualcuno ha accolto questo amore che gli ridona il senso della vita, come
può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri?
1 – pienamente umani: ovviamente l’incontro o il re-incontro con la nostra vera immagine, quella completa, infinita, santa, non può che portare alla
consapevolezza di cosa significhi ESSERE umani, di cosa significhi “essere” (l’esse del tomismo) e con esso della nostra finalità. La finalità è ciò che
oggi si vuole distruggere. E l’uomo senza finalità può davvero tutto.
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Evangelii Gaudium – Riflessioni: 1-13
By Simon de Cyrène on 28 novembre 2013 • ( 4 )
Molti saranno i posts su Croce-Via circa l’Esortazione Apostolica « Evangelii Gaudium » in
quanto questo documento polimorfo è semplicemente EPOCALE e ha, secondo me, la potenza di
una Lettera di San Paolo o di San Pietro: simile levatura spirituale, simile ispirazione e fiato, simile
richiamo costante alla conversione, simile sguardo pratico.
Chi si lamentava di Papa che non si esprimeva chiaramente chiamando le cose con il loro nome
ha ricevuto con questo documento una definitiva, scottante ed umiliante direi anche, smentita:
ecco un documento chiarissimo, con dei sì che sono sì e dei no che sono dei no e tra i due una spinta
al miliardo e trecento milioni di cattolici del mondo intero ad uscire di casa e da se stessi per
annunciare il Kerygma!
Evangelii Gaudium è come una strizzatina d’occhio dello Spirito Santo, quando la società civile ha
chiaramente apostatato e si rigira verso i suoi antichi idoli e si rinforzano le persecuzioni dei primi
secoli: Egli ci ridà un Magistero dal sapore primitivo di slancio missionario, di fede senza
compromessi, impregnato di speranza e spinto da un’immensa carità!
Questa pubblicazione dell’Esortazione è , a mio parere, uno di quegli avvenimenti che fa quasi
“toccare” dalla mente che lo contempla la figura trinitaria che lega in una sola Chiesa, la
Tradizione, le Scritture ed il Magistero: Tradizione che è il fondamento delle Sante Scitture e del
Magistero, Sante Scritture che procedono dalla Tradizione e che sono annunciate dal Magistero,
Magistero che interpreta e spiega Tradizione e Scritture e sempre apre al mondo intero la Buona
Novella di Gesù Cristo e il tutto è ispirato dallo Spirito Santo che fa la Chiesa.
Il Santo Padre ci ricorda quanto noi cristiani dobbiamo rifuggire la tristezza, scampare via dalle
scuse e recriminazioni, non lasciarsi ingannare da una società tecnicista che baratta gioia contro
piacere, non scambiare isolamento ed autoreferenzialità con la pace e la verità, ma dobbiamo
essere veramente umani andando aldilà di noi stessi, verso gli altri, per incontrare l’Evento per
eccellenza, il Cristo. Lì è la vera gioia, lì è la vera fecondità, lì fuggono via tristezza e
scoraggiamento.
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Papa Francesco, lungi dall’essere apodittico, ci spiega perché, ci ricorda che il bene tende sempre a
comunicarsi ed introduce qui una nozione che mi ha affascinato per la sua pertinenza pratica
anche in altri contesti e che vorrei compartire: ogni azione evangelizzatrice è sempre nuova mentre
fa memoria.
Eh sì, per cominciare ci dobbiamo lasciare stupire da quel quel che annunciamo per poi essere
capaci di trasmettere quel che ci stupisce con l’entusiasmo di una novità.
Questo non è solo un concedere all’epoca attuale, epoca dello zapping perpetuo e della novità ad
ogni costo che è rottura parcellare del sapere. Anzi proprio il contrario: quel che il Santo Padre ci
spinge a fare è ritornare senza fine all’unità, essa stessa sempre misteriosa, cioè sempre da
approfondire. Siamo proprio all’opposto della concezione attuale di novità. E la via che il Santo
Padre ci indica per rifare quest’unità e annunciarla è di fare memoria.
Interessante perché fare memoria non vuole dire avere la memoria, e neanche creare una
memoria, ma fare memoria: siamo in un’agire, quello di andare verso l’altro annunciare il Kerygma,
come l’ha fatto Gesù stesso e come hanno fatto i Suoi discepoli ed i cristiani per secoli. Andare
fuori evangelizzare è un “fare” memoria: non un ricordarsi, non un crearsi nuove dottrine o
pseudo-memorie.
Se insegno ad un giovane solo parlandogli egli si ricorderà solo il 5% di quel che gli è insegnato, se
in più di dirglielo glielo mostro, allora se ne ricorderà forse un 20%, se lo faccio assieme a lui allora
se ne ricorderà per sempre: ma mentre faccio assieme a lui, non è di semplice ricordare che si parla,
ma di fare memoria nel condividere uno stesso atto, una stessa competenza
Ovvio, questo insegnamento del Santo Padre ha conseguenze inverso quei cristiani che credono il
loro ruolo limitato al coltivare una memoria o quelli che credono che bisogna re-inventarsi una
“nuova” memoria o, addirittura farne a meno: qui il Santo Padre dice loro che questo non è Chiesa,
non è evangelizzare, non è incontrare il Cristo, non è andare verso l’altro , questo non sarà mai
sorgente di gioia.
“Fare memoria” è rendere Cristo presente per l’azione dello Spirito Santo nell’incontro con l’altro.
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In PaceEVANGELII GAUDIUM – RIFLESSIONI: 14 – 33
By Simon de Cyrène on 30 novembre 2013 • ( 5 )
Ci siamo deliziosamente meravigliati nel nostro post precedente circa l’Evangelii Gaudium del
potente richiamo del Santo Padre alla nozione che ogni azione evangelizzatrice è sempre nuova
mentre fa memoria e ne abbiamo un po’ gustato la profonda pertinenza.
Nel seguito della Sua Esortazione, Papa Francesco si ingaggia nella definizione della nuova
evangelizzazione cominciando a distinguerne le tre direzioni pastorali, cioè quelle rivolte ai cattolici
che frequentano i sacramenti, quella rivolta ai battezzati che non vivono il loro battesimo e, infine,
gli altri. Indi ricorda un punto assolutamente incontrovertibile e conosciuto in teoria di management:
se bisogna sempre pensare globale si deve agire localmente, la famosa “glocalità”. Fosse Papa
Francesco usando termini manageriali avrebbe detto che il governo della Chiesa cattolica deve essere
“glocale”. In fin dei conti parliamo qui di quel principio tipicamente tomista di sussidiarietà abbinato
a quello di partecipazione.
Ci dice di avere spirito di iniziativa a livello personale, parrocchiale e diocesano e rimette l’accento
su un punto troppo spesso dimenticato nella pratica quotidiana e non per sola colpa dei laici: ogni
Chiesa locale sotto il Vescovo è il primo soggetto dell’evangelizzazione dotata di tutti i mezzi di
salvezza dati dal Cristo ma con viso locale.
La teologia alla quale Papa Francesco si riferisce qui ha esattamente duemila anni: non c’è niente di
“democratico” qui, ma proprio solo il rammentare ad ogni cristiano di unirsi alla sua Chiesa locale
intorno al proprio Vescovo e con lui davanti, in mezzo o dietro andare avanti evangelizzare. Essere
audaci e creativi ma lungo un’adeguata ricerca comunitaria circa i mezzi al fine di evitare fini
immaginari. Andare avanti sotto la guida dei vescovi, in un saggio e realistico discernimento
pastorale.
Appellandosi indirettamente al “cattolico” principio di sussidiarietà egli annuncia anche la necessaria
conversione del Papato la cui realizzazione potrebbe passare via accresciute competenze delle
Conferenze Episcopali, dando loro, addirittura, aggiunta maggiore ed autentica autorità
dottrinale.
E qui , lo svizzero che sono, si esclama: “Oush!!!” Quando guardo alla mia di Conferenza
Episcopale e ne osservo l’incapacità costante ad annunciare integralità del Kerygma senza tradirlo,
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sempre alienata sul pensiero unico mondano in qualsiasi circostanza salvo, a volte, sui soggetti
che non importano a nessun cittadino, quando so pertinentemente che almeno la metà dei vescovi
hanno posizioni ed atteggiamenti che di cattolico hanno poco e che l’altra metà, tali Don Abbondio,
se ne sta zitta senza virile coraggio, allora mi chiedo come può tale Conferenza di “braccia rotte”
avere la responsabilità di addirittura maggiore ed autentica autorità dottrinale ? Papa
Francesco, onestamente, ma te ne rendi conto?
Onestamente, senza scherzare, mi sono venuti i brividi in un primo tempo eppoi ho capito un paio di
cose che vorrei compartire con i nostri gentili utenti.
La prima cosa è che l’Esortazione esprime una visione che si rivolge a coloro che vogliono davvero
il bene della Chiesa e non può ne deve presumere delle grazie dello Spirito Santo: in altre parole, se
la Chiesa decidesse di dare questa maggiore autorità alle Conferenze Episcopali dobbiamo
anche credere ancora di più che lo Spirito Santo aiuterà le “braccia rotte” che le compongono
con nuove e più abbondanti “grazie di stato”!
La seconda cosa è che una tale nuova situazione dovrà per forza implicare di più i cattolici
localmente senza aspettare o ricorrere all’intervento della Maestra da Roma, anche se qui, poi,
bisognerà rifuggire nuove forme perverse di clericalismo più meno occulto.
La terza cosa è che una Conferenza Episcopale dovrà sempre essere in unione con il Vicario di
Cristo E con tutte le altre Chiese locali in unione con quella di Roma, cioè anche se ci fossero
novità queste non potranno essere in contraddizione con quel che la Chiesa insegna.
La quarta cosa che mi sono detto è che è facile essere Chiesa quando gli uomini e le strutture
che la compongono veicolano idee ed ideologie che ci convengono: molto meno quando dobbiamo
lasciarci disturbare nelle nostre piccole certezze su soggetti spesso circostanziali. Anzi, ben vengano
queste croci se ci permetteranno di essere più santi e di annunciare meglio il Kerygma intorno
a noi.
In altre parole, ci fidiamo, oppure no, dello Spirito Santo?
In Pace
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VANGELII GAUDIUM – RIFLESSIONI: 34 – 49
By Simon de Cyrène on 4 dicembre 2013 • ( 4 )
La lettura di E.G. continua a soprendermi per la Sua grande precisione dottrinale, l’unità di
pensiero e di scopo ed il suo fiato energizzante: il Santo Padre mi ha particolarmente sorpreso in
bene in questi passi 34 a 49 in quanto va a contro-corrente del pensiero unico mondano e di certa
vulgata ecclesiale.
In un primo tempo, egli lotta contro la parcellizzazione della verità, tipica malattia scientista
quando applicata alle cose dell’essere e della fede: Papa Francesco ci convoca tutti ad avere uno
sguardo metafisico centrato sull’unità profonda del messaggio di Cristo e di non lasciarci
disperdere da molteplicità di dottrine nell’attività missionaria della Chiesa.
Concentrarsi sull’essenziale, sul più bello, sul più grande, sul più attrattivo, sul più necessario:
che Papa Francesco abbia studiato la dimostrazione dell’esistenza di Dio che ha dato Gödel?
Sembrerebbe così, in quanto si riferisce esattamente alle qualità le più positive e al necessario…
Quindi già da un punto di vista logico fa poco senso andare annunciare in priorità dottrine secondarie
che sono declinazioni dell’unico Kerygma e non per forza più chiarificanti.
In un secondo tempo, il Santo Padre lotta esplicitamente contro il relativismo intellettuale e
morale: come ben sappiamo ci sono due forme di relativismo, quello che pretende che non ci
siano valori o verità, e quello che ammette la loro esistenza ma che non accetta une
gerarchizzazione tra esse. Orbene Papa Francesco richiamandosi anche a San Tommaso ci ricorda
esplicitamente che esiste une gerarchia di verità e di valori morali, che non tutti hanno lo stesso
peso o che possiamo sceglierne quel che ci aggradano di più: alla faccia dei progressisti relativisti
che ci circondano e che vorrebbero ammettere l’aborto o l’omosessualità praticata a rango quasi di
virtù da benedire in Chiesa.
Da questa stessa gerarchia di valori descritta dal tomismo, il Papa ci ricorda che le opere di amore
verso il prossimo sono la manifestazione esterna la più perfetta della grazia interiore dello Spirito
e la più grande di tutte le virtù dell’agire esterno è la misericordia. E qui rimanda alla loro
coscienza chi e gli ambienti corrispondenti che sono schizzinosi sul suo quasi quotidiano richiamo
alla misericordia.
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Filosoficamente, abbiamo visto anche noi che non si può convincere qualcuno senza prima vivere un
rapporto di fiducia e quindi di amore con esso: nella sua Esortazione il Santo Padre ricorda che la
morale cristiana non è etica stoica né ascesi, ma molto più semplicemente un riconoscere Dio negli
altri, un uscire da se stessi alla ricerca del bene di tutti.
E qui ribadisce di nuovo come procedere riferendosi ancora una volta alla sua idea programmatica
che poi è quella della Chiesa fin dal Suo inizio: esprimere la permanente novità del Vangelo
facendone memoria concetto che abbiamo già commentato qui.
Ma qui esplicita alcune tentazioni che possono diventare pericoli concreti dell’annuncio della
Buona Novella: il non distinguere la sostanza del messaggio di Cristo dalle sue formulazioni il
che può condurre a situazioni aberranti dove certe formulazioni possono addirittura oscurare il
messaggio stesso asseconda delle occasioni. Il Santo Padre bilancia quest’affermazione per chi
vorrebbe attenuare il Messaggio di Cristo con questa scusa ricordando ai progressisti che la
Fede sempre conserva un’aspetto di Croce che quindi non va da essere obliterata ma e che ci si
sono cose che si capiscono e si apprezzano solamente nell’adesione ad Essa.
Sempre riferendosi alle dottrine tomiste di sostanza e accidenti, ricorda che ci possono essere
tradizioni, usi e costumi che non hanno più significato oggi giorno e riferendosi a Sant’Agostino che
non bisogna appesantire la vita dei fedeli in quanto la nostra religione non è una schiavitù: su queste
poche regole si deve concentrare la riflessione della Chiesa sulla propria predicazione. L’attività
misericordiosa della Chiesa deve quindi essere un accompagnamento consolatorio certo ma
anche amoroso pungiglione.
In questo moto verso gli altri, l’essere in partenza verso i peccatori, significa quindi essere come il
padre del figliol prodigo: il Santo Padre ci ricorda come la Santa Eucarestia, aldilà del proprio
intrinseco valore sacrificale e di Redenzione, sia anche medicinale citando espressamente
Sant’Ambrogio e San Crisostomo al soggetto. I deboli ed i poveri ne hanno fame e sono sempre
coloro ai quali il Regno di Dio è annunciato con particolare solerzia grazie all’Evangelizzazione.
In questi passi, il Santo Padre, riscopre per noi la nostra vocazione fondamentale dell’essere cristiani:
darci come nutrimento agli altri, concludendo con quella magnifica citazione di Mc 6, 37 : “Ma Egli
rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare»”
In Pace
19
Evangelii Gaudium: leggiamola insieme! – 39 (e cosa NON E’ il Dogma)
By minstrel on 5 dicembre 2013 • ( 35 )
L’amico Simon sta procedendo in modo ordinato e chiarissimo nella disamina della splendida
esortazione Evangelii Gaudium pertanto trovo più conveniente al mio poco tempo libero
(diciamocelo) e più utile al blog proseguire con le mie notazioni personali solo su singoli capoversi.
Oggi è il turno del capoverso 49, capitolo primo “La trasformazione missionaria della Chiesa”, III.
dal cuore del Vangelo.
La III° sezione del primo capitolo tratta del modo in cui è necessario che sia trasmesso il “Vangelo”
in modo che non appaia “mutilato” oppure “ridotto ad alcuni suoni aspetti secondari” (cfr. 34). E per
“aspetti secondari”, attenzione, non intende aspetti che potrebbero anche non esistere, quanto invece
aspetti “RILEVANTI”, ma che da soli non presentano all’uditore il cuore del messaggio gesuano.
Il capoverso 39 è l’ultimo della sezione. Leggiamolo insieme.
dal ESORTAZIONE APOSTOLICA
EVANGELII GAUDIUM
39. Così come l’organicità tra le virtù impedisce di escludere qualcuna di esse dall’ideale cristiano,
nessuna verità è negata. Non bisogna mutilare l’integralità del messaggio del Vangelo. Inoltre, ogni
verità si comprende meglio se la si mette in relazione con l’armoniosa totalità del messaggio
cristiano, e in questo contesto tutte le verità hanno la loro importanza e si illuminano
reciprocamente. Quando la predicazione è fedele al Vangelo, si manifesta con chiarezza la
centralità di alcune verità e risulta chiaro che la predicazione morale cristiana non è un’etica
stoica, è più che un’ascesi, non è una mera filosofia pratica né un catalogo di peccati ed errori. 1 Il
Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, riconoscendolo negli
altri e uscendo da sé stessi per cercare il bene di tutti. Quest’invito non va oscurato in nessuna
circostanza! Tutte le virtù sono al servizio di questa risposta di amore. Se tale invito non risplende
con forza e attrattiva, l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte,
e questo è il nostro peggior pericolo. Poiché allora non sarà propriamente il Vangelo ciò che si
annuncia, ma alcuni accenti dottrinali o morali che procedono da determinate opzioni ideologiche.
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Il messaggio correrà il rischio di perdere la sua freschezza e di non avere più “il profumo del
Vangelo”.
1 – Quando la predicazione…: La frase sembra richiamare il modo di “evangelizzare” (Virgolette
d’obbligo) di alcuni i quali pretendono di predicare il Vangelo mediante una moltitudine di dottrine
senza collegamento fra di loro, senza una “gerarchia” (cfr. capov. 37) nelle virtù, senza far
comprendere quale sia la CAUSA di un dato EFFETTO, cioè perché la Chiesa ha questa precisa
filosofia morale. Mi sovviene il ridicolo post che fece anni fa MiL dedicato ad un assurdo test per
capire se si è cattolici o meno.
Ovviamente la frase va intesa SOLAMENTE nell’ambito che richiama, cioè quello della morale e
della filosofia pratica. E’ possibile però aprire la lettura chiarendo che questo modo di fare potrebbe
aiutare molti “tradizionalisti” a comprendere come si debba LEGGERE IL DOGMA e come si possa
annunciare.
Forse è ora di chiarire cosa NON E’ un DOGMA, pronti alla bomba?
Il dogma non è una definizione da manuale. Il dogma non è un articolo scritto su una di una presunta
Costituzione Cattolica sotto cui giurare. Il dogma ha certamente dei caratteri fermi e certi, ma è
sbagliato a mio dire il modo di narrarlo e forse di viverlo soggettivamente! Il dogma che diventi un
sistema accusatorio (addirittura fra fedeli) è un tradimento dell’essenza di ciò che è dogma e allora ci
sta che gli atei, gli agnostici e tutti i fedeli di altre fedi ci chiedano il conto di un Dio amore che si
avvale solo sistemi accusatori o addirittura inquisitori!
Ricorro, per meglio spiegarmi, ad un contributo di un caro utente del blog di Tornielli, Cherubino,
che tempo fa scrisse un commento sul dogma che salvai e che ora voglio (ri)proporre: lo trovo
perfettamente in tema e soprattutto sempre attuale.
Vai Cherubino, sei tutti noi:
Ciò che è errato è la genesi e la dinamica soggettiva del dogma, ossia il modo di conoscerlo e di
aderirvi. [quel che tentavo di dire io ndr]
Dogma, diceva il mio professore di filosofia, in greco vuol dire “opinione”, “credenza”, ossia è una
verità che non dimostrabile nè con l’osservazione oggettiva nè con la logica. Attinge ad una
esperienza vitale, esistenziale e, pertanto, solo chi la fa può conoscerla e aderirvi. Per fare un
esempio, non è chi si sente dire che Dio lo ama che può affidarsi a lui, ma chi si sente amato da Dio,
chi ne fa l’esperienza.
Certo questo non deve portare a non comunicare verbalmente il dogma, ma come chi indica
un’esperienza che l’interlocutore può fare e che solo facendola può aderirvi. Il dogma si proclama,
non si detta ai non credenti come fosse una legge (in certi periodi la Chiesa ha preteso di fare così e
si è accorta di sbagliare). Ai non credenti si offre il kerygma, si parla del Vangelo, si offre
l’esperienza diretta della preghiera e dell’ascolto della Parola, il gusto della presenza dello Spirito
Santo, la fiamma della carità fraterna. Il dogma e la sua accoglienza è il punto di arrivo e l’effetto
di tali esperienze nella vita personale. Fare del dogma un enunciato formale da cui far
scaturire la vita di fede è un errore che può ostacolare la stessa crescita in Cristo (il Maligno è
bravissimo ad usare le cose sante contro di noi…). E’ il dogma vissuto che sostiene il “dogma
definizione”. Il dogma come esperienza che a partire dagli apostoli le generazioni di cristiani
indicano alle generazioni successive dicendo “abbiamo trovato il Cristo, vieni e vedi”.
E’ evidente quindi che il dogma non è un sistema accusatorio. Certo in certe situazioni in cui la
Chiesa è attaccata occorre ricorrere anche al dogma definizione, che però non agisce mai come un
testo a disposizione (alla luterana) ma sempre nella autorità e nel giudizio di Pietro. Il S. Uffizio fai
da te non è certamente cattolico. Si può parlare di un sistema “dogma formale – Pietro” che è
l’estremo baluardo difensivo (su questa pietra …).
Le divergenze sui dogmi sono quindi degli indicatori del fatto che non si sta facendo la stessa
21
esperienza di Dio e non si ha la stessa immagine del Figlio. Allora sarebbe più corretto parlare
di questo, più che ripetere i dogmi come carte d’accusa. A meno che l’autorità gerarchica non
abbia esplicitamente condannato l’errore teologico o un delitto contro la Chiesa.”
Utente Cherubino, Sacri Palazzi – il blog di Andrea Tornielli,
http://2.andreatornielli.it/?p=4783#comment-127068, 9 settembre 2012, Addio a Martini
Come dite?
Vedete collegamenti con questa sesta meravigliosa puntata del dialogo fra Telesforo e il nonno
sull’anima?
Anch’io…
22
Omosessualità: per un approccio accettato
By minstrel on 16 ottobre 2014 • ( 157 )
una selezione di selezioni di…
Prima o poi doveva succedere. Croce-via non aveva mai trattato dell’omosessualità direttamente e
credo in effetti sia l’ultimo grande tema mancante fra le sue pagine. Un pò per volontà e un pò per
mancanza di tempo, l’argomento è stato più volte sfiorato, ma mai affrontato. Ebbene, nemmeno
questa volta verrà debitamente affrontato, diciamocela chiara. Quanto meno però oggi sarà il perno
di questa riflessione che l’utente manuel2014 ci ha inviato per la pubblicazione.
Mi sono permesso in via privata di fare alcuni rilievi all’autore sul presente articolo. Uno di questi
voglio renderlo pubblico perchè ritengo sia una necessaria introduzione allo scritto.
Manuel2014 tratta l’argomento per quello che appare oggi come oggi, cercando di non frapporre fra
queste realtà odierne alcun giudizio filosofico, medico-psicologico o scientifico che dir si voglia. E’
naturalmente un approccio manchevole di una parte sostanziale (per questo dico che il discorso non
verrà “debitamente affrontato”), ma che ci può aiutare a comprendere il come una parte consistente
della Chiesa ritienga doveroso affacciarsi a queste realtà: partire dal concreto esistente, dal dato di
fatto dell’esistenza di realtà precise, cercando di mettere in secondo piano quelle che oggi (a torto, a
mio dire) vengono chiamate “pregiudiziali teleologiche“. Questo perché è innegabile che ogni
approccio che si apra con queste premesse è visto oggi, pastoralmente, come una volontà di
condanna, la quale porta necessariamente ad una chiusura dei ponti e ad uno scontro con le realtà
stesse che si vorrebbe incontrare.
Nella pratica l’articolo del Don mi sembra partire da qui: il mondo di oggi, sia come sia, ha portato a
questa realtà, realtà che per il mondo stesso DEVE essere accettata, quanto meno socialmente, prima
di poterne fare oggetto di dibattito.
Se si parte con il discorso ponendo dinnanzi una sistematica filosofica (oggi derisa a torto) o delle
evidenze scientifiche (falsificabili) o psicologiche (comunque fondate su metafisiche precise, cfr.
Quine), è come volerlo chiudere subito.
Dunque la realtà odierna è (a torto o a ragione) accettare queste “realtà seconde” (ad esempio le
unioni omo), punto.
Come Chiesa dunque se mi presento con le cosidette “pregiudiziali teleologiche” chiudo tutti i ponti,
punto.
Allora come approcciare un cammino?
Ecco a mio avviso, sotto questo aspetto e vista agli estremi opposti, come si presenta a mio avviso la
polarizzazione in atto:
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c’è chi dice che ci si è sempre (sempre?) avvicinati al peccato (ma quale?) con l’indice puntato fin dall’inizio (“ascolta, tu vivi nel peccato e alla grandissima, però…”)
c’è chi dice che l’indice puntato verrà in automatico a chi segue un percorso di fede pur in circostanze straordinarie (“vai avanti, fai del bene e ama il tuo compagno, cammina con lui e vedrai che…”)
Due punti di vista estremi che inglobano una serie multiforme di opinioni pastorali diverse senza
toccare la sostanza di una dottrina che ci vede tutti peccatori (chi più, chi meno) e che ci chiama a
non autoassolverci pensando che il nostro grillo parlante interiore e il suo indice puntato non esista.
Ultima notazione: siate prudenti, vigili e calmi prima di scrivere i commenti. Vogliamo la disputa, un
certamen medioevale, non un dibattito sterile o un combattimento fra cani. E’ inteso o devo dire che
saremo spietati con la moderazione?
Ho scritto fin troppo, altro magari dirò in sede di commento.
La parola al Don.
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A fronte del grande caos susseguitosi su questo blog dopo le affermazioni di Mons. Bruno Forte a
riguardo della omosessualità propongo alcune riflessioni sperando di contribuire ad un dibattito
sereno e chiaro. Certamente qualora la situazione degenerasse chiederò gentilmente di toglierlo.
A mio avviso è importante innanzitutto chiarire qual è il problema della omosessualità almeno da un
punto di vista morale. Quando parliamo di omosessualità pensiamo a rapporti uomo/uomo
donna/donna e quindi escludiamo altre problematiche.
Di fronte ad una situazione di omosessualità può esserci la reazione omofoba, cioè quella di coloro
che considerano i gay “froci” “checche” ecce cc e tendono a considerarli persone con valore inferiore
rispetto agli altri. Politicamente le persone che ragionano in questo modo sono un po’ di tutti i colori
ma trovo spesso abbiano radici nell’intolleranza nazista (vedi Hitler nei campi di stermino) e
fascista. Non vorrei somigliasse ad una vaga affermazione, semplicemente ripenso ad una puntata di
rai 3 (la storia siamo noi) nella quale si parlava del trattamento dei fascisti nei confronti dei gay in
Italia e delle relative deportazioni in massa nelle isole Tremiti. Mi ha impressionato come l’accusa di
cui erano colpiti i funzionari del partito sgraditi che dovevano essere epurati era quella di
omosessualità. Naturalmente mi auguro di non essere il solo a pensare che un tale atteggiamento nei
confronti della omosessualità sia cristianamente (e cattolicamente) inaccettabile.
Un’altra interpretazione nei confronti di questo fenomeno può essere quella di chi lo considera una
perversione. Per perversione, da un punto di vista morale ci si collega al concetto di peccato. Ricordo
fin dai tempi del catechismo (di Pio X) che affinché si possa parlare di peccato (più o meno mortale)
sono necessari tre elementi: la materia grave, la piena avvertenza ed il deliberato consenso. Pertanto
sono convinto che gesti omosessuali siano da considerare peccato nella misura in cui c’è una libera
scelta. La stessa cosa vale per la “situazione” di omosessualità: per esse considerata peccato deve
essere scelta liberamente. Allora sono convinto anch’io che chi è felicemente eterosessuale e decide
liberamente di compiere gesti omosessuali sia da considerare un peccatore.
Tuttavia, normalmente, la tendenza alla omosessualità non è scelta dall’individuo perché egli si trova
(più o meno gradualmente) in tale situazione. Nell’essere omosessuale non si opera una scelta
libera… Poi gli atti concreti sono scelti liberamente, ma la situazione non è decisa da loro…
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Un’altra interpretazione (sostenuta negli ultimi anni anche dal Card Bertone quando era Segretario di
Stato) è quella di considerare l’omosessualità una “malattia”. Tale affermazione non è stata per nulla
accettata dalla Organizzazione Sanitaria Mondiale ed ha suscitato forti polemiche. Non mi esprimo a
riguardo di questa affermazione: tuttavia penso che almeno permetta di liberare il campo
cristianamente parlando dagli insulti, dai giudizi morali, dalle invettive che tante volte sono urlate nei
confronti di queste persone. Occorre rispetto sempre: non posso permettermi di insultare chi ha il mal
di testa o cammina zoppo.
C’è un’altra interpretazione simile che proviene dal campo degli psicologi e che parla di
problematica psicologica. L’omosessualità sarebbe indotta dal comportamento del padre (assente) o
della madre (troppo intraprendente) quando il bambino è piccolo. Beh non mi importa sapere se è
colpa del padre, della madre, della zia, della nonna o di chi per essi: certamente se si può parlare di
colpa questa non può essere imputata al soggetto! Conosco (stavolta indirettamente) tra i tanti uno
psicologo di Milano che ragiona ed agisce in questo modo e quindi propone (ovviamente a caro
prezzo) un percorso terapeutico per uscire da questa situazione. Penso anche a quanto scritto su
questo blog e che si riferisce ad “exhomo” che sono usciti da questa situazione (della serie “Luca era
gay”). Tuttavia il problema non può essere considerato di carattere morale e la terapia non è di ordine
religioso legata ad una “conversione”, ma semplicemente ad un percorso terapeutico della durata
(come sempre accade con gli analisti) di anni.
Di fronte a queste considerazioni cosa fare?
Io ho apprezzato il famoso discorso del Papa “chi sono io per giudicare”? Infatti è difficile scegliere
tra le proposte enunciate sopra e purtroppo in tutti questi anni nessuno ha saputo dare indicazioni
precise. D’altra parte non è vero che queste persone sono da considerare negativamente: al di là del
modo differente (rispetto ad altri) di vivere la sessualità devono essere rispettate come persone e
soprattutto apprezzate per le indubbie qualità umane che manifestano nei vari ambiti della società.
D’accordo ad esempio col card Scola (di sicura fede tradizionalista) affermo che non sia necessario
considerarli al pari di una famiglia “tradizionale”: dando un nome diverso comunque ritengo
doveroso che possano usufruire di diritti legati alla stabilità ed alla solidarietà che si instaura
all’interno della coppia.
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Dominus Iesus: ritorno al futuro?
By minstrel on 4 novembre 2014 • ( 54 )
Vola McFly!
Visto che la disputa che sta avendo luogo in questo post, partendo dalla questione “Canone”, è
arrivata a parlare della Dominus Iesus e della sua autentica interpretazione, mi permetto un nuovo
rapido post dove elenco i risultati di una rapida ricerca web circa le reazioni che si ebbero all’uscita
di tale dichiarazione dogmatica da parte di Card. Joseph Ratzinger ratificata da San Giovanni Paolo
II.
Non è un post di approfondimento personale, quanto di lancio verso un approfondimento condiviso
da compiersi attraverso delle letture che mi appaiono imprescindibili per comprendere quel periodo,
consapevole che tali letture sono il frutto di una cernita personale e di possibili dimenticanze in
buona fede.
1.
Innanzitutto linkiamo il testo della Dichiarazione “Dominus Iesus”, stilata dall’allora Prefetto della
Congregazione della dottrina della fede Card. Joseph Ratzinger e ratificata da Giovanni Paolo II, nel
corso dell’Udienza concessa il giorno 16 giugno 2000, e a quanto ci dice Magister picchiando pure i
pugni sul tavolo.
2.
Faccio seguire un approfondimento che l’allora Vescovo Kasper (che lavorava in Congregazione
della fede con Ratzinger, lo ricordo!) redasse per riappacificare il dialogo ecumenico con i fratelli
ebrei dopo l’uscita della dichiarazione, raccolta da nostreradici.it che – se non mi sbaglio – era uno
dei siti dove lavorara Mic, amministratrice come si sa del blog Chiesa e Post Concilio (chiedo venia
se l’informazione è errata, segnalatemelo che la tolgo al volo). Era il maggio 2001 ed è palese un
tentativo di “minimizzare” alcune frasi che hanno creato malintesi nel dialogo. Leggiamo quindi di ”
documento la cui redazione è forse troppo densa – ha dato luogo a malintesi sullo stesso significato
ed intento del testo, tra quanti non hanno familiarità con il “gergo” teologico cattolico” e chiede
scusa se ha offeso una parte che si è sentita chiamata in causa. Kasper dice che l’errore è sentirsi
chiamati in causa quando invece la dichiarazione
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“non entra in dialogo con gli Indù né coi Musulmani, né con gli Ebrei. Se la prende con alcune teorie
relativiste e per un certo verso sincretiste che si sono diffuse tra i teologi cristiani.”
Vedo i vostri sorrisetti… il taglio dello scritto è fatto per mantenere il dialogo, mi sembra chiaro.
Basta per “minimizzare” la portata? Non lo so, chiedo.
Potrebbe sembrare una mia opinione di parte quando scrivo “minimizzare”. Non lo è se leggiamo
questa intervista a Ratzinger tradotta da totus Tuus nella quale mi si appalesa tutta un’altra modalità
di esportare (diciamo così) i contenuti della Dominus Iesus.
Le critiche di stampo tedesco?
“Devo confessare di essere molto annoiato da questo tipo di dichiarazioni. Conosco a memoria da
molto tempo questo vocabolario, nel quale i concetti di fondamentalismo, centralismo romano e
assolutismo non mancano mai.”
Il vero tema della dichiarazione?
Il documento comincia con le parole “Dominus Iesus”; si tratta della breve formula di fede contenuta
nella Prima Lettera ai Corinzi versetto 12, 3, in cui Paolo ha riassunto l’essenza del cristianesimo:
Gesù è il Signore. [...] Il documento vuole essere un invito a tutti i cristiani ad aprirsi nuovamente al
riconoscimento di Gesù Cristo come Signore e a conferire cosi all’Anno Santo un significato
profondo.
Le Chiese “altre” si lamentano?
Mi meraviglia che Jüngel dica che la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica sia presente in tutte le
Chiese a loro proprio modo e con ciò (se ho capito bene) consideri risolta la questione dell’unità
della Chiesa. Queste numerose “Chiese” però si contraddicono! Se tutte sono Chiesa a “loro proprio
modo”, allora questa Chiesa è un insieme di contraddizioni e non è in grado di offrire agli uomini
indicazioni chiare. [...] La pretesa dei nostri amici luterani mi sembra francamente assurda, cioè che
noi consideriamo queste strutture sorte da casualità storiche come Chiesa nello stesso modo in cui
crediamo Chiesa la Chiesa cattolica, fondata sulla successione degli apostoli nell’Episcopato.
E il subsist del Vaticano II?
Con il “subsistit” si è voluto dire anche che, sebbene il Signore mantenga la sua promessa, esiste una
realtà ecclesiale anche al di fuori della comunità cattolica ed è proprio questa contraddizione la più
forte sollecitazione a perseguire l’unità.
Bene, quindi c’è libertà di…
La Chiesa cattolica, come quella ortodossa, è convinta che una definizione del genere sia
inconciliabile con la promessa di Cristo e con la fedeltà a Lui. La Chiesa di Cristo esiste veramente e
non a brandelli.
Ehi, ma c’è una analogia no? 3 persone, 3 possibili Chiese come corpo di un Cristo che…
Ma soprattutto sono molto determinato a lottare contro questa tendenza sempre più diffusa a
trasferire il mistero trinitario direttamente alla Chiesa. Non va bene. Così finiremo per credere in tre
divinità.
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Ehi ehi, ma non sta diventando tutto teoremi e niente fede vissuta e…
Per quanto riguarda la fede e il suo essere comprensibile attraverso teoremi, si travisa il Dogma se lo
si considera una raccolta di teoremi: il contenuto della fede si esprime nella sua professione, che
trova il suo momento privilegiato nell’amministrazione del Sacramento del Battesimo, e che dunque
è parte di un processo esistenziale.
ma?
la fede cristiana ha una sua certezza contenutistica. Non è un’immersione in una dimensione mistico
– inesprimibile, nella quale non si arriva mai ai contenuti.
E poi ancora giù botte a Hünermann, alla presunta libertà teologica del cattolico, tenenda, la
mancanza di diplomazia della dichiarazione (“Le parole di Gesù sono spesso terribilmente dure e
formulate senza tanta accortezza diplomatica.[...] Ma allora il testo va tradotto, non disprezzato”) and
so on.
Un’intervista al fulmicotone che fa comprendere le due anime dell’allora congregazione: Kasper che
dichiarava “lo scalpore suscitato dal documento nasconde un problema di comunicazione, perché il
linguaggio dottrinale classico, così come viene utilizzato nel nostro documento per continuità con i
testi del Concilio Vaticano II, è completamente diverso da quello dei giornali e dei mezzi di
comunicazione sociale” cerca di porre paletti per far comprendere meglio, Ratzinger mette in sesta a
5000 giri e letteralmente se ne sbatte.
Chi ha interpretato meglio? Andiamo avanti.
3.
Qui uno scritto del Card. Cassidy (allora alla Presidenza del Pontificio Consiglio per la Promozione
dell’Unità dei Cristiani) sulla Dominus Iesus, nel quale tenta di esplicare come la dichiarazione non
annulli affatto i documenti pro ecumenismo precedenti ad essa:
la Dichiarazione Dominus Iesus non ha né l’intento di sostituirsi ai vari documenti della Chiesa in
materia ecumenica, né essa intende annullarli, ma che il documento «esprime ancora una volta la
stessa passione ecumenica che è alla base della mia Enciclica Ut unum sint».
In effetti, si può affermare che l’impegno della Chiesa cattolica nel servizio dell’unità, è
probabilmente l’impegno meglio definito e più coraggioso tra quelli che le Chiese e Comunità
ecclesiali hanno assunto. Per la Chiesa cattolica, la via ecumenica è diventata la via della Chiesa
(21).
4.
Angelo Amato SBD, riflette sulle conseguenze del documento vaticano in questo scritto del gennaio
2002. Il mini saggio è molto denso, toccarlo dalla sua integralità è peccare di “quinto”
comandamento. Cita molto teologi contemporanei e richiama quella che lui chiama la “dimenticata
Redemptoris missio” del 1990 nel quale Giovanni Paolo II scrisse: “”Gli uomini, quindi, non
possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto l’azione dello Spirito.”
Successivamente pone le basi cristologiche in tre punti e chiarisce quelle ecclesiologiche in
altrettanti. Leggiamo quasi in chiusura:
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La Dichiarazione non dice cose nuove. Tutto è infatti ripreso dal magistero conciliare e
postconciliare della Chiesa. Riafferma, però, con un linguaggio chiaro e preciso, alcuni elementi
dottrinali centrali dell’identità cattolica, spesso smarriti o negati da tesi ambigue o erronee. La ricerca
teologica non viene fermata; essa resta aperta ed “è invitata ad esplorare se e come anche figure ed
elementi positivi di altre religioni rientrino nel piano divino di salvezza” (DI n. 14). Il dialogo
ecumenico e il dialogo interreligioso devono proseguire la loro strada e “maturare soluzioni conformi
al dato di fede e rispondenti alle urgenze culturali contemporanee” (DI n. 3). La Dichiarazione ha
inteso chiudere solo quelle strade che portano a vicoli ciechi.
Segue una importantissima parte di ricezione da parte del Magistero, che forse più interessa ai nostri
scopi, ma vi lascio alla lettura integrale per quanto già detto.
AND SO ON…
Molti altri collegamenti possono essere trovati: princeton, la gioia di tempi.it, l‘ira funesta e i grrrr
delle Chiese “altre”, la solita rassegna di eventi di Magister in cui si cita anche Kung e la
dichiarazione in questione, un articolo sugli ortodossi e protestanti alle prese con la Dominus Iesus…
a voler cercare c’è l’etere pieno. Ma direi che possono bastare i primi che ho reperito e qui riassunto
in modo forse superficiale.
Quello che desidererei sapere è come secondo alcuni utenti questa dichiarazione sia oggi letta da
parte dei fedeli e come sia interpretata da parte dell’autorità vaticana e del Magistero. Perché in
fondo la domanda è sempre questa: ma chi può dire qualcosa su questo documento? Chi può meglio
interpretarlo? Ratzinger che la stilò e la difese a spada tratta, Kasper che ne aiutò la scrittura e
“minimizzò”, Giovanni Paolo II che ratificò con i pugni oppure il magistero odierno? So che è una
semplificazione questa domanda sbagliata e retorica.
Vuole essere un lancio per una sana disputa, per capirci qualcosa di più. Mi fido insomma.
Grazie a chi ha letto e vorrà intervenire!