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Così,fra terra per la bonificae terra per le colmateho spianato collinee dissepolto intere viea Pompei.Il terrenosi abbassa di giornoe la città si alza,e appare sempre più bella. Proprio quelloche avevo sognato.

A. Maiuri

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Il Premio Internazionale di Archeologia “Amedeo Ma-iuri”, promosso dall’Amministrazione Comunale diPompei, è intitolato all’illustre archeologo che per anniha ricoperto il ruolo di Direttore della SoprintendenzaArcheologica di Pompei. Il Premio costituisce un rico-noscimento alla carriera per quanti, durante la loro at-tività professionale di esploratori della storia, si sianodistinti e prodigati nella divulgazione archeologica enell’indagine scientifica. L’obiettivo predominante delPremio Internazionale è quello di diffondere tra le nuovegenerazioni la salvaguardia di un bene riconosciuto “Pa-trimonio dell’Umanità”, attraverso la narrazione deglieventi che caratterizzarono la vita e il lavoro di AmedeoMaiuri. Quello proposto in queste pagine è un raccontoin chiave moderna, digitale e artistica, dell’attività pro-fessionale dell’archeologo in Italia e a Rodi, in Grecia.Tanti sono gli eventi che lo hanno visto protagonista:premiazioni, onorificenze, grandi scoperte sullo sfondodella riscoperta di uno dei patrimoni del mondo, piùsuggestivi ed emozionanti.Pompei, unica nel suo genere, è la sede ideale per un ri-conoscimento del lavoro, della passione e della compe-tenza di archeologi di fama mondiale, che conaffascinanti scoperte e segreti svelati hanno tracciato leorme su cui lo studio della vita quotidiana di un citta-dino romano ha mosso i suoi passi. All'insegnamento diquesto grande archeologo, oggi vogliamo rendereomaggio, con una giornata interamente dedicata all'ar-cheologia ed alle sue infinite suggestioni.

da Rodi a Pompei Una vita per l'archeologia

Presentazione

Il SindacoFerdinando Uliano

L'Assessore alla CulturaPietro Orsineri

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a Bianca Maiuri

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Amedeo Maiuri è stato senza dubbio uno dei maggioriarcheologi italiani del secolo scorso. Nacque nel Lazio,a Veroli presso Fregelle, il 7 gennaio del 1886 e morì aNapoli il 7 aprile del 1963. Dal 1913 al 1924 fu responsabile della Missione Ar-cheologica Italiana nell'Egeo, con la carica di direttoredel Museo Archeologico di Rodi e di Soprintendentedegli Scavi nel Dodecanneso. Dopo il lavoro svolto inGrecia, circa quarantenne, rientrò in Italia, dove as-sunse la carica di Direttore del Museo Archeologico Na-zionale di Napoli e degli Scavi di Ercolano e Pompei.Per i suoi meriti scientifici fu nominato socio dell'Ac-cademia d’Italia.Produsse oltre trecento pubblicazioni sulle sue attivitànell’Egeo, in Italia meridionale e soprattutto nell’areacampana e vesuviana. I suoi interessi andarono dallapreistoria al medioevo, dalle antichità greche e romanefino a quelle italiche e italiote. Eppure la prima vocazione non fu l’archeologia, inquanto la tesi di laurea, conseguita nel 1908 presso laFacoltà di Lettere dell’Università di Roma, fu svolta inFilologia Bizantina con una tesi su Teodoro Prodromo,un poligrafo dell’XI secolo d.C. Fu proprio per questaformazione letteraria ed epigrafica che Federico Hal-bherr, allora Direttore della Scuola Archeologica Ita-liana di Atene, lo volle a Creta. Infatti, vinto il concorsodella Scuola Archeologica di Atene (1908) e conseguitoil Diploma alla Scuola Superiore di Archeologia (1911),affrontò i primi scavi con lo Halbherr a Creta dove, la-vorando come membro della Missione ArcheologicaItaliana (1912), curò l’edizione delle epigrafi greche. Fu dopo i due anni di indagini condotte a Creta, che ot-tenne la direzione della Missione Archeologica Italianaa Rodi, dopo che l’Italia aveva occupato il Dodecaneso.In questa ultima isola, Maiuri organizzò e diresse il ser-vizio archeologico per ben dieci anni, dal 1914 al 1924,studiandone la storia dalla frequentazione micenea finoall’occupazione medievale da parte dei Cavalieri Cro-ciati. Restaurato, con il Gerola, l’antico Ospedale del-l’Ordine dei Cavalieri, lo destinò a Museo Archeologico

da Rodi a Pompei Una vita per l'archeologia

Amedeo Maiuri da Rodi a Pompei

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Premio Internazionale Amedeo Maiuri

curandone egli stesso l’allestimento.In un tempo relativamente breve diede dimostrazione di interessarsi non solo a tutte le epochedell’antichità, ma anche a tutti gli aspetti della metodologia archeologica: dallo scavo allapubblicazione, dal restauro alla musealizzazione dei reperti.Richiamato da Rodi in Italia, ricevette nel 1924, a soli trentotto anni, la carica di Soprinten-dente alle Antichità della Campania e del Molise. Contemporaneamente assunse la direzionedegli scavi di Pompei e di Ercolano che mantenne per ben trentasette anni ovvero fino al suopensionamento avvenuto nel 1961. Da allora il suo interesse si concentrò sulle città campane e soprattutto su quelle sepolte dallaeruzione vesuviana del 79 d.C. ovvero Pompei, Ercolano e Stabia, che videro in gran partela luce grazie al suo intenso lavoro.

In particolare a Pompei Maiuri scavò granparte delle insulae ancora sepolte, indagòl’evoluzione della città antica fino ai livellidella città sannitica e restaurò gli edificidanneggiati dai bombardamenti nel corsodella Seconda Guerra Mondiale. Infine li-berò le mura urbane dal terreno accumulatoper circa duecento anni dai precedenti ar-cheologi, che avevano utilizzato le fortifi-cazioni come area di scarico delle terre discavo. Si è calcolato che la terra rimossaper liberare le mura ammontò a circa un mi-lione di metri cubi. Con la sua intelligenzaMaiuri riuscì anche a trasformare l’inutilitàdi questo accumulo in un terreno utile allabonifica dei territori acquitrinosi limitrofi,ottenendone un cospicuo finanziamento daparte della Cassa per il Mezzogiorno. Per-sino l’autostrada Napoli-Salerno fu co-struita in parte grazie alla terra provenientedagli scavi di Pompei. A lui dobbiamoquindi non solo l’odierno aspetto della cittàantica, ma anche quello del territorio circo-stante che, bonificato, ancora oggi ci appareridente con le sue intense coltivazioni diverdure ed ortaggi. Da tale meritoria attivitàegli stesso ne ebbe però soltanto dispiaceried umiliazioni, connessi ad un processoamministrativo che lo vide infine pro-

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sciolto, come si evince dal carteggio pubblicato in que-sto libro.Ad Ercolano, tra il 1924 e il 1958, riportò alla luce granparte della città, come essenzialmente la vediamo an-cora oggi, interrompendo gli scavi solo durante laguerra.Anche a Stabia non fece mancare la sua presenza ed ilsuo appoggio allo studioso locale Libero D’Orsi per loscavo delle ville di San Marco e di Arianna.Nel suo ruolo di Soprintendente alle Antichità indagònon soltanto gli antichi centri greci e romani della Cam-pania - come Capri, Cuma, Baia, Miseno e Pozzuoli -ma anche gli insediamenti del Lazio meridionale, del-l’Irpinia e della Lucania, senza tralasciare la MagnaGrecia con Paestum e Velia.Personaggio versatile, il Maiuri non solo fu un intellet-tuale ma anche un uomo pratico. Si occupò infatti delriordino del Museo di Napoli, interessandosi alla nuovaesposizione dei reperti ed eliminando il “rosso pompe-iano” dalle pareti. Fu anche un’abile mediatore e dobbiamo alle sue capa-cità diplomatiche la sopravvivenza delle collezioni nelMuseo Archeologico Nazionale di Napoli. Infatti, nelcorso della Seconda Guerra Mondiale, Napoli subì nu-merosi bombardamenti che minacciarono anche l’anticopalazzo del Museo. Ne resta ancora oggi traccia negliorrendi edifici post-bellici, costruiti fra Piazza Cavoure Via Foria, laddove si ergevano invece dei palazzi diepoca. Maiuri riuscì ad evitarne la distruzione ed a por-tare in salvo i materiali, trasferendoli a Montecassino.Pagò questo suo zelo con la frattura di una gamba du-rante un’incursione aerea sulla strada tra Pompei e Na-poli, un’invalidità che lo costrinse al bastone per il restodella vita. Fedele alla sua originaria formazione di filologo, ritenneche l’analisi delle fonti fosse preliminare a qualunquescavo. Fu proprio la descrizione letteraria della villa aLiterno, dove Scipione avrebbe trascorso l’esilio, chesollecitò la sua indagine. Anche se la ricerca di questoparticolare edificio dovette fermarsi alle semplici ipo-

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tesi, tuttavia riuscì a mettere in luce dell’antica città il teatro, il capitolium e la basilica.Intensa fu anche l’attività accademica. Gli fu infatti conferita la Cattedra di Antichità Pompe-iane ed Ercolanesi all’Università di Napoli, dapprima come professore incaricato e poi, dal1942, come professore di ruolo, mentre dal 1937 al 1963 fu docente anche all’Istituto Pari-ficato “Suor Orsola Benincasa” dapprima di Storia Antica e poi di Storia Romana.Malgrado i gravosi oneri istituzionali e gli impegni scientifici, la divulgazione in toni letterarifu per lui un bisogno profondo a riflesso della sua ricca personalità, bisogno che – come miraccontava la figlia Bianca - lo spingeva a sedere già alle sei del mattino alla scrivania dellacasa di servizio, sita nel Palazzo Reale di Napoli, per stendere quegli articoli che consegnavaperiodicamente dapprima al "Mattino" ed al “Giornale d’Italia” e poi al "Corriere della Sera".Furono proprio Amedeo Maiuri, Roberto Longhi e Roberto Pane coloro che nella prima metà

di questo secolo - rispet-tivamente per l'archeolo-gia, la storia dell'arte e lastoria dell'architettura -introdussero la prosa let-teraria nelle dissertazioniscientifiche. Non che gliarcheologi precedentifossero privi di culturaletteraria - ad esempio,Vittorio Spinazzola erastato rinomato sia comeSoprintendente sia per lesue pubbliche "lecturaeDantis" - ma nessunoaveva creato fino ad al-lora un vero modello.

Maiuri si può considerare pertanto in Italia il capostipite di quella divulgazione archeologicadi gusto letterario, continuata da successivi studiosi.Mentre nelle pubblicazioni divulgative prevalse in lui l’ “archeologo-romantico”, bisognosodi integrare le lacune della storia con ricostruzioni fantasiose ma possibili, invece nelle pub-blicazioni scientifiche tralasciò ogni divagazione, risultando sempre molto preciso e aderenteai fatti.Il 30 novembre del 1961, all’età di 75 anni, Amedeo Maiuri andò in pensione lasciando l’Uni-versità, la Soprintendenza e la Direzione degli Scavi.Di carattere umile, non volle mai approfittare del prestigio raggiunto. E’ significativo a talproposito un aneddoto riferitomi dalla figlia Bianca. Quando il Presidente della RepubblicaGiovanni Gronchi, in visita ufficiale in Campania, entusiasta per i lavori svolti dall’insignearcheologo, gli si rivolse dicendo “Eccellenza, mi chieda qualunque cosa, sarò lieto di qua-

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lunque cosa potrò fare per Lei”, avrebbe potuto rispon-dergli – come gli era gradito nel profondo del cuore –“Soprintendente Onorario a vita”, ma non lo fece …Il suo successore e discepolo Alfonso de Franciscis –con la caratteristica signorilità che lo contraddistinse epur temendone l’ingombrante presenza - volle riservar-gli uno studiolo nella sede della Soprintendenza; taleambiente, divenuto dopo la sua scomparsa la stanzadegli Ispettori, continuò comunque ad essere chiamatolo “studio di Maiuri”.

Una delle questioni più delicate nella biografia del Ma-iuri riguarda i suoi legami con il fascismo. In taluni testirecenti gli si è infatti attribuita – forse in maniera tropporisolutoria - una connivenza con il regime o addiritturadel razzismo.Molto scaturisce dalla critica al suo discorso, pronun-ciato in Campidoglio alla presenza dei Reali il 23 No-vembre del 1941: “Roma e l’Oriente europeo”, Roma,Reale Accademia d’Italia, 1942. Il discorso fu conco-mitante con la Campagna di Russia, contesto che nechiarisce la genesi. Infatti mette in evidenza le ambi-zioni italiane di egemonia trans-adriatica dimostrando,tramite l'archeologia e la storia della romanità, i colle-gamenti culturali fra l'Italia e il mondo balcanico. La mia opinione è che sia sempre stato un personaggioprevalentemente pubblico, quindi un uomo coinvoltonel flusso degli avvenimenti dei suoi tempi. Inoltre, daalto funzionario dello stato, ricopriva un ruolo limitatoalla funzione esecutiva e non politica. Fu questo rispettodei limiti delle proprie funzioni che gli permise di rima-nere sempre con lo stesso incarico attraverso tre diversiregimi: la monarchia, l’impero e la repubblica. Giammaisi ritrovò coinvolto in iniziative politiche che potesseroessere offensive della dignità umana. Anzi, trattandosidi una persona pragmatica, utilizzò a proprio vantaggiola boriosa burocrazia fascista, come nel caso del finan-ziamento ottenuto per gli scavi di Ercolano.Significativo è il fatto che, processato dopo la guerraper collusione con il regime dalle Forze di Occupazione

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Alleate, a seguito della delazione di Giuseppe Spano, ne fu pienamente prosciolto.Appare a tal proposito anche significativa l’affermazione spontanea – citata nel presente libro- quando riferisce della visita di Mussolini a Paestum: “Io ebbi l’incarico di accompagnarloquel giorno alla visita dei templi … Rammento che imbastìi alla meglio un compendio delladuplice vita di Paestum greca e italica e che la visita fu, con mio sollievo, assai breve”.Nè amò – al pari di altri suoi colleghi – di indossare l’orbace in occasioni ufficiali. Inoltre nel carteggio custodito presso l’Ufficio Scavi di Ercolano si conserva una corrispon-denza fra lui ed il Prefetto di Napoli, il quale auspica che dinanzi all’ingresso degli Scavi diErcolano – finanziato con profusione di mezzi dal regime – venga eretto un busto del duce.Maiuri tergiversa, rimanda elegantemente a momenti più opportuni … fatto sta che quel bustonon venne mai posto.Infine presso l’archivio dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma si conserva una letteradel 19 aprile del 1934 (fornita al nostro Fondo in fotocopia dall’amico Hubertus Mander-scheid), nella quale Maiuriattesta la sua solidarietà adHermine Speyer, una tede-sca ebrea allontanata dal-l’Istituto Germanico per leleggi razziali e che per for-tuna trovò poi – grazie al-l’intervento del Papa –protezione e lavoro presso iMusei Vaticani: “GentileSignorina Speier, ho rice-vuto la Sua lettera con lacomunicazione del Suo al-lontanamento dall’Istituto;accolgo questa notizia convivo rammarico, ricordandola cortesia da Lei sempreusata nei rapporti col mioIstituto e la Sua attività cosìfervida di opere. Spero cheElla possa continuare a la-vorare in Roma e Le au-guro, gentile Signorina, cheElla possa continuare il più serenamente possibile la Sua nobile professione di studiosa. Condistinti saluti Dev.mo Amedeo Maiuri”.Se Maiuri fosse stato razzista – come pure si è detto – non avrebbe esternato la sua sincerasolidarietà né si sarebbe esposto con il regime inviando la lettera sulla carta ufficiale intestata

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al “Soprintendente alle Antichità della Campania e delMolise”.Amedeo Maiuri morì il 7 aprile del 1963 all’età di 77anni ed a soli due anni dal suo pensionamento. I funeralisolenni, filmati dall’Istituto Luce, mossero dal Museoall’Università, i poli complementari della sua lunga eintensa attività che gli consentirono di valorizzare il pa-trimonio archeologico dell’Italia negli anni più criticidel paese.

Grazie alla mia amicizia con la famiglia Maiuri ed inparticolare con la figlia Bianca, l’Università “Suor Or-sola Benincasa” di Napoli ha potuto acquisire nel 2001la biblioteca privata di “Amedeo Maiuri”. Essa è statacollocata presso il “Centro Internazionale per gli StudiPompeiani Amedeo Maiuri” ospitato nel Municipio diPompei. Essa comprende tutta la sua produzione scientifica epubblicistica, con rispettive edizioni in lingua stranieraed in svariati esemplari.I testi di altri autori sono costituiti in prevalenza daopere di carattere storico-artistico ed archeologico, frale quali è presente la più importante produzione specia-listica della prima metà di questo secolo nonché mi-gliaia di articoli di autori italiani e stranieri con dedicaautografa. Il fondo comprende inoltre i taccuini di scavo autografi,foto d'epoca e disegni, diplomi e lauree ‘honoris causa’,la livrea azzurra di Accademico d’Italia ed una copia ingesso del busto in bronzo esposto oggi nell’Esedra deiPompeianisti presso l’Antiquarium degli Scavi.Il Fondo, per la sua importanza, è stato oggetto di vin-colo da parte del Ministero per i Beni Culturali tramitela Soprintendenza Archivistica della Campania (num.1430 del 23.5.2005).

Umberto Pappalardo

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La Raccolta Libraria

Maiuri è senza alcun dubbio una figura poliedrica, calata a pieno ritmo nel suo “mestiere” diarcheologo: l’intensa attività di ricerca, la passione per le fonti classiche, la folta produzioneeditoriale, la fitta rete di amicizie e le sue relazioni professionali ci restituiscono una bibliotecacolma di elementi da interpretare. Il fondo librario si compone di circa 2000 volumi, 1700 estratti e 200 opuscoli, concernenti -nella maggior parte dei casi – le seguenti discipline: letteratura classica, storia antica, arte earcheologia. Gli anni di edizione ricoprono un arco cronologico che spazia dal Settecento fino agli anniSessanta del Novecento, con la sola eccezione del testo Ab Urbe Condita di Tito Livio del1556 edito a Venezia da Paolo Manuzio. Il fondo si compone di una significativa presenza di fonti classiche, certamente riconducibilealla pregressa formazione filologica di Maiuri e alla sua indagine archeologica, spesso corro-borata da una attenta analisi delle fonti antiche. Quando Maiuri arriva in Campania dopo la parentesi rodiese viene subito catturato dal fascinodei Campi Flegrei; con il suo solito ardire si cimenta in una avventurosa ricerca archeologica:si lascia guidare dai versi di Virgilio e rinviene a Cuma il presunto Antro della Sibilla. Latraccia di questi studi si coglie nella sua raccolta libraria dalla presenza di diverse edizionivirgiliane e di alcune opere concernenti la storia del territorio flegreo.Nella libreria di un archeologo classicista con particolari attitudini filologiche come Maiuri èinevitabile la presenza di opere storiografiche greche e latine. Infatti, non mancano le operedi Erodoto, Tucidide, Polibio, Plutarco, Svetonio, Tacito, Nepote, Cesare e Sallustio.

La raccolta contiene,inoltre, altre edizioni diletteratura greca e latinache meritano una parti-colare attenzione:l’Opera Omnia di MarcoTullio Cicerone consi-stente in 16 volumi stam-pati dall’editore Pombatra il 1823 e il 1835; unainteressante edizione delDe Architectura libridecem, tradotto e com-mentato dal Marchese Be-rardo Galiani, corredatada 25 tavole disegnatenell’edizione originaria

Il fondo Amedeo Maiuri

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(Napoli 1758) dallo stesso traduttore e infine l’Analectaveterum poetarum graecorum del famoso filologo fran-cese Richard Franz Philippe Brunck edita dallo stesso trail 1772 e il 1776.Maiuri possedeva anche alcune opere di carattere sto-rico-erudita edite tra il Settecento e i primi dell’Otto-cento, con molta probabilità queste furono collezionatepiù per un piacere personale che per veri motivi di stu-dio.Tra i libri del Settecento merita particolare attenzione ilCommentarium in regii Herculanensis Musei aeneas ta-bulas Heracleenses di Alessio Simmaco Mazzocchistampato a Napoli nel 1754 dall’ex Officina Gessari.Appare singolare nel Fondo Maiuri la presenza di unaraccolta di manifesti e di alcune riviste d’impronta sati-rica relative al Risorgimento italiano, rilegati in ununico volume. Quest’ultima contiene alcuni decreti regidi Francesco II di Borbone e diversi numeri delle rivisteIl Tuono, Il Chiodo e L’Arlecchino. La presenza di que-sto esemplare nella biblioteca di Maiuri è la testimo-nianza di un particolare interesse dell’archeologo nonafferente ai sui studi ordinari. Il fondo presenta anche diverse edizioni di fine Otto-cento ed inizio Novecento riguardanti la storia e i luoghidel Regno di Napoli.Nella biblioteca non manca, naturalmente, la produ-zione editoriale ottocentesca relativa ai ritrovamenti ar-cheologici delle città vesuviane. Tra le edizioni piùsignificative possiamo citare alcuni scritti di MicheleRuggiero (Degli scavi di antichità nelle province di ter-

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raferma; Degli scavi di Stabia e Storia degli scavi di Ercolano) e la Guida di Pompei diGiuseppe Fiorelli, che presenta sulla pagina di guardia un singolare schizzo a matita di unaveduta dell’antica Pompei. La maggior parte delle pubblicazioni di carattere archeologico trattano argomenti relativi allasua esperienza professionale e quindi, senza alcun dubbio funzionali alla sua attività di ricerca. Molte delle pubblicazioni furono donate al Maiuri da altri studiosi, infatti è ricorrente su questela presenza di dediche autografe, come nel caso di alcune opere di Benedetto Croce riguardantiargomenti di storia, filosofia e critica letteraria.Ad avvalorare la raccolta ci sono anche alcuni esemplari di edizioni a tiratura limitata comead esempio Pompei alla luce degli scavi nuovi di via dell’Abbondanza di Vittorio Spinazzolae una bellissima riproduzione della Bibbia miniata di Borso d’Este, con antiporta in seta ededica autografa di Giovanni Treccani.Il fondo comprende anche buona parte della produzione editoriale di Maiuri.L'archeologo rivendicava in più di un'occasione un tipo di scrittura «capace di raggiungere

direttamente e coinvolgere emoti-vamente il maggior numero di per-sone» come quanto affermato daBenito Iezzi nel saggio A propo-sito di Maiuri prosatore. Questa duplice immagine di ar-cheologo esperto e di abile narra-tore caratterizza tutta la suaproduzione editoriale: dalle rela-zioni di scavo alle vivaci narra-zioni delle sue “passeggiatearcheologiche”. Il motivo che spinse Maiuri ad af-fiancare alle dissertazioni scienti-fiche, una produzione editoriale dicarattere divulgativo, si riassumenella premessa aVita d’Archeo-logo: «Si rimprovera agli archeo-logi, e agli archeologi italiani inispecie, di tener poco conto diquello che c’è di avventuroso, ro-mantico e comunque di umanaesperienza in ogni impresa archeo-logica, tale insomma da interes-sare una più larga cerchia dipersone. Con questi scrittarelli

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pubblicati dalla rivista il Fuidoro e altrove e qui raccolti,non si vuol dare né un esempio né proporre un mo-dello». La costante attività intellettuale di Maiuri ci restituisceuna produzione editoriale molto ricca, legata soprattuttoal suo lavoro di archeologo militante e di funzionariostatale. Alla veneranda età di settant’anni Maiuri com-pila egli stesso una bibliografia di tutti i suoi scritti.

Alcune edizioni che dovevano essere poi ristampate, adesempio, i testi relativi a Pompei, Ercolano e Campi Fle-grei pubblicati dall’istituto Poligrafico e Zecca delloStato, presentano delle correzioni sul margine, il segnoevidente di una revisione apportata da Maiuri primadella stampa. La collezione presenta, inoltre, un consistente numerodi volumi relativi all’attività svolta da Maiuri durante ilperiodo in cui è Soprintendente del Dodecaneso. Sitratta degli scavi di Lindo, Rodi, Jalisos, Camiro e Bo-drum: questi scritti hanno costituito le premesse allesuccessive ricerche archeologiche. Un’altra presenza significativa ci viene restituita da unacospicua raccolta di estratti e di opuscoli redatti da Ma-iuri nel corso della sua vita professionale. Questi ven-gono da lui raccolti e fatti rilegare in più volumisuddivisi per aree archeologiche. La raccolta contiene, inoltre, alcune edizioni di caratteredivulgativo e biografico come: Vita d’Archeologo, Pas-seggiate Campane (in diverse edizioni) e Passeggiatein Magna Grecia. Tra le opere più significative dell’archeologo si conser-vano due edizioni a tiratura limitata di Villa dei Misterie un esemplare de’ La Casa del Menandro e il suo Te-soro di Argenteria pubblicata dalla Libreria dello Statonel 1933.

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Le carte d’archivio

e la raccolta fotografica

Oltre alla raccolta libraria, il fondo Maiuri conserva anche alcuni materiali archivi-stici di notevole interesse storico, appartenuti all’archeologo e ai suoi familiari. Tra la documentazione risaltano cinque taccuini databili tra il 1924 e il 1955; si trattadi diari di viaggio dove vengono riportate alcune considerazioni sulle località visitateda Maiuri durante le sue passeggiate domenicali e i resoconti dei sopralluoghi effet-tuati con i suoi collaboratori nelle aree archeologiche di Liternum, Sepino, Paestume del Molise. Il fondo si arricchisce anche di alcuni ritagli di giornali contenenti diverse intervistefatte a Maiuri e sua figlia Bianca, oltre ad alcuni articoli di carattere commemorativo. Il carteggio, invece, si compone di brevi corrispondenze intrattenute da Maiuri conpersonalità del mondo accademico e non solo: possiamo citare il Rettore dell’Uni-versità di Napoli Adolfo Omodeo ed il suo successore Ernesto Pontieri, nonché il Sin-daco di Capri, Edwin Cerio. La corrispondenza più rilevante per la sua significativa consistenza è quella intratte-nuta dal 1927 al 1938 con l’editore George Macmillan, fondatore della Hellenic So-ciety, della scuola Britannica di Atene, nonché della sezione di Archeologia della

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British School at Rome. Queste lettere riguardanouna collaborazione editoriale intrapresa da Maiuricon l’editore, per la pubblicazione di un volume inlingua inglese sugli Scavi di Ercolano. Suscita una certa curiosità la collezione di inviti edepliant (circa112) relativi ad incontri accademicie momenti celebrativi, raccolti da Maiuri nel corsodella sua vita. Inoltre, sono presenti nella raccolta diversi titoli eonorificenze attribuite a Maiuri nel corso della suaesistenza, tra cui: 21 medaglie; 7 cittadinanze ono-rarie (fra le quali Capri, Ercolano, Pompei e Rodi);il titolo di Laurea in Lettere rilasciato nel 1909 dal-l’Università La Sapienza e altri riconoscimenti ac-cademici, come quello dell’Università di Parigi edell’Istituto Archeologico Germanico. Il Fondo comprende anche un busto di Maiuri ingesso e una livrea azzurra dell’Accademia Nazio-nale d’Italia (oggi dei Lincei). Tra i materiali archivistici sono confluiti diversidocumenti dei familiari di Maiuri, tra cui 17 lettererelative ad una corrispondenza intrattenuta daBianca con Carlo Belli, tra il 1978 e il 1982. Il nucleo fotografico, invece, comprende 1190 im-magini suddivise in 940 fotografie, 48 diapositivee 202 immagini su lastre di vetro. Le foto riguardano le seguenti località: Pompei,370 foto ( 1870-1962); Ercolano, 161 foto (1927-1955); Napoli, 21 foto (1913-1976); Campi Fle-grei, 277 foto (1908-‐1966); Liternum, 23 foto(1934-1958); Museo Archeologico Nazionale diNapoli, 54 foto; Palazzo Reale di Napoli, 5 foto(1943); Benevento, 1 foto; a queste vanno aggiunte28 foto private di Amedeo Maiuri (1937-1962). Lelastre fotografiche e le diapositive si riferiscono aisiti di Pompei ed Ercolano e sono datate probabil-mente tra la fine degli anni ‘50 e l'inizio degli anni‘60.

Pio Manzo

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L’attività di A. Maiurinell’area vesuviana ed inparticolare a Pompei fu im-ponente sia per l’ampiezzadelle aree interessate dai la-vori che per l’attenta escrupolosa documenta-zione delle attività, tantoche l’aspetto che Pompeiattualmente conserva èquello conferitole da unquarantennio di lavori sottola guida dell’archeologo.Arrivò a Pompei dopo es-sere stato richiamato daRodi e fu nominato Sovrin-tendente a Napoli dopo cheSpinazzola era stato ri-mosso dall’incarico a se-guito di una indagine. Il

gravoso compito si presentava ancora più difficile perché dalla Direzione Generale di Romagli venivano cauti consigli, se non addirittura disposizioni a non proseguire gli scavi di Pompeie di limitarsi ad opere di conservazione e di restauro. Maiuri finse di ubbidire e con la scusadi finire lo scavo di piccole case cominciato da Spinazzola iniziò la grande esplorazione dellacittà. Seguiranno quasi quarant’anni di ricerche e di vittorie.I risultati raggiunti dall’archeologo a Pompei appaiono quantitativamente maggiori di quellidelle altre città sepolte dall’eruzione vesuviana del 79 d.C. tanto che quando lascerà la So-printendenza di Pompei solo un terzo dell’estensione originaria della città antica rimanevaancora sepolto. Diede vita ad uno scavo sistematico, teso a riconnettere fra loro i diversi settori della cittàfino allora riportati alla luce, ampliando e completando i precedenti tentativi. Eccezionale fuil lavoro di sgombero delle terre di risulta dagli scavi precedenti, accumulate a formare unadivisione tra l’area archeologica e il territorio circostante, che però fu portato a termine solosul margine meridionale della città antica a seguito del quale venne messa in luce anche laCasa di M. Fabio Rufo, attualmente oggetto di studio da parte dell’Università Suor OrsolaBenincasa di Napoli.Maiuri riportò alla luce gli edifici a sud di via dell’Abbondanza arrivando fino a Porta Sarnoe scoprendo lussuose domus come, per esempio, la Casa del Menandro e quella di PaquioProculo e a lui si deve l’identificazione della cosiddetta “palestra grande”, la cui esistenza erastata supposta dopo la scoperta dell’affresco rinvenuto nella Casa I, 3, 23 con la rappresenta-

L’attività di Maiuri attraverso i suoi scritti

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zione della “rissa” tra Pompeiani e Nocerini del 57 d.C.Un lavoro tanto vasto fu possibile solo grazie all’inge-gno del Maiuri. Il suo desiderio di rimettere in luce l’an-tica città si era infatti scontrato con il problema dellacollocazione delle terre di sterro ed egli pensò che il ma-teriale di scavo poteva essere riutilizzato per bonificarele aree paludose di Schito e Boscotrecase. Il progetto diMaiuri, unito allo slogan di Carlo Belli “Scavando Pom-pei, verdura a tutta Napoli” e all’intervento della Cassaper il Mezzogiorno, consentì che le terre di risulta delloscavo sversate a Schito e a Boscotrecase potessero tra-sformarsi in orti modello che producevano frutta e ver-dura di qualità eccezionale e allo stesso tempo permiseil recupero della città antica. Maiuri potè così ricomin-ciare lo scavo e, dopo aver tolto la terra che soffocavala città, furono scoperte Porta Nocera, la cui esistenzaera stata sempre messa in dubbio da illustri pompeiani-sti, e la grande necropoli attigua. Fu liberata tutta lacinta da Porta Marina fino a Porta Stabia e vennero allaluce finalmente i bastioni della città.Lo studioso portò a termine estese ricerche lungo lamura di Pompei, proponendone una cronologia attual-mente ritenuta valida, esplorò i depositi votivi del Tem-pio di Apollo, condusse saggi nella Basilica.Alla periferia nord-occidentale di Pompei, Maiuri com-pletò lo scavo, pubblicato in una edizione di lusso confotografie a colori dal titolo “La Villa dei Misteri”(Roma 1947) della villa suburbana fino allora nota come

da Rodi a Pompei Una vita per l'archeologia

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“Item”, dal nome del proprietario del fondo, e da allora in poi intitolata ai Misteri.Enorme, intensa e sistematica fu l’attività di restauro delle principali strutture, insieme allaquale lo studioso condusse saggi esplorativi, rivolti a indagare sia i livelli di vita della cittàprecedenti il dominio da parte di Roma (dall’89 a.C.) che il periodo tra il terremoto del 62d.C. e l’eruzione del 79 d.C.Maiuri si occupò assiduamente anche della fruizione da parte del pubblico della vasta areaarcheologica e allestì proprio all’ingresso degli scavi un Antiquarium dove vennero esposti icalchi e i reperti più significativi.Aumentò il numero delle biglietterie realizzandone due nuove, una a piazza Anfiteatro e unapresso l’Auditorium, e rendendo più agevole l’ingresso a Porta Marina, sistemò con giardinile zone meridionali dell’area archeologica, ripiantumò alcuni giardini antichi e installò l'illu-minazione notturna.In una tale ciclopica attività di scavo, restauro, valorizzazione e fruizione, Maiuri fu aiutatodal personale tecnico e di supporto della Soprintendenza e non si servì mai di collaborazioniscientifiche. La sterminata bibliografia dell’archeologo su Pompei fu incentrata sulla storiadelle edificazioni, sulle fasi di vita della città e sull’architettura e in misura minore sui materiali

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o su problematiche decorative dell’antica città. Nomi illustri lo avevano preceduto nello scavo e nellostudio della città di Pompei ma nessuno ha saputo met-tere in luce dalle case, dalle botteghe, dagli edifici pub-blici il senso della vita fermata all’improvvisorestituendo attraverso scrupolosi restauri e attente rico-struzioni l’immagine degli ultimi giorni di Pompei. Gra-zie alla sua sensibilità e alla straordinaria conoscenzadel mondo antico Maiuri ha saputo “resuscitare” Pom-pei anche attraverso le sue pagine che hanno ridato vitaa uomini e donne pompeiane come Giulia Felice “gen-tildonna pompeiana”, imprenditrice e accorta ammini-stratrice dei beni di famiglia.Egli stesso, anni dopo, ammirando il lavoro compiutoosservò: “Così, fra terra per la bonifica e terra per le col-mate, ho spianato colline e dissepolto intere vie a Pom-pei. Il terreno si abbassa di giorno in giorno, e la città sialza, e appare sempre più bella. Proprio quello cheavevo sognato.”“Archeologo errante” lo definì il Belli per la sua infati-cabile presenza sugli scavi, per le ricognizioni frequen-tissime alle quali doveva aggiungere il gravoso impegnodi ufficio, lo studio quotidiano e l'attività intensa di scrit-tore nonché le ore dedicate ai doveri di rappresentanzae davvero ci si chiede ogni volta come riuscì a far tantoe in maniera così eccellente.

Rosaria Ciardiello

da Rodi a Pompei Una vita per l'archeologia

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Introduzione

Dal 2004 l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, con il suo Centro Inter-nazionale per gli Studi pompeiani “Amedeo Maiuri”, è presente a Pompei con un ampio pro-

getto di studio e ricerca,“Pompei Insula Occi-dentalis – Le case sullemura”. La ricerca è in-centrata su due diversearee di notevole inte-resse per la compren-sione dello sviluppourbanistico, dentro efuori le mura, di Pom-pei e più nel dettaglionelle aree occupate asud della Porta Marina(villa Imperiale, Gra-nai) e nell’Insula Occi-dentalis (Regiones VI eVII), entrambe riportatealla luce dal grande So-

printendente Amedeo Maiuri tra il 1947 ed il 1961. Le attività d’indagine archeologica con scavi stratigrafici condotti nell’aree del giardino dellaVilla Imperiale, della case di Marco Fabio Rufo, Bracciale d’Oro, e prossimamente di MaiusCastricius hanno raggiunto poi lo scopo di documentare e studiare quest’area del tratto sud-occidentale di Pompei in tutti i suoi aspetti urbanistici, architettonici, decorativi e sociali ag-giungendo un tassello significativo alla comprensione, nascita e sviluppo di questo trattourbanistico della città venuto alla luce definitivamente solo a partire dal 1959 con gli scavicondotti da Amedeo Maiuri, culminando nella scoperta di un nuovo varco di uscita della cittàda via Nolana finora non riconosciuto ma dallo stesso Maiuri presagito: la Porta Occidenta-lis.

Insula Occidentalis, Regiones VI, VII

“I saggi fatti finora in questo settore non hanno rivelato alcuna traccia di porta, ma solo ilcompleto rimuovimento dei cumuli di scarico potrà risolvere, al di sotto delle abitazioni sortein età imperiale, il problema dello sbocco occidentale del grande decumano della Via di Nola.”Con queste parole Amedeo Maiuri infatti, augurava un prosieguo delle indagini archeologichein una delle aree più interessanti e nevralgiche per la comprensione della stratigrafia urbani-stica e sociale di Pompei: l’Insula Occidentalis che con lui aveva rivisto la luce.Già il Fiorelli aveva comunque precedentemente intuito l’importanza di tale area per la com-

Amedeo Maiurie gli ultimi scavi nell’area sud-occidentale di Pompei

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prensione urbanistica esistente tra le porte urbiche,quella di Ercolano e della Marina, le mura occidentali,le abitazioni e una delle strade più importanti della città,via di Nola. I dati in suo possesso erano contenuti neidiari di scavo da lui raccolti nella Pompeianarum Anti-quitatum Historia e meglio descritti nella Descrizionedi Pompei che andavano messi in relazione con la car-tografia lasciata dai La Vega tra il 1789 ed il 1809. La stretta fascia urbanizzata sul lato occidentale dellemura, nel tratto compreso fra Porta Ercolano e la Casadi Umbricio Scauro (VII, 16, 12-14), fu infatti indagataa partire dal 1759 in occasione dello sterro operato inquegli anni nella zona compresa tra la Necropoli diPorta Ercolano e l’interno della città. Nell’organizza-zione e prosecuzione degli scavi essa fu destinata aluogo di scarico del materiale di risulta dello sterro, ge-nerando così i cosiddetti “cumuli borbonici” ben visibiliancora nella pianta di Andrea de Jorio del 1839.La pianificazione borbonica dello scavo prima e la suc-cessiva divisione fiorelliana dell’Insula Occidentalis indue regiones, in relazione alla necessità del tempo didare un’organizzazione topografica a tutto quanto rin-venuto con la divisione in nove regiones di tutta la città,compromisero la visione unitaria del complesso resi-denziale all’interno dell’impianto urbanistico, quale ri-sultato di un preciso piano edilizio realizzato in un arcocronologico risalente almeno a partire dal II secolo a.C.Con queste parole infatti il Fiorelli descriveva nel 1875l’Insula Occidentalis: “Entrando nella città dalla PortaErcolanese, si trova a destra. un caseggiato, che disten-desi fino presso alla Porta Marina, ed è poggiato in pen-dio all’agger delle pubbliche mura. Scoperto quasiinteramente negli scavi più antichi, ed interrato poi dopole prime ricerche, esso forma un’isola che ha la fronteaccessibile dalla via, e tiene diruti o sepolti i fabbricatipiù interni posti sul declivio del colle.” riassumendo inpoche righe la storia dell’area lasciando intendere i rap-porti urbanistici intercorrenti tra la strada preesistente(Via Consolare) e le mura di cinta.La storia degli scavi della Casa di Marco Fabio Rufo e

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di tutte quelle dell’Insula Occidentalis, risente così di tutti quegli elementi che hanno caratte-rizzato l’indagine e lo studio di questa parte di città.Infatti, a ben vedere la pianta dei fratelli La Vega, è possibile notare come solo il piano supe-riore fosse stato rilevato, pur se con qualche imperfezione, come ad esempio nella disposizionedell’esedra circolare segnata erroneamente più a sud.Per riportare le dimore alla luce si dové aspettare Amedeo Maiuri che decise di liberare tuttoil fronte ovest della città dai cumuli borbonici.Il Maiuri restaurò immediatamente la casa che mostrò di aver retto bene all’impatto distruttivodell’eruzione, fatta eccezione per l’esedra circolare centrale.Al restauro seguirono le prime pubblicazioni vòlte principalmente ai reperti più importanti,quali le due lastre in vetro-cammeo con tema dionisiaco.La casa fu oggetto, alla fine degli anni settanta, di una nuova campagna di scavo, che portòalla luce il giardino sottostante, comportando una seconda serie di restauri.Nel 1974 fu rinvenuto, nel sottoscala 10 dell’adiacente Casa del Bracciale d’Oro, un anellosigillo con l’iscrizione M. Fab. Ruf. che confermava il nome dell’ultimo proprietario di questeabitazioni come in parte già annotato da Giordano nella lettura dei graffiti presenti sia nellaCasa di Marco Fabio Rufo sia in quella cosiddetta di Maius Castricius.

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Tale complesso architettonico attendeva dunque datempo una pubblicazione che comprendesse l’analisidello sviluppo planimetrico e delle strutture murarieviste in relazione alla decorazione parietale e musiva inrelazione ai dati provenienti dai nuovi scavi in prosecu-zione delle prime ricerche condotte dal Maiuri, ora fi-nalmente editi (cfr. M. Grimaldi (a cura di), Pompeivolume II, La Casa di Marco Fabio Rufo, Napoli 2014).

Regio VII: Porta Marina - Villa Imperiale

Già il Fiorelli, nel 1876, aveva avuto la sensazione chel’area suburbana di questo tratto di città, fosse occupatoda più edifici addossati alle mura: “La moderna via chemena a questa Porta [Porta Marina ndr], passando fra leterre risultate dalle scavazioni dell’anno 1817 e se-guenti, rasenta l’ambito delle vetuste mura, e riescenell’antica strada, che dalla città per un forte decliviodiscendeva alla sottoposta pianura. Inaccessibile ai carri,e lastricata di grandi massi poligoni di pietra vesuviana,questa doveva per lungo tratto esser popolata di case egiardini, che spaziando per le pendici del colle ne rive-stivano le falde di rigogliosa vegetazione. Oggi da que-sto lato tutto è ancora sepolto sotto le ceneri, e di un soloedifizio attiguo alla Porta appariscono poche vestigia,con avanzi di cinque pilastri a sostegno di cenacoli su-periori. A sin. della Porta sta un sedile di fabbrica, al disopra del quale un ozioso incise il nome della meretriceAttica, nonché il prezzo ch’essa metteva alle sue grazie;a dr. vi è un’edicola, in cui si trovò il frammento di unsimulacro di Minerva in terracotta, rappresentante la deatutrice delle Porte di Pompei, in piedi, col braccio in-volto nella clamide ed il pugno nel fianco, poggiandol’altra mano sullo scudo. Poco lungi fu raccolta quellalucerna votiva di oro, che unica finora nella copiosaserie dei sacri arredi, ammirasi fra i monumenti più pre-ziosi del Museo di Napoli… Sembra che dopo costruitala Porta, fossero aggregate ad essa alcune località atti-gue all’agger delle pubbliche mura, dandovi adito daquesto stesso androne e dal pomerio, onde servire di de-posito alle merci provenienti dal mare. Tale almeno ap-

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parisce l’uso di quella cripta, che vi si trova a dr. di chi sale, e che contiene il MUSEO POM-PEIANO, della quale non potrà accertarsi la destinazione, se prima trasportati altrove i mo-numenti che rinchiude, non venga restituita al suo pristino stato.”Così il Fiorelli descrisse l’area di Porta Marina nella sua Descrizione di Pompei, mettendo inevidenza molti dati interessanti.In primo luogo con la frase “La moderna via che mena a questa Porta…” il Fiorelli lasciò in-tendere che l’esterno delle mura appariva in quegli anni ancora occupato dai cumuli di risultadei vecchi scavi borbonici.

In un passo successivo egli fece un esplicito riferimento circa un edificio adiacente a PortaMarina, di cui “appariscono poche vestigia…”; con “pilastri” che dovrebbero essere quellipertinenti al marciapiede porticato che conduceva all’ingresso delle Terme Suburbane, portatoalla luce in anni recenti.Di seguito il Fiorelli descrisse due interessanti rinvenimenti distanti pochi metri l’uno dall’altro“a dr. vi è un’edicola, in cui si trovò il frammento di un simulacro di Minerva... Poco lungi furaccolta quella lucerna votiva di oro…”. Una statua in terracotta di Minerva era posta all’in-terno della nicchia ricavata all’esterno dell’ingresso di quello che oggi sappiamo essere unodegli accessi alla Villa Imperiale, mentre la lucerna d’oro, conservata al Museo Archeologicodi Napoli, fu rinvenuta a distanza di pochi metri. Se infatti si osserva con attenzione la piantadi Pompei redatta dal Fiorelli si noterà che vengono indicati sia il luogo di rinvenimento dellaMinerva sia l’accesso a quella crypta citata in un passo successivo, “quella cripta, che vi si

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trova a dr. di chi sale, e che contiene il MUSEO POM-PEIANO...”.La cripta di cui fa menzione il Fiorelli appare ben do-cumentata nella pianta e consta di una stanza di formaquadrangolare voltata a botte con lucernario nella volta,utilizzata come deposito provvisorio dei reperti degliScavi della città. Lo studioso immaginò anche quale po-tesse essere stata la sua funzione “…di deposito allemerci provenienti dal mare.” Fiorelli citò così anche unaserie di stanze contigue che attraversavano da nord a sudl’area alle spalle delle mura, terminando alle spalle dellaVilla Imperiale. Tali vani appaiono dunque ricavati inuno spazio posto tra il terrazzamento del Tempio di Ve-nere e la linea esterna delle mura in calcare.Nella notte del 25 agosto del 1943 una bomba infatticolpì e distrusse il Museo del Fiorelli. L’edificio fu ri-costruito dopo la guerra e l’area prescelta fu quellapresso le mura occidentali a sud di Porta Marina. La mo-tivazione della scelta fu duplice: da una parte si potevaadagiare il Museo sul terrapieno che si era venuto acreare da questo lato con l’accumulo del terreno di ri-sulta degli scavi precedenti; dall’altra si potevano sfrut-tare a nord il fornice di Porta Marina per l’accesso ed asud alcune murature superstiti, fra le quali senza dubbiole sostruzioni della terrazza del Tempio di Venere. Co-struzioni affioranti dal cumulo degli scarichi erano al-lora ancora visibili, ma non se ne tenne alcun conto,pressati dall’esigenza di dotare gli scavi di un museo,in conformità con il nuovo corso politico dell’avvenuta“Unità d’Italia”. Ancora oggi infatti sono visibili trattidi muratura in opera incerta nel muro di fondo della c.d.Esedra dei Pompeianisti mentre sul retro dell’attualeAntiquarium, che in questa area si è andato a sovrap-porre al precedente edificio del Fiorelli, appaiono trattidi muratura in opera incerta ed in reticolato ed unagrande cisterna.Nel programma di riparazione dei danni di guerra, Ame-deo Maiuri (Soprintendente dal 1924 al 1961) collocòal primo posto la ricostruzione del museo e la sistema-zione dell’ingresso principale di Porta Marina.

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Il nuovo museo o “Antiquarium”, che è quello ancor oggi visibile, fu posto su di una terrazzaartificiale sottoposta al lato ovest della terrazza del Tempio di Venere. Esso, per espressa vo-lontà del Maiuri che non voleva ulteriormente distruggere le soggiacenti antichità, andava ingran parte a sovrapporsi alle fondazioni del vecchio Museo. Infatti la fuga di ambienti nell’assecentrale dell’ingresso da Porta Marina coincideva, salvo qualche modifica, al vecchio stanzoneottocentesco, mentre nuove creazioni erano costituite dall’avancorpo a sud della “Esedra deiPompeianisti” e dalla scalinata di accesso. Costruito dal 1945 al 1947, esso fu inaugurato il13 giugno del 1948.

Nel taglio della scarpata, per edificare la nuova rampa di accesso meridionale, apparvero dalcumulo degli scarichi le imponenti sostruzioni del Tempio di Venere e il tratto occidentaledella cinta muraria di IV-III secolo a.C., mentre in occasione dei lavori per la spianata delnuovo museo e dell’ingresso di Porta Marina apparvero i resti dell’edificio di quella che allorasi ipotizzò come una villa suburbana.Gli scavi ebbero inizio nel dicembre del 1946 e furono proseguiti fino al 17 aprile del 1948,dopodiché si passò a restaurare le pitture. Contemporaneamente a partire dal 1946-1947 Amedeo Maiuri avviò i primi scavi dell’areaesterna alle mura di fortificazione del lato sud-occidentale della città di Pompei, in relazioneal progetto di asportare i cumuli borbonici esterni alla città che in alcune zone, ad esempio laRegio VIII, erano arrivati a occuparne le case.In questo periodo furono scavati anche i fornici dei Granai che insistevano direttamente sullestrutture della Villa ormai abbandonata, all’interno dei quali furono rinvenuti alcuni corpi così

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descritti dal Maiuri “Sotto l’androne a volta che fa oggida ingresso, si era rifugiato durante l’eruzione ungruppo di fuggiaschi e qui se ne rinvennero i corpi conaccanto un gruzzolo di monete e qualche masserizia:uno di essi recava un prezioso anello con un onice fine-mente intagliato d’una figura muliebre.”Lo stesso Maiuri si era posto il problema di quale fossestato il reale impiego di questo edificio denominato dalui “Villa Imperiale”, in base alla splendida decorazionedi III stile, molto vicina stilisticamente a quella dellaFarnesina a Roma, e cosa avesse potuto decretarne l’ab-bandono e la distruzione a favore della realizzazione deigrandi Granai. Egli ipotizzava che questi altro non fos-sero che volte e sostruzioni per la nuova sistemazionedel Tempio di Venere “Ma la villa era in demolizione ele rustiche mura e le volte facevano parte delle gran-diose sostruzioni delle terrazze del soprastante Tempiodi Venere.”.Lo scavo, condotto così dal 1946 al 1948, rivelò infatti,che l’edifico era stato distrutto già durante l’antichità,ma quanto restava bastava a comprendere che ci si tro-vava di fronte ad una delle dimore più belle e sontuosedell’antica Pompei: un’ala di portico di almeno 80metri, la più lunga mai rinvenuta a Pompei, l’ambulatio(c); un salone (A) con maestosi dipinti coperto dallavolta più ampia della città tra cui quelli visibili sulla pa-rete est con un finissimo complesso decorativo in IIIstile; una diaeta (B), un salone fenestrato (C); il tutto in-tercalato da vestiboli, corridoi e giardini. A questi fattoriintrinseci dell’impianto si aggiungeva l’insolita dispo-sizione dell’edificio: il suo ergersi abusivo su suolo de-maniale, a ridosso delle mura urbane, e l’autoritariaoccupazione di una strada pubblica, la Via antiqua, conil terrapieno del giardino antistante al portico.Successivamente nel 1950 fu condotto un saggio di ap-profondimento al di sotto del giardino prospiciente ilportico della Villa, dal quale emerse un tratto della Viaantiqua, obliterata da una grande colmata e tagliata dallacostruzione di una cisterna, che si dipartiva da PortaMarina dirigendosi verso sud lungo un forte pendio.

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Negli anni 1980-1984, nel corso dei lavori di rifacimento dell’attuale Antiquarium, sono statieseguiti degli scavi stratigrafici all’interno dell’edificio museale, sulla terrazza antistante enella “Esedra dei Pompeianisti”, scavi che hanno portato alla luce una serie di cisterne e deipiloni di imposta del piano superiore della Villa.Le cisterne, che mostravano segni di rottura, erano già nel 79 d.C. completamente in disusoe riempite di materiale vario di rifiuto (frammenti di intonaco dipinto, stucchi, ceramiche,pietrame, un pettine in osso etc.) Furono allora riempite n° 28 cassette con intonaci dipinti atinta unita tra i quali sono stati esaminati alcuni con motivi architettonici (molti) e figurati(pochi) in massima parte di III stile.Nel 1992 – 1994 furono condotti altri saggi da parte della Jacobelli nell’area prossima allavia d’accesso a Porta Marina. Dai saggi, che attendono ancora una pubblicazione, si evidenziòl’esistenza di un ulteriore livello abitativo pertinente alla Villa, il terzo, al di sotto di quellopertinente al portico (c).Dal 2004 al 2006 è stata condotta una nuova ricerca nell’area al primo piano della Villa, inrelazione al restauro e ammodernamento dell’Antiquarium di Pompei, volta allo studio dellestrutture ivi presenti che testimoniano gli imponenti lavori di sostruzione resi necessari dalposizionamento urbanistico della villa a ridosso delle mura e i successivi interventi di defun-zionalizzazione dell’edificio con l’abbattimento sistematico dei livelli abitativi.

Mario Grimaldi

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Mai nessuna catastrofe ha procurato ai posteri tanta gioia come quella che seppellì queste città vesuvianeJohann Wolfgang Goethe

Non c'è oggi studioso del mondo classico o del Medi-terraneo antico che non conosca il nome e l'opera diAmedeo Maiuri. A lui ed alla sua instancabile e preziosaopera di programmazione degli scavi e la loro conte-stuale protezione ed edizione, si deve la valorizzazionedell’immenso patrimonio archeologico fino agli inizidel secolo scorso sepolto. E non sembra superfluo ri-cordare che la sua formidabile opera di scavo e la rac-colta di testimonianze di inestimabile valorearcheologico e storico, ha lasciato tracce profonde nelpanorama culturale italiano. Dalla lettura dei sui saggiemerge anche uno stretto legame collaborativo con lagente, con i suoi colleghi e con il mondo della divulga-zione. Non ha lesinato tempo a quanti, incuriositi dallecontinue, inaspettate scoperte pompeiane hanno avutola curiosità di raccontare alla gente comune, l'epocadelle grandi scoperte, aprendo con grande entusiasmoalle telecamere i luoghi più nascosti e i momenti più pri-

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Amedeo Maiuri,una vita per l’archeologia

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vati delle sue ricerche sul campo. I suoi operai ed assistenti hanno conservato un ricordo af-fettuoso di questo garbato signore con la paglietta che seguiva personalmente gli scavi, conun mai mutato entusiasmo. E noi oggi abbiamo quasi la sensazione di rivivere questi istantinelle sbiadite immagini dell'istituto Luce che corredano la mostra. Per tantissimi studenti estudiosi, i luoghi da lui valorizzati evocano preziosi ricordi. Il mio è legato al suo passaggioda Cuma ed alla lettura di Passeggiate Campane, l'affascinante resoconto di lunghi anni 'apasseggio' tra le bellezze storiche e naturali della nostra regione. E' instancabile. Innamoratocom'è della sua Campania, che descrive con la passione dell'artista, la dedizione dello storicoe la precisione dello scienziato. Con la maestria che appartiene ai più abili tra i comunicatori,racconta i personaggi del passato e del presente, in una mescola di reale ed immaginario. Co-lorate figure popolaresche incontrano imperatori romani e poeti d’ogni tempo, regine medioe-vali e ostesse moderne, in quello straordinaria giravolta di mondi trovati e rievocati che, oggicome ieri, popola Napoli e Sorrento, Baia e Cuma, Capua, Nola e le isole Flegree.A questo grande studioso del secolo scorso, oggi la città di Pompei dedica un premio, il nostroauspicio è che sia anche l'occasione per ricordare a quanti hanno la responsabilità della tutelae della valorizzazione dei nostri beni comuni che il patrimonio culturale è una risorsa fragilee va trattata oltre che con rispetto anche con amore.

Laura Del Verme

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Intervista a Vincenzo Sicignano

23 novembre 2014

Verso che età ha conosciuto Maiuri, in quale occasione,quali sono state le sue sensazioni e quale è la sua opi-nione su questo grande studioso?

Era il 26 luglio del 1951, periodo in cui partecipavo aicosiddetti “cantieri di lavoro”, quando un giorno, pressoPorta Anfiteatro, venne Don Amedeo Maiuri alle 7.30del mattino; eravamo un gruppo di cinquanta giovani.Il Professore ci radunò tutti per farci un bel discorso: cidisse che da quel giorno non avremmo cominciato amangiare primo e secondo piatto, ma cominciavamo colmangiare pane e cipolle. – Questo è stato il mio primoincontro con Maiuri. Inizialmente cominciammo a la-vorare nella zona della Regio I dove lo scavo era ancoraeffettuato ricorrendo all’impiego di cazzuola e picconee precisamente, io e altri diciassette ragazzi comin-ciammo lo sterro dalla Casa di Cerere. Successivamente

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Ricordi Pompeiani

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continuammo a lavorare nella Casa del Bell’Impluvio inizialmente considerata di apparte-nenza della Regio II, Insula I e solo in seguito attribuita alla Regio I. Pertanto, fino al 1953 io ho partecipato a tre cantieri di lavoro; successivamente, sempre ri-manendo nell’ambito degli scavi, ho lavorato nella zona della Necropoli di Porta Nocera.Tutto ciò avveniva sempre sotto la soprintendenza di Maiuri! Solo in seguito, nel 1953, es-sendo venuto a lavorare a Pompei anche il Prof. Carlo Giordano, allievo di Maiuri assuntodall’Amministrazione Regionale, ebbi la possibilità di entrare a stretto contatto e per lungotempo con Don Amedeo che incontrai per l’ultima volta nell’aprile del 1962, cioè dopo cinquemesi che ero stato collocato in quiescenza, quando dallo scavo dell’Insula Occidentalis emerseuna volta con una magnifica Medusa.

Don Vincenzo com’era Maiuri con i suoi collaboratori e che opinione ha lei di Maiuri comesoprintendente?

Maiuri aveva una cerchia di collaboratori molto limitata, però, per quello che ne so io, spe-cialmente a Pompei godeva di grande stima Alfonso D’Avino, che è stato per tanti anni il suovalido assistente, tant’è vero che viene citato anche nel libro del Professore L’ultima fase edi-lizia a Pompei.Secondo il mio modesto giudizio Maiuri aveva una visione immensa non solo di Pompei madi tutto il territorio campano con i suoi scavi avendo cominciato la propria attività lavorativanel 1915 quando, ispettore a Rodi, provvide alla ristrutturazione del “Palazzo dei Cavalieri”con annesso il grande Museo. Quanto all’opinione che avevano gli altri pompeianisti, qui en-triamo nel difficile perché la concorrenza era tanta: c’era la Scuola di Bianchi Bandinelli, lealtre scuole… quindi ognuno aveva una visione propria…

Ricorda una domenica trascorsa con Maiuri allo scavo?

Maiuri veniva molto spesso la domenica a Pompei per fare il giro dei vari funzionari e per acqui-sire notizie. Quando giungeva don Amedeo, il Prof. Giordano gli regalava sempre delle caramelle.Una volta Giordano non venne e dopo avermi annunciato la visita di Maiuri, si raccomandò diportargli le caramelle – io mi misi a disposizione. Lo vidi ancora quando vennero alla luce i novecorpi di cui poi furono fatti i calchi; erano in fila indiana sulla parte alta del futuro Orto dei fug-giaschi. Uno di questi appariva rannicchiato e portava con sé una borsa, accessorio che consentìal Maiuri di identificare quell’uomo come “mendicante”. L’unico calco collocato esattamentedove fu rinvenuto il corpo, è quello uscendo da Porta Nocera.Non ho mai visto allo scavo la figlia Bianca che all’epoca lavorava al Museo Nazionale di Napoli.Invece su una foto del 1932 compare la prima figlia Ada che, se non sbaglio, sposò un noto Pro-fessore universitario, un veterinario; entrambi morirono presto, dopo la guerra.

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Intervista Giuseppe Lindinerro

28 febbraio 2015

Quand’è che ha conosciuto Maiuri e qual era il suoruolo all’interno del sito archeologico di Pompei?

Ho conosciuto Maiuri quand’ero bambino, all’incircaverso il 1938 - 40, perché mio padre aveva ottenuto pro-prio dal Professore un alloggio nella Casina dell’Aquilaall’interno degli scavi di Pompei. Più o meno verso iquattro anni quindi, con mio padre ovviamente, andaiad abitare all’interno del sito. All’epoca ero troppo pic-colo per rendermi conto di dove mi trovassi. Ricordo lacasa dove don Amedeo veniva a soggiornare soprattuttoin estate; si trattava di una residenza situata nella zonadi Porta Stabia, una di quelle abitazioni attualmente di-sabitate. Lì vicino abitava anche il Professore GiuseppeSpano ed in seguito vi andò ad abitare, in un altro ap-partamento, anche Stefano De Caro. Da casa mia ve-devo la finestra dell’abitazione di Maiuri ed ogni seraquando mio padre vedeva quest’ultima illuminarsiesclamava: “E’ venuto il Professore”... Essendo io bam-bino, come avevano fatto anche le figlie di Maiuri (loracconta Bianca Maiuri nella Danza dei serpenti), an-davo a giocare nella zona dei teatri con qualche altroamichetto, eravamo in pochi e lì vedevo passare il Pro-fessore che per me era una persona come un’altra.Nel momento in cui intrapresi gli studi, iniziai ad avererispetto per quest’uomo (allora l’archeologo era una fi-gura eccezionale e poi era noto a chiunque). Don Ame-deo in quel periodo lo ricordo come “capomastro” datoche intorno a lui girava tutta la vita degli scavi di Pom-pei: s’interessava di ogni aspetto, curava il rapporto coni suoi dipendenti (tra cui c’era anche mio padre); avevapoi delle persone di fiducia a cui affidava compiti par-ticolari. Era un uomo aperto, umano, comprensivo delleesigenze di chiunque e la vita andava avanti così... Cu-rava personalmente lo scavo e il restauro e si arrabbiavaquando per esempio un architrave era più spesso o menospesso del previsto (come avvenne nella Casa dei Quat-

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Premio Internazionale Amedeo Maiuri

tro Stili che quando io ero bambino era ancora in fase di scavo). Maiuri era nella vita diognuno di noi...Con la guerra il Professore, sempre presente, per salvare la maggior quantità di materiali sipremurò di trasferirli a Cassino (ricordo anche il nome dei due custodi che andarono a tutelarequesto patrimonio di Pompei: un signore che si chiamava Giovanni Racise e un altro, giova-nissimo, Troschi …). L’attenzione era ormai sugli orrori della guerra e Maiuri aveva provve-duto a rimuovere dalle case di Pompei tutti quegli oggetti che avrebbe invece volutoconservare in loco (aveva creato una bella vetrina nella Casa del Menandro, aveva lasciatogli oggetti sul banco di vendita del termopolio di Asellina, aveva conservato anche vasi dibronzo e vari oggetti osceni tra cui la famosa lucerna fallica con i campanelli nella bottega diVerus)... Tutto ci si aspettava fuorché le bombe su Pompei, invece nel mese di settembre unbombardamento colpì tutta la zona di Porta Marina e centrò in pieno il vecchio Museo co-struito dal Fiorelli. Ricordo che una notte il povero Professore, uscito dalla sua casa di PortaStabia, raggiunse la nostra abitazione presso la Casina dell’Aquila per darci conforto. Ne parlalui stesso quando racconta che nel momento in cui venivano sparati i razzi luminosi, pressola Casina dell’Aquila sembrava mezzogiorno... Maiuri venne anche ferito ad una gamba. Passata la guerra i danni su Pompei furono incalcolabili e coprivano l’intera area; la via del-l’Abbondanza sembrava reduce da un terremoto, tutte le facciate delle case erano da conso-lidare, i vetri che proteggevano le iscrizioni elettorali erano in frantumi... insomma era unvero disastro... Ciononostante don Amedeo si mise subito all’opera per cercare di recuperareattraverso operazioni di restauro tutto quanto era possibile; oggi si criticano molte volte taliinterventi apportati frettolosamente però bisogna tenere conto che allora i fondi erano scar-sissimi e che per certi restauri si ricorreva alle maestranze di cui disponeva l’Amministrazione.Eppure si portarono a termine grandissime opere di recupero. Tra i più importanti interventiricordo che si rialzò tutto il colonnato della Casa di Epidio Rufo dove l’atrio corinzio a sedicicolonne era tutto in frantumi per terra...Io intanto conseguii la maturità classica, anche in condizioni tragiche vista la morte di miopadre e la miseria che rendeva per me l’Università un faro irraggiungibile. In quel periodo, sempre per interessamento di don Amedeo, iniziarono dei lavori sfruttando ifondi per la Cassa per il Mezzogiorno che, tra gli altri interventi, videro la bonifica degli Ortidi Schito, tra Pompei e Castellammare, attraverso l’impiego del terreno accumulato tutto in-torno alle fortificazioni. Maiuri si interessò sempre anche dalla nuova Pompei e s’impegnòaffinché si sistemasse la zona tra la nuova e la vecchia Pompei, perciò fece aprire la piazzadell’Anfiteatro dove c’erano ancora grossi cumuli di terra ai lati della strada che il Professoreprovvide a far rimuovere.Io continuavo ad aver bisogno di lavorare ed avendo raggiunto il diciottesimo anno di età,mia madre si rivolse a Maiuri chiedendogli se potesse farmi lavorare all’interno degli scavi.Il Professore conoscendomi come figlio di Lindinerro e come persona troppo “fine” non miriteneva adatto a fare il manovale, unica figura che all’epoca poteva permettersi di assumere,ma io nonostante tutto accettai l’impiego di operaio.

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Dopo un mese di incarichi vari fui messo nell’ufficiotecnico e registravo tutti i materiali provenienti dalloscavo. Si trattava di una massa enorme di oggetti ma suireperti pregevoli interveniva direttamente Maiuri.Quindi intrapresi un lavoro che per me era bellissimo efu proprio in quel momento che “m’infettai dell’archeo-logia”...Mi iscrissi all’Università e se prima ero intenzionato adintraprendere studi giuridici, cambiai idea e scelsi la fa-coltà di Lettere dove già allora erano previsti sia inse-gnamenti obbligatori che facoltativi. Tra questi ultimic’era l’esame di Maiuri “Antichità pompeiane” che na-turalmente sostenni. Ad esaminarmi furono Maiuristesso e il suo assistente Giovano Oscar Onorato. L’in-terrogazione andò benissimo (presi 30 e lode e lo dicocon tutta modestia). Dopo gli esami continuai ad incontrare il Professore,sempre col suo bastone ed il suo blocchetto per prenderenota sullo svolgimento dei lavori che io andavo spessoa curiosare, magari anche di nascosto. Con don Amedeoormai non avevo più rapporti, ma continuavamo ad in-crociarci e a salutarci. Ricordo che una volta lo incontrainella Casa dei Vettii. Lui era lì con degli ospiti mentreio ero impegnato a far da guida ad alcune persone. Iofeci il gesto di volermi fermare per dargli spazio ma luinon intese interrompermi.Questa era la gentilezza la si-gnorilità e la correttezza di Maiuri. Era un uomo digrande umanità, ma una Humanitas antica banalizzatacon il termine di umanità attuale che non riesce ad espri-mere quel senso così profondo e morale intrinseco neltermine latino. Venni a conoscenza del pensionamento del Professorequando un giorno mi recai con un amico interessato adei lavori con la Soprintendenza, presso il Museo Na-zionale dove ancora si pagava la quota per gli “Amicidi Pompei”. Lì incontrammo Maiuri guardato ormai conastio essendo giudicato come accentratore, che chieseal mio amico di avere un passaggio per fare ritorno aPompei. Durante il tragitto Don Amedeo mi chiesecome andassero le cose nel sito. Io lo informai che co-

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minciavano a chiudere tutte le case e che si stavano portando via gli ultimi materiali rimastisul posto, tipo statuette di marmo, dato che erano sempre più frequenti i furti. A tal propositoMaiuri pronunciò una frase che mi è rimasta impressa: “più si chiudono le case più si dan-neggiano”.Quando seppi della morte di Maiuri, e non potei fare altro che andare ai funerali. Ricordo ilferetro che passò dal Museo Nazionale e arrivo all’Università dove si assiepava una follaenorme e dove ricevette l’elogio funebre di Domenico Mustilli, Professore di Archeologia.

Quant’è cambiata la Pompei antica di cui Maiuri aveva una visione romantica rispetto adoggi?

Maiuri teneva principalmente a far conoscere il mondo antico e badava soprattutto alla divul-gazione dell’antichità, forse anche per questo venne accusato di fascismo. Preferiva circondarsi di gente comune e difficilmente lo si vedeva passeggiare negli scavi conun Ispettore; andava da solo e si faceva accompagnare o dal tecnico dei lavori AlfonsoD’Avino o addirittura dai capomastri incaricati dei lavori di restauro...Amava stabilire un rapporto diretto con gli operatori non con i ricercatori da tavolino ai qualicomunque consentiva di svolgere le loro ricerche. Ciò urtava la sensibilità degli Ispettori cheavrebbero voluto essere i collaboratori diretti e che avrebbero dovuto affiancarlo in queste vi-site. Invece, quando la domenica don Amedeo veniva a Pompei, ad aspettarlo all’ingressodegli scavi c’era proprio il suddetto Alfonso D’Avino il quale lo accompagnava per tutto iltragitto. Io stesso, persona comune, ricevetti l’incarico di fare una ricognizione di tutti i portalisormontati dai capitelli quadrati a riprova del fatto che Maiuri preferiva istaurare un rapportodiretto con le persone più umili, amava che la gente s’interessasse e conoscesse il mondo an-tico. Per tale motivo sosteneva che chiudere le case di Pompei significava farle andare incontroad un inesorabile destino e ne impedisse la conoscenza e la fruizione futura. A confermarequeste sue teorie c’era il fatto che il Professore in occasione dell’organizzazione degli spet-tacoli all’interno del Teatro Grande, otteneva sempre dalla compagnia teatrale che la provagenerale fosse aperta al pubblico. Grazie a questo, tutti quanti noi, compreso me, i tecnici, glioperai, i custodi, i contadini... ci recavamo con le nostre famiglie a vedere le rappresentazioni...magari andavamo a vedere Sofocle... Maiuri riteneva che questo contatto diretto con la gentefosse fondamentale! Il Professore aveva un suo personalissimo legame con la città di Pompei,cosa di cui i Pompeiani sembrano essersi dimenticati, voleva che la cittadina si sviluppasseintorno agli scavi, che potesse accogliere il turismo e poterne beneficiare.La decadenza di Pompei ebbe inizio proprio nel momento in cui Maiuri andò via, cioè quandosi cominciarono a fare le cose burocraticamente e scomparve quel rapporto amorevole delfunzionario di alto livello con il monumento. Poi subentrarono questioni sindacali e venne amancare quella classe operaia che con Maiuri poteva cominciare la carriera con semplici lavorimanuali ma che poi andava specializzandosi sempre di più, cresceva di livello e poteva arric-chirsi, comunque apportando dei contributi allo scavo.

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Ci sono dei lavori svolti da Raffaele Oliva che ufficial-mente, in origine, era un semplice operaio; oppure possocitare il disegno del mappamondo di Stabia fatto dal DeVivo che era un analfabeta e lavorava presso l’ingressodella Caserma dei Gladiatori dove in precedenza c’erala Cappella di S. Paolino. Quindi era tutto un altromondo, una gestione che sapeva sfruttare le capacità,l’amore, gli interessi, a differenza di oggi dove tutto èburocratizzato e pertanto sterile. È questo che manca!

Fabiana Fuschino

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Sommario

Presentazione pag. 3

Amedeo Maiuri da Rodi a Pompei pag. 5

Il fondo Amedeo Maiuri pag 12

L'attività di Maiuri attraverso i suoi scritti pag. 18

Amedeo Maiuri e gli ultimi scavinell’area sud-occidentale di Pompei pag 22

Amedeo Maiuri, una vita per l’archeologia pag 31

Ricordi Pompeiani pag. 33

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