Cosa sono i Nanorods? E a cosa servono? - unive.it · da essa e trasformato in onde...
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Cosa sono i Nanorods? E a cosa servono?
Con tale termine siamo soliti identificare nanofibre molecolari o strutture cristalline di dimensioni
inferiori ai 100 nanometri con caratteristiche peculiari che è possibile sfruttare, attraverso
particolari processi di lavorazione, anche alla macroscala. La principale caratteristica di un
materiale nanostrutturato è il fatto di essere progettato e modificato nella sua nanostruttura al fine
di ottenere un preciso insieme di prestazioni, generalmente superiori o comunque non assimilabili a
quelle esibite dai materiali convenzionali. Le proprietà peculiari di tali materiali risiedono proprio
nelle caratteristiche delle nanostrutture. Al di sotto dei 100 nm, infatti la percentuale di atomi di
superficie di un corpo diventa sempre più significativa fino a predominare su quella degli atomi
interni quando la dimensione è assai prossima al nanometro. Alla nanoscala gli oggetti sono inoltre
in grado di cambiare colore, forma e fase molto più facilmente che alla macroscala. Proprietà
fondamentali come resistenza meccanica, rapporto tra superficie e massa, conduttività ed elasticità
possono essere progettate per creare nuove classi di materiali.
In generale è possibile dividere i nanorods in due grandi famiglie: i nanotubi a parete singola
(single-walled nanotubes, o SWNT) e i nanotubi a parete multipla (multi-walled nanotubes, o
MWNT).
Come sintetizzare nanofibre di nichel
Abbiamo appreso ciò grazie al progetto “Settimana della scienza dei materiali”, organizzato
dall’università Ca’Foscari di Venezia in collaborazione con il Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci
di Treviso, a cui abbiamo avuto l’ onore di partecipare assieme ad alunni provenienti da scuole
dell’intera regione Venete.
L’attività si è svolta nell’arco di due giornate, la prima tenutasi nel laboratorio di chimica del
Leonardo Da Vinci con la realizzazione di una membrana di policarbonato nei cui pori, in seguito a
vari procedimenti, sono state intrappolate nanofibre di nichel. Nella seconda la suddetta membrana
è stata portata alla sede di Mestre dell’Università Ca’Foscari per l’analisi al SEM.
L’esperimento: la prima giornata
Fissato un pezzetto di parafilm su un supporto di plexiglas rettangolare con dello scotch, e presa
una membrana di policarbonato, ne abbiamo appoggiata la faccia lucida sul parafilm per
proteggerla, esponendo così quella opaca, cercando inoltre di evitare la formazione di bolle d’aria.
In seguito abbiamo preparato 100 ml di soluzione di SnCl2 2H2O 3mM da una soluzione di 0,3 M
dello stesso sale per la sensibilizzazione della membrana, ovvero per renderla conducibile.
Abbiamo poi immerso la membrana fissata sul supporto di plexiglas nella suddetta soluzione di
sensibilizzazione di cloruro di stagno per 45 minuti e mentre questa veniva trattata per il processo
di argentatura è stato preparato il reattivo di Tollens utilizzando nell’ordine 1,25g di AgNO3 in
25ml di acqua distillata, 1,25g di NaOH in 12,5ml e 12,5 ml di NH4OH al 10%.
Abbiamo così ottenuto una sospensione quasi limpida preparando nel frattempouna soluzione di
glucosio, sciogliendone 1,8g in 100ml. Trascorsi i fatidici 45 minuti abbiamo sciacquato la
membrana di policarbonato con acqua distillata e successivamente la abbiamo immersa nel reattivo
di Tollens per 10 minuti in un cristallizzatore. Quindi abbiamo aggiunto 75ml di soluzione di
glucosio, agitato la soluzione per un minuto circa, finché sulle pareti del cristallizzatore non si è
formato uno specchio argentato, e poi abbiamo preparato la membrana per il processo elettrolitico:
l’abbiamo lavata accuratamente con acqua distillata, rimossa delicatamente dal supporto di
plexiglas e dal parafilm, verificando che l’argentatura interessi un solo lato e appoggiata su un
supporto di vetro. A questo punto abbiamo montato una cella elettrochimica posta su un pezzo di
legno isolante. Il catodo era rappresentato dalla membrana con il lato argentato a contatto con una
lastra in ottone. L’anodo invece consisteva in un filo di nichel avvolto a spirale. Altre parti
costitutive di essa erano un cilindro cavo contenente la membrana sopraccitata e la soluzione di
nichelatura. Per far funzionare il tutto è stato necessario utilizzare una pila da 1,5V e un supporto
per essa. A questo punto abbiamo immerso nella soluzione, prestando particolare attenzione, il filo
arrotolato di nichel, in modo tale che questo non venisse a contatto con le pareti della cella
pescando nello stesso tempo nella soluzione di nichelatura. Dopo aver predisposto lo strumento,
abbiamo fatto procedere l’elettrodeposizione per 10 minuti ottenendo così la deposizione del nichel
al catodo, tramite un processo di riduzione, e all’anodo l’ossidazione del filo con la restituzione
degli ioni Ni++ alla soluzione. A processo elettrochimico avvenuto, e dopo aver smontato la cella e
rimosso delicatamente la membrana, l’abbiamo posta su un supporto di vetro, non prima di averla
sciacquata accuratamente con acqua distillata. È poi seguita l’operazione del Peeling, una vera e
propria “ceretta” per rimuovere sia il film di nichel che quello d’argento depositato in superficie,
tramite un accurato e delicato utilizzo di scotch. La membrana, che conteneva le nanofibre
all’interno dei suoi pori era così pronta per la preparazione del campione da analizzare nella
giornata seguente al microscopio elettronico a scansione (SEM). Per essere trasportata nel modo
più sicuro all’università delle scienze dei materiali, dove poi avremmo continuato l’esperimento, la
membrana è stata conservata all’interno di una capsula Petri.
L’esperimento: la seconda giornata
Nel laboratorio della facoltà, con l’aiuto di due tecnici, per prima cosa abbiamo sezionato la
membrana per poterla utilizzare al meglio individuando le zone libere da materiali superflui. In
seguito abbiamo messo questi frammenti in una soluzione di dicloruro metano finché quest’ultima
non ha raggiunto un livello di poco superiore ad essi, filtrando così l’ingente quantità di fibre. Poi
abbiamo inserito un’ancoretta magnetica nella soluzione affinché nell’arco di 5 minuti le attirasse a
sé. Durante questo processo abbiamo riempito un altro becker di acqua distillata fino a 10 ml. Dopo
aver prelevato l’ancoretta l’abbiamo posta nel contenitore di acqua distillata in seguito inserito in
una vaschetta a ultrasuoni in modo tale che le fibre si staccassero dall’ancoretta, poi eliminata, e si
disperdessero in soluzione. Cercando poi di creare una situazione di vuoto attraverso l’utilizzo di
un contenitore alla cui estremità superiore vi era un filtro a base di silice microporosa su cui
abbiamo posizionato una nuova membrana appoggiandola con la parte lucida verso l’alto, e
servendoci di un piccolo imbuto, abbiamo svuotato la soluzione di acqua distillata contenente le
fibre che sono andate poi a raccogliersi sulla nuova membrana grazie alla filtrazione a vuoto.
Abbiamo dunque prelevato la membrana dal filtro e collocatala su un vetrino concavo l’abbiamo
riscaldata su una piastra affinché evaporassero i residui d’acqua. Concluso anche questo
procedimento, abbiamo posto la membrana riscaldata su un piano di vetro per preparare i
campioni per il SEM e quindi abbiamo tagliato una fascia larga 1 cm che poi è stata incollata grazie
ad un biadesivo al centro di uno “stab” ovvero un piccolo cilindro di carbonio eliminando le parti
in eccesso di membrana.
Il SEM funziona sparando un flusso di elettroni sulla superficie da analizzare che poi viene respinto
da essa e trasformato in onde elettromagnetiche, la cui lunghezza d’onda permette la visione da
parte dell’occhio umano, formando così un’immagine in bianco e nero. In base alla frequenza della
repulsione si capiscono gli elementi costitutivi del campione in analisi. Poiché lo STAB e pure la
membrana sono composti di carbonio e quindi non sono conduttori di flussi di elettroni bisogna
ricoprire il campione d’oro, rendendola così conducibile. Tale procedimento prende il nome di
“sputtering”.
Il tecnico ha inserito lo stab in un contenitore al cui interno vi erano un blocco d’oro, un foro
tramite il quale entrava Argon e un piccolo circuito elettrico. Inizialmente è stato creato il vuoto
portando la pressione a 8-6 -1 Pascal. È stata poi attivata una corrente elettrica di intensità 18 mA.
Essendo l’Argon un gas nobile, ovvero dotato di maggiore stabilità poiché possiede un ottetto
completo, l’elettrodo positivo del circuito ne ha catturato un elettrone, ionizzando l’Argon, a sua
volta attratto dal elettrodo negativo rappresentato dal blocco d’oro posto in alto nel contenitore. Ha
ricompletato l’ottetto prendendo un elettrone dall’oro e, diventato più pesante, è caduto ricoprendo
la membrana d’oro. In questo modo lo stab era pronto per la scansione al SEM.
livelli del nichel e di altri metalli presenti nei frammenti da noi sintetizzati
rilevati grazie all’uso del microscopio elettronico a scansione
Cos’è il microscopio elettronico a scansione (SEM)?
Nel microscopio elettronico a scansione (o SEM - Scanning
Electron Microscope) un fascio di elettroni colpisce il
campione che si vuole osservare. al campione vengono emesse
numerose particelle fra le quali gli elettroni secondari. Questi
elettroni vengono rilevati da uno speciale rivelatore e
convertiti in impulsi elettrici. Il fascio non è fisso ma viene
fatto scandire: viene cioè fatto passare sul campione in una
zona rettangolare, riga per riga, in sequenza. Il segnale degli
elettroni secondari viene mandato ad uno schermo (un
monitor) dove viene eseguita una scansione analoga. Il
risultato è un'immagine in bianco e nero che ha
caratteristiche simili a quelle di una normale immagine
fotografica. Per questa ragione le immagini SEM sono
immediatamente intelligibili ed intuitive da comprendere. Il
potere di risoluzione di un normale microscopio elettronico
SEM a catodo di tungsteno si aggira intorno ai 5 nm. L’
immagine SEM ha un'elevata profondità di campo. Il
campione è sotto alto vuoto (10-5 Torr) poiché l'aria
impedirebbe la produzione del fascio (data la bassa energia
degli elettroni), e deve essere conduttivo (oppure
metallizzato), altrimenti produce cariche elettrostatiche che
disturbano la rivelazione dei secondari.