Corso Lucia, Precedente, fonti del diritto e teorie dell'interpretazione giudiziale
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Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
dell’Università Kore di Enna
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PRECEDENTE, FONTI DEL DIRITTO E TEORIE
DELL’INTERPRETAZIONE GIUDIZIALE
Lucia Corso Professore Associato di Filosofia del Diritto nell’Università Kore di Enna
ABSTRACT:: Muovendo dalla costatazione di una scollatura fra l’ideologia delle fonti statalista e la
percezione diffusa della forza innovatrice del diritto giudiziale, il saggio analizza il concetto di
precedente e le sue implicazioni non solo teoriche e pratico generali e per i principi costituzionali
PAROLE CHIAVE: Precedente, Autorità, Libero convincimento, Legalità
1. Lo stato dell’arte in Italia
Qualsiasi studente di primo anno della facoltà di legge sa che fra le fonti del diritto non
vi è la giurisprudenza che non è menzionata né all’art. 1 delle preleggi (dove compaiono solo
le leggi, i regolamenti e gli usi), né nella Costituzione, dove al contrario si afferma che il
giudice è sottoposto soltanto alla legge (art. 101, comma 2). La dogmatica comparatistica poi
insegna che la principale differenza fra sistemi di common law e sistemi di civil law attiene
proprio alla collocazione della giurisprudenza nel sistema delle fonti: presente nei primi e
assente nei secondi.
Tuttavia, ogni Avvocato è ben consapevole che se può contare su un precedente
favorevole, la strada sarà in discesa; così come i giudici di rado prescindono dai casi pregressi
per decidere il caso presente. I manuali di diritto sono ricchi di richiami a pronunce
giudiziarie ed alcune materie sarebbero incomprensibili se non a partire dalle regole e dai
principi introdotti dalla giurisprudenza (si pensi alle figure dell’eccesso di potere nel diritto
amministrativo; ma anche a larghe porzioni del diritto civile e commerciale).
A complicare le cose, si è aggiunto il legislatore che, prima con la riforma del processo
civile e poi con quella del processo amministrativo, ha introdotto alcuni principi che
sembrano rafforzare la vincolatività del precedente giudiziario.
L’art. 99 terzo comma del dlg.vo 104/2010 che ha modificato il processo
amministrativo attribuisce un ruolo speciale all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. La
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disposizione citata recita che qualora la sezione a cui è assegnato un ricorso ritenga di non
condividere il principio di diritto assegnato all’Adunanza Plenaria, rimette a quest’ultima, con
ordinanza motivata, la decisione del ricorso. L’Adunanza Plenaria, investita del ricorso, può
decidere l’intera controversia, salvo che “ritenga di enunciare il principio di diritto e di
restituire il giudizio alla sezione remittente”. L’ultimo comma dell’art. 99 attribuisce
all’Adunanza Plenaria la facoltà di enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge
anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile, o improcedibile ovvero dichiara
l’estinzione del giudizio. Facoltà che può essere esercitata se il Collegio ritiene che la
questione è di particolare importanza1.
Simili considerazioni si applicano al processo civile. Gli artt. 363 e 374 c.p.c., come
modificati dal d.lgs. n. 40/2006 prevedono un meccanismo pressoché identico, mentre l’art.
360-bis stabilisce un filtro di inammissibilità qualora il ricorso sia in contrasto con un
principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite. Simile filtro è stato previsto per i processi di
appello.
In dottrina si discute se le disposizioni processuali sopracitate abbiano introdotto il
principio della vincolatività del precedente anche in Italia: se cioè abbiano modificato il
sistema delle fonti, alterato alcuni principi processuali come quello del libero convincimento
del giudice e addirittura modificato l’assetto costituzionale della separazione dei poteri. A
prescindere dalla risposta che si dà alle questioni, le novità legislative hanno sollecitato un
vivo dibattito sul ruolo del precedente che eccede i confini della procedura ed investe
questioni anche di teoria e di politica del diritto.
2. Qualche definizione preliminare
Partiamo dalla teoria. Del precedente si possono dare due accezioni. In un primo caso, il
precedente giudiziario è una decisione presa da un tribunale precedente che tuttavia, sotto
aspetti rilevanti (fatti, parti coinvolte), presenta forti similitudini con il caso istante. Il
precedente verosimilmente eserciterà una forte influenza sul caso istante e l’avvocato che può
1 PESCE, L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ed il vincolo del precedente, Napoli, 2012, pp-32-33.
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servirsene acquisirà un certo ottimismo. Secondo questa prima accezione il ragionamento
sulla base del precedente ha una forte connotazione casistica e contestuale (case by case) in
cui l’argomento rilevante non risiede tanto nell’esistenza di una pronuncia di un tribunale
precedente (magari di grado superiore), ma nella forte similitudine (o addirittura) nell’identità
delle fattispecie da trattare. Si tratta in sostanza di una forma più marcata – per la ampiezza
delle somiglianze – di analogia. Il ragionamento sulla base del precedente sarà un caso
particolare del ragionamento analogico2. Offre una buona carta nelle mani di chi può
invocarlo, ma nulla di più. In questa prima accezione, infatti, il vincolo del precedente va
inteso in senso debole. Il secondo giudice, quello del caso istante, applicherà le conclusioni
espresse nel caso precedente perché le riterrà un puntello adeguato ed efficace della propria
decisione. La decisione tuttavia è presa anche sulla base di altre argomentazioni, ad esempio
le norme di legge, altre forme di argomentazione e può capitare che il giudice del caso istante
ignori il precedente ovvero se ne discosti. In altri termini, il precedente è una ragione fra le
altre, ovvero un regola defettibile che non è detto che prevalga.
In questa prima accezione il precedente non viene identificato con una regola di diritto
destinata a valere per i casi generali e contenuta nel dispositivo della sentenza precedente (ad
es: gli interessi legittimi sono risarcibili), ma piuttosto con la motivazione offerta dal giudice
del precedente. Il precedente non coincide con il ruling, per dirla nel gergo anglosassone, ma
con la motivazione. In questa prima accezione il precedente non è la regola che il giudice
successivo deve seguire, ma è piuttosto un’argomentazione a cui si può fare rinvio. Come
sostengono PERRY e MOORE, LA regola del precedente non vincola in quanto tale ma solo in
quanto essa è posta alla base della motivazione – giustificazione della decisione3.
La seconda accezione è più radicale. Il precedente è una decisione di un tribunale che ha
un particolare significato giuridico. Il significato risiede nel fatto che la decisione della corte
ha un’autorità non solo teorica ma anche pratica sul contenuto del diritto. Avere un’autorità
2 TRUJILLO, Il ragionamento giuridico, tra autorità e ragioni. Un approccio filosofico-giuridico al valore del
precedente, in La Magistratura, 3 e 4, 2010, pp. 104-112. 3 PERRY, Judicial Obligation, Precedent and the Common Law, in Oxford Journal of Legal Studies 7, 1987, pp.
215–257; MOORE, Precedent, Induction, and Ethical Generalization, in GOLDSTEIN, ed., Precedent in Law,
Oxford, 1987.
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pratica significa nel gergo dei filosofi morali e dei filosofi del diritto, fare la differenza. E
cioè x ha un’autorità pratica per Y, se Y agisce sulla base – e solo sulla base – della ragione
fornita da X4. Per dirla con RAZ, il precedente è vincolante nella misura in cui prevale
(preempts) su tutti gli altri argomenti, ivi inclusi gli argomenti contrari (ad esempio, il
precedente porta ad una decisione scorretta o ingiusta).
Ora, questa accezione di precedente è molto più ambiziosa della prima. Il precedente
non è solo uno strumento retorico di ausilio all’avvocato o al giudice, ma è piuttosto la
ragione fondamentale, ovvero l’unica ragione, per cui la decisione successiva deve essere
presa.
Dice SCHAUER: “Una decisione ha un’autorità teoretica se le circostanze al ricorrere
delle quali è stata presa (l’identità del decisore, degli avvocati, delle prove disponibili) offre
buoni argomenti per ritenere che la decisione sia corretta dal punto di vista giuridico. Se vi
sono buone ragioni per ritenere che il caso precedente è stato deciso in modo corretto, e se i
fatti del caso successivo presentano delle somiglianze rilevanti al caso precedente, allora ci
sono buone ragioni per ritenere che il caso successivo possa essere deciso correttamente
seguendo la medesima conclusione. In alcuni sistemi giuridici le decisioni precedenti sono
ufficialmente trattate in questo modo: i casi sono citati negli atti di giudizio, ma le corti
possono giustificare le proprie conclusioni facendo rinvio ad altre fonti normative – tipo la
legge e non dunque semplicemente alla regola del precedente. Ne segue che la decisione del
primo caso non è mai la giustificazione ultima del secondo caso, ne è al più un supporto o un
ausilio”5.
SCHAUER tuttavia sostiene che non è questa la vera definizione del precedente. Il
precedente piuttosto ha un’autorità pratica sui casi successivi. Il precedente ha autorità
pragmatica perché è parte del diritto. Non si limita ad offrire un sostegno al caso istante
corroborando la tesi di un nuovo giudice ma fornisce la ragione della decisione successiva.
4 RAZ, The Authority of Law. Essays on Law and Morality, Oxford 1979; VIOLA, Autorità e ordine del diritto,
Torino, 1987. 5 SCHAUER, Why Precedent in Law (and Elsewhere) is Not Totally (or Even Substantially) About Analogy, in
Faculty Research Working Papers, Harvard University, 2007.
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SCHAUER pone la questione in termini radicali: il principio di diritto enunciato nel precedente
è vincolante solo perché è stato deciso da una corte precedente (verosimilmente di grado
superiore). Ecco il modo di argomentare di SCHAUER: il diritto è ciò che ha detto la corte
perché lo ha detto la corte. Siccome le corti sono vincolate ad applicare la legge e siccome le
decisioni precedenti costituiscono legge allora le corti successive sono vincolate dalle
decisioni dei casi precedenti. Questa è la dottrina del precedente o stare decisis.
In questa seconda accezione il precedente non è un argomento di tipo di logico, ma è un
argomento di autorità6. Anzi, dice SCHAUER, può talvolta essere un argomento illogico, una
fallacia. E’ come se il giudice del caso istante dicesse: “io non sono d’accordo, e a mio avviso
la decisione sarebbe dovuta essere diversa, ma siccome c’è un precedente non possono non
decidere conformemente ad esso”. L’esempio tipico di questo modo di ragionare SCHAUER lo
rinviene nelle decisioni della Corte Suprema americana. Può capitare infatti che un giudice
che in un caso ha manifestato il proprio dissenso alla decisione di maggioranza, nel caso
successivo, una volta che la decisione è diventata appunto un precedente, si discosta dal
proprio dissenso per far valere la regola del precedente.
Per spiegare il modo radicale del funzionamento del precedente, SCHAUER distingue fra
l’imparare dal passato, e l’obbedire al passato. Se io faccio bollire l’uovo per sei minuti e mi
rendo conto che viene fuori esattamente come voglio, dice l’autore, la volta successiva mi
comporterò allo stesso modo. Ma non perché l’ho già fatto una volta ma perché la regola dei
sei minuti è giusta e questo l’ho scoperto in precedenza. Se seguo la regola non lo faccio
perché obbedisco ad un precedente. Obbedisco alla regola che ho appreso dall’esperienza. Ma
il precedente funziona in modo diverso. Se devo giudicare della legittimità della legge
sull’aborto e c’è una sentenza della Corte Suprema (Roe v. Wade) che dice che la pratica
dell’aborto è un diritto che non può essere limitato nel primo trimestre e che può essere
limitato ma con alcune eccezioni nel secondo trimestre, non mi chiederò se l’aborto sia
contrario o conforme a costituzione, ma giudicherò applicando il precedente: il caso deciso in
precedenza. Anzi il precedente opera pienamente quando viene seguito sebbene il giudice sia
6 Ibidem.
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convinto che non si tratti della conclusione più giusta da un punto di vista giuridico. In questo
senso obbedire al precedente e imparare dall’esperienza sono processi radicalmente diversi.
Nel seguire il precedente non si pone in essere un ragionamento – logico. Ma si ragiona in
base ad un argomento di autorità (per questo BENTHAM era profondamente avverso al vincolo
del precedente).
Vi sono due tipi di vincolo, almeno nei sistemi di common law: un vincolo di tipo
gerarchico – per cui le corti inferiori devono seguire la giurisprudenza delle corti superiori (ad
esempio, i tribunali civili o le corti d’appello quelle della corte di cassazione), ed un vincolo
di tipo orizzontale: si deve seguire la pronuncia dello stesso tribunale, avvenuta in passato ma
su casi simili o analoghi (stare decisis). Mentre nel primo caso il vincolo del precedente è una
forma di vincolo gerarchico (devo obbedire agli ordini secondo la catena di comando), nel
secondo caso il vincolo del precedente ha una natura istituzionale. Devo seguire l’indirizzo
giurisprudenziale del tribunale di cui faccio parte sebbene magari dissenta nel contenuto.
Il vincolo del precedente pertanto gioca un ruolo nelle decisioni della giurisprudenza ma
non è un ruolo di tipo logico (io argomento sulla base di inferenze o analogie), ma di tipo
istituzionale. L’obiettivo è quello di garantire coerenza ed uniformità nel diritto per consentire
prevedibilità e certezza delle regole e dei comportamenti. La stabilità è un valore in sé,
sebbene sia funzionale anche ad altro. Come affermava il giudice americano CARDOZO, se si
dovessero ogni volta riaprire questioni già risolte la giurisprudenza disperderebbe: sicché la
regola dello stare decisis è funzionale non solo alla coerenza complessiva del sistema ma
anche alla speditezza del giudizio (se non do nulla per deciso non potrò affrontare con
maggiore attenzione gli aspetti ancora problematici).
Secondo questo approccio i precedenti funzionano ponendo in essere regole che poi le
corti successive sono obbligate ad applicare ai casi che si presenteranno7.
7 Per alcune varianti a questo modo di vedere, cfr. RAZ, 1979, Law and Value in Adjudication, in, The Authority
of Law, Oxford, 1979; MACCORMICK, Legal Reasoning and Legal Theory, Oxford, 1978 (1994), pp. pp. 82–6,
213–28; Id., 1987a, ‘Why Cases Have Rationes and What These Are’, in GOLDSTEIN, ed., Precedent in Law,
Oxford, 1987; ALEXANDER, Constrained by Precedent, in Southern California Law Review 63, 1989, pp.1–64;
SCHAUER, Precedent, in Stanford Law Review 39, 1987, pp. 571–605; ID., Is the Common Law Law?, in Califor-
nia Law Review 77, 1989, pp: 455–471; ID., Playing by the Rules: A Philosophical Examination of Rule-Based
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La corte decide un caso particolare, ma poi formula una regola generale che si applica
ai casi successivi. Secondo questo modo di vedere il precedente funziona proprio come una
legge del Parlamento. La sentenza della Corte di Cassazione che ha deciso che la violazione
degli interessi legittimi è risarcibile (cambiando così un pluridecennale orientamento)
funziona come una legge. A favore di questa interpretazione sta la distinzione fra ratio
decidendi, e cioè la regola di diritto che fonda la decisione (holding, ruling) e il cd. Obider
dicta, e cioè quell’insieme di affermazioni e punti di vista espressi nella decisione che non
sono tuttavia vincolanti sulle decisioni future. Secondo questo punto di vista, il precedente
sarebbe la regola contenuta nella ratio, ovvero nella massima.
Detto in termini sintetici: nella prima accezione il precedente è uno strumento
argomentativo utile per l’avvocato e per il giudice, ma il giudice se ritiene se ne può
discostare. Nel secondo caso, il precedente è vincolante come ogni altra fonte del diritto: è
assimilabile alla legge o alle altre fonti normative riconosciute dall’ordinamento giuridico. Il
giudice del caso successivo non se ne può manifestamente discostare: al più lo può
espressamente travolgere, attraverso la pratica dell’overruling, ovvero può invocarne la non
applicabilità attraverso la pratica del distinguishing. Il giudice cioè può apertamente dire che
il precedente è sbagliato oppure è superato (come successe alla Corte Suprema nel caso
Brown v. Topeka Board of Education in cui i giudici apertamente abrogarono il principio
contenuto nella sentenza Plessy), ovvero può affermare che il caso istante non rientra
nell’ambito di applicazione del principio di diritto. Nel caso in cui il giudice opti per
l’overruling funzionerà come il legislatore che abroga una legge precedentemente approvata.
La portata della sua decisione sarà destinata a valere in via generale e dunque al di fuori del
caso istante.
Decision-Making in Law and in Life, Oxford, 1991, pp. 174-187; cfr. anche LAMOND, Do Precedents Create
Rules?, in, Legal Theory 15, 2005, pp. 1–26.
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3. Quali argomenti a favore del precedente?
Quali sono le virtù dello stare decisis? E cioè perché è meglio che il precedente vincoli?
Si segnalano quattro possibili risposte alla giustificazione normativa della forza del
precedente: a) l’argomento di autorità, in cui il valore preponderante è quello della capacità
rimediale del diritto; b) le ragioni morali di cui sarebbe intriso il diritto; c) le ragioni di
efficienza.
3.1. L’argomento di autorità
Il primo argomento è quello secondo cui lo stare decisis è quella dottrina che consente
alle corti “di servire al meglio l’interesse dell’intero sistema giuridico”8. La tesi si appoggia al
convincimento che una delle prime finalità del sistema giuridico sia di funzionare da
meccanismo di esonero. Il diritto esonera i consociati da scelte gravose, fornendo regole
d’azione che si applicano a prescindere dalle ragioni per cui sono state introdotte. Gli autori
che appartengono a questa schiera segnalano che mentre nel ragionamento comune le
decisioni vengono prese all things considered, e cioè tenendo conto di tutte le circostanze del
caso, il diritto è un sistema semplificato in cui si sceglie (e dunque) si agisce seguendo
scorciatoie. Anziché stare a riflettere sulla velocità di tenere in macchina tendendo conto della
cilindrata, del manto stradale, delle condizioni metereologiche, mi adeguo ai limiti di legge.
Ora, dicono questi autori, se il diritto funziona prevalentemente per semplificarci la vita, e
cioè attraverso un meccanismo di esonero, il precedente ne è un ingrediente essenziale. Il
giudice che dispone di un precedente può tagliar corto: tenersi alla larga da lunghe
argomentazioni e decidere secondo il principio di autorità (decido così perché questo è il
principio di diritto dell’Adunanza Plenaria o delle Sezioni Unite). I precedenti, come le
regole, sono preemptive: sono prevalenti, e cioè prevalgono su tutti gli altri argomenti. Perché
questo modello funzioni occorrono poche cose: che il precedente sia espresso nella forma di
8 ALEXANDER & E. SHERWIN, Judges as Rulemakers, in EDLIN, ed., Common Law Theory, Cambridge, 2007, pp.
27 ss.
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regola generale (gli interessi legittimi sono risarcibili); che sia prospettico; che il caso istante
rientri nell’ambito di applicazione del precedente9.
3.2. Argomenti morali
La seconda tipologia di argomenti è molto più variegata della prima. Ecco le più
frequenti ragioni morali:
coerenza. L’argomento della coerenza è connesso agli argomenti relativi alla giustizia
formale, e cioè al trattare casi che sono uguali (negli aspetti rilevanti) in modo eguale.
Sarebbe incoerente trattare tali casi in modo differente. L’argomento sostanziale che sta alla
base di quello formale è il principio di eguaglianza. Il precedente è una forma particolare di
applicazione del principio – in senso diacronico oltre che sincronico. L’auspicio per la
coerenza del sistema tuttavia presuppone che il sistema nel suo complesso sia corretto. Se un
sistema è complessivamente legittimo da un punto di vista morale e avanza un’autorità
legittima sui suoi membri allora è incoerente trattare qualcuno meno o più favorevolmente di
un altro individuo la cui situazione – da un punto di vista morale – è identica a quella del
primo. Ad esempio, ALEXY, il precedente è un argomento istituzionale, finalizzato a garantire
sistematicità ed uniformità all’interno dell’ordinamento giuridico, ma trova la sua forza su un
argomento di tipo morale, che consiste nel trattare casi uguali in modo uguale10.
Tutela delle aspettative. Un altro comune argomento a favore del precedente è quello
della tutela delle aspettative. Se un’istituzione ha risolto la questione in un certo modo nel
passato, allora si crea un’aspettativa che lo stesso atteggiamento si ripeterà in futuro:
un’aspettativa sulla base della quale la gente organizza le proprie vite e gode di qualche forma
di controllo sulle proprie situazioni. Quindi vi sono buone ragioni per un’istituzione di seguire
il proprio stesso orientamento anche qualora questo sia errato. Il problema fondamentale con
questo tipo di ragionamento è che esso soffre di una qualche forma di circolarità. Vero è che i
sistemi legali che seguono i precedenti creano l’aspettativa che un medesimo comportamento
verrà tenuto in futuro, ma la legge tutela solo le aspettative legittime. Se ad esempio un
9 PESCE, L’Adunanza Plenaria, cit., pp. 152-153. 10 ALEXY, A Theory of Legal Argumentation, Oxford, 1989.
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comune per prassi concede licenze edilizie a chiunque lo richieda (come è spesso avvenuto
nel Sud) sebbene manchino i requisiti di legge, l’aspettativa che verrà ingenerata sarà tuttavia
insufficiente a legittimare che la prassi sbagliata – in questo caso illegale – venga mantenuta.
In altri termini la tutela delle aspettative non è un argomento che giustifica uno stare decisis
forte, e cioè la persistenza nei propri errori da parte delle istituzioni.
Replicabilità (replicability). Gli argomenti dell’eguaglianza e della tutela delle
aspettative presuppongono che coloro che decidono possano accertare i meriti del caso
correttamente. Ma il diritto funziona in condizioni non ideali dove i decisori possono
commettere errori. In pratica il risultato di un caso può essere incerto non solo perché le
conclusioni sono razionalmente indeterminate, ma anche perché i decisori sono fallibili. Sulla
base di queste premesse, la pratica del precedente nel diritto possiede un numero di vantaggi
consentendo che le decisioni istituzionali divengano replicabili11. Che una decisione sia
replicabile significa che è possibile per altri formulare un giudizio informato sulla probabilità
di un certo risultato, alla luce del materiale giuridico rilevante, dei canoni interpretativi
utilizzati nel sistema, ed una certa dimestichezza con la cultura di sfondo di riferimento.
Replicabilità significa che le decisioni sono più prevedibili di quanto non sarebbero se fossero
prese de novo ogni volta. Tutto ciò consente agli individui di formulare piani conformi al
diritto e quindi di essere guidati dal diritto. La replicabilità costituisce sia un argomento per
trattare i casi precedenti come diritto e sia per la dottrina dello stare decisis. Tutto il resto
essendo eguale, è meglio per il diritto che sia prevedibile che non sia prevedibile. Si noti
tuttavia, che questo argomento non supporta la dottrina forte dello stare decisis che si trova in
molte giurisdizioni di common law. Il desiderio di prevedibilità deve essere pesato e
bilanciato con la desiderabilità morale della regola in questione. Questo implica che (a) che le
giurisdizioni inferiori devono essere autorizzate a discostarsi dai precedenti delle giurisdizioni
superiori qualora le regole siano chiaramente sbagliata dal punto di vista morale / giuridico;
(b) le giurisdizioni medesime di quelle che hanno emesso la prima decisioni devono avere la
11 EISENBERG, The Nature of the Common Law, Cambridge, 1988, pp. 10-12, 23-4; SCHAUER, Precedent,
in, Stanford Law Review 39, 1987, pp. 571–605.
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medesima libertà di cui (a). PERELMAN riformula la questione sostenendo che un principio
sacrosanto a cui il diritto si ispira, proprio per garantire prevedibilità e replicabilità, è il
principio di inerzia, di cui il precedente sarebbe espressione12.
Superiorità normativa della giurisprudenza. L’ultimo argomento che può spingere un
giudice ad adeguarsi al precedente è quello di ritenere la funzione giudiziaria un osservatorio
privilegiato per risolvere questioni sociali rispetto al legislativo. Se ad esempio la legge è
oscura o vaga o porta a risultati palesemente ingiusti, allora seguire un precedente può essere
dovuto al convincimento che talvolta i giudici sanno decidere meglio di quanto non faccia il
legislatore. Questo avviene soprattutto in delicate questioni di bioetica, dove nei fatti la
sensibilità giudiziaria si è dimostrata molto più sviluppata di quella legislativa. Si pensi a
quello che è avvenuto nel caso Englaro in cui la Corte di Cassazione prima e la Corte
Costituzionale poi hanno ritenuto che la facoltà di un padre di farsi interprete dalla volontà
della figlia in stato vegetativo permanente da diciassette anni ad interrompere la nutrizione e
l’idratazione artificiali.
Rispetto della tradizione. C’è chi sostiene che il precedente ingeneri un atteggiamento
di modestia giudiziaria, facilitando cooperazione istituzionale e rispetto della tradizione.
L’argomento, noto già dai tempi di BURKE, è transitato anche oggi negli scritti di autori
contemporanei13
3.3. Argomenti di efficienza
Se le decisioni sono complessivamente coerenti, le regole sono più chiare e le ragioni di
conflitto diminuiscono. Le riforme del 2006 e del 2009 sono state ispirate prevalentemente da
un intento deflattivo del contenzioso.
12 PERELMAN, Logica giuridica e nuova retorica, Milano, 1976. 13 SHAPIRO, The Role of Precedent in Constitutional Adjudication: An Introspection, in Texas Law Review, 86,
2008, pp. 929 ss.
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4. Vincolo del precedente e principio di legalità
Comunemente l’idea che il ragionamento giuridico funzioni in modo massiccio
attraverso l’utilizzo dei precedenti giudiziari viene ritenuta una caratteristica dei sistemi
anglo-sassoni tipicamente detti di common law.
Tali sistemi si caratterizzano non solo e non tanto per la idea piuttosto diffusa che la
giurisprudenza rientri fra le fonti del diritto, ma piuttosto per un’idea molto più radicale che
affonda le proprie radici nel medioevo e che afferma che il diritto è un fenomeno indipendente
ed autonomo dalla politica. Dice MCILLWAIN: “Chi tenta di riferire il termine medioevale a
qualcosa di reazionario, come certa gente senza cervello ha oggi preso l’abitudine di dire,
dovrebbe prima meditare (i testi). L’assolutismo politico è frutto dei tempi moderni; il
Medioevo non voleva saperne”.
Un giurista inglese del XIII secolo, BRACTON – autore del De Legibus et
Consuetudinibus Angliae, - ribadisce il concetto della soggezione del re alla legge. Al re che
regna rettamente, scrive BRACTON all’inizio del suo trattato, sono necessarie oltre le armi, le
leggi: se mancassero le leggi, sarebbe distrutta la giustizia e non vi sarebbe chi operasse un
giudizio giusto. Vi è il rifiuto della massima di ULPIANO ripresa dai glossatori (quod principi
placuit legis habet vigorem). Il re è al di sopra dei suoi sudditi, però in quanto è ministro
vicario di Dio, non può far nulla se non, soltanto, ciò che è conforme al diritto (quod iure).
Ritorna il tema aristotelico secondo cui: “dove non sono sovrane le leggi non vi è vero e
proprio Stato”. L’affermazione più nota della supremazia della legge pronunciata dai giudici
rispetto alla gubernaculum, e cioè al potere discrezionale della Re (oggi diremmo della
politica), viene proposta da Lord Coke, presidente dell’Alta Corte Inglese ai tempi di
Giacomo I che si oppose alla pressioni politiche esercitate su di lui dal Re affermando che per
quando ministro regio, il giudice è sottoposto soltanto alla legge.
Insomma, nella tradizione anglosassone la legge non è espressione della politica ma
piuttosto emerge dalla prassi giuridica posta in essere dai cittadini e di cui i giudici si fanno
interpreti. La giurisprudenza è fonte del diritto nella stessa misura in cui la società nel suo
insieme è fonte del diritto.
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La teoria del precedente giudiziario deve essere interpretata a partire da questa
considerazione. Il principio di legalità, ovvero in inglese la rule of law, implica la soggezione
di tutti i pubblici poteri alla legge: ma la legge viene prima della politica: è radicata nelle
consuetudini popolari; è millenaria, non è frutto di un atto di arbitrio.
I giudici inglesi dunque si limitano ad applicare principi di diritto che emergono dalla
prassi, dalla casistica. La dottrina della vincolatività del precedente ovvero dello stare decisis
si comprende a partire da queste considerazioni.
Come si possono adattare simili considerazioni in un sistema giuridico come il nostro in
cui il principio di legalità – la soggezione del giudice alla sola legge – è strettamente connesso
ad un’idea di legge di derivazione politica (la legge del parlamento?).
Prima di rispondere, torniamo alla dottrina statunitense. Per SCHAUER il precedente è un
corollario del principio di rule of law: “By ordinarily requiring that legal decisions follow
precedent, the law is committed to the view that it is often better for a decision to accord with
precedent than to be right, and that it is frequently more important for a decision to be
consistent with precedent than to have the best consequences”14.
WALDRON suggerisce un’interpretazione più sofisticata. Innanzitutto riconosce che il
precedente è un Giano Bifronte, che se da un lato eleva il giudice al rango di legislatore,
dall’altro lo vincola alle decisioni prese dai propri colleghi15. Poi WALDRON si unisce alla
schiera di chi ritiene che il precedente non solo non è incompatibile con il principio di legalità
ma in qualche misura ne è il corollario.
Ecco il suo modo di argomentare. Può capitare che il giudice non trovi nel materiale
giuridico alcuna norma esplicita già pronta per l’uso e che compia un’operazione di
sistematizzazione e di razionalizzazione (anche con l’ausilio degli atti di parte). In questi casi,
il giudice non può limitarsi a pronunciare una regola per il caso concreto, ma deve prima
enunciare una regola generale che poi motiverà dovrà applicarsi al caso. Il giudice che tuttavia
decide non inventa tutto di sana pianta: non giudica nel vuoto; ma piuttosto attinge ad un
14 SCHAUER, Thinking Like a Lawyer. A New Introduction to Legal Reasoning, Cambridge, Mass., 2009, p. 36. 15 WALDRON, Judges as Moral Reasoners, in 7 International Journal of Constitutional Law, 2, 2009.
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materiale giuridico preesistente seppure, riguardo alla regola, ancora confuso. Un giudice che
segue questo modo di procedere continua l’opera di razionalizzazione e sistematizzazione del
legislatore. Il giudice successivo che si appoggerà a quel precedente non solo, per dirla con
SCHAUER, si troverà una parte del lavoro già fatto, e potrà disporre di una regola più precisa.
Poiché, continua WALDRON, il principio di legalità soddisfa l’esigenza che il governo delle
leggi si espanda a scapito del governo degli uomini, e che dunque i margini di discrezionalità
decrescano progressivamente, tante più regole chiare, prospettiche ed intellegibili si
dispongono, tanto più l’ideale del governo delle leggi prevarrà.
Si noti che le considerazioni di WALDRON possono estendersi anche nei paesi di civil
law. Sebbene sia la legge del parlamento la nostra fonte suprema (subordinata naturalmente
alla costituzione), non è ignoto ai pratici ma anche ai teorici del diritto il fenomeno espresso
del filosofo americano. Non è raro, infatti, che giuristi e giudici si trovino a colmare lacune,
compiere operazioni di tipo sistematico, magari discostandosi dalla lettera della legge. Ecco,
il suggerimento di WALDRON, ma anche di chi sostiene l’opportunità del vincolo del
precedente: un giudice che ha compiuto un’opera di sistematizzazione prevedendo leggi
generali destinate a valere per i casi futuri mette a servizio la propria opera per i colleghi, i
quali in virtù di un principio di collaborazione istituzionale ma anche del principio di legalità,
si adegueranno al precedente.
Che del resto il principio di legalità non abbia oggi lo stesso significato che aveva nel
1942 o nel 1948, quando regnava un’ideologia statalista, è fuor di dubbio. Non solo il sistema
delle fonti è stato riformulato con l’ingresso delle norme sovranazionali, ma l’espansione
della produzione normativa secondaria hanno fatto preconizzare la profezia di HAYEK
secondo cui il principio di legalità viene vanificato di fronte a sistemi eccessivamente densi e
contraddittori.
A dispetto, dunque, delle apparenze, il riconoscimento della vincolatività del precedente
può fare da stampella al principio di legalità. Intanto, proprio come Giano, può portare ordine
nel sistema giuridico. In secondo luogo, una volta che divenga evidente che certe pronunce
assumono un carattere destinato a valere anche per casi ulteriori rispetto a quello preso in
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esame, il giudice potrà calibrare la decisione magari accordandola ad altri principi che fanno
da corollario al principio di legalità. Si pensi, alle ipotesi sempre più frequenti di perspective
ruling, in cui il giudice pur fissando un principio stabilisce che data la novità della pronuncia
il principio è destinato a valere solo per i casi a venire.
5. Precedente e teorie sull’interpretazione giudiziale
E’ vano chiedersi quale sia lo stile o la teoria sull’interpretazione giudiziale che meglio
accoglie il principio del precedente. Se dobbiamo seguire SCHAUER, il formalismo giuridico –
e cioè quello stile interpretativo che predica che il giudice si attenga fedelmente alle regole
che lo precedono – si appoggia imprescindibilmente al precedente. E tuttavia, il giudice del
precedente non è un giudice rigorosamente fedele ai dettami del formalismo, perché è colui
che innova. Simili considerazioni si possono utilizzare per il realismo giuridico, teoria
descrittiva secondo cui il giudice non può autenticamente dirsi vincolato ad alcunché.
Più che la dicotomia fra formalisti e realisti, la distinzione che ci può essere utile è
quella proposta da un costituzionalista americano, BALKIN. Mutuando la distinzione dal
linguaggio religioso, BALKIN distingue fra stile interpretativo cattolico e stile protestante. Il
primo, si contraddistinguerebbe per il profondo rispetto istituzionale di ogni organo decidente
per le decisioni prese in precedenza, ma anche per le opinioni della dottrina, insomma per i
dogmi. La fedeltà all’istituzione e la priorità di un principio di coordinazione istituzionale
rispetto alle opinioni dei singoli interpreti riecheggerebbero lo stile interpretativo della
tradizione cattolica. La tradizione protestante al contrario si fonda sull’idea della lettura
diretta del testo (la Bibbia, ma anche la legge) e privilegia il principio del libero
convincimento rispetto a quello dell’uniformità della dottrina.
Il diritto funziona prevalentemente attraverso lo stile “cattolico”, in cui il precedente
sebbene possa non essere determinante occupa una posizione preminente ed in cui i principi
di inerzia e di coordinazione istituzionale mettono a tacere istanze eccessivamente eccentriche
di singoli interpreti. E tuttavia, di tanto in tanto, lo stile protestante dà sfogo al libero
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convincimento del giudice, spinge il diritto in avanti, e magari fissa una nuova regola
destinata a valere per il futuro, come un nuovo precedente.