Coraggio, non piangete! Non è un addio, semplicemente un ... · non è un addio ma un arrivederci....
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IL BURATTINO SENZA FILI
Giornale degli studenti del Liceo Classico e Linguistico “Mariano Buratti”
Coraggio, non piangete! Non è un addio, semplicemente un doveroso saluto…
Gentili lettori,
questo è l‟ultimo numero del nostro giornale per quest‟anno. Speriamo vivamente,
senza per questo avanzare pretese, di aver portato alla vostra conoscenza o comunque
di aver approfondito tematiche che abbiano "stuzzicato" il vostro interesse e stimolato la
vostra curiosità. Nel garantirvi nuovamente l‟ obbiettività da noi adoperata nel
descrivere situazioni e nel trattare i diversi argomenti, permettetemi però di parlare in
questo articolo di qualcosa di soggettivo. Noi ragazzi del comitato di redazione del
giornale del Liceo Ginnasio Statale "Mariano Buratti" nel cercare di presentarvi sempre
notizie provenienti da ogni angolo del mondo e inerenti tutti gli ambiti della vita umana,
forse non ci siamo mai presentati come si deve. Probabilmente vi starete chiedendo
qual è il senso di fare le presentazioni una volta giunti al momento di salutarsi …
Ebbene il senso di ciò è da ricercarsi nel fatto che dietro questi giovanissimi giornalisti
che perscrutano con occhio critico la realtà, ci sono ragazzi che stanno affrontando con
grande forza d‟animo le difficoltà proprie delle loro età. Il mio, quindi, vuole essere solo
un doveroso ringraziamento a tutti coloro i quali, nonostante i molti impegni, trovano
comunque il tempo per scrivere articoli ben strutturati e nello scriverli non si
risparmiano, impiegando sempre la stessa passione. In particolare, volevo ringraziare
per il loro lavoro, ma soprattutto per quello che sono stati in grado di insegnarmi , quei
ragazzi che frequentano il quinto anno e che a breve dovranno sostenere la maturità.
Sappiate che noi che ci ritroveremo qui anche l‟anno prossimo a scrivere il nostro
giornale, terremo sempre a mente il vostro esempio; perché in questa famiglia che si è
venuta a formare sarete sempre i nostri fratelli e sorelle maggiori.
Inoltre mi sembra giusto fare i complimenti a tutti quelli che invece sono entrati a far
parte di questa famiglia solamente da quest‟anno, in quanto hanno da subito mostrato
vivo interesse alla nostra causa e una spiccata creatività. Tutti elementi molto validi che
al momento giusto son certo che sapranno prendere in mano le redini della situazione e
dare continuità a questo giornale nel migliore dei modi. Infine, certamente non ultimo
per importanza, volevo ringraziare (so di poter parlare a nome di tutti in questo caso) il
Professor Pierantozzi che, una volta fornitici gli strumenti adatti per scrivere, ovviamente
controllando che il nostro prodotto finale rispettasse i canoni di una corretta trattazione
di tematiche e personaggi, ci ha sempre lasciato la libertà di esprimerci senza subire
censure. In quanto padre di questa famiglia ci ha dapprima educati e successivamente
sostenuti in tutto il nostro percorso in maniera egregia: ecco perché tutti quanti noi ci
auguriamo che anche il prossimo anno il professore possa essere al nostro fianco nella
stesura e impaginazione del giornale. Spero che vogliate perdonare l‟esternazione di
questo mio personalissimo pensiero … Tornando a noi, come avrete ben capito, questo
non è un addio ma un arrivederci. Il nostro giornale tornerà a soddisfare il vostro
appetito di notizie all‟inizio del prossimo anno scolastico. Buone vacanze da parte di
tutto il comitato di redazione del nostro giornale!
Ilario Pasculini, IV A Classico
Numero 4, Maggio 2018
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« Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire. », il 25 aprile 25 aprile, 1945: il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia dà il comando di colpire i territori ancora
soppressi dall‟occupazione nazifascista per un‟insurrezione generale.
Alla radio viene proclamato il motto “Arrendersi o perire!” rivolto agli occupanti.
Il protagonista della soppressione Benito Mussolini, scappa da Milano per rifugiarsi a Como, ma viene
fermato dai partigiani e fucilato a Dongo il 27 aprile.
L‟insurrezione ha portato alla liberazione dei maggiori capoluoghi del nord prima dell‟arrivo delle truppe
alleate.
Ed è proprio per questo che il 25 aprile è stato scelto per celebrare e ricordare, ogni anno, la Liberazione
(o Anniversario della Resistenza), in quanto simbolo della vittoria della resistenza militare delle forze
partigiane durante tutta la Seconda Guerra Mondiale, contro la Repubblica Sociale Italiana.
Quindi è importante non festeggiare in modo superficiale senza sapere perché effettivamente questo
giorno sia festivo.
Bisogna celebrare la nostra libertà ricordando tutto il sangue e tutto il sudore che i partigiani hanno perso
per le generazioni future, tra cui noi giovani, che troppo spesso consideriamo ovvi diritti guadagnati con la
morte di troppi martiri.
Un esempio vicino a noi di azionista è stato l‟insegnante del liceo classico Umberto I Mariano Buratti.
Questi aveva organizzato la “Banda Buratti”, una banda partigiana operante sui Monti Cimini.
Mariano Buratti è stato poi catturato dalle forze nazifasciste a Roma, e dopo circa due settimane di
torture, è stato fucilato al Forte Bravetta il 31 gennaio del 1944. Proprio per ricordare il suo coraggio, il
liceo in cui insegnava ha preso il suo nome, è proprio sull‟ingresso principale è stata posta una lapide in
suo onore, ed ogni 25 aprile viene commemorata con una corona d‟alloro e con l‟affetto di tutti i
partecipanti.
“Oggi la nuova resistenza in che cosa consiste. Ecco l’appello ai giovani: di difendere queste posizioni che
noi abbiamo conquistato; di difendere la Repubblica e la democrazia. E cioè, oggi ci vuole due qualità a
mio avviso cari amici: l’onestà e il coraggio. L’onestà… l’onestà… l’onestà. […] E quindi l’appello che io
faccio ai giovani è questo: di cercare di essere onesti, prima di tutto: la politica deve essere fatta con le
mani pulite. Se c’è qualche scandalo. Se c’è qualcuno che da’ scandalo; se c’è qualche uomo politico che
approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi, deve essere denunciato!” - Sandro Pertini
-
Michela Travaglini, IV A Classico
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La festa del lavoro
Il primo maggio di ogni anno in molti paesi del mondo si festeggia la Festa del Lavoro o del Lavoratore, per
ricordare le lotte compiute per ottenere la riduzione della giornata lavorativa. Lo scopo delle battaglie
operaie era quello di conquistare un diritto ben preciso, ovvero quello di fissare l‟orario lavorativo a otto
ore giornaliere. Queste battaglie portarono alla promulgazione di una legge che fu approvata nel 1867
nell‟Illinois. La prima manifestazione fu organizzata dall‟ordine dei cavalieri del lavoro il 5 settembre del
1882 a New York, due anni dopo la stessa associazione decise che questo evento avrebbe avuto una
cadenza annuale e insieme ad altre organizzazioni si stabilì che la data della festività fosse il cinque
maggio. Il vero motivo della scelta di questa data fu la rivolta di Haymarket a Chicago. Il 3 maggio i
lavoratori che scioperavano si riunirono all‟ingresso della fabbrica di macchine agricole McCormick, e la
polizia, chiamata per mandarli via, sparò sui manifestanti uccidendone due e ferendone altri. Per
protestare contro le forze dell‟ordine , alcuni anarchici decisero di organizzare una manifestazione nella
Haymarket Square, dove solitamente si teneva il mercato delle macchine agricole. La rivolta terminò il
quattro maggio quando fu lanciata una bomba che provocò la morte di sei poliziotti e ne ferì altri. La
polizia sparò sui manifestanti, ma non si è mai saputo chi abbia lanciato la bomba e quante vittime ci
siano state. Quando, nel1888, la notizia della rivolta di Chicago si diffuse nel resto del mondo, la
popolazione di Livorno manifestò contro le navi statunitensi ancorate nel porto e contro la questura, dove
si pensava che si fosse rifugiato il console degli Stati Uniti.
In Europa la festività del primo maggio fu ufficializzata nel 1889 mentre in Italia venne ratificata due anni
dopo. Durante il ventennio fascista, dal 1924, la celebrazione fu anticipata al 21 aprile facendola
corrispondere con il Natale di Roma che diventò giorno festivo con la denominazione di “Natale di Roma-
Festa del Lavoro”. Fu poi riportata al primo maggio dopo la fine della seconda guerra mondiale nel 1945,
mantenendo il carattere di giorno festivo. Il primo maggio del 1955 papa Pio XII istituì la festa di San
Giuseppe lavoratore per renderla anche una festa cattolica. Però non in tutti i paesi è considerata una
festa ufficiale, come nei Paesi Bassi e in Danimarca, anche se si tengono delle celebrazioni in occasione
del primo maggio.
Flavia Fortuna, Martina Falci, IV A Classico
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“Il perdono”
In quest‟epoca nella quale i valori che da sempre caratterizzano l‟uomo in quanto tale sembrano
scomparsi, abbiamo deciso di ricordare la loro importanza.
Nella parola „perdono‟ la particella intensiva „per‟ attribuisce al dono il valore di una offerta totale,
incondizionata. Il perdono riflette il suo essere gratuito: esso rifugge da qualsiasi contabilità, materiale o
spirituale.
Il perdono, è uno dei valori più importanti dell‟etica di tutti i tempi, benché oggi sia svalutato: i potenti
della terra lo invocano solamente quando non ci sono più vittime in grado di rispondere; il piccolo
schermo – nei suoi reality – inscena senza ritegno la farsa delle improvvise e plateali riconciliazioni;
all‟indomani di un omicidio, la prima domanda del giornalista ai parenti della vittima è “vi sarà perdono?”.
È quasi doveroso, allora, risalire alle sue radici. L‟uomo ha sempre avuto bisogno di superare le
disarmonie e i conflitti tragici del passato anche attraverso atti di clemenza.
Ma il perdono è innanzitutto concetto cristiano che richiede una rilettura attraverso le pagine dell‟Antico e
del Nuovo Testamento. Questa ricerca teologica permette di riaffermare il perdono come parola che
propone un‟immagine della forza che rifiuta la violenza. La fede cristiana riconosce per prima il perdono,
la sua originaria gratuità, dopo la clementia degli antichi. Per questo il perdono non può appartenere alla
sfera puramente intima delle persone, ma svolge una funzione sociale.
Nei tempi antichi non era presente una vera e propria concezione di perdono, ma solamente una
parvenza, che sarà fondamentale nel pensiero Cristiano.
Il primo errore si perdona sempre. Questo sta scritto nel Codice di Hammurabi : “Ma se il figlio è colpevole
nei confronti del padre per una offesa grave passibile di diseredazione, egli verrà perdonato purché si
tratti della prima offesa”. La legge assira contemplala scusabilità del primo errore, in quanto il primo
errore non può comprendere la coscienza della colpa.
Al contrario presso i Greci non esisteva né una divinità specifica che contemplasse il perdono né era
concesso appello agli uomini, quando peccavano di “hybris”. Tale concezione era propria anche della
civiltà Romana, nella quale tuttavia era venerata la divina Clementia.
La Clementia era una divinità romana entrata a far parte della religione pubblica dopo l'uccisione di
Cesare che avrebbe incarnato in vita questa virtù che, secondo Cicerone, era stata anche una delle cause
della sua morte
.
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Cicerone può essere considerato il miglior interprete di cosa intendesse il sistema dei valori romani per
clementia. Nell'orazione Pro Marcello, pronunciata in senato per ringraziare Cesare, Cicerone attribuisce a
Cesare la virtù della clementia: poiché, se è vero che la gloria di Cesare riposa, come quella di altri
condottieri, sul talento militare, egli è l'unico che, fra tutti i vincitori, si è distinto per la sua bontà d'animo,
tanto nobile che non basta semplicemente paragonarlo ai grandi uomini, ma va giudicato simile a un dio
(«haec qui faciat, non ego eum cum summis viris comparo, sed simillimum deo iudico») poiché egli si è
comportato clementer (con clementia), mansuete (con mansuetudine), iuste (con
giustizia), moderate (con moderazione), sapienter (con saggezza).
Questi pochi riferimenti storici per introdurre che cosa?
La constatazione che il perdono, nella storia della umanità, è partito come uno “scusare” l’ignoranza
delle conseguenze del proprio atto per raggiungere il culmine nel pensiero cristiano e che costituirà uno
dei capi saldi dell‟etica medievale. Ne è rappresentazione massima il pellegrinaggio, con il quale i fedeli
espiavano le proprie colpe e chiedevano il perdono a Dio.
Nell‟età contemporanea, purtroppo il perdono è svalutato dalla maggior parte degli
uomini, nonostante siano esistite personalità esemplari come Nelson Mandela,
presidente del Sudafrica che ha sacrificato la sua vita nella lotta contro la segregazione
razziale, che pronunciò queste parole: “ Il perdono libera l‟anima, rimuove la paura. È
per questo che il perdono è un‟arma potente”.
Alessandra Moscaroli, III A Classico
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L’importanza di un sorriso
Lo abbiamo con noi fin dal momento in cui nasciamo: i più romantici lo interpretano come qualcosa di
unico e spettacolare, altri potrebbero definirlo come un semplice stiramento delle labbra. Ma che sia
accennato, a trentadue denti o finto, il sorriso rappresenta da sempre qualcosa difficile da interpretare ed
inafferrabile, capace di comunicare emozioni difficilmente esprimibili con le parole.
Seppur fin dall‟antichità ha racchiuso in sé svariati significati, il sorriso rimane una costante non solo
nell‟arte e nella letteratura, quanto nella vita di tutti i giorni come strumento per esprimere le nostre
emozioni, siano esse di compiacimento, felicità o comprensione.
Si dice che un sorriso possa trasmettere a chi lo riceve la forza di spostare una montagna a chi ne
beneficia, e in tal senso ha mantenuto il suo antico significato, che non si discosta molto dalla nostra
concezione: basti pensare al mito di Demetra, la cui ancella per sollevarla dopo il rapimento della figlia
Persefone da parte di Ade, si dipinge un volto buffo e sorridente sul ventre, e scoprendoselo dinanzi alla
dea ne provoca il riso, ponendo fine alla terribile carestia che si era abbattuta nel mondo degli uomini; il
sorriso divino era dunque nell‟antichità fonte di energia e di benessere e causa dello splendere della luce.
In età moderna, con Cartesio, il sorriso e il riso ad esso collegato divengono causa di shock per chi li
prova, e in quanto tale più difficile da suscitare rispetto al pianto. Ed ancora Kant, che definisce il sorriso
come una vera e propria medicina, capace più delle altre di guarire chiunque sia oppresso da tristezza e
solitudine.
Oggigiorno il sorriso viene interpretato come qualcosa di più complesso, più oscuro e indecifrabile: niente
è infatti più difficile da interpretare che un sorriso apparentemente banale, il quale in realtà può celare
più di mille significati.
Ma non importa quanto esso sia criptico, piuttosto ciò che è in grado di trasmettere. Per concludere è
d‟obbligo citare Frederick William Faber ed il suo meraviglioso inno al sorriso:
Un sorriso non costa nulla e produce molto.
Arricchisce chi lo riceve
senza impoverire chi lo dona.
Non dura che un istante,
ma nel ricordo può essere eterno.
Nessuno è così ricco
da poterne fare a meno
e nessuno è così povero da non meritarlo.
Frederick William Faber
Benedetta Taddeucci, Chiara Conti, III A Classico
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Prof. sotto attacco
Quale alunno non hai mai, tra sé e sé, mandato a quel paese un professore magari dopo aver ricevuto un
brutto voto o solo perché ne aveva paura ?Ritenendo che questo sia capitato a tutti gli alunni, bravi e
meno brillanti non escludo che sia successo anche ai nostri professori prima di passare dietro la
cattedra.
Di recente però si è sorpassato il limite.
In molte scuole il professore non è più una persona da rispettare, ascoltare e prendere come esempio. Al
professore si dà del tu, lo si prende in giro in modo sfacciato e volutamente irriverente e lo si offende.
Addirittura secondo quanto di recente annunciato dai mass-media i professori vengono pesantemente
minacciati ed anche percossi.
Il mestiere del docente è diventato quindi sempre più uno scontro a volte anche fisico con ragazzi ed
adulti. Tutto ciò è in effetti aggravato dal fatto che i genitori giustificano e difendono i figli contribuendo
allo svilimento della figura del docente. Un tempo i genitori avrebbero prima ascoltato il docente e
successivamente rimproverato i figli. Oggi invece i genitori prima ascoltano i figli ed in seguito
rimproverano i docenti chiedendo a questi ultimi di adeguarsi ai bisogni ed alle necessità dei ragazzi.
Questo nel migliore dei casi poiché spesso accade che i genitori minaccino, denuncino ed in alcuni casi
anche aggrediscano i docenti.
Le aggressioni per un brutto voto, un rimprovero, un no, sono sempre più frequenti.
Molti docenti ogni giorno entrano in classe sapendo già che dovranno difendersi dagli alunni e dai
genitori. Il bullismo domina incontrastato gli ambienti scolastici. Ne sono vittime gli alunni ma anche i
professori. Le cause di tutto questo? Sempre le stesse. La gioventù, allo sbando, non ha regole. La
famiglia non è in grado di fornire un‟educazione, di dare dei principi solidi sui quali costruire la propria vita
all‟interno della società e, invece di collaborare con la scuola, la attacca privando i propri figli anche della
possibilità di trovare nella stessa scuola quello che non trovano a casa ovvero delle regole da rispettare,
perché per vivere in una società bisogna necessariamente osservare delle regole e dei ruoli. Ciò aiuta a
vivere con gli altri ed anche a rispettare noi stessi.
Matteo Jarno Santoni, II C Classico
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INTERVISTA AL PROF. ANGELO PIERANTOZZI
C‟è un paesaggio della sua città d‟origine che le ricorda in particolar modo ii giorni spensierati della
giovinezza?
Sì, non è un solo paesaggio, sono due: quello che ricordo con più piacere è una vecchia cava che noi
ragazzi della scuola media ci divertivamo a scalare e poi a scendere facendo la “sguicelella”, che sarebbe
la scivolarella. Questo è il paesaggio che mi viene alla mente per primo, però poi un grande fascino lo
esercita anche la occa, che è il simbolo di Tolfa, il paese in cui sono nato. La Rocca è un vecchio maniero,
un castello d‟origine tardo medievale. C‟è una poesia di Annibal Caro che parla di Tolfa e dice “La Tolfa è
Giovan Boni, una bicocca,/ tra schegge e balze d' un petron ferrigno/ ed ha in cima al cucuzzol d' un
macigno/ un pezzo di sfasciume d' una rocca”. Tra l‟altro La rocca è il primo nucleo abitativo di origine
medioevale attorno al quale è cresciuto tutto l‟abitato.
Quale momento e\o incontro dei cinque anni del liceo che frequentò ebbe maggior impatto su di lei?
L‟incontro con due insegnanti che hanno fatto in modo che io diventassi quello che sono. La colpa di
quello che sono e di quello che so, nel senso di sapere, è loro. Il mio insegnante di italiano e latino, e la
mia insegnante di filosofia e storia, che per me erano due modelli da seguire. Hanno segnato
positivamente la mia vita, ogni volta che sto qui con voi e cerco di fare bene il lavoro che faccio mi
domando se loro nelle stesse circostanze avrebbero fatto le stesse cose. Se senza molte difficoltà riesco a
rispondermi di si, penso di aver fatto bene le cose.
Quanto tempo dedica durante il giorno a dissertazioni filosofiche?
Credo che non ci sia un tempo dedicato, nel senso che è il tempo stesso che vorrei trascorrere
filosoficamente. Non c‟è un momento in cui mi concentro su un argomento e rifletto; ormai sarà una
deformazione professionale, ma tutte le cose che faccio le vedo da un punto di vista filosofico e in tutte
cerco un risvolto filosofico. Come dire, è facile per me fare un‟escursione, passare in maniera velocissima
da – come direbbe Gozzano- “ le piccole cose di pessimo gusto” alle grandi questioni che affliggono
l‟uomo contemporaneo. Quindi lo faccio ormai senza rendermene conto, senza che questo mi renda
diverso da tutti gli altri. Tutti insomma riflettiamo, facendo questa escursione dal piccolo al grande,
dall‟angusto all‟ampio, dal poco importante al necessario.
Come si è approcciato inizialmente allo studio delle discipline che ha poi insegnato?
Diciamo che mi ritengo fortunato per aver fatto filosofia, e per averla fatta all‟università “La Sapienza” di
Roma, perché ho avuto a che fare con i migliori insegnanti che avrei potuto avere, nel campo degli studi
storico-filosofici, quotati non soltanto in Italia ma a livello mondiale. E sono stato fortunato, oltre che per i
grandi insegnanti,anche perché ho avuto dei bravissimi compagni, persone in gamba, che stimolavano
continuamente la riflessione, la discussione... Io non avevo idea di quale fosse l‟ambiente in cui ero
capitato perché non riuscivo ad intravederne i confini, e questo forse perché confini questo ambiente non
ne aveva. Ero però pieno di curiosità e molto ignorante, ignorante in tutti i sensi, sia perché ero un ragazzo
di paese, sia perché mi affacciavo alla vita senza molte esperienze. Avevo voglia di sapere, quella è
rimasta.
In che luogo vorrebbe trovarsi nel mondo, se potesse, per la durata di un solo giorno?
Il luogo non sarebbe importante. Potrebbe essere ovunque, basta che ci sia mia figlia. Un giorno sano, che
significa ventiquattr‟ore; mi è già successo di vivere ventiquattrore con mia figlia, quando è venuta a
trovarmi qua, però ecco, io penso che se noi stessimo in un luogo, pur ordinario, ma insieme, il mio
desiderio sarebbe esaudito.
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C‟è qualche questione importante e contemporanea che proverebbe a risolvere con la filosofia?
Tante sono le questioni contemporanee che la filosofia potrebbe risolvere, perché tante ne ha già risolte
in passato. Per esempio quella che riguarda la tolleranza fra persone appartenenti ad etnie diverse ,
regioni diverse, paesi diversi che per cause che sono a tutti noi note si trovano a vivere a contatto di
gomito. Parlo della questione dei migranti e dell‟intolleranza che spesso molti di noi hanno nei loro
confronti. Credo che riflettere su questi atteggiamenti di intolleranza e discriminazione sia il primo passo
indispensabile affinché questi vengano sconfitti ed inibiti. In questo senso credo che la filosofia, come
disciplina di studio, possa fare molto. Penso che riflettere sul fatto che viviamo tutti sotto lo stesso cielo
aiuterebbe ad essere più tolleranti sia con persone che appartengono a diverse etnie, sia con persone che
professano religioni diverse dalla nostra, sia con persone che hanno abitudini diverse dalle nostre, sia
con persone che la pensando differentemente da noi su un piano politico.
Quali sono i punti di forza e di debolezza dell‟incontro che avviene ogni giorno tra lei come insegnante e le
classi?
A questo non so rispondere molto adeguatamente, ho qualche difficoltà. Il punto di forza è il fatto che
posso dire di avere un buon rapporto con i miei studenti, tanto che questo non si limita alla relazione
docente-discente, c‟è qualcosa di più, io credo. Quello che è forse un punto di debolezza è il fatto che il
vento soffia in una direzione contraria a quella nella quale la scuola dovrebbe incamminarsi. Parlo del
vento della società che, non essendo affatto inclusiva, propone continuamente modelli da seguire,
messaggi, parole d‟ordine e slogan che trasportano i giovani nella direzione contraria rispetto a quella che
la scuola dovrebbe seguire. Credo che praticamente la società cosi come è strutturata sottolinei
soprattutto le differenze non tra eguali, ma tra persone che vivono in una situazione di predominanza ed
altre che vivono una situazione di subalternità. Quindi mi pare che la società non aiuti gli insegnanti e
nemmeno gli studenti. Solo che molti insegnanti questo lo sanno, perché la loro età lascia supporre
un‟esperienza del mondo e della vita che è più consistente di quella che possono avere gli studenti,
mentre gli studenti questo non lo sanno. Farglielo capire diventa difficile perché comunque, una volta
usciti da scuola, sentono centomila campane che suonano una sinfonia diversa.
La lettura di quale libro ha cambiato il suo modo di vivere?
Fare una scelta è difficile, perché se scegliessi un libro ne escluderei molti altri. Il primo che è stato
importante è stato “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway. Nella mia scuola c‟era la tradizione che a
chi aveva tutte le sufficienze veniva regalato un libro alla fine del primo trimestre del primo liceo, e la
preside mi regalò proprio questo che lessi subito. Mentre lo leggevo avevo la sensazione che fosse un
libro strano, forse perché non avevo letto granché fino ad allora. Mi ricordo esattamente come era fatto
materialmente e quale fosse la vicenda di questo libro che mi ha introdotto alle letture successive.
Che valore hanno per lei le parole?
Allora, all‟interno di uno dei film Nanni Moretti, che è un regista bravissimo che di solito definisco “il mio
gemello diverso”, vi è una delle frasi più famose che dice “le parole sono importanti”. In realtà è proprio
così, l‟abbiamo detto mille volte; le parole sono un‟arma potentissima. Per me hanno un valore
eccezionale, me ne rendo conto nel momento in cui uso le parole sbagliate, e siccome parlare è una delle
cose più frequenti nel mio lavoro, mi capita spesso di farlo involontariamente o no. Quindi dovremmo
imparare ad usare le parole in maniera calibrata, onesta; scrivevamo qualche tempo fa, nel testo che la
redazione del giornale scolastico ha redatto per un concorso nazionale, che le parole sono pietre che non
devono essere scagliate contro qualcuno, ma devono essere usate per costruire una casa comune. Le
parole secondo me hanno questo valore, la capacità di avvicinare le persone. Quello che purtroppo
dispiace è che spesso le parole invece che avvicinare dividono, allontanano. Dovremmo imparare ad
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usare le parole come vie di comunicazione che servano a mettere le persone in contatto vero e proprio
con le altre.
Come si definirebbe in tre aggettivi?
Ansioso, palloso, scrupoloso e vorrei essere onesto. Tendenzialmente lo sono, non so quanto ci riesco; è
pur vero che non ho tentazioni alla disonestà in quanto non ho occasioni per essere fuorviato. E‟ facile
che io lo sia.
Secondo lei come si può ricercare la felicità?
Come si può ricercare la felicita? Non da soli, questo è ovvio, non si può raggiungere la felicità essendo
soli. Se non altro perché quando si è felici, si ha voglia di dirlo, e se si è soli, lo si può dire solo a se stessi,
che è come non dirlo affatto. Quindi penso che la felicità sia una meta che può essere ricercata e
raggiunta solo se si collabora con gli altri e se si hanno degli affetti forti. La felicità, a differenza dei beni
finiti, è un bene infinito, perché la mia non pregiudica la tua. La felicità può crescere esponenzialmente in
tutte le persone, e anzi, io credo che la nostra felicità faccia aumentare quella degli altri. Quindi la corsa
alla felicità è un‟operazione che va fatta collettivamente. La condizione necessaria ma non sufficiente per
la ricerca della felicità è di farlo almeno in due persone, se non in tre, quattro, cinque, farlo insieme agli
altri.
24.04.18, Viterbo
Benedetta Morucci, IV A Classico
Il professor Pierantozzi e alcuni dei suoi
studenti ( Elena, Benedetta, Noemi, Ilario)
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LA VENDETTA È UN PIATTO CHE VA SERVITO FREDDO
Nel 2003 un cineasta di Los Angeles decise di farci rimanere a bocca aperta, mettendo in scena
probabilmente una delle più grandi pellicole d‟azione della storia. Stiamo parlando di Kill Bill, e il cineasta
in questione è ovviamente Quentin Tarantino. Il suo genio è entrato nell‟immaginario collettivo sin da
subito, quando irrompe con prepotenza nel panorama cinematografico dei grandi con Le Iene (reservoir
dogs). Dallo strepitoso esordio in poi ha dato vita a diversi capolavori, il più acclamato dei quali è Pulp
Fiction, manifesto indiscusso del post modernismo cinematografico. Nella saga di Kill Bill, divisa in due
film, Tarantino mette al centro della narrazione un vero e proprio esorcismo della violenza. Si parla in
questo caso di “catarsi”: tramite l‟esagerazione (quasi barocca) della violenza, si tende a privare l‟atto
della drammaticità tipicamente presente nelle scene violente. Infatti in questo film la violenza ha un ruolo
quasi fumettistico, volto all‟intrattenimento dello spettatore. La storia è abbastanza semplice: una donna,
BeatrixKiddo( Uma Thurman), che faceva parte di un‟associazione criminale, “ la squadra assassina
vipere mortali”, decide di tornare ad una vita normale, ma il suo capo Bill ( David Carradine), dal quale
aspettava un bambino, non è d‟accordo, quindi durante le prove per il matrimonio di Beatrix irrompe in
chiesa con gli altri della squadra assassina e fa strage dei presenti. La protagonista si sveglierà dopo
essere stata in coma per oltre 4 anni per una ferita subita durante la sparatoria e, in quel momento,
decide di vendicarsi del torto subito uccidendo i componenti de “le vipere mortali”, recuperando la figlia
sopravvissuta, ma soprattutto eliminando Bill, padre amorevole di Bebe. Il tratto dell‟artista alla regia è
palese, assistiamo infatti a scene d‟azione magistralmente composte e permeate dal tipico citazionismo
Tarantiniano. La maestria di questo innovatore consiste proprio nell‟aver operato un‟unione tra il cinema
Americano e il cinema (cosiddetto di genere) Cinese, specializzato e famoso per le iconiche scene
d‟azione con richiami evidenti allo spaghetti western. Basti pensare alle pellicole che hanno come
protagonista Bruce Lee, leggenda di questo genere, dal quale Uma Thurman prende in prestito la
celeberrima tuta gialla a bande nere. Particolare attenzione va data alla costante presenza dello stile
fumettistico: addirittura nel primo volume troviamo una sequenza, che riguarda le origini di una delle
vipere mortali, O-RenIshii, totalmente realizzata come un manga. Ad abbracciare il tutto anche la colonna
sonora, che coinvolge artisti e generi, da Nancy Sinatra, con la canzone introduttiva “Bang bang”, a Ennio
Morricone che per questo film ha elaborato più di una composizione. Tutto questo permette di creare
l‟ambientazione originale per dialoghi e, soprattutto monologhi, che consentono anche al personaggio più
squallido e apparentemente insignificante di dare un suo contributo alla trama del film. La pellicola si
conclude con la liberazione di Beatrix dal suo legame con Bill, che nonostante il monologo dedicato a
Superman - supereroe preferito col quale ribadisce la vera natura di Black Manba-Beatrix - è costretto ad
accettare la propria fine con la mossa delle 5 dita a lui mai insegnata.
Edoardo Piacentini, Gianluca
Aquilani, IV A Classico
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Rap
Con il termine rap, la cui traduzione significa “chiacchierata”, indichiamo un sottogenere della musica hip-
hop, che consiste nell'utilizzo di allitterazioni, assonanze e rime.
Il rap fa dunque parte della cultura hip-hop, movimento che include anche beatboxing, breakdance e
writing (graffitismo, in italiano).
Quando e dove è nato il rap?
Le radici del rap si possono trovare nella cultura dell'Africa Occidentale e nella musica Afroamericana.
L'inizio ufficiale di questa cultura risale all'11 agosto 1973. Sin dall'inizio dello stesso anno diverse radio
della musica black music iniziarono a suonare disco music, sulla quale man mano i performer iniziarono a
parlare in sincronia con il tempo del disco, pratica che li fece successivamente conoscere come MC o
Emcee. Gli MC iniziarono a sviluppare diverse varianti sul loro approccio ritmico e vocale, assumendo
brevi rime a sfondo sessuale o scatologico, nel tentativo di distinguersi e allo stesso tempo di intrattenere
il pubblico.
Quando divenneconosciuto il rap?
Gli anni d'oro del rap coincidono con gli anni '80 e '90, precisamente dal 1986 con il successo del disco
dei Run DMC, e vedono New York come città in cui scuote più successo.
E' del 1988 l'album StraightOuttacompton del gruppo N.W.A., che aiutò non poco a rendere popolare lo
stile del Gangsta Rap, grazie ai suoi temi scottanti che riguardavano il disagio sociale e i modi illegali per
uscirne, e che tutt'ora fa sentire la sua presenza e influenza sui rapper emergenti.
A seguito dell'importanza che assunse Tupac, membro degli N.W.A., molti più giovani provavano a
raccontare le proprie esperienze nelle canzoni; anche gli stessi Eminem e Jay Z, i due rapper più
conosciuti al mondo, iniziarono prendendo spunto da Tupac.
Come è strutturata una canzone rap?
Il termine flow significa in inglese flusso ed indica la sequenza di rime rap. Esso si basa sulla prosodia, la
cadenza ritmica e il tempo di scansione.
Ilflow di un MC dipende dalla rima composta, al punto che le parole vanno in linea con i ritmi delle
percussioni.
Per realizzare un flow decente, il rapper deve anche sviluppare la presenza vocale, che è il tratto distintivo
più importante, l'enunciazione e il controllo respiratorio.
Che linguaggio si usa?
Il rap ha un gergo distintivo, che include parole come yo, flow e dick. Grazie al successo ottenuto dal
genere negli ultimi anni, queste parole stanno diventando comuni in vari dialetti in tutto il mondo.
Negli ultimi anni, però, il rap è stato colpito più di ogni altro genere musicale dalla censura, a causa del
linguaggio scurrile, che ha causato problemi anche nella loro trasmissione, sia nei videoclip sia in radio.
Chi è l'artista rap più famoso?
Senza dubbio Eminem. Al 2015 ha venduto più di 172 milioni di album nel mondo e 42 milioni di singoli
digitali. Nel 2009 è stato nominato artista del decennio dalla rivista Billboard, mentre nel 2013 ha
ricevuto il premio Global Icon, diventando così il quarto artista al mondo con tale riconoscimento.
Cresciuto a Detroit, è stato scoperto nel 1997 dal celebre produttore
Dr.Dre.
Le sue canzoni, di cui le più conosciute sono NotAfraid e Lose yourself,
contengono argomenti tipici della cultura rap, come la rabbia verso la
politica e la società. L'unica persona L'unica persona di cui parla in
modo positivo è la figlia, a cui dedica anche le canzoni Mockinbird e
WhenI'mgone.
Inoltre, Eminem ha debuttato ufficialmente nel mondo di Hollywood
nel 2002 con la pellicola di 8mile,dedicata alla sua vita e alla sua
carriera.
Christian Forti, IV A Classico
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IL PUGILATO, QUESTO VIOLENTO SCONOSCIUTO
Il pugilato, o boxe che dir si voglia, è la disciplina da combattimento per eccellenza, facente parte degli
sport olimpici fin dall‟età dell‟antica Grecia. Purtroppo nel nostro paese molto frequentemente nel tempo
ha subito un forte boicottaggio da parte del pensiero comune, venendo considerato come un qualcosa di
violento, pericoloso per la salute o addirittura potenzialmente mortale, finendo per essere abbandonato o
poco praticato. C‟è da dire che non mancano casi in cui pugili a livello professionistico abbiano riportato
evidenti ferite e contusioni dovuti ai colpi ricevuti in un incontro, o anche in una sessione di allenamento
particolarmente intensa: pensiamo addirittura che nel 2014 Oscar Gonzalez, boxer argentino, morì
tragicamente a seguito di lesioni causate durante un match. Oppure, senza andare a considerare i casi
estremi come questo, è generalmente quasi normale in questo sport riportare piccoli ematomi o
lacerazioni, se lo si pratica a livello professionistico. Ed è proprio questo il punto: molto spesso infatti si
pensa che il pugilato sia proprio come lo vediamo in televisione, che sia di quella stessa violenza e
intensità. Niente di più sbagliato. Bisogna infatti distinguere i dilettanti, anche se sono agonisti, dai
professionisti. I primi praticano questo sport come passione, pur partecipando ad incontri gareggiano a
ritmi più bassi, nei match sono protetti da un caschetto e guantoni più morbidi e non saranno mai soggetti
alle contusioni a cui sono esposti i professionisti. I secondi invece, come abbiamo detto in precedenza,
rischiano in maniera senz‟altro maggiore, tuttavia è il loro mestiere; soprattutto non bisogna scordarsi che
hanno un fisico adatto a resistere ai colpi, formato in anni di allenamento. Per chiunque voglia provare a
cimentarsi con il pugilato dunque non c‟è nulla da temere! Inizialmente i principianti non combattono
nemmeno, fin quando non saranno pronti e decideranno loro stessi di iniziare con incontri dilettantistici.
Sfatiamo il luogo comune della boxe come sport violento e rozzo: è assolutamente duro, certo, ma
insegna valori importantissimi, più di quanto facciano molte altre discipline. Non a caso è anche chiamato
“la nobile arte”: l‟atleta scopre la fatica, la determinazione, la voglia costante di superarsi. In ogni caso,
nonostante sia malvisto o poco conosciuto dalla maggior parte della popolazione, il pugilato italiano, sia
quello dilettantistico che quello professionistico, ha avuto e continua a riscuotere i propri successi anche
in campo mondiale: pensiamo ai campioni olimpici Russo e Cammarelle, o alla recentissima vittoria nel
“Mondiale per la pace WBC” del professionista Marsili.
Marsili dopo la vittoria nel mondiale WBC
Michele Masotti, III A Classico
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Viterbo, una città che fiorisce San Pellegrino in Fiore è un evento imperdibile della primavera viterbese. Esso nasce nel 1987 da un‟idea
di Armando Malè, che è stata poi realizzata in collaborazione con Fabio Fontana, l‟allora assessore
Giuseppe Genovese e il comitato S.S. Salvatore. L‟evento coinvolge numerosi florovivaisti locali (tra cui il
sindaco in carica Leonardo Michelini) per dar vita a una coloratissima mostra di piante e fiori nel cuore più
antico della città.
Il risultato è stato e continua ad essere a distanza di oltre ventotto anni, un‟occasione speciale per
valorizzare il prezioso centro storico di Viterbo, attrarre turisti e appassionati, sottolineare l‟assoluta
bellezza del quartiere medievale attraverso il netto contrasto tra la vivacità e la delicatezza dei fiori e la
severità e l‟imponenza del peperino che domina in palazzi, profferli e fontane.
Dalla prima edizione ad oggi, la manifestazione è cresciuta e si è ampliata stimolando sempre nuove idee
e iniziative. Nel 1993 è stato fondato l‟Ente Autonomo di San Pellegrino in Fiore, grazie anche al
contributo dell‟allora sindaco Giuseppe Fioroni, presieduto dal Cavaliere Armando Malè , tuttora in carica
e attivo nell‟organizzazione annuale dell‟iniziativa. San Pellegrino in Fiore ha riscosso sempre un immenso
successo ed è stato collegato nel tempo ad altri eventi come il passaggio della Mille Miglia, rievocazioni
storiche, estemporanee di pittura, concorsi fotografici e sfilate di moda di livello nazionale, animazioni
musicali, degustazione di prodotti tipici della Tuscia, mercatini di antiquariato, artigianato e collezionismo,
laboratori per bambini e altri spettacoli di diverso tipo come giochi pirotecnici di luci e suoni con il
meraviglioso sfondo del palazzo papale.
Tutto questo ha fatto della manifestazione qualcosa in più di una semplice mostra: un momento carico di
fascino e poesia, in cui ogni angolo della città è un confluire irrefrenabile di proposte, energie e impulsi
volti a sottolineare con architetture vegetali e tripudi di piante e fiori le meraviglie del tessuto urbano e le
sue risorse assolutamente uniche in termini di arte, bellezza, storia e cultura.
Leonardo Santini, IV A Classico
San Pellegrino in Fiore