Coraggio, non piangete! Non è un addio, semplicemente un ... · non è un addio ma un arrivederci....

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Pagina 1 IL BURATTINO SENZA FILI Giornale degli studenti del Liceo Classico e Linguistico “Mariano Buratti” Coraggio, non piangete! Non è un addio, semplicemente un doveroso saluto… Gentili lettori, questo è l‟ultimo numero del nostro giornale per quest‟anno. Speriamo vivamente, senza per questo avanzare pretese, di aver portato alla vostra conoscenza o comunque di aver approfondito tematiche che abbiano "stuzzicato" il vostro interesse e stimolato la vostra curiosità. Nel garantirvi nuovamente l‟ obbiettività da noi adoperata nel descrivere situazioni e nel trattare i diversi argomenti, permettetemi però di parlare in questo articolo di qualcosa di soggettivo. Noi ragazzi del comitato di redazione del giornale del Liceo Ginnasio Statale "Mariano Buratti" nel cercare di presentarvi sempre notizie provenienti da ogni angolo del mondo e inerenti tutti gli ambiti della vita umana, forse non ci siamo mai presentati come si deve. Probabilmente vi starete chiedendo qual è il senso di fare le presentazioni una volta giunti al momento di salutarsi … Ebbene il senso di ciò è da ricercarsi nel fatto che dietro questi giovanissimi giornalisti che perscrutano con occhio critico la realtà, ci sono ragazzi che stanno affrontando con grande forza d‟animo le difficoltà proprie delle loro età. Il mio, quindi, vuole essere solo un doveroso ringraziamento a tutti coloro i quali, nonostante i molti impegni, trovano comunque il tempo per scrivere articoli ben strutturati e nello scriverli non si risparmiano, impiegando sempre la stessa passione. In particolare, volevo ringraziare per il loro lavoro, ma soprattutto per quello che sono stati in grado di insegnarmi , quei ragazzi che frequentano il quinto anno e che a breve dovranno sostenere la maturità. Sappiate che noi che ci ritroveremo qui anche l‟anno prossimo a scrivere il nostro giornale, terremo sempre a mente il vostro esempio; perché in questa famiglia che si è venuta a formare sarete sempre i nostri fratelli e sorelle maggiori. Inoltre mi sembra giusto fare i complimenti a tutti quelli che invece sono entrati a far parte di questa famiglia solamente da quest‟anno, in quanto hanno da subito mostrato vivo interesse alla nostra causa e una spiccata creatività. Tutti elementi molto validi che al momento giusto son certo che sapranno prendere in mano le redini della situazione e dare continuità a questo giornale nel migliore dei modi. Infine, certamente non ultimo per importanza, volevo ringraziare (so di poter parlare a nome di tutti in questo caso) il Professor Pierantozzi che, una volta fornitici gli strumenti adatti per scrivere, ovviamente controllando che il nostro prodotto finale rispettasse i canoni di una corretta trattazione di tematiche e personaggi, ci ha sempre lasciato la libertà di esprimerci senza subire censure. In quanto padre di questa famiglia ci ha dapprima educati e successivamente sostenuti in tutto il nostro percorso in maniera egregia: ecco perché tutti quanti noi ci auguriamo che anche il prossimo anno il professore possa essere al nostro fianco nella stesura e impaginazione del giornale. Spero che vogliate perdonare l‟esternazione di questo mio personalissimo pensiero … Tornando a noi, come avrete ben capito, questo non è un addio ma un arrivederci. Il nostro giornale tornerà a soddisfare il vostro appetito di notizie all‟inizio del prossimo anno scolastico. Buone vacanze da parte di tutto il comitato di redazione del nostro giornale! Ilario Pasculini, IV A Classico Numero 4, Maggio 2018

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IL BURATTINO SENZA FILI

Giornale degli studenti del Liceo Classico e Linguistico “Mariano Buratti”

Coraggio, non piangete! Non è un addio, semplicemente un doveroso saluto…

Gentili lettori,

questo è l‟ultimo numero del nostro giornale per quest‟anno. Speriamo vivamente,

senza per questo avanzare pretese, di aver portato alla vostra conoscenza o comunque

di aver approfondito tematiche che abbiano "stuzzicato" il vostro interesse e stimolato la

vostra curiosità. Nel garantirvi nuovamente l‟ obbiettività da noi adoperata nel

descrivere situazioni e nel trattare i diversi argomenti, permettetemi però di parlare in

questo articolo di qualcosa di soggettivo. Noi ragazzi del comitato di redazione del

giornale del Liceo Ginnasio Statale "Mariano Buratti" nel cercare di presentarvi sempre

notizie provenienti da ogni angolo del mondo e inerenti tutti gli ambiti della vita umana,

forse non ci siamo mai presentati come si deve. Probabilmente vi starete chiedendo

qual è il senso di fare le presentazioni una volta giunti al momento di salutarsi …

Ebbene il senso di ciò è da ricercarsi nel fatto che dietro questi giovanissimi giornalisti

che perscrutano con occhio critico la realtà, ci sono ragazzi che stanno affrontando con

grande forza d‟animo le difficoltà proprie delle loro età. Il mio, quindi, vuole essere solo

un doveroso ringraziamento a tutti coloro i quali, nonostante i molti impegni, trovano

comunque il tempo per scrivere articoli ben strutturati e nello scriverli non si

risparmiano, impiegando sempre la stessa passione. In particolare, volevo ringraziare

per il loro lavoro, ma soprattutto per quello che sono stati in grado di insegnarmi , quei

ragazzi che frequentano il quinto anno e che a breve dovranno sostenere la maturità.

Sappiate che noi che ci ritroveremo qui anche l‟anno prossimo a scrivere il nostro

giornale, terremo sempre a mente il vostro esempio; perché in questa famiglia che si è

venuta a formare sarete sempre i nostri fratelli e sorelle maggiori.

Inoltre mi sembra giusto fare i complimenti a tutti quelli che invece sono entrati a far

parte di questa famiglia solamente da quest‟anno, in quanto hanno da subito mostrato

vivo interesse alla nostra causa e una spiccata creatività. Tutti elementi molto validi che

al momento giusto son certo che sapranno prendere in mano le redini della situazione e

dare continuità a questo giornale nel migliore dei modi. Infine, certamente non ultimo

per importanza, volevo ringraziare (so di poter parlare a nome di tutti in questo caso) il

Professor Pierantozzi che, una volta fornitici gli strumenti adatti per scrivere, ovviamente

controllando che il nostro prodotto finale rispettasse i canoni di una corretta trattazione

di tematiche e personaggi, ci ha sempre lasciato la libertà di esprimerci senza subire

censure. In quanto padre di questa famiglia ci ha dapprima educati e successivamente

sostenuti in tutto il nostro percorso in maniera egregia: ecco perché tutti quanti noi ci

auguriamo che anche il prossimo anno il professore possa essere al nostro fianco nella

stesura e impaginazione del giornale. Spero che vogliate perdonare l‟esternazione di

questo mio personalissimo pensiero … Tornando a noi, come avrete ben capito, questo

non è un addio ma un arrivederci. Il nostro giornale tornerà a soddisfare il vostro

appetito di notizie all‟inizio del prossimo anno scolastico. Buone vacanze da parte di

tutto il comitato di redazione del nostro giornale!

Ilario Pasculini, IV A Classico

Numero 4, Maggio 2018

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« Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire. », il 25 aprile 25 aprile, 1945: il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia dà il comando di colpire i territori ancora

soppressi dall‟occupazione nazifascista per un‟insurrezione generale.

Alla radio viene proclamato il motto “Arrendersi o perire!” rivolto agli occupanti.

Il protagonista della soppressione Benito Mussolini, scappa da Milano per rifugiarsi a Como, ma viene

fermato dai partigiani e fucilato a Dongo il 27 aprile.

L‟insurrezione ha portato alla liberazione dei maggiori capoluoghi del nord prima dell‟arrivo delle truppe

alleate.

Ed è proprio per questo che il 25 aprile è stato scelto per celebrare e ricordare, ogni anno, la Liberazione

(o Anniversario della Resistenza), in quanto simbolo della vittoria della resistenza militare delle forze

partigiane durante tutta la Seconda Guerra Mondiale, contro la Repubblica Sociale Italiana.

Quindi è importante non festeggiare in modo superficiale senza sapere perché effettivamente questo

giorno sia festivo.

Bisogna celebrare la nostra libertà ricordando tutto il sangue e tutto il sudore che i partigiani hanno perso

per le generazioni future, tra cui noi giovani, che troppo spesso consideriamo ovvi diritti guadagnati con la

morte di troppi martiri.

Un esempio vicino a noi di azionista è stato l‟insegnante del liceo classico Umberto I Mariano Buratti.

Questi aveva organizzato la “Banda Buratti”, una banda partigiana operante sui Monti Cimini.

Mariano Buratti è stato poi catturato dalle forze nazifasciste a Roma, e dopo circa due settimane di

torture, è stato fucilato al Forte Bravetta il 31 gennaio del 1944. Proprio per ricordare il suo coraggio, il

liceo in cui insegnava ha preso il suo nome, è proprio sull‟ingresso principale è stata posta una lapide in

suo onore, ed ogni 25 aprile viene commemorata con una corona d‟alloro e con l‟affetto di tutti i

partecipanti.

“Oggi la nuova resistenza in che cosa consiste. Ecco l’appello ai giovani: di difendere queste posizioni che

noi abbiamo conquistato; di difendere la Repubblica e la democrazia. E cioè, oggi ci vuole due qualità a

mio avviso cari amici: l’onestà e il coraggio. L’onestà… l’onestà… l’onestà. […] E quindi l’appello che io

faccio ai giovani è questo: di cercare di essere onesti, prima di tutto: la politica deve essere fatta con le

mani pulite. Se c’è qualche scandalo. Se c’è qualcuno che da’ scandalo; se c’è qualche uomo politico che

approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi, deve essere denunciato!” - Sandro Pertini

-

Michela Travaglini, IV A Classico

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La festa del lavoro

Il primo maggio di ogni anno in molti paesi del mondo si festeggia la Festa del Lavoro o del Lavoratore, per

ricordare le lotte compiute per ottenere la riduzione della giornata lavorativa. Lo scopo delle battaglie

operaie era quello di conquistare un diritto ben preciso, ovvero quello di fissare l‟orario lavorativo a otto

ore giornaliere. Queste battaglie portarono alla promulgazione di una legge che fu approvata nel 1867

nell‟Illinois. La prima manifestazione fu organizzata dall‟ordine dei cavalieri del lavoro il 5 settembre del

1882 a New York, due anni dopo la stessa associazione decise che questo evento avrebbe avuto una

cadenza annuale e insieme ad altre organizzazioni si stabilì che la data della festività fosse il cinque

maggio. Il vero motivo della scelta di questa data fu la rivolta di Haymarket a Chicago. Il 3 maggio i

lavoratori che scioperavano si riunirono all‟ingresso della fabbrica di macchine agricole McCormick, e la

polizia, chiamata per mandarli via, sparò sui manifestanti uccidendone due e ferendone altri. Per

protestare contro le forze dell‟ordine , alcuni anarchici decisero di organizzare una manifestazione nella

Haymarket Square, dove solitamente si teneva il mercato delle macchine agricole. La rivolta terminò il

quattro maggio quando fu lanciata una bomba che provocò la morte di sei poliziotti e ne ferì altri. La

polizia sparò sui manifestanti, ma non si è mai saputo chi abbia lanciato la bomba e quante vittime ci

siano state. Quando, nel1888, la notizia della rivolta di Chicago si diffuse nel resto del mondo, la

popolazione di Livorno manifestò contro le navi statunitensi ancorate nel porto e contro la questura, dove

si pensava che si fosse rifugiato il console degli Stati Uniti.

In Europa la festività del primo maggio fu ufficializzata nel 1889 mentre in Italia venne ratificata due anni

dopo. Durante il ventennio fascista, dal 1924, la celebrazione fu anticipata al 21 aprile facendola

corrispondere con il Natale di Roma che diventò giorno festivo con la denominazione di “Natale di Roma-

Festa del Lavoro”. Fu poi riportata al primo maggio dopo la fine della seconda guerra mondiale nel 1945,

mantenendo il carattere di giorno festivo. Il primo maggio del 1955 papa Pio XII istituì la festa di San

Giuseppe lavoratore per renderla anche una festa cattolica. Però non in tutti i paesi è considerata una

festa ufficiale, come nei Paesi Bassi e in Danimarca, anche se si tengono delle celebrazioni in occasione

del primo maggio.

Flavia Fortuna, Martina Falci, IV A Classico

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“Il perdono”

In quest‟epoca nella quale i valori che da sempre caratterizzano l‟uomo in quanto tale sembrano

scomparsi, abbiamo deciso di ricordare la loro importanza.

Nella parola „perdono‟ la particella intensiva „per‟ attribuisce al dono il valore di una offerta totale,

incondizionata. Il perdono riflette il suo essere gratuito: esso rifugge da qualsiasi contabilità, materiale o

spirituale.

Il perdono, è uno dei valori più importanti dell‟etica di tutti i tempi, benché oggi sia svalutato: i potenti

della terra lo invocano solamente quando non ci sono più vittime in grado di rispondere; il piccolo

schermo – nei suoi reality – inscena senza ritegno la farsa delle improvvise e plateali riconciliazioni;

all‟indomani di un omicidio, la prima domanda del giornalista ai parenti della vittima è “vi sarà perdono?”.

È quasi doveroso, allora, risalire alle sue radici. L‟uomo ha sempre avuto bisogno di superare le

disarmonie e i conflitti tragici del passato anche attraverso atti di clemenza.

Ma il perdono è innanzitutto concetto cristiano che richiede una rilettura attraverso le pagine dell‟Antico e

del Nuovo Testamento. Questa ricerca teologica permette di riaffermare il perdono come parola che

propone un‟immagine della forza che rifiuta la violenza. La fede cristiana riconosce per prima il perdono,

la sua originaria gratuità, dopo la clementia degli antichi. Per questo il perdono non può appartenere alla

sfera puramente intima delle persone, ma svolge una funzione sociale.

Nei tempi antichi non era presente una vera e propria concezione di perdono, ma solamente una

parvenza, che sarà fondamentale nel pensiero Cristiano.

Il primo errore si perdona sempre. Questo sta scritto nel Codice di Hammurabi : “Ma se il figlio è colpevole

nei confronti del padre per una offesa grave passibile di diseredazione, egli verrà perdonato purché si

tratti della prima offesa”. La legge assira contemplala scusabilità del primo errore, in quanto il primo

errore non può comprendere la coscienza della colpa.

Al contrario presso i Greci non esisteva né una divinità specifica che contemplasse il perdono né era

concesso appello agli uomini, quando peccavano di “hybris”. Tale concezione era propria anche della

civiltà Romana, nella quale tuttavia era venerata la divina Clementia.

La Clementia era una divinità romana entrata a far parte della religione pubblica dopo l'uccisione di

Cesare che avrebbe incarnato in vita questa virtù che, secondo Cicerone, era stata anche una delle cause

della sua morte

.

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Cicerone può essere considerato il miglior interprete di cosa intendesse il sistema dei valori romani per

clementia. Nell'orazione Pro Marcello, pronunciata in senato per ringraziare Cesare, Cicerone attribuisce a

Cesare la virtù della clementia: poiché, se è vero che la gloria di Cesare riposa, come quella di altri

condottieri, sul talento militare, egli è l'unico che, fra tutti i vincitori, si è distinto per la sua bontà d'animo,

tanto nobile che non basta semplicemente paragonarlo ai grandi uomini, ma va giudicato simile a un dio

(«haec qui faciat, non ego eum cum summis viris comparo, sed simillimum deo iudico») poiché egli si è

comportato clementer (con clementia), mansuete (con mansuetudine), iuste (con

giustizia), moderate (con moderazione), sapienter (con saggezza).

Questi pochi riferimenti storici per introdurre che cosa?

La constatazione che il perdono, nella storia della umanità, è partito come uno “scusare” l’ignoranza

delle conseguenze del proprio atto per raggiungere il culmine nel pensiero cristiano e che costituirà uno

dei capi saldi dell‟etica medievale. Ne è rappresentazione massima il pellegrinaggio, con il quale i fedeli

espiavano le proprie colpe e chiedevano il perdono a Dio.

Nell‟età contemporanea, purtroppo il perdono è svalutato dalla maggior parte degli

uomini, nonostante siano esistite personalità esemplari come Nelson Mandela,

presidente del Sudafrica che ha sacrificato la sua vita nella lotta contro la segregazione

razziale, che pronunciò queste parole: “ Il perdono libera l‟anima, rimuove la paura. È

per questo che il perdono è un‟arma potente”.

Alessandra Moscaroli, III A Classico

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L’importanza di un sorriso

Lo abbiamo con noi fin dal momento in cui nasciamo: i più romantici lo interpretano come qualcosa di

unico e spettacolare, altri potrebbero definirlo come un semplice stiramento delle labbra. Ma che sia

accennato, a trentadue denti o finto, il sorriso rappresenta da sempre qualcosa difficile da interpretare ed

inafferrabile, capace di comunicare emozioni difficilmente esprimibili con le parole.

Seppur fin dall‟antichità ha racchiuso in sé svariati significati, il sorriso rimane una costante non solo

nell‟arte e nella letteratura, quanto nella vita di tutti i giorni come strumento per esprimere le nostre

emozioni, siano esse di compiacimento, felicità o comprensione.

Si dice che un sorriso possa trasmettere a chi lo riceve la forza di spostare una montagna a chi ne

beneficia, e in tal senso ha mantenuto il suo antico significato, che non si discosta molto dalla nostra

concezione: basti pensare al mito di Demetra, la cui ancella per sollevarla dopo il rapimento della figlia

Persefone da parte di Ade, si dipinge un volto buffo e sorridente sul ventre, e scoprendoselo dinanzi alla

dea ne provoca il riso, ponendo fine alla terribile carestia che si era abbattuta nel mondo degli uomini; il

sorriso divino era dunque nell‟antichità fonte di energia e di benessere e causa dello splendere della luce.

In età moderna, con Cartesio, il sorriso e il riso ad esso collegato divengono causa di shock per chi li

prova, e in quanto tale più difficile da suscitare rispetto al pianto. Ed ancora Kant, che definisce il sorriso

come una vera e propria medicina, capace più delle altre di guarire chiunque sia oppresso da tristezza e

solitudine.

Oggigiorno il sorriso viene interpretato come qualcosa di più complesso, più oscuro e indecifrabile: niente

è infatti più difficile da interpretare che un sorriso apparentemente banale, il quale in realtà può celare

più di mille significati.

Ma non importa quanto esso sia criptico, piuttosto ciò che è in grado di trasmettere. Per concludere è

d‟obbligo citare Frederick William Faber ed il suo meraviglioso inno al sorriso:

Un sorriso non costa nulla e produce molto.

Arricchisce chi lo riceve

senza impoverire chi lo dona.

Non dura che un istante,

ma nel ricordo può essere eterno.

Nessuno è così ricco

da poterne fare a meno

e nessuno è così povero da non meritarlo.

Frederick William Faber

Benedetta Taddeucci, Chiara Conti, III A Classico

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Prof. sotto attacco

Quale alunno non hai mai, tra sé e sé, mandato a quel paese un professore magari dopo aver ricevuto un

brutto voto o solo perché ne aveva paura ?Ritenendo che questo sia capitato a tutti gli alunni, bravi e

meno brillanti non escludo che sia successo anche ai nostri professori prima di passare dietro la

cattedra.

Di recente però si è sorpassato il limite.

In molte scuole il professore non è più una persona da rispettare, ascoltare e prendere come esempio. Al

professore si dà del tu, lo si prende in giro in modo sfacciato e volutamente irriverente e lo si offende.

Addirittura secondo quanto di recente annunciato dai mass-media i professori vengono pesantemente

minacciati ed anche percossi.

Il mestiere del docente è diventato quindi sempre più uno scontro a volte anche fisico con ragazzi ed

adulti. Tutto ciò è in effetti aggravato dal fatto che i genitori giustificano e difendono i figli contribuendo

allo svilimento della figura del docente. Un tempo i genitori avrebbero prima ascoltato il docente e

successivamente rimproverato i figli. Oggi invece i genitori prima ascoltano i figli ed in seguito

rimproverano i docenti chiedendo a questi ultimi di adeguarsi ai bisogni ed alle necessità dei ragazzi.

Questo nel migliore dei casi poiché spesso accade che i genitori minaccino, denuncino ed in alcuni casi

anche aggrediscano i docenti.

Le aggressioni per un brutto voto, un rimprovero, un no, sono sempre più frequenti.

Molti docenti ogni giorno entrano in classe sapendo già che dovranno difendersi dagli alunni e dai

genitori. Il bullismo domina incontrastato gli ambienti scolastici. Ne sono vittime gli alunni ma anche i

professori. Le cause di tutto questo? Sempre le stesse. La gioventù, allo sbando, non ha regole. La

famiglia non è in grado di fornire un‟educazione, di dare dei principi solidi sui quali costruire la propria vita

all‟interno della società e, invece di collaborare con la scuola, la attacca privando i propri figli anche della

possibilità di trovare nella stessa scuola quello che non trovano a casa ovvero delle regole da rispettare,

perché per vivere in una società bisogna necessariamente osservare delle regole e dei ruoli. Ciò aiuta a

vivere con gli altri ed anche a rispettare noi stessi.

Matteo Jarno Santoni, II C Classico

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INTERVISTA AL PROF. ANGELO PIERANTOZZI

C‟è un paesaggio della sua città d‟origine che le ricorda in particolar modo ii giorni spensierati della

giovinezza?

Sì, non è un solo paesaggio, sono due: quello che ricordo con più piacere è una vecchia cava che noi

ragazzi della scuola media ci divertivamo a scalare e poi a scendere facendo la “sguicelella”, che sarebbe

la scivolarella. Questo è il paesaggio che mi viene alla mente per primo, però poi un grande fascino lo

esercita anche la occa, che è il simbolo di Tolfa, il paese in cui sono nato. La Rocca è un vecchio maniero,

un castello d‟origine tardo medievale. C‟è una poesia di Annibal Caro che parla di Tolfa e dice “La Tolfa è

Giovan Boni, una bicocca,/ tra schegge e balze d' un petron ferrigno/ ed ha in cima al cucuzzol d' un

macigno/ un pezzo di sfasciume d' una rocca”. Tra l‟altro La rocca è il primo nucleo abitativo di origine

medioevale attorno al quale è cresciuto tutto l‟abitato.

Quale momento e\o incontro dei cinque anni del liceo che frequentò ebbe maggior impatto su di lei?

L‟incontro con due insegnanti che hanno fatto in modo che io diventassi quello che sono. La colpa di

quello che sono e di quello che so, nel senso di sapere, è loro. Il mio insegnante di italiano e latino, e la

mia insegnante di filosofia e storia, che per me erano due modelli da seguire. Hanno segnato

positivamente la mia vita, ogni volta che sto qui con voi e cerco di fare bene il lavoro che faccio mi

domando se loro nelle stesse circostanze avrebbero fatto le stesse cose. Se senza molte difficoltà riesco a

rispondermi di si, penso di aver fatto bene le cose.

Quanto tempo dedica durante il giorno a dissertazioni filosofiche?

Credo che non ci sia un tempo dedicato, nel senso che è il tempo stesso che vorrei trascorrere

filosoficamente. Non c‟è un momento in cui mi concentro su un argomento e rifletto; ormai sarà una

deformazione professionale, ma tutte le cose che faccio le vedo da un punto di vista filosofico e in tutte

cerco un risvolto filosofico. Come dire, è facile per me fare un‟escursione, passare in maniera velocissima

da – come direbbe Gozzano- “ le piccole cose di pessimo gusto” alle grandi questioni che affliggono

l‟uomo contemporaneo. Quindi lo faccio ormai senza rendermene conto, senza che questo mi renda

diverso da tutti gli altri. Tutti insomma riflettiamo, facendo questa escursione dal piccolo al grande,

dall‟angusto all‟ampio, dal poco importante al necessario.

Come si è approcciato inizialmente allo studio delle discipline che ha poi insegnato?

Diciamo che mi ritengo fortunato per aver fatto filosofia, e per averla fatta all‟università “La Sapienza” di

Roma, perché ho avuto a che fare con i migliori insegnanti che avrei potuto avere, nel campo degli studi

storico-filosofici, quotati non soltanto in Italia ma a livello mondiale. E sono stato fortunato, oltre che per i

grandi insegnanti,anche perché ho avuto dei bravissimi compagni, persone in gamba, che stimolavano

continuamente la riflessione, la discussione... Io non avevo idea di quale fosse l‟ambiente in cui ero

capitato perché non riuscivo ad intravederne i confini, e questo forse perché confini questo ambiente non

ne aveva. Ero però pieno di curiosità e molto ignorante, ignorante in tutti i sensi, sia perché ero un ragazzo

di paese, sia perché mi affacciavo alla vita senza molte esperienze. Avevo voglia di sapere, quella è

rimasta.

In che luogo vorrebbe trovarsi nel mondo, se potesse, per la durata di un solo giorno?

Il luogo non sarebbe importante. Potrebbe essere ovunque, basta che ci sia mia figlia. Un giorno sano, che

significa ventiquattr‟ore; mi è già successo di vivere ventiquattrore con mia figlia, quando è venuta a

trovarmi qua, però ecco, io penso che se noi stessimo in un luogo, pur ordinario, ma insieme, il mio

desiderio sarebbe esaudito.

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C‟è qualche questione importante e contemporanea che proverebbe a risolvere con la filosofia?

Tante sono le questioni contemporanee che la filosofia potrebbe risolvere, perché tante ne ha già risolte

in passato. Per esempio quella che riguarda la tolleranza fra persone appartenenti ad etnie diverse ,

regioni diverse, paesi diversi che per cause che sono a tutti noi note si trovano a vivere a contatto di

gomito. Parlo della questione dei migranti e dell‟intolleranza che spesso molti di noi hanno nei loro

confronti. Credo che riflettere su questi atteggiamenti di intolleranza e discriminazione sia il primo passo

indispensabile affinché questi vengano sconfitti ed inibiti. In questo senso credo che la filosofia, come

disciplina di studio, possa fare molto. Penso che riflettere sul fatto che viviamo tutti sotto lo stesso cielo

aiuterebbe ad essere più tolleranti sia con persone che appartengono a diverse etnie, sia con persone che

professano religioni diverse dalla nostra, sia con persone che hanno abitudini diverse dalle nostre, sia

con persone che la pensando differentemente da noi su un piano politico.

Quali sono i punti di forza e di debolezza dell‟incontro che avviene ogni giorno tra lei come insegnante e le

classi?

A questo non so rispondere molto adeguatamente, ho qualche difficoltà. Il punto di forza è il fatto che

posso dire di avere un buon rapporto con i miei studenti, tanto che questo non si limita alla relazione

docente-discente, c‟è qualcosa di più, io credo. Quello che è forse un punto di debolezza è il fatto che il

vento soffia in una direzione contraria a quella nella quale la scuola dovrebbe incamminarsi. Parlo del

vento della società che, non essendo affatto inclusiva, propone continuamente modelli da seguire,

messaggi, parole d‟ordine e slogan che trasportano i giovani nella direzione contraria rispetto a quella che

la scuola dovrebbe seguire. Credo che praticamente la società cosi come è strutturata sottolinei

soprattutto le differenze non tra eguali, ma tra persone che vivono in una situazione di predominanza ed

altre che vivono una situazione di subalternità. Quindi mi pare che la società non aiuti gli insegnanti e

nemmeno gli studenti. Solo che molti insegnanti questo lo sanno, perché la loro età lascia supporre

un‟esperienza del mondo e della vita che è più consistente di quella che possono avere gli studenti,

mentre gli studenti questo non lo sanno. Farglielo capire diventa difficile perché comunque, una volta

usciti da scuola, sentono centomila campane che suonano una sinfonia diversa.

La lettura di quale libro ha cambiato il suo modo di vivere?

Fare una scelta è difficile, perché se scegliessi un libro ne escluderei molti altri. Il primo che è stato

importante è stato “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway. Nella mia scuola c‟era la tradizione che a

chi aveva tutte le sufficienze veniva regalato un libro alla fine del primo trimestre del primo liceo, e la

preside mi regalò proprio questo che lessi subito. Mentre lo leggevo avevo la sensazione che fosse un

libro strano, forse perché non avevo letto granché fino ad allora. Mi ricordo esattamente come era fatto

materialmente e quale fosse la vicenda di questo libro che mi ha introdotto alle letture successive.

Che valore hanno per lei le parole?

Allora, all‟interno di uno dei film Nanni Moretti, che è un regista bravissimo che di solito definisco “il mio

gemello diverso”, vi è una delle frasi più famose che dice “le parole sono importanti”. In realtà è proprio

così, l‟abbiamo detto mille volte; le parole sono un‟arma potentissima. Per me hanno un valore

eccezionale, me ne rendo conto nel momento in cui uso le parole sbagliate, e siccome parlare è una delle

cose più frequenti nel mio lavoro, mi capita spesso di farlo involontariamente o no. Quindi dovremmo

imparare ad usare le parole in maniera calibrata, onesta; scrivevamo qualche tempo fa, nel testo che la

redazione del giornale scolastico ha redatto per un concorso nazionale, che le parole sono pietre che non

devono essere scagliate contro qualcuno, ma devono essere usate per costruire una casa comune. Le

parole secondo me hanno questo valore, la capacità di avvicinare le persone. Quello che purtroppo

dispiace è che spesso le parole invece che avvicinare dividono, allontanano. Dovremmo imparare ad

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usare le parole come vie di comunicazione che servano a mettere le persone in contatto vero e proprio

con le altre.

Come si definirebbe in tre aggettivi?

Ansioso, palloso, scrupoloso e vorrei essere onesto. Tendenzialmente lo sono, non so quanto ci riesco; è

pur vero che non ho tentazioni alla disonestà in quanto non ho occasioni per essere fuorviato. E‟ facile

che io lo sia.

Secondo lei come si può ricercare la felicità?

Come si può ricercare la felicita? Non da soli, questo è ovvio, non si può raggiungere la felicità essendo

soli. Se non altro perché quando si è felici, si ha voglia di dirlo, e se si è soli, lo si può dire solo a se stessi,

che è come non dirlo affatto. Quindi penso che la felicità sia una meta che può essere ricercata e

raggiunta solo se si collabora con gli altri e se si hanno degli affetti forti. La felicità, a differenza dei beni

finiti, è un bene infinito, perché la mia non pregiudica la tua. La felicità può crescere esponenzialmente in

tutte le persone, e anzi, io credo che la nostra felicità faccia aumentare quella degli altri. Quindi la corsa

alla felicità è un‟operazione che va fatta collettivamente. La condizione necessaria ma non sufficiente per

la ricerca della felicità è di farlo almeno in due persone, se non in tre, quattro, cinque, farlo insieme agli

altri.

24.04.18, Viterbo

Benedetta Morucci, IV A Classico

Il professor Pierantozzi e alcuni dei suoi

studenti ( Elena, Benedetta, Noemi, Ilario)

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LA VENDETTA È UN PIATTO CHE VA SERVITO FREDDO

Nel 2003 un cineasta di Los Angeles decise di farci rimanere a bocca aperta, mettendo in scena

probabilmente una delle più grandi pellicole d‟azione della storia. Stiamo parlando di Kill Bill, e il cineasta

in questione è ovviamente Quentin Tarantino. Il suo genio è entrato nell‟immaginario collettivo sin da

subito, quando irrompe con prepotenza nel panorama cinematografico dei grandi con Le Iene (reservoir

dogs). Dallo strepitoso esordio in poi ha dato vita a diversi capolavori, il più acclamato dei quali è Pulp

Fiction, manifesto indiscusso del post modernismo cinematografico. Nella saga di Kill Bill, divisa in due

film, Tarantino mette al centro della narrazione un vero e proprio esorcismo della violenza. Si parla in

questo caso di “catarsi”: tramite l‟esagerazione (quasi barocca) della violenza, si tende a privare l‟atto

della drammaticità tipicamente presente nelle scene violente. Infatti in questo film la violenza ha un ruolo

quasi fumettistico, volto all‟intrattenimento dello spettatore. La storia è abbastanza semplice: una donna,

BeatrixKiddo( Uma Thurman), che faceva parte di un‟associazione criminale, “ la squadra assassina

vipere mortali”, decide di tornare ad una vita normale, ma il suo capo Bill ( David Carradine), dal quale

aspettava un bambino, non è d‟accordo, quindi durante le prove per il matrimonio di Beatrix irrompe in

chiesa con gli altri della squadra assassina e fa strage dei presenti. La protagonista si sveglierà dopo

essere stata in coma per oltre 4 anni per una ferita subita durante la sparatoria e, in quel momento,

decide di vendicarsi del torto subito uccidendo i componenti de “le vipere mortali”, recuperando la figlia

sopravvissuta, ma soprattutto eliminando Bill, padre amorevole di Bebe. Il tratto dell‟artista alla regia è

palese, assistiamo infatti a scene d‟azione magistralmente composte e permeate dal tipico citazionismo

Tarantiniano. La maestria di questo innovatore consiste proprio nell‟aver operato un‟unione tra il cinema

Americano e il cinema (cosiddetto di genere) Cinese, specializzato e famoso per le iconiche scene

d‟azione con richiami evidenti allo spaghetti western. Basti pensare alle pellicole che hanno come

protagonista Bruce Lee, leggenda di questo genere, dal quale Uma Thurman prende in prestito la

celeberrima tuta gialla a bande nere. Particolare attenzione va data alla costante presenza dello stile

fumettistico: addirittura nel primo volume troviamo una sequenza, che riguarda le origini di una delle

vipere mortali, O-RenIshii, totalmente realizzata come un manga. Ad abbracciare il tutto anche la colonna

sonora, che coinvolge artisti e generi, da Nancy Sinatra, con la canzone introduttiva “Bang bang”, a Ennio

Morricone che per questo film ha elaborato più di una composizione. Tutto questo permette di creare

l‟ambientazione originale per dialoghi e, soprattutto monologhi, che consentono anche al personaggio più

squallido e apparentemente insignificante di dare un suo contributo alla trama del film. La pellicola si

conclude con la liberazione di Beatrix dal suo legame con Bill, che nonostante il monologo dedicato a

Superman - supereroe preferito col quale ribadisce la vera natura di Black Manba-Beatrix - è costretto ad

accettare la propria fine con la mossa delle 5 dita a lui mai insegnata.

Edoardo Piacentini, Gianluca

Aquilani, IV A Classico

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Rap

Con il termine rap, la cui traduzione significa “chiacchierata”, indichiamo un sottogenere della musica hip-

hop, che consiste nell'utilizzo di allitterazioni, assonanze e rime.

Il rap fa dunque parte della cultura hip-hop, movimento che include anche beatboxing, breakdance e

writing (graffitismo, in italiano).

Quando e dove è nato il rap?

Le radici del rap si possono trovare nella cultura dell'Africa Occidentale e nella musica Afroamericana.

L'inizio ufficiale di questa cultura risale all'11 agosto 1973. Sin dall'inizio dello stesso anno diverse radio

della musica black music iniziarono a suonare disco music, sulla quale man mano i performer iniziarono a

parlare in sincronia con il tempo del disco, pratica che li fece successivamente conoscere come MC o

Emcee. Gli MC iniziarono a sviluppare diverse varianti sul loro approccio ritmico e vocale, assumendo

brevi rime a sfondo sessuale o scatologico, nel tentativo di distinguersi e allo stesso tempo di intrattenere

il pubblico.

Quando divenneconosciuto il rap?

Gli anni d'oro del rap coincidono con gli anni '80 e '90, precisamente dal 1986 con il successo del disco

dei Run DMC, e vedono New York come città in cui scuote più successo.

E' del 1988 l'album StraightOuttacompton del gruppo N.W.A., che aiutò non poco a rendere popolare lo

stile del Gangsta Rap, grazie ai suoi temi scottanti che riguardavano il disagio sociale e i modi illegali per

uscirne, e che tutt'ora fa sentire la sua presenza e influenza sui rapper emergenti.

A seguito dell'importanza che assunse Tupac, membro degli N.W.A., molti più giovani provavano a

raccontare le proprie esperienze nelle canzoni; anche gli stessi Eminem e Jay Z, i due rapper più

conosciuti al mondo, iniziarono prendendo spunto da Tupac.

Come è strutturata una canzone rap?

Il termine flow significa in inglese flusso ed indica la sequenza di rime rap. Esso si basa sulla prosodia, la

cadenza ritmica e il tempo di scansione.

Ilflow di un MC dipende dalla rima composta, al punto che le parole vanno in linea con i ritmi delle

percussioni.

Per realizzare un flow decente, il rapper deve anche sviluppare la presenza vocale, che è il tratto distintivo

più importante, l'enunciazione e il controllo respiratorio.

Che linguaggio si usa?

Il rap ha un gergo distintivo, che include parole come yo, flow e dick. Grazie al successo ottenuto dal

genere negli ultimi anni, queste parole stanno diventando comuni in vari dialetti in tutto il mondo.

Negli ultimi anni, però, il rap è stato colpito più di ogni altro genere musicale dalla censura, a causa del

linguaggio scurrile, che ha causato problemi anche nella loro trasmissione, sia nei videoclip sia in radio.

Chi è l'artista rap più famoso?

Senza dubbio Eminem. Al 2015 ha venduto più di 172 milioni di album nel mondo e 42 milioni di singoli

digitali. Nel 2009 è stato nominato artista del decennio dalla rivista Billboard, mentre nel 2013 ha

ricevuto il premio Global Icon, diventando così il quarto artista al mondo con tale riconoscimento.

Cresciuto a Detroit, è stato scoperto nel 1997 dal celebre produttore

Dr.Dre.

Le sue canzoni, di cui le più conosciute sono NotAfraid e Lose yourself,

contengono argomenti tipici della cultura rap, come la rabbia verso la

politica e la società. L'unica persona L'unica persona di cui parla in

modo positivo è la figlia, a cui dedica anche le canzoni Mockinbird e

WhenI'mgone.

Inoltre, Eminem ha debuttato ufficialmente nel mondo di Hollywood

nel 2002 con la pellicola di 8mile,dedicata alla sua vita e alla sua

carriera.

Christian Forti, IV A Classico

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IL PUGILATO, QUESTO VIOLENTO SCONOSCIUTO

Il pugilato, o boxe che dir si voglia, è la disciplina da combattimento per eccellenza, facente parte degli

sport olimpici fin dall‟età dell‟antica Grecia. Purtroppo nel nostro paese molto frequentemente nel tempo

ha subito un forte boicottaggio da parte del pensiero comune, venendo considerato come un qualcosa di

violento, pericoloso per la salute o addirittura potenzialmente mortale, finendo per essere abbandonato o

poco praticato. C‟è da dire che non mancano casi in cui pugili a livello professionistico abbiano riportato

evidenti ferite e contusioni dovuti ai colpi ricevuti in un incontro, o anche in una sessione di allenamento

particolarmente intensa: pensiamo addirittura che nel 2014 Oscar Gonzalez, boxer argentino, morì

tragicamente a seguito di lesioni causate durante un match. Oppure, senza andare a considerare i casi

estremi come questo, è generalmente quasi normale in questo sport riportare piccoli ematomi o

lacerazioni, se lo si pratica a livello professionistico. Ed è proprio questo il punto: molto spesso infatti si

pensa che il pugilato sia proprio come lo vediamo in televisione, che sia di quella stessa violenza e

intensità. Niente di più sbagliato. Bisogna infatti distinguere i dilettanti, anche se sono agonisti, dai

professionisti. I primi praticano questo sport come passione, pur partecipando ad incontri gareggiano a

ritmi più bassi, nei match sono protetti da un caschetto e guantoni più morbidi e non saranno mai soggetti

alle contusioni a cui sono esposti i professionisti. I secondi invece, come abbiamo detto in precedenza,

rischiano in maniera senz‟altro maggiore, tuttavia è il loro mestiere; soprattutto non bisogna scordarsi che

hanno un fisico adatto a resistere ai colpi, formato in anni di allenamento. Per chiunque voglia provare a

cimentarsi con il pugilato dunque non c‟è nulla da temere! Inizialmente i principianti non combattono

nemmeno, fin quando non saranno pronti e decideranno loro stessi di iniziare con incontri dilettantistici.

Sfatiamo il luogo comune della boxe come sport violento e rozzo: è assolutamente duro, certo, ma

insegna valori importantissimi, più di quanto facciano molte altre discipline. Non a caso è anche chiamato

“la nobile arte”: l‟atleta scopre la fatica, la determinazione, la voglia costante di superarsi. In ogni caso,

nonostante sia malvisto o poco conosciuto dalla maggior parte della popolazione, il pugilato italiano, sia

quello dilettantistico che quello professionistico, ha avuto e continua a riscuotere i propri successi anche

in campo mondiale: pensiamo ai campioni olimpici Russo e Cammarelle, o alla recentissima vittoria nel

“Mondiale per la pace WBC” del professionista Marsili.

Marsili dopo la vittoria nel mondiale WBC

Michele Masotti, III A Classico

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Viterbo, una città che fiorisce San Pellegrino in Fiore è un evento imperdibile della primavera viterbese. Esso nasce nel 1987 da un‟idea

di Armando Malè, che è stata poi realizzata in collaborazione con Fabio Fontana, l‟allora assessore

Giuseppe Genovese e il comitato S.S. Salvatore. L‟evento coinvolge numerosi florovivaisti locali (tra cui il

sindaco in carica Leonardo Michelini) per dar vita a una coloratissima mostra di piante e fiori nel cuore più

antico della città.

Il risultato è stato e continua ad essere a distanza di oltre ventotto anni, un‟occasione speciale per

valorizzare il prezioso centro storico di Viterbo, attrarre turisti e appassionati, sottolineare l‟assoluta

bellezza del quartiere medievale attraverso il netto contrasto tra la vivacità e la delicatezza dei fiori e la

severità e l‟imponenza del peperino che domina in palazzi, profferli e fontane.

Dalla prima edizione ad oggi, la manifestazione è cresciuta e si è ampliata stimolando sempre nuove idee

e iniziative. Nel 1993 è stato fondato l‟Ente Autonomo di San Pellegrino in Fiore, grazie anche al

contributo dell‟allora sindaco Giuseppe Fioroni, presieduto dal Cavaliere Armando Malè , tuttora in carica

e attivo nell‟organizzazione annuale dell‟iniziativa. San Pellegrino in Fiore ha riscosso sempre un immenso

successo ed è stato collegato nel tempo ad altri eventi come il passaggio della Mille Miglia, rievocazioni

storiche, estemporanee di pittura, concorsi fotografici e sfilate di moda di livello nazionale, animazioni

musicali, degustazione di prodotti tipici della Tuscia, mercatini di antiquariato, artigianato e collezionismo,

laboratori per bambini e altri spettacoli di diverso tipo come giochi pirotecnici di luci e suoni con il

meraviglioso sfondo del palazzo papale.

Tutto questo ha fatto della manifestazione qualcosa in più di una semplice mostra: un momento carico di

fascino e poesia, in cui ogni angolo della città è un confluire irrefrenabile di proposte, energie e impulsi

volti a sottolineare con architetture vegetali e tripudi di piante e fiori le meraviglie del tessuto urbano e le

sue risorse assolutamente uniche in termini di arte, bellezza, storia e cultura.

Leonardo Santini, IV A Classico

San Pellegrino in Fiore