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Facoltà di Scienze Umanistiche Corso di laurea in Lettere, curriculum letterature, scrittura, editoria e giornalismo Le radio libere Storia di una comunicazione fatta in casa Relatore Dario De Cesaris Studentessa Flavia Dondolini Anno Accademico 2007/2008

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Facoltà di Scienze Umanistiche

Corso di laurea in Lettere, curriculum letterature, scrittura, editoria e giornalismo

Le radio libere

Storia di una comunicazione fatta in casa

Relatore Dario De Cesaris

Studentessa Flavia Dondolini

Anno Accademico 2007/2008

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IndiceIndiceIndiceIndice

Introduzione ………………………………………………………………………………..…… 3

1) Cenni di Storia da Marconi al ’76

Pillole di lettura ……………………………………………………………..……………………. 6

1.1) L’invenzione, la propaganda, il monopolio e la censura: la radio prima della libertà …………………………………………………...…………................ 8

1.2) Onde oltre confine ……………………………………………………..……………….…... 18

1.3) E’ tempo di libertà ……………………………………………………...………………...… 24

2) Segni della rivoluzione mediatica nelle case degli italiani

Pillole di lettura ……………………..…………………………………………..……………..... 38

2.1) Come fate ad entrare in casa mia? …………………….…………………..…………….…. 39

2.2) “Amo la radio perché arriva dalla gente”: dediche, musica e pubblicità …………………………………………………..………….….…. 46

2.3) Informazioni contro corrente: un’antenna per conoscere …...……………………………………………………..……….….... 58

3) Antenne che cambiano: la commercializzazione della parola radiofonica e le

nuove vie libere

3.1) Anni ‘80/’90……………………………………………………..…………………….….... 66

3.2) Internet: la nuova libertà? …………………………………………………….…….......….. 77

4) On air: microfoni accesi per ricordare

4.1) Intervista a Paolo Lunghi ……………………………….………………….…..…….…….. 82

4.2) Intervista a Francesco Verdinelli ………………..…………………………….……...……. 92

Ringraziamenti: anche questi ci vogliono

Bibliografia, Filmografia e WebGrafia essenziale

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IntroduzioneIntroduzioneIntroduzioneIntroduzione

La radio, dalla scoperta ad oggi: il percorso che ho voluto tracciare, attraversa la storia di

questo piccolo “arnese”, che tutti conoscono bene. L’inizio e la fine di questa storia rimangono

sfumature, brevi cenni. L’obiettivo è puntato solo su un periodo preciso, un periodo di libertà, o,

almeno, questo si pensava, e su un solo punto geografico, l’Italia, dove la radio è nata e dove ha

dovuto faticare di più per crescere.

L’Italia: Montale vinceva il Nobel per la letteratura, il corpo di Pasolini veniva trovato

sull’Idroscalo di Ostia, il Tuca Tuca della Carrà entrava ogni sabato sera nelle case, mentre nei

quartieri di Roma, Milano, Firenze e Bologna una guerra continua si consumava sotto gli occhi

della gente. Giungevano rumorose le notizie d’oltralpe coltivando i troppi sogni che dividevano

gruppi di giovani semplici, con i pantaloni a zampa d’elefante e quella “maglietta fina”: finiva,

con la morte di Francisco Franco, l’ultima dittatura dell’Europa Occidentale, i Khmer in

Cambogia, i Vietcong a Saigon e Patty Smith scalava le classifiche con Horses. 1975, 1976.

In questi anni avvenne la rivoluzione: “Quattro amici al bar, che volevano cambiare il modo”,

scegliendo come trincea una stanzetta libera, un garage o la camera di un albergo, insonorizzata,

la maggior parte delle volte, con un po’ di scatole di uova, armandosi di microfono, cuffie, mixer

e gira dischi. Bastava un po’ di parlantina, di furore giovanile, di idee vaghe, ma accattivanti:

ecco “la rivoluzione”. Le rivoluzioni nascono dal basso, come insegna la storia, e così fu anche

qui.

L’aria che si respirava all’estero, in America, già da un ventennio, poi, negli anni ’60, con le

prime “radio pirata” dalle acque territoriali inglesi, e, ancora, con le altre, nate poco dopo, dalle

fredde acque dei mari del Nord, arrivava a toccare con piccoli soffi il nostro “stivale”,

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monopolizzato dalla Rai. In tv c’erano Canzonissima e Sanremo, in radio tre programmi

nazionali, sempre della Rai: quel “fin che la barca va” del ‘70 rappresentava ancora un’Italia

ingenua, attaccata al suo duro ma felice, Dopoguerra, mentre nel ’75, dalle hit inglesi arrivavano

Born to run di Bruce Springsteen, Bohemian Rhapsody dei Queen, uscivano gli album Wish You

Were Here dei Pink Floyd, Physical Graffiti dei Led Zeppelin, Gloria Gaynor apriva le danze con

Never Can Say Goodbye, Lucy In The Sky With Diamonds dei Beatles veniva riproposta da Elton

John e How Sweet It Is, di Marvin Gaye, da James Taylor. Due anni più tardi, sarebbe nata la

rivoluzione punk dei Sex Pistols. Ma anche nel Belpaese qualcosa stava cambiando.

Non era solo più il periodo del “tanto pe’cantà”. Nascevano giovani promesse, che mettevano

in musica parole di denuncia, scandalose, sesso, guerra, droga, spesso censurate, ma con ritmi

totalmente nuovi: Rino Gaetano cantava Ma il cielo è sempre più blu, le favole di De Andrè

venivano censurate da qualche anno, Via del Campo, Bocca di Rosa, La guerra di Piero, e lo

stesso trattamento c’era per alcuni brani di autori molto popolari come Nuda, di Domenico

Modugno.

Le radio libere erano un modo per bucare il velo, quel controllo continuo dominante sulla

musica, ma soprattutto un modo per esprimere le proprie idee, per dar voce a quel silenzio che

spesso imperversava e distruggeva le città, le città del Sud, come Cinisi e Terrasini, le Mafiopoli

contro cui si batteva Peppino Impastato, con la sua Radio Aut. Bucare il velo significava dire le

cose come stavano, senza girarci intorno, significava parlare di politica, destra o sinistra, che

fosse, significava organizzare manifestazioni, dibattiti, incontri tra giovani. C’era Radio Alice, ma

c’era anche Radio Alternativa. Giornate intere trascorse al microfono, tra giornali da sfogliare e

“fili diretti”. Tutto per rispondere ad un inappagabile bisogno di comunicare. Già, la parola

d’ordine era proprio questa: comunicare, tutto quello che si pensava. Sì, ma “comunicare” si

poteva anche prima: questa volta si comunicava entrando nelle case della gente. Ogni parola

pronunciata poteva essere ascoltata da tutti, o quasi, per poter condividere, o meno, le proprie

idee.

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Ho nominato i “fili diretti”: altra grandiosa “innovazione” delle radio libere (tra virgolette, non

fu proprio una scoperta delle radio libere nostrane). Continue telefonate tra chi ascoltava e chi

faceva la radio, scambi di opinioni, dediche. Una parte consistente delle radio degli anni ’70 si è

nutrita di dediche. Quest’ultime, la musica “nuova”, le nuove voci, una censura minore, tutto ciò,

e non solo, faceva la differenza tra le radio locali, le radio libere, e la tradizione, la Rai. Tutto ciò

ha fatto quella “rivoluzione”. Nel 1976, uscì un 45 giri, di Eugenio Finardi, contenente una

canzone, La Radio. Quasi un inno, che faceva così: “Amo la radio perché arriva dalla gente,

entra nelle case e ci parla direttamente…”. Questa fu la novità nella comunicazione radiofonica:

la radio arrivava dalla gente e non solo alla gente.

Con gli anni ’80, la logica del mercato ha spazzato via, se non totalmente, quella freschezza

insita nel progetto delle radio libere. Il fenomeno di massa, il furore per la novità, si sa, dopo poco

si spenge, restando solo un capitolo nelle pagine di questa storia. I sogni prima o poi fanno i conti

con la realtà: i costi di gestione hanno messo in crisi molte di quelle radio, alcune sono passate

nelle mani dei partiti, alcune, oggi, sono basate sul volontariato, altre sono diventate imprese

commerciali. “Video killed the radio star”: così cantavano i Buggles, già nel 1979.

Ecco scattata la fotografia, un po’ invecchiata, essendo passati, ad oggi, ben 32 anni, ma

sempre attuale. Una fotografia scattata da chi quegl’anni non li ha vissuti, da chi è nata 8 anni

dopo quel ‘76, quando già l’Italia viveva il suo boom economico, ma che di quegli anni ne ha

sempre sentito parlare, con, forse, un po’ di nostalgia, da chi l’ha cresciuta.

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Cenni di storia: da Marconi al ’76.

� Pillole di letturaPillole di letturaPillole di letturaPillole di lettura

Per arrivare a parlare di un avvenimento, all’interno di un racconto, bisogna partire da un

inizio, senza dilungarsi troppo sui particolari che porterebbero lontano dal tema centrale. Questa

prima parte andrà considerata come un riassunto, di non facile impresa, considerando che tratta di

un’avventura iniziata più di un secolo fa. Un riassunto che introdurrà nel vivo del fenomeno delle

radio libere, una svolta per la radiofonia.

Partendo da Marconi, l’inventore della radiotelegrafia, intendo illustrare come la radio è

riuscita ad assumere un ruolo di primo piano all’interno della storia della comunicazione di

massa. Un viaggio a piccole tappe. Mi concentrerò, soprattutto, in Italia, analizzando come

l’uomo è riuscito ad utilizzare questa “scatola parlante” e come sia divenuta, durante il regime,

uno strumento, non solo di propaganda, ma di vera e propria guerra, forse più potente di quanto

fossero le armi. Da lusso per pochi, a mass medium, progettato per il controllo della popolazione.

L’Italia respira, finalmente, aria di libertà, inebriata dall’era del boom, e la radio passa da

mezzo di propaganda, a mezzo dello Stato. La Rai ne prende il pieno possesso, stabilendo una

comunicazione uniforme, asciutta, falsamente imparziale, minata dalla censura. Il monopolio

italiano verrà confrontato, con brevi cenni, con i monopoli europei, soprattutto inglese, e con il

sistema radiofonico americano, in cui il controllo commerciale viene preferito a quello statale,

trattandosi sempre di controllo.

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Verrà chiamata in causa la musica: la radio comunica non solo con le parole. Si giungerà,

infine, ad analizzare il tema centrale: le radio libere, come trasgressione allo standard

comunicativo.

Iniziando da chi le ha precedute e ispirate, dalle radio fuori i confini nazionali, dai “pirati del

mare” e da quei programmi che, nonostante fossero creati da mamma Rai, brillavano di luce

propria, arriveremo a loro, a parlare di quei piccoli studi, di quei microfoni e di quelle voci

all’insegna dell’improvvisazione, di quell’aria di novità ed entusiasmo che divideva vecchia

nuova generazione e che, partendo dall’altra parte dell’oceano, ha travolto, come un ciclone, ogni

punto del nostro “Belpaese”.

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1.1) L’invenzione, la propaganda, il monopolio e la censura: la radio

prima della libertà

8 dicembre, 1895. Questa data viene considerata l’atto di battesimo della radio in Italia, quando

il ventunenne Guglielmo Marconi, dopo vari tentativi, riuscì a comunicare e ricevere segnali a

distanza, superando anche gli ostacoli naturali, nel suo caso, la collina che aveva di fronte.

Marconi rappresenta anche uno dei primi scienziati che hanno dovuto varcare il confine italiano

per poter mettere a frutto e brevettare le proprie scoperte: fallito il tentativo di rivolgersi al

ministero delle Poste e Telegrafi, per commercializzare l’invenzione, si recò in Inghilterra dove

iniziò la sua fortuna. Nonostante perse, inizialmente, la priorità sull’invenzione, con vari

esperimenti pubblici, riuscì a guadagnarsi la fiducia di politici e industriali. Per l'Ammiragliato

stabilì un contatto attraverso il canale di Bristol, collaborando, anche con il Daily Express, in

occasione delle regate di Kingstown: a largo, a bordo di un rimorchiatore, i giornalisti seguivano

le regate, passando poi le notizie allo scienziato, che le trasmetteva ad una stazione a terra,

bruciando così la concorrenza.

Due anni dopo la scoperta arrivò il vero e proprio successo: Marconi, con la fondazione, a

Londra, della Wireless Telegraph Trading Signal Company (successivamente rinominata Marconi

Wireless Telegraph Company), aprì il primo "ufficio senza fili" del mondo in Hall Street a

Chelmsford. Fortemente convinto che le onde potessero varcare l'oceano seguendo la curvatura

della Terra, riuscì, dopo molte prove, nel 1901, a comunicare il primo segnale radio transoceanico

(tre puntini, ovvero la S del codice Morse) e, qualche anno più tardi, installò un trasmettitore a

scintilla nel centro radio di Coltano, presso Pisa, utilizzato fino alla Seconda Guerra Mondiale,

per comunicare con le Colonie d'Africa.

Fin qui, per essere più precisi, si è parlato di radiotelegrafia, prima applicazione della radio,

cioè la comunicazione tra due o più persone, in codice Morse e per mezzo di onde radio. La

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radiofonia, invece, è la trasmissione e ricezione di contenuti sonori per mezzo di onde radio,

inventata da Reginald Fessenden nel 1900. Quello che ci interessa veramente è, però, a cosa ha

portato tutto questo: la radioaudizione circolare (chiamato, anche, con il termine più diffuso,

broadcasting), primo sistema di diffusione del mezzo di comunicazione di massa, in poche

parole, ciò che oggi chiamiamo comunemente “radio”.

Detto questo, spostiamo il nostro “obiettivo” su quella piccola parte di mondo, che come ho

anticipato, farà da sfondo all’analisi: l’Italia. Cosa succede in Italia? Di servizi radiofonici si

cominciò a parlarne fin dall’ultimo scorcio dell'età giolittiana. Ancora segnata da forti divisioni al

suo interno, nonostante la sua “giovane età”, l’Italia affrontava la sua prima rivoluzione

industriale. Sembrava che, anche nell’ambito di questo nuovo campo delle comunicazioni, si

potesse passare in breve tempo ad un’organizzazione di strutture operative a carattere

commerciale, lasciandosi alle spalle le sole esperienze pionieristiche. Ma la prima guerra

mondiale e la successiva crisi post-bellica troncarono quei pochi progetti in corso, bloccando,

anche, l'attuazione delle norme legislative in materia.

Soltanto dopo l'avvento del fascismo, con la revisione della politica economica, la questione

tornò ad essere argomento d'attualità. 1924: a soli due anni dalla marcia su Roma, il fascismo

conosce il suo primo momento d'impopolarità (anche se dovrà ancora aspettare più di vent’anni

per vedere la sua fine) con il rapimento e, successivo, delitto di Giacomo Matteotti, un antifascista

che prese la parola alla camera per contestare i risultati delle elezioni, denunciando violenze,

illegalità ed abusi dei fascisti per riuscire a vincerle. Stesso anno: viene fondata l'Uri, Unione

Radiofonica Italiana, prima società concessionaria della radiodiffusione in Italia, accordo tra le

maggiori compagnie del settore, la Radiofono e la SIRAC, Società Italiana Radio Audizioni

Circolari, nata con lo scopo di assicurare il mercato italiano agli apparecchi radioriceventi “made

in Usa”.

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Con qualche ritardo rispetto ai nostri “vicini” europei, si accendono, finalmente, i microfoni:

viene battezzata, dalla, ancora unica, stazione trasmittente del quartiere Parioli, a Roma, la prima

trasmissione radiofonica tutta italiana. E’ il 6 ottobre, sono le ventuno e la signorina

Boncompagni pronuncia le sue prime parole, davanti ad un enorme microfono a "catafalco":

"Unione Radiofonica Italiana, stazione di Roma Uno. Trasmissione del concerto inaugurale”1.

Ben presto saranno inaugurate nuove stazioni a Torino, Milano, e Napoli. Il pubblico è

composto da gente, amatori soprattutto, interessata più alla novità tecnologica che al programma

trasmesso: un programmino del tutto scarno, fatto di musica classica, previsioni meteo e di borsa.

L'agenzia giornalistica Stefani, ovvero la prima agenzia di stampa italiana, voluta da Cavour,

fedelissima al regime, è l'unica fonte delle notizie che l'URI può trasmettere, come stabilito dal

governo. Con la creazione della concessionaria Sipra, si iniziano a trasmettere i primi spot

pubblicitari.

La trasformazione dell’Uri in Eiar (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), dopo quattro

anni dalla sua formazione, segna, anche in Italia l’inizio, lento, per la radio come mezzo di

comunicazione di massa, assumendo un’importanza straordinaria all’interno del programma

mussoliniano di fascistizzazione della società, che ne sfrutta il suo potenziale per la propaganda e

l’indottrinamento degli “Italiani”. Un successo che (come al solito) in Italia arrivò in ritardo: “la

scatola parlante”, infatti, era “snobbata” da Mussolini che, giornalista di formazione, confidava

più nelle risorse della carta stampata e nel contatto diretto con la popolazione, dal celebre balcone

con vista su Piazza Venezia.

Cosa che non accadeva nella Germania nazista: Hitler capì subito le grandi potenzialità di

questo mezzo. Era Goebbels, capo dell’ufficio della propaganda, a prendersi cura di tutto quello

1 Wikipedia, Radio (mass medium), il broadcating in Italia.

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che viene fuori dalla scatola, mirando all’indottrinamento della popolazione e aderendo all’idea di

propaganda che è nella mente del Fϋhrer:

“La propaganda efficace deve limitarsi a poche semplici necessità, e quindi esprimerle in poche formule stereotipate. [...] solo la ripetizione costante riuscirà alla fine a imprimere un concetto nella memoria di una folla”2.

Una ripetizione martellante: questa era la capacità più grande del sistema radiofonico, che

Hitler comprese per primo. Pensiamo al bombardamento che la radio, oggi, fa di quei

“tormentoni” estivi, quelle “canzoncine” dal ritmo e dal testo semplice, spesso banale, che, vuoi

o non vuoi, ci entrano in testa e ci ritroviamo a fischiettare e canticchiare, senza averle, magari,

mai ascoltate veramente, come possiamo ascoltare la nostra canzone preferita. Stesso sistema

(certo, quello di Hitler è stato molto meno innocuo): per Goebbels la radio era l’ottavo potere 3.

Premesso ciò, ritorniamo in Italia. Non erano solo i “capricci” di Mussolini a causare questo

ritardo. Bisogna aggiungere che erano in pochi a potersi permettere “quell’arnese”, ammesso

che, nella casa dei fortunati acquirenti, arrivasse l’elettricità (in quegli anni la rete di

distribuzione elettrica era ben lungi dall’essere completata). Solo la scatola, senza parlare

dell’abbonamento, aveva un costo di circa 3.000 lire, quando ancora Gilberto Mazzi cantava Se

potessi avere mille lire al mese4. Inoltre, vi era un tasso altissimo di analfabeti, oltre al fatto che

nei vari paesini italiani, la maggior parte parlava solo il dialetto del luogo. Fino a qui, la radio

serviva solo come altoparlante per i discorsi del Duce.

Con l’inizio del nuovo decennio e con la comprensione, da parte di Mussolini, delle qualità

del nuovo mass medium, il suo utilizzo continua a crescere: con l’apertura di Radio Scuola e di

2 Da A. Huxley, Brave New World Revisited, trad. di Luciano Bianciardi, Oscar Mondadori, Milano 2005. 3 Da “Der Rundfunk als achte Großmacht” (La radio come ottavo grande potere), discorso di Joseph Goebbels,

tenutosi il 18 agosto, 1938, in occasione dell’inaugurazione di una fiera sulla radio.

(http://www.arimontegrappa.it/VE301.html). 4 Gilberto Mazzi, Mille lire al mese, 1939.

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Radio Rurale il fascismo dimostra l'intenzione di fare un uso più "scientifico" della radio come

mezzo di propaganda. Si mirava, soprattutto, all’educazione del “giovane italiano fascista”, con

programmi che, almeno all’inizio, andavano in onda in un orario pomeridiano, quando i ragazzi

avevano terminato i doveri scolastici.

Per aumentare l’interesse dei più piccoli, i programmi si concentravano sulla magia che poteva

emanare quella “strana scatoletta”, lanciando concorsi a premi per trovare simpatiche definizioni

da dare all’apparecchio radiofonico. Per i più grandi, invece, erano in programma sceneggiati che

rievocavano i momenti più importanti per la storia d’Italia, raccontati come delle vere e proprie

leggende, i cui personaggi erano eroi da emulare. Il problema del “da dove ascoltare” fu presto

risolto da Mussolini: tutte le scuole e gli altri ambienti collettivi, soprattutto nelle zone rurali delle

bonifiche agrarie, devono essere dotate del Radio Rurale, un apparecchio, la cui costruzione era

stata imposta dallo stato fascista all’industria, con tanto di fasci littori e spighe di grano dipinti, o

di un altro modello, la Radio Balilla, entrambi abbastanza economici (rispetto agl’altri modelli

disponibili sul mercato) e facili da usare, “a prova di bambino”.

A proposito di apparecchi, nel frattempo, erano nate le grandi case, per la produzione di radio

ad uso domestico: Allocchio Bacchini, Irradio, Philips, Telefunken e altri marchi divenuti in

seguito prestigiosi, al contrario di altri, destinati a sparire dagli scaffali dei negozi nel giro di

pochi anni. Si inizia ad attivare una forte ricerca di nuovi materiali per la realizzazione delle

radio. Tra i tanti si impose la bakelite come principale materiale plastico, per tutta l’industria

radiotecnica, per le sue caratteristiche di inalterabilità estetica e meccanica.

Con la guerra d’Etiopia si scopre la “necessità” della radiodiffusione, prima con l'appello alla

mobilitazione, poi con le continue notizie “calcolate”, per mantenere l’interesse e, soprattutto, il

consenso, e, infine, per celebrare la conquista dell'Impero. Non solo cronache e bollettini, ma,

anche, rubriche, su tutte, la seguitissima cronaca sportiva, soprattutto calcistica: Italia - Germania,

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del 1933, è stata la prima partita commentata in radio. Ho parlato di notizie “calcolate”: bisogna

mettere in conto, infatti, che vigeva un rigoroso controllo e una rigida censura su tutto ciò che

veniva riferito al pubblico. Spesso le notizie che avrebbero potuto provocare forti dissensi nei

confronti della guerra e del comportamento del governo, venivano censurate, soprattutto i

fallimenti dei piani strategici. Certo è che non si dovrebbe parlare di vero e proprio consenso per

un regime che aveva completamente abolito la libertà di espressione e che faceva di tutto pur di

manipolare la mentalità del suo popolo.

La logica del regime sosteneva che tutti gli italiani dovessero essere soddisfatti dell’intervento

del “valoroso” esercito, per la conquista delle terre d’Africa. Lo sguardo di ogni cittadino italiano

doveva essere proiettato verso la nuova Italia imperialista. Ma non ci sono solo “contro”: i

discorsi di propaganda emessi dalle radio hanno contribuito anche a formare una “identità

italiana”, che non era ancora del tutto consapevole di esistere.

Se durante le guerre d’Africa la radiodiffusione era diventata una necessità con la Seconda

Guerra Mondiale si assiste ad una vera e propria “guerra delle onde”. La radio, ormai, è diventata

il mezzo più potente e veloce, soprattutto per le comunicazioni belliche. Sempre per tenere vivo

quel “consenso diffuso” e la fede assoluta nelle decisioni del Duce, la propaganda fascista

continuò la sua opera di persuasione, mettendo in campo speakers dal forte piglio retorico, su tutti

Mario Appelius che, con la frase “Dio stramaledica gli inglesi” concludeva la rubrica, organo

ufficiale d’informazione, Cronache del regime. Purtroppo, però, l’entusiasmo, continuamente

diffuso via radio, non coincideva di certo con quello diffusosi tra gli ascoltatori. Gli antifascisti

iniziavano a rosicchiare di nascosto l’ormai agonizzante regime. Le difficoltà della guerra e i

bombardamenti alleati rendevano difficili le comunicazioni dell'Eiar che, trasferendosi a Milano,

diventa la radio ufficiale della Repubblica di Salò.

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L’Italia è spaccata in due. Nell'Italia liberata nascono nuove radio: Radio Bari, Radio Napoli,

Radio Roma. La credibilità della radio di Stato viene presto minata dall’ascolto clandestino dei

programmi delle stazioni avversarie, nonostante fossero punite dalla legge e nonostante i tentativi

di interferenza da parte dei tedeschi. Erano Radio Mosca, voce della Russia, con la quale

collaborava Palmiro Togliatti, membro, in esilio, del Partito Comunista italiano, Radio Vaticana,

con i suoi appelli per ritrovare civili e militari dispersi, e, su tutte, Radio Londra, con le sue

comunicazioni enigmatiche: "la gallina ha fatto l'uovo", così si annunciava l’arrivo dei

paracadutisti con viveri e armi. Questi messaggi erano circondati dal segreto militare più assoluto

e, di solito, diretti a gruppi di partigiani della montagna o della città e alle missioni inglesi che già

si trovavano sul territorio italiano: solo i diretti interessati potevano comprenderli. La quinta

sinfonia di Beethoven annunciava l’ingresso nelle case degli italiani del “Colonnello Buonasera”,

la voce di Radio Londra, radio inglese della BBC: era il 1938. Le trasmissioni in lingua italiana

erano iniziate già con la crisi di Monaco, ma con lo scoppio delle ostilità, nel ‘39, Radio Londra

aumentò le trasmissioni riuscendo a raggiungere più case. La redazione di Radio Londra diventa

famosa per la sua tempestività nel trasmettere informazioni nel mondo, con il suo tipico stile

inglese, diretto e pragmatico, ben lontano dalle prosopopee e dal tono orgoglioso e “teatrale” dei

fascisti.

Qualche riga indietro ho parlato di “guerra delle onde”: solo ora si capisce perché. Una guerra

di comunicazione, di voci sovrapposte, svoltasi nel campo di battaglia dell’etere, durante una

situazione in cui qualsiasi notizia doveva essere presa per vera, visto lo stato di preoccupazione

che il popolo italiano nutriva nei confronti del suo futuro incerto. 1949: la guerra è finita, si

ricostruisce una società spaccata più di quanto non lo fosse prima, vengono ricostruiti gli impianti

di diffusione e la radio assume il nome di Rai (Radio Audizioni Italia), società a capitale privato

controllato dalla Sip (Società Idroelettrica Piemonte). Contemporaneamente alla ripresa del

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popolo italiano si “riprende” anche il caro vecchio “arnese”. Il boom economico è alle porte: il

prezzo degli apparecchi scende vertiginosamente.

Ora, nella maggior parte delle case italiane, si può accendere la radio. Il giornalismo

radiofonico viene potenziato: professionisti, dotati di una dizione quasi perfetta, con uno stile

pragmatico, su modello di quello inglese. Viene trasmessa la prima edizione del Festival di

Sanremo: Nunzio Filogamo proclama vincitrice Grazie dei fiori, cantata da Nilla Pizzi. Nel ’51, la

riforma del sistema radiofonico, stabilisce la creazione di tre reti: il Primo, nazionale, in cui si

concentra l’informazione politica ed economica, il Secondo, punta su prosa, musica e varietà, e il

Terzo, dedicato alla musica classica e a programmi di approfondimento culturale.

Radiosera è il nuovo giornale orario emesso dal secondo canale Rai, concepito nello stile del

magazine. Più libertà rispetto a prima, ma nemmeno troppa: viene istituita la commissione

parlamentare di vigilanza per controllare, dettata dalla legge, delle notizie circolanti. Lo

accompagnano altre rubriche, come Ciak, con l’attualità cinematografica, e Tuttigiorni,

almanacco di costume.

Si diffonde nella redazione una concezione più moderna del mezzo. Come sintomo di apertura

verso le nuove proposte d’oltralpe, inizia Notturno dall'Italia, musica non stop e brevi notizie, e il

“tormentone” dei quiz, una “febbre dell’oro” che non passa mai, vivo tutt’oggi, in radio e

televisione. Appare il primo “salotto”, il “papà” di tutti i futuri salotti, immancabili, da quel

momento, nei palinsesti, radiofonici e, in seguito, televisivi: Il Rosso e il nero, un programma

leggero, un programma che, contribuendo a lanciare i “nuovi” divi, come Sophia Loren e Alberto

Sordi, diventa il simbolo di un’Italia postbellica, che inizia a riaccendere le telecamere del grande

cinema.

Per la radio giunge la concorrenza, la “grande scatola”, la tv, anche se ancora non proprio

“concorrenza”, visto l’alto costo del mezzo e i pochi programmi, che rallentano il suo successo.

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Italia, parole e musica: è il 1958 quando Indro Montanelli racconta, dal microfono, la storia del

paese. La maggior parte della musica diffusa proviene dalle selezioni di Canzonissima e Sanremo,

oltre a quella classica, immancabile sul Terzo canale. Nel 1958, Nel blu dipinto di blu, di

Domenico Modugno e Johnny Dorelli, vince il Festival nazionale. Modugno sosteneva che l'idea

del ritornello “Volare, oh oh” gli era venuto una mattina, osservando, con la moglie Franca, il

cielo azzurro dalla finestra della sua casa: il boom economico sta arrivando con gli anni ’60. La

musica sta cambiando: arrivano voci ad alto volume, senza gli abbellimenti tipici del canto

"melodico" tradizionale.

L’America, già alla fine degli anni ’40, consacrava gli shouter (urlatori) di American Graffiti,

Howling Wolf e Joe Turner, icone del nuovo sound nascente, tra boogie-woogie bianco e blues

nero; l’Italia, adesso, si prepara a consacrare gli urlatori, Little Tony, Adriano Celentano e Mina,

mentre, a Liverpool, John Lennon forma il primo nucleo dei Beatles. Quell’Italia ingenua, in un

decennio, è cresciuta: il nuovo decennio è appena iniziato. Nonostante si ambisse ad una

maggiore modernizzazione su tutti i fronti, il 1960 si apre con una lettera del ministro dello

spettacolo Tupini 5: una censura ancora più drastica si abbatterà su film, pubblicità e programmi

“a soggetti scandalosi e morbosi, negativi per la formazione della coscienza civile degli

italiani” 6. La Dolce Vita di Fellini viene censurata, vincendo, qualche mese dopo, la Palma d’oro

al Festival di Cannes: una risposta internazionale alla condanna clericale e della democrazia

cristiana in patria 7. Gruppi di partigiani e comitati antifascisti riorganizzati, insieme ai gruppi

opposti della nuova destra, riemergono in molte città, immerse in un clima di imminente scontro

fratricida fra italiani.

5 Umberto Tupini, politico italiano della Democrazia Cristiana. 6 Da Wikipedia, Umberto Tupini. 7 La dolce vita, di Federico Fellini, 1960.

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Il “miracolo” economico non ha, di sicuro, contribuito sul piano politico e sociale. Scioperi e

incidenti si propagano sulla maggior parte del territorio nazionale, mentre, con un accordo tra

Confindustria e sindacati, si sancisce la, tanto richiesta, parità salariale tra uomo e donna. Un

decennio di forti cambiamenti, di troppa chiusura, da un lato, e di desiderio di apertura, dall’altro,

fuori e dentro l’Italia. 1968: la rivoluzione. Il “sogno” di Martin Luther King e di Bob Kennedy

viene spezzato sul nascere, mentre l’uomo si prepara a sbarcare sulla luna e The Sound of Silence

8 è solo la colonna sonora, alla quale bombe e spari danno il ritmo: la guerra in Vietnam dà il via

ad una rivoluzione, che parte proprio da dove si inneggiava alla “libertà”, l’America. Grandi

movimenti di massa disomogenei iniziano ad attraversare quasi tutti i paesi del mondo con la loro

carica contestativa, facendo vacillare governi e sistemi politici, in nome di una trasformazione

radicale della società.

Anche in Italia arriva il Sessantotto, il risultato di un malessere sociale profondo, accumulatosi

in dieci anni: quel boom economico aveva lasciato fuori chi ne aveva più bisogno. L'esplosione

degli scioperi degli operai davanti alle fabbriche si accompagna, ora, alle manifestazioni degli

studenti davanti alle università, che contestano i contenuti arretrati dell'istruzione e rivendicano

l'estensione del diritto allo studio anche ai giovani economicamente disagiati.

La generazione non è più la stessa anche nei confronti dei mass media e soprattutto della radio:

tanta è l’insofferenza accumulata nei confronti di una comunicazione ingessata e controllata, non

più rispondente alle aspettative e ai fermenti dei tempi. Il solo, rigido, monopolio Rai è incapace

ad accontentare un ormai vastissimo numero di utenti: la musica, le voci, tutto viene

tassativamente censurato. Quello che si pensava fosse libertà rispetto a prima, libertà non è più.

8 The sound of silence, inclusa nell’album Souns of silence (1966), del duo Simon and Garfunkel.

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1.2) Onde oltre i confini

Cosa era successo e cosa succede, nel frattempo, nell’ambito radiofonico, al di fuori dei confini

italiani? Prenderò come esempio il caso inglese, che non ha fatto altro che anticipare ciò che

accadrà nel nostro paese. E’ il 1922: John Reith e i suoi collaboratori lanciano le prime

trasmissioni radiofoniche, firmate British Broadcasting Company (l’ormai famosa BBC), nata da

un’iniziativa di alcune compagnie di telecomunicazioni, tra le quali spiccano la General Electric,

l’AT&T, entrambe statunitensi, e, la già citata, Marconi Company. La forte preoccupazione di

aderire ad un modello americano di radio commerciale, giudicato negativamente, determina, ben

presto, l’affidamento della”neonata”, da parte del governo, ad una corporazione. La BBC,

trasformata in British Broadcasting Corporation, ottiene il monopolio delle trasmissioni

radiofoniche nazionali, fondamentale, secondo la dirigenza, al fine di congiungere intrattenimento

a funzione educativa, cercando di indirizzare (o meglio “manipolare”) i gusti degli ascoltatori ed

evitando il solo divertimento.

Ho fatto un accenno al sistema radiofonico americano: negli Stati Uniti, infatti, non c’è alcun

monopolio o concessione statale da violare, ma solo un problema di accesso a finanziamenti

sufficienti e di registrazione all’ente tecnico regolatore delle attrezzature. I vari canali aderiscono,

per lo più, ad un modello di programmazione generalizzato, creando un palinsesto appositamente

studiato sullo stile di vita americano. Non solo: le reti vengono finanziate e controllate

direttamente dalle agenzie pubblicitarie che si occupano, anche, della produzione dei programmi

in onda più ascoltati. E’ il caso di molti generi che faranno, successivamente, la fortuna della

televisione, diffondendosi, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, anche in Europa: parlo, per esempio,

delle prime soap opera radiofoniche, quegl’intrighi amorosi di lunghissima serialità, a cadenza,

spesso, quotidiana, chiamati così proprio perché prodotti e sponsorizzati da marche di detersivi e

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saponi, che desiderano rivolgersi al pubblico femminile e, specialmente, alle casalinghe (creando

così il prototipo delle Desperate Housewives, oggi famosissime).

Fatta questa breve parentesi di confronto con l’oltreoceano, possiamo tornare in Europa.

Continuerò il confronto tra la situazione inglese e quella italiana: abbiamo visto che, per

trasmettere via radio, senza essere il gestore statale, bisogna violare la legge. Servizi statali rigidi,

controllati, censurati, rivolti, per lo più, a due soli target, adulti e bambini, senza contare che la

maggior parte degli ascoltatori sono proprio “la fascia di mezzo”, i giovani. Una delle censure più

dolorose è quella musicale: in Rai viene chiamata commissione di ascolto preventivo e di

controllo sui testi. In Italia vengono messe al bando tutte le canzoni politiche e di protesta, nuove

o appartenenti al patrimonio folk nazionale, quelle che si riferiscono alla sfera sessuale e perfino

quelle che non sono considerate conformi al “bel canto” tradizionale.

Anche in casa BBC, “stessa musica”. Gli argomenti tabù sono un po’ diversi: mentre vi è più

tolleranza nei confronti del sesso e della politica, nella “lista nera” vengono inserite canzoni con

riferimenti a droghe e a temi religiosi. Ci sono alternative al monopolio? In Italia qualche

alternativa ai tre canali Rai c’è: è Radio Vaticana che trasmette per venti ore al giorno, in ben

trentadue lingue diverse. In verità, non c’è solo quest’alternativa: ci sono anche Radio

Luxembourg, già attiva dal 1933, e Radio Montecarlo.

Basata sul modello americano, Radio Luxembourg, trasmette da tempo con uno stile leggero e

brillante: è una radio internazionale che, con il suo segnale in onda lunga (sempre di qualità

limitata), riesce a raggiungere gran parte dell’Europa continentale, compreso il Regno Unito,

mentre in Italia viene seguita dai pochi fortunati che riescono a riceverla. La musica emessa è

quella delle migliori classifiche americane e inglesi e si propone un nuovo modo di fare radio.

Nata nel ’66, invece, Radio Montecarlo è l’alternativa più seguita dagli italiani, essendo trasmessa

da studi più vicini, Monaco e Milano.

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Anche le antenne di RMC sono libere dalle censure della Rai: si possono ascoltare quelle

canzoni “oscurate” e i suoi programmi diffondono un linguaggio giovanile su tutta la penisola.

Sotto la guida di Noel Coutisson, soprattutto nei primi anni ’70, diventa uno straordinario

laboratorio di idee e di creatività. Grazie a quei microfoni diventa familiare la giovane voce di

Herbert Pagani: a poco più vent’anni, già conduce un programma tutto suo (una cosa quasi

impensabile per quelli delle generazioni successive). Agli stessi microfoni si alternano varie voci:

Robertino, Luisella Berrino, Awanagana, e altri. Alcuni di loro fanno radio ancora oggi. Quello di

RMC, è un gruppo affiatato di animatori, mosso da un grande entusiasmo creativo, che farà

scuola a tutti quei giovani che, di lì a poco, intraprenderanno il progetto delle radio libere.

Nella lista delle alternative c’è anche Radio Capodistria che, con sede nell’omonima città

slovena, a pochi chilometri dal confine italiano, viene ricevuta da quasi tutto il nord e il nordest

Italia, rappresentando, soprattutto, l’organo di informazione ufficiale della minoranza italiana in

Istria. Queste radio, non trasmettendo dal territorio nazionale, non sono, ovviamente, soggette alle

restrizioni della legge italiana. Tuttavia, solo dal luglio 1974, grazie ad una sentenza della Corte

Costituzionale, verrà legittimato il loro ascolto in territorio nazionale.

La libertà di queste emittenti è visibile anche in ambito pubblicitario. RMC, per esempio,

stabilisce contratti multimilionari con varie marche di sigarette9 che sponsorizzano, su modello

americano, il programma del già citato Herbert Pagani, Fumorama: un programma ironico,

tendenzialmente musicale, legato alla contestazione sessantottina. In venti minuti, si succedono

canzoni con testi spesso impegnati e anticonformisti, soprattutto permettendo ai giovani italiani

l’ascolto delle novità inglesi e francesi, quasi mai trasmesse da “mamma” Rai, e del

censuratissimo De André. Poi, barzellette, gag e poesie di Neruda. Molti programmi futuri, di

RMC e di altre stazioni, saranno concepiti in questo modo. Prima di introdurre la rivoluzione

9 Si deve tenere presente che in Italia era vietata la pubblicizzazione delle sigarette.

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radiofonica italiana, devo, tuttavia, ritornare a parlare di Regno Unito e del fenomeno dei “fuori

legge”.

A violare per primi il monopolio, ci avevano pensato dapprima i danesi, che, sul finire degli

anni ’50, crearono una vera e propria stazione radio a bordo di una vecchia nave da trasporto, La

Cheeta I, ancorata nelle acque internazionali, davanti a Copenaghen: si tratta di Radio Merkur,

una radio che trasmetteva musica ventiquattro ore su ventiquattro e che viveva solo grazie a

proventi pubblicitari. E’ un irlandese, però, Ronan O’Rahilly, che, a bordo del battello Caroline I,

ancorato davanti alla costa dell’Essex, il 27 marzo del ’64, fa esplodere il fenomeno delle radio

pirata, o radio offshore, con la sua Radio Caroline.

“This is Radio Caroline on 199, your all day music station” - annuncia il collega di Ronan,

Simon Dee, dal suo microfono, prima di inserire un disco dei Rolling Stones. Ronan non è nuovo

del settore: non solo è un appassionato di rythm&blues, ma è stato, anche se per un breve periodo,

manager degli appena nati Rolling Stones e del bluesman Alexis Korner. Il nome scelto per la

neonata emittente è quello della figlia di John Fitzgerald Kennedy. E’ un dichiarato omaggio

all’ex Presidente USA, ucciso un anno prima a Dallas: candidato del Partito Democratico, di

origine irlandese, primo e unico, fino ad ora, presidente americano cattolico, in quegli anni è il

simbolo del radicale cambiamento che sta contaminando quasi tutto il mondo.

Radio Caroline nasce a largo della swingin’London, del paese più all’avanguardia, soprattutto

in ambito musicale, lanciatore di mode, in un’atmosfera effervescente, ricca di fermenti e voglia

di sperimentare. L’offshore inglese prende, come modello, l’esperienza pirata statunitense, Voice

of America, e altre piccole radio del Nord Europa, meno conosciute e di breve durata, ancorate ai

mari del nord, come Radio Nord e Radio Veronica, che trasmette a bordo di una vecchia nave

faro tedesca, la Borkum Riff.

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Dopo pochi giorni da quel 27 marzo, dall’altra parte della costa inglese, nasce un’altra radio

offshore, Radio Atlanta, che accende i suoi microfoni alle ore 18.00, sugli stessi 199 metri di

Radio Caroline, ora in cui, quest’ultima, termina le sue trasmissioni giornaliere. Basta, dunque,

trovare la frequenza giusta, per potersi godere ventiquattro ore di diretta, realizzate dai dj di

Altlanta e Caroline. Un successo grandioso che, in Inghilterra, si propaga a macchia d’olio,

contagiando altri “pirati” radiofonici: da un forte abbandonato nelle acque dell’estuario del

Tamigi, iniziano le trasmissioni di Radio Sutch e di Radio Invicta, mentre a bordo di un ex-

dragamine americano10, nasce Radio London (ribattezzata dal pubblico The big L, la grande L),

che riesce in breve tempo a diventare la radio più ascoltata della capitale. Il mare diventa, così, la

terra di nessuno, uno spazio di libertà assoluta, attraverso cui poter aggirare, ingegnosamente,

leggi e divieti.

Le radio pirata offshore sanno come non farsi chiudere: i battelli sono vecchi pescherecci

ristrutturati e registrati in paesi del Sud America, muniti di un’antenna capace di trasmettere sulle

onde medie da acque internazionali. Tuttavia, queste emittenti, nonostante il gran numero di

frequenze libere sulle onde medie, disturbano alcune trasmissioni marittime: con questo pretesto,

il parlamento inglese emana, nel 1967, il Marine Broadcasting Act, legge con cui si dispone il

divieto di ogni tipo di trasmissione radio pubblica nei mari intorno all’Inghilterra e, di

conseguenza, l’immediata chiusura di tutte le emittenti pirata.

Il governo inglese, alcuni mesi dopo la messa al bando delle stazioni offshore, per far fronte

alle proteste degli ascoltatori, inaugurò la prima stazione statale completamente dedicata alla

musica pop e, quindi, ai giovani, la BBC Radio One, ingaggiando i dj che poco prima avevano

“combattuto” dai quei microfoni pirata.

10 Una nave militare progettata per la bonifica dei tratti di mare minati.

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La voglia di libertà d’antenna, che presto invaderà il nostro paese, si inserisce, dunque, in un

ambito molto più ampio, che partendo dall’America, si diffonde in gran parte dell’Europa. Si

tratta di un desiderio diffuso, da parte dei giovani, di rompere le barriere di una censura, non

soltanto radiofonica, musicale e linguistica, ma intimamente sociale.

Con la rottura, attraverso le onde radio, dei confini naturali, quella frattura, già esistente, con la

generazione direttamente precedente, forse più ingenua e più chiusa nel proprio territorio e nella

propria tradizione, si fa sempre più profonda. Le parole urlate durante la campagna contro la

legge antipirateria, “libertà di parola, libertà d’impresa, libertà di scelta”, presto giungeranno,

forti e chiare, anche in Italia, con un’unica differenza: le radio nostrane quella libertà riusciranno

a vincerla.

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1.3) E’ Tempo di Libertà

Nella Rai di Ettore Bernabei, dalla seconda metà degli anni ’60, nonostante l’impronta di base

sia rimasta legata alla cultura cattolica e moralista del partito democristiano, si inizia a pensare

qualcosa anche per i giovani: dalle menti innovative degli autori e conduttori, Gianni

Boncompagni e Renzo Arbore, nasce una trasmissione, Bandiera Gialla.

Fenomeno di costume, sarà, soprattutto, destinata a divenire antesignana di un nuovo modo di

fare radio. Bandiera Gialla va in onda per la prima volta nel 1965, di pomeriggio, alle 17.40, sulle

note del rithm&blues: già dalla prima canzone programmata, T-Bird di Rocky Roberts, ancora

sconosciuto. Si intuisce che qualcosa inizia a muoversi. Bandiera Gialla si presenta così:

“A tutti i maggiori degli anni 18. A tutti i maggiori degli anni 18. Questo programma è rigorosamente riservato ai giovanissimi, ripeto, ai giovanissimi, tutti gli altri sono pregati quindi di spegnere la radio o sintonizzarsi su altra stazione […]” 11.

Come già si faceva a Radio Luxembourg e a Radio Monte Carlo, si riempie la scaletta musicale

di nuove proposte, soprattutto provenienti dalle migliori classifiche inglesi e americane, come

Aretha Franklin, Wilson Pickett, Otis Redding, Nancy Sinatra, senza trascurare i gruppi e gli

interpreti nostrani dell’ondata beat, come gli Equipe 84, i Dik Dik e Patty Pravo, la ragazza del

Piper Club. Di certo, molti artisti, oggi conosciuti, sarebbero rimasti nell’anonimato se non

avessero partecipato a questo programma. L’atmosfera è goliardica e disimpegnata: quel tono

pedagogico tipico delle trasmissioni Rai viene completamente abolito. L’industria discografica

italiana sfrutta, sin da subito, le capacità della trasmissione, inserendo, sui dischi delle canzoni

premiate dal gioco, un’etichetta a forma di bandiera, ovviamente gialla, più o meno, come

11 M. Orrico, pag.12

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succede oggi sui prodotti alimentari d’origine controllata: il disco è “garantito da Bandiera

Gialla”.

“La riscossa della radio in quegli anni partì proprio con Bandiera Gialla. […] Portammo in Italia la cosiddetta rivoluzione Beat. […] Stavamo preparando la scaletta […] volevamo dare un connotato a quel periodo musicale. Roack’n’roll era considerata una definizione superata. Pop comprendeva un po’ tutto, ed ecco allora la trovata: Beat. Questa cosa piacque anche fuori dall’Italia” (Renzo Arbore).12

Renzo Arbore è ancora protagonista di un altro programma innovativo, insieme ad altri

apprezzati conduttori, come Paolo Giaccio, Mario Luzzato Fegiz e Carlo Massarini. Nato un anno

dopo Bandiera Gialla, anche Per voi giovani ha il merito di mettere in ciclo nuove sonorità e

nuove idee, tanto da divenire programma di riferimento della generazione della contestazione. La

nuova musica si alterna, questa volta, a temi cari al mondo giovanile, come l’informazione e i

viaggi: nella scaletta c’è, persino, un corso d’inglese e il telefono viene messo a disposizione del

pubblico, per chiacchiere e dediche13. Richard Benson (prima di darsi completamente al metal)

presenta lo spazio Novità 33 giri, mentre Herbert Pagani (sì, ancora lui), questa volta viene inviato

dalla trasmissione per raccontare frammenti della breve esperienza del governo di Unità Popolare

di Salvador Allende, in Cile: nella sua macchina, girando per le strade del paese, registra i suoi

zapping radiofonici, facendoli ascoltare, poi, al pubblico italiano, durante il programma.

L’enorme successo di questi due programmi è una denuncia al sistema comunicativo fino ad ora

utilizzato dalla Rai.

Era impensabile, prima, poter parlare con tanta scioltezza dai microfoni di quei studi

radiofonici. L’impostazione della voce, la serietà erano gli ingredienti principali dei presentatori

12 R. Sorace, effe emme, p. 151 13 Non è la prima volta che il pubblico viene considerato una “parte attiva”. Già nel 1951, il programma L'avvocato di

tutti aveva utilizzato il telefono per mettersi al servizio dei radioascoltatori.

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dei programmi in onda. Per non parlare della musica: ho citato, nei paragrafi precedenti, di

Canzonissima, Sanremo e la musica classica, in onda sul terzo canale.

Da un po’ si sentiva il bisogno di nuove sonorità. Il motivo più premiato dal monopolio era la

melodia, mentre, per i testi, si preferivano quelli semplici, facilmente comprensibili da tutte le età,

che entrassero subito nella mente del pubblico e che parlassero di amore, iniziato o finito che

fosse, ma sempre e solo in termini ingenui, di persone felici, di una vita tranquilla, rispecchiando

quella società imposta dalla morale rigida dello stato. C’è da dire che, gli autori di canzoni

“alternative”, neanche ci pensavano a presentare la propria musica alle tre stazioni Rai,

scegliendo, piuttosto, il teatro, le fiere, le feste di partito e gli spettacoli di piazza.

La commissione di controllo sui testi interveniva controllando la scaletta delle trasmissioni e

sulle canzoni nuove registrate alla SIAE14. Un po' come l’analoga commissione di controllo sul

cinema (chiamata da tutti, commissione di censura), cercava, spesso, di intervenire alla fonte,

concordando preventivamente con gli autori modifiche che potevano consentire la

radiodiffusione. Ovviamente, faceva comodo a molti la programmazione della propria canzone

nei programmi Rai: questo assicurava un successo maggiore, invogliando il pubblico all’acquisto

del disco, cosa più difficile per coloro che non venivano pubblicizzati in radio.

Il controllo c’è anche per i due programmi innovativi, Per voi giovani e Bandiera Gialla: si

evita, infatti, di mettere in scaletta le canzoni messe al bando dalla Rai, preferendo quelle più

accettate e quelle di autori stranieri, i cui testi non vengono quasi mai censurati, tranne in rari casi.

La nuova musica, gli esempi d’oltralpe di fare radio (le radio pirata, Radio Montecarlo, Radio

14 Società Italiana per gli Autori e gli Editori: ente pubblico economico preposto alla cinematografia, qualunque ne

sia il modo o la forma di espressione”. (legge 22 aprile 1941, n.633; protezione del diritto d’autore e di altri diritti

connessi al suo esercizio; titolo I, capo I, opere protette; Biblioteca Giuridica,

www.giustizia.it/cassazione/leggi).protezione e all'esercizio dei diritti d’autore che, basandosi sulla legge n. 633 del

1941, si occupa della protezione “delle opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura,

alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla

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Luxembourg, ecc.) e le registrazioni degli zapping di Pagani, nonostante il cambio di rotta della

Rai, non fanno altro che aumentare il desiderio, ancora di pochi, di creare una propria emittente.

L’esigenza iniziale dei primi non è, di certo, la musica o il divertimento, quanto, piuttosto,

denunciare apertamente e liberamente le vecchie “abitudini” italiane, che ai giovani vanno sempre

più strette. E’ il 25 marzo 1970: questa data segna il punto di non ritorno nella storia della

comunicazione italiana.

Il segnale radiofonico di Radio Sicilia Libera rompe il silenzio dell’etere, del monopolio e

dell’intera Sicilia. Questo segnale è solo l’inizio di una nuova stagione, di un fenomeno che, solo

cinque anni più tardi, si affermerà con tutta la sua forza. A realizzare l’esperimento è Danilo

Dolci, uno dei padri fondatori dello spirito di non violenza italiano e convinto sostenitore della

lotta anti mafia, nella terra che Modugno definiva amara e bella, la Sicilia. La mafia aveva attinto

a piene mani dai fondi destinati alla ricostruzione della valle del Belice, colpita due anni prima da

un forte terremoto, che aveva messo drammaticamente a nudo lo stato di arretratezza della

regione. Danilo Dolci, con il suo messaggio di denuncia, è ancora più devastante di quel

terremoto, ponendo di fronte alla realtà tutta quella gente che è stata e sarà costretta a vivere nel

completo silenzio, azzittita da omertà e paura nei confronti di un potere mafioso e clientelare, che

ancora oggi continua a schiacciare tutto il Meridione.

"Dopo più di due anni dal terremoto che ha colpito la Sicilia occidentale, la popolazione per gran parte è, o baraccata, o sta in case pericolanti. Decine di migliaia di persone si trovano nelle notti d'inverno le coperte ghiacce di umido addosso, quando non bagnate, d'estate soffocano. Una parte dell'Italia, con notevoli risorse da valorizzare, rischia di morire assurdamente per l'insufficiente impegno degli organismi preposti, parassitata per di più dai gruppi clientelari - mafiosi, mentre un immediato intervento costruttivo potrebbe essere ancora in tempo ad assicurare la realizzazione di una nuova città-territorio in cui la gente possa vivere sviluppandosi e contribuendo allo sviluppo di tutto il Paese”.15

La radio viene scelta come arma: attraverso questo arnese tutti possono sapere quello che sta

succedendo e trovare la forza di combattere, senza doversi più nascondere. Danilo, sociologo,

15 Danilo Dolci, lettera indirizzata al Capo dello Stato italiano, al Capo del Governo e al Ministro degli Interni.

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poeta, saggista e letterato, crede intensamente nel “potere maieutico” della parola, invocandolo

spesso come mezzo per attuare un cambiamento, che, senza l’uso della violenza, riesce ad

organizzare, unire, coinvolgere.

“Non mi sorprenderei / quando i poveri cristi si decidono / a montare una radio per sentirsi / e per farsi sentire / una radio / anche piccola / come in montagna per la resistenza /oppure a Praga, / non mi sorprenderei se corazzate / elicotteri vispi si lanciassero / cercando di afferrarla e denunciarla per avere tentato di turbare / l’ordine pubblico”.16

Radio Sicilia Libera nasce come strumento non solamente "politico". Nasce come spazio di

comunicazione sociale, attraverso il quale, un territorio, segnato dal potere mafioso, dal

malgoverno, dall’omertà, dalla povertà e dall’ignoranza, può essere rivitalizzato, coniugando

l'utilizzo dell’etere alla parola di denuncia. Un’utopia durata pochissimo: dopo solo 27 ore di

radio, le forze dell’ordine spengono per sempre quei microfoni, sequestrando le apparecchiature e

avviando un’azione penale a carico dei promotori dell’iniziativa.

Dopo quattro anni dalla breve avventura siciliana, la prima, vera “libera” comincia a circolare

nelle vie dell’etere. Dal dicembre ‘74, iniziano le trasmissioni sperimentali e, dal primo gennaio

‘75, i programmi regolari: Radio Parma è l’emittente italiana che, a tutt’oggi, trasmette da più

tempo.

“L’idea è nata da una cena fra amici”. Amici un po’ stufi di leggere “La Gazzetta di Parma” (degli industriali locali, di tendenza liberale) per avere le notizie quotidiane sulla propria città. […] “Ufficialmente le nostre trasmissioni sono sperimentali, e vanno in onda in modulazione di frequenza da 96,2 a 102 magacicli”, fa notare Drapkind, grosse lenti da miope, di tanto in tanto, senza interrompere la nostra conversazione, accende un piccolo ricevitore FM per controllare se i programmi vengono messi regolarmente in onda dalla sala-radio. Quest’ultima è situata nel centro storico della città, con una grossa antenna su tetto, “è la casa più bassa di Parma”, commenta ironicamente l’esperto dell’etere Toni; una stanza di sei metri per tre che comprende tutto: il tavolo, i microfoni per gli annunciatori, i registratori, i giradischi, mucchi di LP, poltroncine per gli ospiti e il trasmettitore, un cimelio militare riadattato. “Chiedimi tutto, ma non questo”, risposero, uno dopo l’altro, tutti i rivenditori di apparati radio, amici del Toni, che egli era andato a trovare pazientemente, senza molte speranze, alla ricerca di una trasmittente. Sono le stesse che vendono alla RAI e, proprio per questo, è stato loro fatto chiaramente capire che, se avessero trattato con i “nuovi clienti”, sarebbero decaduti quei “rapporti preferenziali”

16 Danilo Dolci, Poema per la radio dei poveri cristi, da Il limone lunare, Laterza, Bari, 1970.

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così preziosamente coltivati fino a quel momento con l’Ente radiotelevisivo di Stato. Un veto esplicito ma inutile. In Italia, infatti, vi sono migliaia di tecnici capacissimi di costruire una trasmittente in FM di pochi chili. […] “Qui a Radio Parma c’è accesso libero per tutti. […] Ormai questa emittente è la voce della città.”17

Qualche mese prima la nascita di Radio Parma, esattamente il 23 novembre del ’74, i microfoni

liberi si erano accesi anche a Bologna.

La “Cooperativa lavoratori informazione” di Bologna decise di andare in onda da una roulotte con un trasmettitore FM (costruito da un radioamatore di Treviso) […]. L’iniziativa si inseriva autorevolmente come un’esperienza attiva nel grande dibattito sull’informazione che si stava […] portando avanti nel nostro Paese. […] un “esperimento attuato per contribuire alla lotta per la democratizzazione della Rai-Tv e per il suo effettivo decentramento e per la sua gestione a livello di base”. […] Le trasmissioni non avevano quindi finalità commerciali, ma volevano piuttosto far comprendere come fosse economicamente sostenibile, da parte di una comunità locale, il decentramento dei mezzi di informazione, e come risultasse organizzativamente semplice l’accesso pubblico”. […]18

Ma è il 10 marzo 1975 che viene convenzionalmente considerato la data d’inizio del fenomeno

delle radio libere, con la nascita di Radio Milano International. Ecco quello che tre giornali

dell’epoca scrivevano, all’indomani dalla nascita della radio milanese:

"Ieri prima trasmissione di una radio clandestina. L'emittente si chiama Milano International[...]". (Corriere della Sera, 11 marzo ‘75)

"Scoperta la radio pirata che parla ai milanesi. Abbiamo scoperto chi si nasconde dietro la sigla di Radio Milano International, la stazione radio clandestina che trasmette da ieri per Milano e provincia [...]". (Corriere d'Informazione, 11 marzo ‘75)

"Negano di essere pirati quelli di Radio Milano […]". (Il Giornale, 12 marzo ’75)19

A Milano e dintorni, l’unica “voce fuori dal coro” era stata quella di Febo Conti che, con un

tono spigliato, disincantato e umoristico, aveva presentato, fino all’anno prima, il suo Gazzettino

17 (www.radiomarconi.com/marconi/ancona/radioparma2.html), Articolo tratto da: Millecanali, Anno II, n. 4-5,

Aprile-Maggio 1975. 18 (www.radiomarconi.com/marconi/ancona/pionieri.html)Articolo tratto da: Millecanali, Anno II, n. 4-5, Aprile-

Maggio 1975. 19 Dal sito www.daxmedia.net/radiojurassico.

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Padano20, tra la sigla Bela gigugin, tipicamente popolare, e un Va pensiero nostalgico. Quelli di

Radio Milano International sono un comunissimo gruppo di amici, tre, per l’esattezza, Piero e

Nino Cozzi, e Rino Borra, che, mentre passano le nottate ad ascoltare Radio Luxembourg,

pensano di installarsi in un grande appartamento al nono piano di un palazzo a via Locatelli,

armandosi di un trasmettitore da cinquanta watt: questo basta a sconquassare, senza nemmeno

rendersene conto, il pigrissimo panorama dell’etere italiano. La frequenza scelta è 101.000 MHz e

solo un mese dopo la sua nascita, su disposizione del pretore di Milano, l’Escoradio21 pone sotto

sequestro RMI: le trasmissioni verranno riaperte e la radio assolta dopo pochissimi giorni.

Qualche anno dopo la riapertura dell’emittente, è la voce di Leonardo Re Cecconi a contribuire al

successo: è un ruggito a farne una vera icona sonora, trasformandolo in Leonardo “Leopardo”.

“Il nome salta fuori da un giubbotto che indossava in quegli anni, con un leopardo disegnato sulla manica, un capo di abbigliamento animalista, con la scritta Don’t kill the animal. Una sera arriva a Radio Milano International Loredana Bertè, che inizia a prenderlo in giro: Leopardo, Leopardo, Leopardo. Il giorno dopo tutti i colleghi lo soprannominano Leopardo, viene inciso un jingle con un ruggito, che da quel momento accompagnerà Leopardo, con la sua erre moscia diventata proverbiale.”22

Non solo trasmissioni in FM stereo, ma, ben presto, anche in onde medie, corte e lunghe,

facendosi così ascoltare in tutta Europa. Nonostante l'enorme successo, RMI è rimasta per anni a

carattere regionale: solo verso la metà degli anni 80, le sue emissioni hanno iniziato a coprire

l'intero territorio nazionale, cambiando la denominazione in One o One Network.23

20 A via Farini (Milano), nel 1949, dagli studi di Radio Italia del Nord, “la voce dei partigiani”, viene trasmesso, per

la prima volta, il Gazzettino Lombardo. Questo nome durerà solo fino al ’50, anno in cui verrà ribattezzato Padano. 21 Acronimo di ESclusività COordinamento RADIO, era un organo delegato alla vigilanza sulle radiofrequenze, che

operava a fianco all’Escopost (ovvero ESclusività COordinamento POSTale), atto a salvaguardare i diritti di

esclusività dei servizi di postalettere e dei pacchi, entrambe dirette dal Ministero delle Poste e Telegrafi. (notizie

prese da www.storiediposta.it dell’Accademia Italiana di Filatelia e Storia Postale). 22 www.storiaradiotv.it/LEOPARDO 23 Nel 1999 cambiò il nome in Radio 101 One o One e, nel 2005, in Radio101. Fa parte, oggi, del gruppo Mondadori,

appartenente alla holding Fininvest.

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Subito dopo l’esempio dell’emittente milanese, il 21 settembre dello stesso anno, inizia a

trasmettere Punto Radio. “ L'ispiratore” è Marco Gherardi, che, mentre faceva il militare a

Milano, ebbe modo di ascoltare quelli di RMI. Marco è amico di infanzia di un ancor poco

conosciuto Vasco Rossi, proprietario dal ‘72, insieme ad altri amici, di un piccolo locale per

giovani, Punto club. Il primo nucleo della neonata, una decina di ragazzi in tutto, inizia a

trasmettere da Montombraro, vicino Modena: una posizione ottimale per coprire una vasta zona

dell'Emilia, anche con un mediocre trasmettitore da 10watt. Anche questa volta “l’incontro” con i

sigilli dell’Escoradio non è dei migliori: Vasco, responsabile della radio dal punto di vista legale,

insieme a Walter Giusti (uno del gruppo), vengono processati e presto assolti, dimostrando che il

fine della radio non è né il lucro, né la propaganda politica, temutissima dal monopolio Rai. La

radio è diventata un punto di riferimento per migliaia di giovani, che non si vedono più solo come

semplici ascoltatori, ma anche, sulla scia di questi primi gruppi di Bologna, Parma, Milano e

Montombraro, come veri e propri protagonisti: il “gioco” sta per iniziare.

Nell’estate ’75, le emittenti private sono 150. Nel ’78, si arriverà a 2600. C’è da sottolineare

una questione importante: il 14 aprile del ’75, con la legge n. 103, si ribadisce il regime di

monopolio statale per le trasmissioni radiotelevisive, in concessione alla Rai. Nulla di nuovo

rispetto alla precedente normativa, la n. 24, del febbraio 1938, a parte, la nuova regolamentazione

delle trasmissioni da televisioni di nazioni estere e, inoltre, la liberalizzazione della trasmissione

via cavo a carattere locale: un fenomeno che si stava affacciando in USA e nel Nord Europa e che

in Italia sarebbe rimasto del tutto marginale. Una vera e propria novità legislativa, però, per il

nascente mondo delle radio private, c’è ed è legata alla parola “circolarità” riportata nell’art. 1,

primo comma, della legge:

La diffusione circolare di programmi radiofonici via etere o, su scala nazionale, via filo e di programmi televisivi via etere, o, su scala nazionale via cavo e con qualsiasi altro mezzo costituisce, ai sensi dell'articolo 43 della costituzione, un servizio pubblico essenziale ed a carattere di preminente interesse generale in quanto volta ad ampliare la partecipazione dei

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cittadini e concorrere allo sviluppo sociale e culturale del paese in conformità ai principi sanciti dalla costituzione. Il servizio e' pertanto riservato allo stato.

La indipendenza, l'obiettività e l'apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali, nel rispetto delle libertà garantite dalla Costituzione, sono principi fondamentali della disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo.24

Diffusione circolare, può voler dire copertura a 360°, ma anche diffusione di tipo nazionale, a

copertura totale: a questa interpretazione si possono appellare, in sede legale, le radio libere

quando l’Escoradio opera al sequestro delle attrezzature, come è successo a Punto Radio e, prima

ancora, Radio Milano International. Non solo: i nuovi pirati possono appellarsi alla presunta

incostituzionalità della 103, in contrasto con la legge 848 dell’agosto ’55 sulla Ratifica ed

esecuzione della salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, una normativa

che, oltre a recepire i trattati internazionali, tra cui quello sulla schiavitù e sul diritto d’asilo,

includendoli come parte integrante della Costituzione Italiana, sanciva, con l’articolo n.10, il

divieto del regime di monopolio in materia di radio e televisione.

Toute personne a droit à la liberté d'expression. Ce droit comprend la liberté d'opinion et la liberté de recevoir ou de communiquer des informations ou des idées sans qu'il puisse y avoir ingérence d'autorités publiques et sans considération de frontière. Le présent article n'empêche pas les Etats de soumettre les entreprises de radiodiffusion, de cinéma ou de télévision à un régime d'autorisations.

L'exercice de ces libertés comportant des devoirs et des responsabilités peut être soumis à certaines formalités, conditions, restrictions ou sanctions, prévues par la loi, qui constituent des mesures nécessaires, dans une société démocratique, à la sécurité nationale à l'intégrité territoriale ou à la sûreté publique, à la défense de l'ordre et à la prévention du crime, à la protection de la santé ou la morale, à la protection de la réputation ou des droits d'autrui, pour empêcher la divulgation d'informations confidentielles ou pour garantir l'autorité et l'impartialité du pouvoir judiciaire.25

24 Legge 103/75, Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva, Titolo I, Del Servizio Pubblico di

diffusione radiofonica e televisiva, Art. 1, comma 1,2. (Tratto da www.agcom.it/L_naz/l103_75.htm)

25 Trad. 1.“Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Questo diritto comprende la libertà d'opinione e la libertà

di ricevere o di comunicare informazioni o idee da parte di ciascuno senza che questi possa ricevere ingerenza di

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Le radio proliferano pin piano: manca, tuttavia, una legge che sancisca un permesso vero e

proprio alla radiodiffusione privata, legge che arriverà solo con un anno di ritardo. Ritorniamo

alle radio: il fenomeno non riguarda solo il Settentrione: tra i pionieri dell’etere ci sono anche i

romani di Radio Roma, che il 16 giugno, sempre ’75, iniziano la loro avventura, sull’effe emme

104.0.

Fossero stati tutti così precisi e minuziosi come Alessandro Malatesta […] per lui titolare e anima da sempre di Radio Roma, la prima nata nella Capitale […]. “Iniziammo a trasmettere il 16 giugno, ma in realtà eravamo pronti da tempo, tanto da avere registrato la testata giornalistica presso il tribunale di Roma già il 12 maggio. Tutto prese le mosse da un giornalista Rai, Rosario Pacini e dal Cavalier Virginio Menozzi, già protagonista della nascita di Radio Parma”. E di fatto, di Radio Parma, Radio Roma può essere considerata la figlia, se è vero che il primo impianto che irradiò il suo segnale su Roma proveniva proprio dalla città ducale.26

All’inizio, viene messa in piedi una struttura molto spartana: i programmi registrati, per la

mancanza di apparecchi di trasferimento del segnale, vengono trasmessi direttamente e un

corriere parte ogni giorno con “la sua Vespa” e le bobine in borsa, per metterle in onda dal

trasmettitore. Nel ’77 si passerà poi dalla misera sede al Nomentano, ad una bella villa in zona

Trionfale, dove, a tutt’oggi, la radio è ospitata. Anche a Roma, subito dopo quel giugno ’75,

iniziano a proliferare nuove radio. L’11 luglio è il giorno di Antenna Musica.

Di quella stagione Emilio Levi è stato uno degli interpreti più vivaci. […] “Mi ritrovai in mano quattro milioni dell’assicurazione e insieme a tre amici, cominciai a pensare alla possibilità di mettere su una radio”. 27

autorità pubbliche e senza considerazioni di frontiera. Il presente articolo non impedisce gli Stati di sottomettere le

imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione ad un regime di autorizzazioni”.

2.“Dal momento che l'esercizio di queste libertà comporta dei doveri e delle responsabilità esso può venir sottoposto

ad alcune formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni, previste dalla legge, che costituiscono misure necessarie in una

società democratica, alla sicurezza nazionale, all'integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell'ordine

e alla prevenzione del crimine, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei

diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni confidenziali o per garantire l'autorità e l'imparzialità del

potere giudiziario”. Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,

articolo 10 (1,2), legge n.848, del 4 agosto 1955. (Tratto da www.giustizia.it/pol_internaz/tutela/ce_salv_diritti.htm). 26 R. Sorace, effe emme, gli anni delle radio libere, p.32, ed. Memori. 27 R.Sorace, effe emme, p.35.

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Poi, a seguire TeleRomaCavo, Radio Roma 103, Onda Radio 101, Radio Città Futura,

espressione del movimento studentesco, Radio Elle e Radio Sound, Radio Blu, vicina al Pci,

Onda rossa, Radio Alternativa, legata al Fronte della Gioventù.

Era il 15 novembre del 1975, feci un primo annuncio, forse ancora un po’ ”ingessato” “Gentili ascoltatori oggi nasce una nuova radio libera a Roma: Onda Radio 101”.28

1976: la bomba è ormai scoppiata. Si dimette per la quarta volta il governo Moro e quello

Andreotti si riforma per la terza, Renato Curcio, capo delle BR, viene arrestato dopo quasi un

anno di latitanza, l’Ultimo Tango a Parigi di Bertolucci viene vietato in molte sale, il 9 settembre

muore Mao Tse-Tung, leader della Cina moderna, i Sex Pistols debuttano con Anarchy in the UK,

durante la trasmissione televisiva inglese So it goes. Succede anche un’altra cosa: la Corte

Costituzionale, con la sentenza n. 202 del 28 luglio, rispondendo alle numerose eccezioni di

incostituzionalità o di richieste di parere di pretori di tutta Italia, dichiara, finalmente,

inammissibili le parti delle leggi che hanno, fino ad ora, vietato le trasmissioni in ambito locale,

confermando, così, l’interpretazione estensiva della 103/1975.

Accendere i microfoni non è più al limite della legalità, ma diviene diritto legittimo. La Polizia

Postale si limita, ora, a reprimere solo le interferenze con le trasmissioni della forza pubblica o

con le torri di controllo degli aeroporti, mentre la Rai non può far altro che guardare inerme il

cosiddetto Far West dell’etere.

“Agli inizi […] sotto la sede della radio per due mesi sostò stabilmente un pulmino dei carabinieri. Un militare con il quale avevamo stabilito un rapporto di simpatia, ci ripeteva in continuazione: trasmettete, trasmettete… tanto poi sarete denunciati. Grazie a Dio quella denuncia non arrivò mai”.29

La voglia di libertà di parola, di cambiamento e di sano protagonismo si diffonde a macchia

d’olio su tutto il paese. Viene fondata la Cooperativa di Radio Popolare da rappresentanti di varie

28 Lettera di Francesco Verdinelli (www.broadcastitalia.it) 29 R.Sorace, effe emme, p.38

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forze politiche e sindacali della sinistra (Film, Fiom, Uil, Psi e altri), che propone informazione

libera e comunicazione indipendente. Nasce, poi, Controradio a Firenze, vicina a Lotta continua,

Radio Roccella Jonica, una delle prime emittenti libere calabresi, e Radio Sherwood a Padova. Da

Vicolo Pontecorvo 1/a, sale il segnale di questa piccola radio libera, il cui nome si ispira alla

celebre foresta di Robin Hood, acquisendo, quindi, un’ironica connotazione “illegalista”.

Il ’76 è anche l’anno di Radio Aut, fondata da Peppino Impastato, giovane candidato al

consiglio comunale con Democrazia proletaria, memore dell’esperienza di Danilo Dolci e della

sua Radio Sicilia Libera. L’idea di una radio libera autofinanziata nasce allo scopo di denunciare i

delitti e gli affari dei mafiosi, soprattutto del capomafia Gaetano Badalamenti, che hanno un ruolo

di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il pieno controllo dell’aeroporto. La

storia, breve, di questa emittente si svolge tra Terrasini, dove ha sede, e Cinisi, il paese in cui vive

Peppino, entrambe vicino Palermo. Il programma più seguito è Onda pazza. La satirica

trasmissione va in onda ogni venerdì sera, con l’intento di infrangere il tabù dell’omertà, con

l’arma della parola e dell’ironia: Tano Badalamenti è “Tano Seduto”, Cinisi è “Mafiopoli”. La

radio continuerà a funzionare fino a qualche mese dopo la notte tra l’8 e il 9 maggio 1978:

durante questa notte, Peppino pagherà il suo desiderio di libertà di parola con la morte. Il caso

Impastato passerà sotto silenzio (si parlerà solo di suicidio o di atto terroristico)30, sovrastato dalla

notizia del ritrovamento, a Roma, del corpo di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse.31

30 Dopo vent’anni, grazie al film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana, che ha ridato luce alla vicenda, nel 2000

la Procura di Palermo ha riaperto il caso e ha rinviato a giudizio Tano Badalamenti come mandante dell’assassinio. Il

boss è stato condannato l’11 aprile del 2002 all’ergastolo. 31 Dopo una prigionia di cinquantacinque giorni, il cadavere di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, fu

ritrovato il 9 maggio nel cofano portabagagli di una Renault4, a Roma, in via Caetani, a poca distanza da Piazza del

Gesù, dov’era la sede nazionale della Democrazia Cristiana, e via delle Botteghe Oscure, dov’era la sede nazionale

del Partito Comunista.

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La radio diviene così mezzo della resistenza, della protesta, come un megafono per voci fuori

dal coro. Le idee nascono per questi scopi, ma non solo: molte, anzi la maggior parte, sono le

radio che, come ho già accennato, nascono come semplice gioco, come voglia di protagonismo,

per emulare e fare meglio quello che fanno già altri, per fare amicizia, per passare il tempo. In

fondo il fenomeno delle chat, di messenger, dei blog, di my space o face book, oggi, 2008, nasce

per questo: cambia solo il mezzo.

[…] la nascita della Radio libera […], come modulo di sviluppo della Radio in Italia, che nella maggior parte dei casi è nata spontaneamente e contemporaneamente nelle varie periferie e città italiane, per rispondere ad esigenze di pura socializzazione tra i giovani di quel periodo, che non avendo a disposizione le nuove tecnologie, né internet, né le pay tv, né tantomeno la playstation, il game boy, i Pokemon o Yu-gi-ho, erano, non dico, più stimolati, ma forse più creativi.

E per ideina, non essendo attratti dalla politica, dai movimenti giovanili, intendo soprattutto progetti e soluzioni per “beccare”.32

E’ il caso di Radio Empoli International – che già solo con il nome a dispetto di tutto il resto

prendeva un significato ben preciso, aprire le frontiere sentirsi cittadini del mondo, superare le

barriere culturali, aprirsi a nuovi linguaggi, consapevoli di tutte le contraddizioni fra nord e sud,

fra l’Europa e il resto del mondo33 -la prima radio di Empoli, che inizia a trasmettere con un

antennina sul tetto di una casa di Via Torricelli, artigianale, creata senza una minima esperienza

nel settore. E’ il caso di tantissime radio.

Un progetto pionieristico, ma nonostante tutto, l’impatto sul territorio fu travolgente, una novità epocale.34

Elaborare una mappa dettagliata delle radio libere di questi anni è un’impresa non facile: molte

moriranno nel giro di poche settimane, mesi o anni, strette dalle necessità economiche, da

problemi giudiziari o dalla censura, che si continuerà ad abbattere sulle radio più vicine ai

movimenti politici giovanili, come nel caso di Radio Alice, che verrà chiusa con una violenta

32 Paolo Lunghi, Via Etere , trent’anni di Radio Libere, Ibiskos Ulivieri, p.25.

33 P. Lunghi, Via Etere, p. 43.

34 P. Lunghi, Via Etere, p. 47.

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irruzione dei carabinieri il 12 marzo 1977, un anno dopo la sua apertura. Tranne in questi casi,

tutto ciò rappresenterà, in Italia, un cambiamento epocale: la sigla FM diventerà simbolo di

libertà, un punto di riferimento per i giovani, protagonisti e ascoltatori.

La radio diventerà il primo vero media interattivo, che partendo dal basso, dal tessuto sociale,

dalle comitive di ragazzi, riuniti nelle “stanzine” o nelle piazze, dallo studente, dal meccanico, dal

muratore, dalla casalinga, rappresenterà un nuovo strumento di informazione, di coesione, di

intrattenimento, di solidarietà.

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Segni della rivoluzione mediatica nelle case

degli italiani

� Pillole di letturaPillole di letturaPillole di letturaPillole di lettura

La fotografia è stata scattata. Gli anni tra il ’76 e i primi ‘80 saranno al centro dell’obiettivo di

questo secondo capitolo. Soprattutto verrà compiuta l’individuazione delle radio libere come vere

e proprie imprese in piccolo che, in modo autonomo, anche se con forti similitudini fra loro,

costruivano la propria immagine, da proporre ad un pubblico sempre più variegato.

Partendo da nozioni puramente tecniche, descriverò, innanzitutto, il processo che ha permesso,

insieme alla legislazione sulla liberalizzazione dell’etere (trattata in precedenza), la nascita della

radiofonia fatta in casa: la banda cittadina e il reperimento di strumenti elettronici. Passerò poi a

descrivere le caratteristiche che hanno contribuito a definirne, in generale, l’immagine

rivoluzionaria, di cambiamento, rispetto al metodo tradizionale. Nuovi linguaggi, nuova musica,

nuova informazione. Ma che tipo di linguaggi? Che tipo di musica? Che tipo di informazione? E

con quale finalità?

A proposito di questo, mi concentrerò sulle novità comunicative, su tutte, la bidirezionalità del

rapporto emittente-ricevente acquisita attraverso l’ausilio di fili diretti, delle dediche, della musica

e, poi, della pubblicità. Per ultimo, soprattutto prendendo ad esempio alcune radio con fini

politici, di partito, di denuncia o con scopi filantropici, illustrerò quella che è stata vista come una

rivoluzione dell’informazione o, spesso con accezione negativa, come una controinformazione.

Cambiamenti, questi, che segneranno l’immagine di molte radio future, radio commerciali e web

radio.

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2.1) Come fate ad entrare in casa mia?

Inizierò con qualche citazione, perché penso sia solo con le parole di chi ha vissuto

intensamente la radio nel suo momento di libertà, che si possa cominciare a delineare, più

precisamente, il fenomeno.

Correva l’anno 1975, avevo vent’anni e mi divertivo un mondo. […] Non c’era un attimo da perdere, tutto andava rifatto e tutto doveva cambiare. […] E in questo groviglio di emozioni che nascono le radio libere, e già nel nome vi era quella forza trasgressiva che ci pervadeva. […] "le radio libere, ma libere veramente”, da allora furono lo specchio di ciò che eravamo e di ciò che volevamo essere. (Luciano Consoli) 35 Nonostante la radio pubblica potesse contare su indiscutibili professionalità e ottime capacità di innovazione l’ascesa delle radio libere fu irresistibile. […] C’era la radio confidenziale quella delle dediche e del rapporto telefonico diretto tra il conduttore e l’ascoltatore. […] Oltre la politica, di certo la radiofonia privata cambiò i gusti musicali di intere generazioni fino ai giorni nostri. La Rai reagì con lentezza […]. (Walter Veltroni) 36 Nell’estate del 1975 di ritorno da una tournèe con “Jesus Christ Superstar” mi ritrovai a casa, da solo, un po’ svuotato dal turbinio tipico delle tournee. Nella mia camera accesi la radio, per un po’ di compagnia e girando la manopola della sintonia in FM…ascoltai delle deboli voci che non provenivano dalla Rai… la frequenza era intorno a 103…capii immediatamente quanta passione avrei potuto dedicare a quello che di li a poco sarebbe stato un cambiamento epocale, sociale, culturale. Il mio carattere audace, decisionista e determinato mi fece decidere immediatamente di portare avanti quell’idea: Aprire una Radio a Roma. 37 Quella delle radio libere fu un sommovimento sociale di cui gli stessi protagonisti non erano del tutto coscienti. Erano partiti […] per divertirsi, per trovare nuovi modi di comunicare e hanno cambiato il mondo. […] I conduttori erano assolutamente privi di esperienza, ma qualche idea […] ce l’avevano. E evidentemente anche talento. Le radio libere furono, infatti, una vera fucina di nuovi talenti. In campo mediatico, ma non solo. […] La libertà dai padroni, dai poteri vari del mondo della politica e dell’impresa: era questo l’aspetto più coinvolgente dell’esplosione delle piccole radio locali. (Tana de Zulueta) 38 Chi l’avrebbe mai detto che quei ragazzi avrebbero fatto storia! In fondo era solo un gioco, lo

ripeto: da un’idea “per caso”, sono partiti, se non tutti, la stragrande maggioranza, dei protagonisti

di questa storia. E invece, inconsciamente, rivoluzionarono, non dico tutto il mondo, ma almeno

35 Di Luciano Consoli, da R. Sorace, effe emme, p.7 36 Di Walter Veltroni, da R. Sorace, effe emme, p.11 37 Lettera di Francesco Verdinelli (www.broadcastitalia.it) 38 Di Tana de Zulueta, da P. Lunghi, Via Etere, p.7

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quello della comunicazione in Italia. Una rivoluzione partita dal basso (forse l’avrò scritto già

decine di volte): spesso facevano parte dei vari staff radiofonici studenti o lavoratori, come, per

esempio, muratori, meccanici, gente che di sicuro non si occupava, o non si occupava ancora, né

di comunicazione, né di giornalismo, né tantomeno di musica o di tecnologia.

Bastava un’idea, un po’ di creatività, un po’ di passione e, sicuramente, un po’ di pazienza, per

mettere in moto la macchina “radio” e per costruirsi una propria immagine. Forse bisognava avere

anche un po’ di soldi da parte, anche se ne bastavano pochi, e un po’ di fortuna nel trovare il

necessario a buon prezzo, oltre ad un luogo disponibile per installare il tutto.

Iniziammo a prendere in considerazione l’idea anche da un punto di vista tecnico e grazie soprattutto a Fabio e Marco che frequentavano l’ITI, è sì, il termine è giusto, visti i risultati, lo frequentavano solamente…si fa per dire…potemmo avere anche fondamentali supporti tecnici.39 Da un punto di vista pratico usavamo le paghette, essendo tutti studenti la nostra disponibilità economica era minima, ma la fortuna era che gli investimenti da fare per creare una Radio, allora erano ben poca cosa; acquistammo un nuovo modulatore con VFO e al mercatino di Livorno, quello Americano, acquistammo un trabiccolo di trasmettitore valvolare da 20watt. Per intendersi era un reperto bellico della seconda guerra mondiale, che riadattato, faceva proprio al caso nostro. 40 “All’inizio disponevamo di un microfono Geloso, due giradischi Lenco, e un vecchio Revox. Il mixer, invece, lo acquistammo. Ricordo ancora il modello, un vecchio MA-62 a sei ingressi della Pioneer”. […] “Il trasmettitore lo avevamo messo in bagno, sul bidet. Scaldava molto e l’unico modo per raffreddarlo era fargli scorrere sotto l’acqua”. 41

Il costo di un impianto di trasmissione a norma e di buona qualità, ovvero di un trasmettitore

entro gli standard, con una potenza adeguata ed emissione stereo, si aggirava intorno ai 50 milioni

di lire, cifra che, sicuramente, la maggior parte dei ragazzi (di ieri come di oggi) che avevano in

mente di metter su una radio, non si poteva permettere. Spesso si utilizzavano elettroniche usate, a

volte di provenienza militare, riadattandole o limitandone la potenza: per questo bastava anche

partire con 5 milioni nelle tasche.

39 P. Lungh, Via Etere, p.37 40 P. Lunghi, Via Etere, p.42 41 R. Sorace, effe emme, p.37

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Nel caso delle rare radio che retribuivano i collaboratori, solitamente quelle più organizzate,

con veri professionisti della musica e della parola, l’esercizio poteva costare intorno dai 5, ai 10

milioni al mese. Ovviamente, la maggior parte delle radio libere si accontentavano di poco: un

garage, una casa, una camera d’albergo, la stanzetta offerta dalla parrocchia o la sezione del

partito.

I primi esperimenti iniziarono a casa di Robosito. Sul tetto di casa sua c’era un terrazzo adattissimo al nostro scopo e nel suo garage avevamo il banco da DJ del Days club. Con un palo di legno, un filo di rame giondoloni e un modulatore autocostruito con VFO da 100 milliwatt, iniziammo a fare le prime prove di trasmissione. […] Insonorizzammo la stanza con materiale apposito, anche qui si fa per dire. Il materiale apposito erano i famosi cartocci delle uova che incollati al soffitto e alle pareti, proprio per la particolare forma ed il tipo di materiale utilizzato per fabbricarli, quasi fonoassorbente, più o meno funzionavano da isolante acustico e insonorizzavano l’ambiente. Per trovarli, mi ricordo, facemmo il giro di tutti i pollai del circondario. […] Per quanto riguarda i mobili, furono tutti auto costruiti con pezzi riciclati de avanzi di famiglia rispolverando qualche soffitta. […] Quello che non poteva mancare, anche se in realtà non serviva a niente, ma aveva un grande fascino, era la luce rossa della messa in onda, avevamo costruito una bella ‘scatola’ con un pannello rosso in plexiglas […] la scritta On Air, era veramente straordinaria, sembravamo la Bbc, o…quasi! 42 Per aprire una radio libera, “ma libera veramente”, nel senso di “a portata di tutti, ma proprio

tutti”, bastava, dunque, un amplificatore, anche da pochi watt, un'antenna, un mixer, un

microfono, delle cuffie, un giradischi, un registratore a cassette o, eventualmente, a bobine, il

tutto a portata di tasca. Dopo di ciò, bisognava anche trovare una frequenza libera, che non fosse,

quindi, occupata da un'altra radio. La banda utilizza per le trasmissioni radiofoniche in Italia era

l’FM, da 88 a 108 MHz. L’aspetto tecnico è un elemento essenziale per la nascita e lo sviluppo

delle radio libere: senza questi strumenti accessibili, probabilmente, molti sarebbero rimasti solo

degli ascoltatori.

La strada venne aperta dalla cosiddetta banda cittadina, o Citizen Band, o, più semplicemente,

CB: ricetrasmettitori radio di bassa potenza, e bassa qualità, che avevano sostituito, o meglio,

integrato, il piccolo popolo dei radioamatori. Questi ultimi, esistevano da decenni ed erano gli

unici che potevano trasmettere via radio in modo privato. Era un’attività da appassionati,

42 P. Lunghi, Via Etere, p. 43-45

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impegnativa e onerosa, visto che si dovevano mettere in campo enormi antenne capaci di captare

segnali dai paesi più remoti: spesso gli utenti facevano a gara fra loro a chi riusciva a mettersi in

contatto con paesi come l'Argentina, l'isola di Pasqua, o magari a captare le trasmissioni degli

astronauti nello spazio. Non solo, ma i radioamatori erano anche rigidamente controllati e censiti

dalla Polizia Postale, che ne regolamentava le attività.

Siciliano d’origine, la sigaretta sempre pendente da un lato della bocca, parco di parole e spiegazioni, Zumbo aveva vissuto a lungo ad Asmara, in Eritrea, dove aveva maturato le sue conoscenze tecniche. Gli “I-3Zu-700” (per altro il suo codice da radioamatore) furono i ripetitori più diffusi ed affidabili a Roma agli albori del fenomeno. “Fu in qualche modo […] l’anello di congiunzione tra i radioamatori e l’FM. I suoi apparati avevano inoltre il pregio di contenere già filtri capaci di limitare le interferenze. I disturbi allora erano all’ordine del giorno e gli interventi di disattivazione ripetuti”.43

Con la banda cittadina la tecnologia diventava più accessibile e funzionale: le CB, inizialmente,

venivano trattate come radioamatori, quindi vigevano gli stessi limiti e gli stessi controlli. Poi, la

pressione dei produttori e degli utenti, tra i quali la maggior parte erano camionisti, fece saltare

questa regola: di lì, iniziarono a proliferare, occupando le frequenze e sovramodulando per farsi

sentire. Le autorità si accontentarono di veder salvaguardate le frequenze delle forze dell’ordine.

Il passo successivo, fu naturalmente passare dalla conversazione uno a uno, a quella uno a molti e

per farlo bastava munirsi di apparati riadattati.

“Si potevano utilizzare amplificatori a 144 MHz e baracchini a 27 MHz modificati e antenne di carro armato, le Big wheel” (grande ruota) che trasmettevano intorno ai 140 MHz. Tutto si poteva trovare a Porta Portese in una botteguccia, da Todaro, dalla quale ci rifornivamo in tanti”. 44 Per aprire una radio serviva, anche e soprattutto, avere un gruppo di amici, anche pochi,

disposti a coprire le ventiquattrore della giornata, o perlomeno la maggior parte di esse. Infatti, la

prima, importantissima, differenza tra la radio del monopolio Rai e le radio private e libere stava

nel fatto che, queste ultime, erano sempre disponibili, spesso anche la notte, e pronte a far

compagnia. La concorrenza non c’era nemmeno con la programmazione televisiva, visto che

43 R. Sorace, effe emme, p.42 44 R. Sorace, effe emme, p.44

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iniziava più o meno alle sei del pomeriggio: c’era il bisogno di un intrattenimento che occupasse

sia la prima parte della giornata, che le ore notturne. Non solo, ma se non si trasmetteva con

continuità, anche se per pochissimo tempo, si rischiava di veder invaso da un nuovo arrivato, il

proprio spazio nella banda cittadina. Tanto è vero che, dall’esplosione del fenomeno, in pochi

anni tutte le frequenze disponibili, soprattutto nelle grandi città, come Roma e Milano, vennero

occupate da decine di radio libere.

“Per un periodo arrivai a condurre quattro programmi al giorno. Cambiavo modalità, talvolta anche nome, ma dalle sette del mattino a mezzanotte erano davvero rare le pause che mi concedevo fuori dall’Hilton”.45 […] eravamo tutti studenti e ovviamente la disponibilità per stare in diretta era poca, spesso al mattino trasmetteva […] in nostro amico Fabrizio Bagni, in arte Sciabolino […] che da apprendista bisteccaio […], aveva la mattina libera, quindi era scontato che iniziasse lui la programmazione giornaliera, in tarda mattinata in qualche modo arrangiavamo e tra una forca a scuola e una presunta influenza, qualcuno era sempre in Radio. Nel pomeriggio nessun problema, anzi tutti erano disponibili a mettersi alla consolle.46 Al successo di una radio libera concorreva, prima ancora della simpatia dei conduttori, delle

notizie, della musica e dei programmi, la potenza e la pulizia del segnale: una radio che fosse, non

solo reperibile facilmente, ma anche senza problemi di ricezione, veniva ascoltata con più piacere,

evitando di far girare all’utente la manopola per trovarne un’altra dal suono più limpido.

Questo breve accenno sugli “attrezzi del mestiere”, serve a spiegare il perché di

quell'improvviso entusiasmo diffuso per il mezzo radio: innanzitutto perché mezzo di

comunicazione e di contatto con gli altri, perché da una casa, da un paesino, si poteva arrivare a

milioni di persone, poi, dopo una sana voglia di protagonismo, c’era, anche, il piacere di accedere

a un mezzo finora limitato ad un’elite, nella quale era difficile, in precedenza (come oggi), entrare

a farne parte. Era il piacere di cimentarsi, senza alcuno sforzo, studio e preparazione, nel mestiere

di giornalista, di dj, di tecnico o di conduttore, che ha affascinato tutti quei ragazzi, a prescindere

dal loro scopo, politico o di passare il tempo.

45 R. Sorace, effe emme, p.48 46 P. Lunghi, Via Etere, p. 50-51

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“[…] si lavorava con grande piacere, per appagare innanzitutto noi stessi, senza l’ansia del successo a tutti i costi, senza l’angoscia dell’Auditel o di altri meccanismi simili”.47 “Erano radio molto ingenue. […]s mostravano molto più disinvolte e fresche di gran parte della radio pubblica dell’epoca. […] dj’s più o meno improbabili. Molti di loro non avevano alcuna dimestichezza con l’informazione”. (Renzo Arbore)48

Anche gli ascoltatori vennero presto contagiati dal boom della radiofonia rinnovata.

“Chi ci ascoltava si divideva in due categorie: giovani entusiasti di poter finalmente sentire alla radio la musica vera, diversa da quella che trasmetteva Radio Rai, e un pubblico sorpreso e incredulo. Ricordo ancora una signora di una certa età che ci telefonò con spiazzante ingenuità e ci chiese: “Ma come fate ad entrare in casa mia?”.49 All’incredulità di alcuni faceva da contrappunto l’iniziale sottovalutazione dei media classici:

gli sfottò e le accuse di improvvisazione e di incapacità di riferire una notizia erano all’ordine del

giorno da parte dello staff Rai, che, tuttavia, pian piano assumeva la consapevolezza che qualcosa

stava cambiando in profondità. Tuttavia, l’immagine che le radio libere si costruirono attorno fu,

chi più, chi meno, un vero successo.

Il pubblico delle varie radio libere era numerosissimo: all’apparenza poteva sembrare che

colpissero solo la fascia giovanile, visto e considerato che da giovani erano gestite, invece

riuscirono a coinvolgere un target molto più ampio, comprese persone anche in su con l’età.

“Le radio hanno acquistato ognuna la propria personalità, in relazione al target al quale di indirizzavano […]”.50 Spesso la novità di ascoltare la voce del figlio o della figlia proveniente dai microfoni della

radio, riuniva intere famiglie, mamme, papà, nonni, zii, poi i vicini e, infine, l’intero quartiere o

paese.

[…] quindi immaginatevi, o ricordate se ci riuscite la pessima qualità del prodotto che andava in onda, ma la novità del mezzo, l’impegno e l’entusiasmo di noi ragazzi, che, nonostante la

47 R. Sorace, effe emme, p.49 48 R. Sorace, effe emme, p. 152 49 R. Sorace, effe emme, p.37 50 R. Sorace, effe emme, p. 153

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mancanza di esperienza e professionalità, mettevamo l’anima, era talmente dirompente che il successo dell’iniziativa fu per tutti straordinario.51 Non di rado, il pubblico, talmente era l’aria di casa che si respirava all’interno delle radio

libere, entrava direttamente in contatto con i dj, magari seguendo le trasmissioni in diretta dentro

gli”studi”: si creavano amicizie tra conduttori e ascoltatori, si creava un legame lontano da quel

distacco e da quella freddezza dei canali del monopolio, radiofonici e televisivi(anche oggi, tutto

questo contatto, non c’è poi molto), un legame anche continuo, con visite ripetute. A volte non si

trattava unicamente di visite, ma di vere e proprie partecipazioni alla conduzione: alcuni si

fermavano ad un saluto, altri iniziavano a far parte dello staff.

“Facevo il primo liceo ed ascoltavo assiduamente TeleRoma Cavo, la terza radio ‘sbocciata’ a Roma. Avevo stabilito uno stretto rapporto telefonico con una ragazza che conduceva un programma alla quale facevo continue richieste musicali. […]” Anna un giorno la invitarono in radio. “Non esitai, andai. Era il 29 dicembre ’75. La ragazza che conoscevo non c’era, ma trovai lì qualcuno che mi disse, testuale, il microfono è là, vai e dì du’ cazzate. E da allora non ho più smesso”.52 La comunicazione, da unidirezionale e ingessata, diventava, così, bidirezionale e dinamica, nel

vero senso della parola: non c’erano più, o meglio, non solo, ascoltatori passivi, inermi vicino alla

radio ad ascoltare un programma.

Il pomeriggio era tutto un via vai di ragazze! […] In quel periodo […] i locali notturni […] non esistevano, quindi visto che spesso e volentieri facevamo i notturni in Radio, tutti coloro che la notte erano in giro per lavoro passavano a trovarci. In certe ore la Radio diventava il distaccamento delle Guardie Giurate, Carabinieri, Polizia, con i quali avevamo creato un vero rapporto di amicizia.53 Non solo le visite e la partecipazione diretta negli studi, da parte degli ascoltatori, hanno

contribuito al successo delle radio libere. Il continuo rapporto circolare tra emittente e ricevente,

dj o conduttore, che dir si voglia, e ascoltatore, si stabilì anche grazie al telefono: un mezzo già

usato in altri programmi radiofonici di “mamma” Rai, ma mai quanto e come nelle radio libere.

Ma di questo, ne parlerò nel prossimo paragrafo.

51 P. Lunghi, Via Etere, p.47 52 R. Sorace, effe emme, p. 88 53 P. Lunghi, Via Etere, p. 58

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2.2) ‘Amo la radio perché arriva dalla gente’

Dediche, musica e pubblicità

Bisogna trasformare la radio da apparecchio di distribuzione in apparecchio di comunicazione. La radio potrebbe essere il più formidabile strumento di comunicazione che si possa immaginare per la vita sociale [...] se essa sapesse, non solo emettere, ma anche ricevere, non solo farsi udire dall’ascoltatore, ma farlo parlare, non isolarlo, ma metterlo in comunicazione con gli altri.54

Ho voluto iniziare questo paragrafo riportando le parole di un drammaturgo, poeta e regista

teatrale tedesco che, nonostante, con la radio, professionalmente parlando, non avesse molto a che

fare, si interessò intensamente alle sue potenzialità espressive: Bertold Brecht, scrivendo Teoria

delle radio nel 1931, vedeva questo mezzo particolarmente adatto ad un coinvolgimento

democratico e interattivo del pubblico, opponendosi, quindi, all’idea della radiofonia come

strumento di diffusione culturale dall’alto verso il basso.

Più o meno simile, la concezione del filosofo tedesco Walter Benjamin, che concretizzò la sua

idea di radio, da lui intesa come mezzo capace potenzialmente di realizzare nuove forme estetiche

e di acculturazione collettiva, tentando, con esperimenti sul campo, di sfruttarne tutte le capacità

espressive, attraverso la musica, i rumori e i giochi di voce: non solo, nel 1929, partecipò alla

realizzazione degli Hörmodelle, dei modelli di ascolto, trasmissioni sperimentali di breve durata,

dedicate a vari temi di vita sociale, ma scrisse, anche, alcuni radiodrammi, che consistevano

spesso in una sorta di drammi didattici, soprattutto riguardanti il divario tra una cultura alta e le

pratiche popolari.

Si tratta […] di comunicare soprattutto all’ascoltatore la certezza che il suo personale interesse ha un valore sostanziale per la materia oggetto d’esame, e che le sue domande, anche se non trovano modo di esprimersi ad alta voce al microfono, richiedono nuovi accertamenti scientifici.

54 Bertold Brecht, Teoria della radio, in B. Brecht, Scritti sulla letteratura e su l’arte, ed. Einaudi, 1973.

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Le due concordanti concezioni riguardo alla comunicazione radiofonica, qui sopra brevemente

accennate, propongono, come ho anticipato nel precedente paragrafo, una dimensione

bidirezionale, detta in termini economici, di domanda e di offerta continua, in cui non è più il

mass medium a controllare l’ascolto del pubblico o ad indirizzare le proprie scelte, i propri gusti

(come nel caso dei programmi del monopolio e, in maniera più forte e pressante, come nel caso

della propaganda radiofonica fascista e nazista), ma è il pubblico stesso a scegliere e ad

indirizzare il mezzo verso un certo tipo di programmazione e di linguaggio.

Quella che è sembrata per molto tempo un’utopia, si è verificata con l’avvento delle radio

libere. Una delle tante novità che, partendo da questa concezione di comunicazione, ha conferito

un successo enorme, era rappresentato dall’uso del telefono.

“ La radio, le radio, devono sempre più […] riuscire ad entrare in sintonia con il pubblico. […] Sintonia […] è una parola chiave, ricorrente. […] un’intesa, di una sintonia con i miei compagni di viaggio. […] se non c’è la sintonia non ci riesci a lavorare”.55 Veramente non fu proprio una “scoperta” delle radio libere: il primo programma basato sul

contatto diretto, o meglio, sul filo diretto con l’ascoltatore, si chiamava Chiamate Roma 3131.

Questo programma di tre ore iniziò il 7 gennaio del 1969, sul canale Rai Radio Uno: ai microfoni

c’era il geniale Gianni Boncompagni, insieme a Franco Moccagatta e Federica Taddei. Il successo

fu strepitoso e le chiamate numerose e continue: negli anni cambiò spesso nome, presentatori e

canale, ma la formula fortunata, fino ad un certo punto, rimase sempre la stessa. Durante il suo

secondo ciclo, la trasmissione, fino al 1974, fu presentata da Paolo Cavallina e da Luca Liguori.

Nel ‘75 il programma venne accantonato, soprattutto per il grave calo di ascolti dell’ultimo

periodo. Venne poi ripreso a distanza di anni, nel ’79, sul secondo canale, questa volta prendendo

il nome di Radiodue 3131, per poi (ma questo già negli anni ’80) crearsi uno spazio anche nelle

ore notturne, con Radiodue 3131 notte.

55 R. Sorace, effe emme, p. 156

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Febbraio Ore 10,30. Chiamate Roma 3131 da questo momento comincia la "dolorosa storia". Il presentatore Franco Moccagatta dà il via alle telefonate. Primo giorno, prima telefonata: ho un tumore al seno. Secondo e terzo giorno non si parla d’altro che di tumore al seno il presentatore esortò le ascoltatrici ad eseguire un’autopalpazione e a spiegarne la tecnica, io ascoltavo con un solo orecchio. Quarto giorno la stessa musica ed io ascoltavo. Ultimo giorno della settimana: “Andate subito sul letto e fate così …." Ad un certo momento fu come se parlasse con me.56 I temi trattati durante le conversazioni oscillavano dalla medicina, con indicazioni su come

prevenire una certa malattia, spesso grave, come testimoniato sopra, fino al come curare mal di

testa, mal di denti e simili, o alla condizione economica delle famiglie meno agiate, come arrivare

fino alla fine del mese: i toni erano seri, formali, la maggior parte delle volte, il programma

assumeva un andamento triste, anche strappalacrime. Di certo non era possibile telefonare e dire

“Dedico questa canzone al mio Gianni con tanto amore!”, o “Tanti auguri a Maria che compie gli

anni!”, e nemmeno telefonare per scambiare quattro battute con il conduttore o per contraddirlo

riguardo qualche argomento di politica, di attualità o di musica.

Un numero a disposizione degli spettatori c’era anche nei programmi “rivoluzionari” della Rai

della fine degli anni ’60, i già citati Bandiera Gialla e Per voi giovani, in cui, però, l’interattività

del pubblico predominava negli studi di registrazione, dal vivo, mentre il contatto telefonico era

molto marginale. La svolta, anche in questo campo, la diedero le radio libere. Magari non tutte,

ma di certo una parte consistente delle radio degli anni ’70 si è nutrita di fili diretti e, soprattutto,

di dediche, divenute ben presto un tratto caratteristico della loro programmazione.

Con le dediche le radio locali hanno, sin da subito, marcato la loro distanza dalla tradizione

radiofonica. Gli esempi furono, ancora una volta, quelli esteri di Radio Luxembourg e di Radio

Montecarlo, oltre a quelli più lontani delle radio commerciali statunitensi. Bastava un telefono per

raccogliere le dediche, un archivio di dischi all’altezza della situazione e una capacità, da parte

dello speaker di turno, di saper legare momenti di programmazione “normale” ai momenti di

“chiacchiera” a distanza.

56 Tratto da Associazione Salentina per la lotta contro il Cancro (www.qlmed.org/esperienza/storie/3131.html)

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Quello della dedica era solo uno dei motivi per chiamare gli studi radiofonici: spesso gli

ascoltatori alzavano la cornetta per partecipare ad una discussione e per dare il proprio consenso o

dissenso riguardo ad un certo argomento trattato, per partecipare ad un quiz, ad un gioco, oppure

per richiedere la trasmissione di un brano musicale in particolare. Ciò, indubbiamente non faceva

altro che dare grandi risultati a livello di fidelizzazione dell’ascolto: il pubblico telefonava anche

per dare un semplice saluto ai conduttori che, anche se non lo erano, a forza di sentirli venivano

considerati alla stregua di amici o familiari.

Nelle varie forme, l’ascoltatore partecipava attivamente e intensamente alla costruzione del

palinsesto della “sua” radio, contribuendo a conferire alla stessa un’identità, un’immagine,

sentendosi a sua volta protagonista e parte di una comunità.

“[…] cercavamo in tutti i modi di creare un ascolto, anche pensavamo importante…forse c’è stato anche! La prima volta, mi ricordo, che abbiamo provato a dare il numero di telefono…non so…ma chissà se qualcuno c’ascolta? …arrivarono una quantità di telefonate spaventosa!”57 Nelle radio lontane dalle grandi città, quelle dei paesini o quelle appartenenti a precisi quartieri,

i fili diretti erano ancora più particolari: oltre all’utilizzo di un linguaggio gergale e dialettale,

spesso le telefonate servivano a segnalare qualche problema, come la rottura di una fogna o la

mancata illuminazione dei lampioni della strada sotto casa, oppure per pubblicizzare l’apertura di

un nuovo bar in piazza o i dolci del fornaio dietro l’angolo.

Le telefonate fioccavano a vagoni, ascoltatori di tutte le età, dalla signora che faceva gli auguri, ai ragazzi che si scambiavano messaggi di ogni genere, le dediche per intendersi, forse gli attuali sms.58 Sinceramente ricordo di aver passato mesi e mesi a stretto contatto, radiofonicamente parlando, con persone di ogni età che al mattino venivano in Radio a portarci la colazione, per un’enorme dimostrazione d’affetto […] ci invitavano a cena […] “stasera ho a cena quello della Radio”.59

57 Francesco Verdinelli, Broadcastitalia, (http://it.youtube.com/watch?v=a3DLg-fj8C4) 58 P. Lunghi, Via Etere, p. 50 59 P. Lunghi, Via Etere, p. 57

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Anche i vari genitori, non capendo bene cosa stava succedendo, contribuivano in modo significativo alla satira… Ora di pranzo, in Radio squilla il telefono. “Pronto … Paolo?” “Sì …” “E’ lì Fabio?” “Sì … signora” “Allora digli che se entro 10 minuti non è in casa la minestra gliela rovescio in capo!”60 Uno degli effetti più evidenti che le radio locali hanno portato, così come dichiarava Umberto

Eco, è stato l’effetto accento: in altre parole, ascoltando una radio locale, si aveva l’impressione

di sentir parlare un nostro vicino, la persona "comune", con il suo accento dialettale, al contrario

di quanto accadeva sintonizzandosi sulla radio nazionale. Le radio riuscirono, in quegl’anni, a

modificare la quotidianità, il modo di confrontarsi all’interno di essa e i rapporti interpersonali. La

voce della radio affascinava e convinceva spesso in modo coinvolgente, lasciando spazio

all’immaginazione, supportata da canzoni adatte ai vari momenti. La voce della radio diveniva

una voce amica, familiare, che teneva compagnia, con la quale si poteva ridere, scherzare,

piangere, confidarsi e giocare.

La notte, poi, si stabiliva un legame magico tra la voce radiofonica e l’ascoltatore: la più

seguita delle “notturne” era la voce di una giovane Ilona Staller, poco più che ventenne,

ungherese di origine approdata in Italia per lavorare come fotomodella. Prima di diventare

un’icona sexy nelle pellicole e negli spettacoli hard, ammaliò con il suo show notturno gli

ascoltatori di Radio Luna. La sigla che apriva il programma, Voulez vous coucher avec moi,

contribuiva creare l’effetto sensuale e ad invitare, per lo più il pubblico maschile, all’ascolto: per

il resto Ilona, alias Cicciolina, conduceva sul filo dell’improvvisazione e della trasgressione.

“Cicciolini miei volete venire a letto con me? Sono la vostra Cicciolina Ilona Staller, dai… sono sempre io!”61

60 P. Lunghi, Via Etere, p. 61 61 R. Sorace, effe emme, p. 64

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Sotto gli studi di Radio Luna, si affollavano una marea di ragazzi, e non solo, nell’attesa di

strappare una foto o un autografo alla loro beniamina. Durante il programma si alternavano

parole, telefonate e lettere dai fan, il tutto condito da tanta musica.

Il palinsesto notturno aveva sempre molto successo. La notte già di per sé porta a palesare

situazioni e sentimenti: chi viveva la radio la notte, si trovava coinvolto in un mondo di fantasia,

dove prendevano forma i desideri più assurdi e dove si poteva trovare spazio per esternare le

frustrazioni accumulate durante il giorno. Nasceva un coinvolgimento a tutto campo, in cui lo

speaker di turno diveniva una sorta di confessore, di operatore sociale, una valvola di sfogo, colui

che nell’immaginario collettivo poteva, non dico risolvere, ma dare indicazioni, con le parole o

con la musica, per affrontare il giorno dopo in modo più sereno e grintoso.

Dediche e musica all’interno dei palinsesti delle radio libere andavano a braccetto: l’ascoltatore

richiedeva la sua canzone preferita o quella preferita dalla ragazza, dal ragazzo, dall’amico,

dall’amica o dal parente a cui si rivolgeva la dedica. La musica veniva scelta anche dal dj di

turno, secondo i suoi gusti musicali, oppure ispirato da un ricordo, da un tema trattato durante un

dibattito radiofonico o dalla telefonata direttamente precedente.

“La radio è il veicolo naturale della musica. […] Il ritmo è fondamentale per non perdere l’attenzione del pubblico”.62 Il successo della maggior parte delle radio libere era soprattutto, oltre al linguaggio, al rapporto

con il pubblico, alle battute, al palinsesto, eccetera, la musica trasmessa: qui trovavano finalmente

posto i brani censurati, oscurati e non trasmessi dalla commissione di ascolto della Rai. Tra gli

esempi più eclatanti del periodo c’era Fabrizio De Andrè con quasi tutto il canzoniere, che

incappava sistematicamente nelle maglie della commissione: Via del Campo, Bocca di rosa, gli

sberleffi all’ordine costituito de Il Gorilla , all’antimilitarismo della Guerra di Piero, alla satira

storica in Carlo Martello, al Cantico dei drogati. Solo le canzoni “meno dirette” venivano

trasmesse dai canali nazionali, come, per esempio, Fila la lana o La canzone dell’amore perduto.

62 R. Sorace, effe emme, p.155

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De Andrè era il cantautore “proibito”per eccellenza, ma, nella lista nera, a fargli compagnia ce

n’erano molti altri: c’era Nuda e Resta cu’mme di Domenico Modugno, il riadattamento in

italiano di Herbert Pagani, proposto da Gino Paoli, prima, e dalla Vanoni, dopo, della canzone

interpretata negli anni ’50 da Edith Piaf, Les amants d’un jour, che trattava un tema d’amore e

morte dal punto di vista di un cameriere di un albergo a ore, Dio mio no di Lucio Battisti, 4 marzo

1943 di Lucio Dalla, Dio è morto, composta da Francesco Guccini per i Nomadi. Per non parlare

di Piccolo grande amore di Baglioni, di Bella senz’anima di Cocciante, di Pensiero stupendo e di

Pazza idea di Patty Pravo, e di molte canzoni di Venditti e De Gregori.

Ma il brano che fece più scandalo fu quello proposto dal cantautore francese Serge Gainsbourg:

la famosissima, ancora oggi, Je t’aime, moi non plus, uscita nel ’69, si componeva di un

sottofondo musicale dolce e ipnotico, sul quale, due voci parlate e cantate, quella del cantautore e

quella della sua compagna, l’attrice, diventata famosa con il film Blow Up63 (simbolo, tra l’altro,

della “rivoluzione sessuale” del periodo), Jane Birkin, si scambiavano parole d’amore, simulando

un amplesso che non richiedeva la conoscenza della lingua per interpretarlo.

I prodotti inglesi e americani iniziarono a salire nelle classifiche italiane delle vendite, grazie

all’ascolto di Radio Montecarlo, Radio Louxembourg, e dei programmi della coppia Arbore –

Boncompagni. C’erano Bandiera Gialla e Per Voi Giovani, ma, tra il ’70 e il ’76, c’era anche Alto

Gradimento: anch’esso, sulla scia dei primi due, era un programma dichiaratamente poco serio,

dedicato al puro divertimento senza (quasi) limiti e vincoli, goliardico, e solo a tratti satirico.

Soprattutto, Alto Gradimento, è passato alla storia per aver introdotto gli annunci e il parlato sulla

musica: fino a quel momento i brani in radio venivano annunciati in anticipo ed erano trasmessi

per intero e ciò consentiva, ai numerosissimi possessori di registratori di musicassette, di

realizzare le proprie compilation su nastro.

63 Film del 1966, diretto da Michelangelo Antonioni, ispirato al breve racconto La bava del diavolo, di Julio

Cortàzar. Fece scandalo soprattutto per il primo nudo frontale della storia.

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Ben presto, però, le case discografiche, consce delle varie forme di registrazione e, quindi, di

evasione sui diritti di copia, iniziarono a richiedere ai conduttori delle trasmissioni radiofoniche

italiane, come già si usava fare in quelle statunitensi, di interrompere le canzoni all’inizio o alla

fine, “sporcando” così le registrazioni pirata. Alto Gradimento fu il primo a sperimentare questo

sistema, funzionale, inoltre, ad un programma che non voleva essere solo musicale. Al contrario,

le radio libere, spesso, evitarono l’interruzione dei brani in onda: il loro compito era diffondere la

musica proibita o ancora sconosciuta, la loro era una ricerca.

La musica era il nuovo linguaggio, la musica era un nuovo messaggio, e, come tale, doveva

essere emesso nella sua interezza. La musica è stato il supporto fondamentale per aprire nuove

frontiere, un veicolo che ha inciso sullo sviluppo delle idee dei giovani: è stata, ed è ancora, uno

dei momenti salienti della radio, la quale si proponeva come amplificatore, come cassa di

risonanza per diffondere quel messaggio.

[…] il palinsesto, soprattutto, la ‘play - list’ era sviluppata abbracciando più generi musicali possibili, dal Jazz al Blues, dal Funky di George Benson e Gloria Gaynor, che era il genere trainante, al Rock sperimentale dei Pink Floyd e Genesis, al Rock più duro dei Deep Purple e dei Led Zeppelin, non mancavano certo indicazioni a progetti sperimentali tipo Gino Vannelli, che fu scoperto proprio grazie alle Radio libere, spesso era proprio una gara, potremmo dire proficua per la Radio, per individuare in anticipo i pezzi da proporre e che avrebbero avuto successo, cercando tra i solchi dei 33 giri o tra gli scaffali di quei pochi negozianti che importavano dall’estero […]. Le Radio sono state per certi versi, la fortuna di gruppi come i KC & Sunshine Band, gli Eart Wind & Fire, gli ELO, i loro ‘pezzi’ e parte di questi sono stati utilizzati come sigla o come sottofondo da quasi la totalità delle emittenti; erano brani che sembravano studiati appositamente per quello scopo, quindi venivano programmati decine di volte durante la giornata.64 Negli anni ’70 la rivoluzione musicale si consumò proprio all’interno delle radio libere in

Italia, o almeno, in gran parte di esse.

“Da una parte c’era la musica da ascoltare tutti insieme, dall’altra c’era quella da sentire per conto proprio. […] Le suggestioni raccolte grazie all’ascolto di quella musica fornirono l’impulso di intraprendere un’indagine più personale, spingendoci ad allargare la nostra conoscenza e ad aprire i nostri cuori. Ciascuno di noi cercò a modo suo di essere libero. […] l’impatto con quei suoni procurava la via d’accesso ad una dimensione del tutto nuova. […] La musica ci spinse innanzitutto a leggere”.65

64 P. Lunghi, Via Etere, p. 89 65 R. Sorace, effe emme, p. 100

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La passione per la musica alimentava e venne alimentata dalle radio private. L’identificazione

con i più famosi gruppi rock del momento, il gruppo immaginato come il mondo dell’infanzia,

dove tutti potevano vivere l’esperienza della gang, come una liberazione dalla famiglia e come

dimostrazione di autosufficienza: tutto ciò serviva, per quanto potesse apparire effimero, a far

sopravvivere le proprie ispirazioni, contando molto all’interno del processo di formazione delle

prime redazioni radiofoniche. La passione per la musica “era un altro modo di esplorare la

propria immaginazione. La musica e le parole, le parole e la musica, in un rapporto circolare

che pian piano prendeva le forme di un racconto melodico”.66

In quel periodo gli artisti del nuovo rock, mettendo insieme ogni via d’espressione, adoperando

la musica e la parola, il gesto e l’immagine, fondendo l’idea stessa di suono con tutte le discipline

della comunicazione, non impegnarono solo gli appassionati a una nuova forma d’ascolto, ma

obbligarono anche il giornalismo di settore a rivedere le proprie regole e le proprie miopie,

abbracciando una nuova volontà di impegno critico. Per dirla con i Clash, la London Calling,

aveva stravolto la comunicazione italiana.

Constatammo che per la prima volta esisteva un modo di pensare che cercava delle risposte, anche solo estemporanee, altrimenti impossibili da trovare. Fu l’esplosione di una passione interiore, di un dolore: quello di crescere in una società che non si esprimeva affatto su ciò che la riguardava maggiormente. […] E questo ha avuto un incredibile, immediato effetto ribelle. […] Questa illuminazione toccò sensibilmente chi era un ragazzo in quegli anni, suscitando una voglia di opporre resistenza o persino di attaccare; una voglia presente nella nostra generazione che l’ha aiutata ad esprimersi. Quella rivoluzione ci colpì per il suo linguaggio. […] Il viaggio fisico della musica degli anni ’70 è diventata un viaggio mentale, una ricerca sulle contraddizioni nei concetti di moralità, di bene e di male di verità e di ipocrisia. […] Alla fine degli anni ’70 infatti avvenne l’irruzione della cultura irridente e beffarda che modificò i canali di comunicazione della società. […]67 La canzone filtrata dalla radio e, soprattutto, dalla radio libera, rappresentava un fatto di

costume con un’enorme incidenza sociale, un’esperienza in cui i ragazzi riconoscevano le loro

insofferenze e i loro sogni in una sorta di rito collettivo e unificante.

66 R. Sorace, effe emme, p. 102 67 R. Sorace, effe emme, p. 106-108

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Se da un lato le radio libere boicottarono molti degli atteggiamenti dei programmi della rete

nazionale, dall’altro, come ho già affermato in precedenza, sfruttarono molto l’esempio dei

programmi ‘rivoluzionari’ della Rai. Alto Gradimento fu, ancora una volta, maestro nell’inventare

e improvvisare inserti, jingle e pubblicità finte di prodotti finti.

“[…] un modello quest’ultimo, per altre cose che arrivarono dopo. Nobilitammo il ‘cazzeggio’, aprendo la strada a molti altri che si affermarono dopo anche nelle radio private”. (Renzo Arbore)68 Arbore e Boncompagni, per coprire la programmazione piuttosto ampia ed impegnativa, di ben

sei ore settimanali, ricorrevano, oltre ovviamente alla musica, ai dibattiti e alle marginali

conversazioni telefoniche con il pubblico, anche ad inserti tratti da registrazioni, opportunamente

tagliate, talvolta modificate nel suono, di personaggi celebri, a siparietti recitati, che venivano poi

riproposti a mo’ di tormentone in vari punti della trasmissione e per più puntate di seguito. Si

trattava di jingle, di brevi canzoni satiriche e parodiche e di pubblicità nonsense inventate e

piuttosto scontate.

La quasi totale improvvisazione nelle radio libere permise un “revival” di queste “idiozie”

radiofoniche: si creavano pubblicità completamente inventate e inesistenti, ma erano anche molti i

momenti, all’interno dei palinsesti, in cui si prendevano spot esistenti, veri e propri e si

modificavano con vena ironica e in maniera meno scontata.

Molte delle radio libere, almeno inizialmente, a parte la parodia di pubblicità esistenti, la

creazione di pubblicità divertenti e le battute riguardo, per fare un esempio, “il profumo del pane

proveniente dal forno dietro l’angolo”, non trasmettevano vere e proprie pubblicità. Diciamo che

in questo periodo la pubblicità subì un forte cambiamento: il caro vecchio Carosello televisivo,

con il suo Calimero e la sua Carmencita, andò in pensione ufficialmente nel ’77 e la Rai passò al

sistema degli spot pubblicitari odierni. Si trattava di un messaggio preregistrato e ripetuto più

volte, anche nella stessa giornata. Nei canali nazionali, radiofonici e televisivi, non era più il

68 R. Sorace, effe emme, p. 152

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presentatore o la valletta che indicava il nome dello sponsor, come faceva Corrado alla radio con

il “Piatto d'argento Palmolive”, offerto ai concorrenti del programma Rosso e Nero, ma un breve

inciso, studiato nei minimi particolari da professionisti. Molte delle radio libere evitarono di farsi

coinvolgere da quel modello di vita consumistico, proposto dalla pubblicità, altre si affidarono ad

alcune piccole imprese locali: siamo ancora lontani dal fenomeno della radio commerciale,

iniziato con gli anni ’80.

Ben presto, infatti, qualcuno, pensando alla radio come un mezzo dalle grandi potenzialità

commerciali, iniziò a contattare i vari staff delle radio locali al fine di pubblicizzare i propri

prodotti.

Fui contattato quasi contemporaneamente da varie aziende: il parrucchiere Luciano Santini che aveva più di un negozio, Robucci, proprietario di una pellicceria che dopo poco chiamò Tiger Fur, Renzo Maltini, proprietario della Maltini Lampadari e Ficini della storica oreficeria di Via Giuseppe de Papa. […] questo fatto ci mise nelle condizioni di dover, nostro malgrado, vedere quella straordinaria esperienza di vita da un lato più imprenditoriale, e considerando che nessuno di noi aveva mai affrontato rapporti commerciali, cercammo di organizzarci anche da questo lato, da qui nasce anche la Radio commerciale. Questo ha sancito la nascita di un nuovo settore e di una nuova figura professionale, tutt’oggi non del tutto ben definita ed inquadrata: il pubblicitario. […] un’attività moderna al passo con i tempi, una professione integrata nei processi di globalizzazione. […] “ecco quello della reclame” …per chi ha memoria corta questo era il termine arcaico e dialettale per definire il pubblicitario.69 Questa potenzialità del mezzo radiofonico la colsero per primi i gestori di locali da ballo

(iniziavano le loro trasformazioni in “discoteche”), proprio perché, essendo le radio libere fatte e

seguite per la maggior parte da ragazzi, le loro pubblicità sarebbero di sicuro andate a buon fine.

Tra l’altro, c’erano anche forti vantaggi per gli stessi staff delle radio locali: per prima cosa, la

visibilità per questi ragazzi da parte dei loro ascoltatori, poi, la possibilità di avere finanziamenti

per “mandare avanti la baracca”.

Posso dire che in quel momento, visto che sotto sotto il progetto Radio doveva servire a questo scopo, toccammo il cielo con un dito: ci accordammo senza nessun problema, con i vari locali, anche in considerazione del fatto che ci offrirono interessanti compensi economici, quindi come si dice prendemmo due picconi (anche tre) con una fava. Fabio ed io entrammo in pianta stabile

69 P. Lunghi, Via Etere, p. 66

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come Dj al PG93, Roberto alla Nuova Era, Sandro al Ragno club […] ci accordammo con tutti i locali del comprensorio.70 Tuttavia, a parte questi casi, per quanto riguarda gli altri produttori, l’idea di pubblicizzarsi

all’interno degli spazi delle radio locali stentò a decollare: non andava tanto spiegato il concetto

di pubblicità in radio, quanto, soprattutto, andava spiegato il concetto di radio libera locale come

nuovo veicolo di pubblicità.

[…] è capitato molto spesso che quando iniziavamo le visite a tappeto nei negozi per la vendita di spazi in Radio, spesso il dialogo che nasceva tra noi ed il negoziante era il seguente: “Buongiorno, sono della Radio… le ho portato un’offerta per la pubblicità sulla nostra Radio”. Il negoziante convinto e deciso rispondeva: “La Radiooooo? Sì, sì, ne abbiamo due in casa, ne ha una anche mio figlio, gliel’abbiamo regalata per il suo compleanno, grazie, grazie, già l’abbiamo!”71

Inoltre, non tutte le radio libere ebbero l’idea di stabilire queste “partnership” in piccolo:

ancora oggi esistono molte realtà radiofoniche “libere” che, nate in quel ’76, o poco dopo,

continuano a trasmettere autofinanziandosi, senza alcuno spazio dedicato alla pubblicità.

70 P. Lunghi, Via Etere, p. 67 71 P. Lunghi, Via Etere, p. 66

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2.3) Informazioni contro corrente

Un’antenna per conoscere

“Don’t hate the media. Become the media!”72

Tra le radio libere fiorite in quel periodo, alcune si distinsero per un forte impegno politico:

impegno che, come ho detto nel capitolo precedente, fu la ragione della creazione, nel lontano

’70, della prima radio libera in Italia, Radio Sicilia Libera.

"Radio libera / piacciono i fichi dimezzati al sole / lucidi a condensare il proprio umore / fin che non giunge il nero brulicare / delle avide mosche e dei mosconi".73 La radio nasceva come strumento politico e di informazione nel senso più ampio e nobile del

termine: diveniva spazio di comunicazione sociale. In un territorio segnato dalla violenza

mafiosa, dal malgoverno e dalla distruzione del terremoto, la radio sarebbe servita come una cura

per rivitalizzarlo. Questa era l’idea del fondatore di Radio Sicilia Libera, Danilo Dolci: l'utilizzo

delle tecnologie si adattava perfettamente alla sua filosofia di vita, una nonviolenza attiva, basata

su quel satyagraha gandhiano, ovvero, sulla forza della verità, sull’adesione al vero.

Una voce da Partinico per illustrare i problemi dei terremotati. . . . Due collaboratori di Danilo Dolci, Franco Alasia e Pino Lombardo, si sono chiusi nei locali del "Centro studi ed iniziative"; hanno una radio di notevole potenza con la quale trasmettono notizie e documentari fonici sulle condizioni dei terremotati sulla lunghezza di 20.10 megacicli (onde corte) ed a modulazione di frequenza. L’emittente può essere udita su tutto il territorio italiano e da molte località all’estero; a quanto hanno annunciato, la possono captare anche negli Stati Uniti. È questa la nuova forma di protesta escogitata per presentare all’opinione pubblica le condizioni delle genti delle valli del Belice, del Carboi e dello Jato dopo il tragico terremoto del 15 gennaio 1968 e dopo che sono passati inutilmente due anni senza l’avvio della promessa ricostruzione.74 Dal terrazzino di palazzo Scalia, la prima antenna libera lanciò nell'etere un grido di denuncia,

intervallato da segnali di sos in alfabeto Morse, realizzati con un flauto.

72 Jello Biafra, Address to the US Green Party, Wikiquote. 73 Danilo Dolci, Poema per la radio dei poveri cristi, da Il Limone Lunare, Laterza, Bari, 1970. 74 Dal Giornale di Sicilia, 26 marzo, 1970

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"I giornali scrivevano che erano tutti criminali.[…] Lo Stato invece d'aiutare l'isola a crescere economicamente mandava l'esercito. Io ho scelto un altro approccio: mi sono messo a lavorare con loro, a parlare, a fare domande per capire un mondo che nessuno si sforzava d'ascoltare".75 La comunicazione è reciproco adattamento creativo: ancora una volta la radio veniva vista

come uno scambio, come una possibilità di espressione per chi, fino ad allora, non aveva mai

avuto diritto di parola, relegato a soggetto passivo di un flusso di trasmissioni unidirezionale,

proveniente dall'informazione ufficiale, che spesso e volentieri, tralasciava la realtà dei soprusi

dei mafiosi nel Meridione.

“Il diritto alla comunicazione, alla libertà di espressione, all'informazione, non vi è dubbio sia determinante allo sviluppo di una società democratica: deve essere garantito attraverso […] il progresso scientifico e tecnologico […]".76 Si intendeva così una comunicazione creativa e non solo finalizzata al semplice scambio di

notizie o alla semplice denuncia dei problemi: la comunicazione per essere produttiva e utile

doveva innescare processi di cambiamento e di creazione di alternative, attraverso l’apertura di

nuovi percorsi per l'uomo e per la storia, affidandosi all’articolo 21 e all’articolo 24 della

Costituzione della Repubblica Italiana.

Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.77 Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.78

L’azione di rottura di Radio Sicilia Libera, nonostante sia stata chiusa per sempre da

un’irruzione delle forze dell’ordine, dopo solo 27 ore dall’apertura dei suoi microfoni, non fece

altro che alimentare la cultura dei media e le tendenze sociali degli anni successivi, trasmettendo a

tanti altri giovani l’idea di un sistema radiofonico come canale di aggregazione, di partecipazione

diretta, di comunicazione che riesce a smuovere il pensiero della collettività, con l’uso di un’unica

arma, la parola, e ad agire direttamente sul territorio e sul tessuto sociale.

75 Danilo Dolci, ://danilo1970.interfree.it. 76 Danilo Dolci, http://danilo1970.interfree.it. 77 Articolo n°21, Costituzione della Repubblica Italiana, I quattro codici 2003, Hoepli. 78 Articolo n°24, Costituzione della Repubblica Italiana, I quattro codici 2003, Hoepli.

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Questa esperienza di lotta contro la mafia, fu portata avanti, sei anni più tardi, da un altro

siciliano, Peppino Impastato, che, in un periodo di maggiore libertà dell’etere (non certo di libertà

di informazione) fondò la sua Radio Aut.

Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!79 Tutto partì dall’organizzazione, da parte dello stesso Peppino, del circolo Musica e Cultura,

principale riferimento per i giovani di Cinisi e Terrasini: al suo interno venne sviluppata l’idea di

una nuova generazione capace, attraverso l’arte e la parola, di smuovere una popolazione

silenziosa, impaurita e legata ad una tradizione forzata, fatta di povertà e terrore nei confronti dei

“padroni”.

La denuncia si fece rappresentazione, nel ’75, con l’adesione al circolo di una ventina di

giovani teatranti, con forti resistenze e remore verso ciò che proveniva da sinistra, riuniti in un

salone del vecchio e abbandonato Palazzo D’Aumale. Si trattava del gruppo OM che portò in

scena l’immagine cruda della condizione sottoproletaria nei quartieri palermitani malfamati, con

la commedia Il pozzo dei pazzi, ospitando anche la Comuna Baires, una comunità argentina di

teatro indipendente, oltre alla ripresa di drammaturghi rivoluzionari, come il Bertold Brecht di

Die Ausnahme und die Regel, ovvero de L’eccezione e la regola.

L’esperienza di Musica e Cultura rimase sovrastrutturale, anche se legata al bisogno di

comunicazione e contatto sociale, in opposizione da quello ipocrita e gretto della società mafiosa.

Peppino era un politico nel vero senso della parola: un uomo che aveva un’ideologia in cui

credere e per la quale lottare, che non aspettava le iniziative che venivano dall’esterno, che ne

inventava di proprie, anche attraverso un coerente comportamento personale, non incline a

compromessi, ma teso verso un rapporto umano di simpatia, di scambio o di scontro.

79 Peppino Impastato, interpretato da Luigi Locascio, I cento passi, di Marco Tullio Giordana, 2000.

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“Ma vuatri chi ci aviti a fari cu tutti sti cosi?” – “Come che ci dobbiamo fare? Una radio no? Palermo e provincia!” – “See! E le isole Eolie! Ma unni ami arrivari cu sti ferri vecchi?” – “E che ci vuole, oggi giorno basta un registratore e un antennino pi farici a radio, ce ne saranno già mille in tutta Italia! A me basta che ci sentono a Cinisi” – “See! Quannu c'è vientu!” – “Se, quannu tira vientu, quando c'è sole, quando c'è pioggia, quando non mi danno un permesso per fare un comizio, quando mi sequestrano il materiale, l'aria non ce la possono sequestrare".80 Da questo pensiero nacque Radio Aut: venne impiantata a Terrasini per avere una migliore

diffusione e per cercare il collegamento con altre fasce giovanili. Infatti, Peppino accettò qualsiasi

collaborazione, al fine di non rischiare l’isolamento: oltre a quella con il gruppo OM, si aggiunse,

allo staff radiofonico, il Collettivo Femminista, che, partendo da testi come Il secondo sesso di

Simone de Beuvoir e dalla rivoluzione “del sesso debole” che stava dilagando già da qualche

anno nel mondo occidentale, capitalista e patriarcale, si facevano portatrici di una denuncia al

fallologocentrismo e al ruolo della donna nel Sud e nella società mafiosa. Nonostante ciò, il

nucleo centrale della redazione era composto da compagni di Democrazia Proletaria, di cui

Peppino faceva parte.

Per principio Radio Aut, richiamo sia all’Autonomia Operaia di Scalzone che al problema

esistenziale della scelta, dell’aut-aut, non trasmetteva né dediche, né pubblicità: si puntava solo su

un certo tipo di musica “qualificata”, come il jazz, la classica e qualcosa di pop e rock, oltre che

su trasmissioni informative o, per meglio dire contro - informative. Coloro che nell’ambito del

circolo di Musica e Cultura avevano visto nella musica uno straordinario potere comunicativo,

continuarono a collaborare mettendo a disposizione dischi e materiale vario.

Radio Aut nacque insieme alla sua trasmissione principale, Onda pazza81, in onda tutti i

venerdì sera, e in replica la domenica mattina: una “trasmissione satirico-schizzo-politica”,

momento di più diretto contatto con i problemi della realtà locale, gonfiati ad arte e proiettati in

una realtà al limite dell’assurdo. Cinisi era Mafiopoli, Corso Umberto I era Corso Luciano Liggio,

il Municipio era il Maficipio, il sindaco Gero di Stefano era Geronimo e Tano Badalmenti, il boss,

80 Dal film I cento passi, di M. T. Giordana, 2000. 81 Oltre a Onda Pazza, altre trasmissioni successive come La Cretina Commedia, La Festa della Ricotta, C’era una

volta e Western a Mafiopoli, riempirono il palinsesto di Radio Aut.

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era Tano Seduto. Il perbenismo paesano spesso mostrava di sconvolgersi rispetto alle parolacce e

all’impertinenza con la quale “le persone rispettabili”, temute o stimate, erano ridotte ad oggetto

di pubblico sfottimento.

Con la satira e l’improvvisazione, lo scopo di Peppino era quello di denunciare, senza mezze

misure, tutti i piani di utilizzazione dell’amministrazione pubblica a fini personali. Fare Onda

Pazza era come partecipare ad un’abbuffata collettiva, dove ognuno portava qualcosa, uno

strumento, una frase un verso, un disco, una voce, intromettendosi con interventi imprevedibili.

Le radio libere, o almeno quelle che nascevano con scopi politici, di denuncia sociale,

economica, o, ancora, quelle che offrivano uno spazio di solidarietà e di sensibilizzazione delle

masse, all’interno del loro palinsesto, adottarono ben presto una comunicazione che si proponeva

lo scopo di contro informare: diffondere, cioè, informazioni taciute, o riportate in modi

significativamente diversi, spesso “tagliate” dalla rete nazionale e dalla stampa, implicando il

fatto che esse fossero asservite ad interessi politici o economici e, quindi, non in grado di

rappresentare oggettivamente la realtà. La prima denuncia era quella nei confronti delle censure e

dei limiti alla libertà d’informazione: si voleva, attraverso il mass medium radiofonico, “contro”

informare la “dis” informazione che gli altri mass media proponevano. Le radio libere non erano

altro che il tentativo di contrastare, attraverso la controcultura, “una società ammorbata

dall’ideologia dello spettacolo, parlante solo per bocca degli slogan pubblicitari del pensiero

unico ed esprimere soltanto i desideri indotti dal consumo della merce […]”.82

L’anno delle radio di movimento fu il 1977: anno del “Movimento”, in cui l’ala dei cosiddetti

“creativi” e l’Autonomia Operaia consumavano la rottura definitiva col PCI, contestando

duramente la politica del compromesso storico e il suo abbandono dell’opposizione di classe al

potere borghese. La cacciata di Lama, segretario della CGIL, dall’Università La Sapienza di

Roma, sancì l’inizio degli scontri. L’11 marzo, a Bologna, lo studente Francesco Lorusso,

82 Helena Velena, Culture Contro, ed. Malatempora, Roma, 2001.

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militante di Lotta Continua, veniva ucciso (probabilmente da un carabiniere), durante le cariche

per disperdere un gruppo di autonomi che avevano organizzato la contestazione dell’assemblea di

Comunione e Liberazione, che si sarebbe tenuta quella mattina. Subito, iniziarono a scatenarsi

forti manifestazioni di protesta, con l’occupazione delle università di Bologna e Roma, represse

dai mezzi blindati inviati dal ministro degli interni Francesco Cossiga. Con l’uccisione di Moro

nel ’78, Autonomia Operaia fu sciolta per via della carcerazione di molti suoi leader e per la

politica repressiva del governo.

Il Movimento del ’77 e le radio libere della militanza dura e pura, protagoniste dello scontro in

atto tra Stato ed autonomi, si inserivano in quelli che, in seguito, furono chiamati “anni di

piombo”: anni in cui l’insoddisfazione per una situazione politico-istituzionale fragile e caotica, si

erano tradotti in violenza di piazza e, poi, in lotta armata perpetrata da gruppi organizzati, che

usavano l’arma del terrorismo, nell’obiettivo di creare le condizioni per influenzare o sovvertire

gli assetti istituzionali e politici del paese. Molti neomilitanti iniziarono ad aggregarsi intorno ad

emittenti come Radio Sherwood di Padova, Radio Popolare di Milano, Controradio di Firenze e

Radio Alice di Bologna, solo per citarne alcune.

Alice era il diavolo, l’assalto totale allo stato dell’oppressione, il nostro sorriso, il nostro corpo sempre più libero, capace di amare.83 Mi soffermerò su Radio Alice: il caso più eclatante e più famoso di quegli anni. I microfoni

vennero accesi il 9 febbraio del ’76, in un appartamento a via del Pratello, sulla frequenza 100.6

MHz, da parte di un gruppo dell’ala creativa del movimento studentesco, hacker, pirati della

tecnologia, dadaisti libertari o maodadaisti, come si autodefinivano, fondatori, anche, della

rivista underground, in formato tabloid, A/traverso: era un esperimento unico nel suo genere, che

cambiò il modo di fare comunicazione, non soltanto in Italia. L’uso della diretta telefonica, che

come ho descritto nel paragrafo precedente, è diventato un cult della stragrande maggioranza

delle radio libere italiane, questa volta si faceva continuo e incondizionato, riempiendo tutto il

83 Collettivo A/traverso, Alice è il diavolo. Storia di una radio sovversiva, ed. Shake.

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tempo dell’emissione. Non avendo una vera e propria redazione, né, tantomeno, un palinsesto

organizzato, come per le altre radio libere, si intendeva, piuttosto, dar voce a chiunque volesse

intervenire su qualsiasi argomento, anche al di là della cronaca e dell’analisi politica, come ricette

culinarie, libri, musica, lezioni di yoga, liste della spesa o favole della buonanotte. Lavorare con

lentezza, del cantautore pugliese Enzo del Re, apriva e chiudeva le trasmissioni, durante le quali

erano i Jefferson Airplane, i Fugs e Beethoven a fare da padroni.

“Il lavoro ti fa male / E ti manda All'ospedale / Lavorare con lentezza / senza fare alcuno sforzo / La salute non ha prezzo”.84 La definizione di controcultura veniva rifiutata dal collettivo: piuttosto, si sosteneva l’idea di

una nuova comunicazione basata sull’ironia e la leggerezza, in cui una follia visionaria si univa ad

istanze poetico-libertarie. Con la nuova comunicazione si intendeva concretizzare il principale

obiettivo di Radio Alice: sabotare la produttività. La breve storia di questa radio terminò il 12

marzo 1977, con l'accusa di avere diretto via etere i violenti scontri, all'indomani dell'uccisione di

Lorusso. Molti dei componenti del gruppo radiofonico finirono in carcere, altri, invece, come il

filosofo e scrittore, anima del ’68 bolognese, Franco “Bifo” Berardi, dovettero fuggire da

Bologna: l’accusa era “istigazione all’odio di classe a mezzo radio”.

La comunicazione politica diffusa e la controinformazione, nel senso spiegato sopra, furono

l’obiettivo di molte delle radio libere: soprattutto Radio Radicale85, nata il 26 febbraio del ’76,

rese, in termini di servizio ai cittadini, quanto veniva elargito dal finanziamento pubblico, ovvero

dal Partito Radicale86, utilizzando il mezzo radiofonico per trasmettere sulle proprie frequenze il

segnale di radio-aula diffuso all’interno della Camera dei deputati e, in seguito, quella del Senato.

84 Dal brano Lavorare con lentezza, Enzo del Re, composto nel 1974. 85 “Sarebbe meglio parlare di Radio Radicali, ovvero di una serie di realtà indipendenti che sorgono in varie zone

del paese. Ma è certamente a Roma che prende corpo la creatura che ancora oggi conosciamo”. Massimo Bordin, da

R. Sorace, effe emme, p. 129. 86 Adesso è finanziata dalla Lista Pannella.

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Riportando in versione integrale molte sedute, l’informazione parlamentare87, che, sino a quel

momento, era stata esclusivo patrimonio di un’élite ristrettissima, diveniva pubblica.

Tutto veniva fatto in maniera molto artigianale: una cornetta del telefono posta vicino al monitor audio che nella sede del gruppo parlamentare diffondeva i lavori in aula ed il gioco era fatto. La cosa all’inizio non era gradita ai Presidenti delle Camere. Si ricordano dichiarazioni nelle quali ci si domandava se fosse giusto consentire ai cittadini di ascoltare quanto avveniva nelle aule del Parlamento. Una grande attenzione all’attività delle Istituzioni, ma nel 1977 anche alle vicende dei movimenti studenteschi.88

Pubblici divenivano, anche, i processi di formazione delle sentenze nelle aule dei tribunali e,

con la rubrica settimanale Radio Carcere, in contatto con i detenuti, la vita nelle carceri italiane.

A destra non era minore il bisogno di comunicare: rappresentando un altro punto di vista da cui

guardare quegli anni di piombo, Radio Alternativa nasceva da un gruppo, appartenente al Fronte

di Gioventù Popolare missino, “Dalla rabbia per sentirsi ai margini della politica e della società,

ma anche un po’ dal caso […]”. Le trasmissioni erano principalmente incentrate su una rassegna

stampa continua e una lettura attenta e approfondita, per sfatare apertamente, anche se con una

certa faziosità, come del resto accadeva a sinistra, le falsità di molte notizie.

Devo dire che allora la politica era migliore di oggi. L’importante era impegnarsi per cercare di migliorare le cose, a prescindere da quale incarico si ricopriva. 89 Le emittenti libere usarono il potenziale della radiodiffusione anche per iniziative di solidarietà:

la radio e il telefono, insieme, avrebbero potuto aiutare concretamente chiunque ne avesse il

bisogno. Fu il caso di Radio Empoli, che nei primi anni ’80 iniziò a dedicare uno spazio,

all’interno del suo palinsesto, al programma Un’antenna per la vita, “in pratica un’anticipazione

del progetto Telethon, ideato molti anni più tardi”. Si trattò di “una settimana di trasmissioni in

diretta, per 24 ore su 24, al fine di raccogliere fondi per l’associazione per la lotta contro i

87 Nel 1990 la legge n. 223, conosciuta come legge Mammì, dal nome dell’allora ministro delle poste e delle

telecomunicazioni, Oscar Mammì, prima legge organica di sistema che l’ordinamento italiano abbia avuto in materia

radio-televisiva, attribuì alla sola Rai il compito di trasmettere le sedute parlamentari. 88 R. Sorace, effe emme, p. 130. 89 R.Sorace, effe emme, p.142.

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tumori […]” 90: un incontro tra medici, pazienti e ascoltatori, ovvero, tra coloro i quali vivevano

direttamente, ogni giorno, questa malattia e chi non l’aveva mai vissuta o solo indirettamente.

Riuscimmo a far capire le difficoltà di chi affronta malattie gravi, dialogando in diretta con chi il problema lo vive sulla propria pelle o sulla pelle di un familiare, a far riflettere sul fatto che non siamo così lontani, che ci può e ci deve essere uno scambio di esperienze e di aiuti, affrontare insieme la tragedia e favorire la ricerca, ma anche per mettersi in discussione e non temere delle tragedie che a volte, forse troppo spesso, la vita ci porta ad affrontate e capire che non tocca sempre al vicino, che siamo tutti sul fronte e non è possibile stare in trincea. Nel paragrafo precedente, ho accennato al programma, in onda dal ’69 al ’74, sul primo canale

Rai, Chiamate Roma 3131: l’intento delle radio libere che aderirono ad iniziative di solidarietà e

sensibilizzazione era più o meno lo stesso, cambiava, tuttavia, la formula e i toni, decisamente

meno pesanti. I temi venivano trattati con più leggerezza, senza sminuire la loro importanza, e

spiegati con un linguaggio più comprensibile a chi di medicina ne sapeva poco o nulla.

Soprattutto “ […] questo non era dettato da particolari strategie di comunicazione o chissà per

quali interessi economici, era solamente creato e sviluppato dalla volontà, dalla voglia di

dialogare”. C’era un bisogno di comunicare a tutti i costi da parte di quei giovani “[…] che

avevano visto e concepito la radio, proprio per l’esuberanza e l’entusiasmo dettati dall’età

stessa”. La radio era una piccola impresa, nata “come strumento di comunicazione e di

aggregazione sociale allargato, una sorta di grande famiglia, casa del popolo, circolo, scuola di

vita, telefono azzurro, strumento associativo, partito politico”. Tutto questo era la radio, e tutto

questo appariva al pubblico come immagine della radio. “[…] E se non ci fosse stata la radio

[…]? […] Considerando che i se e i ma non contano e la risposta non esiste, l’unica certezza è

che la radio è stata una tappa fondamentale che ha fortemente ed inequivocabilmente

condizionato il futuro […]”.91

90 P. Lunghi, Via Etere, p. 83. 91 P. Lunghi, Via Etere, p.85.

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Antenne che cambiano:

la commercializzazione della parola

radiofonica e le nuove vie libere

3.1) Anni ‘80/’90

Iniziavano gli anni ’80: allo scoccare della mezzanotte, nessuno sapeva ancora che il Papa,

Giovanni Paolo II, e Ronald Reagan, presidente degli Stati Uniti, sarebbero scampati a due

attentati, al contrario di John Lennon e Indira Gandhi, che non avrebbero avuto la stessa fortuna.

Non si sapeva nemmeno che Mikhail Gorbaciov avrebbe dato l’avvio ad una rivoluzione

economica, sociale e diplomatica e che l’abbattimento del muro di Berlino avrebbe finalmente

concluso la guerra fredda e riconciliato le due Germanie. L’Argentina e l’Inghilterra, in quegli

anni, saranno vicinissime ad una crisi per il controllo delle Isole Falklands, mentre l’Italia sarà

Campione del Mondo. Lo Space Shuttle esploderà nel cielo e il reattore numero 4 della centrale di

Chernobyl in terra, provocando conseguenze irreparabili per territorio, persone e animali.

Nel 1982, E.T. arriverà a commuovere miliardi di persone in tutto il mondo, con il suo

“Telefono Casa” e Ridley Scott, con Blade Runner, racconterà quello che “gli umani non si

possono immaginare”. Il Compact Disc rivoluzionerà il mondo della musica e del mercato,

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mentre Thriller, di Michael Jackson sarà l’album più venduto della storia: Madonna scalerà la

vetta del successo, i Nirvana porteranno da Seattle il loro grunge, dal punk degli anni ’70 nascerà

la new wave, con i suoi sottogeneri, post-punk, gothic-rock e synthpop, e dall’hard rock l’heavy

metal.

L’Italia esportava nel mondo Il nome della rosa di Umberto Eco, mentre il Giappone portava in

Italia una rivoluzione nel mondo dell’animazione: con Carletto, Goldrake, Lupin III, Holly e

Benji, Jeeg Robot e Mazinga. In questo periodo avvenne, anche, una trasformazione all’interno

del mondo della radiofonia.

Da questo momento sì iniziò a parlare non più di radio libera, ma di radio privata. Per le radio

locali fu un momento di grande incertezza, in cui alle difficoltà economiche di sempre, si sommò

un contesto ancora più competitivo. Molte emittenti erano già scomparse alla fine degli anni ‘70,

altre scompariranno poi, altre ancora si appiattiranno sullo stile delle radio nazionali, indebolendo

drasticamente la loro ragion d’essere, conquistate dal fascino del capitalismo, e diventando radio

commerciali.

Gli anni ’80 furono anni ruggenti e come cantò Raf, alla fine del decennio, “anni vuoti come

lattine abbandonate là […]. Anni rampanti dei miti sorridenti da wind-surf […]Anni veri di

pubblicità, […] anni allegri e depressi di follia e lucidità […]”: la radiofonia locale resterà pian

piano una realtà residuale e sempre più marginalizzata. Una maggiore presa di coscienza portò ad

uno sviluppo più professionale della radio “ […] purtroppo o per fortuna la Radio iniziava a

diventare ‘seria’, sempre che questo sia il termine appropriato”.92 La SIAE, soprattutto, pose

forti limiti alle radio libere, che utilizzavano i dischi da essa gestiti.

Non esistevano ancora normative precise, quindi ogni radio si comportava come riteneva opportuno in base a quello che credeva giusto e in base anche ai rapporti con i funzionari locali SIAE. Nessuno si sarebbe sognato di pagare diritti d’autore per la musica mandata in onda e tantomeno riconoscere alla SIAE il diritto di poterli pretendere. […] Iniziammo […] a mettere paletti agli speaker, chiedendo maggiore impegno, per garantire agli ascoltatori una più alta qualità delle voci, ad organizzare un serio palinsesto orizzontale per una gestione dei programmi

92 P. Lunghi, Via Etere, p. 97.

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più mirata a strutturare una vera play list, fino a quel momento, il criterio di scelta della musica da proporre era quasi esclusivamente fare attenzione a non programmare di nuovo i dischi usati dal precedente conduttore. Ci impegnammo ad inquadrare meglio la pubblicità creando dei clock e una serie di programmazione delle barre, utilizzando per la registrazione degli spot i primi studi di registrazione che avevano una maggiore professionalità e disponibilità di voci, a strutturare una rete commerciale che potesse operare nelle varie aree di copertura della radio, questo stimolato soprattutto dall’esigenza di coprire in modo ovulato i costi di gestione che ovviamente lievitavano. Sono stati passaggi fondamentali per la radio, ma a tutto c’è il rovescio della medaglia. La radio era diventata una vera attività commerciale, un lavoro insomma, di conseguenza molto spesso venivano fatte scelte obbligate, da un lato per andare contro il mercato e quindi pilotate dagli sponsor, da un altro, mascherate da soluzioni di business […] ”.93

La storia continuerà con gli anni ’90: la sanguinosa guerra civile in Jugoslavia, segnerà l’inizio

del decennio, l’impero URSS sparirà dalle cartine geografiche, con il trattato di Maastricht si

sancirà la nascita dell’Unione Europea, ci sarà uno storico incontro tra la Chiesa e Cuba e Bill

Clinton terrà alta la sua popolarità nonostante il Sexgate. Intanto Freddie Mercury, Kurt Cobain,

Diana Spencer, Madre Teresa di Calcutta, Ayrton Senna e Frank Sinatra rimarranno solo un bel

ricordo.

Si è parlato di questi due decenni come di anni che hanno “introdotto una svalutazione

dell’identità collettiva e individuale, in nome di un progresso apparente, fondato sull’idea

banalizzante di una società dello spettacolo costruita su una parvenza vuota, dominata solo dal

mercato e dalle leggi avvilenti del pensiero unico”.94 Gli ideali dei ’70 furono presto abbandonati,

un po’ per la disillusione, un po’ per il disimpegno delle nuove generazioni. Successo, denaro

facile, paillettes e lustrini diventarono il modello per molti. La pubblicità, soprattutto, diventò il

pane per la stragrande maggioranza delle emittenti presenti nell’etere.

Lo stesso vale anche per gli spot pubblicitari registrati in studi di registrazione molto competenti con l’utilizzo di voci professionali in un perfetto italiano e senza influenze dialettali, ma standard e con testi quasi sempre identici, tralasciando e non valorizzando le caratteristiche tipiche del territorio e le particolarità dialettali talvolta cabarettistiche e incisive.95

93 P. Lunghi, Via Etere, p.98. 94 M. Orrico, Radio libere, ma libere veramente, p.46. 95 P. Lunghi, Via Etere, p.122.

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Nel 1981, negli Stati Uniti, veniva fondato MTV, un canale televisivo prodotto da MTV

Networks, una consociata della holding Viacom. Le prime immagini trasmesse dalla rete furono

un simpatico montaggio dell’Apollo 11 che atterra sulla luna, piantando la bandiera con il logo

della music television. Dal 1987 in poi sarà visibile, solo via satellite, anche dagli italiani. Con

MTV crebbe fortemente il successo del videoclip, o video musicale: figlio del Soundie,

cortometraggio abbinato a brani musicali, e dell’italiano Cinebox, brevettato come fonografo

visivo dalla Ottico Meccanica, alla fine degli anni ’50, fu consacrato, nel ’75, dai Queen con il

brano Bohemian Rhapsody. Si trattava di un breve filmato, rispetto alla durata di un vero e

proprio film, una successione di immagini scandite dal brano musicale, prodotto a scopo

promozionale. Il primo video trasmesso da MTV fu Video killed the Radio Star dei Buggles: una

provocazione per dire che la televisione, suono e immagine assieme, stava trasformando il modo

di fruire la musica. Il videoclip nascondeva al suo interno tutto il giro di business che circondava

il mondo della musica: immagini studiate che si accordavano ai suoni, immagini spesso forti per

colpire il pubblico, incuriosirlo e invogliarlo ad acquistare il disco. La musica diventava un

progetto costruito a tavolino non solo dall’autore, cantautore o musicista di turno, ma, anche, dal

regista, dallo scenografo, dal direttore della fotografia, eccetera; la televisione diventava, di

conseguenza, un mezzo di forte concorrenza sul piano della comunicazione musicale, e non solo,

nei confronti della radio.

Ma ritorniamo alle radio commerciali del periodo: Radio Deejay inizia le sue trasmissioni il

primo febbraio 1982 sulla stessa frequenza, FM 99.700, dove, dal ’77, fino a poco prima aveva

trasmesso Radio Music 100, rilevata da Claudio Cecchetto. L’ultimo ad abbandonare Radio

Music fu il dj Linus, che annunciò in diretta ai radioascoltatori la fine della loro radio preferita: un

secondo dopo risuonò lo storico spot di Radio Deejay. Dalla sede milanese, il suo segnale

raggiunse ben presto tutta Italia (a differenza delle radio locali che spesso arrivavano al massimo

a coprire la regione). Inizialmente non parlava nessun dj dai microfoni della nuova nata:

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Cecchetto mandava ininterrottamente solo musica, sia per far conoscere meglio la sua radio, sia

perché i dj di Radio Music erano tutti immigrati in altre sedi.

Dopo pochi mesi, però, iniziarono le prime battute: Ronnie Hanson intratteneva in lingua

inglese, poi, Gerry Scotti, che aveva contribuito, fino a quel momento, al successo di Radio

Milano International. Al vertice delle hit di questa radio, c’erano per lo più artisti prodotti da

Cecchetto stesso: Sabrina Salerno, Sandy Marton (quello di People from Ibiza) e Taffy.

[…] le radio iniziavano, oltre che […] permettere di fatto un controllo sulle play list dando così inizio ad una globalizzazione musicale, a produrre direttamente musica come merce di scambio, come veicolo per entrare nelle discoteche e come supporto pubblicitario. Il primo segnale partì dal DJ per eccellenza Claudio Cecchetto con il Gioca Jouer […].96

Le canzoni (anche qui, come nel videoclip) venivano progettate e studiate a tavolino: i brani

dovevano avere un motivo e delle parole semplici, affinché potessero essere facilmente ricordate

dal pubblico. Lo stesso i cantanti e il loro nome, che doveva soprattutto colpire: l’immagine in

generale, in questo periodo, divenne la cosa più importante.

“La radio non si manteneva con la pubblicità, ma […] con le mie produzioni discografiche”.97

Cecchetto, con il passare del tempo si inventò anche la Dee Jay’s Gang, ovvero una società per

la gestione e la diffusione del marchio radiofonico su vari prodotti di largo consumo, come, per

esempio, astucci, diari, cappellini, gel per capelli e caschi per la moto: l’intento era quello di

pubblicizzare il più possibile il nome della radio, rivolgendosi ad un pubblico giovanile, di teen-

agers, che, come prima, non veniva considerato né dalle reti nazionali, né da molti privati, sia

televisivi che radiofonici.

“Molte radio avevano abbandonato i giovani, perché il mercato pubblicitario chiedeva di alzare il target, di catturare gli ascoltatori più anziani, che avessero a disposizione più soldi per acquistare i prodotti. Io ho fatto il contrario […]”.98

96 P. Lunghi, Via Etere, p. 99. 97 Claudio Cecchetto (da www.storiaradiotv.it) 98 Claudio Cecchetto (da www.storiaradiotv.it)

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Storia simile per l’altra grande emittente privata italiana, RTL 102.5: nata a Bergamo nel ’75

come Radio Trasmissioni Lombarde, venne acquistata nel 1988 da Lorenzo Suraci, attuale

presidente, come mezzo per pubblicizzare una discoteca del luogo, “Capriccio di Arcene”. In

breve tempo il suo segnale venne esteso in tutto il Nord Italia, per poi sperimentare l’idea

dell’isofrequenza nazionale99, distinguendosi, dal resto delle radio private, soprattutto per la

creazione di una propria redazione giornalistica.

Queste due emittenti sono solo un esempio: negli anni ’80 fiorirono altre radio private, che a

tutt’oggi, proseguono la loro programmazione a livello nazionale.

Il 26 febbraio dell’82 nasceva, a Milano, Radio Italia, dalla mente di Mario Volanti, musicista e

compositore, che decise di reagire ad un’esterofilia dilagante, soprattutto nel settore musicale,

creando un’emittente di sola musica italiana: nel 1987 arrivò alla copertura nazionale e nel ’96,

mediante l’utilizzo di satelliti, conquistò l’intero territorio europeo, compreso quello del Nord e

del Sud America, diventando per il mondo un riferimento per conoscere ed apprezzare la

produzione nostrana, soprattutto, facendo riferimento alle comunità di italiana all’estero.

Poi, ancora, Radio Lattemiele e Radio Italia Network, meglio conosciuta con l’acronimo RIN.

Anche la Rai creò due versioni pomeridiane “più giovani” in FM di Radio Uno e Radio Due,

ovvero Rai Stereo Uno e Rai Stereo Due, inoltre, nell’89, insieme alla Società Autostrade

accenderà i microfoni di Isoradio, un’informazione continua per gli automobilisti autostradali.

L’inizio degli anni ’90, sarà il momento di Radio Capital, inaugurata da Cecchetto e Jovanotti,

Radio Station One, che cesserà le sue trasmissioni solo due anni più tardi, per motivi riconducibili

ad una cattiva gestione dell’impresa, e Radio 24, la prima in Italia a portare il formato all-news.

Gli anni ’80 e, soprattutto, i ’90 sono stati, dal punto di vista radiofonico, anche anni di

sperimentazione delle nuove frontiere mediatiche, che oggi costituiscono una realtà quotidiana.

99 Con la tecnica dell’isofrequenza una determinata emittente irradia lo stesso segnale da più posizioni, in maniera

contemporanea e sulla stessa frequenza. Ciò permette di ricevere il segnale in qualunque luogo della zona di

copertura senza che si rendano necessaria variazioni alla sintonia del ricevitore.

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Dire che tutto fosse dominato da leggi di mercato, dall’immagine, dal business, dalle grandi

imprese radiofoniche con copertura nazionale, non equivarrebbe alla realtà delle cose. Non è da

sottovalutare, infatti, la fioritura di materiale discografico autoprodotto o prodotto da piccole

etichette indipendenti. Ciò fece sì che, nell’indifferenza delle grandi majors, i nuovi artisti, che

fossero degni di questo nome, potessero emergere. Ne furono esempio la storia di gruppi come i

CCCP, oggi leggenda del rock politico, o di altri gruppi indipendenti e dal minore appeal di

massa, trasmesse dalle restanti radio libere o di movimento.

Un traguardo importante, nell’ambito delle sperimentazioni tecniche nelle nuove frontiere della

radiofonia, fu raggiunto con lo scoppio dell’emergenza per gli italiani in Iraq: Reteotto Network,

nata nel ’73, è stata la prima emittente italiana irradiata via satellite.

“ […] Spetta pertanto a Rete Otto Network il merito di essere la prima emittente commerciale italiana a carattere di network satellitare e la prima syndication100 presente in Europa”.101

Nel 1994 si diede avvio a quella che fu considerata la più grande innovazione tecnologica nella

diffusione sonora dalla lontana invenzione della radio: il Centro ricerche Rai realizzò una rete

isofrequenziale in Valle d’Aosta per la sperimentazione di un servizio di DAB, Digital Audio

Broadcasting, ovvero un sistema di radiodiffusione digitale che permette la trasmissione sonora di

programmi radiofonici, con qualità paragonabile a quella di un compact disc. Appartengono, oggi,

al Club DAB Italia Radio Deejay, M2O, appartenenti entrambe, insieme a Radio Capital, al

gruppo editoriale L’Espresso, Radio Italia, che appartiene all’omonimo gruppo, insieme a due

canali televisivi e l’etichetta discografica Solomusicaitaliana, Radio Radicale, di proprietà

dell’organo della Lista Pannella, Radio Virgin, del gruppo Finelco (proprietario anche di Radio

100 Vendita dei diritti di trasmissione di programmi radio (o televisivi) a singole emittenti locali, senza passare

attraverso una rete di emittenti nazionali. (da Wikipedia) 101 Dall’articolo del Corriere della Sera del 29 settembre, 1994, dal titolo I primi siamo noi, rettifica del direttore di

Rete Otto Network, Mauro Moscogiuri, in merito all’articolo Italia vera, prima radio via satellite

(www.archiviostorico.corriere.it/1994/ottobre/01).

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105 e di Radio Monte Carlo), Radio 24, Radio Dimensione Suono e Radio Maria, nata nell’83

come radio parrocchiale a Como, che trasmette, attualmente, in tutta Europa.

La novità di questi ultimi anni, è proprio l’ingresso nel settore dei grandi gruppi editoriali, per primo L’Espresso con le sue radio, già operativo da molti anni e recentemente il Sole 24 Ore, Rcs, Mondadori, che controllano la maggioranza delle emittenti nazionali. Questo da un lato ha portato e porterà ad una maggiore competizione tra grandi, ma per le piccole radio, alla faccia del pluralismo saranno dolori.102

Tutto questo portò progressivamente alla conseguente ed inevitabile scomparsa delle piccole radio locali e quindi alla perdita di un’identità locale e campanilistica. Se vogliamo comunque un esempio dei nostri giorni, quello che è stato lo spirito reale delle radio libere degli inizi, quelle che con molta difficoltà provano a mantenere vivo il concetto di radio libera non commerciale, possiamo forse trovarlo in quelle emittenti definite radio comunitarie, per intendersi quelle radio no-profit senza fini di lucro fortemente radicate nella comunità di cui fanno parte. […] hanno un obiettivo quello di mantenere un rapporto con il loro territorio, rimanendo fuori dalle logiche di mercato, mantenendo come alle origini il volontariato, la comunicazione partecipativa e la quasi totale assenza di pubblicità, […] che ovviamente ne limita lo sviluppo. […] Proprio questo spirito no-profit, fuori dalle regole di mercato, e quindi la mancanza di un’indipendenza economica, dà spazio a facili strumentalizzazioni e la caratteristica principale di non coinvolgimento nei processi economici crea un condizionamento d’altra natura, non rispecchiando a pieno neppure in questo caso lo spirito pionieristico del mezzo.103

A proposito di radio comunitarie e no-profit, ritorno alla già citata Radio Sherwood. Nata nel

1976, come piccola radio libera di Padova, oggi trasmette in FM nelle province Padova, Venezia,

Treviso, Belluno, Vicenza e Rovigo, continuando a rappresentare una proposta totalmente

alternativa alla comunicazione ufficiale, libera da ingerenze e da interessi economici, commerciali

e politici: si finanzia, infatti, attraverso un festival annuale e attraverso il sostegno del pubblico,

con l’abbonamento a Global Card o con altri contributi occasionali. Ha seguito la storia dei

movimenti globali e locali di questi trent’anni e, da dieci anni, ospita il progetto Melting Pot

Europa, quotidiano appuntamento con la comunicazione multilingue e multimediale, per la

promozione dei diritti di cittadinanza per i cittadini migranti. Il progetto di informazione di Radio

102 P. Lunghi, Via Etere, p. 126. 103 P. Lunghi, Via Etere, p.105.

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Sherwood non si ferma solo all’etere: oltre alla creazione di un giornale telematico, Sherwood

Tribune, si è da sempre impegnata a realizzare iniziative musicali dal vivo, nei vari centri sociali,

dando vita all’annuale Sherwood Festival.

Poi c’è Radio GAP, una radio comunitaria diffusa via etere, su FM 87.8 (ma anche via rete),

nata durante il G8 di Genova e, soprattutto, durante il Media Center del Social Forum, dalla

collaborazione di varie radio, come Radio Black Out di Torino, Radio Fujiko di Bologna, Radio

Ciroma di Cosenza, Radio Onda d’Urto di Brescia e Milano e Radio Onda Rossa di Roma.

Obiettivo primario era raccontare tutto quello che accadeva, attraverso rassegne stampa,

interviste, musica e commenti dei partecipanti. Dopo Genova, Radio GAP ha continuato a

raccontare i movimenti del nuovo secolo: il WTO, il contro vertice FAO, il World Pride a Roma,

gli stati generali della scuola e le lotte dei migranti.

Il panorama sociale è tornato a riempirsi di nuovi movimenti, di una nuova voglia di

comunicare a tutti i costi e di farlo in libertà: sono ritornate le radio libere, nonostante si pensasse

che questo fosse un fenomeno appartenente al passato e che la radio locale sarebbe diventata

appannaggio delle majors nazionali e della Tv, come annunciava MTV con il suo primo

videoclip: abbiamo così la “pirata” (come la definisce il suo staff) Radio Lina di Napoli,

Novaradio di Firenze, Radio Tandem di Bolzano, Radio Roccella Jonica, le storiche Radio Città

Futura di Roma e la Cooperativa Radio Popolare, alla quale appartengono molte altre radio con

sedi in tutta Italia.

La nuova radio libera o, comunque, le piccole aziende radiofoniche, non si identificano solo

con la radio di movimento. Esistono anche piccole realtà di radio indipendenti, finanziate dai

comuni, dai cittadini: basti pensare alle radio di quartiere, le radio di strada o Radiostreet, “che

ipotizzando l’attivazione di nuovi impianti per la copertura di aree estremamente circoscritte ed

utilizzando basse potenze su bande tipo l’OM o la vecchia AM […], hanno tentato di svilupparsi

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cercando di portare avanti la tradizione della Radio libera veramente” 104, oppure le radio “in

Store”, “sviluppate parallelamente alla costruzione dei grandi centri commerciali e la diffusione

sul territorio di catene di distribuzione, per intendersi le radio che si ascoltano all’interno dei Mc

Donald’s”, o quelle che si ascoltano sulle banchine della metropolitane, “quelle radio nate dalla

strategia di dare supporto a una precisa identità all’interno di ogni punto vendita, di una catena

di negozi, sostituendo le varie emittenti, la diffusione di musica casuale e gestendo nella sua

totalità sia una specifica play list, che i comunicati commerciali”.105

Con le nuove tecnologie e il nuovo mass medium, internet, è possibile ripetere l’esperienza di

trent’anni fa, con parole nuove, ma stesso intento: comunicare.

104 P. Lunghi, Via Etere, p.119. 105 P. Lunghi, Via Etere, p. 119.

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3.2) Internet: la nuova libertà?

La radio guarda al futuro prendendo certamente esempio dal passato, ma […] metter su una radio non costa molto di più di quello che potevano spendere ‘quei quattro amici al bar’. Non richiede attrezzature professionali e soprattutto il bacino di utenza a cui la neonata radio si può rivolgere è virtualmente infinito, senza confini né frequenze, né distanze […]. […] Oggi basta un computer di medio prezzo, una connessione a internet veloce (ADSL o superiore), un mixerino ed un microfono da due lire, o euro, tanto è uguale, e qualche software ad hoc, per mettere “on air” la propria voce, la propria musica, la propria libertà. In questo secolo la radio del futuro non usa l’etere, ma il mezzo che sta sconvolgendo la storia: internet.106 Internet, non più solo di Bill Gates, è diventato un villaggio globale di libero scambio di idee,

progetti e desideri. La rete è stata inondata da blog, da quando, nel 1997, un commerciante

americano appassionato di caccia, Jorn Barger, decise di aprire una propria pagina personale, per

condividere i risultati delle sue ricerche sul web riguardo al suo hobby. Dall’inizio del nuovo

secolo la febbre del blog ha colpito anche l’Italia, soprattutto grazie alla nascita dei primi servizi

gratuiti dedicati alla loro gestione. Blog personali, blog collettivi, di attualità aziendali, di vetrina,

politici e photoblog: la comunicazione finalmente diventa orizzontale, libera e democratica.

Su internet non è ancora obbligatorio sottostare a nessuna particolare legge restrittiva per poter trasmettere […].107 Il fenomeno non ha fatto altro che aumentare con la nascita di comunità virtuali o reti sociali,

che dir si voglia, come, per esempio Myspace, creata nel 1998 da Tom Anderson e Chris

DeWolfe, due giovanissimi studenti americani, con la passione per la tecnologia e la voglia di

comunicare e di far comunicare a tutti i costi, offrendo agli utenti la possibilità di rendersi

virtualmente pubblici, di sentirsi al centro dell’attenzione, con profili personali, blog, foto e

musica. Grazie a questo spazio anche sconosciutissimi gruppi musicali possono farsi notare:

106 P. Lunghi, Via Etere, p. 129. 107 P. Lunghi, Via Etere, p. 129.

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gruppi come gli Artic Monkeys ed i Cansei de Ser Sexy sono diventati famosi in tutto il mondo,

prima ancora di mettere sul mercato i propri dischi.

La lista dello spazio “libero”108 via rete, continua con la nascita del sito web You Tube:

fondato nel febbraio 2005 da Chad Hurley, Steve Chen e Jawed Karim, dipendenti di PayPal, è in

continua crescita. Ogni giorno milioni di persone caricano i loro video, momenti di vita da

diffondere agli altri, banalità quotidiane o eventi da ricordare: una sorta di blog visivo che attira in

continuazione altri milioni di visitatori curiosi.

Tuttavia alcune nazioni hanno recentemente privato i navigatori della rete di cliccare su You

Tube: l’Iran, nel 2006, ha bloccato l’accesso al sito, nel tentativo di impedire la diffusione di

musica e film stranieri, giudicati moralmente viziati, lo stesso ha fatto la Turchia, visto la

pubblicazione di video offensivi nei confronti del popolo e del loro credo, la Thailandia e il

Brasile. La censura è stata fortissima in Birmania, dove la giunta militare ha bloccato l’accesso

per la presenza, sul sito, di filmati di denuncia dei massacri dei dimostranti, in gran parte monaci,

che chiedevano maggiore libertà, e in Cina, per la presenza di filmati in cui apparivano le

violenze e i disordini scoppiati in Tibet.

Il parallelo con le radio libere degli anni ’70, quelle come Radio Sicilia Libera, Radio Alice,

Radio Città Futura, chiuse dalla Polizia Postale, da bande politicamente contrarie, o con la morte,

nel caso di Peppino Impastato, per la paura di contro informare, di riportare il vero, di comunicare

e di svelare, viene, praticamente, da sé.

Nonostante alcuni limiti, riguardanti per lo più il diritto d’autore, internet ha dato e dà ancora

una possibilità di spazio per nuove voci fuori dal coro, per le giovani leve, spesso senza alcun tipo

di esperienza nel campo, mossi da una voglia di sperimentare, da una passione per la tecnologia,

la musica e la comunicazione oppure da ideologie politiche, che oggi come oggi, potrebbero avere

108 Libero, fra virgolette, in quanto l’inserimento dei video è consentito solo se questi siano stati prodotti dall’utente

stesso. Tuttavia spesso questo sito web contiene materiale caricato senza autorizzazione, come spettacoli televisivi e

video musicali, o altro materiale protetto dal diritto d’autore.

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pochissimo o nessun posto all’interno degli altri mass media, quali la radio e la televisione

(soprattutto quest’ultima, che sempre più spesso propone e premia continuamente stereotipi basati

sul culto dell’immagine e della bellezza omologata).

Basta un computer per poter accedere ad una conoscenza illimitata, attraverso l’ipertesto e i

suoi collegamenti ad altri ipertesti: l’interattività diventa il pane quotidiano non solo di chi fa

informazione ma anche di chi la riceve. In questo ambito nascono e crescono le nuove radio, le

web radio o radio on line, che trasmettono in forma digitale il proprio palinsesto, attraverso la rete

telematica: in alcuni casi si tratta di radio tradizionali, presenti via etere, che ampliano il loro

raggio d’ascolto ripetendo le trasmissioni on air, in altri casi (ed è questo il bello della novità) si

tratta di emittenti, amatoriali o meno, che mettono a disposizione i propri programmi in

streaming109 esclusivamente per una fruizione virtuale.

“Tutto nacque qualche anno fa, quando un geniaccio inventò un protocollo chiamato Shoutcast

[…] ”: una tecnologia per lo streaming audio, ovvero per la gestione di dati audio trasmessi da una

sorgente a una o più destinazioni su internet, analogamente al funzionamento della radio

nell’etere.

“La prima applicazione dello Shoutcast sarebbe stata, ovviamente, la radio, poi tutto il resto, e chi ne ha più ne metta e da quel momento, le radio amatoriali ma che ben poco hanno da invidiare a quelle professionali, come sempre accade, su internet hanno preso piede, di conseguenza sono nate tutta una serie di aziende server che fanno da aggregatori delle varie radio libere Shoutcast. […] Il mondo a portata di mano in modo semplice e veloce, la radio on demand”. In seguito sono stati creati alcuni siti che offrono la possibilità di sperimentarsi con lo

streaming audio su internet, offrendo la documentazione necessaria per iniziare e, volendo, per

avere un po’ di visibilità. Il progetto autistici.org, ha lo scopo di socializzare il sapere, di liberare

spazi sulla rete, dove discutere e lavorare sia sul piano del diritto e bisogno di comunicazione

libera, di privacy, di anonimato e di facile accesso alle risorse telematiche, sia sul piano della

109 Un metodo di trasmissione di file audiovisivi in tempo reale su internet.

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realtà sociale, accogliendo chiunque viva conflittualmente la censura culturale, mediatica e

globalizzante dell’immaginario che viene continuamente preconfezionato e venduto al pubblico

dai mass media.

Poi, ancora, il progetto mozzarella.da.ru che, dando la possibilità di fare trasmissioni libere da

pubblicità, in maniera gratuita, permette, a chiunque si voglia cimentare, di diventare fonte di

libera circolazione di qualsiasi informazione e della cultura musicale.

Attualmente ci sono tantissime radio on line, ancora poche, però, rispetto ad altri paesi. Farò

solo qualche esempio: Radio Bandita, nata nel 2003, che propone un palinsesto limitato ad una

trasmissione settimanale, rigorosamente in diretta, la fiorentina Radio Ane, che nasce dalla

semplice voglia di raccontare quello che succede nelle strade e nelle piazze di Firenze, Radio Riot

che, nata nel 2000 come web punk radio, solo musica punk, riesce da sempre a garantire una

trasmissione 24 ore su 24, con una scaletta aggiornata frequentemente.

E ancora, Radio DD, che ha dato luce anche ad un’etichetta discografica indipendente, Radio

Bandiera Nera, che propone argomenti trattati “con lo sguardo ironico del mondo non conforme,

dalla politica allo sport, dalla letteratura alle arti grafiche, dalla ricerca scientifica all’ambiente

[…] ma, soprattutto, tanta, tanta musica”110, la milanese Radio RR, la leccese Radio Paz, con

approfondimenti, informazioni, interviste e musica indipendente, e, infine, Radio Condotta, un

progetto volto a promuovere la comunicazione all’interno degli istituti scolastici, attraverso la

diffusione della cultura e dei linguaggi caratteristici della comunicazione telematica e puntando

ad orientare le competenze dello studente verso la curiosità per le nuove tecnologie e le nuove

forme di comunic-azione via rete.

La storia ci ha proposto, attraverso le radio libere, come è stato possibile partire da una

comunicazione fatta in casa, da una comunicazione, cioè, nata dal basso, da gente qualunque e da

una via libera per poterla esprimere e diffondere, per arrivare ad una vera e propria rivoluzione

110 Dal sito http://cmc451.blogspot.com/2007/09/nasce-radio-bandiera-nera.html.

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mediatica. “[…] le radio libere che stanno nascendo on line in questi anni sono davvero libere

veramente. Il fenomeno di trent’anni fa si sta ripetendo, con una tecnologia più avanzata e con

possibilità ancora maggiori […]”.

Che il futuro della radio sia nel web è troppo presto per dirlo o, come diceva Battisti, “lo

scopriremo solo vivendo”. Sta di fatto, però, che oggi internet offre una piccola, grande possibilità

a tutti coloro “che hanno qualcosa da dire e che, stavolta, possono dirlo non solo alla propria

città, ma al mondo intero”.111

111 P. Lunghi, Via Etere, p. 129.

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On air:

microfoni accesi per ricordare

La storia è fatta di documenti scritti, ma sono soprattutto le voci di chi l’ha vissuta, di chi ha

avuto un’esperienza diretta, che possono concretizzarla.

4.1) Intervista a Paolo Lunghi

Paolo Lunghi è nato nel 1959, ad Empoli: maestro d’arte, giornalista ed esperto di

comunicazione e marketing è stato, prima di tutto, uno dei protagonisti del fenomeno delle radio

libere italiane. Fondatore, nel ’76, della prima radio locale nel medio valdarno, è ancora oggi

vicino al settore radiofonico: nel 2007 ha pubblicato il libro Via Etere che, a trent’anni dalla

nascita del fenomeno, analizza il settore partendo proprio da quella piccola realtà che ha segnato

il suo esordio, Radio Empoli Intrnational, poi divenuta Radioplay, da quei progetti di quei quattro

amici al bar, che all’inizio sembravano solo “cose da ragazzi”. La storia della sua radio è stata un

po’ la storia di tutte le radio: di quei nomi ignoti che “saranno o non saranno famosi”, ma che

grazie al loro angolo della scienza, hanno modificato la storia della comunicazione mediatica in

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Italia. E’ bastata una mail e una telefonata, per chiedere un appuntamento con lui a Firenze e per

ricordare, in maniera diretta, quel periodo di libertà.

D - Cito alcune Sue parole: "E per ideina, non essendo stati in quel periodo attratti dalla

politica, dai movimenti giovanili, intendo soprattutto progetti e soluzioni per beccare [...]". 112

Molto spesso il fenomeno delle radio libere viene attribuito a motivazioni politiche. Lei in

queste parole specifica che la motivazione del vostro angolo della scienza non era di certo

riferibile a questa. Piuttosto al "beccare". Quanto è stato importante quel clima, che oso definire,

ingenuo e genuino, di un'Italia più chiusa rispetto ad oggi e più aperta rispetto alla generazione

precedente, per quei quattro amici al bar?

R - E’ stato fondamentale. E’ stato la base da cui si è sviluppata l’esigenza di fare la radio. Le

radio libere si sono sviluppate conseguentemente al fatto che il clima era quello lì: era un clima

piuttosto chiuso, un clima anche pericoloso, parlo delle BR. Nella periferia veniva vissuto in

modo attenuato rispetto all’esperienza delle città, che vivevano in prima persona gli eventi.

La radio è stata un modo di creare nuovi spazi di libertà. Non per nulla “l’International” delle

radio, che quasi tutte avevano come finale, forse rappresentava la volontà e la voglia di allargare

gli orizzonti, e non solo l’imitazione di Milano International. E’ stata ricostruita, proprio l’anno

scorso, una Radio Torino International, sulla scia della vecchia radio degli anni ‘70. La base su

cui si è sviluppato tutto era questa.

D - Un capitolo del Suo libro si intitola Radio contro Radio.113 Qui, si accenna sia alla

conflittualità che c'era tra la vostra radio e Radio Five, o meglio, Radio Fave (come la chiamavate

voi, per prenderla in giro), sia alle collaborazioni che intrattenevate con le altre radio. "[...] amici

112 P. Lunghi, Via Etere, p. 27. 113 P. Lunghi, Via Etere, p. 93.

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che anche da posizioni diverse, talvolta agli antipodi, condividevano con noi l'idea e la passione

per la Radio."

Ecco: tolte le piccole rivalità, dovute per lo più ad una questione di concorrenza, quanto ha

influito, su di voi e sugli altri come voi, questo "[...] per rispondere ad esigenze di pura

socializzazione [...]", questo "sentirsi parte della comunità radiofonica" all'inizio dell'avventura?

R-Era il condividere un ideale e quindi l’appartenenza era in questi termini: appartenere ad un

gruppo che condivideva una strategia di vita legata, in questo caso, all’esperienza della radio,

legata al volersi esprimere tramite la radio.

La rivalità era su cose più di “colore”, sulla quotidianità, sul riuscire a fare meglio dell’altro,

sul prendersi in giro, cosa che peraltro viene ampiamente ripresa dai media attuali. I programmi

di satira da Zelig a Striscia la notizia: un po’ tutta la satira, anche politica, prende spunto, suo

malgrado, da quello. C’era una rivalità legata proprio al prendersi in giro, non più di questo.

D - Parliamo di comunicazione. Eravate tutti ragazzi, alcuni dei ragazzini. Non avevate, di

certo, la professionalità dei dj odierni, ma avevate le idee e la creatività. Era tutta

improvvisazione? C'era mai il silenzio?

Radio libera ma libera veramente: vi sentivate veramente liberi di esprimervi? E poi, Quant’è

stata importante, secondo Lei, questa "non professionalità" per attirare il giovane pubblico? Cosa

pensava, di voi, invece, la maggior parte del pubblico adulto?

R- La libertà era massima, era completa. L’idea era questa: se hai qualcosa da dire, questo è il

microfono, dì quello che vuoi! Quello che determinava fondamentalmente era la disponibilità del

tempo. Anche perché si partiva da questo presupposto: se c’è un qualcuno che ha un tipo di

interesse e conosce la materia, probabilmente ci saranno anche altri che, come lui, condividono

questo. Quindi perché non fare un programma proprio su questo.

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La libertà era completa, al cento per cento. La radio, in quel periodo, diventò uno spazio

completamente libero. Senza nessun tipo di esperienza, non avevamo nessun tipo di esempio.

Questo è stato un vantaggio ed è stato anche un bene. Perché è stato quello che ha dato delle

risposte a delle domande che già ponevamo.

I programmi, i palinsesti delle radio sono nati esclusivamente dal cercare di dare una risposta

ad un’esigenza, che veniva da esperienze personali o dalla voglia di fare un qualcosa. La banalità

dei palinsesti, che poi non era una grande banalità, l’oroscopo, le dediche, i giochini, la storia dei

fagioli, erano tutte cose che nascevano da esperienze di vita quotidiana. Quindi nella radio si

esprimeva il reality, ma reality veramente, non come reality che propinano oggi. Quello non era

altro che un allargare gli orizzonti, un esternare le proprie esperienze di vita quotidiana, di vita

vera.

D - Con gli occhi di oggi, cosa pensa che abbia determinato la fine del fenomeno delle Radio

Libere (parlo di fenomeno diffuso perché ancora alcune radio libere sono "on air")?

Oggi è solo una questione di "Radio Commerciali"? Nuova musica, nuovi linguaggi: questo è

quello che avete offerto. Quanto ha influito questa svolta nella comunicazione, nei futuri

programmi, anche di "mamma" Rai? Quanto, ancora, c'è, negli studi radiofonici, del vostro modo

di fare radio?

R – Partendo dall’ultima domanda: negli studi radiofonici attuali c’è ben poco, a partire

dall’aspetto tecnologico, alle logiche dei format…anche se, e questo è un merito, alla fine ci si

ispira alla logica degli anni ’70! Molte radio, ma anche le televisioni, prendono proprio questo

come esempio. Mi riferisco ai programmi di un Carlo Conti, perché lui viene da questo tipo di

esperienza, viene dalla radio. Quindi ha riportato i suoi trent’anni di esperienza all’interno delle

radio fiorentine all’interno, nei programmi della RAI. Attualmente la stessa cosa vale, per fare un

altro esempio, per Radio 101 che ha un palinsesto improntato sull’esperienza degli anni ’70.

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Anche lì il direttore artistico è Gerry Scotti, che viene dallo stesso tipo di logica. La tecnologia è

ovviamente ben diversa, ma lo spirito libero della radio ha lasciato una bella eredità.

Oggi il panorama è rappresentato fondamentalmente ed esclusivamente da radio commerciali.

Purtroppo esiste la logica di dover vivere e per chi opera all’interno delle radio ovviamente è

una necessità, cosa che non avevamo noi ragazzi degli anni ’70. Non avevamo necessità di

vivere, o per dirla meglio…come si dice, di portare il pane a casa. Questo determina l’aspetto

commerciale della radio! Anche perché, poi, la radio ha altissimi costi di gestione, dall’accesso

alle frequenze, che comunque è bloccato. Non si potrà mai parlare, se non cambia qualcosa, di

nuove radio. All’accesso, all’utilizzo dell’FM, al pagamento delle concessioni, alla tecnologia, al

costo dell’energia elettrica sui ripetitori… Questo ovviamente determina un approccio

unicamente commerciale della radio.

Qualche meccanismo, però, tale che possa sostenere le emittenti, avrebbe la necessità di essere

introdotto: agevolando, ad esempio, determinate tipologie, come le radio comunitarie, o,

comunque, le radio che rappresentano un territorio e danno spazio e sviluppo a zone molto locali

del territorio stesso. Come dicevo, quanto più c’è necessità di andare avanti su una

globalizzazione dell’informazione, tanto più c’è necessità di sostenere chi rappresenta il

territorio e quindi di dare voce a chi non riesce ad averla.

Le radio, fondamentalmente, hanno fatto questo e hanno messo i grandi media, nel periodo la

RAI, di fronte ad un cambiamento imposto, facendola necessariamente adeguare ed impostare i

nuovi palinsesti in base alle esigenze nuove del mercato, dei cittadini.

D – Parliamo di Un’antenna per la vita114: che differenza c’era tra il vostro programma e il

programma Rai, Chiamate Roma 3131? Mi riferisco alla forma, ai toni. Quelli di Chiamate Roma

114 P. Lunghi, Via Etere, p.83.

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3131 trattavano spesso lo stesso argomento di Un’antenna per la vita, cancro, tumori e altre

malattie, tuttavia con toni seri, formali, tristi, spesso strappalacrime…

R – C’erano molte differenze. C’era, innanzitutto, una differenza tecnica: Chiamate Roma

3131 è più paragonabile, più o meno, a “La vita in diretta”. Un’antenna per la vita dovrebbe

essere più qualcosa da paragonare più a Telethon. Per me, la cosa era molto più reality e molto

più allargata. La raccolta di fondi, come scrivo anche nel libro, non ricordo quanto fosse, (ma

sarà stata certamente una cosa relativa)…

Tuttavia, il punto è riuscire a parlare di un problema delle famiglie, alle famiglie. Ad esempio,

nelle famiglie italiane il malato di tumore esiste, è sempre esistito ed esisterà. Questa cosa,

sfortunatamente, è condivisa, perché in qualunque famiglia il tumore è un problema attuale, o se

non è il tumore, è un’altra malattia grave.

Il passaggio che è stato fatto dalle radio, stava nel riuscire a far sì che si potesse parlare di

questo problema. Al tempo si viveva la malattia come fosse un problema assolutamente

circoscritto all’interno delle mura domestiche, un qualcosa da non far sapere, da non esternare,

da non condividere. Il fatto che questi problemi fossero adottati dalla radio, il fatto che si

parlasse in diretta di questa cosa ha permesso che si capisse che un problema poteva essere

allargato, poteva essere condiviso, che ci potevano essere degli aiuti. Inoltre ha fatto sapere che

il rapporto con la medicina poteva essere anche più aperto, poteva essere qualcosa di cui poter

parlare anche all’interno di un’emittente, e non solo in uno studio medico.

Questo può aver agevolato chi non sapeva “a che santo votarsi”, a quale dottore rivolgersi o

quale poteva essere la strategia curativa giusta. E’ stato questo il passaggio importante di

un’iniziativa come Un’antenna per la vita che abbiamo fatto noi, ma che qualunque radio

italiana ha fatto cose analoghe.

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D - "[...] non avendo a disposizione le nuove tecnologie, né internet [...]".115

E' vero anche, però, che oggi ci sono molte radio "libere" on line (Radio Riot, RadioAne, Radio

Paz, solo per citarne alcune). Cosa ne pensa? Quanta possibilità c'è, secondo lei, su Internet di

ripetere la vostra esperienza via etere e quanta "libertà" offre questo nuovo mezzo?

R - Secondo me stiamo su strade parallele! Si ripropone, per i giovani di oggi, la stessa cosa che

si è proposta per noi giovani degli anni ’70. Il contenitore FM, per noi degli anni ’70, è

paragonabile al contenitore internet per i giovani di oggi. Anche a livello problematico…Una per

tutte: il problema della SIAE. Era un problema per noi, ed è un problema per chi, oggi, comincia

a fare radio all’interno degli spazi internet. Sono strade parallele e la storia si ripete. I giovani di

oggi hanno la stessa possibilità di quella che avevamo noi negli anni ’70, con le dovute differenze

da un punto di vista tecnico, tecnologico e di visibilità.

Certamente, in ambito sociale, l’impatto che ha avuto l’FM negli anni ’70 non è riproponibile

oggi all’interno del mondo globalizzato. Ma riuscire a fare una web radio all’interno del

contenitore internet offre non i 5,6 o 10 km dell’FM degli anni ’70, ma offre una visibilità

planetaria. Poi, fra il dire che una radio web sia udibile sull’intero pianeta, e far sì che questa

sia ascoltata davvero da tante persone, c’è una bella differenza. Per chi deve farla, per lo spazio

e lo spirito di libertà che si pone, siamo sullo stesso piano, sullo stesso livello e con grossi

vantaggi da un punto di vista tecnico e tecnologico.

115 P. Lunghi, Via Etere, p. 25.

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D - La politica di oggi, ancora più di quella di ieri, sfrutta in continuazione, non solo le radio,

ma la televisione, internet, i cellulari e,soprattutto, i digitali terrestri, creando, con l'uso sfrenato

dei mezzi di rilevazione dei dati di ascolto, dei programmi evasivi (anzi, più stupidi sono e meglio

è!), al fine di attirare più gente possibile e, di conseguenza, più voti possibili. Quanta "libera

spontaneità" è rimasta nei mass media di oggi?

R - Secondo me, se si parla di spontaneità, siamo praticamente vicini allo zero! Perché tutto ciò

che viene fatto è un format preconfezionato, che deve necessariamente portare ad uno share o a

certe rilevazioni di ascolto. Però qui va fatta una parentesi, visto che la domanda riguarda anche

un aspetto politico. In Italia i controllori sono gli stessi che dovrebbero essere controllati: quindi

ognuno controlla se stesso. Questo potrebbe anche andar bene, ma se si valuta sotto l’aspetto

della libertà, direi che siamo abbastanza messi male! Auditel, che fa indagini di ascolto…o

meglio i proprietari di Auditel…che alla fine sono gli stessi dei mezzi che Auditel

controlla…insomma, mi sembra già di per sé un’anomalia tutta italiana!

Io credo che su questo profilo non ci sia nessun spazio di libertà, né di immaginazione. Se si

entra nel merito dei programmi, si vuol far passare (e questo è ancora peggio!), i programmi

come reality, che, alla fine tutto sono meno che reality! Tipo l’Isola dei Famosi, tipo i programmi

che fa la De Filippi…Sono programmi promozionali, che promuovono la persona, non in quanto

artista, ma in quanto “fisico”.

Si parla della donna, ma anche l’uomo è alla stessa stregua! Lì si vende un prodotto

assolutamente fisico, sia dell’uomo che della donna: creando un modello che mette in difficoltà la

scuola, mette in difficoltà le famiglie, perché è difficile contrapporsi, come genitore e come

insegnante, ai messaggi potentissimi, che le televisioni impongono. Impongono che si diventa

bravi se si ha un certo fisico, se si ha una certa macchina, se si raggiunge, non si sa poi come, un

“x” stato sociale…Questo certamente non paga! Non paga per la ricerca, non paga per i

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cervelli, non paga per lo sviluppo di una nazione che potrà far aumentare lo share delle

trasmissioni, ma non produrrà più cervelli, per esempio, per trovare la cura ad una malattia.

Tutto ciò sembra una banalità, ma i modelli che incorrono in una nazione sono la guida per la

storia della nazione stessa! Ci si meraviglia se in una scuola, con i cellulari, i ragazzi si

fotografano e mandano le foto, anche osé, in giro fra loro o su internet…Io quando accendo la

televisione vedo solo quello! O lo si fa tutti, o non lo si fa nessuno! Una televisione di stato, una

televisione pubblica fa passare per buono che devi avere un certo fisico e che devi farlo vedere

questo fisico, e che, conseguentemente a questo, sei un VIP. Poi, se questa cosa viene fatta dentro

un’aula di una scuola è subito scandalo. Questo è il problema che deve essere risolto. Soprattutto

dalla politica: i mostri che si creeranno, che si stanno creando e che si sono già creati, saranno

un problema per il futuro dell’Italia, per il futuro dei giovani, per le nuove generazioni.

Ho letto un articolo di un mio collega, non so su quale giornale, che dice questo: chi decide in

politica e non è una cima, deve necessariamente prendere qualcuno sotto di lui che abbia

un’intelligenza o delle capacità inferiori. Quindi, per far sì che qualcuno decida, ci deve essere

qualcuno che sta sotto e che sia più imbecille di lui. Questo che sta sotto, farà carriera e andrà ai

vertici, prima o poi…Così ne dovrà trovare un altro meno intelligente che gli sta sotto. La cosa si

ripete. Se quello era poco intelligente già in partenza, difficilmente diventerà intelligente quando

farà carriera.

Se questa ruota va avanti, chi andrà sotto, avrà sempre una percentuale di imbecillità

superiore, e chi sarà ai vertici sarà più imbecille del precedente. Il problema è che questo sarà

quello che prenderà le decisioni e, quindi, difficilmente riuscirà a prendere decisioni intelligenti!

Questo vale per il controllo della radio, come per la televisione e per la stampa. E se non si

propongono programmi nuovi, non ci si deve nemmeno confrontare con una concorrenza più

intelligente.

Io giro molto per le radio e, più o meno, trovo quasi esclusivamente i miei coetanei…e io ho

quasi cinquant’anni! Vuol dire che non c’è ricambio, perché se quelli che stanno nelle radio sono

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miei coetanei, sono partiti (non tutti, ma molti sì) anche loro con l’inizio del fenomeno delle radio

libere. Solo che in trent’anni non hanno fatto altro che riprodurre le stesse esperienze, senza

nuove idee. Il fenomeno è nato da giovani (io avevo, per esempio, circa sedici anni) che, al

tempo, non avevano esperienza e comunque hanno dato avvio ad un cambiamento. Oggi il

ricambio non esiste e, non esistendo, non ci sono neanche idee nuove. Fondamentalmente il

problema è che non vengono dati spazi!

D - Allora non è solo colpa di noi giovani?

R - No, no, non vorrei dire questo! O almeno…non è solo per colpa dei giovani. E’ colpa di chi

detiene certi poteri, che non apre le porte al nuovo: da un lato per motivi tecnici ed economici

comprensibili, da un altro perché forse c’è la volontà di non aprirsi al nuovo. Però internet,

tornando al discorso di prima, potrebbe offrire un canale nuovo, perché, sono convinto che,

comunque, i microfoni e le possibilità che da una web radio si aprono all’improvvisazione,, poi

chi è bravo può provare a far strada nello spettacolo, o come comico, oppure come giornalista,

come, in fondo, è successo a chi ha iniziato con le radio libere. Certe analogie tra oggi, per le

web radio, o anche per Myspace o You tube, e le radio libere degli anni ’70, ci sono e come!

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4.2) Intervista a Francesco Verdinelli

“Allora ero musicista, 23 anni, non ancora compositore. Nell’estate del 1975 di ritorno da una

tournee con Jesus Christ Superstar mi ritrovai a casa, da solo, un po’ svuotato dal turbinio tipico

delle tournee. Nella mia camera accesi la radio, per un po’ di compagnia […]” .Così esordisce

nella sua lettera Francesco Verdinelli, un romano del ’53, musicista, compositore e, per un breve

periodo, docente universitario, importato anche oltreoceano. Un personaggio poliedrico, con un

“ […] carattere audace, decisionista e determinato […] ”, che, quando il fenomeno non era ancora

scoppiato, decise, anche lui giovanissimo, di mettersi alla prova accendendo i microfoni della sua

radio, Onda Radio 101: “ […] capii immediatamente quanta passione avrei potuto dedicare a

quello che di lì a poco sarebbe stato un cambiamento epocale, sociale, culturale”.116 Oggi è uno

dei padri di Teatro Lo Spazio, un teatro polifunzionale, con strutture movibili, reinventabile per

qualsiasi uso, nascosto in un vicolo, accanto allo storico mercato di Via Sannio, dove negli anni

’70 non era difficile trovare un eskimo “alla Guccini” (“ Portavo allora un eskimo innocente,

dettato solo dalla povertà”) e jeans rigorosamente a campana: all’interno una luce calda e dei

tavolini rotondi, da bar. Ci sediamo: iniziamo a ricordare.

116 Francesco Verdinelli, lettera a Broadcastitalia.it.

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D - Lei aveva 23 anni quando ha cominciato quest’avventura. Aveva esperienza nel campo

della musica. Come dice sulla lettera a Broadcastitalia, non aveva alcuna esperienza nel settore

radiofonico. Il suo messaggio iniziale, oggi, lo definisce “un po’ ingessato”. Quant’è stata

importante, secondo Lei, la “non professionalità” e l’improvvisazione per il fenomeno delle radio

libere? Vi sentivate liberi veramente?

R - Ci sentivamo assolutamente liberi! Noi non abbiamo fatto altro che far costruire dei

trasmettitori e iniziare a trasmettere, a parlare… nessuno c’ha mai detto nulla! Il mio primo

messaggio, quando ho detto - “E’ nata una nuova radio libera, qui a Roma” - era un po’

“ingessato” perché, fino ad allora, i presentatori radiofonici che avevamo avuto come unico

esempio a disposizione, parlavano in modo assolutamente “ingessato”. L’allora annunciatore

diceva - “Adesso ascolteremo un brano – per esempio – di Lucio Battisti”. Insomma, non c’era

un rapporto diretto tra ascoltatore e conduttore… che poi, è quello che si è sviluppato proprio

con le radio libere.

D - Parliamo di musica: lei è un intenditore. Che rivoluzione musicale c’è stata, con le radio

libere, e in che modo cambiava la sua fruizione?

R - La fruizione della musica è cambiata completamente. Soprattutto per quello che riguarda

Onda Radio 101, che è stata una delle prime in Italia e a Roma: trasmettevamo una musica

diversa, che poi era la musica che molti ragazzi già ascoltavano e che ancora oggi è validissima.

Tutto un certo tipo di sonorità molto moderne, brani rock, dai Led Zeppelin, a Clapton a John

Mayall… brani che difficilmente passavano in Rai. Le prime radio libere cercavano il grande

ascolto e invece il grande ascolto c’è stato, poi, con chi faceva cose assolutamente diverse…

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D - Cosa significa per Lei la parola “telefono”? Le dediche, la richiesta di un brano in

particolare, il semplice saluto di un ascoltatore: quanto è stata importante, a livello di

comunicazione, questa interattività tra speaker e pubblico?

R - Beh, l’interattività è stata fondamentale. Fino a prima del 1975, l’interattività era

semplicemente scrivere una lettera alla Rai, oppure, non so, uno chiamava e rispondeva il

centralino… insomma, non c’era assolutamente interattività! Noi appena abbiamo iniziato a

trasmettere abbiamo dato il numero di telefono e, da quel giorno, c’è stata una continua

interattività con gli ascoltatori. La gente chiamava, al di là delle dediche, che, per carità, sono

state anche quelle importanti. Però c’era un dialogo continuo con gli ascoltatori e soprattutto,

quello che oggi chiamiamo target, era assolutamente identificabile, nel senso che, quando si

mandava un certo tipo di musica o facevi un certo tipo di trasmissioni, avevi e sceglievi il tuo

pubblico. Anche questo permetteva un’interattività continua, scambi di idee, proposte… anche la

dedica, alla fine, non era altro che una proposta di musica, al di là del piacere da parte

dell’ascoltatore di sentire il proprio nome e la propria voce uscir fuori dalla radio.

D - Cosa è rimasto dell’esperienza delle radio libere nel modo di fare radio oggi?

R - Io credo che le radio libere abbiano sicuramente influito tantissimo. Qualcosa è

rimasto…certo un po’ poco! Soprattutto quel modo di essere diretti: io oggi lo ascolto molto

poco. Anche se credo che ci sia ancora uno spazio per fare radio, dove ci sia un rapporto vero,

non filtrato, un rapporto di voci non troppo impostate. Faccio un esempio: mi è capitato di essere

intervistato su argomenti legati al teatro e alla mia attività di compositore e trovare di fronte a

me dj che probabilmente non avevano mai letto Čechov... C’è qualcosa che, in alcuni casi, ben

inteso, non in tutti, è da rivedere!

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D - Cos’ha determinato la fine per il fenomeno delle radio libere? Oggi si tratta solo di radio

commerciali?

R - Oggi si tratta di radio certamente inserite in un business, come, del resto, è giusto che sia,

perché, comunque, anche allora i costi c’erano e come! Per quanto riguarda la fine del fenomeno

delle radio libere, sicuramente le grosse agenzie pubblicitarie, alla fine, hanno indirizzato solo

verso alcune radio i propri budget. Per cui quello che rimaneva di pubblicità erano veramente

pochi spiccioli che non permettevano alcuno sviluppo. Alcune radio hanno avuto la grande

pubblicità, quella delle grosse aziende, mentre altre radio, quelle che hanno avuto la possibilità

di sopravvivere, non hanno avuto la stessa possibilità di fare un salto di qualità importante.

D - E per quanto riguarda la SIAE? Anche questa, secondo lei, è stata una delle cause della fine

delle radio libere?

R - Io sono un autore e quindi vivo di diritto d’autore. Credo perciò che sia un compenso dovuto:

certo, dovrebbe essere proporzionato sicuramente all’incasso della radio e al fatturato. Se c’è un

fatturato negativo, la SIAE potrebbe chiedere una cifra forfettaria minima. Però io credo che

chiunque lavori, che lavori sulle opere dell’ingegno o che lavori, per esempio, costruendo un

tavolino, tutto sommato è giusto che sia pagato!

D - Oggi ci sono molte radio libere in rete. Quanta possibilità di ripetere la vostra esperienza e

quanta libertà offre questo nuovo mezzo?

R - Internet offre a mio avviso la stessa libertà, se non di più, dell’etere del ’76: il fenomeno si

può ricreare, sicuramente non sarà mai lo stesso fenomeno, ma un altro di tipo diverso, con

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ascolti diversi, con possibilità di raccogliere pubblicità in modo diverso, con un’interattività

maggiore e continua. Internet è uno strumento assolutamente democratico: chiunque può

effettivamente comunicare quello che crede. C’è una fortissima possibilità di raccogliere

ascolti… anche se credo che sarà sempre un mercato di nicchia.

D - La politica di oggi ancora più di quella di ieri sfrutta in continuazione i mass media (radio,

televisione, cellulari, digitali terrestri, e lo stesso internet), con un uso sfrenato dei mezzi di

rilevazione dei dati di ascolto, al fine di attirare più gente possibile e di conseguenza più voti

possibile. Quanta libera spontaneità è rimasta nei mezzi di comunicazione odierni?

R - Io credo che via internet, come dicevo prima, ce ne sia rimasta molta. Aprire una web radio,

alla fine, è soprattutto una questione economica, anche se non ha dei costi altissimi, o almeno se

non ha degli ascolti altissimi. Chi vuole essere libero può essere libero! Un condizionamento può

essere riferibile alla quantità di pubblicità che un mezzo può raccogliere. A mio parere la libertà

c’è. Certo, una grande radio che abbia un grande pubblico, è molto difficile che venga fatta da

un gruppo di ragazzi. Il mezzo e la possibilità però ci sono.

D - Non pensa che i programmi, radiofonici e televisivi, siano spesso creati per ascoltatori in

quanto numeri, cifre e percentuali, piuttosto che nei confronti del pubblico in quanto persone,

menti? Poi, secondo lei, i programmi di oggi non sono alla fine quasi tutti dei formati ripetuti e

fissi?

R - Assolutamente sì. Certo con internet c’è una grande possibilità di scegliere cosa vedere, un

tipo di editore in particolare… La televisione non è di per sé né buona né cattiva, così come la

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radio. Io credo stia finendo sia la televisione, che la radio generalista. Si spezzetterà tutto e

ciascuno avrà modo di vedere e sentire quello che più gradisce.

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Ringraziamenti

anche questi ci vogliono

Di nomi da fare ce ne sono tanti, forse troppi, che sicuramente non riuscirò a ricordare. Sarò

breve, odio queste cose. Inizierò dai più “vicini”, la mia famiglia: le figlie femmine, come si dice,

sono le più care. Io lo sono stata di sicuro: non parlo solo di un costo economico, ma di un costo

vitale. Troppa pazienza per sopportare una ragazzina difficile, con troppo poca fiducia in se

stessa, una ragazzina che non mangiava e che non faceva altro che disegnare, voleva diventare

una stilista. Una ragazzina che ha sempre pensato troppo e agito poco, una ragazzina svogliata,

capricciosa, testarda, che non aveva assolutamente voglia di crescere. Ringrazio mia madre per

quelle litigate infinite, mio padre che in me ci ha sempre sperato, ma solo in silenzio, mia nonna,

“se non ci fosse, bisognerebbe inventarla”, mio fratello, l’unico erede della mente matematica di

famiglia, ma, alla fine, questo argomento è anche idea sua! Grazie a Penny: non parlerà (visto che

è un cane), ma si fa capire bene. Grazie al mio relatore, Dario De Cesaris: non voglio fare

“sviolinate”, ma senza di lui questo tema non l’avrei potuto trattare. Grazie a Paolo Lunghi e a

Francesco Verdinelli, che si sono prestati volentieri a questo gioco. Grazie agli amici, vecchi e

nuovi: ne ho pochi, ma quando ci sono si fanno sentire. Grazie alle persone speciali, quelli che ci

sono e quelli che non ci sono più: non le nomino, so io chi sono e anche loro lo sanno. Non si può

ringraziare solo quelle persone che ti sono state vicino: quindi, grazie a chi non ha mai creduto in

Flavia, grazie a chi le ha voltato le spalle, grazie a chi l’ha fatta piangere, grazie a chi l’ha ferita e

le ha fatto del male. Grazie a quella professoressa del liceo che mi mise un 3 ad un tema, grazie a

lei, che mi disse che non sapevo “né scrivere, né parlare”, grazie a chi mi ha bocciato un anno e

grazie a quella professoressa di architettura che mi buttò le tavole a terra (non era quella la mia

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strada!), grazie davvero. Senza di voi non sarei mai arrivata fin qui. Grazie a tutti, nel bene e nel

male.

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