Coolclub it - Giugno 2016

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GRATUITO Anno XIII Numero 83 Giugno 2016 Ogni mese un mondo di cultura in Puglia

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In distribuzione in Puglia e in altre città italiane il nuovo numero di Coolclub.it, mensile di musica, libri, cinema, teatro, arte, eventi. Carmine Tundo con il progetto La Municipàl è il protagonista della copertina e dell'intervista di apertura a cura di Osvaldo Piliego

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GRATUITOAnno XIII

Numero 83Giugno 2016

Ogni mese un mondo di cultura in Puglia

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Piazza Giorgio Baglivi 1073100 LecceTelefono: 0832303707Cell: 3394313397e-mail: [email protected]: www.coolclub.itfb: Coolclub.it - tw: Coolclublecce

Anno XIII Numero 83 - Giugno 2016Iscritto al registro dellastampa del tribunale di Lecceil 15.01.2004 al n.844

Collettivo redazionalePierpaolo Lala (Direttore responsabile), Osvaldo Piliego, Dario Goffredo, Chiara Melendugno, Antonietta Rosato, Toni Nisi, Cesare Liaci

Inude - Vudz - Jolly Mare - Keep Cool Valerio Daniele - Vinicio Capossela - Luigi Mariano - Emanuele TondoAntonio Amato Ensemble - LuceBlogFoolk - Skanderband

MUSICA - 12/29

Carmine Tundo - La Municipàl

INTERVISTA - 6/11Tornerà un altro inverno

EDITORIALE - 5

Alessio Viola - Federico Mello - Coolibrì

LIBRI - 30/37

Salvatore Della VIlla - Alice e le altreSabina Andrisano

CINEMA/TEATRO - 38/41

Erebo - Maria MulasSimone Cerio

ARTE - 43/47

Food Sound System - Brodo di frutta Affreschi&Rinfreschi - Stanza 105 I Quaderni del senno di poi

BLOG - 48/53

Speciale Festival - Sud Est IndipendenteRosamarino - Città della Musica

EVENTI - 54/63

SOMMARIO

Hanno collaborato a questo numerola redazione di BlogFoolk (Salvatore Esposito, Ciro de Rosa), Jenne Marasco, Laura Rizzo, Alessandra Magagnino, Riccardo Giulietto Greco, Teresa Serripierro, Giulia Maria Falzea, Giuseppe Amedeo Arnesano, Lorenzo Madaro, Donpasta, Adelmo Monachese, Mauro Marino, Mino Pica, Francesco Cuna

In copertina La Municipàl - foto Giacomo Rosato

Progetto grafico e impaginazione Mr. Scipione

StampaColazzo Srl - Corigliano d’Otranto (Le)www.colazzo.it

Chiuso in redazione sempre e comunque in ritardo

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Gli organizzatori di eventi della Puglia e del Salento in particolare amano e odiano l’esta-te. La amano perché è una buona occasione per lavorare, per pensare e progettare con-certi, festival, appuntamenti vari. La odiano perché sanno che, mentre tutto il resto d’I-talia e non solo, decide di venire a passare le vacanze da queste parti, loro saranno sotto il sole cocente per far divertire quei turisti. Se durante l’inverno i grandi tour passano difficilmente a queste latitudini (carenza di strutture, poco ipotetico pubblico, difficoltà nei trasporti), durante l’estate - negli ultimi anni - il meglio della musica nazionale e in-ternazionale ha fatto tappa da queste parti. L’estate 2016, nonostante la crisi e l’attua-le situazione di stallo della Regione Puglia, che al momento ha completamente chiuso i rubinetti non sostenendo rassegne e fe-stival (e speriamo che qualcosa si sblocchi), condurrà qui tanti nomi interessanti. Forse meno degli altri anni - gli organizzatori sono spregiudicati ma non totalmente pazzi - ma comunque mantenendo una elevata qualità.

Nelle pagine finali del giornale trovate una breve mappa dei festival dell’estate puglie-se (con qualche incursione in Italia e all’e-stero). Non c’è tutto ma c’è molto di quello che accadrà (ci scusiamo con gli assenti). Nel suo piccolo Coolclub ha deciso di dedicare all’indie rock italiano la decima edizione del Sud Est Indipendente che dal 15 al 17 luglio sarà ospitato dall’Ostello di San Cataldo di Lecce con una succosa appendice a Lecce il 17 agosto. Tra gli ospiti anche La Municipàl, band nata dalla complicità sonora e canora dei fratelli Carmine e Isabella Tundo. A loro è dedicata la copertina di questo numero. Dopo Daniele Silvestri era arrivato l’artista Millo, dopo i Negramaro ecco La Municipàl. Mainstream ed emergenti, pop e indie, cer-tezze e scommesse: in questi numeri abbia-mo cercato di raccontare la Puglia (con più spazio a Lecce e alla sua provincia) culturale che pullula e si muove. Da organizzatori e comunicatori di questa lunga estate di con-certi ed eventi vi auguriamo buona lettura e buon divertimento.

EDITORIALE

TORNERà UN ALTRO INVERNO

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È insolito e allo stesso tempo un piacere dedicare la copertina del nostro giornale a una band “emergen-te” parola ormai destinata al dimenticatoio come la stessa definizione di musica “indipendente”. È il tem-po di fenomeni nuovi, di percorsi artistici fulminei, di successi che nascono dal basso o grazie al popolo del-la rete. In questo disorientamento, in questa sorta di “caos calmo”, spesso si fanno spazio piccole gemme che conquistano orecchie e cuore in una manciata di ascolti. È successo con La Municipàl, band di Carmine Tundo, “creativo” salentino dalla storia artistica così lunga che servirebbe un altro articolo per raccon-tarla, che insieme alla sorella Isabella ha intrapreso qualche anno fa un percorso fatto di brani e video

LA MUNICIPàLL’autore, cantante e polistru-mentista Carmine Tundo ci parla de “Le nostre guerre perdute”, disco d’esordio del progetto che condivide con la sorella Isabella.

a cura di OSVALDO PILIEGOfoto RICCARDO GIULIETTO GRECO

INTERVISTA

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caricati in rete. Un progetto senza volto in principio, un lavoro casalingo, che piano pia-no è cresciuto, è entrato nelle stanze di tan-tissime case, ha colpito e affondato sempre più animi sensibili. “Le nostre guerre perdu-te” - prodotto dalla Rivolta Records, con il sostegno di Puglia Sounds Record e distri-buito anche in edicola con quiSalento - era un disco atteso da molti. Il suo arrivo è stato accolto con entusiasmo anche dalla nostra redazione. È un album che fotografa una ge-nerazione perduta, con il bagaglio sempre ai piedi del letto, le proprie cose e i sentimenti sparsi negli appartamenti universitari. Can-zoni come cartoline di un viaggio per cerca-re di capire se stessi, parole come moderne dichiarazioni d’amore. Amarezza, nostalgia e una rabbia sottesa sono solo alcuni dei sentimenti che La Municipàl riesce a rac-contare con un linguaggio nuovo, poetico e cinematografico. Ne abbiamo parlato con Carmine Tundo, autore dei brani, polistru-mentista, cantante e produttore del cd.

Il vostro progetto è la fotografia del tempo che viviamo e allo stesso tempo l’analisi di un passaggio. È la fatica di crescere. È uno sguardo al passato. È la paura del futuro...Ogni giorno da qualche anno a questa parte mi sveglio con delle convinzioni opposte a quelle con cui vado a dormire la notte prima. E il mondo attorno non mi aiuta a fare chia-rezza. Mi contraddico di continuo ma questo repentino cambio di prospettiva può essere identificato come qualcosa di simile alla vita.

Canzoni come cartoline da luoghi dell’anima, che conservano ricordi, che hanno visto l’a-more o qualcosa di simile…Guardando il disco dall’esterno, ora vedo più che altro ogni canzone come un dente dolorante estirpato dalla carne, ma la calma apparente che ne sussegue è solo un posto nuovo per altri denti che cresceranno storti.

E poi ci sono i posti reali, la provincia lecce-se, Milano, Ferrara, le stanze, la distanza, la separazione.

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Credo che nella mia testa tutte queste città facciano parte di un unico luogo, dove ci but-to dentro i miei ricordi sfocati. Ho una cat-tiva memoria e tanti dettagli che ho vissuto e descritto nei brani neanche li ricorderei se non fossero in una canzone.

Lettere appunto, il disco a volte assume i tratti di un romanzo epistolare, brani come piccole dichiarazioni d’amore. A volte la mu-sica ha il potere di farci dire quello che le pa-role non possono.È proprio così, molti brani di quest’album sono stati scritti per una persona. Fino a qualche tempo fa scrivevo e registravo di corsa e consegnavo il cd alla persona in questione e lasciavo che la canzone dices-se quello che non avevo il coraggio di dire. Poi il potere della musica può trasformare una cosa così intima in un qualcosa di diver-so, chiunque può fare proprie quelle strofe e buttarci dentro i suoi ricordi, ed è un po’ quello che è successo con alcuni brani de La Municipàl

Questo progetto arriva dopo una serie di esperienze, è Carmine ma è anche Isabella, tua sorella. È un disco intimo e corale allo stesso tempo, come funziona La Municipàl?Funziona che io ingoio e sputo la merda e mia sorella con la sua dolcezza riesce a ripu-lire il volto di quello che proponiamo. Ed è qualcosa di importantissimo, perché posso dire tutto quello che voglio, al primo ascolto veloce i nostri possono sembrare dei pezzi piacevoli e qualche volta allegri, prendendo “quasi per il culo” chi ascolta distrattamente le nostre canzoni. Isabella è il mio filtro, sen-za il suo apporto sembrerei solo un depresso con manie autodistruttive e senza nessuna prospettiva sul futuro, un cantautore spac-capalle insomma, che in fondo sono.

È difficile cantare l’amore ma è allo stesso tempo impossibile non farlo. È questo il mo-tore immobile del disco? Non so rispondere a questa domanda, In questo preciso istante ho una visone molto cinica della questione, attendo qualcosa che

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mi faccia ricredere. Di certo l’amore smuove la parte più profonda di noi stessi e a volte ci lascia sospesi, leggeri a guardarci felici dall’alto, altre volte libera solo i mostri inte-riori.

Per un po’ La Municipal non ha avuto un vol-to, perché?Perché è un progetto nato per gioco e non mi sentivo a mio agio nel cantare determi-nati testi in pubblico e inoltre volevo fare un tipo di percorso che non mettesse il per-sonaggio davanti alla musica. Una scelta po-litica che va in controtendenza rispetto al trend dei reality e talent show, volevo che la canzone e la musica fossero messe in pri-mo piano rispetto alla figura fisica dell’ar-tista. Inizialmente non volevo fare neanche dei live. Poi viste le numerose richieste, ho cominciato a fare i primi concerti e da lì si è sbloccata un po’ la situazione, ma cerco sempre di portare avanti una certa linea guida. Infatti, anche nel video del singolo “George (Il mio ex penfriend), diretto da Ac-quaSintetica, ho scelto di non apparire.

Il disco ha avuto una gestazione lunga, poi all’improvviso un’accelerazione. Ogni brano scritto in questi anni è stato accompagnato da un video. Questo ha innescato un effet-to virale, tante visualizzazioni. Ci racconti la gestazione di “Le nostre guerre perdute”?Il disco è nato un po’ per gioco, ho fatto realizzare i primi video da artisti che mi piacevano molto come Hermes Mangia-lardo per “Via Coramari” e Gianni Donvito per “Valentina Nappi”, poi avendo a dispo-sizione tanto materiale video grazie ad un altro mio progetto insieme al regista Anto-nio Passavanti, ho utilizzato le immagini di un mio corto per “Il mercante di occhi”. Mi sono divertito molto e ho deciso di realiz-zare i video successivi da me con l’aiuto del mio chitarrista Roberto Mangialardo e quin-di si è accorciato il tempo di realizzazione.

E ogni volta che finivo di registrare un bra-no avendo qualcosa di importante da dire, lo pubblicavo, senza pensare a un disco, e questo ha dato dignità e la giusta visibilità a ogni brano. Poi dopo sette singoli era arri-vato il momento di racchiuderli in un disco, da qui lo sprint finale per realizzare “Le no-stre guerre perdute”.

Musicalmente il disco ha una costruzione per strati. È acustico, elettrico, elettronico. Le voci sono l’elemento che tiene insieme tutto, il rifugio. Come avete lavorato per arrangiare i brani. Chi ha lavorato con voi?Parte tutto dal mio studio in campagna, che ho ribattezzato Discographia Clandestina, vivendoci dentro ho avuto tutto il tempo di lavorare agli arrangiamenti e alla produzio-ne, collaborando con molti musicisti e foni-ci/amici della scena leccese. Poi la decisione di pubblicare il disco con La Rivolta. Siamo entrati in studio nei Laboratori Musicali con la band - Gianmarco Serra, Matteo Bassi e Roberto Mangialardo - dove abbiamo ulti-mato i nuovi singoli grazie anche all’appor-to di Paolo del Vitto, Guglielmo Dimidri ed Emiliano Bassi.

L’album esce per la Rivolta Records, un’eti-chetta intorno alla quale si è costruita una comunità, una famiglia. Mancava da tempo da queste parti una scena, un movimento in cui in molti si riconoscono e partecipano. Ce ne parli?Sono molto fiero della mia scelta di uscire con La Rivolta, da due anni a questa parte siamo riusciti a creare una squadra, grazie al nucleo combattivo composto da Nu-shu, l’altra mia band, Playontape, Teenage Riot e Misteri del sonno e al coordinamento di Paolo del Vitto, presidente e produttore de La Rivolta. Siamo riusciti a creare una famiglia, abbiamo condiviso tanti palchi in-sieme, ma più che altro abbiamo deciso di supportarci l’un l’altro cercando di creare

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una scena, se non ci si vuole bene e non ci si rispetta non si va da nessuna parte, e inol-tre è inutile fare dischi se non c’è un pubbli-co che li segue o viene ai tuoi concerti. Da qui ho fatto una scelta di cuore, accoglien-do la sfida dell’amico Paolo che continua a lavorare per ingrandire La Rivolta con nuo-ve uscite e nuove sfide.

Sei impegnato in molti progetti, sei autore, batterista e tanto altro. Quante cose fai?Ne faccio tante male: suono la batteria ma non sono un batterista per esempio, faccio dei corti ma non sono un regista e così via. Ho solo deciso da qualche anno a questa parte di realizzare tutte le idee che avevo in testa, più che un musicista mi definisco un creativo, e se posso pensare qualcosa, signi-fica che la posso creare, e quindi ho deciso di buttarmi, levandomi di dosso le ansie e le paura, è la paura che ci blocca. Ho deciso di buttare fuori tutto quello che ho, la mia più grossa paura è quella di svegliarmi un gior-no e non avere nulla da dire, nulla da scrive-re o non avere dei suoni in testa. E quindi pubblicherò un grosso numero di dischi, non mi importa neanche della qualità, ho bisogno di buttare fuori tutto, in autunno pubblicherò il mio disco di elettronica, poi il secondo album di Nu-shu e poi al lavoro su altri progetti per il 2017.

C’è tanta attenzione e tanto affetto intorno al progetto La Municipal, quali sono i vostri prossimi impegni?Dopo tutta la fase produttiva, durata anni è arrivato il momento di portare in giro que-sto disco. Partirà un tour che ci vedrà impe-gnati in festival e rassegne. In realtà non vedo l’ora di rientrare in studio perché ho già scritto il secondo album de La Municipàl ma è appena uscito il primo e prima di pub-blicarne un secondo è cosa buona e giusta che qualcuno ascolti questo.

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MUSICA

All’ombra degli ulivi, al riparo dalla calu-ra della controra, c’è un Salento digitale che fermenta. Un mosto nuovo destinato a prendere corpo e sostanza, a diventare quella che nella sua eterogeneità si può definire una scena. L’elettronica made in Sa-lento vanta radici antiche, padri fondatori e precursori già negli anni 90. Mai come oggi sembra però così vivace e dinamica. È il caso di progetti come Populous, Congorock, Jol-ly Mare. A questi e ad altri si aggiungono i giovanissimi Inude. Sono Giacomo Greco e Flavio Paglialunga ed escono in questi giorni con il loro primo ep dal titolo “Love is in the eyes of the Animals” pubblicato da Panora-ma Musique Records. Un album elegante, la nuova visione del soul contemporaneo, un’interazione uomo-macchina come una liason amoureuse. Un esordio che li promuo-ve immediatamente tra le cose più interes-santi in circolazione.

Inude sembra la crasi, la contrazione o qual-cosa di simile, dell’espressione “essere nudi”, “mettersi a nudo”. È un po’ la vostra idea di musica?La musica stessa per noi è sincerità, un’onesta apertura verso l’altro: laddove i nostri carat-teri non arrivano la musica ci aiuta a dire qual-cosa che forse in una normale conversazione non diremmo mai, ci spoglia di alcuni impedi-menti verbali mettendoci a nudo, neutraliz-zando e dando una forma alle nostre paure. Sì, è la nostra idea di musica.

In un’occasione vi ho detto che secondo me suonate musica soul. Cosa ne pensate?Su questo punto abbiamo pensieri contra-stanti, forse adesso riusciamo a dire solo quello che non facciamo. Indubbiamente l’in-fluenza soul in alcune melodie e nel cantato è fortissima, ma troviamo difficile definire la nostra musica con un solo genere.

INUDE“Love is in the eyes of the Animals” propone una nuova visione del soul contemporaneo

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Ascoltandovi vengono in mente nomi come Thom Yorke, James Blake, ma c’è tanto altro nella vostra musica.È facile rifarsi a quelli che noi riteniamo es-sere i pilastri della musica contemporanea, ma a questo aggiungiamo una buona dose di varie influenze musicali; entrambi veniamo da esperienze e ascolti del tutto differenti, in alcuni brani vien fuori un’anima etno-folk mentre in altri un’anima elettronica under-ground. Forse è un obiettivo più grande di noi, ma ritenendo la musica il linguaggio uni-versale vorremmo riuscire a creare un suono universale ed avvicinare generi e pensieri in un periodo in cui la divisione sembra preva-lere su tutto.

Nonostante la forte componente elettronica dei vostri brani, dal vivo suonate quasi tutto in diretta. È in quel momento che diventate tre e non più due…

Immaginiamo l’elettronica come un altro componente del gruppo ed è come se ci rap-portassimo ad essa come una figura fisica, cercando un equilibrio tra gli elementi che abbiamo a disposizione e non lasciando mai troppo spazio alla macchina. Veniamo da altri generi e suoniamo entrambi da tanto tempo, quindi ci diamo da fare per rendere tutto quanto più live possibile. Anche per questo motivo con noi c’è Francesco Bove, il terzo elemento della band: oltre ad esse-re un fonico ed ancor prima un musicista, si occupa di looppare, effettare e fare tutto quello che le nostre quattro mani non con-sentono. Quindi in tutto direi che siamo in quattro.

Avete preso il tempo giusto per queste nuo-ve tracce, avete incontrato le persone giuste che hanno collaborato con voi. Ci racconti la gestazione di questo ep?Siamo molto felici di come stanno andando le cose, si è creato un team che ci sprona e ci aiuta a dare il massimo e ci riteniamo fortu-nati ad aver incontrato persone che credono in questo progetto tanto quanto noi. Abbia-mo anche avuto il piacere di collaborare con Jo Ferliga degli Aucan che si è occupato del missaggio e del master finale.

Federico Fiumani canta “il vero amore è negli occhi di un cane vagabondo” il vostro disco si intitola “Love Is In The Eyes Of The Animals”. Cosa significa per voi?Fiumani canta il vero. Viviamo con una sen-sibilità particolare i nostri tempi, ed i nostri testi sono spesso delle riflessioni aperte sul-la figura dell’uomo e sul suo rapporto con la natura. “Love is in the eyes of the animals” è un verso di Hudea, uno dei brani dell’Ep: crediamo fermamente che l’unica vera for-ma di sentimento puro sia insita nella parte più istintiva ed animalesca dell’uomo. Forse ce ne stiamo dimenticando. (OP)

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VUDZ Un viaggio tra balcani, elettronica, swing, funk e jazz

Da sempre la Puglia è terra di incontri, di mescolanza, di arrivi e partenze. Un’immagi-ne ormai inflazionata, forse, che però rende bene l’idea di cosa in questi anni è successo dal punto di vista musicale. Quelli che erano i nostri generi di tradizione ne hanno incon-trati altri e ne sono stati irrimediabilmente influenzati. Questa ibridazione ha generato mostri ma in molti altri casi ha tracciato nuo-vi percorsi musicali molto affascinanti. È il caso delle musiche dei dirimpettai balcanici che hanno trovato dall’altra parte del mare una nuova linfa e musicisti in grado di elabo-rare nuove grammatiche musicali. È così che nascono i Vudz, incontro appunto tra viaggi musicali diversi approdati in un progetto ca-pace, partendo dalle musiche dei balcani, di spaziare nell’elettronica, lo swing, il funk, il jazz. Il risultato è “Balkan trip” uscito in que-sti per Bajun records in collaborazione con Irma records. I Vudz sono Giancarlo Dell’An-na (tromba), Luca Manno (sax), Gianluca Ria (bassotuba), Cristian Martina (batteria) e Marco Rollo (piano e synth) che ha risposto alle nostre domande.

Siete musicisti che da sempre orbitano in numerosi progetti, come e quando nasce l’idea di mettervi insieme?Prima di tutto, siamo amici che suonano in-sieme. Ci siamo conosciuti dieci anni fa con il progetto Opa Cupa. VudZ parte inizialmente dall’idea mia e di Giancarlo di allargare quel-lo che all’epoca era un duo, i Balkan Trip, che ha dato il nome al disco. Così è nata la band.

Il Salento, da anni ormai, vanta una scena che guarda e s’ispira ai Balcani. Anche nel vostro sound si sente questa influenza, è forse il punto di partenza?La realizzazione di un progetto è sempre un punto di arrivo. Provenendo da un’esperien-za di musica balcanica abbiamo lavorato su brani che avevano quella matrice. Successi-vamente, realizzando i nostri brani inediti ci siamo allontanati da quell’area geografica musicale, con molta naturalezza.

C’è anche tanto altro, un’attitudine swing incontra il jazz elettrico, i ritmi in levare e l’amore per la canzone…Ognuno di noi ha contribuito alla realizza-

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zione delle undici tracce. Cristian nel bra-no “Blakey” ci ha messo tutto il suo sound afro-jazz. Luca è l’uomo Balkan Jazz del gruppo, con il suo stile unico che si può apprezzare in “Estam Bretone” e “Hora”. Giancarlo con le sue melodie orecchiabili e ballabili caratterizza “Snatch” e “Gambling”. Io sono l’anima più elettronica nordica in “Breakfast Groove” e “The Bridge”. Gianluca è il groove inconfondibile dei VudZ. Tante e piacevoli sono le collaborazioni all’interno del disco. Il bassista Fabrizio Palombella con il brano “Game Over”. Alessandro Monte-duro alle percussioni in “Blakey”. Lele Spe-dicato dei Negramaro con la sua chitarra in “Snatch”. Altri amici come Luigi Bruno (chitarra), Rocco Nigro (fisarmonica) e le Femme Folk. Un ringraziamento per il loro grande supporto va a Papa Leu, Rankin Lele e Morello Selecta che credono fortemente in noi. Come Riccardo Rinaldi, co-produttore per Irma Records con la sua etichetta Bajun Records.

Come avete scelto le voci del disco?Abbiamo scelto di dar voce e testo ad alcuni brani. Giorgia Faraone, l’unica voce femmini-

le, ha contribuito alla stesura del testo e me-lodia del brano “Bubble”, che delinea il cam-bio dello stile dal balkan al funky electro. Giorgia è la cantante ufficiale del gruppo nei live. Vincenzo Baldassarre, voce esplosiva che ha firmato i brani “Blakey”, impreziosito dalle note del sassofonista jazz Rosario Giu-liani, e “No trust”. Collaborazione di rilievo è quella di Giovanni Pellino, in arte Neffa. In occasione della partecipazione dei nostri fiatisti nel suo brano sanremese “Sogni e nostalgia”, ha deciso poi di dare testo e voce a “Sorcery”, con un risultato affascinante.

La danza è un elemento strettamente lega-to al vostro sound, il vostro incedere ritmico è un invito a muoversi, a ballare. Come vive-te la dimensione live?I nostri live da sempre sono stati accom-pagnati dalla forte energia sprigionata da ritmiche avvolgenti e dinamiche. E quando essa si propaga e raggiunge la pelle di chi ascolta è inevitabile il coinvolgimento. Il movimento danzante è creativo ed è uno scambio necessario e vivace tra noi e il no-stro pubblico. (OP)

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JOLLY MARE “Mechanics” è l’esordio discografico del nuovo astro nascente dell’italo disco nel mondo

Ancora buone notizie dalla musica elet-tronica “made in sud”. Michele Martina, in arte Jolly Mare, è il nuovo astro nascente dell’italo disco nel mondo. Una definizione comunque riduttiva per un compositore che attinge al pop italiano di Vasco Rossi e Pino Daniele così come alla musica col-ta. Un approccio fresco che lo ha portato a esibirsi sui palchi di grandi festival come Sonar e frequentare nel 2013 la Red Bull Music Academy. Esce in questi giorni il suo primo album “Mechanics”, pubblicato in Italia da 42 records e in America su vinile per Bastard Jazz.

Da tempo c’era bisogno di un nuovo “mar-chio italiano da esportazione” e poi arrivi

tu, in poco tempo hai fatto tantissime cose, ci racconti la corsa che ti ha portato fino a “Mechanics”?Si un po’ di cose le ho fatte, ma quando mi guardo indietro l’unica cosa che penso è che avrei potuto fare molto di più. Forse è per questo che ho deciso di lavorare ad un album, per raccontarmi e per riflettere. Se scrivi un EP hai poco tempo per soffer-marti sui dettagli, i brani sono pochi. Io vo-levo andare nel dettaglio, poter mettere a fuoco i particolari, giocare con i generi e con gli stili.

Italo disco è una definizione riduttiva per descrivere la tua musica, che è intrisa di riferimenti alla nostra tradizione italiana

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anni ‘80 ma è anche piena di riferimenti colti.Hai ragione, fa comodo classificarla cosi ma sono contento che tu ci veda dell’al-tro. Il richiamo al passato non è istintivo, non lo faccio in maniera consapevole. Quando mi siedo a comporre o ad arran-giare un brano non mi impongo di suo-nare “settanta” o “novanta”, mi lascio guidare dal suono, da quello che vuole comunicarmi. Per questo nella mia musi-ca è facile trovare un vecchio piano elet-trico accostato all’assolo di una tastiera super moderna. Perché è proprio questo che mi diverte, poter giocare con l’esteti-ca senza l’obbligo di scomodare l’immagi-ne e la materia.

Ci parli del tuo singolo “Hotel Riviera” con Lucia Manca? Una canzone che ha dentro un mondo di suggestioni, un omaggio...È un brano autobiografico, scritto per raccontare la fine di una storia che si era conclusa da poco. Parla di una coppia che si rivede in un hotel fatiscente lungo la riviera romagnola dove comprende che non c’è più futuro ed è tempo di salutarsi definitivamente. C’è dentro l’estetica del cantautorato dei primi ottanta, anche se di tanto in tanto parte qualcosa che confon-de totalmente l’ascoltatore, non sopporto l’idea di essere didascalico.

Il disco ha poi un grande respiro interna-zionale, una costruzione di atmosfere mol-to differenti tra di loro, passi dal dance flo-or a momenti decisamente più distesi.Perché non mi piace pormi dei limiti, vo-glio produrre senza esclusione di colpi e senza distinzione di genere. Se proprio dovessi essere classificato o ricordato, mi piacerebbe esserlo per il gusto più che per un genere specifico.

Come nascono le tue collaborazioni? Chi ha lavorato con te a questo disco?Da una buona intesa a livello personale, senza quella non può nascere niente di in-teressante. A parte Lucia gli altri cantanti del disco li ho conosciuti a New York qual-che anno fa, per mail ho inviato una stru-mentale a testa e loro mi hanno mandato indietro la linea vocale ed il testo. Non ho dovuto modificare nulla, era già tutto perfetto al primo colpo. Alex Semprevivo che suona batteria e percussioni nel disco è uno dei miei amici più cari, con cui ho co-minciato a suonare la chitarra poco più che adolescente. Paco Carrieri l’ho ascoltato per la prima volta molti anni fa in un live insieme ad Alex e sono rimasto shockato, allora non producevo neppure. (OP)

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VALERIO DANIELE Due nuovi lavori discografici per il chitarrista, compositore e produttore salentino

Chitarrista, compositore, anima di uno stu-dio di registrazione e produttore: Valerio Daniele da molti anni mette pensiero e mani in numerose produzioni musicali che si muo-vono dal Salento. Difficile fare un elenco dei musicisti e delle voci con cui ha collaborato e molto ingombrante anche lo scaffale di pro-getti discografici che portano la sua firma e che variano tra jazz, musica popolare, musi-ca colta e molto altro. Recentemente sono usciti “Acqua minutilla e ientu forte” in cop-pia con il trombettista Giorgio Distante per il collettivo DeSuonatori e “Sine Corde”, per l’etichetta Anima Mundi con il sostegno di Puglia Sounds. Partiamo dall’esperienza dei Desuonatori (www.desuonatori.it). Il sottotitolo è tutto un programma: coordinamento di autopro-duzioni per la socializzazione di musica inedi-ta in nuovi contesti di fruizione. Il progetto

coinvolge molti musicisti ed esperienze pro-venienti da tutta la Puglia. Qual è il bilancio di questi primi tre anni di lavoro?Dieci dischi pubblicati, due stagioni di con-certi e tantissime persone incuriosite: lo de-finirei un bilancio positivo. Stiamo proprio in questi giorni programmando la terza stagio-ne di concerti e abbiamo tre nuovi dischi in cantiere. Molti musicisti italiani (e non) han-no aderito al progetto. Credo che il nostro lavoro sotterraneo abbia stimolato idee e generato qualche piccola possibilità. Ne sia-mo felici.

Parlaci di “Acqua minutilla e ientu forte”, del tuo incontro con Giorgio, del criterio che ave-te seguito per comporre i brani e del perché della scelta di “rivisitare” Fimmine Fimmine. Il mio incontro con Giorgio risale ormai a mol-ti anni fa, credo una quindicina. Di lui ho sem-pre amato l’estrema profondità d’approccio,

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la serietà con cui pensa la musica, oltre che il lirismo straordinario di cui è capace. Abbia-mo, in tutti questi anni, partecipato a decine di progetti, fino a quando, un paio d’anni fa, immaginammo un lavoro su misura per noi. Con chitarra elettrica, tromba ed effettistica analogico/digitale. All’inizio gran parte del concerto era basato sull’improvvisazione, sulla composizione istanta-nea, anche grazie alla tra-smutazione timbrica e alla non prevedibilità ottenibile attraverso un certo uso degli effetti. Non amiamo e non utilizziamo, ad esempio, la loop station il cui principio di ripetitività è opposto al suo-no e al risultato dinamico che vogliamo ottenere. Predili-giamo invece suoni in perenne movimento e mutamento, riverberi, stratificazioni, mo-dulazioni estreme. Gradualmente, tuttavia, abbiamo deciso di virare verso una scrittura più meditata. Siamo, sia io che Giorgio, aman-ti dei temi lunghi e appassionati oltre che dell’improvvisazione. Trovo che il disco sia una concilia-zione fra queste due anime. “Due giornate nel campo di tabacco” è una nostra ver-sione del brano tradizionale “Fimmene fimmene”. Abbia-mo immaginato la scansione temporale di due giornate di lavoro e della notte che le separa. Perché un brano tradizionale? Perché no? La melodia di quel canto è ricca di un fascino eterno, di una memoria antica, atavica e di asprezza, ruvidi-tà, bellezza.

Fimmine Fimmine è, in qualche modo, il pun-to di congiunzione con Sine Corde, appena uscito per Anima Mundi. Undici canti, quasi tutti tradizionali ma poco presenti nella di-scografia attuale, nei quali sei accompagnato da alcune voci importanti e da pochi altri mu-sicisti. Raccontaci la genesi di questo disco e

la necessità che ti ha spinto a confrontarti e trasformare il repertorio della musica popo-lare salentina.Ho lavorato e lavoro tuttora come chitarrista e arrangiatore per molti progetti di cantori e cantrici della riproposta. Da qualche anno

progettavo di condensare in un disco la mia personale visione su una parte del re-pertorio tradizionale salen-tino. Nel tempo, il fascino che le singole melodie eser-citavano su di me ha lasciato il posto alla generazione di una sorta di universo inter-no organico e unitario. Non so spiegarlo bene a parole… tuttavia, credo che il disco ne sia una diretta conseguenza. Ho smesso di considerare le

melodie tradizionali come occasione per co-struirvi arrangiamenti. Ho cominciato invece a scrivere musica di sana pianta, a cercare connessioni sottili ma viscerali fra un certa via compositiva e quel linguaggio antico, una sorta di personale semantica, in fondo, che

prescindesse completamente dalla parafrasi e che invece porgesse la musica all’ascol-tatore in modo diretto, crudo, naturale. Anche l’improvvi-sazione, che nei precedenti lavori assumeva un carattere rilevante, su “Sine corde” ha lasciato il passo a cellule so-nore più essenziali e rigorose. Il testo è quasi sempre canta-to integralmente, spezzato il meno possibile; ho preferito introduzioni o code strumen-

tali agli intermezzi. Alessia Tondo, Enza Pa-gliara, Dario Muci, Ninfa Giannuzzi, Rachele Andrioli, Emanuele Licci, Marco Stanislao Spina (marimba), Giorgio Distante (tromba), Roberto Gagliardi (sax e harmonium) ed Egi-dio Marullo (videoclip) sono le persone che ho voluto al mio fianco per questo lavoro. E li ringrazio infinitamente per la generosità e per l’unicità che esprimono nella musica e nella vita. (Pilala)

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Chi conosce Vinicio lo sa: nei suoi dischi l’abito non solo fa il monaco, ma anche la tracklist. Con tanto di cappello adatto all’occasione. Dopo una gestazione, durata all’incirca 13 anni, il 6 maggio Capossela ha lasciato libere le sue “Canzoni della Cupa”, per travasarle in un doppio cd che stenta a trattenerle. Strabordano, vengono fuori dal supporto, uno e bino (se si passa il termine), composto, appunto, da due parti, due scom-partimenti di un unico treno, con destinazio-ne à rebours (e non solo). C’è polpa e osso, come il sapore delle terre da cui provengo-no; c’è pietra, magia, buio e luce accecante; ci sono “Polvere” e “Ombra”, come recitano i due titoli a cui è affidato il compito di pre-sentarle, distinguendo le sezioni. E c’è un Vi-nicio infilato in nuove vesti che profumano di folk e terre di frontiera. A noi il compito di prendere tutto il tempo necessario per fare, insieme al capotreno, questo viaggio lungo, a volte impervio, a volte sentimentale, in tut-ti gli anfratti narrati e cantati e suonati con maniacale (e vivaddio) premura. Non si fa a tempo a trovare un punto di riferimento che già, nella traccia successiva, si perde il ban-dolo della matassa. E si viaggia, di stazione in stazione, osservando dal finestrino un pa-norama variopinto, fatto di ballate, canti di lavoro, serenate d’amore e anche d’ingiuria, canzoni sui lupi mannari, pezzi da ballare, lamentazioni. Trovano posto santi, creatu-re fantastiche, demoni, atmosfere cupe e sentieri non battuti dal sole. Proprio questi ultimi rappresentano il filo conduttore del disco, quello che, in qualsiasi terra interna,

viene chiamato sentiero della Cupa e che la-scia intendere ciò che nella penombra non si deve (e si vuole) raccontare per intero. Quel-lo che si chiede alla “Polvere”, primo capitolo di questa epopea, non è immediatamente comprensibile: registrato nel 2003, a Cabras, in Sardegna, in un momento in un cui l’idea di creare un disco «folk rurale/ancestrale», per usare le parole di Vinicio, stava prendendo forma, modellando materia ardente che pro-veniva dall’Alta Irpinia, ma che presto trovò contaminazioni di vario genere e numero, è un’immersione in apnea nella tradizione, per cristallizzarne tempi, spazi atmosfere e pro-fumi. Nume pagano e tutelare di questa ope-razione, Matteo Salvatore, cantore di Apri-cena, la cui lingua aspra al sapore di pietra, come le cave da cui proviene, rappresenta la chiave di accesso. Meno in “Ombra” si resta nel secondo capitolo, quello che assomiglia di più al Vinicio a noi noto, che mescola per-sonaggi fantastici, creature mitologiche, ulu-lati, stridii di treno e fruscii di mani passate sul grano a canzoni dalle fattezze più rassicu-ranti. Il totale, composto da ventotto brani, fa un disco largo, largo come il supporto vo-lutamente fuori misura, tanto da non entrare in qualunque scaffale, largo come un poema epico che dilata tempo e spazio, largo come il numero degli strumenti usati e dei musicisti chiamati a rapporto e largo come il cappello del suo comandante, da cui, per ogni opera nuova, lo stupore viene fuori in vesti ben cal-zate. L’abito per Vinicio fa il monaco, eccome. Vi avevamo avvisati. Laura Rizzo

VINICIO CAPOSSELAIl lungo viaggio delle “Canzoni della Cupa”

Foto Luca Zizioli

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Antonio Amato è sicuramen-te uno dei volti più noti della musica popolare salentina. “Speranze” è il nuovo pro-getto discografico del suo ensemble appena uscito per Dodicilune con il sostegno di Puglia Sounds Record. In circa dieci anni di attività, il gruppo è riuscito a svilup-pare un sound originale, ri-conoscibile e alternativo al suono legato strettamente alla pizzica. Il cd propone, infatti, brani originali e bra-ni classici della tradizione (“La tabaccara” e “Vorrei Volare”) nei quali strumen-ti acustici e sonorità della tradizione si intrecciano con l’elettronica. I testi originali, pur ispirandosi alla poeti-ca dello stile popolare, af-frontano tematiche attuali. In scaletta anche “Lu Bene Mio” di Matteo Salvatore e “La Malarazza” di Domeni-co Modugno. L’ensemble è completato da Antonio Mar-ra (batteria), Armando Ciar-do (violino e viola), Valerio Rizzello (oboe e tastiere), Palmiro Durante (chitarra), Luigi Baldassarre (basso). Ospite il trombettista An-drea Sabatino.

ANTONIO AMATO ENSEMblESperanzeDodicilune

A sei anni di distanza da “Asincrono” torna Luigi Ma-riano. Il cantautore propone un pop/rock lontano dalle mode del momento. “Can-zoni all’angolo” (Esordisco/Audioglobe) contiene undi-ci tracce, tra ballate e ritmi graffianti con testi che tra-sudano rabbia, disillusione, sarcasmo, autoironia, malin-conia. Chitarrone acustiche, assoli elettrici, armoniche a bocca: Mariano si destreggia tra il rock americano e la tra-dizione folk italiana. Il suo-no in tre brani è arricchito anche dal quartetto d’archi diretto da Antonio Fresa. Il disco - prodotto artistica-mente e arrangiato come il precedente da Alberto Lom-bardi - ospita Simone Cri-sticchi (“Fa bene fa male”), Neri Marcore (“Canzoni all’angolo”) e Mino De San-tis, coautore di un brano tra italiano e dialetto salentino (“L’ottimista triste”). Com-pletano la tracklist la cover (tradotta in italiano) di “The Ghost of Tom Joad” di Bruce Springsteen e “Come orbite che cambiano” sulla fine del grande amore tra l’astrofisi-co Stephen Hawking e la sua prima moglie Jane.

lUIGI MARIANOCanzoni all’AngoloEsordisco/Audioglobe

Salentino d’origine, da anni trasferito per lavoro a Vi-cenza, il pianista Emanuele Tondo esordisce con “Sguar-do a Sud-Est”. Nonostante la lontananza da casa, in-fatti, lo sguardo musicale e artistico punta sempre nella direzione del tacco d’Italia. Il cd propone sette composi-zioni originali del musicista e due classici (My Ideal e I’ll Be Seeing You). «Molti brani hanno come titolo il nome stesso della località in cui ho vissuto e altri invece nomi di persone a cui mi sono lega-to», sottolinea Tondo. «Ho voluto fissare indelebilmen-te questi ricordi attraverso la musica e per mezzo di essa dar vita a tutti gli stati d’animo che mi hanno reso felice e tristemente abbat-tuto. Sono debitore verso la musica perché mi ha dato la possibilità di raggiungere l’essenza vera e autentica della vita». Il musicista è affiancato dal sassofonista Francesco Geminiani, dal contrabbassista Luca Pisa-ni, dal batterista Massimo Chiarella e dalla cantante Beatrice Milanese, autrice anche del testo del brano “Alfonsina”.

EMANUElE TONDOSguardo a Sud-EstDodicilune

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Un incidente in moto, il dolore, le cicatrici. Poi la rinascita: ricominciare dall’amore. Sono questi i “Segni” raccontati da Luce, cantautri-ce barese, nel suo disco d’esordio prodotto da C&M - Cultura e Musica di Tommy Cavalie-ri e con il sostegno di Puglia Sounds Record 2016. Il suo è un pop/rock cantautorale in cui i brani nascono da un giro di chitarra o di pianoforte, con influenze nordeuropee e italiane (dai Sigur Ros a Yaël Naïm, passando per i Mogwai, i Tango with Lions, Skin e Linda Perhacs con gli italiani Lucio Dalla, Lucio Bat-tisti, Elisa e Giuliano Sangiorgi).

Partiamo dal principio: il tuo percorso è cominciato molto presto. A 15 anni suona-vi il pianoforte e scrivevi i tuoi primi pezzi, nel 2013 hai autoprodotto il tuo primo EP “Ora”. Quando hai capito che la musica sa-rebbe diventata il tuo lavoro?La musica può portarti in giro per il mondo e ti rende indipendente economicamente. Ma questo è persino secondario, perché fare mu-sica ti rende libero. Libero da ogni forma di oppressione, dalla frustrazione, dallo spazio e dal tempo. La musica è un viaggio e la desti-nazione è sconosciuta. Quando suono, scrivo e canto sono libera.

E poi arriva “Segni”. Il momento in cui hai capito che avresti realizzato il tuo primo album…Il disco è il vero inizio per un artista, è lo strumento che ti permette di presentarti al mondo della musica in tutta la tua integrità.

Con il mio produttore Tommy Cavalieri (Sor-riso Edizioni Musicali), e con il management Roberta Ruggiero e Claudio Brescia (R&B Co-municazione e Produzione), abbiamo iniziato a lavorare al disco a Ottobre 2015, lascian-doci trasportare dall’energia positiva di ogni singolo pezzo. Qual è il punto di incontro tra le sonorità nordeuropee a cui ti ispiri e quelle che fan-no parte della tua terra?Le mie influenze musicali in questo disco si sono scontrate ma in maniera del tutto na-turale. L’ispirazione nord europea della parte musicale si è fusa al calore della scrittura in italiano, e tutto questo ha portato alla rea-lizzazione di “Segni”. Un disco che parla della mia rinascita, che ho amato dal primo istante, che è frutto di tanto lavoro e che abbraccia tutti gli ascolti fatti nella mia vita.

C’è una canzone a cui sei più legata?Oltre a “Segni”, che dà il titolo al disco e che parla di un momento molto difficile ma molto importante della mia vita, sono lega-ta a “La promessa”. È una canzone che parla della libertà di amarsi, della quotidianità, di una casa da dividere. È una canzone che sa di costruzione, che parla d’amore così come ne parlano “i grandi”: cucinare, addormentarsi e risvegliarsi con la persona che ami accanto, affrontare le diversità. Perché anche divider-si vuol dire crescere. E io adesso, per la prima volta nella mia vita, mi sento “grande” dav-vero.

LUCE“Segni” è l’esordio della cantautrice barese

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Anthony torna ma non è più lo stesso. Cambia il suo nome così come fa con la veste musicale che lo circonda. Anhoni è donna. È musica elettronica. È uno sguardo rivolto all’ester-no e non solo intimità dolorosa esplorata fino a questo mo-mento. Un lirismo dance inedito e pulsazioni nuove su cui la sua voce sembra liberarsi, prendere aria e restituire vento. “Hopelessness” è un disco energico dopo l’elogio della fra-gilità umana. Balliamo questa tristezza.

ANhONIHopelessnessSecretly Canadian

E poi arriva una voce, lo strumento per eccellenza, e il mon-do cambia consistenza. Delle voci mi innamoro da sempre, da quando ho cominciato ad ascoltare musica. E non poteva non succedere anche questa volta. Lei è Ala.ni per anni co-rista dei Blur e adesso autrice di un album capace di citare la prima Fitzgerald, di essere antico e moderno allo stesso tempo, carezzevole e straziante come tutti gli amori. Con-sigliatissimo, per me è già un classico, una sorpresa e una nuova passione.

AlA.NIYou and INo format

Ci si aspetta sempre qualcosa di più dai Radiohead e biso-gna ammettere che il loro marketing è sempre un passo avanti al mercato della musica. Anche questa volta scompa-iono dalla rete il tempo necessario per scatenare la psicosi collettiva per poi riapparire con il nuovo album. Un disco che mette da parte la sperimentazione per tornare alla forma canzone e un approccio intimista che tanto mi ha fatto ama-re “Ok Computer”. Metadone per i fan in crisi di astinenza.

RADIOhEADA moon shaped poolXL

KEEP COOL - Dall’Italia e dal mondo a cura di OSVALDO PILIEGO

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Alcune canzoni appartengono ai luoghi secondo me. I Band of Horses sono la mia auto sulla strada che costeggia il mare con la mia compagna, il mio cane e il surf. È inverno. Non cambieranno di certo la storia della musica ma sono in gra-do di rendere una giornata perfetta. A volte non bisogna chiedere molto altro a un disco. Rock da cowboy che con-templa grandi spazi, ispirato, ammiccante, trascinante, così lontano e così vicino. Non al livello dei primi album ma il ri-torno fa sempre piacere.

bAND Of hORSESWhy are you okCaroline

C’era molta attesa per questo disco che segna il nuovo cor-so degli Afterhours, band a cui tutti dobbiamo molto. Dagli anni ottanta ad oggi hanno costruito una discografia mo-numentale, hanno espresso una poetica nuova, esplorato suoni e visioni. E mentre Manuel Agnelli spiazza tutti con la sua partecipazione a un talent in qualità di giudice tornano con un disco rock come non facevano da tempo. “Folfiri o Folfox” parla di malattia, di morte e rinascita. Diciotto nuovi brani che sembrano dire “rock and roll will never die”.

AfTERhOURSFolfiri o FolfoxUniversal

Mistero della fede. Alcuni artisti italiani si muovono sempre nella penombra, anche quando, come in questo caso, brilla-no di luce propria. King of the opera è il nuovo progetto di Samuel Katarro, al secolo Alberto Mariotti. E questo album è il sunto della strada fatta fino a qui, la raccolta di brani vec-chi e nuovi e cinque cover (The Replacements, The Cure, The Waterboys, Tom Waits e Sonic Youth) celebrazione del 1985, anno di nascita di Alberto. Un viaggio liquido tra psichedelia, folk, rock.

KING Of ThE OpERAPangos SessionBuzz Supreme

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Nata nel 1998 dall’idea di Michele Lobacaro, polistrumentista e già fondatore dei Radio-dervish, di far interagire le tradizioni musi-cali delle due sponde dell’Adriatico, quella italiana e quella albanese, la Skanderband si è evoluta negli anni in un progetto musicale sempre più articolato, coinvolgendo nume-rosi musicisti e focalizzando la ricerca nel ri-annodare i fili che legano la musica arbëres-hë delle enclavi albanesi a quella della terra delle Aquile. Abbiamo intervistato il poli-strumentista pugliese per farci raccontare la genesi e la gestazione di questo progetto.

Come nasce l’esperienza di Skanderband?Skanderband nasce da un laboratorio che a sua volta prende forma dalla curiosità e dall’innamoramento per la musica albane-se. Quando nel 1991 crollò il regime comu-nista, in Albania si ebbe una vera e propria apertura dei confini di questa nazione, ed in particolare in Puglia assistemmo all’arri-vo della Vlora, questa grande nave carica di profughi albanesi che attraccò al porto di Bari. Da quel momento i contatti con l’Al-bania furono più intensi e già nei primi anni Novanta ci fu la possibilità di fare le prime

esperienze di viaggio in quel paese fino ad allora sostanzialmente sconosciuto. Quello che si sapeva ci arrivava da Radio Tirana che captavamo sulle onde medie e dove ascolta-vamo queste trasmissioni molto interessanti ed affascinanti per chi amava la world music. Una volta arrivati in Albania scoprimmo che era una terra ricchissima dal punto di vista culturale, pur essendo relativamente piccola come estensione del territorio e anche come popolazione. È in realtà un paese molto va-riegato e tra nord, sud e centro ci sono gran-di differenze musicali con stili molto diversi e tutti molti interessanti.

Nel corso di questi tuoi viaggi in Albania hai avuto modo di effettuare anche ricerche sul campo?Inizialmente quello che abbiamo fatto è sta-to recuperare quanti più documenti e ma-teriale possibile dall’Albania, quindi dischi, cd, cassette. Quando sono rientrato in Ita-lia, sulla base di questo interesse, ho avuto modo di conoscere anche musicisti albanesi che erano venuti da noi ed avevano anche avuto modo di suonare, e così c’è stato uno scambio più approfondito da cui sono nati

SKANDERBANDLe tradizioni musicali delle due sponde dell’Adriatico nel progetto ideato e diretto da Michele Lobaccaro

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poi anche viaggi fatti insieme a loro proprio in Albania. A partire dal 1998 abbiamo messo su diverse formazioni che hanno avuto come obiettivo quello di esplorare la musica alba-nese e più di recente questa esplorazione si è allargata alla musica Arbëreshë, quella che avevano portato in Italia coloro che erano emigrati cinquecento anni fa, creando poi diverse comunità. Ci sono diversi paesi ar-bëreshë in molte regioni del Sud Italia come Puglia, Molise, Calabria e Sicilia dove hanno conservato la lingua, le tradizioni, modi mu-sicali e anche l’impronta religiosa bizanti-na. Abbiamo dato vita, così a prima questo laboratorio e successivamente al disco per raccontare una storia di emigrazione che va da cinquecento anni fa, fino all’ultima onda-ta migratoria dagli anni Novanta al Duemila. Il racconto di fondo è interessante perché chi è venuto cinquecento anni fa, fuggen-do dalla dominazione ottomana, ha portato un certo tipo di musica, chi invece è venuto negli anni più recenti ha avuto modo di as-sorbire quella cultura e di arricchire ancor di più il patrimonio culturale albanese. Si è avuta la curiosa situazione con brani che che appartengono a tutte due le sponde dell’A-driatico ma sono suonati in modo differente, nello stile del Sud Italia e in quello balcanico dell’Albania. La musica del Meridione d’Italia ha subito l’influenza arbëreshë e viceversa, dando vita ad un laboratorio lungo cinque secoli di integrazione culturale ed oggi, per quello che accade con i grandi fluissi migra-tori, diventa un punto di vista importante da studiare.

Come hai scelto i musicisti che hanno preso parte al disco?Devo dire che il nostro non è stato l’unico progetto multiculturale in questo senso, perché in Puglia se ne sono creati anche altri, essendosi diffuso il grande amore per la tra-dizione albanese tra la fine degli anni Novan-ta e il Duemila. Ci siamo ritrovati a lavorare al disco proprio quei musicisti che avevano pas-sione per questo progetto e che provengono da diverse esperienze musicali in gran parte dalla world music. Partendo dalle voci si può dire che questo sia un disco tutto al femmini-le perché c’è innanzitutto Eleonora Bordona-

ro che è siciliana ma vive a Roma ed è attiva in diversi progetti musicali, ed è una appas-sionata ricercatrice dell’area arbëreshë del-la Sicilia. Lei collabora anche con Ambrogio Sparagna, il quale ci ha donato “Kendime”, brano da lui composto ed ancora inedito che nasce da un testo recuperato da una raccol-ta di canti arbëreshë dell’Ottocento. Ci sono poi Meli Hajderaj, cantante albanese dalla voce meravigliosa, arrivata in Italia negl’an-ni Novanta, e Mimma Montanaro, arbëreshë dalla voce antica di San Marzano in Provincia di Taranto, altro luogo ricchissimo di tradi-zioni. Venendo, invece agli strumentisti, ab-biamo la violinista albanese Anila Bodini che ha collaborato a lungo ed è stata parte anche dei Radiodervish, Guido Sodo che è un altro esperto di musica etnica, Max Però all’orga-netto, Pierpaolo Petta alla fisarmonica che è un musicista arbëreshë di Piana degli Alba-nesi, il maestro Domenico Virigili di Napoli, il percussionista Pippo D’Ark D’Ambrosio che suona anche con i Radiodervish, Francesco De Palma alla batteria, e Gianluca Milanese al flauto che suona anche nell’Orchestra del-la Notte della Taranta. C’è poi anche Marina Latorraca che suona il trombone alla balca-nica ma con uno stile molto personale ed il percussionista Mimmo Gori, il cui incontro ha permesso di mettere in cortocircuito la musica arbëreshë e la musica albanese con i progetti di musica italo-albanese che avevo creato. Lui organizza da anni il Festival Del-lo Scorpione nella provincia di Taranto e che ha una sezione dedicata proprio alla realtà dell’Arberia, in virtù della presenza di una comunità arbëreshë a San Marzano. Da ulti-mo ma non meno importante abbiamo avuto la collaborazione di di alcuni musicisti della Fanfara Tirana.

Come avete selezionato il repertorio di brani da proporre nel disco?Il repertorio dei brani è quello relativo alle prime canzoni che abbiamo condiviso e da quelle ne abbiamo selezionate sette, tra tra-dizionali e composizioni d’autore che però sono abbastanza recenti, essendo relative agli anni Settanta. Pur essendo all’epoca l’Albania un paese molto isolato, la musica di questi autori kossovari ha attraversato il

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mare in maniera quasi clandestina ed è arri-vata come nel caso di “Baresha” o di “Festa E Madhe” nei paesi arbëreshë dove sono diventate delle vere e proprie hit molto po-polari, nelle quali gli italo-albanesi si identifi-cano. Altro discorso va fatto per brani come “Lule Lule” che ha cinquecento anni ed ap-partiene indistintamente alle due popolazio-ni. Abbiamo scelto i brani che ci piacevano di più inserendoli all’interno di un percorso che parte con un canto a cappella “Madonna De Li Grazi”, cantato dalla Bordonaro e che rap-presenta la radice del Sud Italia che parte ed attraversa il mare fino ai Balcani per giunge-re ad Istanbul con le sue sonorità.

Nel disco sono presenti anche alcune compo-sizioni originali…Quasi fossero una sorta di isole queste can-zoni sono collegate da brani che ho compo-sto io e servono da punti di incontro. Sono brani ispirati a quel clima musicale ed hanno un taglio più onirico allontanandosi molto dagli stilemi noti della musica balcanica che ci ha fatto conoscere Bregovic. Volevamo documentare la ricchezza di questa terra, qualcosa di ben diverso dall’unza unza che abbiamo imparato a conoscere.

Quali sono state le ispirazioni alla base delle tue composizioni?L’influenza è arrivata da tutti questi anni di ascolti ed anche di creazione di brani origi-nali. Questi sono solo alcuni di quelli che ho scritto perché ne abbiamo anche altri. L’idea alla base del laboratorio è quella di propor-re una tradizione viva perché non basta fare un recupero filologico di quello che c’è o di quello che si può andare a scovare che è cer-tamente interessante ma non ci basta. Non ci piace mettere in museo questi modi musicali o queste tradizioni ma per noi è importante dargli vita e viverle, renderle vitali e ciò si-gnifica apportarvi la propria visione. Questo era lo spirito che ci ha animato come Radi-dervish in tutte le nostre visioni della world music, legarci alle radici ma creare anche mu-siche attuali.

Come saranno i concerti della Skanderband?Durante i concerti ci saranno gran parte dei musicisti che hanno suonato nel disco. At-tualmente siamo impegnati con la promozio-ne con gli showcase a cui seguirà un tour nei paesi arbëreshë e poi una serie di concerti nei principali festival world. Salvatore Esposito

Aperta da una lunga serie di concerti che han-no toccato Carbonia, Iglesias, Ozieri, Villamas-sargia, e Villacidro, “Mare e Miniere” entra nel vivo con la serie di “Seminari di Musica, Canto e Danza Popolare” che si terranno dal 27 giugno al 2 luglio a Portoscuso (CI). “Educazione al va-lore della memoria come insegnamento per il futuro”  è questo l’obiettivo principale che la rassegna persegue, ormai da anni, proponen-do una settimana di vacanza-studio nel fasci-noso Sulcis-Iglesiente con un ricco programma di stage dedicati alla musica popolare. Tra gli ospiti il percussionista e cantante italo-fran-cese  Carlo Rizzo, Luigi Lai,  leggenda vivente della musica sarda e depositario del reper-torio tradizionale del doppio flauto isolano,

Totore Chessa che terrà il corso di organetto diatonico,  Elena Ledda e Simonetta Soro (can-to popolare), Pietro Cernuto (flauti di canne e zampogna), Nando Citarella e Nathalie Lecler-c(percussioni e danze popolari),  Alessandro Foresti (canto corale), Giuseppe Molinu (ballo sardo) e Simone Bottasso (musica d’insieme). Altra importante novità di quest’anno è l’in-troduzione del  laboratorio per bambini “Una Miniera di Idee” condotto da Agnese Ermaco-ra e Giorgio Maria Condemi. Info www.mareeminiere.it

MARE E MINIERE: SEMINARI DI MUSICA, CANTO E DANZA pOpOlARE IN SARDEGNA

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LIBRI

Ex giocatore di rugby, ex operaio, fondato-re della storica Taverna del Maltese di Bari, giornalista, scrittore: Alessio Viola torna con “Fidati di me fratello (una storia vera)” appena uscito per Aliberti nell’interessante collana I fuorilegge. La storia parte con un omicidio di mafia. Quello del padre dei due protagonisti. Da qui si dipana la storia di Vi-tino e Franchino. Il primo aspirante boss. Il secondo invece “traviato” dalla droga e dal cinismo del maggiore, suo “quasi padre”. Il lettore è avvisato. Il romanzo parte da una storia vera.

Perché, tra le tante, hai scelto di raccontare proprio questa storia.Perché è una di quelle storie “minori”, quel-le che riguardano i protagonisti piccoli del-le grandi vicende malavitose. Si fa un gran clamore attorno all’arresto di un boss, per dire. Poi, nelle cronache si chiude con “altri dieci arresti”, persone di cui non sapremo mai niente. Ecco, io trovo che raccontare le loro storie ci aiuti a capire molto meglio questi fenomeni che non il clamore media-

tico e le conferenze stampa a effetto sui boss arrestati.

La carriera di un aspirante boss barese pas-sa dal controllo di droga e prostituzione. Nel libro ci sono interessanti riferimenti alla collusione di pezzi dello Stato per l’ar-rivo degli stupefacenti dall’Adriatico. Argo-menti sempre attuali: nonostante l’impe-gno delle forze dell’ordine e la “pulizia” nei centri storici (penso a Bari, soprattutto) la criminalità domina ancora le nostre città?L’Adriatico non ha mai smesso di essere un ponte, non un mare. Ponte tra malavi-te strettamente innervate con l’economia reale dei Paesi che vi si affacciano. Non di-mentichiamo che ci sono state richieste di arresto da parte della magistratura italiana per uomini politici e perfino presidenti di paesi nostri dirimpettai. L’attualità di que-sti giorni dimostra come sul traffico di es-seri umani, ben più redditizio della droga, il nostro mare abbia ripreso in pieno il suo ruolo di ponte veloce e facile da attraver-sare.

ALESSIO VIOLA “Fidati di me fratello”, una storia veradi famiglia, cinismo e criminalità

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LIBR

I

Tra le pagine di tanto in tanto fa la sua com-parsa la cucina. Panzerotti, ricci, brasciole, lumache, qualche ricetta leccese. Il connu-bio tra criminalità organizzata e cibo sem-bra inscindibile. Non c’è film, fiction, roman-zo che racconta le mafie che ad un certo punto non passa da una tavola imbandita. Come mai secondo te? Ma perché è nel nostro codice genetico, la convivialità. Questi non sono marziani, di-scendono come noi dai greci e dai latini. Da un “modus” di vive-re che fa del convivio il momen-to essenziale del vivere quoti-diano. Il cibo, il vino aprono le menti, favoriscono gli affari e i commerci. La natura di questi ultimi, poi, può essere la più di-versa. Ma questo siamo, i buoni come i cattivi.

“Anche le nonne di Bari Vecchia, quelle dei clan, sapevano taglia-re, pesare e mescolare le dosi di eroina e lo facevano mentre preparavano le orecchiette”. Questa è una delle frasi che ben sintetizza secondo me il clima della storia che racconti. Quel clima di omertà e di connivenza che circonda i malavitosi.È come dicevamo prima. Riguarda quella “normalità del male” su cui scrivo da tempo. E su cui non ci si può stancare di invitare alla riflessione. Madri di famiglia che prendono nelle proprie mani il controllo dei clan, per dire. E che non interrompono il loro ritmo di vita di casalinghe. Preparano paste al for-no e pianificano rapine ed estorsioni. Tutto “normale”, vivono e si muovono come noi. Sono pesci nell’acqua, non alieni.

Ci sono anche alcuni “scontri etnici” dicia-mo così. Tra gli italiani e gli africani, tra gli africani e gli albanesi, tra i leccesi e i baresi. Scontri che però non impediscono ai mala-vitosi di fare affari. Hai voluto raccontare anche questa conflittualità del male…Il denaro tiene unito il male a qualunque latitudine. Ogni rivalità etnica o antropo-logica cessa di fronte agli affari. Il razzismo è roba buona per la propaganda ormai, ma

sotto le bandiere del denaro non ci sono più etnie o colori della pelle. Certo, agli ultimi è riservato il ruolo di schiavi, ma non riguarda la razza, è solo una questione di opportu-nità commerciali. Basti guardare il rispetto e la tranquillità con cui i cinesi esercitano il loro ormai dilagante dominio commerciale. Fanno accordi con i clan locali, tutti lavora-no felici e contenti dei loro fatturati.

Nel libro manca completamen-te la musica. Quale potrebbe essere invece la colonna sonora di una storia criminale/familia-re di questo tipo? È vero. Nei miei libri c’è sempre una colonna sonora, questa vol-ta però la storia era talmente agra, così dolorosa che non mi sentivo di incollare a vite così disperate i miei gusti musicali. Questi non ascoltano musica, se non in radio nelle macchine, i soliti neomelodici, ma mi sareb-be sembrato un luogo comune fin troppo abusato. Il male, il dolore, non hanno una colonna sonora. Il romanzo, pubblicato da Ali-

berti, rientra nella collana “The Outlaws/I Fuorilegge”. Ci racconti l’esperienza di que-sta “band” italo/statunitense?Francesco Aliberti è un editore giovane, curioso, coraggioso. I fuorilegge sono un gruppo di autori giovani che si è fuso con gli indolenti, diciamo, e di cui faccio parte per alzare l’età media. Attraverso il lavo-ro di traduttore di Nicola Manuppelli, uno degli scrittori fuorilegge, si è stabilito un contatto ed un rapporto con alcuni scrittori americani, in particolare il grande Robert Ward, l’autore di Miami Vice per intendersi, che sta dando vita a questa esperienza di collane parallele italiane e americane. Un’e-sperienza di scrittori che non se la tirano, che sono amici, collaborano, si scambiano esperienze si sostengono a vicenda. Se pen-siamo al provincialismo ed all’inferno di ge-losie ripicche rivalità nel mondo letterario italiano questo è un esperimento rivoluzio-nario. (pilala)

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BRI

Giornalista e blogger leccese, Federico Mel-lo ha lavorato per il Fatto Quotidiano, l’Huf-fington Post, Servizio Pubblico su La7 e at-tualmente è consulente di Ballarò su Rai3. Esperto di media, Internet e social network, ha scritto numerosi saggi. In questi giorni esce “Le confessioni di un nerd romantico” (Imprimatur) un saggio/racconto innovati-vo e alternativo, ricco di fonti ma rivolto a tutti, che indica una via d’uscita sostenibile dalle nostre vite troppo tecnologiche. Il libro sarà presentato mercoledì 29 giugno alle 19 all’Ammirato Culture House di Lecce.

Cosa significa essere un Nerd romantico? In questa società iperconnessa, ormai siamo tutti “nerd”, tutti iper-tecnologici. Partendo da questa constatazione l’approccio “nerd romantico” propone un passo avanti in con-sapevolezza e benessere personale: essere

“nerd romantici” vuol dire imparare ad usare la tecnologia invece di farsi usare da essa.

“Non smetterete di leggere neanche per guardare Facebook” è un ottimo auspicio molto difficile da mettere in pratica. La no-stra vita sembra ormai scandita dai post dei social. Tanto che sottolinei “Non viviamo più una vita vera intramezzata da interruzioni di-gitali, bensì una frustrante esistenza virtuale interrotta frequentemente dalla vita vera”. Esiste una via d’uscita?Innanzitutto dobbiamo capire perché svilup-piamo questo attaccamento morboso alle tecnologie connesse. Mi sono interrogato a lungo, mi sono “auto-hackerato”, ho studiato e riflettuto. Alla fine, come mostro nel libro con un linguaggio (spero) accessibile a tutti, ho scoperto che le stesse piattaforme social sono progettate e modificate di continuo

FEDERICO MELLO“Le confessioni di un nerd romantico” è il nuovo libro del giornalista e blogger leccese che “non smetterete di leggere neanche per guardare Facebook”

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LIBR

I

per alimentare la nostra dipendenza (pro-prio come le multinazionali del tabacco stu-diano e implementano additivi che possano alimentare il vizio del fumo). Capire questi meccanismi è il primo passo per poter torna-re padroni dei propri comportamenti.

Nel tuo libro definisci il “Tempo-bio”. Di cosa si tratta?Il “Tempo-bio” è un concetto di manifesta e immediata utilità. Parto da quanto è succes-so con il cibo: nel diciottesimo secolo non aveva senso parlare di “cibo biologico”, sen-za le scoperte fondamentali della chimica, tutto il cibo, allora, era “biologico”. Solo ne-gli ultimi decenni, quando il cibo “standard” è diventato quello industriale, ecco che è nato il concetto di un cibo “come una volta”, biologico appunto. La stessa riflessione si può fare a mio avviso con il tempo: ora che il nostro tempo standard è sempre connes-so, always on, ecco che diventa importante tutelare porzioni di tempo (ore, giorni, setti-mane), ecc., nelle quali riscopriamo la libertà di non essere connessi.

Nel 2007 hai esordito con “L’Italia spiegata a mio nonno”, un libro nato dal tuo blog e poi approdato su carta. Com’è cambiato il nostro Paese, quello da raccontare ai più an-ziani o ai più giovani?Io vedo un cambiamento generale, non solo in Italia. La società va sempre più assomi-gliando ad Internet: saltano i corpi inter-medi (partiti, sindacati), le figure autorevoli (esperti, maestri); sembra che la sola pos-sibilità offerta a tutti di poter dire la pro-pria, implichi che tutte le opinioni abbiano lo stesso valore. È un processo pericoloso a mio avviso: tutto ciò che è comodo viene ritenuto giusto, ogni cosa che implica sforzo, sbagliata, o inutile; “Sti cazzi” sono le paro-le chiave della nostra epoca. Per questo, da nerd romantico, penso che sia arrivato il mo-mento di riscoprire forme più profonde, più antiche. E in questo libro aspiro a spiegarle a tutti, nonni e nipoti. (pilala)

Venerdì 8 e sabato 9 luglio a San Cesario di Lecce appuntamento con la secon-da edizione di “Io non l’ho interrotta”, rassegna dedicata al giornalismo e alla comunicazione politica. Il programma ospiterà seminari al mattino (nel Palazzo Ducale) e incontri serali (nell’Ex Distilleria De Giorgi) che coinvolgeranno, tra gli al-tri, Marco Damilano (l’Espresso), Stefano Bartezzaghi (La Repubblica), Gianluigi Paragone (La Gabbia – La7), Alessandro Gilioli (L’Espresso), Eva Giovannini (Ballarò – Rai3), Antonio Sofi (Gazebo – Rai3), Giovanna Pancheri (SkyTg24), Wanda Marra (Il Fatto Quotidiano), Marianna Aprile (Oggi), Dino Amenduni (Proforma), Stefano Cristante (sociologo), Vittorio Alvino (OpenPolis), Gennaro Pesante (addetto stampa Camera dei Deputati), Serena Fortunato (Moscabianca), Adelmo Monachese (Lercio.it), Francesco Costa (Il Post) e Lorenzo Pregliasco (YouTrend). Giovedì 30 giugno (ore 19 – ingresso libero) alle Officine Cantelmo di Lecce spazio all’anteprima della rassegna con la presentazione del volume “La democrazia del talk show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la politica, l’Italia” (Carocci) di Edoardo Novelli con la parteci-pazione di Danilo Lupo (La Gabbia - La7) e Felice Blasi (presidente CoreCom Puglia). Info 3394313397 - [email protected]

“IO NON L’HO INTERROTTA”IL GIORNALISMO POLITICO A SAN CESARIO DI LECCE

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La Puglia è di pane, di pietra e di poesia; la sua natura carsica è capace di filtrare il “sentire”, lo lascia venir su mutato in parole, in versi, in canzoni. È sempre stato così. Io conosco il Novecento, non sono un critico e la passione per la poesia è cresciuta nell’in-ciampo: nomi, biografie, versi, occasioni, pic-cole e grandi folgorazioni, hanno impastato incontri, dato storie alla mia militanza. Anto-nio Leonardo Verri da Caprarica di Lecce su tutti – mio iniziatore alle “cose” di qui, ma tanti altri hanno dato lucido alla passione e rinvigorito la certezza riguardo alla intima natura della nostra “lunga terra”. Tenendo ben presente il passato di Comi, Bodini, Pa-gano, Gatti, Serricchio e di tanti, tanti altri, ormai nello scrigno della memoria, rimango in un tempo a me vicino e faccio dei nomi. Vittore Fiore “nato sui mari del tonno” a Gal-lipoli e cresciuto a Bari; il mite e “domestico” Ercole Ugo D’Andrea illustre e segreto nella città che fu del Galateo; il per me “necessa-rio” Vittorino Curci da Noci – nel suo “La fe-rita e l’obbedienza” leggo: “Scrivere poesia (…) vuol dire essenzialmente ascoltare” e mi esalto nella “missione” del divulgare, del fare poesia l’agire, l’esserci, ogni atto - an-che il più piccolo - mosso all’aver cura.Già, l’accudire, non è in questo la poesia? Non è nel dono dell’accogliere voci-parole per darle, donarle nel suonare del verso?

Non è nell’attenzione volta a chi la sceglie come sponda della propria sensibilità?Ma torniamo ai poeti di Puglia, ché tutti hanno mostrato questo vivo sentimento dell’”aver cura”, sarà perché il margine me-glio si presta all’attenzione: guardare dalla “linea di confine” ti mette le radici e spin-ge lo sguardo oltre il valico, ti fa custode e nomade e il far rivista spesso è diventato – nella nostra storia letteraria - lo strumento per fortificare il far versi, per trovar compa-gni nel cammino e muovere in dialoghi che di volta in volta hanno allargato, spostato, estinto il limine, la linea di confine. Prima “L’Albero” di Comi, poi l’“Esperienza Poe-tica” di Bodini e il “Critone” di Pagano, più vicino a noi il “Pensionante de’ Saraceni” di Verri. Oggi gli “Incroci” di Lino Angiuli il po-eta monopolitano, quello de “L’appello alla mano” dove leggo “le mani hanno cento oc-chi” aprendo i miei al Mediterraneo dei con-flitti cantato da Giuseppe Goffredo, o alla Taranto ferita di Angelo Lippo, o al Salento tarantato di Maurizio Nocera, o alle immen-se rabbie di Michelangelo Zizzi o a quelle meridiane di Salvatore Toma, Pierluigi Mele, Elio Coriano a quelle ancora insopite della nostra amata Claudia Ruggeri e a quelle del-la straordinaria Comasia Aquaro con “i pugni al sole e nel volto una folla”.Abbiamo padri e madri, abbiamo fratelli e

PANE, PIETRA E POESIALa Puglia in versi da Bodini ai giorni nostri

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sorelle nella tanta lingua della Puglia: le voci della poesia ci aiutano a guardare, a meglio interpretare ciò che ci è intorno e la natura, il paesaggio, le persone, le città ci appaiono per come sono in una sensibilità percepita, esplicitata, detta in un verso. C’è verità lì? Certo svelamenti capaci di accompagnare nel varco del senso, dell’ovvia consuetudi-ne dello stare al mondo. La poesia è pane e le voci dei nostri poeti hanno il sapore di quelle differenze che solo il pane di Puglia sa così bene sintetizzare. Una geografia ideale delle cose che accado-no oggi in Puglia sul versante del fare poesia possiamo trarla dal programma della “Notte dei Poeti” iniziativa promossa da “Teca del Mediterraneo - Biblioteca Multimediale del Consiglio Regionale della Puglia” per l’or-ganizzazione di “Farm”, con le voci messe in campo da Incroci, da Lega Italiana Poetry Slam, dal Fondo Verri, da Poesia in Azione, da Inchiostro di Puglia nei borghi di Otran-to, Ostuni e Trani. Agire, fare! La poesia e i poeti servono a scrivere la vita: la via pos-sibile. A scovare tracce, servono! A segnare lo spazio, a recuperarlo dall’oblio e dalla nostalgia. Dalle malìe di quanti dimentica-no le parole, scordano la melodia e fanno finta di non sapere… chiudono gli occhi per non sentirsi responsabili. È cruda la poesia quando insegue, scrive la vita, il reale, il quotidiano e ciò che lo trascende. È urlo, la poesia. Urto, scontro. Così è, così è da spe-rare sempre sia la poesia… e il poeta: un coraggioso capace di guardare la polvere nascosta sotto il tappeto della consuetudi-ne. Guardala per decifrarne i resti, l’origine, il primo canto dove dorme la speranza di un risveglio. Per salvare le parole dalla loro esi-stenza momentanea, transitoria e condurle verso ciò che è durevole. Per trovare il peso della voce, il canto, l’atto che comunica, va all’altro. Trovare un palco, un’alzata, un gra-dino, un niente e declamare, spiegare il ver-so al vento che lo porti a chi non sente. A chi si ostina muto a credere e a non credere nella terra di mezzo del senso, dell’ascolto, dell’accogliere. Del dubbio. Di questo abbia-mo bisogno, di farci “capaci”, pagina bian-ca… solo quella può contenere un futuro possibile, solo quella un’altra voce! Un altro noi…Mauro Marino

Proseguono le pubblicazioni dei Quaderni del Bardo di Stefano Donno, che da circa un anno porta avanti l’attività della casa editrice fondata dal poeta Maurizio Leo. Pamphlet, saggi, racconti e raccolte di poesie: formato piccolo, vendita online, distribuzione “militante” nel corso delle presentazioni e nella storica libreria lecce-se Palmieri. Già una quindicina di titoli in catalogo e tante novità per l’estate. In ar-rivo “The Doors. In direzione del prossimo whiskey bar” dell’avvocato e autore di noir Giuseppe Calogiuri (da poco è uscito il suo “Cloro” per Lupo Editore), un breve saggio - con introduzione del docente universita-rio Daniele De Luca - su uno dei gruppi che ha fatto la storia del rock. Sempre in ambi-to musicale, in “Sono nato cantando… tra due mari” Carlo Stasi racconta (con qual-che aneddoto e un inedito) la carriera del cantautore salentino Franco Simone. In questo caso la prefazione è curata dal gior-nalista e critico musicale Eraldo Martucci. Infine, a pochi mesi di distanza da “Guerri-gliera” la scrittrice Eliana Forcignanò torna con “E libera non nacqui”, un poemetto con prefazione di Simone Giorgino.

UN PO’ DI MUSICA PER L’ESTATE DEI QUADERNI DEL BARDO

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COOLIBRì - altre letture a cura di DARIO GOFFREDO

La fine di una storia è l’inizio di un nuovo viaggio personale, in-timo sicuramente, fisico a volte. Succede poi di ritrovarsi lon-tani da casa, traditi, a fare i conti con il presente e immaginare un futuro. Parte da un sms al destinatario sbagliato, il nuovo romanzo di David Trueba, il terrore di ogni amante, l’inconscio che porta il traditore a sbagliare invio. E così che Beto il pro-tagonista di Blitz si aggira solo per le strade di Monaco, con la possibilità del ritorno in una Spagna in piena crisi e una nuova opportunità davanti.

DAvID TRUEbABlitzfeltrinelli

Centesimo libro e venticinquesimo episodio del Commissario Mon-talbano per il novantenne Andrea Camilleri. Lo scenario che fa da sfondo all’indagine sull’omicidio di una bella sarta è una Vigata indaffarata per l’emergenza quotidiana degli sbarchi di migranti. L’età dello scrittore e di Salvo si fanno sentire, perché lo sfondo e la storia non riescono ad amalgamarsi. Resta il piacere di leggere, la bellezza di alcuni passi intimisti e l’affetto per i personaggi ormai tanto cari. (Alessandra Magagnino)

ANDREA CAMIllERIL’altro capo del filoSellerio

Haruki Murakami è lo scrittore e saggista che, insieme a Banana Yoshimoto e Yukio Mishima, è diventato uno dei simboli della sco-perta e della diffusione in Occidente della letteratura giapponese. Einaudi ha da poco pubblicato il volume che raccoglie i due romanzi brevi “Ascolta la canzone del vento” e “Flipper”, accomunati dal-lo stesso io narrante. Inedito in Italia, il libro è stato pubblicato in Giappone tra il 1979 e il 1980. Nell’introduzione autografa Muraka-mi ci racconta gli esordi della sua longeva carriera letteraria.

hARUKI MURAKAMIVento e flipperEinaudi

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LIBR

I

Con questi due volumi Bompiani propone tutta l’opera in versi del discusso scrittore francese, uno degli autori destinati a en-trare a pieno titolo nella storia della letteratura di questo inizio secolo. Per Houellebecq la poesia è dolore, sordo, brutale, e va attraversata fino in fondo. La forma è l’unica cosa che può salva-re il poeta dal suicidio, ancorandolo alla realtà. Una realtà che in tutte le sue raccolte è triste, desolata e desolante, fatta di gesti meccanici che tradiscono la loro inutilità. Un libro impreziosito da uno splendido artwork di copertina di Pericoli.

MIChEl hOUEllEbECqLa vita è rarabompiani

La scrittura ironica di un autore padre di tre figlie. Il libro rac-conta la grande avventura di chi si ritrova ad apprezzare le pic-cole cose. Matteo Bussola, disegnatore di fumetti per la nota editrice Bonelli (Dylan Dog tra gli altri), è amatissimo sui social network, dove spesso commuove e fa ridere proprio partendo dall’intimità delle sue quattro mura dove spesso si nasconde il lato prezioso del quotidiano. Tra dialoghi improbabili e scenet-te familiari, il romanzo ci porta dentro una casa abitata “vera-mente”.

MATTEO bUSSOlANotti in bianco, baci a colazioneEinaudi

Otto anni dopo l’esordio con “Il mio nome è legione”, Paolin si conferma lo scrittore che più e meglio di tutti in Italia in que-sto momento affronta le tematiche legate al male in tutte le sue forme. Nelle 400 pagine tesse una storia che si sviluppa nell’arco di sessant’anni dalla più grande tragedia del ‘900, l’Olocausto, fino ai giorni nostri. Paolin domina e plasma la materia romanzo con un’abilità da romanziere navigato, per-fettamente aderente alla realtà in cui viviamo e capace, con la sua penna, di lasciare segni evidenti sulla pelle del lettore.

DEMETRIO pAOlINConforme alla gloriavoland

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CINEMA -TEATRO

Se non avesse fatto l’attore sarebbe stato un serial killer. Infatti, parla della sua voca-zione, che poi è diventata un mestiere, come una condanna. Salvatore Della Villa è attore e regista, dopo una formazione torinese, è tornato nel Salento e nel 2012 ha fondato la compagnia che porta il suo nome. Ha impa-rato a essere attore senza fare una scuola, continua a ripetere che “ha sentito la chia-mata” e se potesse farebbe un altro lavoro. Il suo è un percorso di esperienza e prove continue sul campo, di energia comunicati-va tra parole e azioni. «Essere attore ha in sé uno sviluppo naturale», dice. «La tecnica si impara, ma l’istinto non può essere fraziona-to e segmentato. L’attore è un animale che affina l’istinto con l’analisi razionale. È come il genio: conosce senza ancora sapere, e poi è un bambino che ha la maturità artistica senza essere ancora maturo». Nonostante una formazione non classica, è uno che con i classici decide di confrontarsi. Lo scorso anno ha portato in scena “Caligola”, di Al-bert Camus. Poche settimane fa ha coordi-nato una residenza teatrale al Castello di Copertino con Peter Lories (story editor di

fama internazionale), Marina Polla De Luca (attrice), Giuseppe Manfridi (drammaturgo, romanziere e sceneggiatore) e Alfredo Tra-versa (attore). “Four Shakespeare For You” prevedeva una serie di attività per favorire esperienze di contaminazione tra artisti pu-gliesi e internazionali. Fare residenza nel pa-norama teatrale attuale vuol dire creare del-le realtà formative e creative fondamentali, favorire lo scambio di idee e vivere il teatro in modo completo e totalizzante. Il progetto è stato sviluppato in due fasi: la prima legata alla drammaturgia shakespeariana, la secon-da di allestimento della performance finale. L’incontro di personalità, culture e linguaggi artistici diversi è legato da un aspetto co-mune: l’alterità, intesa come sguardo verso il diverso, in una doppia valenza artistica e sociale. Sceglie però come guida la pruden-za. «Bisogna approcciarsi a Shakespeare con grande prudenza. Bisogna essere coscienti del lavoro che si sta facendo. Usare il mas-simo della professionalità è obbligatorio, bisogna sapere cosa fare». Secondo Della Villa il vero problema è il teatro scadente, vale a dire ad esempio la deliberata azione

SALVATORE DELLA VILLACondannato a essere attore ma preferisco la provincia

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CIN

EMA-

TEAT

ROdi deformazione di un testo, come quelli di Shakespeare, che sono universi complessi e compiuti. Non si attualizza un testo che è già moderno, cioè non lo si amputa dai suoi arti, non lo si violenta per farne una paro-dia di se stesso, senza prima sapere qual è il significato della parola poetica. Questo non vuol dire rifare le opere fedelmente. Carme-lo Bene, l’attore più dissacrante della storia italiana, è stato comunque uno dei più fedeli interpreti di Shakespeare. L’autenticità è l’u-nica chiave possibile: si può e si deve alleg-gerire il testo, ma prima bisogna studiarlo e conoscerlo per restituire la sua natura. Se Salvatore Della Villa dovesse scegliere uno dei personaggi dell’ampio bestiario shake-speariano, non saprebbe a chi succhiare il sangue: sono le dinamiche psicologico emo-tive a interessarlo. Si può ritrovare nella fol-lia di Amleto, sentire le voci dalle orecchie di Jago, annegare con Ofelia, arrampicarsi su per un balcone e spiare Giulietta. E in tutto questo l’attore rimane se stesso per prima cosa, non c’è compenetrazione, non c’è mi-mesi. Ma nonostante la possibilità di essere multiforme, e di avere un pubblico, Della Villa diventa sarcastico e cinico quando si parla di cosa che manca davvero al teatro: «La disciplina, la libertà e il rigore». Sostiene la necessità di un teatro che sia raro, uni-co, vale a dire non terreno di conquista per avventori impreparati, per quanti lo usano come vetrina, o peggio come contenitore per far risuonare la propria voce, «in molti si occupano di teatro e pochi fanno teatro». E poi affonda: «Lecce è città che culturalmen-te è indietro di trent’anni. È un libro con una bella copertina ma scritto male e con molte pagine bianche. Ha la necessità di cambiare con urgenza le dinamiche politiche e cultu-rali. Chi ha delle proposte deve poter parla-re con chi è competente, la competenza ha un suo valore specifico». La sua prospettiva, la speranza, sono le province, salentine, nel-lo specifico, più affamate e con più voglia di fare e di farlo bene. Alla mia domanda di rito: Quale epitaffio vorresti sulla tua tom-ba, la risposta, accompagnata da un sorriso sornione tipico dell’attore animale è «Ma li mortacci vostra!».Giulia Maria Falzea

All’Ammirato Culture House di Lecce pro-segue la rassegna “Alice e le altre. Il cinema delle donne”. “Elles tournent” diceva Alice Guy, la prima regista donna nella storia del cinema, esortando le donne a “girare”, a fare cinema, a raccontare attraverso la macchina da presa. Da questo invito nasce l’idea della rassegna - promossa dal centro culturale leccese e dalla Fondazione Musa-getes - che proseguirà sino al 23 dicembre con un fitto cartellone di proiezioni, incon-tri, dibattiti per un percorso senza riflettori e tappeti rossi, per conoscere da vicino i racconti, i sogni, le visioni di registe italiane e straniere. Mercoledì 15 e sabato 18 giu-gno - nell’ambito dell’articolato program-ma della Free Home University - spazio a due appuntamenti “extra” con la proiezio-ne a cura di Natalia Pershina (Gluklya) e di “Preuzmimo Benčić“ (Take Back Benčić), della visual artist canadese Althea Thau-berger. La rassegna prosegue venerdì 24 giugno con la proiezione di “E ora dove andiamo?”, il film diretto ed interpretato dalla regista e attrice libanese Nadine La-baki, presentato nella sezione “Un Certain Regard” del 64º Festival di Cannes. Info www.aliceelealtre.it

“ALICE E LE ALTRE”: CINEMA AL FEMMINILE ALL’ACH DI LECCE

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Prodotto da Istituto Cinematografico Miche-langelo Antonioni, Film commission di Varese e dell’Alto Milanese, “Tutto su Madeleine” è il nuovo cortometraggio della giovane re-gista brindisina Sabina Andrisano. Il corto si presenta, in tutta la sua leggerezza, come uno spaccato delle relazioni umane al femmi-nile, che scorre sul filo della tragi-commedia degli equivoci, in perfetto stile Almodovar, con donne sull’orlo di una crisi di picco gli-cemico anzichè di nervi. Se non altro per le meravigliose carrellate imbandite di dolci di ogni forma e colore che scorrono sotto il naso delle protagoniste, placidamente impegnate in queste quotidiane esperienze di estasi, strizzando l’occhio anche al buon Ozpetek e ai suoi film. Madeleine (Ornella Rossetto), la donna protagonista della storia, ha 60 anni e sembrerebbe o parrebbe avere un’allegra relazione dangereuse con Renè (Eugenio Coppola), un ragazzo di 30 anni, più giovane di lei, generando scandalo e scatenando così l’ira funesta delle comari, sue clienti di pastic-ceria, che, invidiosissime, non perdono tempo a trastullarsi in chiacchiere ed affermazioni di disappunto, prevedendo nefasti epiloghi del-la relazione e generando così un cortocircuito fulminante del pettegolezzo, da blackout esi-stenziale della saga delle apparenze.

A cosa ti sei ispirata per costruire la storia? Il mio lavoro è il frutto di una curiosità che nutro per l’universo femminile tanto com-plesso e misterioso. Le donne di qualsiasi età mi affascinano molto, riescono a stupirmi continuamente, più degli uomini. Sarà anche per l’appartenenza al genere ma, quando ho pensato a Madeleine, avevo in mente il volto singolare ed eccentrico di una Donna, così ho deciso di tessere la narrazione attorno a una mia immagine mentale: una signora matura, accanto un giovane, entrambi di spalle ed entrambi nudi davanti a una parete con due porte. Raccontare la storia di un amore tra persone di età differenti per riportare tutti i luoghi comuni che si generano a riguardo. La mia coppia sarebbe stata interpreta da due attori che conoscevo e avevo già visto a lavo-ro. Inizialmente scrivevo confrontandomi con entrambi. Ben presto ho dovuto abbandona-re la mia idea iniziale: il fatto di posare total-mente svestiti davanti alla macchina da presa era un’ idea che non avevano gradito molto e così la narrazione ha preso nuove strade. No-nostante io sia una persona fortemente cini-ca sono al contempo ironica, dunque ho deci-so di vederne il lato positivo e di trasformare il soggetto da drammatico in una commedia leggera. Dicono che sia una cosa difficilissima

TUTTO SU MADELEINE Sabina Andrisano racconta il suo nuovo cortometraggio

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CIN

EMA-

TEAT

ROfar ridere il pubblico. Le proiezioni mi hanno dato favore di esserci riuscita. Il mio intento narrativo inziale? È solo rimandato.

Ci presenti i tuoi protagonisti sottoforma di macchiette caricaturali, enfatizzandone i di-fetti ed estremizzandone le caratteristiche fin quasi a scivolare nel grottesco di un rac-conto di genere, con primissimi piani di boc-che fameliche che bucano lo schermo, sguardi ammiccanti, danze voluttuose all’insegna del peccato. Il tutto condito da immagini accese in technicolor. Descrivici questo campionario umano di tipi psicologici. “Desaturare il meno possibile” - un mio mot-to. Colorerei tutto se potessi, lo esalterei al massimo. Tutto su Madeleine è molto acceso con alcune predominanti come il rosso. Una tonalità che esprime peccato, lussuria ma an-che passione. Le pettegole che circondano la pasticcera hanno una forte componente caratteriale, sono sì dei clichè, ma tutte pro-fondamente sviluppate, finiscono infatti per passare continuamente dal ruolo di antago-niste a quelle di protagoniste. Nel sottotesto alcuni dei vizi capitali: Gemma, conformista e cattolica pecca di gola e reprime il suo desi-derio sessuale. Vilma modaiola e egocentrica. Clara invidiosa e arrogante. Tosca ingenua e dolcemente superficiale.

Il film fa ridere ma fa anche riflettere. Quali tematiche hai voluto sollevare?Madeleine con toni leggeri si avvicina, senza dare un giudizio impositivo, alle tematiche di genere e di accettazione sociale. Parla di libertà di espressione e di diritto ad essere e stare al mondo preservando una propria identità dichiarata, al contempo diritto alla riservatezza. Sono cresciuta in un piccolo paese della Puglia che, vuoi dimensioni o per mancanza di luoghi di aggregazione cultu-rali, conduce le persone a osservare costan-temente la vita degli altri, dimenticando di vivere pienamente la loro. Io sono nata e cresciuta per un pezzettino della mia vita all’estero e poi dopo il liceo sono ripartita per studiare e lavorare in settentrione. Alcu-ni meccanismi sono simili un po’ ovunque ma meno esposti e certamente meno soffocanti. Nonostante ciò manca spesso la mia terra e

la sua gente. Ho semplicemente fatto delle sue virtù e dei suoi vizi uno dei temi dei miei racconti.

Il pezzo musicale, composto da William Simo-ne, che fa da colonna sonora, presenta degli accenti da nouvelle-noir francese, conferen-do a tutto il film un’atmosfera vagamente peccaminosa ed accattivante. È stato tutto intenzionale o dettato dal caso?Tutto intenzionale. La storia della colonna musicale è uno dei miei migliori ricordi per quel che riguarda il corto. William Simone è un musicista brindisino, nasce percussionista e perfeziona la sua tecnica a Cuba. Vive e la-vora da diversi anni nella scena underground e jazz bolognese. L’ho contattato ed è stato subito disponibile. L’ho raggiunto per una settimana nella sua casa di montagna: lui suo-nava qualsiasi tipo di strumento, io cercavo le parole e cucinavo tantissimo. Il cibo e la natu-ra ci hanno donato il mood perfetto.

Madeleine deve custodire un segreto, soffri-re le ingiurie e imparare a infischiarsene go-dendosi ciò che ha, amando ed impiegando il proprio tempo impastando dolci e delizian-do, con squisite leccornie zuccherose, la vita di chi le vuole bene, come Lara e Renè, ma anche di chi le vuole male, come Vilma, con slanci di generosità quasi da propiziatorio ge-sto scaramantico di buon ritorno. Nella vita è tutta questione di buono o cattivo karma? Tutto su Madeleine ha viaggiato sotto una buona stella, lo dimostra l’apprezzamento ricevuto al Festival europeo del cinema di Lecce. Ha visto la luce e il suo sviluppo grazie alla sinergia di persone meravigliose come la mia troupe e di numerosi collaboratori e finanziatori che hanno creduto fortemente nel progetto. Nella vita ci vuole una buona dose di coraggio e di fortuna, tanto lavoro, ma certamente molto dipenderà dal Karma, anche il corto, anche quest’intervista... Poi è chiaro che tutti viviamo dovendoci modella-re alle regole, cercando di accomodarci come meglio si riesce, soffriamo le ingiurie, custo-diamo segreti e cerchiamo, non sempre riu-scendoci bene, di alleggerirci la vita come fa Madeleine. Madeleine è un po’ ognuna di noi. Jenne Marasco

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ARTE

EREBO

Paolo Ferrante aka Evertrip lancia la sua “pseudo-rivista” improntata sui modelli dei periodici per le famiglie

Pochi esemplari composti da 64 pagine, un sommario con tanti approfondimenti, imma-gini uniche, pubblicità e rubriche umorali. In questo modo Paolo Ferrante (aka Evertrip), sperimentatore dalla pratica artistica mul-tiforme, realizza Erebo una vera e propria “pseudo- rivista” improntata sui modelli dei periodici per le famiglie. Quello di Ferran-te (classe 1984) è un linguaggio alchemico affascinante, vissuto attraverso l’utilizzo di vari medium dai quali l’artista genera un’o-pera dove il corto circuito culturale, formale e semantico si traduce in un oggetto poeti-co o in un codice visivo dal valore narrativo ed estetico intimamente rigenerato. Erebo (che verrà presentata ufficialmente il 15 giu-gno presso LO.FT- locali fotografici a Lecce) è un’operazione di ricerca artistica editoria-le ben costruita così, dalla decontestualiz-zazione dell’immaginario collettivo agli au-tomatismi espressivi, e dai finti collage alla costruzione dei significati nel linguaggio pubblicitario, nella rivista emergono anche delle tracce che rimandano alle esperienze della poesia visiva. Erebo è un supporto car-taceo di parole e immagini che veicolano, anche con effetti parodistici, un racconto

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personale che oscilla tra elementi surreali, concreti e concettuali e che vede come prin-cipale oggetto d’indagine la comunicazione di massa. In questo nuovo numero di Cool-Club alcune anticipazioni insieme a Paolo Ferrante, ma se volete leggere l’intervista integrale sfogliate il nostro sito.

Dopo l’esperienza di “Tegumenta-diziona-rio emozionale”, raccontaci come è nata l’idea di Erebo e quali sono stati gli spunti processuali che ti hanno portato a questo nuovo lavoro? Erebo nasce la notte del 1 febbraio 2016. Stavo cercando un modo per unire dipin-ti, fotomontaggi, scritti, sogni in un unico concept come feci con Tegumenta, e all’im-provviso ebbi la folgorazione. Alle due del mattino, in pieno dormiveglia, mi comparve questo termine che avevo letto in giro, l’E-rebo, le tenebre sotterranee della mitologia greca. Ma la vera intuizione fu accostare il suono e l’assonanza di questa parola con quella di un settimanale con cui molti di noi sono cresciuti: Epoca. Pensai che l’epoca che stiamo ancora vivendo è un’era oscura, buia.

La fanzine affronta vari argomenti e ap-profondimenti “di stampo esistenzialista”, ma qual è la vera ossessione della voce narrante?Come in Tegumenta, esiste in effetti una voce narrante, una coscienza estranea che risponde nella sezione Lettere al Diretto-re, dove emana la sua saggezza, oppure nell’inchiesta sulla regressione nei ricordi. Direi che è un tentativo continuo di prova-

re a osservare la vita, gli sbagli, le vittorie, le esperienze, i dolori, gli amori, da un’ottica esterna, come un satellite che fotografa la Terra dallo spazio. Vedere la vita dall’ester-no... ecco sì, forse è questa l’ambizione del Direttore di Erebo.

Nel tuo lavoro emerge un approccio lega-to anche alla poesia visiva. In questo tipo di ricerca ibrida sulla quotidianità, il lin-guaggio e la forza immagini, qual è la tua riflessione sui nuovi media in rapporto al linguaggio dell’arte contemporanea? Non ho molto a che fare con la poesia visi-va, anzi negli ultimi tempi cerco un modo per distaccarmi proprio dalla parola. Spe-ro di riuscirci in futuro. Per rispondere alla tua domanda, credo che la tecnologia abbia sempre dato un apporto all’arte, fin dall’an-tichità. Si potrebbe dire che gli sviluppi e i progressi scientifici, se ben veicolati, posso-no aggiungere nuove esperienze alla pratica artistica. Ultimamente mi sto appassionando per esempio dell’errore nell’elettronica, il cosiddetto Glitch. Esiste un filone chiamato glitch art che basa tutto sull’effetto esteti-co, trasformandolo in una cosa fine a se stes-sa. A me invece interesserebbe stravolgere il Glitch, dargli un senso, veicolare l’errore per ottenere un linguaggio regolamentato.

Il tuo liquore preferito?Ovviamente Tegumenta, il liquore di sali che si estrae dal petto di chi amiamo. Da oggi an-che all’aroma vanigliato.Giuseppe Amedeo Arnesano

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Una mostra – Ladies vs Gentlemen, con opere di Andy Warhol, a cura di Spirale Milano e di chi scrive (dal 24 giugno fino al 30 novembre al castello Carlo V di Lecce) – e un incontro, quello con Maria Mulas, protagonista interna-zionale della fotografia, autrice di alcuni tra i più intensi ritratti del padre della Pop Art. Un progetto espositivo, promosso dal R.T.I. Theu-tra, Oasimed e Novamusa, che intende punta-re l’attenzione su alcune icone riconosciute e misconosciute del padre nobile della Pop-Art - da Marlyn Monroe a Marella Agnelli e oltre -, insieme a una selezione di scatti di Maria Mu-las concepiti nel 1987 alle Stelline di Milano. Oggi Maria Mulas è un punto di riferimento della fotografia internazionale, in questo dia-logo rivela predilezioni e incontri, amicizie e progetti.

Che ricordi ha di Andy Warhol e quando vi siete incontrati?Non era assolutamente un chiacchierone, parlava poco; se gli facevi domande, lui ri-spondeva. Ma non era un tipo che interveni-va per primo, era timido. L’ho fotografato sia in America che in Italia, era molto riservata come persona. Lo osservavo a lungo, ero af-fascinata, avevo davanti a me un artista che

ha rivoluzionato l’arte contemporanea. Lui è stato il primo grande artista Pop, ed è riusci-to a diventare più famoso di tutti gli altri. Era gentile, dolce, molto deliziosa come persona. Quando è morto, mi è dispiaciuto moltissimo. Ci capivamo senza parlare. Ogni giorno, per tre giorni, ci siamo visti, in occasione della sua mostra del 1987 alle Stelline in corso Magen-ta a Milano. Nel 1974 era già stato a Milano per la sua mostra personale alla galleria Iolas, ma l’avevo incontrato anche a New York, mi era sembrata un’idea originale quella della Factory. Era molto warholiana, il posto era molto coerente con la sua filosofia.

Quali sono le opere di Warhol che preferi-sce?Quelle più comuni, Marilyn, per esempio, per-ché mi piace molto come personaggio.

La sua vita è una vita accanto agli artisti, compagna di strada e testimone oculare di molti di loro.Conoscevo bene quasi tutti gli artisti, li ho ritratti a lungo. Per esempio, anche Joseph Beuys è stato importante per me, sono stata anche nel suo studio di Düsseldorf per ritrar-lo. Ho ritratto anche Bruce Nauman, Enzo Cuc-

MARIA MULASPredilezioni e incontri, amicizie e progetti di uno dei punti di riferimento della fotografia internazionale

DIARIO CRITICO a cura di LORENZO MADARO

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chi, Luciano Fabbro, che è stato tra i migliori artisti italiani. Negli ultimi decenni sono morti tantissimi artisti molto bravi. Un altro molto bravo – un caro amico – era Gianni Colombo, spesso la sera andavamo in giro per mostre.

Perché ha scelto il ritratto nel suo percorso d’artista?Amo molto gli artisti, mi piace molto fare il ri-tratto, mi sono detta meglio fotografare loro e basta poiché fotografare tutti non ha senso. Sono stata tra le prime a farlo con gli artisti, d’altronde mi ispiravano simpatia, erano in-telligenti. La gente che non conosci ti annoi anche nel fotografarla. Devo conoscerla. Così è stato per Gianfranco Pardi, Emilio Tadini e Valerio Adami, quando veniva a Milano da Parigi: insieme a Gianni (Colombo, ndr) sono stati tra i miei più cari amici.

Com’è stato il rapporto con Ugo Mulas, suo fratello?Ugo è stato il primissimo a fotografare gli artisti. Ci somigliavamo molto, tra i fratelli era quello a cui rassomigliavo di più. Amava molto gli artisti, adorava Fausto Melotti, per il quale era come un figlio. Eravamo fratelli, quindi avevamo lo stesso istinto. Non l’ho mai copiato, ma a entrambi ci interessava ritrarre gli artisti. Ma ho scelto di non mettermi in mezzo, se non fosse mancato probabilmente non li avrei neppure fotografati. Ma era il mio istinto, e l’ho seguito.

Qual è la differenza tra la fotografia in bianco e nero e quella a colori? Un tempo preferivo la fotografia in bianco e nero, però sono stata previdente e facevo uno o due rullini a colori. Secondo me è mol-to interessante… il colore dà più l’idea della volgarità di oggi. Rispecchia di più la realtà attuale.

Il prossimo progetto? Sono a conoscenza di un libro di ritratti.Ci stiamo lavorando da un po’, ci saranno al-meno cento ritratti. Non solo artisti – tra cui Sonia Delunay, Andy Warhol, Nauman e tanti altri –, ma anche intellettuali, scrittori e poeti.

Foto © Maria Mulas, Andy Warhol #14, Fondazione Stelline, Milano 1987

Dei magnifici cinque protagonisti della Tran-savanguardia, Enzo Cucchi è probabilmen-te l’artista più visionario e ineffabile. Dieci suoi disegni sono esposti fino al 17 luglio da Scaramuzza Arte contemporanea a Lecce, rivelando la vibrante intensità di una pratica estremamente vitale. Concepiti tra il 1985 e il 1991, incassati in cornici concepite dallo stesso Cucchi, le piccole dieci carte in mostra realizzate con diverse tecniche esprimono un immaginario ancora carico di suggestioni per l’artista marchigiano. I paesaggi sinteti-ci ed ineffabili, neri come il bitume; le case surreali da cui si generano vigorose spine, i volti essenziali e trasfigurati. Emergono così improvvisamente dai paesaggi brulli, le figu-re antropomorfe che vivono una condizione marginale su piattaforme sospese: tutto, in Cucchi, rivela mistero, mitologia, cultura popolare. Secondo la curatrice della mostra, Marinilde Giannandrea, “Le opere in mostra si collocano un percorso ideale dentro il les-sico dell’artista e rappresentano una perfet-ta sintesi del suo sillabario visivo”. Il genius loci permane, d’altronde era uno dei punti cardinali della Transavanguardia, il movi-mento teorizzato dal critico Achille Bonito Oliva sul finire dei Settanta, rivelando un ritorno alla pratica pittorica e a uno sguar-do interiore verso le proprie radici visive e antropologiche. Cucchi, che vive a Roma da diversi decenni, non ha mai dimenticato cer-te storie marchigiane, come emerge dalla selezione di disegni che approdano a Lecce in via Libertini. (Lor. Mad.)

A LECCE DIECI DISEGNI DELL’ARTISTA ENZO CUCCHI

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Dopo il grande successo della personale di Michelangelo Pistoletto che l’estate scorsa ha coinvolto oltre 35mila visitatori, sino al 2 ottobre le sale del Castello di Gallipoli ospi-tano due interessanti mostre e una serie di appuntamenti. Info castellogallipoli.it

LA PRIMA AURORAInaugurata da Alessandro Bertani, vicepre-sidente di Emergency, quella di Simone Ce-rio è una mostra fotografica composta da venticinque storie di migranti sbarcati sulle coste siciliane. Un viaggio tra oggetti recu-perati, portati da Paesi lontani, abbandona-ti per strada e reinterpretati che offrono al visitatore la possibilità di un’approfondita riflessione sulla condizione di migrante. «La Prima Aurora – sottolinea Cerio - è un corpo di fotografie “ritagliate” dal contesto in cui il soggetto è inserito che sposta l’attenzione dalla drammaticità dell’evento alla persona come essere unico ed esclusivo, scevro di qualsiasi caratterizzante, come lo spazio che ne identifica la condizione attuale. Gli ogget-ti, per lo più trovati nel luogo di transito, di-

ventano simboli della dignità quotidiana che questi protagonisti tentano di recuperare, una volta chiusa la fase di separazione dalla propria terra».

HEROESDal 26 giugno, inoltre, nel Castello spazio a un percorso di visioni e racconti, un pulsare di simboli e atti simbolici. Eroi tra arte e design ad opera di Renzo Buttazzo e LRJLB[[]]Lara Bobbio. Segni, assemblamenti, fusioni, ope-re che si legano, si animano, in un dialogo in continuo mutamento. Testimonianza tangibi-le di un linguaggio contemporaneo immerso nel contemporaneo stesso e le sue criticità. Heroes coinvolgerà, oltre alle opere dei due curatori, anche gli artisti Ada Mazzei, Andrea Buttazzo, Andrea Epifani, Daniele dell’Ange-lo Custode, Giuseppe Maietta, Massimo Maci, Monica Righi, Oronzo de Stradis, Peppino Campanella, Paolo Guido, Tonio Pede. L’inau-gurazione del 25 giugno (ore 19.30 - ingresso su invito) vedrà anche la partecipazione di Hongmei Nie considerata da molta critica la più grande cantante lirica cinese del mondo.

DAI MIGRANTI AGLI EROI Il Castello di Gallipoli ospita per tutta l’estate la mostra del fotografo Simone Cerio e una collettivacoordinata da Renzo Buttazzo e Lara Bobbio

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arteDal 19 giugno il Castello Aragonese di

Otranto ospita gli scatti di Steve McCurry, uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea, punto di riferimento per un larghissimo pubblico che nelle sue fo-tografie riconosce un modo di guardare il nostro tempo. Steve McCurry Icons è una mostra che raccoglie in oltre 100 scatti l’insieme e forse il meglio della sua vasta produzione, per proporre ai visitatori un viaggio simbolico nel complesso universo di esperienze e di emozioni che caratterizza le sue immagini. Con le sue foto ci consente di attraversare le frontiere e di conoscere da vicino un mondo che è destinato a grandi cambiamenti. La mostra inizia infatti con una straordinaria serie di ritratti e si svi-luppa tra immagini di guerra e di poesia, di sofferenza e di gioia, di stupore e di ironia. In una audioguida Steve McCurry racconta

in prima persona molte delle foto esposte. In mostra viene proiettato un video di Na-tional Geographic dedicato alla lunga ricer-ca che ha consentito di ritrovare, 17 anni dopo, “la ragazza afghana” ormai adulta. All’inaugurazione oltre al fotografo parteci-perà anche lo scrittore Roberto Cotroneo.La mostra è organizzata da Civita Mostre in collaborazione con SudEst57. Ingresso 10 euro. Info www.stevemccurryicons.it

dal 19 giugno al 2 ottobreCastello Aragonese - Otranto (Le)

STEvE MCCURRY ICONS

Per fortuna dopo molti anni di oblìo si sono riaccesi i fari sull’opera di un outsider come Ezechiele Leandro. A 35 anni dalla sua scomparsa, infatti, “Leandro unico pri-mitivo” è un percorso sull’artista salentino che si muoverà tra la Distilleria De Giorgi e il Santuario della Pazienza a San Cesario di Lecce, il Museo Sigismondo Castromediano di Lecce e la Galleria Nazionale di Bitonto. La mostra – a cura di Antonella Di Marzo, Lo-renzo Madaro, Brizia Minerva, Tina Piccolo – è una retrospettiva dedicata all’autore che si era mosso tra pittura, disegno, scultura, assemblaggio, collage, installazione. Ogni sezione propone un percorso autonomo e di ricognizione con opere cronologicamen-te varie e concepite con differenti linguaggi e approcci. Sarà aperto al pubblico, dopo molti anni di chiusura, anche il Santuario della Pazienza - inaugurato nel 1975 nel

giardino di casa Leandro - esempio di ar-chitettura visionaria e ricco di statue e per-sonaggi creati con pietra, bottoni, legno, creta, stoffa, ferro, piastrelle e materiali di risulta, recentemente oggetto di una di-chiarazione di interesse culturale da parte del Ministero. L’inaugurazione è pevista sa-bato 2 luglio (ore 19 - ingresso libero) nella Distilleria De Giorgi di San Cesario di Lecce. Info 0832683503

dal 2 luglio al 30 settembre Lecce, San Cesario di Lecce, Bitonto

lEANDRO UNICO pRIMITIvO

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FOOD SOUND SYSTEM Donpasta

Nu pipirussu, un peperon-cino, così definirei Miss Mykela. Una piccola grande bomba di energia e sorrisi, umanità e intelligenza. Non si può non volerle bene, per il suo coraggio e la forza che sprigiona sul palco, per la tenacia con cui perse-gue il suo percorso, assai radicale, nel mondo della musica. L’intervista rivela in pieno tutta la bellezza del pensiero di questa soldata dell’amore. «Mi sono avvicinata alla musica grazie a produzioni Jungle, DnB e Trip Hop, ven-go incoronata tra le regine del reggae in Italia con un disco che mi ha portato a girare il mondo e che mi ha dato grandissime soddi-sfazioni, ma ora sono nel pallone da circa un anno e mezzo. Sono cambiata mol-to, ho cercato di lavorare dopo “We Ladies” ad un mio disco ma arrivata quasi alla fine ho bloccato tutto. Sono assolutamente cosciente di cosa sono stata nel passato, ho capito cosa sono ora ma devo capire dove voglio andare, quindi in questo momento sono tornata a collaborare a stretto contatto con Insintesi, un

progetto che mi ha sempre riconosciuta pienamente come loro frontwoman e continuo a divertirmi con altre collaborazioni che ho in cantiere. Una delle più gradevoli e promettenti è quella con ManuFunk, con il quale probabilmente si andrà oltre il semplice pro-getto di Duo chitarra/voce. Ci stiamo lavorando su ma non voglio anticipare nulla». Tra il Salento e la festa c’è un ottimo rapporto. «Uno dei motivi per cui non sono mai andata via è proprio il legame che ho con la mia terra. Per tante ragioni ho sbagliato, perdendo occa-sioni irraggiungibili oramai, ma ho trovato un equilibrio e ho comunque sempre cercato il modo di vivere la musica e la festa grazie all’energia della gente che mi circonda. Siamo fortunati a vivere in una regione calda nel cuore e nell’anima». Par-liamo di militanza e musica. «Viviamo di musica, amia-mo, ricordiamo, ci emozio-niamo, ci arrabbiamo grazie alla musica, io non credo sia possibile immaginare un mondo senza. Per questo credo che il concetto di mili-tanza sia spesso inscindibile

senza obbligatoriamente associarlo a questioni sociali o politiche». Senza pensar-ci troppo, tre artisti e tre ricette. «Una domanda del genere implicherebbe una lista di artisti interminabile, come fai a sceglierne solo tre? L’unico modo che ho per venirne fuori è nominar-ti gli ultimi tre della playlist che sto ascoltando mentre rispondo alle tue domande: Gill Scott Heron, Robert Glasper, Nina Simone. Sono una mangiatrice di musica incallita, non c’è un genere che io preferisca, i miei artisti preferiti sono veramente tanti e ascolto di tutto, basta che sia musica di qualità. La mia risposta riguardo l’aspetto culinario cerca di riassumere il mio gusto per “l’esotico, il tradi-zionale, il finger food” che adoro da morire.. mi gioco la carta sushi, turcinieddhri, frisa al pomodoro. Da qui capirai che il fatto di essere onnivora non riguarda solo la musica ma anche il cibo. Se mi inviti a pranzo sono una buona forchetta, ho qualche intolleranza alimen-tare ma in genere do grosse soddisfazioni».

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MISS MYKELA, UNA INCALLITA MANGIATRICE DI MUSICA

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Certe volte è il caso a cucire il destino; per quanto piccolo o breve questo possa essere, un tratto di strada insieme Ilaria Caffio e Dario Goffredo lo stanno percorrendo. Il “caso” è stato la pubblicazione quasi contemporanea di due raccolte di poesia on-line nel Magazzino di Poesia di Spagine: “Verrà l’estate” per Caffio e “Atti minimi di sopravvivenza” per Goffredo. Da qui l’incontro, il pensarsi insieme nella “poesia detta” in un recital a due voci che si è rivelato di rara intensità, dettato dall’inciampo nell’emozio-ne della “prima volta”, ma la poesia è più forte, fa cura, protezione e le voci vengono fuori limpide, chiare, frontali nello svelare l’intimità dei versi, ché questa è la materia della loro scrittura, l’intimità di uno sguardo capace di uno scavo, di fare della poesia il balsamo, l’auspicio, la formula delle loro e delle nostre tante rinascite.In occasione del debutto del recital al Fondo Verri, sabato 30 aprile 2016,

Massimo Grecuccio è intervenuto con una lettura critica parallela dei due testi poetici, scrive: «(…) Emergono fili inaspettati tra le parole della Caffio e quelle di Goffredo. (…) Una trilogia di stagioni, primavera, estate, autun-no, una triplice metafora è la cornice entro la quale s’inscrivono le due avventu-re poetiche. Verrà l’estate e Atti minimi di sopravviven-za sono separati dall’estate. L’amante di Verrà l’estate abita la primavera, guarda l’estate e sbircia da lontano l’autunno. L’amante di Atti minimi di sopravvivenza, invece, vive nell’autunno, si volge indietro all’estate, e intravede, nei frutti troppo maturi dell’estate i fiori della primavera. La quarta stagione, che integrerebbe la triplice metafora rendendola quadruplice, è nell’ombra. Tuttavia, la quarta stagione è l’orizzonte ultimo sia di Verrà l’estate, sia di Atti mi-nimi di sopravvivenza. Ed è singolare, ma non sorpren-dente, che sia evocata in maniera esplicita, in Verrà

l’estate, là dove si agita, a intermittenza, un’euforia d’amore.L’ossessione d’amore, che in Verrà l’estate assume i colori dell’euforia can-giante, e in Atti minimi di sopravvivenza quelli poco variati della disforia, penso che sia, in entrambi i casi, il sogno di un labirinto, nel quale gli amanti si aggirano senza il filo di Arianna. Stare nel labirinto, non guadagnare l’uscita, è molto probabile che sia, in entrambi i casi, l’esito con ostinazione cercato”.***Ilaria Caffio è nata a Taran-to nel 1991, vive a Lecce dove si è laureata in filoso-fia. Organizzatrice culturale cura gli incontri di Filosofia a distanza ravvicinata, “Ver-rà l’estate” è la sua prima raccolta di versi.Dario Goffredo è nato a Lecce nel 1974, vive e lavo-ra a Lecce. È membro della redazione di coolclub.it, sue poesie e racconti sono stati pubblicati su riviste e antologie, “Atti minimi di sopravvivenza” è la sua prima raccolta di versi.

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I FILI INASPETTATO DI UN INCONTROILARIA CAFFIO E DARIO GOFFREDO

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Arriva l’estate e con essa sbocciano tormentoni radiofonici che appassiran-no solo con il malinconico incedere dei primi singoli autunnali. Da qualche anno c’è un nuovo genere di tormentone: le pubblicità di coni gelato con velleità poetico pop. Tutto è inizia-to con il cornetto Cinque Stelle Sammontana e il suo detestato spot che ora l’Algida è riuscito a far rim-piangere grazie alla scelta di associare il suo sempiter-no cornetto ai versi di J-AX e Fedez. Ora tutti si chiedono come sarà andata a finire quella favola moderna che ha interessato, appassiona-to, ossessionato l’Italia nell’estate 2014, anno in cui per la prima volta abbiamo seguito tutti insieme il primo corteggiamento me-diatico di un giovane poeta che conservava un nobile distacco per le cose terrene e una scarsa igiene perso-nale consistente nel “lavarsi con il mare asciugarsi col vento” e che con i suoi versi anticonformisti ha dato

un esempio dell’amore ai tempi dei social, facendo della sua amata l’inconsape-vole testimonial della marca dei Gelati all’italiana, una fanciulla che chi conosce ci dice essere un’appassionata della vita, dei valori della fa-miglia e della ricostruzione unghie. Amava frequentare un grazioso bar-gelateria sulla spiaggia e si è vista corteggiare a furia di gelati offerti a qualsiasi ora del giorno e della notte fin quando l’innamorato più dolce di tutto il litorale non ha deciso di farsi avanti con l’ormai famosa formula che prevedeva lo scambio dei tre baci a fronte della ces-sione di un cornetto gelato. Arrivato sul luogo dove secondo i piani del poeta avrebbe finalmente corona-to il suo sogno d’amore, il ragazzo ha deciso che quel chiosco sulla spiaggia che di notte brillava delle luci dei videopoker, sarebbe stato il teatro di un incubo. Raccon-ta un testimone: “È arrivato con ‘sto cono in mano con-vinto di farle una sorpresa, invece ha scoperto che la

ragazza era un’affezionata frequentatrice del posto perché apprezzava molto di più il calippo che il gestore le offriva lontano da occhi indiscreti”. Di lì, la tragedia. Il poeta al grido di “Equitalia!” ha mes-so in fuga il titolare del bar e ha condotto la ragazza avanti a un monitor e l’ha costretta alla visione di un dvd contenente la raccolta delle peggiori pubblicità della storia: dai sottaceti di Emanuele Filiberto a Simona Ventura e la sua coreografia per Pittarosso, il gattino virgola e tutta la serie di spot telefonici di Aldo Giovanni e Giacomo. I poliziotti l’hanno salvata prima che partisse la serie uncut di Roberto Carlino, che probabilmente le sarebbe stata fatale. Lui, il profeta della poesia maritti-ma, ancora sconvolto e con il cono gocciolante stretto nella mano, prima di essere portato via dalle forze dell’ordine ha declamato: “La mia estate italiana? Fanculo, il prossimo anno vado a Ibiza”.

BRODO DI FRUTTAAdelmo Monachese

“TU MI DEVI TRE BACI. IO UN CONO 5 STELLE AL CIOCCOLATO”. E IL TRAGICO EPILOGO

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Non iniziare presto perché il pubblico farà tardi o non arrivare presto perché sarà il concerto ad iniziar tardi? Non ricordo chi ha posto il problema su facebook, ma per la scienza questo dilemma non sarà mai risolto. Quello che potrem-mo provare a risolvere, invece, presto prima che sia tardi, è la nostra attenzio-ne collettiva, sempre più scadente, proprio durante i concerti. La musica sembra diventare sempre più una scusa, una periodica visita di cortesia obbligata alla zia acciaccata del paese, che lasciamo parlare mentre guardiamo il nostro display. Nel tempo, ho sempre riscontrato dettagli miglio-rabili per un concerto, per esserne meglio confortato, probabilmente a causa di una indole indie snobistica, puntigliosa, che circola in giro. Certo è che l’umilia-zione che sta subendo in questo ultimo biennio la musica live, a volte, induce a gettare quella spugna sul ring. Se assistiamo ad un concerto di musica classica tratteniamo persino il

respiro, educati in silenzio; nei locali o rassegne siamo invece ultras indisciplinati che si ritrovano al foro italico degli internazionali di tennis di Roma. Poca la gente che ascolta, molta quella che chiacchiera, c’è chi dà le spalle e chi non si accorge della fine o dell’i-nizio del concerto. Giusti-ficare tutto ciò è impresa ardua, una spiegazione ar-tisticapsicosocioscientifica non la leggerebbe nessuno. Mancano due minuti alla fine di questa pagina, ma basta pensare a quanto la nostra attenzione quoti-diana sia castrata da mille impulsi che riducono la nostra soglia di attenzione. Non leggiamo, ascoltiamo, vediamo, non ci interes-siamo. Lo facciamo solo a piccolissime dosi. Sarebbe interessante vedere un concerto in pillole. Sareb-be interessante rendere ridicoli, in maniera eviden-te, i nostri gesti quotidiani che feriscono e abbattono inesorabilmente la nostra attenzione. Si potrebbe pensare di annunciare un live su facebook e sulla

stampa, mettere sul palco (in rigoroso ritardo) una poltroncina e delle sempli-ce cuffie che trasmettono il disco. Non dare spiegazioni, allo stesso modo di un pub-blico che non ne offre agli artisti. Prenderci in giro, spogliare le situazioni per andare oltre le apparenze. Potremmo anche pensare di ostinarci a proporre dei short live di 10 minuti con le sole intro proposte dei brani, o ancora far interrompere l’esecuzio-ne quando si percepisce troppa distrazione al di là del microfono; aver pronto sul palco un display da guardare, dar le spalle alla disattenzione. Cambiamo la destinazione dei significati, mutiamo luoghi, mettendo-li a nudo, trasformandone la fruizione. Dove diavolo è finita la condivisione emo-tiva. La vera consolazione di questa infinita possibilità di impulsi e proposte è che esistono eccome artisti, album e concerti interes-santi, bisogna solo cercare, offrire attenzione prima che sia troppo tardi.

STANZA 105Mino Pica

PRESTO, è TARDI

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I quaderni del senno di poi di Francesco Cuna | facebook: quadernidelsennodipoi

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EVENTI a cura di CHIARA MELENDUGNO

Da giugno parte ufficialmente la lunga estate dei festival musicali, con una miria-de di appuntamenti live dislocati su tutto il territorio nazionale. Anche la Puglia of-fre un ventaglio di scelta molto ampio, con rassegne che incontrano i gusti più diversi, dal rock al jazz, passando per l’elettronica, fino alla musica popolare. A favorire la cre-azione di una vera e propria rete di tutti o quasi i festival della regione fino al 2015 ci aveva pensato Puglia Sounds. Solo l’anno scorso la struttura regionale aveva finan-ziato 8 reti tra 33 festival per un totale di oltre 200 concerti. Numeri importanti, che hanno delineato la “geografia” della musica sul territorio, con rassegne consolidate da tempo oppure nate avverando un sogno. È

questo il caso del Cellamare Music Festival (all’inizio Coachellamare), la pazza e bellis-sima avventura di Antonio Conte e Tommi Bonvino. Il loro festival made in Puglia è stato annunciato quasi per gioco attraverso una locandina “fake” pubblicata su Facebo-ok sul modello del più famoso festival mu-sicale americano, il Coachella. Tra gli headli-ner inziali i pugliesi Checco Zalone, Al Bano e Romina Power, Toti&Tata, Gianni Ciardo. In breve tempo il gioco è diventato realtà e ora il festival di Cellamare si prepara alla tre giorni di musica in programma a fine agosto nel campo sportivo del comune in provincia di Bari. «Ci aspettavamo che locandina ed evento girassero per un paio di giorni, ma non molto di più – confessa Tommi Bonvino.

UN’ESTATE DA FESTIVALBreve guida “non definitiva” degli eventi in Puglia

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a cura di CHIARA MELENDUGNO

Invece si è creato un vero e proprio movi-mento di opinione, che ci ha portati dritti negli uffici del Comune di Cellamare, dove abbiamo trovato un’accoglienza caloro-sa. Una volta messa in moto una macchina del genere, non potevamo certo fermarla bruscamente».  A spingere Conte e Bonvi-no verso la realizzazione del sogno «il so-stegno prima da parte di migliaia di utenti dei social, poi più concreto da parte di altri creativi e operatori del settore musicale di tutta la Puglia e non solo. Si è subito crea-to un gruppo che ha iniziato a capire cosa davvero si potesse fare». Nella lineup, tutta rigorosamente pugliese, anche Moustache Prawn, Una, Fabryka, La Municipàl, Molla, Think About It, Sofia Brunetta, Big Charlie, MEry Fiore, Fonokit, non giovanni, I Misteri del Sonno, K-ANT Combolution e molti altri. Il Cellamare si preannuncia come un even-to mediatico di grande impatto identitario, dalla forte connotazione pugliese; in ogni caso il territorio regionale farà da palcosce-nico da giugno sino a settembre a sonorità differenti, in arrivo dall’Italia e dall’estero. Orientarsi non è sempre facile e questa piccola panoramica sui festival pugliesi può diventare utile per scoprire nuovi appunta-menti o semplicemente ricordare le date importanti, attraversando i generi musicali.

JAZZ E DINTORNIPartiamo dalle rassegne che indagano le sonorità jazz e blues. La prima, in ordine di tempo, è il Bari in Jazz. Il festival metropo-litano giunto alla sua dodicesima edizione andrà avanti sino al 28 luglio, con una nuova direzione artistica, quella del trombettista Luca Aquino. Nel 2016 il festival si espande come un’onda sonora dal capoluogo puglie-se per undici comuni della città metropoli-tana, con oltre venti concerti. Tra gli ospiti James Taylor Quartet, il violoncellista Ernst Reijseger, Elida Almeida, Fresu, Sosa & Mo-relenbaum, il sassofonista francese Samy Thièbault; e ancora Pat Thomas, la pianista islandese Sunna Gunnlaugs, Paola Turci e Carmen Souza. Dal 21 al 31 luglio a Monte Sant’Angelo, in provincia di Foggia, torna Festambiente Sud, promosso da Legam-

biente. Sul palco alcune star del panorama jazz europeo e mondiale: Bojan Z, Lars Da-nielsson, Caecile Norby, Paolo Angeli, Albo-rada String Quartet, Omar Sosa e Paolo Fre-su. Dal 25 luglio al 4 agosto un altro festival diffuso: il Locomotive Jazz Festival di Raffa-ele Casarano che propone sette date itine-ranti e quattro a Lecce che ospiteranno Mu-sica Nuda, Peppe Servillo, Gianluca Petrella e John De Leo, Enrico Pieranunzi e molti al-tri. Due i Festival dedicati al pianoforte. Nel Salento dal 3 luglio il Piano Piano Festival, a cura di Irene Scardia, con Mirko Signorile, Emanuele Coluccia, William Greco, Alessan-dro Lanzoni e altri. Dall’8 luglio al 17 agosto nella città bianca “Pianostuni” con Cesare Picco, Rita Marcotulli, Ezio Bosso, Michael Nyman, Remo Anzovino. A traghettarci ide-almente dal jazz verso l’elettronica, infine, il Locus Festival di Locorotondo che dal 15 lu-glio al 27 agosto mescola queste due sono-rità, offrendo uno sguardo sempre interes-sante sulle novità della stagione musicale appena conclusa. Un sound d’avanguardia che arriva dritto da New York e dal Regno Unito con l’icona dell’hip hop DJ Premier, live con la sua band The Badder il 23 lu-glio; e ancora il 24 luglio spazio al collettivo newyorkese Snarky Puppy. Il 30 luglio sul palco la vocalist Andreya Triana da Londra e il 31 luglio la band di Leeds (UK) Submotion Orchestra. A chiudere la rassegna “il genio inglese dell’elettronica” Floating Points (5 agosto) e la “star del jazz americano” Kama-si Washington (27 agosto).

ELETTRONICAGli amanti di questo genere troveranno coinvolgenti le proposte del Fuck Normali-ty Festival, rassegna dedicata alle sonorità contemporanee, in programma il 13 agosto al Sudestudio di Guagnano, in provincia di Lecce. Ospiti confermati di questa edizio-ne Slow Magic, Yakamoto Kotzuga, Matil-de Davoli, Machweo, Catalano, Aemris. Tra elettronica e club music segnaliamo anche Infestazioni Soniche, il free beach festival di scena sulla spiaggia del lido Odissea di Vie-ste (Foggia). Il nucleo centrale della rasse-gna si svolgerà dal 7 al 9 agosto e ospiterà

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ENTI

Carolina Bubbico Quartet, Moods e Bunda-move. Spostandoci più a nord troviamo in-vece il Giovinazzo Rock Festival (28, 30 e 31 luglio) che quest’anno accoglierà la nuova area Rock Village.

LOCATIONNon possiamo escludere da questa rasse-gna tutti quegli spazi che, come ogni anno, ospiteranno - dentro e fuori i festival - gran-di nomi nazionali e internazionali. Torre Re-gina Giovanna (località Apani, Brindisi) con Max Gazzè, Skunk Anansie, Almamegretta; il PostePay Parco Gondar di Gallipoli con David Guetta, Prodigy, Paul Kalkbrenner e Sean Paul; il Forum Eventi di San Pancrazio Salentino con Vinicio Capossela, Luca Car-boni, Massimo Ranieri e Antonello Venditti.

IN ITALIASpostando per un attimo lo sguardo alle rassegne italiane, con una necessaria sem-plificazione ci limitiamo a segnalare il To-rino Todays Festival (con M83 e John Car-penter); Lo Street Music Art Fest (Assago Summer Arena di Milano con Mumford and Sons, Robert Plant, Pharrell Williams e al-tri); il Ferrara Sotto Le Stelle (con le esibi-zioni di Glen Hansard, Wilco, The Last Sha-dow Puppets e Mogwai); il Pistoia Blues con Brian Auger, Bastille e l’unica data italiana di The National e Damien Rice; il Rock in Roma (tra gli ospiti David Gilmour e Bruce Springsteen & The E Street Band); lo Sponz Fest di Vinicio Capossela; il tradizionale ap-puntamento con Umbria Jazz. A settembre, infine, l’Home Festival di Treviso (con Edi-tors, Eagles of Death Metal e altri).

DESERT TRIPChiudiamo questa (non esaustiva) guida all’estate dei festival con una menzione speciale. Siamo idealmente partiti dalla “versione regionale” del Coachella, il Cella-mare Music Festival; ci sembra giusto con-cludere, quindi, con il Desert Trip, il mega happening musicale in programma a Indio, in California il 7,8 e 9 ottobre, ribattezzato “Oldchella”. Ad alternarsi sul palco saranno infatti i grandi “vecchi” del rock, dai Rolling Stones a Bob Dylan; da Paul McCartney a Neil Young, con Roger Waters e gli Who.

anche Robert Babicz, Ancient Methods e Spencer Parker.

WORLD MUSICPrima di passare, infine, agli happening di musica rock e indie, facciamo una veloce carrellata delle rassegne di musica world e popolare. La prima, la più conosciuta, ovvia-mente è la Notte della Taranta di Melpigna-no (27 agosto). A reinterpretare il reperto-rio della musica tradizionale salentina con l’Orchestra Popolare sarà nel 2016 Carmen Consoli; la cantantessa è la prima donna alla guida della kermesse. Sino al 17 luglio, inve-ce, nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia la rassegna internazionale di musica popolare “Suoni della murgia nel Parco” con la dire-zione artistica di Luigi Bolognese ospita i tedeschi Ensemble Oni Wytars, Daniele di Bonaventura Band’union, Quartetto l’E-scargot, Caora Dhubh, Trioamaro, Raffael-lo Simeoni & Micrologus, Med’ensemble e Uaragniaun. Nel mese di agosto ogni anno si tiene anche il Carpino Folk Festival, ras-segna dedicata alla musica tradizionale nel cuore del Gargano. Dall’11 al 17 settembre a Cutrofiano (Lecce) torna Li Ucci Festival. Il festival diretto da Antonio Melegari propo-ne sette giorni di concerti, mostre e incon-tri per ricordare un’intera generazione di cantori capaci di tramandare il patrimonio popolare salentino.

ROCK E INDIEUltimo spazio quello dedicato al rock e alla musica indipendente. Il 10 agosto un altro evento al Sudestudio di Guagnano, que-sta volta per il Contronatura Festival che ospiterà Cosmo, progetto solista di Marco Bianchi dei Drink To Me. Alcuni giorni prima, dal 5 al 7 agosto a Melpignano, in provincia di Lecce, appuntamento, invece, con il So What Festival. Tre giorni di incontri, mostre, uno spettacolo teatrale, una serata dedica-ta ad Emergency, quattordici concerti e dj set con ospiti italiani e internazionali come The Skatalites, 99 Posse, Panda Dub, Assalti Frontali, Iseo & DodoSound. Nel Sud Salen-to “Esco di Radio”, trasmissione di Mondo-radio, propone un festival itinerante. Saba-to 30 luglio ad Alessano con Crifiu e Mino De Santis e martedì 9 agosto a Tricase con

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Tre Allegri Ragazzi Morti, Go!Zilla, I Ministri, La Notte, La Municipàl, Niagara, Lim, Giorgio Tuma sono alcuni degli ospiti della decima edi-zione del Sud Est Indipendente, festival ideato e organizzato dalla Cooperativa CoolClub, con la direzione artistica di Cesare Liaci, e con il pa-trocinio del Comune di Lecce. Dal 15 al 17 luglio (abbonamento 18 euro + dp) appuntamento all’Ostello del Sole di San Cataldo, in provincia di Lecce, per una tre giorni di musica in riva al mare. E per gli amanti del rock il Sud Est Indi-pendente ha pensato anche ad un imperdibile fuori programma: mercoledì 17 agosto (ore 22 - ingresso 20 euro + dp - prevendite Booking-Show) nell’Anfiteatro Romano di Lecce arriverà Peter Hook – membro e fondatore di New Or-der e Joy Division, pioniere della musica anni ‘80 e ‘90, un vero mito per le sue “invenzioni” in campo di musica dance – con la sua nuova band The Light.La tre giorni all’Ostello di San Cataldo prenderà il via venerdì 15 luglio (ore 21) con i brindisini Plof, con il loro indie/sperimentale e una sana dose di umorismo. Sul palco arriveranno poi i Go!Zilla, una fuzz psychedelic punk band for-mata nel tardo 2011 a Firenze che propone un suono che prende ispirazione dalle atmosfere Grunge degli anni 90 e i singoli garage / surf 60s mixando il tutto con un’attitudine di matrice punk durante i live. In chiusura tornano al Sud Est Indipendente i Tre Allegri Ragazzi Morti che presenteranno, tra gli altri, i brani di Inumani, il titolo del nuovo album che contiene undici nuove canzoni che arricchiscono l’immaginario

fantastico del trio mascherato che da più di vent’anni accompagna le nostre esistenze.Sabato 16 luglio (ore 21) la seconda serata del festival ospiterà i tarantini A Morte l’amore, La notte, band fiorentina (evoluzione dei Two More Canvases) con brani in italiano e suoni saturati e psichedelici. La Municipàl proporrà i brani dell’album di esordio “Le Nostre Guerre Perdute”, prodotto da La Rivolta Records con il sostegno di Puglia Sounds Record. Ospiti prin-cipali i Ministri, una delle band rock italiane più seguite ed apprezzate che con il loro Cultura Generale Tour hanno inanellato una serie di sold out in giro per il paese.Domenica 17 luglio (ore 19) il festival si con-cluderà con una lunga giornata di musica che partirà dal tardo pomeriggio con le band vinci-trici del contest (che partirà nei prossimi gior-ni) e con Giorgio Tuma, tornato a cinque anni di distanza dal precedente album con “This Life Denied Me Your Love”, Lim aka Sofia Gallotti, progetto di musica ambient evocativa che com-bina spazi esoterici con atmosfere esistenziali-ste e sognanti, e Niagara, il duo torinese com-posto da Davide Tomat e Gabriele Ottino (già assieme in progetti come N.A.M.B. e Gemini Excerpt) che non si limita ad esplorare i confini della musica elettronica, ma amplia il concetto stesso di produzione musicale coinvolgendo varie forme d’arte visiva, sia in studio, con una cura maniacale dell’artwork e dei videoclip, sia dal vivo, con visuals psichedelici e l’uso di nuove tecnologie segretissime.Info SeiFestival.it

SUD EST INDIPENDENTE Il Festival firmato da Coolclub compie dieci anni

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Ninfa Giannuzzi, Rachele Andrioli, Simona Gubello e Meli Hajderaj sono le quattro pro-tagoniste di Rosamarino. La nuova produ-zione di Kurumuny – Musica dalla Terra, ap-pena uscito con il sostegno di Puglia Sounds Record, sarà presentata ufficialmente negli spazi all’aperto dell’Associazione Art&Lab “Lu Mbroia”. Ospite della serata il chitarrista e polistrumentista Maurizio Pellizzari. Info e prenotazioni 3381200398 - 3383651843.

11 giugno - ore 21Lu Mbroia - Corigliano d’Otranto (Le)ROSAMARINO

TUTTI GLI EVENTI DEL MESE SUL SITO COOLCLUB.IT

“Pe(n)sa differente. Festeggia il tuo peso naturale!” è la manifestazione internazio-nale di sensibilizzazione, informazione e formazione su anoressia, bulimia, obesità e altre in/differenze, giunta alla nona edizio-ne. Quattro giorni in varie location di Lecce con tavole rotonde, incontri, eventi, proie-zioni, mostre, reading, spettacoli di teatro e di danza. Info pensadifferente.it

15/18 maggioLeccepENSA DIffERENTE

Il Castello di Gallipoli ospita la terza pre-sentazione (dopo Corigliano e Otranto) di Benvenuta Kalopolis, nuovo progetto idea-to e promosso da Ada Fiore. Può la cultura generare “un’economia gravemente etica”, costruire nuove relazioni kalopatiche, (lega-te alla bellezza), realizzare nuovi sistemi di franchising intellettuale, sviluppare un’idea di “marketing di virtù” in grado di far fronte ai veri vizi? È la vera sfida con cui Industria Filosofica ha deciso di avviare la sua attivi-tà. Benvenuta Kalopolis: città-mondo bella, ha come scopo quello di dimostrare come il pensiero filosofico unito alla creatività, sia in grado di tradursi in azioni concrete, inci-dere positivamente sulle abitudini comuni e determinare nuove e possibili strategie di mercato. Liberamente ispirato all’encicli-ca “Laudato sii”, Kalopolis è un “mondo da portare nel proprio mondo” per recuperare un nuovo modello dell’essere umano, della vita, della società, della relazione con la na-tura. È un luogo in cui i miti della modernità come l’individualismo, il progresso indefini-to, la concorrenza, il consumismo, il mercato senza regole vengono sostituiti da un diver-so equilibrio ecologico: quello interiore con se stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi.Info www.industriafilosofica.it

12 giugnoCastello - Gallipoli (Le)bENvENUTA KAlOpOlIS

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Dal 13 al 19 giugno la Masseria Ospitale sul-la Lecce Torre Chianca ospita una residenza workshop per progettare e costruire la nuo-va Arena estiva. In collaborazione con l’as-sociazione Gridshell.it, infatti, la Masseria si trasformerà in un laboratorio di studenti, ar-tisti, architetti, docenti universitari e makers che animeranno e trasformeranno i campi tradizionalmente coltivati in luoghi di scam-bio e creazione artistica, in officina d’arte vera e propria. Guidati da Sergio Pone (Do-cente di Architettura all’Università Federico II di Napoli) e dai progettisti e ricercatori di Gridshell.it, realizzeranno strutture leggere in legno ispirate ai principi dell’autocostru-zione, del riuso, dell’ecosostenibilità, del fare insieme. Durante tutta la settimana sa-ranno organizzati incontri, concerti, aperiti-vi, pranzi e cene sociali che sosterranno l’ini-ziativa, all’insegna della condivisione. Tra gli ospiti Vincenzo Costantino Cinasky con il re-cital “Nato per lasciar perdere” (16 giugno), gli attori della compagnia Improvvisart (15 e 18 giugno), Claudio Cavallo Giagnotti dei Mascarimirì e le sue selezioni musicali (17 giugno). Durante l’estate nella nuova Arena si terranno i concerti di Daniele Silvestri (18 agosto) e Damian Marley (2 settembre). Info www.masseriaospitale.com

13/19 giugno Masseria Ospitale - LecceCOSTRUIRE UN’ARENA

Le sale del Palazzo Baronale di Novoli ospi-tano una piccola rassegna di fumetti e il-lustrazioni dedicata ad Andrea Pazienza. Discussioni, performance e una mostra rea-lizzata da diversi autori italiani per ricordare (nel sessantesimo anno della sua nascita) il fumettista prematuramente scomparso nel 1988. Ospite della rassegna Antonello Vigliaroli, ideatore del progetto “Splash! Ar-chivio Andrea Pazienza”.

18 giugno - 18.30Palazzo Baronale - Novoli (Le)NOvOlI E NUvOlE

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Il Barcollo di Torre Santa Susanna festeg-gia 5 anni dall’apertura con il concerto dei Bamboo. Lo scopo della band romana è quello di creare musica con strumenti “al-ternativi” del tutto lontani da quelli tradi-zionali, oggetti comuni della vita di ogni giorno. Viti e bulloni, citofoni e giocattoli, camere d’aria, tubi e bidoni, catene e se-gnali stradali, righelli trapani e tanto tanto ancora. Ingresso libero

17 giugno - ore 22Barcollo - Torre Santa Susanna (Br)bAMbOO

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La rassegna curata da XO Booking giunge al suo ultimo appuntamento con il con-certo dei canadesi Clay and Friends. L’i-dea della band si forma nel backstage di uno show di freestyle: da quel momento si plasma l’idea di un gruppo definito da un sound soul-hop, una commistione live di hip-hop, jazz e reggae.

20 giugno - ore 21.30Officine Culturali Ergot - LecceClAY AND fRIENDS

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Al Castello di Gallipoli la stagione estiva sarà inaugurata da uno spettacolo dell’A-telier di Teatro Rituale condotto da Ilaria Mancino. “Solstizio d’estate: mangiamo i frutti e conserviamo i semi”, con una instal-lazione luminosa dell’artista Daniela Chion-na, vuole essere una riflessione collettiva per sintonizzare le fasi della nostra vita con la Natura e recuperare il ritmo di questa sintonia. [email protected]

21 giugnoCastello di Gallipoli (Le)SOlSTIZIO D’ESTATE

Doppio appuntamento nelle Feltrinelli di Lecce e Bari per gli AfterHours in giro per presentare il nuovo album “Folfiri o Folfox” che esce a quattro anni di distanza dal pre-cedente “Padania”. Diciotto brani nei cui testi Manuel Agnelli affronta argomenti de-licati come la solitudine, la perdita del padre e la consapevolezza di essere diventato de-finitivamente un uomo adulto.

23/24 giugnoLecce - BariAfTERhOURS

Unica data in Puglia per Mika. In tour da più di un anno tra Europa, Asia e America, dopo i sold out a Roma, Milano e Firenze dello scorso anno, Mika, artista libanese, torna in Italia per incontrare il suo nutritissimo pub-blico cantando tutti i più grandi successi, or-mai davvero tanti, di un’artista dalla carriera sempre in ascesa. Info 0809698125

24 giugno – ore 21Molfetta (Ba)MIKA

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Da giovedì 23 a sabato 25 giugno a Squin-zano torna l’appuntamento con la rassegna Città della Musica. Organizzata dal Comune di Squinzano con la direzione artistica di Pino Lagalle dell’agenzia Ribalta, con il pa-trocinio del Ministero della Cultura, della Siae e della Regione Puglia e con il sostegno di altri partner pubblici e privati, la rassegna ospiterà, tra gli altri, il trombettista Enrico Rava, il pianista e compositore Enrico Intra, il direttore d’orchestra Beppe Vessicchio, il cantante Pino Ingrosso, la cantautrice Ca-rolina Bubbico, la vocalist jazz Elisabetta Guido, i gruppi finalisti del Premio Nicola Arigliano e del concorso Salento Cantae-state e molti altri ospiti. Sin dalla nascita la manifestazione vuole celebrare Squinzano come città della musica che nel corso del novecento ha visto crescere e affermarsi la grande tradizione bandistica, rappresen-

tata soprattutto nel periodo diretto dai fratelli Ernesto e Gennaro Abbate ma che ancora oggi porta la Banda di Squinzano in giro per l’Italia. Nel piccolo centro del nord salento è nato, inoltre, Nicola Arigliano che viene ricordato ogni anno con una serata dedicata alle nuove realtà del jazz italiano e con la partecipazione di ospiti speciali che dopo Franco Cerri e Stefano Bollani saranno Enrico Rava ed Enrico Intra che si esibiranno il 23 giugno. Info [email protected]

dal 23 al 25 giugnoSquinzano (Le)CITTà DEllA MUSICA

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UNICA DATA IN PUGLIA

WWW.TICKETONE.IT - WWW.BOOKINGSHOW.ITINFO: 080/9698125 - WWW.VRCONCERTI.IT

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PUGLIA SOUNDS