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Convegno Internazionale: Multiculturalià/Interculturalità. Questioni di etica pubblica. Almo Collegio Borromeo – Pavia 16 Settembre 2009 Multiculturalità/ Interculturalità: un contributo kantiano Alice Ponchio

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Convegno Internazionale: Multiculturalià/Interculturalità. Questioni di etica pubblica.

Almo Collegio Borromeo – Pavia16 Settembre 2009

Multiculturalità/Interculturalità:un contributo kantiano

Alice Ponchio

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Aspetti che prenderò in considerazione:

1. l’assolutezza, conferita sul piano metaetico all’imperativo categorico, è aperta sul piano normativo alla particolarità delle situazioni contingenti in cui i soggetti morali si trovano a vivere;

2. il fondamento normativo dell’etica kantiana le conferisce la capacità di essere universale e di sfuggire alle dinamiche escludenti che caratterizzano il dibattito etico contemporaneo.

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Precisazione preliminare:

possibile individuare nella produzione morale di Kant due livelli di indagine:

1) livello metaetico:

tentativo di formulare principio morale a priori;

2) livello normativo:

contiene il sistema dei doveri.

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I. aspetto:

L’etica kantiana conferisce, a livello metaetico, assolutezza all’imperativo categorico;

tale assolutezza non esclude, a livello normativo, la particolarità:

doveri di virtù (Tugendpflichten)

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Doveri di virtù:• imperativi categorici• doveri larghi e imperfetti (weite, unvollkommenePflichten) =

non determinano il grado e il modo dell’azione ma lasciano un certo margine al giudizio.

“[…] a causa del margine (Spielraum) concesso ai suoi doveri imperfetti, l’etica si spinge inevitabilmente verso questioni che inducono la capacità del giudizio a decidere come vada applicata una massima in certi casi particolari e cioè in modo tale che questa massima fornisca una massima (subordinata) (in cui può sempre venir domandato quale sia il principio della sua applicazione ai casi che si verificano).”

MS, VI 411

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Tale margine implica la necessità di una declinazione del dovere etico a seconda delle circostanze:

“In ogni caso, per dovere largo non si intende la concessione di deroghe alle massime delle azioni, bensì soltanto il permesso di limitare una massima di dovere con un’altra (per esempio l’amore universale per il prossimo con l’amore per i genitori), e così il campo della prassi virtuosa viene di fatto ampliato.”

MS, VI 390.

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“È evidente che qui non si intende la benevolenza del desiderio, che è in verità un semplice compiacimento per il bene altrui, senza che vi si possa contribuire in qualcosa (ognuno per sé e Dio per tutti), ma qui si intende una benevolenza attiva, pratica, di porsi come fine il bene e la salvezza altrui (il fare del bene). Nei desideri infatti posso voler bene allo stesso modo a tutti, mentre nell’atto pratico il grado può essere molto diverso a seconda delle persone amate (di cui una mi riguarda più da vicino di un’altra), senza trasgredire l’universalità della massima.”

MS, VI 451 s.

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II. aspetto:

concetto di umanità (Menschheit)

esprime la natura morale libera dell’uomo in quanto tale,

libertà morale che coincide con la facoltà della ragione di essere di per se stessa pratica.

Tale concetto ha rilievo per la teoria normativa kantiana:

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“Il principio supremo della Dottrina della virtù è:

“agisci secondo una massima dei fini, avere la quale possa essere per ciascuno una legge universale.” – Secondo questo principio l’uomo è fine tanto a se stesso quanto agli altri e non è sufficiente il fatto che non gli sia permesso di trattare né sé né gli altri semplicemente come mezzo (in ciò egli può essere anche indifferente verso sé e gli altri), ma porsi l’uomo in generale come fine è in sé dovere dell’uomo.”

MS, VI 395

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“Se non si ammettesse l’esistenza di tali doveri, non ci sarebbe alcun dovere, neanche esterno. Infatti, non posso riconoscermi obbligato vero gli altri se non nella misura in cui obbligo me stesso, perché la legge, in forza della quale mi sento obbligato, scaturisce in tutti i casi dalla mia propria ragion pratica, per mezzo della quale mi viene imposto qualcosa, mentre io sono impositore nei miei riguardi.”

MS, VI 417 s.

=

alla base del sistema dei doveri kantiano si trova un’obbligazione nei confronti della propria ragion pratica.

Tale obbligazione fonda qualsiasi tipo di dovere.

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Ma la libertà della ragion pratica coincide con il concetto di umanità

=l’obbligazione che fonda qualsiasi tipo di dovere è quella posseduta dall’uomo nei confronti della propria umanità.

“Ora, l’uomo come essere naturale ragionevole (homo phaenomenon) è determinabile all’azione nel mondo sensibile per mezzo della ragione, intesa come causa, e qui il concetto di obbligazione non entra ancora in gioco. Questo uomo, tuttavia, considerato secondo la sua personalità, ossia come essere dotato di libertà interiore (homo noumenon), è un essere in grado di obbligarsi, e cioè anche verso se stesso (l’umanità nella sua persona).”

MS, VI 418

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N.B.: con ciò l’etica kantiana non si chiude nel solipsismo di un’etica fondata sull’obbligazione nei confronti dell’umanità nella mia persona.

“Il dovere non riposa su sentimenti, impulsi e inclinazioni, ma soltanto sul rapporto reciproco tra esseri razionali, rapporto nel quale la volontà di un essere razionale deve sempre essere considerata come legislatrice, poiché altrimenti non si potrebbero pesare quegli esseri come fini in se stessi.”

GMS, IV 434

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Il concetto di umanità si situa alla base del concetto di dovere, costituendone il fondamento normativo.

La fonte della normatività del dovere e il suo principio non risiedono nel dovere di per sé, ma

nel dovere incondizionato di rispettare il valore assoluto dell’umanità.

In che cosa consiste il concetto di umanità kantiano?

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Concetto di umanità =

concetto di libertà.

Concetto di libertà non è di carattere descrittivo, ma postulatorio.

Tale caratteristica fa sì che l’etica kantiana non valga solamente per alcuni individui, ma per l’uomo in quanto tale, in virtù del suo essere uomo.

Il valore inalienabile che ciascuno possiede non deriva infatti dallo sviluppo o dall’esercizio della razionalità, né dalla moralità, ma dal proprio essere uomo, essere razionale di natura dotato di libertà morale.

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“La pena giuridica, distinta da quella naturale, in cui il vizio si punisce da sé e il legislatore non prende in alcuna considerazione, non può mai essere inflitta semplicemente come mezzo per determinare un altro bene a favore del delinquente stesso o della società civile, ma deve essere inflitta al colpevole sempre ed esclusivamente perché ha commesso un crimine, in quanto l’uomo non può mai essere trattato come mezzo in vista delle intenzioni di un altro, né può essere confuso con gli oggetti del diritto reale: da questo lo protegge la sua personalità innata, anche se può benissimo essere condannato a perdere la personalità civile.”

MS, VI 332

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“Disprezzare gli altri ossia negare loro il rispetto che è dovuto all’uomo in generale, è in ogni caso contrario al dovere poiché si tratta comunque di uomini. […] non posso negare al vizioso, in quanto uomo, tutto il rispetto che, per lo meno in qualità di uomo, non gli si può negare, sebbene con le sue azioni se ne renda indegno. […] Su questo si fonda un dovere di rispetto per l’uomo anche nell’uso logico della sua ragione: i suoi passi falsi non vanno più additati come assurdità, stupidaggini e via di seguito, ma si presumerà piuttosto che devono contenere qualcosa di vero che andrà cercato. Al tempo stesso andrà smascherata l’apparenza illusoria (l’elemento soggettivo dei principi di determinazione del giudizio, che erroneamente si riteneva oggettivo) e così, chiarendo in che modo sia possibile sbagliare, si conserverà il rispetto per l’intelligenza altrui.

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[…] La condanna del vizio non deve mai giungere al disprezzo e alla negazione totale del valore morale dell’uomo vizioso. Infatti, questa ipotesi implica che egli non potrebbe mai migliorare, conclusione che risulta inconciliabile con l’idea di uomo che, come uomo (in quanto essere morale) non può mai perdere le disposizioni al bene”.

MS, VI 463 s.

Ponendo a proprio fondamento un concetto di carattere postulatorio, la morale kantiana non entra nel gioco di esclusione e di inclusione tipico di una buona parte del dibattito bioetico neoliberale, e si qualifica come autenticamente universale. Il concetto di libertà, infatti

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“[…] produce la possibilità dell’altro come altro soggetto morale. Se mi è data, o comunque nota la sostanza di ogni cosa, non devo far altro che incastonare ogni pezzo, minerale, animale o vegetale, nella gerarchia dell’essere. Ma se adotto la prospettiva di una libertà teoreticamente indescrivibile, devo sempre sospettare che questa libertà che applico a me stesso chiedendomi “che cosa devo fare?” possa applicarsi anche alla creatura che mi sta davanti – che so di vedere inevitabilmente di scorcio, dai limiti del mio punto di vista. L’esigenza cosmopolitica comporta il dovere di prendere in considerazione tutte le rivendicazioni di inclusione, con una inversione dell’onere della prova, nel senso che deve toccare a chi vuole escludere qualcuno dimostrare perché di questa creatura non è possibile predicare la libertà, e perché essa deve venire confinata nel regno delle cose.”

M. C. Pievatolo, La giustizia degli invisibili. L’identificazione del soggetto morale, a ripartire da Kant , Carocci editore, Roma 1999, pp. 70 s.

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L’etica kantiana si presenta come un’etica universale e sciolta dalla relatività delle situazioni individuali, ma al tempo stesso aperta alla particolarità, ciò è possibile grazie alla particolare forma assegnata ai doveri etici e al peculiare fondamento normativo posto alla sua base.

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Fine

Grazie!