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COMUNE DI AVELLINOAssessorato all’assetto urbano e alla riqualificazione
Informativa sulla situazione urbanistica della città
e proposta al Consiglio Comunale di approvazione
di indirizzi generali per l’adeguamento del PUC
I cambiamenti strutturali che il nostro territorio ha attraversato negli ultimi dieci anni, e che sta attraversando
nella fase attuale, in ordine al sistema economico e sociale che lo caratterizzano e, in particolare,
all’evoluzione demografica che nella città di Avellino e nei comuni contermini si è delineata, rendono
necessaria una riflessione sul grado di aderenza dello strumento urbanistico vigente (PUC) al nuovo quadro
di riferimento.
Nello stesso tempo, è indispensabile effettuare un’analisi sistematica dei risultati dell’attuazione del PUC e
delle ricadute sulla città, a partire dal quadro di strategie e di obiettivi che il Piano si prefiggeva quando è
stato redatto e poi approvato.
Sul primo punto, il quadro economico generale del nostro territorio di questi ultimi anni, in coerenza con
l’andamento complessivo dell’economia nazionale, restituisce una situazione di grave difficoltà, di
contrazione e di recessione, con pesanti ricadute sul sistema occupazionale, ma anche – più in generale – sul
livello medio di qualità della vita e sulle condizioni complessive, non solo economiche, della società.
Nello stesso tempo, il quadro di riferimento disegnato dall’andamento demografico del territorio della
provincia di Avellino, restituisce una situazione con un repentino picco in diminuzione dopo il 2010.
La situazione specifica di Avellino risulta tutto sommato stabile dopo il 2010, ma comunque entro un quadro
generale di leggera flessione almeno dal 2007 in poi.
Questi dati – meglio esplicitati nelle tabelle allegate – inducono la necessità di una riflessione sui possibili
scenari di trasformazione dell’assetto del nostro territorio e sulle esigenze – sia in termini di quantità che di
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qualità delle trasformazioni - che lo strumento urbanistico vigente prevede.
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Il quadro è quello di una società tutto sommato stabile – se non in flessione – sul piano strettamente
demografico, il che rende opportuno un orientamento degli scenari futuri di trasformazione del territorio
verso orizzonti di riqualificazione dell’esistente piuttosto che di ampliamento, privilegiando quindi logiche di
ammodernamento, rigenerazione e sostenibilità, in luogo di logiche additive e di consumo.
Sul secondo punto, quello dell’analisi sistematica dei risultati dell’attuazione del PUC e delle ricadute sulla
città, è utile considerare – in comparazione – gli obiettivi che il nostro PUC si poneva all’atto della sua
redazione ed approvazione a fronte dei risultati conseguiti e delle ricadute sulla città.
Negli Indirizzi programmatici per la redazione del nuovo Piano Urbanistico Comunale (Delibere di
C.C. n. 62 del 16/6/2001 e n. 63 del 17/06/2001) riportati in apertura della Relazione Illustrativa – datata
Giugno 2007 – del nuovo PUC, emendato secondo le osservazioni accolte con Del. di C.C. 18 sub. 13 del
23.01.2006 e approvato poi definitivamente con decreto del Presidente dell’Amministrazione Provinciale n.1
del 05/01/2008, è possibile leggere un’attenta critica allo strumento urbanistico fino ad allora vigente,
centrata su considerazioni che riguardavano gli effetti e le ricadute di quello strumento, sul piano fisico,
sociale, economico, giuridico e politico; il nostro attuale strumento urbanistico fondava la sua struttura, il suo
quadro di contenuti e le sue strategie su quelle che erano individuate come criticità del piano allora in vigore.
È utile riportare qui, per introdurre questa informativa, uno stralcio della relazione illustrativa del nostro
PUC:
«Il Piano Regolatore ancora oggi vigente, redatto sotto la spinta del disastro
sismico e dell’emergenza, risulta insostenibile a vari livelli:
• fisico: perché tende a far realizzare solo “residenze” senza far sviluppare una
città;
• sociale: perché non ha portato, nel tempo, alla realizzazione della “città
pubblica”;
• economico: perché non si possono più pagare le sue previsioni;
• giuridico: perché può favorire contenziosi con un insieme di regole di difficile
interpretazione;
• politico: perché può generare malcontenti diffusi tra i cittadini.»
Tali aspetti venivano riconosciuti come problemi da risolvere per mezzo di una più adeguata strumentazione
urbanistica, e andavano così a costituire il sistema di motivazioni fondamentali del lavoro intrapreso con il
nuovo PUC, reso operativo con la citata delibera di approvazione definitiva del gennaio 2008.
Ora, chiunque volesse considerare lo stato delle cose con riguardo alle trasformazioni e allo sviluppo della
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città di Avellino negli ultimi sei anni, nei quali il nostro PUC ha guidato gli interventi intrapresi, non
potrebbe non riconoscere una situazione in gran parte simile a quella delineata all’inizio dello scorso
decennio dal Consiglio Comunale della città, e recepita quindi dagli stessi estensori del nostro PUC.
A sostegno di questa tesi si può sviluppare un’analisi dell’attuazione del nostro PUC proprio soffermandosi
sugli esiti e sulle ricadute che essa ha determinato in relazione agli aspetti di ordine fisico, sociale,
economico, giuridico e politico. e considerazioni che emergeranno da quest’analisi intendono essere un
contributo alla discussione che si potrà sviluppare in Consiglio e che – mi auguro – si allargherà ad
estesi settori della comunità – istituzioni, associazioni, organizzazioni di categoria, tecnici – fino a
coinvolgere tutti i cittadini, anche i più giovani, gli studenti e i ragazzi, il cui punto di vista e il cui
contributo per la messa a punto delle istanze e degli indirizzi che l’assetto del territorio comunale deve
perseguire non può essere trascurato.
L’urbanistica, la pianificazione, il sistema integrato di scelte collettive riguardanti le strategie, i metodi e le
tecniche da adoperare per organizzare l’assetto del territorio della città – anche in una logica di sempre
maggiore integrazione con una scala territoriale più ampia – è un campo tecnico-politico di grandissima
importanza per la vita di tutti e pertanto spero che si potrà convenire che i contenuti della riflessione
destinata ad alimentare e orientare queste scelte non possa essere confinata in sedi ristrette, ma vada allargata
il più possibile, utilizzando tutte le tecnologie e gli strumenti a nostra disposizione.
Aspetto fisicoGran parte dell’attività edificatoria di questi ultimi anni si è concentrata nelle zone già densamente
edificate del centro, con ulteriore aumento della densità, generata tra l’altro con una prevalenza di
superfici residenziali.
Ciò è stato possibile in virtù delle indicazioni di piano che consentono un’edificazione di completamento o di
rinnovo in aree interne alla città consolidata, anche in zone già densamente edificate, con un indice di
utilizzazione fondiaria (Uf) che in alcuni casi (Zone consolidate residenziali e nelle Aree di Rinnovo Urbano)
raggiunge 1 mq di SLP per 1 mq di Superficie fondiaria.
Aree centrali della città, dove era già presente una significativa densità edilizia, sono state ulteriormente
densificate fino a raggiungere il massimo dell’utilizzazione fondiaria consentita.
Pur alla luce di una tendenza dell’edilizia residenziale privata nel periodo 2006-2013 che complessivamente
risulta – sulla base di dati analizzati dal nostro Ufficio - in flessione rispetto al passato, poiché ci troviamo di
fronte a una limitatissima realizzazione di opere e infrastrutture pubbliche, è possibile, secondo me
sostenere che anche il nostro PUC «tende a far realizzare solo “residenze” senza far sviluppare una città».
Intanto la “città da tramandare”, cioè quella storica, soffre di una condizione di blocco, di stasi, di torpore,
non tanto o non solo dal punto di vista delle attività edilizie, ma anche per la limitatezza delle attività di tipo
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sociale, economico e culturale che vi sono insediate. In questa parte della città risulta inoltre problematico il
recupero di quegli edifici degradati che risultano classificati come edifici di valore documentario1 per i quali
l’intervento di consolidamento previsto dall’art. 9 delle NTA del Piano è di difficile e onerosa attuazione. Il
mancato recupero dei manufatti rende quindi difficile anche il ripopolamento di parte del centro
storico e la sua rivitalizzazione, nonostante lo sforzo dei commercianti e di quei pochi artigiani che con
grande fatica resistono in una situazione particolarmente difficile.
Un altro problema è rappresentato dai comparti di Nuovo Impianto, cioè quelle parti del territorio non
edificato nelle quali sono previsti interventi di ristrutturazione urbanistica da condurre in maniera unitaria
mediante la redazione, l’approvazione e la realizzazione di PUA (Piani Urbanistici Attuativi), con gli
obiettivi di ridefinire il limite della configurazione urbana, di realizzare nuovi interventi residenziali, terziari
e di servizio, e di perequare il trattamento delle aree a servizi con quello delle aree destinate all’edificazione.
Molti di essi, come sapete, sono fermi, non riuscendo a trovare il modo di portare a compimento le previsioni
del Piano.
In molti casi l’eccessiva estensione dei comparti, unita al frazionamento della proprietà dei suoli, rende
difficile il raggiungimento dell’obiettivo, pur apprezzabile, della trasformazione unitaria, perché non
tutti i proprietari sono mossi da un’uguale e contemporanea intenzione di procedere alla realizzazione.
Altra causa di difficoltà si rinviene in un’altra significativa difficoltà di attuazione dei comparti: L’art. 25
della Legge Urbanistica Regionale n. 16/2004, stabilendo che con gli Atti di Programmazione degli
Interventi si adotta la disciplina degli interventi di tutela, valorizzazione, trasformazione e riqualificazione
del territorio comunale da realizzare nell’arco temporale di tre anni, richiede che sia precisata la
quantificazione degli oneri finanziari a carico del comune e di altri soggetti pubblici per la realizzazione
delle opere previste, indicandone le fonti di finanziamento. Ma molto spesso si è verificato che la
previsione di spese a carico dell’Amministrazione Comunale risulta insostenibile, date le nostre attuali
condizioni finanziarie.
Aspetto socialeLe iniziative che il PUC prefigura in riferimento alla condizione operativa della “Città pubblica”2, mediante
la previsione sia di aree per servizi in progetto a vincolo secco, che di aree da trasformare per servizi, sono
1 Art. 7 delle NTA, comma 5: «Gruppo 3) Edifici di valore documentario: Gli edifici le cui qualità costituiscono testimonianza, per le particolari modalità costruttive e di uso dei materiali, dei modi di costruzione della città.»2 E’ il tema dei servizi e degli spazi pubblici della città, della dotazione quantitativa delle aree a standard, così come stabilito dalle leggi, ma soprattutto della condizione qualitativa dello spazio pubblico della città. La città pubblica riguarda anche il progetto di riassetto del sistema della viabilità urbana, la previsione di nuovi tracciati e di nuove aree a parcheggio, la rete del trasporto pubblico (pag. 31 della Relazione Illustrativa del PUC)
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state in alcuni casi realizzate solo in minima parte; nella maggior parte dei casi non se ne è avviata neppure
la progettazione; basta considerare le previsioni riguardanti le aree di bordo situate tra la città e l’autostrada
Napoli-Bari, le attrezzature di servizio a nord dell’autostrada (la cosiddetta Strada Parco Nord), nel nucleo
Pennini, il completamento del complesso scolastico dei Cappuccini con nuovi spazi verdi e servizi, il
riordino degli spazi pubblici e privati di Rione Parco con la realizzazione del parco sul margine sud del
quartiere, l’area Ts 24 posta ai margini della Variante sud e limitrofa al nuovo carcere destinata agli
spettacoli viaggianti e alle aree di prima accoglienza della Protezione Civile, la realizzazione a nord, tra via
Don Giovanni Festa e lo Stadio, dell’area per il mercato bisettimanale, e questo solo per citare alcune delle
aree da trasformare per servizi.
Il Parco Fenestrelle, questa grande infrastruttura verde, estesa su 65 ettari che, se realizzata, avrebbe
proiettato Avellino verso un’autentica dimensione europea di qualità della vita, è rimasto un disegno –
benché splendido – sulla carta. Eppure gli indicatori ambientali dell’ISTAT ci restituiscono un quadro in cui,
per quanto riguarda la disponibilità unitaria di verde urbano pubblico, Avellino ha una dotazione di circa 8,5
mq per abitante, contro i circa 300 di Cuneo, i 41 di Pordenone, i 35 di Siena, i 18 di Teramo, i 21 di
Agrigento e i 99 di Caltanissetta, solo per citare alcune città la cui popolazione residente è confrontabile con
quella di Avellino. Per quanto riguarda, invece, la densità di verde urbano (cioè la percentuale di verde
urbano rispetto alla superficie territoriale), Avellino esprime una percentuale del 1,6 % contro il 13,5 di
Cuneo, il 5,4 di Pordenone, l’1,6 di Siena, lo 0,6 di Teramo, lo 0,4 di Agrigento e l’1,4 di Caltanissetta.
Anche le previsioni riguardanti il sistema cinematico della città si sono realizzate in minima parte, ed è
evidente che la rete stradale della città non è sempre sufficiente a gestire i flussi di traffico che si generano ,
né a servire una moderna rete di trasporto pubblico, la cui mancata implementazione dipende fin troppo dalle
condizioni della rete infrastrutturale che risulta ormai obsoleta.
Manca inoltre ad Avellino una rete di mobilità alternativa e sostenibile – come una rete di percorsi
ciclabili ad esempio – di cui pure una parte sempre più consistente della comunità avverte una
significativa necessità.
Anche del nostro PUC, pertanto, si può dire – come fu detto per il precedente PRG – che «non ha
portato, nel tempo, alla realizzazione della “città pubblica”»; e questa situazione determina, oggi,
quella che – utilizzando ancora parole di ieri – si potrebbe definire “un’attesa collettiva per
l’attuazione della restante parte pubblica dello strumento urbanistico, non realizzabile dai privati” ;
(pag. 5 della Relazione Illustrativa del PUC, nella cui parte iniziale si delineano le critiche alla pianificazione
allora vigente e le attese da soddisfare con quella nuova).
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Aspetto economicoPer quanto riguarda la sostenibilità economica del PUC, è utile considerare che questa può essere valutata a
partire da due questioni che si sono sottoposte all’attenzione dell’Amministrazione Comunale: i vincoli
preordinati all’esproprio, che hanno durata quinquennale, e gli Atti di Programmazione degli Interventi.
Quanto alla prima questione, la documentazione messa a punto recentemente dall’Ufficio Pianificazione e
Uso del Territorio ha permesso di mettere a fuoco l’entità delle risorse che sarebbero necessarie per la
realizzazione della viabilità pubblica derivante dall’attuazione del PUC per mezzo degli espropri delle aree
su cui insistono appositi vincoli, quelli definiti, appunto “preordinati all’esproprio”. Si tratta, peraltro, di aree
su cui una recente delibera di Giunta Comunale, la n. 146 del 23/12/2013, in attesa della necessaria revisione
del PUC, ha confermato nuovamente il vincolo, a conclusione di una procedura già avviata dalla precedente
gestione commissariale del Comune di Avellino. Tali risorse corrispondono a € 20.288.064,00.
Per quanto riguarda la seconda questione, invece, è utile ricordare che le previsioni del PUC si attuano
mediante gli Atti di Programmazione degli Interventi. L’art. 5 - Atti di programmazione degli interventi -
della L.R. 16/2004 (la Legge Urbanistica regionale) dispone – tra l’altro - che :«1. Con delibera di consiglio comunale è adottata, in conformità alle previsioni del Puc e senza modificarne i
contenuti, la disciplina degli interventi di tutela, valorizzazione, trasformazione e riqualificazione del
territorio comunale da realizzare nell’arco temporale di tre anni.
2. Gli atti di programmazione di cui al comma 1, in relazione agli interventi di riqualificazione e di nuova
edificazione, prevedono:
a) le destinazioni d’uso e gli indici edilizi;
b) le forme di esecuzione e le modalità degli interventi di trasformazione e conservazione
dell’assetto urbanistico;
c) la determinazione delle opere di urbanizzazione da realizzare o recuperare, nonché degli interventi di
reintegrazione territoriale e paesaggistica;
d) la quantificazione degli oneri finanziari a carico del comune e di altri soggetti pubblici per la
realizzazione delle opere previste, indicandone le fonti di finanziamento.
3. Gli atti di programmazione degli interventi hanno valore ed effetti del programma pluriennale di attuazione
disciplinato dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, articolo 13, e dalla legge regionale 28 novembre 2001, n. 19,
articolo 5, e si coordinano con il bilancio pluriennale comunale.»
I nostri ultimi Atti di Programmazione degli Interventi, quelli previsti per il triennio 2012-2014, approvati
con Delibera di C.C. n 267 del 27.12.2011, comprendono un totale di 29 interventi, che interessano comparti
di Nuovo Impianto (NI), di Riqualificazione Urbana (RU), di Trasformazione per sevizi (TS), nonché la
realizzazione del Parco del Fenestrelle. Alcuni dei costi di attuazione di questi interventi, quelli riguardanti la
realizzazione delle urbanizzazioni, sono a carico del Comune. Se il Comune intende realizzarli, secondo la
nostra LR 16/2004, oltre a quantificare gli oneri finanziari a suo carico, il Comune deve indicare la fonte di
finanziamento, come ho già accennato precedentemente..
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Anche per questi interventi i nostri Uffici hanno stimato i costi necessariamente a carico del Comune, che
assommano a € 32.427.702,00
Il totale dei costi stimati a carico del Comune derivanti dalla realizzazione delle opere di viabilità sulle aree
soggette a vincolo espropriativo e dalla realizzazione delle urbanizzazioni di competenza comunale nelle
aree di nuovo impianto, di trasformazione, di riqualificazione per il Parco Fenestrelle è quindi nel complesso
di € 52.715.766,00.
Da questo dato emerge con evidenza l’insostenibilità economica delle previsioni del PUC, per il quale
si può sostenere, come per il precedente strumento urbanistico, che «non si possono più pagare le sue
previsioni».
Aspetto giuridicoIn apertura della relazione illustrativa del piano vigente, una frase degli indirizzi programmatici per la
redazione del piano – che ho già citato all’inizio di questa mia informativa - sintetizzava l’insostenibilità
giuridica del precedente strumento urbanistico; si diceva che quel piano era insostenibile sul piano giuridico
«perché può favorire contenziosi con un insieme di regole di difficile interpretazione.
Ora, sono tutti a conoscenza delle numerose attività della Magistratura che – soprattutto negli ultimi 12 mesi
– hanno coinvolto il Servizio Urbanistica che è stato ed è interessato da numerosi procedimenti giudiziari
penali che interessano più della metà dei tecnici dello Sportello Unico per l’Edilizia. Un procedimento si è
concluso con l’archiviazione, due con assoluzione, tre con prescrizione; sei sono in itinere.
Non è certamente questa la sede per discutere queste attività, i cui esiti non sono ancora noti.
Qui però va sottolineato pubblicamente che, laddove siano ravvisati profili di illegittimità e di illegalità, ogni
iniziativa e operazione che possa fare luce sulle azioni e gli interventi edilizi che sono stati attuati ad
Avellino negli ultimi anni può contribuire ad allargare il nostro orizzonte di consapevolezza e di conoscenza,
ponendosi a fondamento di qualsiasi scelta.
Sono da attendere quindi con grande rispetto ed attenzione gli sviluppi delle indagini e dei procedimenti in
corso, rispetto che si deve a qualsiasi attività della Magistratura; ma credo che lo stesso rispetto si debba
anche al dirigente e ai funzionari del Comune che sono coinvolti nei procedimenti, a cui desidero ribadire
pubblicamente la mia personale solidarietà; sono fiducioso che tutti loro potranno dimostrare la correttezza
dei propri comportamenti.
Solidarietà che è dovuta anche perché - in una situazione difficilissima, in cui chiunque soffrirebbe di un
gravissimo disagio – i nostri funzionari stanno continuando a svolgere il loro lavoro con impegno e
dedizione per garantire alla città continuità ed efficienza nell’erogazione dei servizi che i cittadini si
attendono.
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La situazione è comunque oggi difficilmente sostenibile, al punto che quasi tutti i dipendenti hanno chiesto il
trasferimento ad altro servizio.
La questione giudiziaria pesa in modo sostanziale su tutta l’attività dell’ufficio, che si è consistentemente
ridotta essendo condizionata dal timore da parte dei RUP di incorrere in ulteriori procedimenti giudiziari.
A motivo di ciò, mi auguro che i risultati delle attività d’indagine inibiscano anche qualunque pretesa
di interferire nella vita amministrativa per mero tatticismo o per esigenze particolari dissimulate
dietro l’interesse collettivo.
Ma perché questa questione è centrale nell’ambito di questa’analisi? Il motivo è che molti procedimenti
giudiziari traggono origine dalla problematica riguardante il regime vincolistico agente sul Torrente San
Francesco che attraversa il centro abitato di Avellino da Nord Ovest a Sud Est.
Voglio provare a fornire in questa sede un contributo di analisi di tale questione, con lo scopo anche di far
comprendere quanto essa possa apparire complicata.
Nella Tavola 7 del nostro PUC – quella in cui si ricostruisce e si sintetizza graficamente tutto il sistema di
vincoli, di vario genere, che agiscono sul territorio comunale –, il tratto del Torrente San Francesco che va
dall’abitato di valle fino al Parco Santo Spirito è privo della caratterizzazione grafica indicante il vincolo
paesaggistico ai sensi dell’art. 142 del D. Lgs. 42 del 22/01/2004 (Codice dei Beni Culturali e del
Paesaggio). Invece, nel testo Elenco degli immobili e dei beni vincolati ai sensi del testo unico D.L.
490/90, allegato alla tavola 7, fra i BENI PAESAGGISTICI (Beni soggetti a tutela ai sensi del T.U. 490/99
TITOLO II, artt.: 139, 140 ( ex artt. 1 e 2 legge 1497/39), 146 ( ex artt. 1 e 1-quater legge 431/85 ), alla pag.
4, è incluso il Vallone San Francesco, “dallo sbocco a km 1,0 a monte di Valle”. Vi è quindi una discordanza
tra la parte grafica e la parte testuale del Piano.
Articolo 142 (1) - Aree tutelate per legge_D. Lgs. 42 del 22/01/2004
1. Sono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo:
a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia,
anche per i terreni elevati sul mare;
b) i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di
battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
c) i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni
di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e
le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;
d) le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200
metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;
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e) i ghiacciai e i circhi glaciali;
f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi;
g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli
sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto
legislativo 18 maggio 2001, n. 227;
h) le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici;
i) le zone umide incluse nell'elenco previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo
1976, n. 448;
l) i vulcani;
m) le zone di interesse archeologico (2).
2. La disposizione di cui al comma 1, lettere a), b), c), d), e), g), h), l), m), non si applica alle aree
che alla data del 6 settembre 1985 (3):
a) erano delimitate negli strumenti urbanistici, ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968,
n. 1444, come zone territoriali omogenee A e B;
b) erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968,
n. 1444, come zone territoriali omogenee diverse dalle zone A e B, limitatamente alle parti di
esse ricomprese in piani pluriennali di attuazione, a condizione che le relative previsioni
siano state concretamente realizzate;
c) nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ricadevano nei centri edificati perimetrati ai sensi
dell'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865.
3. La disposizione del comma 1 non si applica, altresì, ai beni ivi indicati alla lettera c) che la
regione abbia ritenuto in tutto o in parte irrilevanti ai fini paesaggistici includendoli in apposito
elenco reso pubblico e comunicato al Ministero. Il Ministero, con provvedimento motivato, può
confermare la rilevanza paesaggistica dei suddetti beni. Il provvedimento di conferma è sottoposto
alle forme di pubblicità previste dall'articolo 140, comma 4.
4. Resta in ogni caso ferma la disciplina derivante dagli atti e dai provvedimenti indicati
all'articolo 157.
(1) Articolo sostituito dal D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157.
(2) Lettera modificata dal D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63.
(3) Periodo modificato dal D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63.
(4) Comma modificato dal D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63
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Ora, è molto importante chiarire in che cosa consista un “vincolo paesaggistico”: È uno strumento previsto
dalla legislazione dello Stato per la tutela delle aree che per il loro pregio paesaggistico, rivestono un
interesse pubblico.
La finalità del vincolo non è quella di bloccare, impedire o limitare la possibilità di trasformazione di
tali zone ma è quella di mitigare le ricadute sul paesaggio innescate dalle trasformazioni di queste aree,
rendendo il più possibile compatibili gli interventi con le caratteristiche paesaggistiche dell’area
tutelata.
Dal momento in cui un’area viene sottoposta a vincolo di tutela paesaggistica, il Comune, a seguito di una
particolare procedura, può rilasciare l’autorizzazione paesaggistica a seguito di parere della Commissione
Edilizia Integrata (oggi definita Commissione per il Paesaggio), parere che va poi sottoposto alla
Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio.
In altri termini, non si preclude la possibilità di costruire, ampliare, edificare o realizzare i più diversi
manufatti anche connessi al consolidamento, alle recinzioni, al passaggio di strade e percorsi – sempre nei
limiti dello strumento urbanistico, ovviamente - ma tutto ciò va fatto dotando la proposta progettuale di
apposita autorizzazione paesaggistica che verifichi che gli interventi proposti non danneggiano il pregio
paesaggistico e ambientale della zona.
Nel nostro PUC comunque, come si diceva, il tratto del San Francesco che attraversa il centro di Avellino da
Valle al Santo Spirito non è indicato come area soggetta a vincolo paesaggistico.
Perché questo?
La tavola scaturisce, evidentemente, da una serie di analisi ed approfondimenti, svolti dallo staff tecnico del
progettista arch. Cagnardi, sia in ordine alle caratteristiche intrinseche delle aree assoggettate a vincolo (il
tratto fluviale in questione è quasi del tutto sotterraneo in quanto intubato), che delle destinazioni
urbanistiche e perimetrazioni del centro edificato alla data del 06/09/1985. E’ presumibile che i risultati di
questi approfondimenti abbiano fatto ritenere al progettista del nostro PUC che per l’area da Valle a Santo
Spirito in cui scorre il San Francesco potesse rintracciarsi una situazione riconducibile ad una delle
condizioni di esclusione ope legis dal vincolo. Certo, sarebbe stato necessario, a mio avviso, che tutto ciò
fosse reso più esplicito e inequivocabile dalla relazione illustrativa o da altri testi allegati allo strumento
urbanistico.
In questo quadro si è inserita la nostra richiesta, inoltrata nell’Ottobre 2013 alla Regione Campania, di
inserire il corso d’acqua denominato “ Torrente San Francesco”, limitatamente al tratto che interessa
l’ambito urbano, nell’elenco dei corsi d’acqua irrilevanti ai fini paesaggistici ai sensi dell’art. 142 comma 3
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del D.lgs 42/2004. L’accoglimento di tale richiesta, per la quale esistevano, secondo noi, tutti i presupposti di
natura tecnica, avrebbe permesso di fare chiarezza e “mettere ordine” all’interno del sistema di norme che
regolano i processi di trasformazione del territorio comunale all’interno dell’ambito urbano. L’inserimento
del suddetto torrente nell’elenco dei corsi d’acqua irrilevanti ai fini paesaggistici ai sensi dell’art. 142 comma
3 del D.lgs 42/2004 avrebbe reso pienamente operante – non certo in modo retroattivo, ma ovviamente solo
per le procedure attivate dalla declassificazione in poi – anche le disposizioni del PUC che, nella tavola
specifica dei vincoli, esclude già il tratto considerato dal vincolo paesaggistico.
C’è poi la questione riguardante la dotazione di aree pubbliche nelle Zone di Trasformazione considerate di
Nuovo Impianto (NI).
A questo proposito, un problema merita di essere considerato:
L’Allegato 1b alle Norme di attuazione del PUC (Schede normative. Zone di trasformazione – Nuovo
impianto) prescrive come segue la dotazione di aree pubbliche:
Ni 01: Aree minime per servizi e viabilità pari al 60% della St complessiva;
Ni 02: Aree minime per servizi e viabilità pari al 60% della St complessiva;
Ni03: Aree minime di cessione per servizi pari al 60% della St complessiva;
Ni 04: Aree minime di cessione per servizi pari al 70% della St complessiva;
Ni 05: Aree minime per servizi e viabilità pari al 60% della St complessiva;
Ni 06: Aree minime per servizi e viabilità pari al 60% della St complessiva;
Ni 07: Aree minime di cessione per servizi pari al 70% della St complessiva;
Ni 08: Aree minime di cessione per servizi pari al 70% della St complessiva;
Ni 09: Aree minime di cessione per servizi pari al 70% della St complessiva;
Ni 10 (ex Ni 11): Aree minime per servizi e viabilità pari al 60% della St complessiva;
Ni 11 (ex Ni 12) : Aree minime per servizi e viabilità pari al 60% della St complessiva;
Ni 12 (ex Ni 13): Aree minime per servizi e viabilità pari al 60% della St complessiva.
Come è evidente, mentre in alcuni casi (Ni 01, 02, 05, 06, 10, 11 e 12) è prescritta la dotazione minima per
servizi e viabilità, per altri (Ni 03, 04, 07, 08 e 09) la dotazione viene assicurata mediante la cessione per
servizi.
Ai fini dell’applicabilità certa della normativa per una corretta attuazione del PUC, non è chiaro, a mio
avviso, quale sia la differenza tra la due espressioni normative, e non è scontato comprendere, in particolare,
perché la dotazione includa in alcuni casi la viabilità ed in altri i soli servizi.
Queste questioni – regime vincolistico agente sul Torrente San Francesco e dotazione di aree pubbliche
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nelle Zone di Trasformazione considerate di nuovo impianto sono state oggetto di specifici quesiti posti
al progettista del PUC, architetto Cagnardi, in un incontro che ho avuto con lui presso il suo studio a
Milano il 24 gennaio scorso. Su questi argomenti, che abbiamo affrontato insieme in una lunga discussione
durata tutta la giornata, attendiamo ancora una relazione – spero dettagliata – che potrà aiutarci a gestire le
diverse questioni; una relazione che ci è stata promessa, ma che non è ancora pervenuta, pur avendo io
sollecitato personalmente più volte – l’ultima delle quali circa due settimane fa - l’architetto Cagnardi.
Spero che si comprenda che “interpretare le norme del piano” non ci basta per operare e gestire
serenamente le trasformazioni della città. Abbiamo necessità di avere delle normative certe ed efficaci,
che cioè consentano l’attuazione delle prescrizioni di piano senza dubbi interpretativi.
In definitiva, ritengo evidente, alla luce di queste argomentazioni, che anche del nostro Piano Urbanistico si
possa dire che «può favorire contenziosi con un insieme di regole di difficile interpretazione»
Infine c’è l’aspetto politico, rispetto al quale è sufficiente proporre solo pochi esempi: Pensiamo solo
all’area di Corso Umberto I e Via Francesco Tedesco, dove insistono ancora diversi edifici allo stato di
rudere e dove la condizione generale degli spazi pubblici attende ancora di essere affrontata per
pervenire agli obiettivi di riqualificazione e valorizzazione che il piano pure persegue; oppure agli
insediamenti periferici (soprattutto i quartieri nati come insediamenti residenziali pubblici) dove vi è
ancora attesa di condizioni di nuova centralità, di attrezzature e servizi, di aree verdi in grado di
costituire trame di relazione tra le parti della città, citando ancora obiettivi descritti nella Relazione
illustrativa del Piano; oppure, infine, al Centro Storico nel suo complesso, dove la pur auspicata
complessiva riqualificazione e valorizzazione stenta a delinearsi.
Vi sono attese di qualità pubblica di questa città che ancora attendono di essere soddisfatte.
Tutto ciò ci permette di pervenire alla conclusione che anche il nostro PUC, sulla base della sua limitata
attuazione – concentrata, come ho già detto, nelle aree centrali dove l’attuazione si è verificata in
coincidenza evidentemente della massima rimuneratività dell’investimento privato – e delle sue inconsistenti
ricadute sul miglioramento complessivo della città, è difficilmente sostenibile anche sul piano politico:
perché – proprio come lo strumento che a suo tempo andava a sostituire - «può generare malcontenti diffusi
tra i cittadini».
Emerge da tutto ciò la necessità non più ulteriormente procrastinabile di una procedura di revisione
del nostro strumento urbanistico, salvaguardandone tuttavia i principi generali ma adeguandolo a
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nuove strategie e rivedendone gli obiettivi che possono apparire sovradimensionati alla luce delle
condizioni attuali e degli scenari di evoluzione della città, e nello stesso tempo rendendo più
concretamente perseguibili e attuabili quelli che possono ancora ritenersi essenziali.
Una revisione che potrà anche avere lo scopo – anch’esso non ulteriormente differibile – di verificare
l’adeguatezza del nostro PUC al Piano Territoriale di Coordinamento adottato dalla Giunta Provinciale con
la deliberazione n. 184 del 27.12.2012 in conformità all’art. 18 della legge regionale n. 16/2004 e agli artt. 3
e 7 del Regolamento di attuazione per il Governo del territorio del 4.8.2011 n. 5.
Sulla base di quali principi eseguire questa revisione?
I principi generali di metodo– che devono essere non solo coerenti con il quadro normativo di riferimento,
ma soprattutto con i cardini concettuali del vigente ordinamento regionale sul governo del territorio –
possono essere a mio avviso così delineati:
1. Il passaggio dalla pianificazione territoriale urbanistica alla pianificazione ambientale. La prima,
attenta agli aspetti quantitativi e alla disciplina del costruito, la seconda, attenta agli equilibri ecologici, alla
salvaguardia delle risorse e all’interazione tra ambiente naturale e ambiente antropizzato. Mentre la
pianificazione tradizionale misurava i bisogni e li soddisfaceva con la costante previsione di nuovi manufatti,
col conseguente consumo di risorse e quindi con alterazioni irreversibili degli equilibri ambientali, la
pianificazione moderna antepone alla logica additiva ed espansiva quella della riqualificazione.
Una pianificazione rigorosamente orientata ai principi della tutela ambientale è l’unica possibile per i
territori delicati, nei quali la compresenza di eterogenei rischi sia naturali che antropici e di elevati valori
naturalistici e paesistici esige un perseguimento dello sviluppo che si combini con un’azione decisa e tenace
di tutela e di salvaguardia. L’affermarsi della pianificazione ambientale ha segnato il definitivo abbandono
del piano “urbanocentrico”, imperniato sulle esigenze del costruito e dei suoi ampliamenti a scapito delle
aree agricole e naturali e, in definitiva, delle esigenze di tutela ambientale. Particolare importanza assume, in
questa prospettiva, il delicato contesto “periurbano”, sede di complesse dinamiche interattive, nel quale si
fronteggiano il sistema insediativo e il sistema naturale.
2. Il superamento del sistema gerarchico-deduttivo (cascata), che concepisce il livello sottordinato come
discendente concettualmente e cronologicamente da quello sovraordinato. La più attenta produzione
legislativa regionale, pur conservando i tre sostanziali livelli di competenza (regionale, provinciale e
comunale) punta sulla co-pianificazione, aperta pure agli enti responsabili dei piani di settore, per superare le
tentazioni “autarchiche” dei vari enti e i conseguenti veti incrociati. In parole più semplici, ciò comporta nel
nostro caso che non va esclusa la possibilità/necessità di entrare in relazione con la Provincia (che secondo
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la riforma in corso conserva la competenza pianificatoria) per il recepimento nel PTCP vigente degli
eventuali adeguamenti derivanti dalle mutate esigenze da recepire nel Piano generale comunale del
capoluogo.
3. La sostituzione della pianificazione autoritativa con la pianificazione collaborativa-concertativa. La
rigidezza delle scelte che sostanziavano il PRG fino a oltre un decennio fa, non sempre suffragate dalla
fattibilità e dall’individuazione degli attori (chi fa che cosa e con quali mezzi), è stata tra le cause principali
degli spesso deludenti risultati dell’urbanistica tradizionale. All’impostazione prescrittiva deve subentrare
quella della partecipazione e della concertazione anche per superare un’individuazione di azioni e interventi
cui non si integri quella, contestuale, dei soggetti attuatori e delle necessarie risorse finanziarie.
4. La generale priorità da dare alla riqualificazione e alla rigenerazione dell’esistente rispetto agli
interventi additivi, che producono consumo di suolo - risorsa irriproducibile - in antitesi con i princìpi di
tutela degli equilibri ambientali. Ma cosa si vuole intendere precisamente con la parola “rigenerazione” che,
al pari di “sostenibilità” sembra a volte – tanto è usata in maniera generica e superficiale – vedere impoverito
il proprio autentico significato? Semplicemente che, oltre a perseguire una riqualificazione fisica di edifici e
spazi pubblici (cioè le opere fisiche, materiali, i manufatti), noi dobbiamo sforzarci di perseguire la
riqualificazione e la valorizzazione di tutta la complessa rete di relazioni economiche, sociali, culturali (i
fatti) che possono garantire dinamicità, ricchezza di opportunità, di possibilità di sviluppo e progresso – e
sottolineo sviluppo e progresso, che sono cosa diversa dalla generica “crescita” – che possono rendere questa
città più moderna e attraente.
5. L’attenzione al localismo, cioè la priorità da dare alle scelte che si rifanno alle tradizioni, alle vocazioni,
alle specificità delle culture locali, fino ad anni fa trascurate, almeno al sud, dal centralismo dell’intervento
straordinario.
6. L’applicazione del metodo perequativo e di quello compensativo. Col termine perequazione si intende
definire, in urbanistica, il criterio di pianificazione che ripartisce in modo equitativo i vantaggi e gli
svantaggi generati dalle destinazioni di piano, attribuendo uguali regole di trasformazione ad immobili che si
trovino nelle stesse condizioni di fatto e di diritto.
La compensazione urbanistica è invece l’istituto giuridico finalizzato al miglioramento della qualità urbana,
paesaggistica, architettonica e ambientale dell’intero territorio comunale. Avviene mediante il
riconoscimento di quantità edificatorie (crediti compensativi) ai soggetti che si impegnano a realizzare
interventi di riqualificazione e a cedere le aree necessarie per i servizi pubblici o di uso pubblico.
Le aree non destinate all’edificazione privata possono ricevere dall’amministrazione comunale un credito
edilizio da utilizzarsi su altra area.
L’applicazione delle conseguenti tecniche di piano, oltre che incidere in modo sostanziale su alcuni
fondamenti del diritto privato, trova nelle aree meridionali difficoltà – le stesse incontrate anche ad Avellino
– che suggeriscono prudenza nella sperimentazione di siffatte procedure attuative in assenza, per di più, di
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norme legislative specifiche nella Regione Campania. Prudenza tuttavia non significa rinunciare a compiere
uno sforzo comune – non solo di pianficazione, ma anche di comunicazione, di educazione, di diffusione di
una cultura che attribuisca valore all’interesse collettivo accanto a quello individuale – nel perseguire questa
strada.
7. La partecipazione. Nell’impianto legislativo statale, ancora ferma alla L. 1150/42, la partecipazione del
pubblico alla formazione del piano è limitata alla fase delle “osservazioni”, cioè al momento in cui il piano,
essendo stato adottato, ha già raggiunto la sua compiutezza, per cui le proposte di modifiche e/o integrazioni
si esprimono a posteriori. Le più recenti pratiche di “ascolto”, da applicare prima e durante la redazione del
piano, consentono invece di accogliere aspettative e contributi in grado di contribuire alla configurazione del
piano secondo criteri prestazionali condivisi, anche avvalendosi dell’applicazione di metodi di elaborazione
codificati.
Ora, come coniugare questi principi generali di metodo con la situazione specifica di Avellino e con le
questioni che emergono dalla necessità di ri-considerare il rapporto tra il capoluogo e il territorio dell’area
vasta, in una logica che necessariamente dovrà essere più di coesione, di complementarietà, di integrazione e
di concertazione che di competizione, e quali sono gli scenari entro i quali sviluppare questi principi?
Le risposte più precise a queste domande non potranno che scaturire dalla discussione che il Consiglio
Comunale vorrà sviluppare, e da quella che vorrei si estendesse in tutti settori della comunità –
istituzioni, associazioni, organizzazioni di categoria, tecnici – fino a coinvolgere tutti i cittadini, anche i
più giovani, gli studenti e i ragazzi, il cui punto di vista e il cui contributo non può essere trascurato.
Desidero qui limitarmi, concludendo quest’analisi, ad enunciare alcune linee programmatiche generali– che
vorrei sottoporre al giudizio del Consiglio Comunale – sintetizzate in undici semplici punti, che considero
prioritarie rispetto al quadro più ampio e articolato che sicuramente la discussione consiliare permetterà di
disegnare.
1. Ridurre il consumo di suolo e promuovere il riuso del suolo edificato, riconoscendo l’esigenza di un
cambiamento del ciclo edilizio che sposti l’attenzione sulla rigenerazione dei tessuti urbani,
sull’efficientamento energetico e soprattutto sulla messa in sicurezza ai fini sismici del patrimonio edilizio
esistente, considerando la possibilità di incentivare – ove necessario – la sostituzione edilizia, soprattutto nei
quartieri residenziali pubblici (San Tommaso, Rione Mazzini, Quattrograne, Picarelli, Rione Parco, Via F.
Tedesco), con un attento controllo della qualità delle realizzazioni secondo una visione ampia e inclusiva che
si estenda alla qualità estetica, morfologica, prestazionale ed energetica. Avellino non ha bisogno di
aumentare la quantità del suo edificato, ma di aumentarne la qualità e, se possibile, la bellezza.
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2. Promuovere anche attraverso un nuovo approccio alla pianificazione delle trasformazioni urbane una
cultura dell’adattamento ai cambiamenti di natura emergenziale, ivi compreso quello climatico, che
preveda anche la sperimentazione di alcune misure concrete da attuare a livello locale, per rendere la città
meno vulnerabile e in grado di agire in caso di eventi gravi derivanti dal mutamento del clima. Una città
capace di adattarsi al cambiamento climatico e alle conseguenze di questo fenomeno che sembra ormai
irreversibile può essere definita una città resiliente, dove per resilienza si intende letteralmente la capacità di
un materiale di resistere a sollecitazioni impreviste, di reagire ad urti improvvisi senza spezzarsi; il termine è
stato poi preso in prestito dall'informatica e dalla psicologia per indicare comportamenti che integrano bene
la capacità di adattamento e la disponibilità alla trasformazione in risposta ad eventi dirompenti o traumatici.
Nel campo dell’urbanistica e della pianificazione la resilienza descrive il passaggio dal modello della mera
riqualificazione a un modello di rigenerazione urbana, un modello che coinvolge attivamente la collettività,
attento all'ambiente e al consumo delle risorse, finalizzato a ridurre l'impatto dell'attività umana.
3. Creare presupposti e possibilità per conseguire una complessiva riqualificazione degli spazi pubblici
della città e per pervenire all’auspicata realizzazione di quelle attrezzature pubbliche di respiro europeo,
come il Parco del Fenestrelle, che possono avere una immediata ricaduta benefica sulla qualità della vita dei
cittadini e sul potere di attrazione della città.
4. Considerare la necessità di ammodernare e riqualificare una rete stradale insufficiente a gestire i
flussi di traffico che la città genera, considerando nel contempo la questione-mobilità nel suo complesso,
per giungere al più presto ad un Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile in coerenza con la strategia
europea in materia di mobilità sostenibile, che attribuisce grande rilievo al tema della politica della mobilità
urbana, intesa come componente di una più complessiva strategia di gestione sostenibile delle città.
5. Individuare modi più efficaci per conseguire l’auspicata valorizzazione delle aree storiche della
città, mediante la messa a punto di specifici piani di recupero dotati di avanzati strumenti di verifica della
fattibilità e della sostenibilità tecnica, finanziaria e amministrativa perché non disegnino solo delle
“architetture di carta” ma siano in grado di trasformarsi in “sostanza di cose sperate” per dirla con Edoardo
Persico.
6. Superare l’inconcludente dialettica centro-periferia per generare e ri-generare nuove, diffuse aree
di centralità nella città esistente: dall’area della Ferrovia, dove il percorso che si può avviare per
rigenerare la tratta ferroviaria tra Avellino e Salerno ci può permettere di immaginare una stazione
ferroviaria efficiente quale perno di una generale riqualificazione di un intorno urbano più consistente (non
semplicemente in termini edilizi ma in termini economico-sociali), all’area della nuova autostazione e del
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comparto NI-01, di cui è in via di ultimazione il masterplan messo a punto congiuntamente dai nostri Uffici
e dai tecnici dei proprietari dei suoli, all’area nord caratterizzata dalla presenza di infrastrutture di grande
importanza come la città ospedaliera e gli impianti sportivi comunali (stadio, palazzetto dello sport, piscina),
ai quartieri di edilizia residenziale pubblica fino ad oggi marginali nei quali non si può fare a meno di
considerare un complessivo piano di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale, alle frazioni (Valle,
Picarelli, Bellizzi) che ancor oggi risentono di un insostenibile isolamento sia in termini fisici che,
soprattutto, in termini percettivi ed esistenziali; fino all’area industriale di Pianodardine nella quale è
possibile ipotizzare un consistente programma di riqualificazione per incentivare l’insediamento di nuove
realtà industriali e produttive innovative, più compatibili dal punto di vista ecologico ed ambientale, orientate
verso quel settore - che si sta consolidando - definito green economy. Con questa locuzione, più che uno
slogan si vuole intendere un modo di produrre che contraddistingue trasversalmente molti settori
dell’economia, dall’agroalimentare, alla mobilità, all’edilizia, alle energie rinnovabili sino ad arrivare a
settori tradizionalmente legati alla tutela ambientale come il ciclo dei rifiuti, la bonifica dei siti, la gestione
del verde; tutti settori nei quali esiste una significativa competenza nel nostro territorio, che attende solo di
essere valorizzata, promuovendo un contesto in cui nuove iniziative imprenditoriali e industriali possano
concretizzarsi.
Tutte queste aree – ciascuna con la sua identità e la sua specificità - possono rappresentare potenziali
luoghi di centralità urbana dando forma ad una vera e propria città policentrica; sta a noi prefigurare
quegli strumenti previsionali e normativi capaci di esprimere questo potenziale, generando una rete di
occasioni e di opportunità e anche incrementando la flessibilità delle destinazioni d’uso dei locali al
piano terra degli edifici, pervenendo ad una maggiore commistione funzionale delle aree periferiche.
7. Tenere conto degli aspetti derivanti dai nuovi assetti istituzionali delineati dalla riforma in corso
dove il concetto di sussidiarietà va interpretato anche come l’occasione per sperimentare forme
innovative e più efficienti di governo del territorio alla scala pertinente, a partire ad esempio, dagli
obblighi della pianificazione delle emergenze, in particolare quelli che si riferiscono a vincoli di solidarietà
con altri comuni
8. Implementare idonee tecnologie per accrescere le prestazioni urbane in termini di disponibilità e
qualità della comunicazione, della conoscenza e delle infrastrutture sociali. Ciò per definire il livello
prestazionale della nostra città nei campi della comunicazione, della mobilità, dell'ambiente e dell'efficienza
energetica. La città intelligente (Smart City) è infatti un dispositivo strategico utile a contenere i moderni
fattori di produzione urbana in un quadro comune che concilia e soddisfa le esigenze dei cittadini, delle
imprese e delle istituzioni, grazie anche all'impiego diffuso e innovativo delle tecnologie della
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comunicazione (ICT).
9. In riferimento agli aspetti di stretta pertinenza tecnica del piano, verificare la compatibilità tra
parametri e indicatori stabiliti dalle Norme di attuazione del PUC (indici, rapporti, altezze e distanze,
quantità di aree da cedere): questi non solo devono essere tra loro coerenti, ma devono garantire interventi
certi nella definizione planovolumetrica intrinseca (interna agli ambiti di trasformazione/riqualificazione) ed
estrinseca (nei rapporti con l’edificato circostante esterno agli ambiti).
10. Incentivare il coinvolgimento e l’innovazione civica nelle scelte in materia di pianificazione ,
mettendo a punto un quadro di riferimento in cui protagonisti siano la politica – che deve fare propri e
sostenere i processi da compiere – insieme ai cittadini, alle istituzioni, alle organizzazioni operanti sul
territorio.
11. Promuovere la bellezza dell’architettura e la presenza dell’arte negli interventi di riqualificazione e
trasformazione della città.
Quest’ultimo principio è quello forse più difficile e delicato, perché riguarda un tema – la bellezza – che ci
coinvolge tutti in maniera soggettiva e sul quale è difficile trovare una sintesi condivisa.
È evidente però che questa città avrebbe potuto essere ed avrebbe meritato di essere più bella di quello che è.
Il tema delle bellezza nella costruzione e nella trasformazione di una città è un tema difficilissimo, ma questa
difficoltà non deve impedirci di discutere, anche in quest’aula, non certo di cosa sia il bello in architettura e
in una città, ma di cosa possiamo fare tutti insieme per promuovere questo valore, se riteniamo che sia un
valore.
Io sono convinto che lo sia e vorrei immaginare - insieme a tutta l’Amministrazione Comunale – che questa
possa diventare una città in grado di promuovere la cultura architettonica ed urbanistica, ponendo
l’attenzione sul tema della qualità dell’architettura, della trasformazione e riqualificazione degli spazi urbani
e del territorio attraverso il raggiungimento di più elevati standard sia di progettazione che di realizzazione,
non solo delle opere pubbliche e delle infrastrutture, ma anche dell’edilizia privata, in modo da contribuire
alla salvaguardia del paesaggio e al miglioramento della qualità della vita della collettività; questo può
avvenire riconoscendo il valore culturale e sociale dell’architettura, riconoscendo la sua particolare rilevanza
pubblica, e sostenendo la presenza dell’arte, in tutte le sue forme, in ogni intervento pubblico di
ammodernamento, trasformazione e riqualificazione della città. La riconosciuta difficoltà nel pianificare la
bellezza però non deve, non può costringerci a rinunciare ad occuparcene. Dobbiamo assumerci anche il
rischio che una scelta, o una serie di scelte, comportano. Questa città ha bisogno di bellezza e ha bisogno di
arte; c’è una forte domanda in tal senso, anche se latente. Credo che in ogni intervento di sistemazione di
spazi pubblici, in ogni intervento di riqualificazione e di ammodernamento, il tema della bellezza e dell’arte
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debba essere considerato come fondamento dell’intervento stesso; occorre perseguire, in ogni passo del
nostro lavoro di nuova pianificazione, un rinnovato concetto di qualità: urbanistica, architettonica, sociale,
economica, ambientale, energetica, culturale ed infine amministrativa.
Solo da procedure e processi agili, trasparenti, partecipati e condivisi può scaturire il cambio di passo che
tutti auspichiamo.
Avellino, maggio 2014
Roberto Vanacore
Assessore all’assetto urbano e alla riqualificazione
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