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#18 COMPARTIR NOVEMBRE 2011 C OMPARTIR Notiziario del gruppo “In Bolivia 2004” Patronato San Vincenzo Accoglier e BOLIVIA Feliz viaje a todos, di Domenico Clivati TESTIMONIANZE Riflessioni di viaggio 2011 DOSSIER Accoglienza con dei se e dei ma..., di Don Alessandro Sesana ATTUALITÀ Accogliere le nuove povertà, di Fabrizio Cotini CULTURA Film “Terraferma” · Libro "L’educazione nell’ombra. Educare e curare nella fragilità" POESIA Benvenuto Clandestino, di Costanza Olmo VOLONTARIATO Accogliere donne: il dormitorio femminile VOLONTARIATO Dividere con... · Progetto casa-famiglia “La madia”

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In questo numero: BOLIVIA Feliz viaje a todos, di Domenico Clivati; TESTIMONIANZE Riflessioni di viaggio 2011; DOSSIER Accoglienza con dei se e dei ma..., di Don Alessandro Sesana; ATTUALITÀ Accogliere le nuove povertà, di Fabrizio Cotini; CULTURA Film “Terraferma” · Libro "L’educazione nell’ombra. Educare e curare nella fragilità"; POESIA Benvenuto Clandestino, di Costanza Olmo; VOLONTARIATO Accogliere donne: il dormitorio femminile; VOLONTARIATO Dividere con... · Progetto casa-famiglia “La madia”

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#18COMPARTIR

NOVEMBRE

2011

COMPARTIRNotiziario de l g r uppo “In Bol ivia 2004”

Patronato San Vincenzo

Accogl i ereBOLIVIA Feliz viaje a todos, di Domenico Clivati

TESTIMONIANZE Riflessioni di viaggio 2011DOSSIER Accoglienza con dei se e dei ma..., di Don Alessandro Sesana

ATTUALITÀ Accogliere le nuove povertà, di Fabrizio CotiniCULTURA Film “Terraferma” · Libro "L’educazione nell’ombra. Educare e curare nella fragilità"

POESIA Benvenuto Clandestino, di Costanza Olmo

VOLONTARIATO Accogliere donne: il dormitorio femminileVOLONTARIATO Dividere con... · Progetto casa-famiglia “La madia”

iparte la realizzazione del nostro giornalino “Compartir”.Quest’anno abbiamo deciso di

dedicare ogni numero ad una tematica ben definita, sclta in precedenza secondo criteri che ci permettano di analizzare alcune situazioni che ci stanno a cuore. Di fatto la struttura del giornalino non cambierà forma, i macro argomenti che definivano lo scheletro del Compartir rimarranno gli stessi, solo mirati ad affrontare un tema specifico.

Questo numero sarà dedicato al tema dell’accoglienza

Ci terremmo ad introdurvi il perché abbiamo deciso di affrontare questa tematica. Oggi più che mai, in una società individualista come quella in qui viviamo, crediamo s ia importante r ivedere , riassaporare il tema dell’accogliere.Crediamo anche che il nome stesso del n o s t r o g i o r n a l i n o , d e t e n g a i n s é l’accoglienza: “Compartir” è condividere, dividere con, ed è dentro questo termine che r i s i e d e i l s i g n i f i c a t o p i ù v e r o dell’accoglienza.

L’etimologia della parola deriva dal latino “colligere”, e ci parla di accettare, approvare, acconsentire e raccogliere. Ed è proprio nella condivisione con l’altro che tutto ciò avviene.

Accogliere è ospitare la diversità dentro sé ed intorno a sé; troppo spesso questo termine viene usato, invece, per indicare ciò che è facile e piacevole fare: accogliere l’amico a casa propria, approvare ciò che il fratello decide, acconsentire a ciò che desidera il figlio, e l’altro? Chi non conosciamo? Di cui non sappiamo nulla? Quello che scalzo ci tende la mano per strada chiedendoci aiuto?

Solo esercitandoci a rivedere, riscoprire questo termine potremo riassaporare l’essenza della giornata che abbiamo appena vissuto e condiviso, senz’altro impregnata di persone, relazioni e circostanze allegre e meno simpatiche, fatta di piccole sconfitte e minuscoli trionfi.

Non lasceremo passare nulla, non fingeremo d’essere ingenui, cercheremo invece di dare il giusto valore e di riscattare tutto.È solo a questo punto che, con fiducia, potremo spalancare il nostro orizzonte e rendere presente tutta la nostra esistenza, quella delle persone che ci circondano, quella di chi non conosciamo e tutta la storia quotidiana dell’intera umanità, composta da più di sei mila milioni di essere umani, in modo particolare quella storia disumana di chi soffre ogni giorno ingiustamente e non riesce ad incontrare nessun tipo di solidarietà.

◆ Il gruppo “InBolivia2004”

2 Compartir · Novembre 2011

R

o ancora negli occhi le immagini di quelle persone che, mettendo a re-pentaglio la loro vita ammassando-si su minuscole barche in cerca di

una “speranza di vita” in Italia, cercano un aiuto, una persona che dia loro una coperta per asciugarsi e poter mangiare qualche co-sa dopo giorni e giorni in mare.Persone che hanno alle spalle situazioni di povertà in tutti i sensi (mancanza di cibo, acqua, istruzione, lavoro, uomini e donne che li ascoltino, che li amino, mancanza di democrazia, di libertà).

Sono immagini che hanno scosso ognuno di noi...chi sono questi che vengono in Italia a chiedere aiuto, cosa vogliono, quanto si fer-mano, verranno a rubare, verranno a co-mandare e via discorrendo.

Sappiamo tutti come è andata a finire, ne hanno parlato per un periodo e poi sono spariti dalle cronache (il problema è risol-to???). Come sappiamo il problema conti-nua e soprattutto coinvolge tutti noi.L’altro che viene da lontano, ha una cultura differente dalla nostra, parla una lingua

Compartir · Novembre 2011 3

Bolivia

Feliz viaje a todos

H

La montagna di Potosì, violentata dallo sfruttamento minerario

spesso incomprensibile, mangia in maniera differente, è un qualcosa che ci sconvolge la vita, ci disturba, scombussola le nostre abi-tudini e questo ci dà molto fastidio. Deve es-sere lui ad adeguarsi alla nostra realtà, deve rispettare le nostre regole (giustamente), possibilmente non deve entrare nella nostra vita perché non abbiamo tempo di ascoltar-lo, o di aiutarlo.

Fin qui il ragionamento potrebbe essere in parte corretto, però ho capovolto la situa-zione provando a mettermi nella loro condi-zione e immediatamente la risposta è stata che avrei fatto le stesse cose (dove non hai speranza, non hai amore cerchi in tutti i modi di scappare mettendo a rischio pure la tua vita).Questa convinzione è stata rafforzata anche dalle varie esperienze vissute nei viaggi in Africa, Europa dell’est e soprattutto nel-l’amata terra di Bolivia.La differenza enorme è stata che io ho in-contrato persone fantastiche che mi hanno accolto, hanno aperto le porte della loro ca-sa, hanno cucinato per me, mi hanno ac-compagnato in luoghi stupendi, hanno dedi-cato molto tempo a me ma soprattutto han-no aperto il loro cuore.

L’esperienza appena terminata in Bolivia a Potosì, ne è stata l’ennesima dimostrazione dove Suor Giusi e le altre suore della con-gregazione mi hanno fatto sentire a casa. Certo questa potrebbe essere una cosa “normale” in un certo senso, mentre è stu-pendo e sconvolgente quello che spesso è accaduto visitando le case di persone povere che abitano nel “campo” dove le famiglie (se sono ancora unite) vivono in situazioni di forte povertà ma che sono pronte a darti qualche patata o un poco di “sopa” magari rinunciando alla loro cena per dar da man-giare all’ospite.Uomini e donne che non hanno la frenesia di dover fare e fare sempre più cose ma che quando hanno un ospite si fermano a parla-re e ad ascoltare nonostante magari debba-no accudire diversi bambini.

Questi atteggiamenti nei miei confronti co-me per le altre persone loro ospiti, mi hanno dato ancor più la convinzione che qualsiasi persona è una ricchezza nonostante l’altro ti richieda del tempo e metta in discussione quelle che sono le tue certezze o abitudini.Pure io sono un “altro” per chi mi incontra la prima volta e di conseguenza è probabile che pure io posso creare della diffidenza o “sconvolgere” le abitudini del mio interlocu-tore.Certo accogliere una persona non è facile ma come spesso accade si riceve molto di più di quello che si dà.

La prova maggiore l’abbiamo quando ci in-namoriamo o quando nasce un figlio. En-trambe le situazioni cambiano le nostre abi-tudini ma ci danno delle emozioni indescri-vibili che segnano la nostra vita per sempre. Un esercizio che dovremmo spesso fare, io per primo, è di avere la curiosità ma soprat-tutto il cuore aperto ad ascoltare chi abbia-mo di fronte senza pretendere che si debba per forza ricevere qualche cosa dal nostro interlocutore.Accogliere è saper vivere le situazioni quoti-diane con serenità anche se non sempre cor-rispondono a ciò che desideriamo.

Se sapremo mettere in pratica alcuni di que-sti atteggiamenti la nostra vita, ma soprat-tutto la nostra società, potrà solo riceverne beneficio...quindi feliz viaje a todos.

◆ Domenico Clivati

4 Compartir · Novembre 2011

La Bolivia, che grande emozione.È stato un mese vissuto tutto d'un fiato, con il tentativo di goderlo fino in fondo. È stata una di quelle esperienze che ti disfano psico-logicamente, ma poi ti ricostruiscono più forte di prima.

Vedere che il mondo non è tutto rose e fiori e vederlo con i propri occhi, non attraverso la tv che ti fa sentire troppo distante per partecipare alla sofferenza degli altri e per, almeno, tentare di aiutarla, è stato uno schiaffo in piena faccia, uno di quegli schiaf-fi che ti svegliano. Al mio risveglio ho sentito il desiderio di fare qualcosa di concreto e di vero. L'ingenuità si è frantumata e ha lascia-to spazio alla consapevolezza di quanto sia dura la realtà.

Non finirò mai di ringraziare i bambini e i ragazzi della ciudad di Cochabamba, poichè, nonostante dovessi essere io, teoricamente, ad impegnarmi a farli divertire, sono stati loro a trasmettermi affetto e a farmi sentire parte di una grande famiglia, esattamente come ha fatto il personale che gestisce la ciudad. È un'esperienza che cambia la vita e il modo di vedere le cose e di approcciarsi ad esse. Alla Bolivia devo dire un immenso gra-zie, perchè mi ha lasciato un segno indelebi-le e un amore profondo.

Chiara~ · ~

Lo zaino è pronto sulla poltrona, la macchi-na fotografica è pronta a scattare e le gambe tremano di adrenalina: esco di casa e mi di-rigo al Patronato S. Vincenzo, pronta per partire con il mio gruppo Bolivia 2011. Lì in-contro Elena per prima e diventerà la mia compagna di viaggio e oggi più che mai mia grande Amica.

Tutto il gruppo si presenta e uniti verso la stessa meta, si parte per il grande Viaggio. Eccoci arrivati a Cochabamba, la città del disordine felice e dei colori in movimento lento..ecco la Ciudad de los Ninos maestosa sull’altopiano boliviano, circondata dalla vetta del Tunari.Ecco i bimbi che giocano sulla giostra che gira e ridono non appena mi avvicino per salutarli. Ridono di piacere, di gusto, ridono per il mio sorriso e insieme incominciamo a giocare con i nostri sorrisi, le nostre espres-sioni del viso e ci diciamo: “Ciao Ninos co-mo va?”. In poco tempo, alcuni minuti per la precisione, eravamo diventati un unico gruppo, unito solo dai nostri sorrisi.

Compartir · Novembre 2011 5

Testimonianze

Riflessioni di viaggio 2011

Uno dei bambini della Ciudad

Padre Sandro ci ha presentato alla grande famiglia: gli educa-tori, i volontari, i preti che lavo-ravano tutti quanti insieme per la crescita della Ciudad. Tutti quanti insieme abbiamo cenato e incominciato la nostra grande esperienza di vita in Bolivia.Fulvio che è il responsabile del-l’organizzazione interna della Ciudad ci ha presentato questo fantastico villaggio dove vivono tutti insieme neonati, bambini, ragazzi, alcuni non hanno i geni-tori e vivono lì, altri frequentano solo la scuola. Anime e cuori pieni di desideri d’amore e pronti a ricambiare con un sem-plice sorriso di riconoscenza.A questo punto il nostro viaggio di condivisione e partecipazione alla vita missionaria in Bolivia è iniziato. Abbiamo conosciuto realtà di povertà e preti missio-nari di grande stima: il primo è stato Pietro Gamba, il medico dei campesinos, grazie alla sua grande passione e determina-zione ha fondato una clinica per curare i campesinos, le comuni-tà montane, lontane un paio di ore dal primo centro abitato.Ho potuto conoscere cosa vuol dire aiutare il prossimo senza paura: l’aiuto di Pietro sta nella sua anima, i suoi occhi sono negli occhi di chi ha bisogno, la sua vita per la sopravvi-venza dei campesinos. Pietro di cuore puro, di parole sensibili e sorridenti, rispetta l’es-sere umano, l’essere più piccolo e lontano dalla civiltà, l’essere più piccolo e lontano dalla città, quello che nessuno vuole vedere. Ecco i Lagunares che vivono a 3500 metri di altitudine, mangiano frumento e patate, ec-coli aspettano Pietro con fiducia e ammira-zione, lo ringraziano tutti i giorni nelle loro preghiere insieme alla loro divina Pacha-mama, la Terra Madre, che li sfama e nutre le loro pecore.

Il nostro gruppo ha collaborato con una rac-colta fondi per operare Feliz, un uomo che doveva completare la sua operazione all’in-testino che da due anni aveva in sospeso. Grazie al nostro aiuto ora Feliz può condur-re una vita come tutti.Il nostro viaggio prosegue e il gruppo si fa sempre più unito, nonostante le differenze di età, abbiamo condiviso le stesse emozio-ni! Don Sandro è stato bravo e simpatico nel condurre il gruppo e nello scegliere un inte-ressante itinerario che ci ha permesso non solo di conoscere le varie missioni sparse per tutta la Bolivia, ma anche di conoscere posti indimenticabili raccontati da preti che

6 Compartir · Novembre 2011

Luis e Feliz, pazienti del dott. Pietro Gamba in Anzaldo

vivono là da 25 anni e dai loro progetti edu-cativi-religiosi presenti in diverse città.La seconda esperienza molto forte sia uma-namente che di grande conoscenza storica, è stato il viaggio a Potosì: città di grande ric-chezza mineraria, ma usurpata e resa povera ai tempi dell’invasione spagnola.L’esperienza in miniera è stata molto forte e vera: scendere a 10 metri dalla superficie e camminare dentro i tunnel scavati all’inter-no della roccia, mi ha fatto riflettere alla vita dei Mineros che già all’età di 13 anni lascia-vano la vita per una vita al buio, alla solitu-dine e al pericolo per potersi sfamare e vive-re. Le foglie di coca ti danno forza ma il co-raggio non so come lo potevano avere..Suor Giusy ci ha accolto nella sua casa e ci ha considerato come figli, mi sembrava di essere a cena per Natale. Ci ha fatto conoscere la sua scuola dove insegna reli-gione a 4000 metri, scuola frequentata dai figli de campesinos.Tante altre sono state le nostre mete ma tut-te hanno un fattore comune: tutte queste

persone mi hanno lasciato nel cuore la sem-plicità delle emozioni che è commovente sentirle per noi occidentali abituati a emo-zioni sbiadite e degenerate, emozioni pri-mordiali dimenticate.Ringrazio tutto il mio gruppo per avermi ac-compagnato e sostenuto in questa indimen-ticabile emozione, ringrazio don Sandro per avermi fatto conoscere una parte di mondo che si avvicina così tanto al mio modo di es-sere e vivere, sono felice perché so che esi-ste. L’Amore è ciò che ho percepito da tutta questa esperienza di vita. Grazie Bolivia.Ecco una poesia che abbiamo letto durante una messa celebrata sulle rive del lago di Ti-ticaca e penso sia l’unione di tutti i miei bat-titi sentiti nella rossa Terra:

Terra caldaTerra rossa, marrone, neraTi tocco e ti annusoTerra di BoliviaTerra violentataTerra ricca

Compartir · Novembre 2011 7

Un’immagine del traffico di El Alto, l’altopiano alle spalle di La Paz

Mi sento a casagli occhi di questa umanità mi sorridono pacificamentemi lascio cullare in questa La Pazmi lascio innamorare in questa Ciudadmi lascio penetrare da questa Naturache mi fa sentire vivaMadreTerra fertile di aratro pesantiTerra di storiadi unionedi dignitàEcco i miei gioielli più cari:giustizia per un pueblo unidogiustizia della cultura della terraAmare senza paurai cuori intorno a meli tocco, li accarezzomi nutro di questo Amore:ti chiamo Natura creatriceti chiamo Onestàti chiamo Amiciziati chiamo Bolivia.

Costanza~ · ~

I colori, i sorrisi, la semplicità: questa è la Bolivia che mi ha affascinato. Le difficoltà che i boliviani vivono ogni giorno mi hanno fatto riflettere sui tanti aspetti del mio quo-tidiano. Mi sono resa conto che la mia vita,

prima di questa esperienza, era focalizzata a soddisfare l'aspetto professionale e che ave-vo messo da parte la comunicazione e la condivisione con gli altri. Ho avuto l'oppor-tunità di incontrare persone dotate di una grande personalità. Persone con molto co-raggio e determinazione, che hanno cambia-to il loro modo di vivere per dedicarsi agli altri. Ho potuto cogliere nei loro occhi la fe-licità e la soddisfazione nel fare ciò che fan-no ogni singolo giorno. Mi sono emozionata per l'affetto incondizionato che i bambini trasmettono anche verso persone, come noi, sconosciute...e ho capito che “la felicità è reale solo quando condivisa” (C. J. McCan-dless). Grazie Bolivia!

Elena~ · ~

Tanti momenti mi hanno divertito del viag-gio in Bolivia, ma quello che mi è piaciuto di più è stato giocare con i bambini del basico, loro mi hanno insegnato a tirare le carte in un modo strano. Mi ha sorpreso come le ti-rano lontano.Alla Ciudad c’era un mega scivolo che in Ita-lia non ho mai visto e si poteva scendere in tanti insieme, scivolare e arrampicarsi tutti nello stesso momento era bellissimo.

Mattia

8 Compartir · Novembre 2011

In Bolivia mi hanno divertito le caprette che scappavano quando abbiamo suonato la si-rena dell’ambulanza.L’ambulanza la usa il dottore per andare alla case delle persone che vivono sulla monta-gna.

Samuele~ · ~

Ripensando alla mia esperienza in Bolivia, il primo sentimento che provo è un senso di accoglienza infinito. Perché?Semplice, perché in ogni situazione vissuta mi sono sentita “a casa”. Alla Ciudad di Co-chabamba, alla Ciudad di San Rafael, ma anche da Padre Andrea a La Paz, così come da Danilo o da Veronica e Massimo.Tutte queste persone sono state capaci di NON ospitarmi, ma di farmi sentire parte integrante della realtà in cui ero…e questo significa essere persone speciali.Anche la bellezza della natura mi ha accolto con il fascino e la fatica di raggiungere una vetta o con il mistero di un lago immenso dove una persona speciale come padre Leo mi ha affascinato e conquistato con il suo progetto.Grazie a tutte le persone che ho incontrato e grazie anche a tutti i miei compagni di viag-gio che hanno accolto la mia famiglia.

Tiziana

~ · ~

La Bolivia mi ha regalato emozioni a non fi-nire, mi ha insegnato che condividere qual-cosa con gli altri è impegnativo, ma gratifi-cante; mi ha mostrato che chi non ha niente è contento con poco mentre chi ha molto non è contento nemmeno con tutto.I volontari ed i missionari mi hanno fatto capire che per aiutare gli altri bisogna ri-nunciare ad un po’ di se stessi, non mollare mai ed avere una fede smisurata negli altri ed in Dio.Come ultima cosa il viaggio in Bolivia mi ha mostrato come la mia famiglia sia unita, ca-pace di affrontare le difficoltà o di vivere dei bei momenti come un “corpo unico” ri-uscendo allo stesso tempo a non chiudersi agli altri.La Bolivia merita una visita ma anche noi meritiamo un po’ di Bolivia!!!

Valter

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uando penso al tema dell'accoglienza mi sento sempre come in un conflitto interiore.A volte mi sento purista e allora penso che devo e che bisogna praticare un’acco-glienza senza se e senza ma, oserei dire un’accoglienza dell'altro, senza remore, senza discussioni, senza nessuna incertezza. Chiamo questo tipo di accoglienza dei puristi, degli idealisti, un po' anche sognatori.In altre occasioni mi sento come sul versante opposto: quando sono chiamato ad ac-

cogliere incomincio a mettere dei paletti, delle condizioni, ed alla fine il recinto delle regole che costruisco è così rigido che non posso più pensare di accogliere: in quel recinto non ci en-tra nessuno, forse neanche la mia stessa vita. Questa seconda modalità di accoglienza la chiamo del rigore indiscriminato, del legalismo assoluto.

Oggi più che in altri tempi la sofferenza degli altri entra con drammaticità nella vita di quegli uomini e donne che hanno “un cuore sensibile”, ed è in quel cuore sensibile che nasce il dramma: lasciarsi coinvolgere o tenere la giusta distanza? Sembra che oggi per chi ha un cuo-re sensibile prevalga di più la prima ipotesi, mentre per chi vive delle paure prevale di più l'ipotesi del tenere la giusta distanza. Il cuore sensibile e aperto si scontra però con “la mag-giore efficienza e successo” nell'opera di aiuto.

Le ragioni del cuore e quelle della ragione

Quando penso all'accoglienza sono come combattuto tra le ragioni del cuore e quelle della ra-gione. Le prime mi spingono ancora una volta verso quella terre dove non ci si fanno molte domande, si accoglie e basta. Le seconde mi spingono a cercare motivazioni e modalità giuste e corrette per poter accogliere.Prendete come esempio della questione degli sbarchi a Lampedusa : regole o purismo, cuore o ragione? Tutti percepiamo la drammaticità di chi arriva da un paese povero o in guerra. Tutti percepiamo la paura e la fatica per questo incontro con il diverso. Tutto va bene fino a quando qualcosa non funziona più, quando non ci si capisce più. Quando si arriva a questo punto che fare? Il patronato mi insegnato, in questi anni, a scegliere le ragioni del cuore accettando tutti i ri-schi di questa modalità. Riconosco che il problema posto in questo modo è posto male: è co-me se ci infilassimo sempre in una via senza uscita, in un vicolo cieco.

L'occasione per una riflessione più seria e appropriata mi è venuta da una richiesta di parlare ad un gruppo di famiglie proprio dell'accoglienza partendo da questo titolo: “accoglienza sen-za se e senza ma”. Provando a guardare le cose da un un altro punto di vista come prima cosa ho cambiato il titolo: da accoglienza senza se e senza ma l'ho trasformato in “Accoglienza con dei se e dei ma...”; vediamo se riusciamo a capirci meglio.

Il confronto con la fragilità

Tutte le persone che quotidianamente si trovano a confrontarsi con esperienze di accoglienza devono fare i conti con una serie di se e di ma: il primo di queste è quello del proprio limite, la

10 Compartir · Novembre 2011

Dossier

Accoglienza con dei se e dei ma...

Q

propria fragilità: ci rendiamo conto che non possiamo aiutare tutti e non possiamo pensare di aiutare tutti nel migliore dei modi. Essere a confronto con la fragilità, con l'abbandono e la cura richiede la capacità di accogliere prima di tutto questa nostra fragilità che pone certo dei limiti ma che prova, dentro questi limiti, ad aprire dei varchi, delle luci che fanno intravvede-re un futuro migliore.Gesù Cristo quando incontrava i malati, i sofferenti, i peccatori riconosceva la propria e altrui fragilità e da lì cercava di ricostruire un uomo, una donna. Gesù partiva dall'umanità che ave-va davanti e grazie ai suoi gesti e parole, apriva varchi in ogni uomo o donna, varchi di spe-ranza e di futuro.

La ricerca di una terza via

Mi sembra che oggi l'ipotesi migliore su cui possiamo lavorare per pensare al tema dell'acco-glienza è quasi una terza via, una via nuova, tanto antica come il mondo, quanto inedita, per-chè sempre da scoprire e da reinventare. La dualità tra il purista che accoglie senza e senza ma e il rigorista che non accoglie mai, viene come superata, cercando un qualcosa che raccol-ga e rilanci la fragilità e il cuore aperto, l'efficienza e la disponibilità, la malattia e la cura, l'abbandono e la presa in carico, la sofferenza umana e la speranza, dentro una prospettiva nuova.Vado ad individuare questo terzo nella fraternità tra uomini e donne. Oggi va di moda la paro-la rete, sinergia, ma la fraternità tra uomini e donne è di più ed è diversa dalla rete, dall'asso-ciazione, da un gruppo, anche se non esclude questa.

Compartir · Novembre 2011 11

Padre Sergio Gamberoni con i ragazzi di Condebamba

Nella fraternità vi è una consegna evangelica reciproca della diversità, della fragilità, dell'ab-bandono. Nella fraternità vi è come il sogno di disegnare progetti condivisi, di creare condi-zioni di sicurezza e di cura, di riconoscimento della dignità di ciascuno...La fraternità chiede a chi la pratica un impegno etico e di senso speciale, che aiuta a far in-travvedere a chi è accolto che in quel luogo vi è una logica, un valore, una pratica che speri-menta la vita in maniera evangelica. La fraternità permette di essere efficienti, ma di poter andare anche oltre. Infine la fraternità permette all'uomo fragile di essere ricettivo di speran-ze nuove perchè la fragilità condivisa permette di costruire orizzonti nuovi.Potremmo dire così: nella logica dell'accoglienza i se e i ma che io pongo sono i se e i ma che ci insegnano a fare fraternità. Ma come declinare questa fraternità che si prende cura di noi e delle sofferenze degli uomini?

La promessa di una vita buona

Un primo modo per rendere evidente la fraternità, è quello di creare condizioni di vita buona.Uso la parola Benessere per dire di questa vita buona, anche se ne conosco tutti i limiti e le ambiguità. Benessere nella sa-cra scrittura è la pienezza della vita, lo shalom. Sto bene con me stesso e con gli altri; la fra-ternità crea le premesse e le condizioni perchè gli uomini, tutti gli uomini possano dire della loro vita che è una vita buona. Si può parlare di benes-sere del corpo, della sicurezza, della psiche, del mondo sociale, dello spirito.

La relazione

La condizione perché questa vita buona si realizzi è la capa-cità di creare fraternità dove al centro non vi è l'efficienza, ma la relazione buona che permet-te l'efficienza. Insomma è la re-lazione che è l'anima, il senso di questo percorso. Potremmo dire che la fraternità deve pro-durre un etica degli affetti e del fare insieme.Nella relazione non si chiede di salvare l'altro, ma “di rigenera-lo, accompagnandolo e trovan-dosi noi stessi rigenerati dentro questo accompagnamento”. La relazione produce in tutti, in coloro che accolgono e in colo-ro che sono accolti un cambia-mento, una rigenerazione.

12 Compartir · Novembre 2011

Un metodo per vivere relazioni buone: la narrazione

Un metodo per essere attenti all'etica della relazione, che non salva ma rigenera, è quello della narrazione, del donare il proprio tempo personale dentro la comunità. Ci si racconta, e nel racconto attendo l'accolto sulla soglia dei suoi racconti, con pazienza e umiltà e a volte con sofferenza. Non chiedo a me stesso e all'altro la pretese di andare oltre quanto ciascuno deci-de di raccontare.Il limite e la soglia del racconto è proprio quel limite che ciascuno decide di porre. In quel rac-conto, narrato in fraternità, io accolgo e dono vita buona. Il racconto sicuramente richiede tempo adeguato. Lancio solo una provocazione: la fraternità può essere un luogo dove final-mente si ha tempo? Si può ricostruire nelle nostri città un tempo nuovo dell'attesa e della pa-zienza?

Uno sguardo che scende nelle viscere

“Credo che sia necessario stare un po' male, per il paziente, per la vittima...credo anche di gestire meglio le situazioni quando sento la sofferenza e se la sopporto con gli altri”.Sentir dentro, forse è quello che manca a certe relazioni di aiuto, a certe fredde accoglienze.anche qui il metodo chiede di abbandonare lo studio-formazione solitario e a volte troppo ac-cademico, per cercare una formazione comunitaria nei contenuti e nei modi. Forse oggi non ci servono più le serate a tema con grandi personaggi e conferenzieri famosi, forse oggi servono percorsi semplici e fraterne per aiutare a recuperare una forma di sapienza della vita.Pensate se, quando veniamo chiamati all'accoglienza, imparassimo a costruire procedure che hanno dentro il sentire, la sofferenza e la sapienza.Ma anche questi percorsi si possono affrontare solo se si è in fraternità. Anche qui una preci-sazione: lo sguardo sul dolore a volte ci chiede di rispondere a tutto il dolore, ma non è possi-bile, non ne siamo in grado, non possiamo pensare sempre a tutto e a tutti.Meglio allora uno sguardo nel dolore che si può patire, senza mai lasciare a lui l'ultima parola, e aprendo sempre un varco alla speranza e al bene. È quasi un rimanere nelle viscere di mise-ricordia di Dio, le sue viscere di compassione. Questo rimanere inizia l'uomo all'incompiutez-za, all'umiltà, all’incapacità, ma spinge sempre a cercare oltre, cercando di rimanere vivo den-tro questa relazione.

E per finire

La fraternità non deve più essere il luogo ultimo di un percorso di rinascita, dopo la fatica del-la vita, con la speranza “che ti vada bene”. La fraternità è il luogo iniziale della nascita, della cura, perché ciascuno possa essere lanciato nella vita adulta: essa va assunta pienamente, pensando che la sfida vera è interna alla fraternità, non esterna ad essa.“Forse il valore di tale fraternità sta nel fatto che si incontrano uomini e donne normali, de-boli, modesti, a volte malati, inaffidabili, alla ricerca di una nuova affidabilità”.

◆ Don Sandro Sesana

Compartir · Novembre 2011 13

a crisi economica e sociale che attra-versa il nostro paese, e più in generale il sistema economico nel quale siamo immersi, è sotto gli occhi di tutti. Non c’è giorno in cui al telegiornale non si

parli dello spread tra btp italiani e bund te-deschi, e non passa giorno senza dichiara-zioni allarmate dei membri delle diverse isti-tuzioni finanziarie mondiali sulla tenuta del-l’Italia e con essa del sistema monetario eu-ropeo. Soprattutto, sempre più spesso cam-minando per strada si nota un’attività com-merciale, magari esistente sin da quando eravamo bambini, che espone insegne di svendita e chiusura dei locali: segno tangibi-le di quanto le diffi-coltà stiano segnan-do la nostra società.

Se ci domandiamo chi ne stia risentendo maggiormente la ri-sposta è univoca: le fasce più deboli, e tra queste in particolare la categoria dei gio-vani. I giovani, che si sono visti derubare del loro futuro grazie alla diffusione di oc-cupazioni “perenne-mente precarie”, che influiscono forte-mente sulla possibili-tà di progettare le proprie scelte di vita. Gli stessi giovani che si vedono ora deru-bare anche del pre-sente, con la strada che porta all’interno

del mondo del lavoro che si fa sempre più stretta e difficile da percorrere.

A tal proposito Curzio Maltese ha scritto: “i giovani sono i veri clandestini di questo paese. I peggio pagati d’Europa, i meno istruiti, i più discriminati in una società do-ve la mobilità sociale è quasi azzerata e il merito non conta nulla”.

In questo scenario il fenomeno più preoccu-pante è rappresentato dai cosiddetti Neet (Not in Education, Employment or Trai-ning), ossia persone in età attiva che non ri-

14 Compartir · Novembre 2011

Attualità

Accogliere le nuove povertà

L

Celebrazione della Festa del Lavoro, Palazzo del Quirinale, 30 aprile 2011

cevono un'istruzione, non hanno un impiego e non seguono neppure corsi di aggiorna-mento professionale. Ancora più allarmante verificare come “la maggior parte ha anche smesso di cercare un impiego: il 57,7 per cento dei maschi Neet italiani è inattivo, e se si guardano alle percentuali delle donne la situazione appare ancora più drammatica. Ogni cento ragazze, 72 si sono rassegnate a rimanere disoccupate e a non entrare nel mercato del lavoro” (Il Sole 24 Ore del 20-04-2011). In Italia, i giovani Neet sono più di due milioni, pari al 22,1% della popolazione di questa età. I percorsi che portano in que-sto limbo di inattività cronica sono da ricer-carsi nelle difficoltà strutturali e sistemiche del mercato del lavoro italiano, in particolare nel meridione. Questi 2 milioni di giovani “néné”, né studenti né lavoratori, sono l’im-magine vivente della disillusione, lo specchio dell’estremo disagio sociale del Paese.

Il rapporto “Poveri di diritti” di Caritas Ita-liana e Fondazione Zancan dipinge con chia-rezza lo scenario civile entro cui si sviluppa-no oggi, nel nostro Paese, i fenomeni di po-vertà ed esclusione sociale.“Anche se in gran parte inseriti, più o meno volontariamente, all’interno della dimen-sione familiare, la condizione dei giovani merita un’attenzione separata e specifica. È indubbio che i giovani hanno pagato in mi-sura più elevata la crisi:- una quota sempre più alta di giovani sci-vola, non solo nel Mezzogiorno, verso l’inat-tività prolungata, vissuta il più delle volte nella famiglia di origine- oltre il 40% dei giovani stranieri abban-dona prematuramente la scuola, alimen-tando un’area di emarginazione i cui costi non tarderanno a diventare evidenti.”

Come ricorda ancora il rapporto Caritas “il tempo di vita che intercorre dai 20 ai 30 anni dovrebbe essere caratterizzato dalla presenza di grandi speranze, e non dal pre-valere di grandi frustrazioni. Di fatto, una serie di processi sociali stanno determinan-do una diffusa situazione di sofferenza e

malessere della condizione giovanile [...]. Tutto questo, e sarebbe difficile affermare il contrario, sta plasmando un mondo giova-nile percorso da sentimenti di inasprimento e delusione: poche sono le opportunità, mol-te le incertezze.”

Ora la domanda che si pone è capire se il no-stro Paese, sempre più fiacco e sfibrato dalle difficoltà economiche, sarà capace di inverti-re la rotta che negli ultimi anni l’ha reso sempre più indifferente e frammentato, por-tando le diverse categorie sociali a parlare lingue diverse e a vivere la crisi in solitudine, proponendo risposte individuali a problemi che coinvolgono tutta la nazione. La doman-da è capire se riusciremo ad accogliere que-ste nuove povertà, ma soprattutto a fornire risposte e prospettive adeguate a farvi fronte.

Proprio per raggiungere questi obiettivi cre-do che l’Italia abbia quanto mai bisogno di ritrovare serenità, una serenità che si co-struisce nell’impegno collettivo e nella re-sponsabilità condivisa di tutte le componenti sociali, come ha affermato anche il Presiden-te Napolitano in occasione della Festa del Lavoro di quest’anno: “Nel celebrare il 150° anniversario dell'Unità d'Italia, ho richia-mato le grandi prove di impegno collettivo che hanno segnato la nostra storia e che ci indicano la via di una rinnovata fiducia in noi stessi. Impegno collettivo significa «mo-bilitazione e responsabilità dei singoli come dei corpi sociali». Debbono fare la loro par-te - perchè il paese possa fronteggiare con successo le sfide di oggi e di domani - quanti hanno ruoli di rappresentanza e di guida nella politica e nelle istituzioni, nell'econo-mia e nella società, ma in pari tempo - come volli sottolineare nel mio messaggio di fine anno - ogni comunità, ogni cittadino. E dunque, ogni lavoratore, ogni giovane.”

◆ Fabrizio Cotini

Compartir · Novembre 2011 15

In “Terraferma” si viaggia in gommone, i passeggeri hanno i volti scuri dell’Africa e si narra di viaggi della speranza che continua-no senza interruzioni possibili.

Il regista Emanuele Crialese unisce due dei temi principali delle sue passate pellicole “Respiro” e “Nuovomondo”, la vita su un’iso-la vista con gli occhi di un isolano e l’emigra-zione, creando uno splendido film fatto di acqua, sabbia, solidarietà e incertezze nel fu-turo.

Il tema è “partire o non partire?” C’è chi pen-sa di abbandonare l’isola, la sua povertà, la tradizione della pesca e un intero mondo di luoghi e cultura che, purtroppo, non danno da mangiare, e chi invece in quel pezzettino

di terra pensa di aver trovato il primo passo verso una soluzione ai problemi della vita.

È un film denso tanto nei contenuti, quanto nella forma: l’estate di “formazione” del pro-tagonista è solo un pretesto narrativo per da-re un inizio e una fine ad una serie di eventi che si ripetono circolarmente e periodica-mente in tante zone del mondo. Le luci si ac-cendono improvvisamente sul mare, così come un mappamondo di notte balla sopra le teste di questo eterogeneo gruppo di rifu-giati, che si ritrovano a pensare a come sarà il futuro, a quale nuova “terraferma” biso-gnerà ambire per vivere e non solo sopravvi-vere.

16 Compartir · Novembre 2011

Terrafermadi Emanuele Crialese

Cultura

Una scena tratta dal film

La poesia per immagini di Crialese racconta la storia di un adolescente che in realtà rap-presenta la storia di tutti noi: anche lui, quando accende il televisore e gli viene mo-strato l’ennesimo sbarco, affronta i filmati con una propria opinione, di condanna o di comprensione che sia. Non ha potere diretto

sull’evento, non può decidere se respingerli o accoglierli, ma sa bene che incontrerà quegli stessi stranieri sull’autobus, quelle storie sa-ranno proprio lì accanto a lui. Se si sentiran-no o meno nuovi italiani, dipenderà prima di tutto dal mondo in cui li guarderà negli oc-chi.

L'incontro che gli educatori e gli operatori della cura vivono e realizzano con la fragili-tà, con la diversità, con la colpa, con lo smarrimento mette alla prova loro, le loro competenze e i loro saperi, le loro organiz-zazioni. E sta forse facendo emergere una nuova profondità nel sentire l'altro; una evi-denza nuova del limite nell'esercizio di sape-ri e poteri; una pratica di inediti contesti comuni di relazione e di responsabilità; una costellazione di "cellule etiche" nella convi-venza, nelle quali donne e uomini, portatori di bisogni o di capacità e responsabilità, so-no chiamati ad agire come soggetti morali. La fraternità tra sconosciuti che qui è colta, sviluppata e serbata può divenire un orien-tamento per l'esercizio di saperi esperti, per l'uso di risorse e l'organizzazione di servizi, per il funzionamento delle istituzioni della convivenza e la definizione di un quadro di diritti e di obbligazioni, per la proposta e la formazione di un nuovo ethos civile.

Compartir · Novembre 2011 17

Cultura

L’educazione nell’ombradi Ivo Lizzola

Barca Bianca

barca azzurra

barca di braccia aperte

vele bianche si spiegano al vento

Albero maestro reggimi

un’ondata di urla serrate dall’uomo-fucile

Donne di mani tese

proteggono il loro cuore di bambino spaventato

Occhi giovani di sofferta età

già arrivata

Guardano là, non vedono

cercano

Non trovano l’orizzonte padre

sentono il battito del mare

tempesta di cuori

timone di speranza, portaci via da qui

Buio nemico

senza guida né guardiani

immobili al vento

La barca è un sasso preso a calci dalla corrente

stretti a nodo cerchiamo l’ormeggio

della nostra pace

Ecco la riva

folla di api in cerca di miele umano

ci accolgono con barconi e

fari lampeggianti

Un biglietto in mano e via in fila

per un letto al centro di Accoglienza

Un visto in mano

per renderci clandestini

della nostra sventura.

18 Compartir · Novembre 2011

Benvenuto clandestinodi Costanza Olmo

Poesia

l dormitorio femminile è un apparta-mento gestito esclusivamente dalle vo-lontarie della Caritas di Bergamo e dalle Suore Poverelle.

È un servizio che offre un posto letto per donne che non hanno casa e che vivono tut-to il giorno per strada, senza legami, senza famiglia e con molti problemi sulle spalle.

Viaggiano tutto il giorno nella città. Ogni tanto si fermano nei bar o alla stazione per trovare un po’ di caldo, per riuscire a man-giare qualcosa…sono donne con storie pe-santi che si portano questo fardello del pas-sato e/o del presente addosso.

Arrivando al dormitorio hanno la possibilità di appoggiare questo sacco pesante su un letto e di svuotarlo raccontando alle volon-tarie tutti i pensieri che hanno nella testa. C’è chi lotta tutti i giorni con la droga, chi combatte contro il vizio dell’alcool, chi arri-va da paesi stranieri da sola e non riesce a trovare nessuno che la possa aiutare, chi ha perso il lavoro e non ha casa e per un perio-do della sua vita ha dormito in macchina o sotto qualche porticato al riparo dalle in-temperie…ma dopo un po’ tutto questo pesa e allora ecco che arriva la richiesta d’aiuto attraverso la Caritas.

Possono entrare da noi dalle 20.30 fino alle 22, fare una doccia calda, lavare i propri ve-stiti, bere una tazza di camomilla e coricarsi in un letto pulito e personalizzato con un pe-luche o un libro sul comodino. Per un perio-do diventa quello il loro riparo notturno, non più la strada, non più una panchina, non più una tenda piantata in qualche aiuo-la della città, non più un porticato con dei cartoni per ripararsi dall’umidità e una co-perta che protegge a mala pena dal freddo

pungente che sta per arrivare nella nostra cara Bergamo.

Al dormitorio le volontarie accolgono le donne che arrivano. Accolgono qualsiasi donna bussi alla loro porta mandata dalla Caritas. Negli anni si sono succedute moltis-sime storie e tante ancora si ripresentano con l’andare del tempo. Accogliere al dormi-torio significa dare la mano alle persone no-nostante queste si possano presentare spor-che o arrabbiate con qualcuno o con la vita intera; significa medicare le ferite e le pia-ghe di una lunga vita passata sulla strada; significa conoscere il nome di ciascuna; si-gnifica non chiedere ma ascoltare ciò che viene raccontato; significa abbracciare e far-si abbracciare da sorrisi o da lacrime; signi-fica dire “no” e sorbirsi lunghe lamentele e imprecazioni; significa scrivere tutte le sere un diario di bordo per tenere aggiornate le volontarie che la sera successiva saranno in turno.

Compartir · Novembre 2011 19

Volontariato

Accogliere donne: il dormitorio femminile

I

E al mattino svegliare le donne accolte è quasi sempre difficile…vorrebbero rimanere a letto più a lungo e come dare loro torto?!

Ma una nuova giornata deve ricominciare e chissà quanti di noi incontrano queste don-

ne tutti i giorni mentre corrono nella nostra città sempre con lo sguardo alto e quasi mai rivolto verso l’asfalto sporco della strada…

◆ Lara Grane"i

Condividere è l'utilizzo comune di una risorsa, di uno spazio, di un momento, di un sentimento. Ma è anche correlato al processo di dividere e distribuire.

Ecco che la condivisione implica un forte senso di responsabilità rispetto a ciò che si mette in comune, che allo stesso tempo si divide e distribuisce.

Tu doni, ma ricevi nel donare, ecco cosa vuol dire condividere.

Responsabilità significa guardarsi dentro, questo tipo di discernimento interiore contiene inevitabilmente l'appello a una ricerca e a un lavoro da compiersi “insieme”.

Non solo perchè l'unione fa la forza, non solo perchè la diversità è una ricchezza, ma perchè tutti noi “condividiamo questo pianeta per un brevissimo istante di tempo”.

Proprio sulla condivisione si basa il progetto casa-famiglia “La madia”: l'obiettivo è crea-re un clima familiare con persone prive di una propria abitazione, accompagnandole

durante un delicato momento della propria vita, per cercare così di raggiungere l'auto-nomia che è il fondamento della vita piena.Il progetto, approvato dal consiglio del Pa-tronato, consiste nella convivenza (di un anno o più) fra cinque volontarie e alcuni ospiti: i momenti più semplici della quoti-dianità verranno condivisi, e con essi tutte le piccole-grandi gioie e gli inevitabili disguidi. Ed è proprio nella dimensione più intima, quella domestica, che ognuno mette a dispo-sizione dell'altro una parte di sé: a partire dalla preparazione dei pasti e dalla pulizia degli ambienti, fino alla gestione dell'eco-nomia della casa e ai momenti di svago: e tutti questi momenti vengono divisi con l'al-tro. Volontarie o ospiti la differenza si an-nulla, in quanto si diventa tutti correspon-sabili nei confronti di ciò che si sta vivendo insieme e che inevitabilmente si spartisce.

Questo progetto mostra come ognuno di noi ha molto da dare: non servono particolari requisiti o possessi materiali, ma è da noi stessi, dalla nostra persona che ricaviamo le più grandi ricchezze, quelle davvero efficaci nell'aiutare l'altro; ed è per questo che anche da chi ha più bisogno di aiuto possiamo ri-cevere tanto.

20 Compartir · Novembre 2011

Volontariato

Dividere con...progetto casa-famiglia “La madia”

Sabato 19 e domenica 20 novembre ritorna il campo di lavoro presso il Patronato San Vincenzo: un momento di condivisione dove verranno preparati i lavori da vendere per natale ed anche delle magnifiche torte.Domenica 20 sempre presso il patronato verrà allestito uno stand dove ci sarà la possibilità di acquistare torte, oggetti per i regali di natale e il nostro calendario.Vi aspettiamo numerosi!

Ogni sabato presso il Patronato viene aperta la proposta dei sabati di lavoro.Chi fosse disponibile a dedicare il proprio tempo per effettuare dei lavori all'interno del pa-tronato, può farlo. Il corrispettivo economico delle ore di lavoro verrà inviato in Bolivia per sostenere il progetto della costruzione della biblioteca alla ciudad de los ninos di Cochabam-ba.

Ricomincia la vendita dei prodotti del commercio equo solidale, chi fosse ingteres-sato può rivolgersi ai referenti del gruppo: Elena Ortobelli, Milena Gamba, Laura Vitali, don Alessandro Sesana.

Adozioni a distanza come ogni anno sollecitiamo amici e conoscenti ad entrare a far parte del progetto per le adozioni delle casette della ciudad de los ninos.Non è necessario adottare l'intera casetta, ogni offerta per il sostentamento dei bimbi che ne fanno parte è ben accetta.

Compartir · Novembre 2011 21

Le nostre attività

Contatt iDon Alessandro Sesana

[email protected]

340.8926053