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Come è nata l’idea
Qui lasciamo la parola ai due fondatori, Enrico e Giorgio :
-Ecco Enrico:
Caro Luciano,
amico di tenorili melodie, grazie per l’invito a scrivere qualche ricordo.
Anni, anni e anni sono ormai passati da quel lontano 1954, quando appena
ventunenni decidemmo, l’amico Giorgio Bert ed io, di tentare la formazione di una
corale universitaria. Scrivemmo un appello sul giornale studentesco Ateneo
chiamando a raccolta coloro che mai avessero intenzione di cimentarsi con il
repertorio soprattutto rinascimentale tra una pagina e l’altra delle materie della loro
facoltà. E oggi, dopo sessant’anni, è cosa mirabile che quella corale esista ancora e
sia più che mai attiva, con ancora qualcuno della vecchia guardia, cioè di coloro che
parteciparono ai difficili inizi. Infatti furono pochi quelli che risposero all’appello,
pochi ma animati da spirito nobile e grande. Gli unici tenori eravamo io e te, ricordi?
Passavamo le serate a copiare le parti per ciascun corista, e le note dei grandi del
passato colmavano i nostri occhi: Monteverdi, col suo meraviglioso “Ecco mormorar
l’onde”, Palestrina con “Vergine chiara”, Marenzio, Gesualdo, e poi l’emozione di
quando questi segni copiati con tanto amore su fogli trasparenti diventavano
musica, portandoci in un mondo di sogno. Pensa, mi ricordo ancora un verso di un
madrigale che recitava: “Ahi lasso me che non restaura, fior frond erb ari antr ond
arc marc ombr aura”.
Certo, io avevo deciso la mia vita nella musica, mentre gli amici, dopo una giornata
di studi o di lavori diversi, venivano a gettarsi in un altro mondo, trasportati nel
nirvana dalle più belle melodie. Una parentesi meravigliosa nella loro vita.
Poiché io mi sentivo non ancora pronto a dirigere un gruppo corale, Giorgio ed io
decidemmo di offrire la corale al mio maestro di pianoforte, Roberto Goitre, che
accettò con entusiasmo.
Scriveva “Ateneo” nel 1957: “Tre anni or sono, quando venne fondata la Corale
Universitaria di Torino, ben pochi sarebbero stati disposti a pronosticare un rapido
successo e una luminosa affermazione al di fuori dei modesti confini in cui si
circoscrivono normalmente le aspirazioni e i risultati dei complessi dilettantistici.”
Eppure, questo avvenne.
Furono in seguito anni molto belli: concerti a Parigi, a Strasburgo, ad Arezzo per il
concorso. Erano entrati a far parte della corale personaggi significativi quali Sigfrido
Leschiutta, Fausto Amodei, Alberto Basso, per citare quelli che ricordo.
E poi le vacanze progettate insieme, in valle d’Aosta, con escursioni sulle cime più
belle, con lunghi passaggi sui ghiacciai; le serate in riva ai laghi cantando le nostre
belle melodie dei monti. E l’incontro delle corali organizzato da Balmas col quale
collaborai. Almeno 200 partecipanti che ebbi la gioia di dirigere al Monte dei
Cappuccini nell’ “Estote fortes”di Luca Marenzio: una sera bellissima che mi lasciò un
ricordo indelebile. La corale era diventata un punto di riferimento di amici legati da
una comune passione per la musica, la bellezza e l’amicizia.
Dopo quattro anni lasciai la corale poiché volevo costituire una orchestra d’archi
universitaria, cosa che mi riuscì: la Camerata Strumentale “Alfredo Casella”, che
purtroppo ebbe meno fortuna.
Ma la corale rimase sempre nei miei ricordi e sono felice che ancora adesso questa
nostra creatura abbia così bella e lunga vita. Cari amici: semper ad maiora!
(Enrico )
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-Ed ecco Giorgio: “Alla ricerca della Corale : storia di quattro anni”
1954, primavera:. Enrico ed io siamo appena usciti dal Conservatorio dopo il
concerto di un coro universitario tedesco che ci ha entusiasmati.
Ora ciondoliamo in una piazza Bodoni deserta. Sono le 23 e la città è, come sempre,
spettrale: a Torino, si sa, a gente lavora, “rusca” e va a letto presto, a essere in giro a
quest’ora si è già nottambuli.
(Il Duomo di Torino nel 1954: non è ferragosto ma un normale giorno feriale, tanto per dare
…un’idea dell’epoca)
Qui bisogna subito, come oggi si dice, “contestualizzare”: Il termine “concerti” nei
primi anni cinquanta, si riferisce solo a quelli di musica classica. E’ probabile che un
ventenne di oggi quando parla di “concerto” alluda che so, agli U2, a Vasco Rossi, a
Zucchero…, ma nel ’54 Elvis ha 19 anni ed è noto si e no nel Tennessee, i Beatles
sono ancora dei ragazzini scassapalle di Liverpool e la canzone politica impegnata
dovrà attendere ancora quattro anni il boom dei “Cantacronache”.
Per noi, all’epoca, esistono solo due tipi di musica: quella classica (inclusa l’opera, sia
pure con qualche distinguo) e le canzonette che mamma RAI ci ammannisce tutto il
giorno. Giusto pochi mesi prima il Festival di S. Remo ha premiato la canzone
dell’anno: “Tutte le mamme”, eseguita da Gino Latilla; ma tirano molto anche
“Canzone da due soldi” e “Aveva un bavero color zafferano”…
Esiste, è vero, il Jazz, ma si tratta, come ama ricordare Paolo Conte, di un fenomeno
di nicchia, quasi elitario.
In Francia ci sono cantanti come Trenet, Brassens, Brel, Becaud, Ferrè, Piaf, Gréco,
ma da noi quella è roba da appassionati, da esterofili… Vuoi mettere con Tutte le
mamme? Così commovente, così italiana…
Oggi probabilmente due melomani come noi avrebbero messo su un gruppo, una
piccola band: Enrico alle tastiere e io alle percussioni, magari. Ma essendo l’epoca
quella che era, la sola idea che ci venne in mente fu: “Ma perché non facciamo una
Corale anche qui? In fondo l’Italia è o non è la terra dove è nata la polifonia?” .
E’ cominciata così: Enrico ed io pubblichiamo una lettera su “Ateneo”, il quindicinale
studentesco della sonnacchiosa ed elitaria Università torinese (per dire: al secondo
anno di Medicina una sessantina di iscritti).
Inviata la lettera andiamo a passare le vacanze di Pasqua in Austria e in Germania
con poche lire (un pasto al giorno e umidi alberghi della gioventù). Soldati sovietici e
neve alla frontiera. A Monaco ci sforziamo di demarcarci da una banda di romani
caciaroni con chitarra e tentiamo di colpire al cuore due ragazze di Wuppertal,
Enrico suonando Beethoven (Mondschein, naturalmente) e io citando in
pseudotedesco Rilke, mi pare… Risultati non eccezionali sul piano della seduzione,
ma insomma, ci riveliamo raffinati intellettuali e i romani sono sconfitti.
Al ritorno ci attendiamo valanghe di adesioni alla nascente Corale: infatti troviamo 3
(tre) lettere (una di Luciano, protocorista): colpa degli esami? del gusto deteriore del
pubblico? Boh!
Non per nulla però abbiamo appena visitato la patria di Beethoven e quella di
Mozart, geni inizialmente incompresi anch’essi, e siamo pieni di entusiasmo. A forza
di rompere le scatole ad amici e colleghi ci ritroviamo in una quindicina il 26 maggio
in un enorme salone gentilmente concesso, e fondiamo la Corale Universitaria.
Direttore è l’allora maestro di piano di Enrico, Roberto Goitre, giovane compositore
talmente imbevuto di musica che in via Volturno, dove abitava la sua ragazza, era
noto per passeggiare davanti alla di lei casa fischiando a guisa di richiamo amoroso
non la solita canzonetta ma l’Adagio della Sinfonia dal Nuovo Mondo di Dvoràk.
(In seguito le dedicò brani musicali difficilissimi, atonali, seriali, assolutamente
impossibili da fischiare, e l’amore finì).
(Il Maestro Roberto Goitre)