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CLUB MILANO N. 25 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/MI 3,00 euro Italia Inside Out: i migliori fotografi nazionali e internazionali di ieri e di oggi raccontano il Belpaese. L’happy hour si fa vintage. Passano di moda i cocktail elaborati, ma l’aperitivo vecchio stile non è per tutti. Gabriele Salvatores: “Mi attrae raccontare la realtà tenendo presente che non basta la ragione per spiegarla”. Il tempo si è fermato nell’antica Medina di Marrakech, tra chiromanti, incantatori di serpenti e musici. MARZO - APRILE 2015 Rossana Orlandi: “Trovo molto difficile fare una distinzione così netta tra arte e design”. pagina 16

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club milano n. 25

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Italia Inside Out: i migliori fotografi nazionali e internazionali di ieri e di oggi raccontano il Belpaese.L’happy hour si fa vintage. Passano di moda i cocktail elaborati, ma l’aperitivo vecchio stile non è per tutti.

Gabriele Salvatores: “Mi attrae raccontare la realtà tenendo presente che non basta la ragione per spiegarla”.Il tempo si è fermato nell’antica Medina di Marrakech, tra chiromanti, incantatori di serpenti e musici.

marzo - aprile 2015

Rossana Orlandi: “Trovo molto difficile fare una distinzione così netta tra arte e design”. − pagina 16

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Anche se mi ero ripromesso che non ne avrei più parlato, almeno fino a maggio, è dura non affrontare il tema Expo se dirigi una rivista lifestyle che parla di Milano, a meno di due mesi dalla più grande manifestazione mai ospitata dalla nostra città. E se il con-to alla rovescia ormai è implacabile, è corretto fare una fotografia realistica di quello che sta succedendo. Expo si è per ora distinta per una serie infinita di errori, scivoloni, ritardi e ruberie. Mesi persi per trovare una sede adeguata, lotte fratricide tra Moratti e Formigoni che per almeno due anni hanno ritardato la partenza effettiva dei lavori, vertici cambiati in modo schizofrenico, scandali di appalti truccati e corruzione, an-nunci trionfalistici di progetti mirabolanti ma di fatto mai nati (che fine hanno fatto le vie dell’acqua?), sprechi, arresti, commissari, render talmente brutti da sembrare fatti apposta e mascotte inguardabili, fino alla logica e inevitabile conclusione: i lavori non finiranno neppure per la fine della manifestazione. Con il 74% di opere ancora da completare nel momento in cui vi scriviamo (fonte ufficiale dati.openexpo2015.it/chart/lavori.html) la soluzione non poteva che essere di far coprire i circa 11 mila metri quadri di cantiere ancora in corso d’opera al momento dell’apertura con al-trettanti pannelli e quinte teatrali. Veri tappabuchi che costeranno 100 euro a metro quadro. Fate voi i conti. Un disastro talmente evidente che da qualche tempo Expo ha deciso di assoldare esperti e consulenti con l’unico obiettivo di gettare fumo negli occhi e raccontare in giro che in fondo tutto va bene. Sono i cosiddetti Expo-ottimisti. Il più divertente e attivo è un esperto di urbanistica e comunicazione. Si è inventato un format che porta in giro a qualunque convegno, presentazione o tavola rotonda, ma persino negli incontri individuali, come è capitato con me: in 17 minuti esatti ti ubriaca di parole (non mi ricordo di averlo visto respirare) martellandoti su quello che dovresti sapere di Expo e invece non sai. In primis il fatto che non si tratterà di una fiera, ma di un parco tematico senza regole dove ogni nazione sarà libera di interpretare al meglio il tema proposto. Per sua stessa ammissione in quei 17 minuti non cambia neppure una sillaba, una virgola o un’intonazione. Più che le parole di un esperto di urbanistica sembra un monologo teatrale. Efficace ma con un piccolo difetto: impossibile fare domande o obiezioni. È lo specchio fedele di quello che sarà Expo: prendi quello che sarà, anche se ci riempiranno di pannelli interattivi. Dal momento che ormai a livello di infrastrutture la frittata è fatta, quello che resta sono i contenuti. La sfida più interessante, dentro e fuori i cancelli del parco, sarà capire se qualcuno riuscirà davvero a cogliere e interpretare il vero tema di questo Expo, che non è “magnà bene e tanto”, ma Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita, quindi trovare delle soluzioni al male più atavico della Terra: la fame nel mondo. I protagoni-sti non dovrebbero essere gli chef stellati, ma gli agricoltori del Senegal o i pescatori indiani. Magari nascosto tra una quinta teatrale e una scavatrice ne troveremo qualcu-no disposto a raccontarci la sua storia.

oltre le quinte di expo

Stefano Ampollini

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contents

point of view 10non amo le fiere. ma l’expo…

di Roberto Perrone

inside 12Brevi dalla città

a cura della Redazione di Club Milano

outside 14Brevi dal mondo

a cura della Redazione di Club Milano

portfolio 20italia inside out

Testo di Andrea Zappa

cover story 16ci vuole solo intuito

di Simone Zeni

interview 36non parlatemi di passione

di Andrea Zappa

focus 32art for rent

di Elisa Zanetti

interview

supereroe made in italy

di Nadia Afragola

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focus 26aperitivo old style

di Marco Agustoni

orienteering 40the Here and now

di Alessia Delisi

sport 42non mi serve il Gps

Di Enrico S. Benincasa

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contents

In copertina

Rossana Orlandi.

Cappotto di Vionnet.

Foto di

Matteo Cherubino.

style 48 the natural palette

di Luigi Bruzzone

style 50occhiali a Km0

di Carolina Saporiti

food 60Viviana Varese

di Marzia Nicolini

free time 62da non perdere

di Enrico S. Benincasa

secret milano 64il socialhousing di solari 40

di Marilena Roncarà

design 44luce: fascino e tecnologia

di Davide Rota

interview 46design tra istinto e ricerca

di Enrico S. Benincasa

food 58soup opera

di Carolina Saporiti

weekend 54 la quiete di trieste

di Carolina Saporiti

hi tech 52 Green tech

di Paolo Crespi

overseas 56magie color ocra

di Andrea Zappa

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point of View

roberto perroneGiornalista e scrittore dalle solide radici “zeneisi”si occupa di sport, enogastronomia e viaggi per il Corriere della Sera. Ha da poco pubblicato Il Manuale del Viaggiatore Goloso per Mondadori: una guida da leggere e da consultare per mangiare e bere bene in Italia (e non solo).

Quando ho detto, riferendomi all’Expo, che non amo le fiere, la persona con cui stavo parlando si è scandalizzata. “Ma non puoi chiamarla fiera!”. È come se definissi il ristorante del mio amico Carlo Cracco una trattoria?” Mah. Via, spero che l’Expo non se la prenda, come quando chiamo freccia (quella che i milanesi ogni tanto dovrebbero mettere quando svoltano) freccia e non “apparato di segnalazione” come ho sentito dire su Isoradio. La verità, chiamate l’Expo come vi pare, è che a me le fiere non piacciono, non piace il giro dei soliti noti che diventano prota-gonisti dell’evento, non piace chi ha messo a posto le sue finanze, in senso buono, eh, grazie all’assunzione a tempo determinato in qualche livello dell’impresa, non piace l’obbligo, quasi legale, di partecipare, sostenere, applaudire il genio italico. Nell’eventualità che mi piacesse tutto questo, invece, non mi piace l’assembra-mento. L’unica vera fiera che ho vissuto veramente è stata il Salone Nautico di Genova. Ero un zueno di Riviera e per un paio di anni almeno con i miei compa-gni di liceo abbiamo preso il treno e siamo andati al Salone. Ricordo l’assalto scon-siderato agli stand per acchiappare i depliant sulle barche. Due borsone cariche, le riportavo a casa e mia madre le infilava direttamente nell’immondizia (non c’era la raccolta differenziata), ben sapendo, Santa Donna, che non li avrei mai guardati. Quando ho fatto il militare e c’era ancora la Fiera di Milano, quella primaverile, l’Esercito aveva uno stand e se ne occupava l’ufficio stampa del quale facevo par-te. Ovviamente un volontario doveva restare in ufficio, casomai fosse scoppiata la terza Guerra Mondiale. Mi offrivo io. Mi chiedo, come tanti credo, che cosa lascerà alla città, cioè a noi tutti, non a quelli del giro di cui sopra, l’Expo, a parte i grattacieli acquistati dagli arabi, un mucchio di parcheggi, un bellissimo ma costoso quartiere residenziale, buche per la metropolitana, non so di che linea, qualche bella piazzetta. Arriveranno turisti e visitatori in massa? Forse sì, ma io che non faccio il taxista, non ho un ristorante, non lavoro in un hotel, non ho un negozio, in che cosa migliorerò la mia vita? Non lo so. Però se non amo le fiere, almeno una volta andrò a Rho a vedere l’effetto che fa. Però pur non capendo in che modo sarà utile al popolo tutto e alla città, spero proprio che l’Expo se la cavi e soprattutto che il mondo non finisca con la sua chiusura. Come se avesse ballato una sola estate e poi tutto come prima, con i depliant nella spazzatura (differenziata, però).

non amo le fierema l’expo…

Roberto Perrone

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inside

A 50 giorni dall’inizio di Expo, Confindustria ha presentato la mostra Fab Food. La fabbrica del gusto italiano che sarà ospitata nel Padiglione Italia. Obiettivo sarà far comprendere ai visitatori come sia possibile ottenere, rispettando ambien-te e risorse, prodotti alimentari sicuri, di qualità, a prezzi ac-cessibili e in quantità sufficiente per tutti grazie all’industria e alle sue tecnologie. Il progetto è curato dal Museo Nazio-nale della Scienza e della Tecnologia di Milano. www.museoscienza.org

A servizio del globetrotterCondividi, ospita, invita e partecipa. È nato Standbymi, il nuovo portale e startup made in Milano (e finanziato dalla Regione Lombardia) in linea con le priorità del viaggiatore moder-no, che vuole vivere un’esperienza originale con spirito di condivisione e conoscere un nuovo luogo insieme alle persone del posto. Standbymi mette in contatto i nuovi viaggiatori con persone che offrono soluzioni di pernot-tamento o con organizzazioni locali di eventi, corsi, incontri e visite. www.standbymi.com

Confindustria per Expo

Il paradigma di FerréÈ in corso la mostra La camicia bianca secondo me. Gianfranco Ferré a Palazzo Reale, nella Sala delle Cariatidi. La mostra conduce il visitatore alla scoperta del capo paradigma dello stile Ferré, eviden-ziando gli elementi progettuali più innovativi e le infinite interpreta-zioni. La camicia rappresenta infatti l’elemento di continuità e l’icona della creatività di Gianfranco Ferré. fondazionegianfrancoferre.com

High mixologyHa inaugurato a inizio marzo Terrazza12, il lounge bar al decimo piano di The Brian&Barry Building San Babila. Ispirati agli anni Cinquanta, gli spazi sono arredati con pezzi vintage originali, per far rivivere quegli anni di fervore e pro-gresso. Alla guida del banco bar c’è una coppia di affermati professionisti: Maurizio Marsè ed Ekaterina “Kate” Logvinova, giovani bartender. La carta dei drink sarà disponibile anche al ristorante Asola. www.terrazza12.it

La primavera di ExtroEXTRO Parruccheri, uno dei saloni più belli della città, si è lasciato ispirare dalla primavera mettendo a punto Frozen, un nuovo trattamento che gioca con le colorazioni creando de-licate sfumature. Precursore delle nuove tendenze e attento alla cura dei dettagli, EXTRO Parrucchieri è una officina crea-tiva, sita in corso Magenta, dove lo stile moderno si specchia con l’antica bellezza della Chiesa di Santa Maria delle Grazie. www.extro.it

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outside

Profumo d’orienteL’ultima creazione di Annick Goutal si chiama L’Ile au Thé ed è una fragranza unisex sviluppata da Camille Goutal e Isabelle Doyen. La fragranza si ispira alla bellezza dell’isola vulcanica di Jeju, al largo della costa della Corea del Sud. Il profumo contiene quattro note: polpa e fiore di mandarino; osmanto; tè verde e muschio bianco. Le fragranze Annick Goutal sono in vendita presso i negozi di Bar à Parfums. www.olfattori.it

Dopo sette anni di chiusura, riapre l’Accademia Carrara di Bergamo. Da sempre considerato museo del collezionismo italiano e fra le più affascinanti raccolte di arte antica e ri-nascimentale del mondo, la nuova Carrara si propone oggi come modello di museo per il XXI secolo. Tra gli artisti custoditi nelle sale: Donatello, Pisanello, Mantegna, Bellini, Botticelli, Lotto, Raffaello, Tiziano, Tiepolo, Canaletto, Pel-lizza da Volpedo e Moroni. www.accademiabellearti.bg.it

La custode dell’arte

I segreti del tèXIE XIE in cinese significa “grazie” e indica anche la gratitudine che si prova vivendo i momenti più belli della vita, facendo nuove esperienze in maniera semplice e genuina. Così è stato scelto come nome per un tè che è racchiuso in una confezione a forma di libro, così da renderlo oggetto familia-re. XIE XIE si propone come un momento felice e puro, tra i tanti attimi imperfetti della nostra vita, un approcio innovativo al mondo del tè oolong. www.xiexietea.com/en

Eccellenza a domicilioFoodscovery è un nuovo portale per promuo-vere la vendita online delle eccellenze del food made in Italy. Non un sito di e-commerce, ma un market place, il primo, che mette in contatto produttori italiani di prodotti enogastronomici di eccellenza e consumatori finali, eliminando ogni passaggio intermedio, garantendo capillarità, qualità dell’offerta, competitività dei prezzi, flessi-bilità del modello ed efficienza del processo. www.foodscovery.com

C.P. Company drives MiniPer dare il via ai festeggiamenti dei suoi primi quarant’anni C.P. Company si è unita con MINI. Da questa partnership sono nati due progetti: una Goggle Jacket, il capo icona creato nel 1988 per i piloti della Millemiglia e realizzato per MINI Countryman nel colore Jungle Green. La stessa tonalità, insieme all’arancio vitaminico, è stata scelta per la carrozzeria della vettura MINI Countryman personalizzata C.P. Company. cpcompany.com

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Cover story Cover story

Abbiamo incontrato la gallerista nel suo omonimo spazio espositivo, tra i più celebri di Milano per l’arte e il design. Ci ha raccontato la sua passeggiata ideale in città e ha ammesso con candore che la ricetta per scelte di successo è più semplice di quanto si pensi.

di Simone Zeni

Foto di Matteo Cherubino

RoSSana oRlandi

Ci vuole Solo intuito

Nel 2002 Rossana Orlandi ha avuto l’intuizione delle intuizioni: trasfor-mare una ex fabbrica di cravatte mila-nese con sede centrale, in via Bandello 14/16, in una delle mete più importan-ti del design e della cultura a Milano. Da lì è stata una crescita costante, gra-zie all’accuratissima ricerca internazio-nale che lei cura personalmente, pur avvalendosi di fidati e preziosi collabo-ratori. Uno spazio per il design e l’arte, ma anche per mangiare all’insegna del gusto impeccabile tra pezzi unici e li-mited edition. Signora Orlandi, il suo fiuto e le con-seguenti conferme come talent scout sono ormai leggendari. Come ha capi-to di avere uno speciale talento per ri-conoscere il valore di un pezzo d’arte come di design?L’ho capito osservando semplicemente l’interesse e l’attenzione che suscitava-no i progetti dei giovani designer che, di anno in anno, proponevo nella mia galleria e che oggi lavorano con le galle-rie internazionali più importanti e con i grandi marchi del design mondiale. Gallerista è forse riduttivo: come defi-nisce esattamente la sua professione?Sono sicuramente una gallerista, pro-

prio in virtù del fatto che questo ter-mine racchiude in sé numerose altre attività. Io amo scoprire e lanciare nuovi talenti, sviluppando una conti-nua ricerca in giro per tutto il mondo, costruendo uno stretto rapporto con i designer che si affacciano per la prima volta sulla scena .Lo Spazio Rossana Orlandi è una destinazione d’obbligo per tutti gli amanti del design che passano da Mi-lano. Ci racconta com’è nato tutto? Sono sempre stata una collezionista di design, anche quando lavoravo nella moda. Tredici anni fa ho trovato que-sto spazio magico:  è stato un processo molto naturale quello che mi ha por-tato a trasformarlo in una inedita gal-leria di design, anche grazie alla colla-borazione dei miei amici designer che hanno compreso e condiviso fin da su-bito l’atmosfera dello spazio, il nuovo linguaggio espositivo dove tutto può dialogare con un filo conduttore.Qual è stato il primo evento che ha organizzato? Cosa si ricorda in parti-colare di quell’occasione?  È stata una mostra fotografica curata da mia figlia Nicoletta dal titolo Il Corpo Immaginato. Erano tutti molto giovani 

e pieni di energia e credo che quella esperienza abbia consolidato il mio de-siderio di dare vita a uno spazio orien-tato principalmente in quella direzio-ne. Questo atteggiamento di apertura l’ho sempre coltivato anche nella mia precedente vita lavorativa, per esem-pio coinvolgendo per la prima volta in Italia importanti scuole internazionali come la Central Saint Martins School di Londra.Come si spiega l’immediato successo, sempre rinnovato, che ha avuto la sua galleria?Credo siano l’intuizione, la curiosi-tà,  la condivisione  e l’entusiasmo che mi hanno sempre accompagnato in tutti questi anni e che ancora sono il motore della mia galleria e di ogni mia scelta.Come definirebbe il suo rapporto per-sonale con il design?   E quello con l’arte?È una grande passione che è cresciuta con la conoscenza e l’amore per il bel-lo. Inoltre, in tutta onestà, pensando ad alcuni talenti con cui ho collaborato e con cui collaboro, devo dire che trovo molto difficile fare una vera distinzione tra arte e design.

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Cover story Cover story

Sono molte le grandi firme che sono passate dallo Spazio Rossana Orlan-di quando erano ancora agli inizi. Ci sono dei nomi più di altri, tra le star del design, che ricorda essere arrivati da lei come sconosciuti?Moltissimi a dire il vero: Maarten Baas, Nacho Carbonell, Nika Zupanc, Front Design, Formafantasma, Manuela Crotti, Sebastian Wrong, Scholten and Baijings, Enrico Marone Cinzano. E poi c’è Piet Hein Eek, che sono stata la pri-ma a proporre al di fuori dell’Olanda e che in questi anni si è sicuramente affermato come uno dei designer e pro-duttori più interessanti del panorama internazionale.E tra i giovani designer che hanno esposto più di recente, ce n’è qualcu-no che è particolarmente orgogliosa di aver scelto?Sono molto fiduciosa nei confronti del-le giovani leve della mia galleria, penso a Damiano Spelta, Alcarol, Umzikim, Hillsideout,   Jan and Henry, Studio Deform, Sander Wassink e a  Wonmin Park.Che cosa possiamo vedere in questo momento presso lo Spazio Rossana Orlandi che si sente di segnalare?

così ricco di storia, attraversa il Parco Sempione, dove spesso porto a giocare i miei nipotini, e arriva alla Triennale, l’Istituzione più importante per il De-sign e l’Architettura di Milano.Cosa le piace di Milano? Cosa invece proprio non riesce a sopportare?Milano è una città che non ama  mo-strare la sua vera anima e dove la di-screzione è una regola, ma al tempo stesso è un punto di incontro  di per-sone eccezionali che tutto   il mondo ci invidia. Al contempo riesce a esse-re una metropoli che a volte si prende davvero troppo sul serio, ha dimentica-

La grande novità è la riapertura del mio ristorante che cambia nome, da Pane e Acqua a Marta. Sarà gestito da Marta Pulini di Bibendum, che porterà la sua filosofia nella galleria: cucina di picco-le porzioni, leggera e con pochi grassi, che non trasforma eccessivamente gli ingredienti  preservandone la fragranza e l’integrità.E ci può già anticipare cosa succede-rà nello spazio durante il Fuorisalone 2015?Avremo, come sempre, una selezione molto varia che spazierà da giovanis-simi talenti come Marjan Van Aubel, Jolan Van Der Wiel, Umzikim, e YOY fino a designer e brand conosciuti come Scholten and Baijings, Se from London e, per la prima volta,  Gufram, marchio storico del design italiano che ho sem-pre amato moltissimo.Quali sono i suoi criteri per scegliere ciò che è meritevole di essere esposto e cosa no? Una sola parola: intuito.C’è un designer, un artista diventato molto di moda o dal talent indiscus-so che si è affermato senza incrociare Rossana Orlandi e che avrebbe voluto scoprire ed esporre?

to   l’ironia e l’entusiasmo di un tem-po,  come se ci fossimo persi sotto una cappa di incertezza e paura. Se dovesse dare un consiglio all’am-ministrazione su un primo cambia-mento necessario per migliorare la vita dei milanesi, cosa suggerirebbe? Non c’è dubbio: la manutenzione delle strade e dei marciapiedi. È diventato davvero pericoloso andare in giro per la città sia in macchina sia a piedi per colpa delle buche e dei marciapiedi sconnessi.Expo è alle porte: come si pone nei confronti di questo grande evento?

Certamente, Leonardo Da Vinci.Lo Spazio Rossana Orlandi si trova nella centralissima via Matteo Ban-dello, vicino al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia, poco di-stante da corso Magenta.  Come de-scriverebbe questa zona? Come si re-laziona la sua galleria con il contesto che la circonda? Leonardo Da Vinci, vestigia romane e medievali, la Basilica di Sant’Ambrogio e la mia galleria dedicata alla creatività contemporanea, cosa volere di più?Quale zona di Milano l’affascina o la interessa di più in questo momento? Sicuramente quella di Porta Nuova e non solo come luogo di accesso pre-ferenziale al vicinissimo Expo, ma per tutti i suoi nuovi grattacieli che hanno finalmente donato uno skyline a Mila-no. Tra tutti mi entusiasma particolar-mente il Bosco Verticale, il progetto di Stefano Boeri che ha riportato Milano al centro dell’architettura internazio-nale vincendo il premio International Highrise Award.C’è un altro quartiere o uno scorcio di Milano cui è più affezionata?Sono affezionata a una passeggiata: quella che parte dal Castello Sforzesco,

Con un misto di paura e grande entu-siasmo. Sono comunque molto ottimi-sta perché, almeno in questo, gli italiani sono unici al mondo, nonostante le mil-le difficoltà e i nostri mille difetti noi saremo sicuramente in grado di cavar-cela e di sorprendere tutti.Come si presenterà lo Spazio Rossa-na Orlandi all’Esposizione Universa-le che è tanto vicino? Ci presenteremo con un club, un luogo dove incontrarsi e incontrare le mille eccellenze che caratterizzano il nostro essere italiani, un posto dove vivere ve-ramente il design e la cultura.

in questa pagina una

seduta e un tavolo

all’interno della galleria.

nella pagina accanto

Rossana orlandi, che

indossa un cappotto

vionnet, in posa

sopra un tavolo in

esposizione nel suo

omonimo spazio.

essere circondata da

rarità e pezzi di design

è per lei un’abitudine.

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Portfolio

Il Belpaese come non l’avete mai visto. Dal 21 marzo al 27 settembre Palazzo della Ragione Fotografia di Milano ospita la più grande mostra fotografica dedicata interamente all’Italia. Una raccolta di 600 immagini tratte dai lavori dei più grandi maestri italiani e stranieri. L’esposizione si suddivide in due momenti, dal 21 marzo al 21 giugno con i fotografi nostrani e dal primo luglio al 27 settembre con i fotografi internazionali. Gli scatti, risalenti a periodi storici differenti, colgono gli aspetti principali e le peculiarità che ci contraddistinguono: le bellezze dei paesaggi, lo sviluppo delle città, gli stereotipi, i modo di vivere, ma anche i sogni e i drammi della nostra storia. Un viaggio nel tempo, nei luoghi e nelle vicende di un’Italia che da sempre è in grado di stupire, nel bene e nel male.

testo di andrea Zappa

italia inSide out

Portfolio

in questa pagina.

Federico Patellani,

Matera, 1953.

nella pagina a fianco.

Gabriele Basilico,

Roma, 2007.

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Portfolio Portfolio

in questa pagina.

Silvia Camporesi, terza

venezia, 2011.

nella pagina a fianco.

domingo Milella,

Polignano a mare,

2008.

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Portfolio Portfolio

in questa pagina.

Claudio Sabatino,

Pompei, 2000.

nella pagina a fianco.

Pietro donzelli, delta

del Po, anni Cinquanta.

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di Marco agustoni

aPeRitivo old StyleIn un’epoca di happy hour a base di cocktail annacquati e vassoi pieni di pasta scotta, torna in auge l’aperitivo milanese tradizionale. Quello da gustare con olive e noccioline in posti fuori dal tempo come Camparino o Cucchi.

foCUs foCUs

02. l’insegna del Bar

Basso, uno dei bar

storici di Milano, dove

la leggenda vuole che

sia stato inventato il

negroni Sbagliato, per

“merito” di un barman

inesperto.

01. il leggendario

Camparino, locale

fondato nel 1915 e

arredato in stile liberty,

affaccia direttamente

sulla Galleria vittorio

emanuele ii, nel pieno

centro di Milano.

Il Camparino non è però certo l’unico a creder-ci ancora. Un baluardo della vecchia Milano è lo storico Bar Basso di via Plinio, nato nel 1947 e di-ventato negli anni punto fermo della vita notturna meneghina. Tra l’altro qui è nata una variazione sul tema destinata a diventare celebre quasi quan-to l’originale: nelle mura del Bar Basso, infatti, sa-rebbe stato miscelato il primissimo Negroni Sba-gliato, e, leggenda vuole, troverebbe la sua genesi proprio nell’errore di un barman inesperto che scambiò il gin con il prosecco. Errore madornale, ma fortunato...È curioso, ma la bandiera dell’aperitivo milanese non è tenuta alta tanto dai bar o dai locali, quanto più spesso dalle pasticcerie. Non si tratta certo di pasticcerie qualunque, bensì di esercizi storici la cui esistenza è connaturata alla città di Milano alla pari di un fenomeno atmosferico come la scighe-ra. Taveggia in via Visconti di Modrone, Cova in via Monte Napoleone, Gattullo in piazzale di Por-ta Lodovica: sono loro che, tra una crostata e un panettone, tra un cornetto e una torta sbrisolona, trovano il tempo per difendere l’onore dell’Ape-ritivo con la A maiuscola. Un esempio di questa

Scordatevi le tinozze piene di pasta scotta e cous cous cucinato con gli scarti del giorno prima. E scordatevi anche i cocktail dai nomi esotici a base di papaya o frutto della passione e la musica da club che copre qualsiasi conversazione. Certo, questo è ciò che si ottiene la maggior parte delle volte che si esce per fare un aperitivo a Milano. Ma non è una scelta obbligata. L’alternativa? Un ritorno alle origini.Prima che la moda dell’happy hour imponesse un’escalation armata a chi sfoggia i vassoi più pie-ni, prima che gli energy drink venissero presi in considerazione come ingredienti base per cocktail (anzi, prima ancora che gli energy drink venissero inventati), c’era l’aperitivo milanese vecchio stile, quello che serviva a stuzzicare l’appetito e non a sostituire la cena, che sul bancone ti proponeva giusto qualche assaggio sfizioso a base di olive, tartine, noccioline e un paio di piccoli tramezzini. E che nel menù prevedeva pochi grandi classici e magari una o due invenzioni della casa.L’aperitivo milanese propriamente detto era, pro-prio come i milanesi doc che ormai si sono estinti, sobrio. Non tanto in riferimento al tasso alcolico,

tendenza è la pasticceria Cucchi di corso Geno-va, fondata nel 1936 e da allora rimasta sempre in mano alla famiglia da cui ha preso il nome. Qui, oltre che gustare dolci di ogni tipo, è possibile sor-seggiare un aperitivo – magari proprio il Cucchi, specialità del posto a base di Campari – al banco-ne o in uno dei tavolini del dehor che affaccia su via Conca del Naviglio. Detto questo, è necessaria una precisazione. L’aperitivo vecchio stile non è per tutti. Non perché serva una particolare sen-sibilità per apprezzarne le qualità. Ma, piuttosto, perché si tratta di un tipo di offerta ben specifica, che potrebbe non corrispondere alle necessità del-le masse. Se state cercando un modo per abbuf-farvi a buon prezzo, oppure se il vostro intento è tracannare alcolici da quattro soldi per raggiun-gere una facile ebbrezza, allora nessuno dei posti sopra citati fa per voi. Il vero aperitivo milanese va in controtendenza rispetto a quello che è oggi Milano. È un’esperienza che va vissuta scrollando-si di dosso l’ormai cronica fretta meneghina. È un ritorno, ma senza indulgere in facili derive nostal-giche. È un Americano di quelli fatti con tutti i cri-smi, con tanto di scorza d’arancia di guarnizione.

quanto piuttosto allo stile. Magari anche elegante, ma comunque non ostentato né chiassoso. Oggi, però, è difficile ritrovare quelle suggestioni e at-mosfere. Ma per fortuna, esiste ancora un mani-polo di coraggiosi che difende a colpi di seltz le antiche tradizioni. Punto di partenza imprescindibile di questo viag-gio alla riscoperta dell’aperitivo old style è senza dubbio il Camparino in Galleria Vittorio Emanue-le II, locale fondato nel 1915 che negli anni ha subito innumerevoli vicissitudini (trasformatosi in Caffè Zucca, di recente è ritornato al nome origi-nario) e la cui storia è inscindibilmente legata a quella di Milano. Già solo l’insegna ridisegnata dal pittore e scultore Ugo Nespolo vale un brindisi, ma l’interno è un vero spettacolo. Arredato e de-corato in stile Liberty, il locale ha nelle atmosfere retrò il suo punto forte, ma i cocktail non sono da meno: a farla da padrona è, ovviamente, il Campa-ri, utilizzato sia nei grandi classici come il Negroni e il Campari Orange, sia in alcune variazioni più recenti. Al bancone poche prelibatezze seleziona-te da spiluccare senza troppo impegno, come si conviene a un vero locale milanese d’altri tempi.

01

indirizzi Camparino piazza del Duomo 21Bar Basso via Plinio 39taveggiavia Visconti di Modrone 2Cova via Monte Napoleone 8Gattullopiazzale di Porta Lodovica 2Cucchi corso Genova 1

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interview interview

A fine dicembre ha portato in sala una scommessa coraggiosa mai provata prima da un regista nostrano: dare vita a un supereroe invisibile, adolescente e italiano. In attesa del secondo capitolo de Il Ragazzo Invisibile, annunciato proprio in questi giorni, ecco cosa ci ha raccontato il regista premio Oscar più milanese che c’è.

di nadia afragola

Foto di Claudio iannone

gabriele salvatores

SuPeReRoe Made in italy

Il suo ultimo film è stato un bell’az-zardo, visto anche il genere trattato, prerogativa della cinematografia ame-ricana. Com’è nata l’idea del giovane supereroe italiano? L’idea di Nicola Giuliano, produttore della Indigo, era di fare un film che po-tesse interessare sia ai ragazzi sia ai ge-nitori. Cinque anni fa mi commissionò la sceneggiatura che doveva interessare il mondo dei supereroi. Il problema non fu girare il film, ci impiegammo abbastanza poco, ma decidere come promuoverlo, cercando di allargare il più possibile il bacino di utenza ed es-sendo il mercato italiano non abituato a un prodotto del genere. Nacque così l’idea del romanzo, edito Salani, poi del fumetto e infine il concorso per la co-lonna sonora. Rimanendo in tema supereroi: è pos-sibile contrastare la supremazia delle produzioni americane?È impossibile e non solo per i mezzi produttivi. È un problema di distribu-zione, di cultura e di forza che il cinema americano ha in questo ambito con-trariamente a noi. Poi si può provare, come si fa con tutti i miti, a raccontare quel mondo secondo un’ottica diversa, più europea. Il film è comunque andato bene e sem-bra che alla fine il sequel ci sarà…Il risultato al botteghino e della criti-

ca è stato positivo e anche per quanto riguarda il mondo della rete, pur non avendo io né Twitter, né Facebook, ho sentito di un dibattito, soprattutto tra i ragazzi, molto acceso. Per il sequel la-voreremo in collaborazione con il Mi-nistero della Pubblica Istruzione. Dietro questo film c’è la Indigo, la stes-sa casa di produzione de La grande bellezza. Reputa che ci siano i presup-posti per superare i confini italiani? II film di Paolo Sorrentino si rivolge a un pubblico adulto, perché racconta l’I-talia in una maniera particolare. L’ope-razione de Il ragazzo invisibile è diver-sa. Comunque tutto il cinema italiano dovrebbe cercare di superare i confini nazionali, il problema è che il mercato americano tende a proteggersi, asse-gnando un ruolo marginale a noi, chie-dendoci anche sempre le stesse cose. Una cosa curiosa riguardo al film è che una parte della colonna sonora è stata scelta con un concorso in rete. Un bell’apripista per scardinare certe lobby…Ci siamo affidati alla rete, a quella cul-tura partecipativa in cui io non credo totalmente. Il tentativo era di coniuga-re un nuovo modo di fare cultura, con lo sguardo di chi era in grado di pren-dersi delle responsabilità. È una bella cosa dar voce a “ragazzi invisibili”. Con Nirvana nel 1997 ha inizio la sua

sperimentazione narrativa, quest’ulti-mo lavoro si inserisce in quel filone? Sì e sono contento di questo collega-mento, non solo perché si parla di fan-tascienza. Una delle cose che mi attrae di più è provare a raccontare la realtà tenendo presente che non basta la ra-gione a spiegarla. Parliamo del realismo magico di Shakespeare.Abbandonando per un attimo il cine-ma, si può dire che la sua prima pas-sione è stata il teatro. Perché secondo lei, questa forma d’arte non riesce sempre a essere percepita al passo con i tempi?Sono convinto che il teatro esisterà sempre, è un’esigenza dell’uomo, così come il cinema nelle sale. Cambiano però il pubblico, le piattaforme, i luo-ghi dove godersi lo spettacolo. Il teatro, per non ghettizzarsi, deve evitare di chiudersi nell’opera lirica e nella con-servazione museale di alcune opere importati. In fondo, non esistono solo Goldoni o Molière.All’ultima mostra del cinema di Vene-zia ha presentato, fuori concorso, un documentario: Un giorno da italiani. Com’è nata questa idea?Il format è molto forte e torniamo a parlare di cultura partecipativa, rap-portata a una visione verticale e pro-fonda della realtà. Non credo nella de-mocrazia diretta e nel potere della rete

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in termini creativi, credo sia una grossa opportunità per comunicare. L’idea è stata: vediamo come gli italiani si rac-contano, poi mettiamo ordine nelle loro idee. Possiamo definire questo documenta-rio la versione italiana di La vita in un giorno di Ridley Scott? Lui la pensa in grande. È un autore che amo molto, credo che Blade Runner sia un capolavoro. A volte mi vengono proposte delle cose, che mi entusia-smano e che alla fine diventano mie.Quanto è duro oggi un “giorno da ita-liani”?Tanto, perché abbiamo perso la nostra identità e ci viene più facile legarci ad altri popoli che al nostro passato. Sia-mo timidi verso il futuro, verso i cam-biamenti. Però è anche un privilegio essere italiani perché il nostro è un pa-ese speciale e, come tanti supereroi che non si accorgono dei loro poteri, così l’Italia ama sottovalutarsi. Dagli anni Sessanta tutti gli investimenti sono sta-ti fatti nel ramo industriale ma la no-stra anima è soprattutto arte, cultura, turismo.

Nel ’92 ha vinto l’Oscar: quanto è cambiato da allora il cinema?Moltissimo. Quando vincemmo l’Oscar stavamo girando Puerto Escondido, non facemmo nulla per promuovere il film negli Stati Uniti, arrivammo giusto tre giorni prima della cerimonia. Questo la dice lunga su come siano cambiate le cose. Un tempo i film nelle sale stavano anche mesi, ora i giochi si fanno in un weekend.Nel 2013 è uscita Educazione Siberia-na che, oltre ad aver fatto aumentare i fatturati dei tatuatori di mezzo mon-do, ha ottenuto un certo riscontro di pubblico. Un’avventura inedita…È stata un’esperienza interessante, era il mio primo film in inglese con attori internazionali. Un progetto non molto in linea con ciò che andava di moda nel cinema italiano. Sono stato fortunato, ho rischiato e alla fine è andata bene.È nato a Napoli ma è Milano che l’ha adottata negli anni Settanta. Come si vive in una città che prova a essere all’avanguardia?Sono cresciuto in una Milano in fer-mento, con un forte fascino, che invec-

chiando scopro sempre di più e sento più vicina. Per le vie della città si re-spira una certa discrezione, un tocco aristocratico che mi piace. Prendendo invece in considerazione Napoli, non è vero che tutto questo non c’è: lì sono estroversi, colorati ma hanno anche una dimensione malinconica, quasi bri-tish, che si ritrova in quella borghesia illuminata che parte da Benedetto Cro-ce. Due città con due anime che alla fine non sono così lontane. Expo è alle porte, crede che faremo la solita figura da pasticcioni?Faccio gli auguri a coloro che ne fa-ranno parte, è una grande occasione. Si parla della Carta Internazionale sul futuro del pianeta da portare all’ONU: sarebbe bellissimo se si realizzasse. Ab-biamo le potenzialità per un evento così importante ma non so se era ciò di cui aveva bisogno il nostro Paese in questo momento. Mi preoccupa la cor-ruzione che è venuta fuori, la malavita che purtroppo è nel nostro DNA. Da cittadino mi fa paura la gestione dell’e-vento a livello pratico, sul piano della sicurezza saranno mesi complicati.

il regista milanese sul

set del suo ultimo film

Il ragazzo invisibile.

interview

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di elisa Zanetti

aRt FoR RentDopo averci proposto vestiti, posti letto, passaggi in auto e spazi di lavoro in condivisione, la sharing economy conquista un altro settore: l’arte. A Milano, in via Solferino, ha aperto Noema Gallery, la prima galleria di arte a noleggio d’Italia.

foCUs foCUs

02. Massimo Siragusa,

Vista dall’alto di Piazza

Cordusio, 2010. la

sovraesposizione fa

sembrare la foto un

acquerello.

01. Marco lanza,

Galleria degli Uffizi_01.

Per il suo progetto

I Depositi, il fotografo

ha documentato lo

stato di abbandono

di molte opere

conservate nei

magazzini dei principali

musei italiani.

non possano non influenzare il modo di approcciare le cose”.La galleria prende il nome da un’opera di Sardoni, architetto, fotografo e direttore artistico di No-ema. “La parola greca significa pensiero, progetto, punto dal quale tutto ha origine. Mi è sembrato un nome perfetto per la nostra idea di business – spie-ga de Zuccato – il mondo delle gallerie è cambiato molto: i grandi spazi permanenti di una volta non ci sono più, i costi per il loro mantenimento non sa-rebbero giustificati. Moltissime gallerie si sono rim-picciolite, altre hanno chiuso, tante sono passate al web. Il noleggio rappresenta un modo per ingrandire all’ennesima potenza le nostre pareti espositive”.L’art rent è un ulteriore tassello del grande mosai-co della sharing economy. Agli albori in Italia, il fenomeno è diffuso da tem-po e molto affermato nei Paesi anglosassoni. Si va dalle gallerie che propongono grandi nomi, a quelle specializzate nella proposta di giovani arti-sti; da quelle con contratti di esclusiva con musei di prestigio, a quelle che propongono formule de-

Cambiare i quadri alle pareti dell’ufficio o di casa con la stessa facilità con la quale si potrebbe dare una mano di colore a un muro, o mettere sempre fiori freschi in un vaso. Creare delle piccole galle-rie in ogni angolo della città o fra le mura dome-stiche. Vivere quotidianamente un’opera d’arte. È questa l’idea che ha spinto Maria Cristina de Zuccato e Aldo Sardoni a creare Noema Gallery, la prima galleria di “art for rent”, arte a noleggio, di Italia. Nata a Milano a marzo dell’anno scorso e specializzata in scatti fotografici, Noema, oltre a vendere le opere dei suoi autori, offre ai propri clienti l’insolita possibilità di affittarle per periodi limitati di tempo. “Il rent rappresenta innanzitutto un modo per dif-fondere la cultura della fotografia anche a persone che magari non si interessano all’arte – spiega la gallery manager de Zuccato – Il professionista che appende un’immagine nel proprio ufficio offre ai suoi dipendenti e ai suoi clienti la possibilità di entrare in contatto diretto con un’opera, e può suscitare in loro interesse. Grazie alla sostituzione periodica delle

cisamente originali, come l’invio di opere a sor-presa ai propri abbonati. “Siamo all’inizio di un percorso: abbiamo raccolto reazioni entusiaste e molti colleghi stanno pensando di seguire il nostro esempio. C’è poi chi guarda al no-leggio semplicemente come a un periodo di prova per decidere se portare a termine l’acquisto, oppure chi mostra diffidenza, come se temesse che la possibilità di affittare un’opera la sminuisse, facendole perdere il suo valore intrinseco”. Il noleggio potrebbe rappresentare una via da per-correre con maggiore convinzione anche in ambi-to pubblico, liberando molte delle opere stipate nei depositi dei musei. “Purtroppo, spesso in Italia non siamo capaci di valorizzare quanto di prezio-so abbiamo – commenta de Zuccato – Per il suo progetto Depositi, Marco Lanza, un nostro autore, ha ottenuto l’accesso ad alcuni dei più importanti musei italiani e ha fotografato le opere raccolte nei magazzini. Quello che ci mostra attraverso i suoi scatti è un patrimonio enorme, spesso abbandonato a se stesso”.

fotografie lo studio può trasformarsi in uno spazio in cui organizzare eventi per presentare le opere e, ov-viamente, anche per promuovere la propria attività”.Il costo del noleggio si attesta all’incirca sul 15% del valore totale della fotografia, per un periodo che oscilla fra i 6 mesi e l’anno. Il servizio com-prende il trasporto e l’installazione dello scatto, che viene consegnato al cliente incorniciato e do-tato di un vetro antiriflesso e anti raggi UVA, che ne preservi la qualità. Assicurare le opere non è stata impresa facile: “Abbiamo dovuto stipulare un contratto con Lloyd’s, a Londra: in Italia nessuno era disposto a farlo”, spiega de Zuccato.Gli autori proposti da Noema privilegiano la len-tezza, la meditazione dello scatto, la costruzione dell’immagine e sono tutti europei. “Non si tratta di una valutazione di merito, ma l’Europa contiene l’80% del patrimonio artistico mondiale. Probabil-mente chi nasce qui ha negli occhi una sensibilità diversa, non migliore, ma diversa. Abbiamo fotografi che da bambini giocavano a pallone in piazza del Campo a Siena, crediamo che realtà come questa

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interview

Non si considera un fotografo di moda, ama i cappelli perché gli piace pensare con la testa al caldo. Ha fotografato le donne più belle del mondo per Sport Illustrated ma in realtà gli interessa il reportage sociale e nella sua doppia biografia sul suo sito web si definisce uno “stronzo” ma anche uno che non butta la carta per terra. La fotografia secondo Settimio Benedusi? È la capacità di raccontare qualcosa non seguendo la passione, ma piuttosto ricercando l’atarassia.

di andrea Zappa

settimio benedusi

non PaRlateMi di PaSSione

interview

In molti tuoi ritratti ti si vede con un cappello in testa. È solo una questione estetica?Sono come Archimede della Disney, per me la testa è importante, bisogna proteggerla e tenerla al caldo, soprat-tutto per pensare. Nel mio lavoro ho sempre applicato molto l’intelletto, per me la fotografia è qualcosa che si fa usando il cervello e non le mani, l’oc-chio o il cuore. Quelle sono cazzate, ci vuole una progettualità che deriva dall’usare la testa e pensare a quello che si fa.In passato qualcuno ti ha definito l’enfant terrible della fotografia e, in una delle tue due biografie presenti sul tuo sito web, tu stesso ti definisci uno “stronzo”. Settimio Benedusi ci è o ci fa? Direi entrambe le cose. Non credo nei segni zodiacali ma sono un gemelli, e forse una qualche dualità c’è. Credo che le versioni delle mie biografie siano tutte e due vere. Sono opposte, sono uno stronzo, però, come conclude la seconda, sono anche uno che non but-ta mai la carta per terra. Anzi a quello che butta la carta per terra darei dieci anni di carcere, quasi peggio di chi ra-pina una banca che rischia il suo e si becca le conseguenze. È un gesto di disattenzione e di menefreghismo in-sopportabile.Sfruttiamo allora la tua indole a non avere peli sulla lingua: collabori da tempo con magazine nazionali e in-ternazionali di notevole importanza, qual è la tua idea dell’editoria italia-

na oggi, rispetto al resto del mondo?Sembrerò un po’ tranchant, ma è mol-to semplice: l’editoria italiana non esi-ste. Tutti i grandi giornali sono edizioni nostrane di magazine stranieri. Parlo ovviamente del mondo dell’immagi-ne e della moda, che è quello con cui collaboro maggiormente. L’ultimo vero giornale italiano in ambito moda è sta-to Donna negli anni Ottanta, chiuso quello è finito tutto. Basta sfogliare i colophon delle varie testate e ti rendi conto di quello che dico: gli art direc-tor sono a New York! Parliamo ora della tua fotografia, una parola che la definisce?Sicuramente: semplicità, mi piace scat-tare la moda o comunque tutto quello che faccio in maniera semplice e diret-ta. Se uno guarda i miei backstage, vede che scatto con un obiettivo normale, spesso con il 50 mm, senza pannelli, senza i flash. Perché in fondo è così che sono partito e i fotografi che mi piacevano agli inizi della mia carriera lavoravano in questa maniera. In verità faccio sempre la stessa cosa, ho iniziato al mare, a Imperia, a fotografare le mie amiche e i miei amici e alla fine ho fat-to per sette anni Sport Illustrated. Noi siamo la nostra storia, uno deve mette-re quello che è in quello che fa! Ripercorrendo la tua carriera iniziata negli anni Ottanta e non ancora fini-ta, hai qualche rimpianto?Pensando al passato un rimpianto è non aver avuto la voglia, il coraggio di an-dare all’estero vent’anni fa. Come sono venuto a Milano da Imperia nell’82,

tre anni dopo sarei dovuto andare a Londra, Parigi o New York, perché il centro di tutto è lì e se uno vuole fare le cose meglio e in maniera più con-temporanea deve per forza andarci a vivere. Riflettendo sul presente, mi pia-cerebbe pensare a un altro tipo di foto-grafia, più sociale e in un certo modo più utile. Non mi sento un fotografo di moda, non lo sono. Mi sento un fo-tografo, punto. Cioè uno che racconta delle storie attraverso la propria mac-china fotografica. Per me fotografare la top model o il detenuto nel carcere di Bollate è esattamente la stessa cosa. Tra le tue innumerevoli attività fai an-che dei workshop. Una definizione di fotografia? La fotografia serve a portare una cosa da punto A a un punto B, serve a far succedere, a far muovere qualcosa. Fai i porno e la gente si fa delle gran seghe, perfetto, fai dei ritratti a dei vecchietti presso Pane Quotidiano per il Corriere e poi il giorno dopo la gente fa dona-zioni o porta doni, fantastico. L’impor-tante è che succeda qualcosa come re-azione alle immagini che hai prodotto.Hai un approccio molto progettuale e cerebrale alla fotografia, ma la pas-sione?Odio la parola passione, sposo in pieno una frase che ho letto una volta su un Dylan Dog di Sclavi. Nella vignetta ci sono due personaggi che parlano e uno dice all’altro: “Sai qual è la vera essenza del professionista? Non la passione che è dei dilettanti, ma l’atarassia!”. Concor-do in pieno.

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Nordic mood

il piacere di perdersiIn una società dove i GPS e Google Maps hanno soppiantato e impigrito la capacità di orientarsi di ciascuno di noi, c’è qualcuno che ha ancora voglia di prendere in mano una bussola e ritrovare la strada di casa attraversando un parco in città o un bosco in montagna. Ma i punti cardinali sono tornati a interessare anche designer e artisti, perché da sempre, ancora prima dell’epoca dei pirati, qualsiasi mappa ha un suo grande fascino.

illustrazione di Virassamy

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stra sede. Le idee vincenti verranno uti-lizzate per abbellire i nuovi spazi urbani. Un’altra cosa che vorremmo portare in città è la Porsche Junior School, un’atti-vità completamente sponsorizzata da noi e dedicata ai bambini: verranno messe a disposizione delle auto a pedali all’inter-no di un paddock allestito con vari per-corsi per insegnare l’educazione stradale. Un’idea che ha ottenuto ottimi risultati a Padova come in altre città d’Italia”. Il DNA di Porsche è però da sempre lega-to al mondo delle corse, come vuole la sua tradizione: “Quest’anno partecipere-mo alla Carrera Cup Italia con la LEM Racing, una nuova scuderia dotata di ben tre vetture. Per noi è un appuntamen-to fondamentale, apprezzato molto anche dai clienti in quanto li portiamo a vedere le competizioni e a girare in pista. In più, Porsche Haus partecipa a 360 gradi a tutte le attività dei club sponsorizzati dal marchio che vanno incontro alle passioni del clienti: siamo presenti al Porsche Gre-en per il golf, al Porsche Sci Club, oltre che alle varie attività del Porsche Club Italia. Da non dimenticare inoltre che il 19 marzo nella sede di via Rubattino è sta-to inaugurato il primo Partner Porsche Classic d’Italia, la prima sede dedicata alle auto classiche, quelle vetture che hanno fatto la storia della Casa di Stoc-carda: “Una passione totale per i nostri clienti: ci occupiamo non solo della parte meccanica, con una scuderia di tecnici specializzati, ma facciamo anche restau-ri, operazioni di tappezzeria e carrozze-ria. L’idea è quella di dare al cliente la possibilità di ricoverare la propria auto e ricevere un servizio completo, come è nel-la filosofia Porsche. Senza dimenticare la vendita delle vetture, fornendo anche una certificazione, avendo raggiunto un livello così alto di specializzazione. A livello di Expo non saremo interni all’evento dato anche il tema, ma sicuramente faremo delle attività collaterali in città durante il periodo”.

www.milano.porsche.it

presenti con un modello diverso all’inter-no del locale brandizzato. Quest’anno ri-peteremo il concept ma probabilmente in location differenti e sempre di primaria importanza. Mentre per tutto il periodo di avvicinamento all’Expo e durante l’even-to stesso, abbiamo pianificato una serie di aperitivi e incontri in vari locali del cen-tro con i nostri clienti ma anche con tutti coloro che si avvicinano al marchio per la prima volta. Una location privilegiata sarà la sede in Galleria dell’Expo Com-missioner Club, di cui siamo partner, do-tato di una splendida terrazza di fronte al Duomo”. Ma Porsche, come sappiamo, non è soltanto questo, spesso si impe-gna in attività sociali nei confronti della città. “Come ogni anno saremo presenti a Monza con la 6 Ruote di Speranza, appuntamento durante il quale vengono portati in circuito dei bambini disabili. Attualmente stiamo valutando di orga-nizzare un concorso per giovani architetti in relazione alle tre rotonde legate alla nuova circolazione Expo vicine alla no-

È indubbio che in occasione di Expo, Milano diventerà per alcuni mesi il centro del mondo ed è quindi impor-tante da parte di Porsche cogliere il momento e soddisfare come sempre le esigenze dei propri clienti, ma anche di tutti coloro che sono affascinati dalle vetture della Casa di Stoccarda. “Le sedi dei Centri Porsche di Milano sono una in via Stephenson 53 e l’altra in via Rubattino 94. Non c’è, per ovvie ragioni, una concessionaria nel centro cittadino. È importante che i nostri clien-ti sappiano chiaramente dove venire a comprare una vettura e dove trovare la migliore assistenza, ma risulta fonda-mentale che ci vedano anche impegnati in svariate attività nel cuore della città”. Il programma degli appuntamenti è ampio e interessante, come sottolinea il responsabile delle due filiali dirette mi-lanesi: “Lo scorso anno abbiamo svolto un’attività di grande successo allo Swiss Corner negli ultimi quattro mesi dell’an-no. Per una settimana al mese eravamo

Il 2015 è un anno importante per Milano ed è già evidente un certo fermento in attesa di Expo; Luigi de Vita Tucci, dallo scorso settembre Direttore Generale dei Centri Porsche di Milano, racconta quale sarà la strategia del marchio per “entrare nel cuore della città” e conquistare ulteriormente il capoluogo lombardo.

Un anno speciale

advertorial

luigi de Vita Tucci, direttore Generale dei centri porsche di Milano.

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si chiama Here il

disegno dell’artista

Karey ellen Kessler

che mette su carta il

groviglio di emozioni,

memorie e pensieri

che il tempo e lo

spazio sono in grado di

evocare.

Il sole, gli astri, i venti, ma anche i centri religiosi come La Mecca, Gerusalemme o Roma: in tutte le epoche e in tutte le culture gli uomini hanno cercato il punto di riferimento per orientarsi nel tempo e nello spazio. Perché se perdere il punto causa il disorientamento, avere il punto signifi-ca invece essere padroni di se stessi e trovare la giusta direzione da seguire. Non stupisce quindi che, attraverso la divisione dello spazio in quat-tro orizzonti, i disegnatori di mappe non si siano cimentati soltanto in una rappresentazione del mondo, bensì anche nella costruzione di un or-dine cosmico capace di dare forma al caos. Allo stesso modo gli astri, con il loro moto incessante, costituiscono il punto di riferimento, la chiave di lettura utile all’uomo per domare un tempo che, se a volte sembra non passare mai, altre volte invece pare scorrere troppo in fretta. Oggettivi o soggettivi che siano, tempo e spazio – la posi-zione che il nostro corpo occupa al loro interno, il bisogno di localizzarla per potersi orientare – stimolano l’immaginazione di artisti, architetti

e designer che, con le loro creazioni si rifanno a storie e leggende, rappresentando sogni, bisogni e aspirazioni. Ne sono un esempio gli orologi di Diamantini & Domeniconi, come quelli disegnati da Antonino Sciortino – Ci vediamo alla Rotonda e Ti aspetto dietro l’angolo tra gli altri – o come On-time clock, strategicamente avanti di tre minu-ti. Oppure come La ruota del tempo, un calendario perpetuo ispirato a quel movimento rotatorio che da sempre l’uomo associa all’archetipo del moto degli astri. Ispirazione siderale anche per la nuova collezione di orologi della maison Jaeger-LeCoul-tre realizzati con frammenti di meteorite e lapi-slazzuli. Il cammino apparente del sole è invece la fonte di ispirazione di “Solveig”, lampada dise-gnata da Avril de Pastre per Ligne Roset, mentre mappe e carte nautiche diventano carte da parati o temi grafici di complementi d’arredo e oggetti di design. A sancire che quello dell’orientamento è non solo un bisogno dell’intelletto umano, ma anche una sua aspirazione: il desiderio di sapersi parte di un universo sconfinato.

di alessia delisi

In ogni città sacra, in ogni orologio, bussola o carta geografica è racchiuso il segreto dell’orientarsi. A questa pratica millenaria di osservazione del tempo e dello spazio si rifanno molti oggetti del nostro quotidiano, in bilico tra poesia e razionalità.

THe Here aNd NOW

le regole dell’orientarsiSpazio e tempo: sono loro i protagonisti di una serie di complementi d’arredo e suggestivi oggetti di design.

diamantini & domeniconi - La ruota del tempo

disegnato da enrico azzimonti, questo calendario perpetuo in

ceramica sintetizza in un piccolo gesto quotidiano il bisogno di

dare forma al tempo.

www.diamantinidomeniconi.it

domestic - Ocean

È prodotta in edizione limitata questa carta da parati “nautica” del duo di

graphic designer ich&Kar.

www.domestic.fr

Geof ramsay design Studio - You are here

aiuta a localizzare i propri stati d’animo la panca

che all’occorrenza funge anche da tavolo da caffè.

www.geoframsay.com

ligne roset - Solveig

il suo nome in svedese significa ‘’cammino del

sole’’: è la lampada disegnata da avril de pastre.

www.ligne-roset.it

Jaeger-lecoultre - Master Calendar

l’orologio della maison francese ha il

volto dell’astronomia, grazie anche

alla scelta della pietra di meteorite,

utilizzata per realizzarne il quadrante.

www.jaeger-lecoultre.com

orieNteeriNG orieNteeriNG

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di enrico s. Benincasa

Foto di Gigi Girardi

Una mappa e una bussola sono più che sufficienti per muoversi nello spazio a chi pratica orienteering, vero e proprio sport presente in Italia da quasi trent’anni che mette d’accordo capacità fisiche, doti di orientamento e amore per le attività all’aria aperta.

NON Mi serVe il Gps

01. Un “orientista”

durante una gara di

foot orienteering in

un centro urbano.

Non sono rare le gare

che si svolgono anche

in contesti diversi da

parchi e zone verdi.

Anche nell’era del GPS su ogni dispositivo, dal telefono all’orologio, sapersi orientare negli spa-zi e nei luoghi è una dote preziosa, da conserva-re e allenare. Per molti è anche una capacità da “praticare”, perché fin dagli inizi del secolo scorso esiste uno sport noto come orienteering. I pre-cursori di questa disciplina – ancora non olimpi-ca – sono stati gli scandinavi e in particolare gli svedesi, organizzatori negli anni Venti delle prime gare ufficiali. Oggi l’orienteering è praticato in tutto il mondo, ma sono sempre gli scandinavi e gli europei in generale a dominare le classifiche internazionali. Comprende quattro discipline: “Foot Orienteering” (la classica corsa d’orienta-mento, la più conosciuta), “MTB Orienteering” (in mountain bike), “Ski Orienteering” (con gli sci di fondo) e “Trail Orienteering” (o orientamento di precisione, adatto anche a chi ha disabilità moto-rie). L’obiettivo è sempre quello di percorrere nel più breve tempo possibile un percorso, passando

però da dei punti di controllo – detti “lanterne” – dove ogni atleta deve registrare il suo passaggio. Una cartina a scala ridotta e una bussola sono gli strumenti a disposizione degli atleti, che in gene-re partono scaglionati a intervalli di due minuti, come se fosse una gara di ciclismo a cronometro. Le distanze sono varie, a seconda anche del luo-go in cui ci si trova. Spesso le competizioni sono organizzate in parchi o zone boschive, ma non mancano tentativi ben riusciti di gare di orientee-ring in centri urbani. In Italia i praticanti di questo sport sono circa 10 mila, sparsi per tutto il ter-ritorio, e circa un decimo sono quelli lombardi: “Ci sono 16 società in tutta la regione, di cui due a Milano e tre a Monza – ci dice Giuseppe Cerasa, Presidente del comitato regionale lombardo della FISO, Federazione Italiana Sport Orientamento – poi ne abbiamo più o meno una per ogni provincia. La federazione sta facendo un buon lavoro, ma non possiamo ancora confrontarci con i paesi scandinavi

01

Sport

02. Un orientista in

prossimità di una

lanterna, uno dei

passaggi obbligati del

percorso. i colori

non sono casuali, ma

riprendono quelli

ufficiali dello bandiera

della federazione

internazionale.

e con i nostri vicini svizzeri, che hanno iniziato dieci anni prima di noi”. La FISO, infatti, esiste dal 1988 e ha cercato di radicarsi in tutto il territorio nazio-nale, promuovendosi anche all’interno degli istitu-ti scolastici e organizzando gare studentesche. Dai giovani stanno arrivando i migliori risultati e una rappresentativa della federazione sarà ai mondiali giovanili studenteschi in programma dal 18 al 24 aprile in Turchia. “Vogliamo mettere in piedi una squadra giovanile lombarda – prosegue Cerasa – e cerchiamo di promuoverci attraverso un’iniziativa chiamata «Palestra a cielo aperto». Stiamo realiz-zando degli impianti fissi di orienteering nei parchi e nei boschi, coinvolgendo le amministrazioni loca-li in questo progetto. A Milano ce n’è uno al Parco Cassinis e presto arriverà anche al Montestella, a Monza stiamo per terminare quello del Parco. Ce ne sono altri anche a Varese – Campo dei Fiori – e a Como, ai Corni di Canzo. Sono impianti accessibili a chiunque, dove non serve nessuna particolare at-trezzatura, ottimi anche per chi vuole semplicemente fare una passeggiata diversa”. L’orienteering è uno sport per tutti, ci sono diverse categorie per livello e per fasce di età (si parte dai dieci anni fino ai

65), che aiuta a rimanere a contatto con la natura e a imparare a rispettarla. Il calendario delle gare è molto fitto ed è visibile sul sito della federazione (www.fiso.it), diviso per discipline e per tipologia di competizione (regionale, nazionale, interna-zionale). C’è anche una categoria di gare, definite promozionali, che sono invece dedicate a chi vuole cimentarsi per la prima volta con l’orienteeting: “A luglio invece, – ricorda Cerasa – dal 2 al 5, orga-nizzeremo nell’area di Varese ExpOri 4Days, una manifestazione che ha lo scopo di promuovere l’orien-teering proprio durante il periodo dell’Expo. L’ultima di queste, quella del 5, sarà proprio a Milano nel centro storico. A ottobre la gara più importante sarà all’Aprica, nella comunità montana di Arge Alp, con un parterre di partecipanti di livello internazionale”. Pochi sport mettono d’accordo capacità fisiche e intellettive come l’orienteering, al quale da sem-pre è stata riconosciuta una funzione educativa di rilievo. Le strutture per provarlo non mancano e, stando al calendario della federazione, nemmeno le occasioni. Alla fine potrebbe rivelarsi utile anche come allenamento per tutte quelle volte in cui non ci sarà campo e Google Maps non ci potrà aiutare.

02

Sport

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Bio Light è il prototipo

di un sistema

d’illuminazione ideato

da philips nell’ambito

del progetto Microbial

Home system, per

un uso sostenibile

dell’energia.

La luce è uno dei fenomeni più importanti e af-fascinanti presenti in natura. Tutto ciò che ci cir-conda in ogni singolo momento della nostra vita è reso tangibile e fruibile proprio grazie alla luce, che permette ai nostri occhi di vedere. È tanto scontata quanto misteriosa e difficile da spiega-re; non esiste modo di vederla e toccarla, se non attraverso lampade, lampadari, lampadine e tut-ti gli oggetti che “accendiamo” quotidianamente. Questo è forse uno dei motivi per cui il feticcio legato a lampade e sistemi d’illuminazione di ogni tipo sia ancora oggi così diffuso tra i design lover di tutto il mondo. Ed è anche il motivo per cui la progettazione di questi oggetti ha sempre attirato tanta curiosità da parte di designer e progettisti.La storia del design moderno e contemporaneo è costellata di esempi che sono universalmente riconosciuti come dei veri e propri capolavori e sono diventate icone da seguire e colleziona-re. Forse l’esempio più famoso è la lampada ad Arco che Achille e Pier Giacomo Castiglioni han-no progettato per l’azienda Flos all’inizio degli anni Sessanta. Un progetto unico che ha segnato un passaggio fondamentale nella storia del made in Italy e che ancora oggi resta uno degli oggetti più amati e desiderati (e copiati, NdR) del mon-

do. Ma al di là delle mode, nel corso degli anni i gusti e le necessità contemporanee si sono evolu-ti e i nuovi sistemi d’illuminazione sono sempre più complessi e studiati per garantire un notevole miglioramento delle prestazioni, sia dal punto di vista qualitativo sia dal punto di vista dei consumi energetici. L’industria in questi anni ha lanciato segnali mol-to positivi: sono sempre più numerose le lampade che sfruttano le potenzialità dei LED e che sono in grado di incrementare potenza e qualità della luce, riducendo però sensibilmente la quantità di energia utilizzata: i settori ricerca e sviluppo delle aziende stanno portando a nuove importanti sco-perte, come il concept della lampada a biolumi-nescenza di Philips, creato all’interno del progetto Microbial Home System, in grado di sfruttare un processo chimico presente in natura che favorisce lo smaltimento dei rifiuti.Il 2015, dichiarato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite “Anno Internazionale della Luce e delle tecnologie basate sulla Luce”, sarà un anno importante da questo punto di vista, in quanto accrescerà la conoscenza e la consapevolezza sul modo in cui le tecnologie basate sulla luce pro-muovano uno sviluppo sostenibile in molti campi.

di davide rota

L’illuminazione ha rappresentato nel corso della storia un elemento magico e misterioso capace di sedurre e attrarre ancora oggi i designer di tutto il mondo.

lUce: FasciNO e TecNOlOGia

deSiGN deSiGN

euroluce 2015

lexon - Clover

la nuova lampada in plastica ideata dalla designer

ionna Vautrin.

www.lexon-design.com

Fontana arte - Yupik

“per i nuovi nomadi”. la lampada creata dallo studio svedese

FUWl è leggera e portatile.

www.fontanaarte.com/it

.exnovo - Section

Mostra il suo interno e crea giochi

di luce e ombra la lampada a

sospensione sezionata di Marco

lafiandra.

www.exnovo-italia.com

Zero lighting - Block

Una luce da ufficio ma anche un pannello fono-

assorbente. Block è un sistema d’illuminazione fatto

in materiale riciclato.

www.zerolighting.com

Wästberg - Sempé w153

la designer inga sempé ha pensato una lampada

a led che può essere usata a parete, a soffitto

o appoggiata su un piano.

wastberg.com

Flos - Mayday

Una lampada del 1999 che è già un’icona del design

contemporaneo. Konstantin Grcic per Flos.

www.flos.com/it/home

Durante il Salone del Mobile, dal 14 al 19 aprile a Rho, verrà presentata l’eccellenza del design per la luce.

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deSiGN

Tappa obbligata per ogni design lover milanese e non, la showroom Spotti è una sicurezza per chi in città cerca le migliori soluzioni di interni e di design. Ce la presenta Claudio Spotti che, insieme a suo fratello Mauro, guida lo spazio di viale Piave fin dalla sua apertura a metà degli anni Ottanta.

di enrico s. Benincasa

Foto di andrea Ferrari

claUdiO spOTTi

desiGN Tra isTiNTO e ricerca

deSiGN

La vostra passione per il mondo del design e dell’arredo nasce da una tra-dizione familiare o è personale?La nostra è un’impresa familiare, nata in Brianza a fine anni Settanta. È da quel decennio che siamo impegnati in questo settore. Ci siamo trasferiti a Mi-lano a partire dal 1986, sempre in viale Piave e prima anche in Corso Vercelli. La tradizione ha quindi inciso nel no-stro percorso, ma la passione è qualcosa che “o ce l’hai o non ce l’hai”. Noi l’ab-biamo coltivata nel tempo.Operate sulla piazza di Milano da quasi trent’anni. Quali sono, secondo lei, le maggiori differenze rispetto al passato? Com’è cambiato – se è cam-biato – il rapporto dei milanesi con il design?Lo scenario oggi è diverso: negli ultimi dieci anni hanno aperto le showroom di moltissimi marchi di design e c’è più concorrenza. Questo fenomeno ha reso Milano più interessante per la clientela straniera, sempre predisposta a visitare tutti gli spazi. La città rimane comun-que la capitale del design italiano e non ci sono solo le scuole come il Politecni-co o le istituzioni come la Triennale a ricordarlo. In generale, direi che, crisi o non crisi, il cittadino milanese continua a essere abituato ad avere un rapporto stabile con il design. In che percentuale la vostra clientela proviene da Paesi stranieri?

Siamo ben riconosciuti in città e tan-ti nostri clienti sono italiani, ma non mancano gli stranieri. Adesso siamo al 50%. Le percentuali possono varia-re di anno in anno e dipendono anche dell’andamento del mercato immobi-liare cittadino. Spotti è una realtà che ricerca, sele-ziona e propone ai suoi clienti le mi-gliori soluzioni d’interni e di design. Da che cosa vi fate guidare durante il processo di selezione delle aziende e dei designer? Quanto conta l’istinto in questa fase del vostro lavoro?Ci sono delle linee guida, non è certa-mente solo istinto. Anche quello conta, ci mancherebbe. Dipende molto da che stimoli uno ha e da quanto vuole essere propositivo sul mercato. Non possiamo considerarci un laboratorio di ricerca sul design, ma nel nostro piccolo sia-mo tra quelli che provano a esplorare le tendenze del settore sulla piazza di Milano. C’è qualche oggetto di design al quale è particolarmente affezionato?Direi di no. Trovo interessante il cir-condarsi di oggetti di design ma, si ha la possibilità di farlo, ritengo lo sia al-trettanto cambiarli di tanto in tanto. A livello di designer, non nego di avere una predilezione per gli storici designer italiani che hanno fatto la storia di que-sta disciplina.La Design Week si avvicina. Qual è

la sua opinione su questa fiera e tutto ciò che le ruota attorno? C’è qualcosa che cambierebbe o migliorerebbe?La dilaterei. Ritengo che abbia una di-mensione troppo generosa per essere visitata in poco tempo. Ci vorrebbe qualche giorno in più, soprattutto per gli addetti ai lavori. Rimane la fiera più interessante del settore. Quali sono invece gli eventi esteri de-dicati al design che giudica più inte-ressanti?A livello prettamente fieristico, non ne vedo altri al livello di Milano. Non mancano però altri eventi interessanti da visitare e tra questi mi sento di ci-tare senz’altro la Biennale Interieur di Kortrijk e anche Art Basel, ovviamente. Che cosa farete durante la Design Week? Faremo una preview della collezione Gold di Paolo Rizzo. Si tratta di pezzi in produzione limitata, fatti in metal-lo con delle finiture molto particolari e inseribili in contesti anche differen-ti tra loro. Lo definirei un concentrato delle nostre migliori competenze arti-gianali del nostro territorio. Avete già in mente qualcosa per Expo? Sicuramente aspettiamo l’evento con grande trepidazione. Per il momento posso solo dire che saremo aperti tutti i giorni, curiosi di vedere che tipo di pubblico questo grande evento attirerà a Milano.

valcucine milano piaveDa qualche anno, proprio adiacen-te alla showroom di viale Piave 27, è aperto lo spazio espositivo di Val-cucine in collaborazione con Spotti, prima “casa” del marchio friulano a Milano in ordine di tempo. “Ritengo che siano i più innovativi e interes-santi dell’intero settore – sostiene Claudio Spotti – e ci accomuna la visione comune di voler crescere nel mercato cittadino”.milano.valcucine.it

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Style

THe NaTUral paleTTe

di luigi Bruzzone

Linee pulite e dettagli estremamente curati caratterizzano la collezione uomo primavera estate 2015 di Ports 1961. La silhouette è un sottile gioco di proporzioni, tra le linee squadrate dei capospalla e i pantaloni ampi e leggeri.

Capospalla di derivazione militare simbolo dell’abbigliamento casual.

Bomber jacket

sperry top-siderStrigata Striper Jungle Print con tomaia in canvas e suola in para.

saddlers union + k-wayNecessaire da uomo in pelle di vacchetta ingrassata, made in Italy.

tudor heritage ranger Orologio con bracciale in acciaio o cinturino in pelle, corredato di cinturino intercambiabile in tessuto.

berwichPantaloni in cotone con fantasia a quadri e interni a contrasto.

calvin Klein Jeans

Bomber in cotone lavato tinto in capo.

www.calvinklein.com

Hamaki-ho

Bomber in cotone con chiusura a zip silver.

www.hamaki.ho.com

pepe Jeans london

Bomber in nylon con patch ricamata.

www.pepejeans.com

c.p. company

Bomber in nylon con zip e oblo.

www.cpcompany.com

Bpd Be proud of this dress

Bomber in nylon con zip.

www.bpdshop.com

Herno laminar

Bomber in tessuto windstopper traspirante.

www.herno.it

Blauer

Bomber in nylon con logo sul petto.

shoponline.blauer.it

lacoste

Bomber multitasche in taffetà idrorepellente.

www.lacoste.com

Seventy

Bomber in nylon ultra leggero effetto popeline.

www.seventy.it

Style

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Style

È iniziato tutto con un viaggio fatto con il nonno in Eritrea, dove ha scoperto alcune montature indossate dai militari italiani nella prima metà del Novecento. Nel 2006, stufo della vita d’ufficio in Cina, il 24enne Luca, laureato in Economia, è tornato in patria e ha fondato L.G.R, oggi una delle aziende indipendenti di occhiali di maggior successo nel mondo.

di carolina saporiti

lUca GNeccHi rUscONe

OccHiali a KM0

Style

So che c’è una storia di famiglia in-teressante alle spalle di L.G.R. Ce la può raccontare?Mi stavo laureando in Economia negli Stati Uniti, avevo 24 anni e non sape-vo cosa avrei fatto. È, allo stesso tempo, uno dei momenti più facili e difficili della vita perché hai molte possibilità, ma sei indeciso. A farmi avvicinare, più tardi nel 2006, agli occhiali ha contri-buito un viaggio fatto quattro anni pri-ma con mio nonno. Negli anni Trenta si trasferì ad Asmara, in Eritrea, come fotografo per l’Istituto Luce e quando la Guerra finì nel ’45 decise di rimanere per fare l’agente per Kodak e Leica. Poi aprì un’attività, Foto Ottica Bini, per sviluppare foto per la comunità italiana e in seguito aprì una fabbrica di sanda-li in plastica che diventò la più grande d’Africa.Così è in Eritrea che decide di dedicar-si agli occhiali?Più o meno. Nel negozio del nonno tro-vai alcune montature dei militari ita-liani degli anni, Quaranta e Cinquanta, che erano rimaste lì dal 1974 quando iniziò la guerra che fece rientrare in pa-tria i coloni. Nel 1999, a dieci anni dal-la fine del conflitto, il governo eritreo chiamò gli italiani a cui erano stati con-fiscati i beni per restituirglieli. Accom-pagnai mio nonno nel 2002, era la mia

prima volta ad Asmara e me ne inna-morai. Sembrava una città italiana degli anni Cinquanta che aveva conservato un’eleganza senza tempo. Portai a casa una dozzina di occhiali e in Italia mi fermavano per chiedermi di chi fossero. Quando ha fatto il grande passo?Qualche anno dopo, avevo iniziato a la-vorare in una multinazionale a Shang-hai. Sstavo tutto il giorno davanti al computer, ma nel tempo libero facevo ricerca sugli occhiali, scoprendo che quel settore era un’oligarchia, gestita da giganti. Oggi a Mido (la fiera inter-nazionale dell’occhialeria che si tiene ogni anno a Milano) si vedono tanti piccoli produttori, ma nel 2006 non era ancora così. Ho iniziato riproducendo quegli occhiali fedelmente e raccontan-do questa storia. Come ci si distingue da questi giganti? Non ho programmato niente: ogni pas-so che faccio, lo faccio istintivamente, tentando di non rovinare questa storia e, senza pensare troppo ai soldi, cerco di portare sempre rispetto a mio nonno e al suo lavoro. Come si conserva l’indipendenza?Metto i miei occhiali solo nei negozi più belli del mondo, senza compromes-si e mantenendo personalmente i con-tatti con i clienti. Essere innovativi avendo una matrice

così radicata nella storia è una bella sfida...La mia innovazione consiste nel ripro-porre fedelmente una cosa che si fa-ceva 70 anni fa. Facciamo attenzione anche noi ai trend del momento e alle richieste del mercato, ma il mio sogno è dare occhiali a tutti, allo sportivo che scala la montagna, alla donna che lavo-ra, al 50enne che legge il giornale...Quanta Africa c’è nei suoi occhiali e quanta Italia? Il made in Italy è un marchio impor-tante, l’Italia è il mio paese e spero torni a essere quello che era negli anni Cinquanta e Sessanta. Mi piace passa-re le giornate con gli artigiani, sedermi con loro e discutere. Non contano solo i numeri, L.G.R non è partita pensan-do a quello. Il made in Italy è fare un viaggio di due ore in auto e arrivare nel laboratorio del tuo artigiano. È tutto a portata di mano, è un Km0.Che previsioni può fare per il 2015?Ho un’ottima sensazione. Il made in China ha subito una battuta d’arresto a causa dell’apprezzamento del dollaro e l’aumento del costo della manodopera cinese, inoltre per noi l’ultimo Mido è stato il migliore di sempre. Oggi L.G.R è conosciuta nel mondo degli occhiali e questa è la mia più grande soddisfa-zione.

la collezione l.G.r è

ispirata a tre modelli di

occhiali militari risalenti

al periodo coloniale

italiano in eritrea,

ritrovati da luca

Gnecchi ruscone nel

vecchio negozio di suo

nonno, ad asmara.

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Hi tecH

anche

l’elettrodomestico

“bianco” oggi ha un

cuore verde: due metri

di altezza ma bassi

consumi, al centro

della cucina, nella vision

di lG.

Frigoriferi “total no frost” che abbattono brina e consumi. Forni a microonde che cuociono con la metà del tempo e dell’energia. Sistemi stiranti che generano solo il vapore che serve, facendoci ri-sparmiare acqua e corrente. Cuffie audio e tastie-re per computer in legno, per provare materiali e sensazioni naturali. Radio a manovella che richie-dono solo un po’ di esercizio fisico per ricaricarsi e “suonare” in modulazione di frequenza. La tecnologia green entra nell’ecosistema do-mestico e conquista avanguardie di consumatori consapevoli, attenti all’innovazione e al rispetto dell’ambiente. Alla sostenibilità dei consumi, che porta vantaggi concreti, riscontrabili mensilmente in bolletta, si affianca la ricerca, che mette ideal-mente in competizione i big player dell’elettroni-ca e i piccoli produttori ad alto tasso di creatività. Alla nuova ondata eco-friendly contribuiscono per quanto loro compete i designer, che tentano (non sempre centrando l’obiettivo) di rendere insolito e attraente ciò che è concettualmente nuovo e “smart”. Dopotutto i casalinghi e gli altri dispositivi green-tech per uso domestico si inse-

riscono in un contesto già abbastanza affollato di segni, forme e colori. Da cui la necessità di mime-tizzarsi o, al contrario, segnalare in modo originale la propria presenza.Buone notizie anche per chi ha ville con giardini da curare o appartamenti dotati di ampie terrazze verdi da irrigare: i nuovi sistemi di monitoraggio presentati lo scorso gennaio al CES di Las Vegas hanno sensori che dialogano via App e possono decidere autonomamente il tipo di intervento da effettuare in base alle condizioni dell’aria e del suolo. Per non parlare dei box “idroponici” in grado di far crescere, come in un’incubatrice, tut-ta la verdura bio di cui abbiamo bisogno. Alcuni modelli fai-da-te possono essere realizzati in casa usando le nuove stampanti 3D low-cost per fab-bricarne i componenti.Agli stessi utenti si addicono naturalmente i cari-cabatterie solari: quelli di nuova generazione sono in grado di garantire un ciclo completo di ricarica in meno di due ore. Molto utili anche per le lun-ghe escursioni, i blackout e i soggiorni in località prive di rete elettrica…

di paolo crespi

Amici dell’ambiente, i nuovi prodotti elettronici pensati per l’uso domestico ci fanno risparmiare tempo e denaro. Ecco una mini rassegna di novità premiate per il concept, il design, l’etichetta energetica.

GreeN TecH

Vivere ecoAlcuni oggetti per rendere la propria casa più amica dell’ambiente.

lG - Total No Frost

il modello GBB530NscQe è il primo frigorifero in

classe a+++, un combinato che consuma solo 132

kWh/anno, l’80% in meno rispetto a un analogo

elettrodomestico di classe a.

www.lg.com/it

edyn - Garden Sensor

il sistema controlla le condizioni del suolo e dell’aria in cui vivono le vostre

piante e apre la valvola dell’acqua ogni qual volta ce ne sia la necessità. Una app

controlla l’intero processo.

edyn.com

impecca - Bamboo Bluetooth Keyboard

compatibile con tutti i device Bluetooth, la tastiera in bamboo naturale è

leggera, ergonomica, amica dell’ambiente. disponibile in quattro colorazioni.

www.impecca.com

audioquest - NightHawk

premiate a las Vegas con il ces innovation award

(eco-design & sustainable Technologies), le cuffie

audio in legno hanno alcune componenti molto

complesse realizzate in stampa 3d.

nighthawk.audioquest.com

eton - Boost Turbine

Fonte energetica verde di back-up, per cellulari e altri dispositivi

mobili. il principio è quello antico della “dinamo”, applicato a una

manovella, in un design premium.

www.etoncorp.com

Hi tecH

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01. piazza Unità d’italia

rappresenta bene il mix

culturale di Trieste. su

tre lati è incorniciata

da palazzi, mentre

sul quarto si affaccia

sull’adriatico.

Foto di Massimo

crivellari.

Di poche regioni si può dire che una città ne rap-presenti l’essenza. Trieste, lo è per il Friuli Venezia Giulia. Dopo una lunga storia di conquiste e pas-saggi di “mano in mano”, nel 1954 la città è torna-ta a far parte dell’Italia, conservando però la sua anima austro-ungarica, che qui aveva dominato fin dal 1303, con una piccola parentesi durante la Prima Guerra Mondiale. Ma definire Trieste, come tanti fanno, un mix tra Venezia e Vienna non ba-sta. Ed è la piazza principale della città, una delle più grandi d’Europa, a simboleggiare il suo spirito mitteleuropeo: piazza Unità d’Italia è delimitata su tre lati da palazzi pomposi del XVIII e XIX secolo, mentre sul quarto si affaccia sul mare. Si potrebbe immaginare come un immenso palco-scenico sull’Adriatico, così come il Friuli Venezia Giulia, a sua volta, confina al nord con l’Austria, a est con la Slovenia e a ovest con il Veneto e al sud con il mare.Osservando i confini si capisce quindi che qui, più che in ogni altra città italiana, si respiri un’a-ria internazionale e una commistione di gusti e

sapori, partendo dal paesaggio e dall’architettu-ra e facendo, ovviamente, una sosta in cucina. A Trieste, con La coscienza di Zeno, nacque il roman-zo moderno italiano che Italo Svevo si decise a scrivere dopo aver passato del tempo insieme a James Joyce. E infatti per raccontare Trieste si po-trebbe anche cominciare parlando della loro ami-cizia. Poco distanti tra loro, una in piazza Hortis, accanto alla Biblioteca comunale e una sul ponte del Canal Grande, ci sono due statue che raffigu-rano i due scrittori. La storia del loro incontro è nota: Joyce arrivò a Trieste per insegnare inglese e tra i suoi alunni incontrò Svevo, che allora ave-va abbandonato l’idea di scrivere, visto che i suoi due primi libri erano stati un fallimento. Tra i due nacque un rapporto di ammirazione reciproca e, passando molto tempo insieme, l’uno leggeva gli scritti dell’altro. James Joyce si fece ispirare dal suo compagno di passeggiate per la costruzione del suo personaggio dei Dubliners e Svevo, a sua volta, sottopose al suo maestro i primi due roman-zi e si fece convincere a scrivere La coscienza di

01

02. castello Miramare

si trova su un

promontorio roccioso

di origine carsica

proteso verso il Golfo

di Trieste.

Foto di Marco Milani.

Zeno. Questi due romanzi fecero da apripista al Modernismo letterario della prima metà del No-vecento con le loro strutture stratificate, ambigue e complesse: aggettivi che si potrebbero usare per descrivere Trieste.Fare un elenco dei monumenti sarebbe di scarsa utilità, perché chi arriva in questa città di confine dovrebbe avere un po’ di tempo a disposizione, prendersela con calma e lasciarsi guidare dall’i-stinto. Non si può saltare, però, tempo permet-tendo, una sosta sul Molo Audace dove i triestini amano passeggiare, soprattutto la sera, dopo il la-voro. Il multiculturalismo di Trieste è percepibile osservando i palazzi neoclassici, liberty, ecclettici e barocchi, che sorgono accanto ai resti romani ed edifici asburgici (un bell’esempio sono le vie simmetriche del Borgo Teresiano), ed è ancora più evidente sotto il profilo religioso: le strade sono un mosaico di confessioni diverse che vedono af-fiancate chiese greco-ortodosse, serbo-ortodosse, evangelico-luterane, elvetiche e sinagoghe. Ma per capire a fondo la commistione di stili, il modo

migliore è sedersi a tavola: a Trieste sono diffuse le osmizze provenienti dalla tradizione austriaca, che sono case private carsiche dove si possono consumare direttamente dai produttori salumi, oli d’oliva, formaggi ed eccellenti vini. Ma il piatto tipico della regione è la jota, un minestrone di fa-gioli, patate e crauti che rimanda a sapori del’est. Ovviamente, protagonista della cucina triestina è anche l’ingrediente che arriva dal confine sud del-la città. I sardoni sono il pesce più diffuso: fritti, impanati o in savor sono le ricette più tipiche.Quando le passeggiate alla scoperta della città hanno affaticato le gambe o, se la Bora soffia trop-po forte, non resta che salire sul Tram de Opcina (Opicina), una trenovia esistente dal 1902 che conduce fino all’omonima località lungo un per-corso di cinque km, a cui è anche dedicata una delle canzoni triestine più famose.Territorio di confine, tra il mare Adriatico e il pro-montorio carsico, Trieste è il luogo dove staccare la spina, riempirsi gli occhi di blu e la bocca di caffè in uno dei tanti bar storici della città.

di carolina saporiti

La sua posizione e la sua storia l’hanno resa una città mitteleuropea dove confessioni religiose, sapori e stili di vita si fondono insieme per dare vita a una destinazione dove abbandonare fretta e frenesie e trovare un po’ di pace. Vento a parte.

la QUieTe di TriesTe

WeeKeNd WeeKeNd

02

sul webwww.turismofvg.itwww.triestecultura.itwww.castello-miramare.it

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01. la suggestiva Jemaa

el Fna vista da una

delle tante terrazze dei

numerosi bar che si

affacciano sulla piazza.

Incantatori di serpenti, chiromanti, musici, acro-bati e venditori di denti sono solo alcuni dei per-sonaggi che riempiono fin dal mattino la piazza Jemaa el Fna della Medina di Marrakech dichiara-ta Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità dall’UNESCO. Un luogo incantato, cuore pulsan-te della città vecchia, dove il tempo si è fermato, in cui i cinque sensi di qualsiasi viaggiatore sono saziati fino al calar della notte. Qui, quando il buio avanza le bancarelle-ristorante accendono i loro fari e “improvvisati” camerieri cercano di convin-cere i passanti che le loro panche sono più co-mode e il loro cibo più buono rispetto a quelli del vicino. Il tutto sotto l’imponente sagoma della Koutoubia, uno dei simboli della città, il cui mina-reto di 77 metri si staglia ogni sera tra la luna e le stelle. D’obbligo al tramonto un aperitivo su una delle terrazze che si affacciano sulla piazza. Marrakech ha molto da offrire a chi l’ha scelta come tappa iniziale di un viaggio nel Marocco centrale. Chi ama i mercati e le contrattazioni

deve abbandonare l’anticamera colorata e chias-sosa di Jemaa el Fna e gettarsi nel dedalo di vico-li che costituiscono l’antica Medina. La regola è perdersi, così da scoprire gli angoli più segreti del souk del rame, dove gli orafi martellano il metallo, del Souk Laghzal, riservato alla lana, senza dimen-ticare quelli delle spezie e dell’argento. Le tenta-zioni sono a ogni metro e, se si decide di comprare, il prezzo offerto dovrà essere almeno dimezzato dopo una lunga negoziazione, mentre si sorseggia un buon tè alla menta offerto dallo stesso vendi-tore. Nel caso in cui ci si voglia allontanare dal caos e riposare le narici dai profumi di zafferano, cumino, curry e chiodi di garofano che affollano ogni via, si può decidere di rilassarsi all’interno di un hamam o ammirando le immense vestigia del Palazzo el Badii, come pure gli stucchi del lussuo-so Palazzo Bahia. Non molto lontano fanno bella mostra di sé anche le Tombe Saadiane, un’im-pressionante necropoli reale del XIV-XVI secolo dove sono sepolti i principali monarchi dell’an-

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02. Un venditore di

gioielli berberi tra le

mura della qasba ait

Ben Haddou nella

valle di Ounila.

03. la Medina di

Marrakech è il

paradiso per gli

appassionati di

artigianato locale.

tica dinastia. Interessante anche il Museo Dar Si Said che contiene l’essenza dell’arte popolare di Marrakech e della cultura berbera. Esattamente agli antipodi rispetto al Museo, merita invece una visita anche il giardino Majorelle creato dal pitto-re francese Jacques Majorelle, trasferitosi qui nel 1922. L’artista dipinse le pareti della sua villa in stile art déco di un blu intenso in netto contrasto con il verde lussureggiante del giardino e dei muri ocra e rossi della città. Dopo un paio di tè alla menta, una contrattazione fino all’ultimo Dirham e un massaggio tradizionale all’olio di Argan, l’ora di cena è dietro l’angolo. Tra l’ampia offerta sono da provare le succulente tajine di carne e verdu-re del Bakchich Café. E per concludere la serata, non c’è nulla di meglio che sorseggiare un cocktail ammirando i tetti della Medina tra i divani della terrazza del Lounge Bar Restaurant Le Salama. Dopo qualche giorno dedicato a conoscere Mar-rakech si può scegliere se puntare verso la costa o verso le dune del deserto. Per chi necessita di sen-tire l’odore del mare e ama le spiagge selvagge, la piccola e suggestiva città fortificata di Essaouira si trova a sole due ore e mezza di strada. Case bian-che, alti bastioni e tetti-terrazza fanno da cornice a un’atmosfera molto rilassata e tranquilla. Chi ama il pesce trova qui il paradiso per il proprio palato: una volta raggiunto il porto si sceglie e si contratta personalmente sulle bancarelle cosa si vuole mangiare e, in men che no si dica, lo si rice-

ve cotto a puntino sulla griglia accompagnato da pane e insalata. Se alle onde del mare si preferisce la magia del deserto, bisogna allora puntare ver-so est in direzione Merzouga, inerpicandosi però prima per le valli e i canyon della catena mon-tuosa dell’Atlante. Lungo la strada si fa un salto indietro nel tempo fermandosi a visitare i villaggi berberi incastonati tra le montagne e alcune qa-sba, tra queste quella di Ait Ben Haddou domina la valle di Ounila. Un complesso architettonico in pisé (argilla) risalente all’XI secolo tra i più anti-chi e maestosi del Marocco, non a caso utilizzato da Hollywood come set per film come Lawrence d’Arabia, Babel e Il Gladiatore.Da Marrakech partono per Merzouga innume-revoli tour di tre o più giorni che consentono di passare alcune notti in tenda tra le dune. Da mille e una notte il luxury camp (www.merzou-galuxurydesertcamps.com) proposto dall’agenzia Marocco Magico. Merzouga è l’ultimo avamposto abitato prima di inoltrarsi nel deserto, una cittadi-na surreale, di confine nata in passato come base di partenza e di arrivo per le carovane berbere e oggi per i tour turistici. Una volta giunti qui, non resta che parcheggiare il 4x4, mettersi in spalla uno zaino con le proprie cose e montare in sella a un cammello che lentamente porta al campo sta-bilito. Il resto è silenzio assoluto, un cielo stellato da mozzare il fiato e la magia ocra di un oceano di sabbia chiamato Sahara.

Testo di andrea Zappa

Foto di Georgina Nieto Tornini

Deserto, mare e souk, un viaggio in Marocco può comprendere questi elementi e molto altro. Marrakech, definita tra le città imperiali la Perla del Sud, è sicuramente il miglior punto di partenza per chi ha deciso di visitare il cuore del paese dei datteri.

MaGie cOlOr Ocra

overSeaS overSeaS

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01. Paola Buzzini,

classe 1983, ha fondato

il progetto Soup Opera

nel 2013. Partendo

da una mostra, o con

l’aiuto di ospiti racconta

gli artisti attraverso il

cibo.

Il nome Soup Opera evoca manualità e creatività ed è il risultato di un’idea nata nella testa di Paola Buzzini durante la sua prima esperienza lavora-tiva nel 2004. “Ho sempre pensato che il cibo fosse un'ottima arma di comunicazione perché è in gra-do di ammaliare la gente. Dopo il Master in servizi educativi ho lavorato al Mart di Roma con il Grup-po Cucina della Comunità di San Patrignano. In quell’occasione ho cominciato a pensare al binomio arte e cibo, le due mie grandi passioni”. Per qualche anno l’intuizione rimane un’idea e Paola si dedica all’arte e alla sua comunicazione, lavorando prima per un’agenzia stampa e fondando poi Doppioze-ro, una società di servizi per l'arte contemporanea, insieme a Elisa Mogavero.Ma le idee si insinuano nella testa e piano piano scavano un solco. Così, un paio di anni fa, spinta anche dall’entusiasmo italiano nei confronti del food, Paola decide di dare corpo a ciò che ha in mente da anni e crea Soup Opera. Sebbene si trat-ti di un sito (www.soup-opera.com) non si può definirlo l’ennesimo food blog, e nemmeno un esercizio fotografico, ma piuttosto un racconto di persone e luoghi legati al mondo delle arti.

“Ho scelto questo nome perché fa capire immediata-mente che si parla di food e di arte, nella sua acce-zione più ampia. Sono due elementi chiave della mia vita che ho provato a coniugare in modo inedito”. In poco tempo, ma non senza sforzi, quella che era una passione o un modo per concentrarsi o stac-care da pensieri, si trasforma in lavoro: raccontare l'arte attraverso il cibo. Soup Opera si può descrivere come l’interpreta-zione gastronomica delle opere d’arte e funziona in maniera semplice: dopo la visita di una mostra, Paola immagina il piatto che possa meglio rappre-sentare l’artista per colori, texture, forme e prove-nienza geografica.Dopo due rubriche su Vanity Fair e Ottagono, pubblicazioni su testate, collaborazioni con blog-ger, musei e gallerie Soup Opera è appena appro-dato a Expo Gate con un programma di incontri con curatori, artisti, giornalisti e direttori di musei tutti intorno a una cucina, con il grembiule allac-ciato, e le mani in pasta. “Il mio grande sogno è con-tinuare a cucinare negli spazi espositivi: i luoghi isti-tuzionali devono essere vissuti dal pubblico al 100%, come luogo d’incontro e, perché no, anche di ristoro.

02. Dal 9 al 13 marzo

Soup Opera è stata

ospite di Expo Gate.

Ogni giorno ha

realizzato due piatti

insieme a galleristi,

artisti, curatori e

giornalisti.

Penso che attraverso la cucina si possa raccontare una storia, l’evoluzione di un pensiero, un’identità e credo che alcune fusioni, in cucina, possano fare da apripista a istanze sociali di cui c’è particolare bisogno in questo tempo scandito da troppe contrap-posizioni”.Il meccanismo di Soup Opera è doppio: cercando una ricetta online una persona potrebbe scoprire che nella sua città è in corso una mostra d'arte interessante oppure, viceversa, viaggiando nei siti d'arte si potrebbe scoprire un appuntamento ga-stronomico inedito o più semplicemente una ri-cetta da replicare. Durante la settimana di appuntamenti a Expo Gate, insieme a Lia Rumma, Paola ha cucinato alici in padella, con aglio, olio, limone e prezze-molo: una scelta dettata dalla città di provene-nienza della gallerista, Napoli, ma anche da una delle opere di Gary Hill, l’artista ospitato nella galleria di Milano di via Stilicone. Con Giovanna Castiglioni, invece, ha presentato “L’uovo nell’uo-vo”, uno dei cibi preferiti del padre di Giovanna, Achille Castiglioni. “Il nome Soup Opera è anche un omaggio alla cre-

atività di Christophe Barrier e Frédéric Clemencon che negli anni Novanta in Francia inventarono un programma per bambini Soupe Opera: ortaggi e frutti prendevano vita grazie alla stop motion ani-mation”. Perché il cibo è creatività, ma anche me-todo, studio e competenza, spiega Paola: “Il pastic-cere, così come l’artista, l’architetto, il fotografo, nel cercare la propria estetica, manipolano la materia e sperimentano tecniche e nuove funzionalità. Tutti i sensi vengono finalmente coinvolti: non solo tatto e vista come quando ci approcciamo a un’opera d’ar-te, ma anche olfatto e gusto come quando ci sediamo a tavola davanti un piatto”. Soup Opera ha già “invaso” il PAC Padiglione d'ar-te contemporanea di Milano, il Mart Museo d'arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Il MUBA Museo dei Bambini e la galleria Offi-cine dell’Immagine di Milano, realizzando alcuni video per il web “Spero sia solo l'inizio! Il mio sogno è cucinare per alcuni artisti apparentemente lonta-ni dal mondo del cibo, come i fratelli Jake e Dinos Chapmann, nel frattempo sto lavorando al prossimo progetto che realizzerò in occasione di Expo, ma per ora non posso anticipare niente”.

di Carolina Saporiti

Partendo da due passioni, l’arte e la cucina, Paola Buzzini ha creato un progetto il cui obiettivo è raccontare e rappresentare un artista attraverso un piatto o con alcuni ingredienti che, mixati insieme, danno vita a nuovi sapori. Un po' come fa l'artista cercando di rappresentare la sua visione del mondo attraverso le sue opere.

SOUP OPERA

food food

02

la ricetta di soup operaCi vuole un artista, meglio se contemporaneo, un curatore che insaporisca con qualche aneddoto, una cuciniera (Paola Buzzini), uno spazio espositivo accogliente, una dose abbondante di creatività e, per rendere tutto più appetitoso, un pizzico di faccia tosta. Mescola-re tutto e servire caldo. L’impor-tante è essere pronti a gustare nuovi sapori, perché nel mondo di Soup Opera nessun piatto è come lo conoscete. Gustate l’arte attraverso il palato, passando per la vista, l’olfatto e anche il tatto.

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food

Nasce a Salerno nel '74 e fin da ragazzina mostra interesse per la cucina. Formazione tutta sul campo, Viviana Varese è la dimostrazione di come “volere è potere”. Consacrata migliore chef donna da Gambero Rosso e Identità Golose (2010), nel 2012 riceve una stella Michelin. Oggi guida una brigata di circa 20 giovani all’ultimo piano di Eataly, nel cuore della città che l'ha adottata e le ha dato la fama.

di Marzia Nicolini

Foto di Azzurra Primavera

VIVIANA VARESE

Tre aggettivi per la tua cucina.Creativa, mediterranea, colorata.C’è un piatto – tra i tanti che hai pre-parato negli anni – a cui sei più affe-zionata?Carpaccio e fantasia perché ha come elementi il pesce fresco, che amo, e gli agrumi, che mi ricordano la Campania e i suoi profumi.Oggi voi chef siete considerati delle superstar: guardi i tuoi colleghi “fa-mosi” in tv?No, confesso di non guardare per nulla la televisione: non ho tempo!Però anche tu sei stata in televisione con un docu-reality andato in onda su Real Time, La chef e la boss.È vero, è stata un’esperienza che non dimenticheremo mai: uno spaccato di quello che è accaduto nei mesi di aper-tura di Alice all’interno di Eataly Sme-raldo. La pura e semplice verità, senza filtri da spettacolo. Eravamo noi, indaf-farati, giorno dopo giorno. In cucina che qualità occorre avere?Direi che sono importanti l’umiltà, la passione, l’amore, e l’armonia. Come nascono le idee dei tuoi piatti?Dalla vita quotidiana, dal mio trascor-so, ma soprattutto dai miei viaggi. Ten-go sempre gli occhi ben aperti.Sei inarrestabile! Stacchi mai?

Dalla Campania sono andata prima a Lodi, dove ho aperto la mia prima at-tività: lì l'accoglienza non è stata mera-vigliosa. Considera che erano gli anni della Lega Lombarda, con Milano è andata molto meglio.Cosa ti piace e cosa non ti piace di questa città?Amo il suo essere cosmopolita: c’è grande libertà rispetto al resto d'Italia. Dico la verità: non ci sono cose che non mi piacciono.Tornando alla cucina: c’è uno chef che stimi in particolare?Ammiro diversi chef, sicuramente Fer-ran Adrià, Joan Roca e Nadia Santini.Accanto a te c’è sempre Sandra Ci-ciriello, maître e sommelier: su cosa poggia questo sodalizio?Abbiamo due caratteri all’opposto e per questo ci completiamo perfetta-mente.Avete qualche nuovo progetto in can-tiere?Al momento vogliamo concentrarci su Expo, ormai alle porte. E chi lo sa, for-se la seconda serie de La chef e la boss. Mai dire mai!Viviana, un’ultima domanda: qual è il tuo motto di vita?Chi getta semi al vento vedrà fiorire il cielo.

Giusto la domenica, quando Alice Ri-storante è chiuso. Mi rilasso stando con gli amici e le persone che amo. Non occorre altro.Per chi ti piacerebbe cucinare?Per il Presidente dell’Uruguay, Jose Mujica, per il premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi e per Renato Zero.Da un anno siete all’interno di Eataly, in una splendida location: cos’è cam-biato con questo trasferimento?La nostra vita ora è molto più intensa: tanta visibilità e tantissime soddisfa-zioni!Qual è il più bel complimento che hai ricevuto per i tuoi piatti?In generale quando un commensale, mangiando, è assalito dal ricordo di vecchi sapori vissuti nel passato: es-sere, insomma, la causa di un viaggio emozionale.Oggi si sente molto la precarietà sul lavoro; che consigli puoi dare a una giovane che voglia intraprendere la carriera di chef?Fare tanti stage, non pensare al guada-gno immediato e pensare a costruirsi una professione. In sostanza: tanta ga-vetta.Sei nata a Salerno; quando ti sei tra-sferita al Nord?

food

Ingredienti per due persone. Pescato: 80 gr di filetto di dentice, 80 gr di filetto di ombrina, 80 gr di filetto di gallinella, 80 gr di tonno palamito, 80 gr di filetto di san pietro, 4 gamberi rossi. Frutta: 16 mirtilli, una prugna, una mela verde, un’arancia, 16 lamponi. Salse a base di frutta: 200 gr di succo di frutto della passione, 200 gr di succo di lampone, 200 gr di succo di mirtillo, 200 gr si succo di limone, 200 gr di succo di arancia, 200 gr di mirepoix (sedano, carota, cipolla), 150 gr di zucchero, 150 gr di olio extravergine di oliva, 25 gr di sale. I canditi: 20 gr di bucce d’arancia. Altri ingredienti: fior di sale qb, erbe aromatiche qb, ½ limone, olio extravergine di oliva delicato qb, 30 gr di salsa di prezzemolo, 30 gr di salsa di basilico, polvere di prezzemolo qb, polvere di bergamotto qb. Salsa di basilico: 50 gr di foglie di basilico, 30 gr di olio d’oliva extravergine, 20 gr di patata bollita, sale qb, pepe qb.

Carpaccio e fantasia

Sbollentate il basilico in acqua per due secondi, raffreddate in acqua e ghiac-cio, asciugate, frullate insieme a tutti

gli altri ingredienti ed emulsionate so-pra al carpaccio di pesce. Semplice ed efficace.

La ricetta dello chefCarpaccio e fantasia è uno dei piatti preferiti di Viviana perché unisce il suo amore per il pesce ai profumi della Campania, la sua terra d'origine.

aliceApre a marzo 2007 in viale Adige, a Milano. Accanto a Viviana Varese, c’è Sandra Ciciriello, sommelier ed esperta di pescato. Ben presto arriva il successo, grazie a piatti mai banali, ricercati, eppure semplici, prevalentemente a base di pesce, ma non soltanto. Nell’aprile 2014 la nuova avventura, con il trasfe-rimento all’ultimo piano di Eataly Smeraldo.Alice Ristorante c/o Eataly Milanopiazza XXV aprile - Milanowww.aliceristorante.it

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Il Temporary Museum For New De-sign, il format che ha caratterizzato le ultime sei edizioni della Design Week di Superstudio, lascia il posto quest’an-no a un nuovo concept battezzato Su-perDesign Show. Il rinnovato progetto espositivo, curato da Gisella Borioli e con la direzione artistica di Carolina Nisivoccia, vuole essere la risposta di Superstudio alla continua evoluzione del mondo del design, un contenito-re che ingloberà l’esperienza di questi anni proponendo però, nei 10 mila me-tri quadrati di via Tortona 27, anche nuovi spazi e suggestioni. Il Temporary Museum resta quindi come area tema-tica contraddistinta dalla sua natura meno fieristica e più museale, e vedrà tra i suoi protagonisti Marcel Wanders per LG Hausys e l’artista americano

Reuben Marcolin per Hyundai. The Galleries, invece, saranno delle vere e proprie gallerie dove innovative e affer-mate aziende del design contempora-neo presenteranno la loro produzione, da Vitamin a Beau&Bien. Lo sguardo a come il design si sta diffondendo nel mondo non mancherà in The World is Here, mentre la novità sarà il design per bambini contenuto nell’area tematica Ki.D.S. Al dialogo tra arte e design sarà dedicata la mostra Imagination nella MyOwnGallery; non mancherà la con-sueta selezione di oggetti simbolo del nuovo design in Selected Objects, così come le proposte di food e le aree re-lax. Il tetto del building ospiterà ancora Michelangelo Pistoletto e il suo Terzo Paradiso, che da orto si trasformerà in risaia.

free time

SuperDesign Show

Superstudio Più - Milanodal 14 al 19 aprile www.superstudiogroup.com

Proprio nei giorni della Design Week – e a pochi giorni da Expo – sarà inaugu-rata a Palazzo Reale la più grande espo-sizione dedicata a Leonardo Da Vinci mai ideata in Italia. Curata da Pietro Marani e Maria Teresa Florio, la mo-stra presenta una visione trasversale di Leonardo, mettendo in luce le diverse sfaccettature della sua immensa produ-zione. Spazio quindi sia al suo lato arti-stico sia a quello scientifico, “osservato” attraverso alcuni temi centrali come il disegno, il paragone tra le arti, la ten-denza all’utopistico, il confronto con l’antico e la passione per l’automazio-ne automatica. Dodici le sezioni in cui si articola la mostra, che conterrà oltre 100 disegni autografi, capolavori pitto-rici e anche parte dei suoi codici ori-

ginali, che arriveranno un po’ da tutto il mondo (dalla Biblioteca Ambrosiana al British Museum). Tra i dipinti pre-stati dai vari musei ce ne sono tre del Louvre – Belle Ferronière, Annunciazio-ne e San Giovanni Battista – e la Ma-donna Dreyfuss dalla National Gallery of Art di Washington. Dal Museo della Scienza e delle Tecnologia, invece, arri-veranno tre modelli storici di macchine – il carro automotore, il maglio batti-loro e il telaio meccanico – realizzati partendo proprio dai disegni del grande artista e scienziato. Non mancherà an-che una riproduzione del Cenacolo in versione “interattiva”, arricchita da una serie di pannelli e postazioni contenen-ti informazioni e dettagli poco cono-sciuti sul capolavoro vinciano.

Una selezione dei migliori eventi che animeranno la città nei prossimi mesi.

Da non perdere...

a cura di Enrico S. Benincasa

Leonardo 1452-1519

Palazzo Reale - Milano dal 15 aprile al 19 lugliocomune.milano.it/palazzoreale

free time

HeartBreak HotelContinua al Teatro Litta la rassegna Apache: da gennaio a giugno, per una settimana al mese, sei compagnie presentano un lavoro inedito per il pubblico milanese caratterizzato dalla voglia di sperimentare. Ad aprile è la volta della compagnia Snaporaz, alle prese con la loro visione dell’HeartBreak Hotel. Teatro Litta - Milano dal 23 al 26 aprile www.teatrolitta.it

Design Week Festival 10Decima edizione per il festival di elita, che celebra la doppia cifra con una line up selezionata di artisti protagonisti della scena elettronica internazionale, senza dimenticare le belle realtà di casa nostra. Ci sarà ovviamente il Milano Design Award, il premio che ogni anno viene dato al miglior allestimento del Fuorisalone e vinto in passato da aziende come Moroso e Panasonic.Location Varie - Milanodal 15 al 19 aprile www.designweekfestival.com

Sting & Paul SimonAmici da tempo, ma fuori dal palco. Almeno fino a poco tempo fa: questi due grandi nomi della musica, infatti, stanno girando dallo scorso anno con un live inedito nel quale i rispettivi repertori assu-mono una veste diversa grazie al contributo dell’altro. Tante le date in Europa, ma solo una in Italia e proprio qui a Milano. Mediolanum Forum - Assago MI il 30 marzo www.simonandstingtour.com

Jack SavorettiIl cantautore inglese di chiare origini italiane, classe 1983, arriva al Blue Note poco dopo la metà del mese di aprile. Da poco è uscito con il suo quarto studio album Written in Scars, un successo anche qui da noi che, tra l’altro, gli ha permesso di vincere l’Onstage Award come miglior nuova proposta interna-zionale. Blue Note - Milanoil 22 aprile www.bluenotemilano.com

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Puoi trovare Club Milano in oltre 200 location selezionate a Milano

night & restaurant: Al fresco Via Savona 50 Angolomilano Via Boltraffio18 Antica Trattoria della Pesa V.le Pasubio 10 Bar Magenta Largo D’Ancona Beda House Via Murat 2 Bento Bar C.so Garibaldi 104 Bhangra Bar C.so Sempione 1 Blanco Via Morgagni 2 Blue Note Via Borsieri 37 Caffè della Pusterla Via De Amicis 24 Caffè Savona Via Montevideo 4 Cape Town Via Vigevano 3 Capo Verde Via Leoncavallo 16 Cheese Via Celestino IV 11 Chocolat Via Boccaccio 9 Circle Via Stendhal 36 Colonial Cafè C.so Magenta 85 Combines XL Via Montevideo 9 Cubo Lungo Via San Galdino 5 Dada Cafè / Superstudio Più Via Tortona 27 Deseo C.so Sempione 2 Design Library Via Savona 11 Elettrauto Cadore Via Cadore ang. Pinaroli 3 El Galo Negro Via Taverna Executive Lounge Via Di Tocqueville 3 Exploit Via Pioppette 3 Fashion Cafè Via San Marco 1 FoodArt Via Vigevano 34 Fusco Via Solferino 48 G Lounge Via Larga 8 Giamaica Via Brera 32 God Save The Food Via Tortona 34 Goganga Via Cadolini 39 Grand’Italia Via Palermo 5 HB Bistrot Hangar Bicocca Via Chiese 2 Il Coriandolo Via dell’Orso 1 Innvilllà Via Pegaso 11 Jazz Cafè C.so Sempione 4 Kamarina Via Pier Capponi 1 Kisho Via Morosini 12 Kohinoor Via Decembrio 26 Kyoto Via Bixio 29 La Fabbrica V.le Pasubio 2 La rosa nera Via Solferino 12 La Tradizionale Via Bergognone 16 Le Biciclette Via Torti 1 Le Coquetel Via Vetere 14 Le jardin au bord du lac Via Circonvallazione 51 (Idroscalo) Leopardi 13 Via Leopardi 13 Les Gitanes Bistrot Via Tortona 15 Lifegate Cafè Via della Commenda 43 Living P.zza Sempione 2 Luca e Andrea Alzaia Naviglio Grande 34 MAG Cafè Ripa Porta Ticinese 43 Mandarin 2 Via Garofano 22 Milano Via Procaccini 37 Mono Via Lecco 6 My Sushi Via Casati 1 - V.le Certosa 63 N’ombra de Vin Via San Marco 2 Noon Via Boccaccio 4 Noy Via Soresina 4 O’ Fuoco Via Palermo 11 Origami Via Rosales 4 Ozium t7 café - via Tortona 7 Palo Alto Café C.so di Porta Romana 106 Panino Giusto P.zza Beccaria 4 - P.zza 24 Maggio Parco Via Spallanzani - C.so Magenta 14 Patchouli Cafè C.so Lodi 51 Posteria de Amicis Via De Amicis 33 Qor Via Elba 30 Radetzky C.so Garibaldi 105 Ratanà Via De Castillia 28 Refeel Via Sabotino 20 Rigolo Via Solferino 11 Marghera Via Marghera 37 Rita Via Fumagalli 1 Roialto Via Piero della Francesca 55 Serendepity C.so di Porta Ticinese 100 Seven C.so Colombo 11 - V.le Montenero 29 - Via Bertelli 4 Smeraldino P.zza XXV Aprile 1 Smooth Via Buonarroti 15 Superstudio Café Via Forcella 13 Stendhal Via Ancona 1 Tasca C.so Porta Ticinese 14 That’s Wine P.zza Velasca 5 Timè Via S.Marco 5 Tortona 36 Via Tortona 36 Trattoria Toscana C.so di Porta Ticinese 58 Union Club Via Moretto da Brescia 36 Van Gogh Cafè Via Bertani 2 Volo Via Torricelli 16 Zerodue_Restaurant C.so di Porta Ticinese 6 3Jolie Via Induno 1 20 Milano Via Celestino 4

stores: Ago Via San Pietro All’Orto 17 Al.ive Via Burlamacchi 11 Ana Pires Via Solferino 46 Antonia Via Pontevetero 1 ang. Via Cusani Bagatt P.zza San Marco 1 Banner Via Sant’Andrea 8/a Biffi C.so Genova 6 Brand Largo Zandonai 3 Brian&Barry via Durini 28 Brooksfield C.so Venezia 1 Buscemi Dischi C.so Magenta 31 Centro Porsche Milano Nord Via

Stephenson 53 Centro Porsche Milano Est Via Rubattino 94 C.P. Company C.so Venezia Calligaris Via Tivoli ang. Foro Buonaparte Dantone C.so Matteotti 20 Eleven Store Via Tocqueville 11 Germano Zama Via Solferino 1 Gioielleria Verga Via Mazzini 1 Henry Cottons C.so Venezia 7 Joost Via Cesare Correnti 12 Jump Via Sciesa 2/a Kartell Via Turati ang. Via Porta 1 La tenda 3 Piazza San Marco 1 Le Moustache Via Amadeo 24 Le Vintage Via Garigliano 4 Libreria Hoepli Via Hoepli 5 MCS Marlboro Classics C.so Venezia 2 - Via Torino 21 - C.so Vercelli 25 Moroso Via Pontaccio 8/10 Native Alzaia Naviglio Grande 36 Open viale Monte Nero 6 Paul Smith Via Manzoni 30 Pepe Jeans C.so Europa 18 Pinko Via Torino 47 Rossocorsa C.so porta Vercellina 16 Rubertelli Via Vincenzo Monti 56 The Store Via Solferino 11 Valcucine (Bookshop) C.so Garibaldi 99

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art & entertainment: PAC (Padiglione Arte Contemporanea) Via Palestro 14 Pack Foro Bonaparte 60 Palazzo Reale P.zza Duomo Teatro Carcano C.so di Porta Romana 63 Teatro Derby Via Pietro Mascagni 8 Teatro Libero Via Savona 10 Teatro Litta C.so Magenta 24 Teatro Smeraldo P.zza XXV Aprile 10 Teatro Strehler Largo Greppi 1 Triennale V.le Alemagna 6 Triennale Bovisa Via Lambruschini 31

hotel: Admiral Via Domodossola 16 Astoria V.le Murillo 9 Boscolo C.so Matteotti 4 Bronzino House Via Bronzino 20 Bulgari Via Fratelli Gabba 7/a Domenichino Via Domenichino 41 Four Season Via Gesù 8 Galileo C.so Europa 9 Nhow Via Tortona 35 Park Hyatt (Park Restaurant) Via T. Grossi 1 Residence Romana C.so P.ta Romana 64 Sheraton Diana Majestic V.le Piave 42

inoltre: Bagni Vecchi e Bagni Nuovi di Bormio (SO) Terme di Pre-Saint-Didier (AO)

Alzando lo sguardo al civico 40 di via Solari, a due passi dal Design District di Tortona, si scorge un ampio caseg-giato dei primi del Novecento, che gira l’angolo fino a costeggiare via Stendhal, raggiungendo con le mura perimetrali le vie Gnocchi Viani e Moisè Loira. E basta guardarlo per riconoscere ancora oggi, in mezzo alle crepe e alle inevi-tabili tracce di decadenza di oltre 100 anni di storia, il segno di un progetto architettonico luminoso e lungimiran-te. Siamo di fronte al primo Quartie-re Operaio dell’Umanitaria, nonché al primo e incontrastato esperimento di housing sociale a Milano.Correva l’anno 1906 quando più di mille persone prendevano possesso delle 240 abitazioni di Solari 40. Il cantiere, aperto la primavera dell’an-no precedente grazie a un lascito della Società Umanitaria, aveva lavorato in tempi record e il quartiere è da subito un modello di edilizia popolare. A con-

vincere non sono solo le case concepite con dotazioni innovative per l’epoca (sistemi di aerazione, acqua corrente, illuminazione, gas, servizi igienici), ma soprattutto quel mix funzionale tra residenze, esercizi commerciali e spa-zi condivisi che, lungi dal trasformarlo in una roccaforte isolata, lo apre agli abitanti della zona attraverso l’offer-ta di molteplici servizi: bagni, docce, lavatoi comuni, sala riunioni, biblio-teca, università popolare, fino all’asilo materno inaugurato nel 1908 da Maria Montessori, quella del famoso metodo, per intenderci. Per tre o quattro gene-razioni il Quartiere ha significato non solo vivere in abitazioni sane e comode a prezzi di tutto rispetto, ma anche far parte di una comunità in un certo sen-so di privilegiati. Poi però c’è stato il tempo delle alter-ne vicende: l’Umanitaria ha ceduto la gestione del Quartiere al Comune, è iniziata la dismissione dei servizi offer-

ti, fino alla chiusura negli anni Ottanta della Biblioteca. Ma è dal 2007, con il progetto di riqualificazione varato dal Comune, che sembra essere iniziato un nuovo corso. “La ristrutturazione di par-te del caseggiato avrebbe dovuto iniziare a giugno 2014 ma siamo in attesa di un sentenza del Tar tra le due imprese che si contendono i lavori”, ci spiega Egle Nason, abitante da tre generazioni di Solari 40 e ora anche attiva come bi-bliotecaria. Dal 2012 ha riaperto, infat-ti, grazie alla collaborazione dei cittadi-ni Solari per Milano con il ricostituito Comitato Inquilini, la Biblioteca stori-ca, ora sita nei locali dell’ex-panetteria. E questa è solo la prima delle tante attività (per bambini, anziani e cittadi-ni in genere) che si stanno riattivando, come a riportare in auge quello spirito solidaristico di apertura e socialità che da sempre ha caratterizzato la vita del Quartiere e che “in fondo è un’esigenza che non passa mai di moda”.

Più che mai attuale in quanto risposta a un desiderio di socialità e condivisione, il cohousing non è una novità per Milano, che ha iniziato a sperimentarlo già dal 1906 con la nascita del primo Quartiere Operaio dell’Umanitaria. Un modello innovativo, premiato in quello stesso anno dal primo Expo di Milano. Perché in fondo tutto (o quasi) prima o poi torna.

Il social housing di Solari 40

di Marilena Roncarà

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