Chiesa San Pietro e Castello
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Associazione Amici del San Pietro
di Carpignano Sesia
La Chiesa di San Pietro
e il Castello
di Carpignano Sesia
Con la collaborazione di
Comunedi Carpignano Sesia
Guida storica ed artistica
Testi: Franco Dessilani
Crediti fotografi e: Associazione Amici del San Pietro di Carpignano SesiaStampa: ITALGRAFICA Novara
Grafi ca e impaginazione: Alessandra Barbi
© 2011 Agenzia di Accoglienza e Promozione Turistica Locale della Provincia di Novara© 2011 Associazione Amici del San Pietro di Carpignano Sesia
Comunedi Carpignano Sesia
Associazione Amici del San Pietro
di Carpignano Sesia
La Chiesa di San Pietro
e il Castello
di Carpignano Sesia
Guida storica ed artistica
2
Sommario
1 Il castrum di Carpignano e le origini della chiesa di San Pietro 32 Il passaggio della chiesa di San Pietro alla Chiesa Romana 3 La riforma gregoriana 5 I conti di Pombia e di Biandrate 53 La fondazione di Cluny nel 910 e la sua diff usione 5 Cluny e l’esenzione monastica 6 L’espansione di Cluny in Europa e in Italia 64 Il priorato cluniacense di Castelletto Cervo 7 Le dipendenze del priorato di Castelletto nel 1184 85 Castelletto Cervo e San Pietro di Carpignano nel basso medioevo 86 L’amministrazione degli abati commendatari 9 Gli abati commendatari conosciuti di Castelletto e di Carpignano 107 Le condizioni materiali del San Pietro in età moderna 108 L’Ottocento e la laicizzazione 119 Il Novecento: la riscoperta 12 Paolo Verzone e la riscoperta del romanico novarese 1310 L’architettura del San Pietro 13 Le dimensioni interne del San Pietro 16 I valori simbolici e spirituali dello spazio sacro del San Pietro 1611 Gli aff reschi dell’abside maggiore 17 Il combattimento tra il guerriero e la fi era 1912 Gli aff reschi delle navate 19 I santi in soccorso della vita quotidiana 21 Testimonianze del culto di san Rocco a Carpignano 2213 Il castello 2214 Le altre chiese di Carpignano legate a Cluny 23 Bibliografi a essenziale 25 L’Associazione Amici del San Pietro di Carpignano Sesia 27 La Fédération Européenne des Sites Clunisiens 27��2
�� 3 4 I Le5 Castelletto Cervo e San Pietro di Carpignano6 L’amministrazione degli abati commendatari Gli abati commendatari conosciuti di Castell7 Le condizioni materiali del San Pietro in età m
a laicizzla riscopne e la riscoperta del romanico novarese
architettura del San P Le dimensioni interne del San Pietro
I valori simbolici e spirituali dello spazio sacro del San P11 Gli aff reschi dell’abside maggiore Il combattimento tra il guerriero e la fi era
ccorso della vita quotidiana nianze del culto di san Rocco a Carpignan
stello Le altre chiese di Carpignano legate aBibliogrL’Associazione Amici del San Pietro di Carpignano SesiaLa Fédération Européenne des Sites Cl
3
1- Il castrum di Carpignano
e le origini della chiesa di San Pietro
Risale alla metà del X secolo il primo documento che ricordi
l’esistenza del villaggio fortifi cato di Carpignano: si tratta di un
placito stipulato castrum Calpiniano, ossia nella fortifi cazio-
ne di Carpignano, in cui è ricordata la vendita di alcuni beni
fondiari da parte di una donna, Milisenda, ad un ecclesiastico,
il diacono Attone. L’insediamento doveva aver avuto origine
da una proprietà fondiaria di età romana, come indicherebbe
il toponimo con desinenza -anum (caratteristica dei ‘prediali’,
nomi di luogo derivati dal nome del possessore). L’età romana
è documentata da reperti fi ttili, vitrei e metallici, alcuni dei qua-
li conservati presso il Municipio, e dallo scavo di alcuni inse-
diamenti rustici di età imperiale nelle campagne a Nord del pa-
ese, nella zona denominata ‘Santo Spirito’ lungo l’antica strada
Biandrina che porta a Ghemme e Romagnano Sesia. All’inizio
del X secolo probabilmente sorse il nucleo fortifi cato oggi noto come castello, edifi cato originariamente
con palizzate esterne ed edifi ci interni in legno, dei quali ovviamente non è rimasta traccia concreta. Poco
dopo il Mille due personaggi, Ugo e Guido, vassalli di Arduino d’Ivrea, ebbero il controllo di Carpignano
e del suo castello. Quando Arduino, nel 1014, fu sconfi tto e dovette rinunciare alla pretesa di essere re
d’Italia, i beni dei suoi vassalli vennero confi scati dall’imperatore Enrico II: tra di essi anche le proprietà di
Ugo e di Guido, che furono assegnate al vescovo di Vercelli. Nel corso dell’XI secolo è documentata una
famiglia signorile denominata de loco Calpignano: Walberto nel 1022 partecipa a Lomello ad un placito
tenuto dal conte Ottone, insieme con personaggi appartenenti a famiglie dell’alta feudalità del vescovo di
Novara; Gisulfo ed un secondo Walberto, cugini fra loro e molto verosimilmente discendenti del primo
Walberto, donano nel 1073 ai canonici della Cattedrale di Novara un podere sito in Carpignano; il sud-
diacono Pietro, infi ne, fi glio del secondo Walberto, dieci anni dopo cede agli stessi canonici un podere in
Sillavengo. La famiglia di Walberto e dei suoi discendenti deteneva con ogni probabilità i diritti signorili
sul villaggio e sulla sua fortifi cazione. Attorno al castrum si sviluppò gradualmente durante il Medioevo il
villaggio rurale, la villa, attorno alla chiesa di Santa Maria (l’attuale parrocchiale) della quale si ha notizia
a partire dal 1184. Secondo gli studi pubblicati nel 1936 da Paolo Verzone, nei primi decenni del secolo
XI fu edifi cata all’interno del castrum di Carpignano la chiesa di San Pietro. L’iniziativa della costruzio-
ne va ricondotta ad una presenza infl uente, da identifi carsi o con quella dei vassalli di Arduino d’Ivrea
(anteriormente al 1014) o più verosimilmente con quella immediatamene successiva dei de Calpignano.
La prima destinazione dell’edifi cio sacro fu quasi certamente quella di cappella signorile, a servizio dei
signori del villaggio (i domini loci) e delle loro clientele.
Abstract 1:
The fortifi ed village (castrum) in Carpignano Sesia has been documented since the mid 10th century
although its fi rst human settlements date back to the Roman times. During the 11th century the fort
was inhabited by the de Calpiniano noble family. The village later fell into the hands of the counts of
Pombia fi rst and then in the ones of the counts of Biandrate. San Pietro church inside the castle was
erected in the early 11th century.
San Pietro in Castello, veduta absidale
4
2 - Il passaggio della chiesa
di San Pietro alla Chiesa Romana
Dei primi decenni dell’esistenza della chiesa di San Pietro non si sa nulla, se non che la sua co-
struzione dovette protrarsi piuttosto a lungo, fra interruzioni, modifi che e progressivi adattamenti
dovuti a mutate condizioni economiche o alla diffi coltà di attuare soluzioni architettoniche forse
superiori alle capacità delle maestranze. Una interruzione nella costruzione è forse indicata dal mu-
tamento nella struttura muraria che si nota con evidenza sulla parete esterna delle tre absidi: fi no
a poco più di un metro e mezzo da terra, infatti, vi si trovano impiegati frequentemente frammenti
laterizi di reimpiego, anche di età romana, che invece si diradano notevolmente al di sopra di tale
quota, dove anche la parete stessa attenua la curvatura delle specchiature fra una lesena e l’altra, che
fi niscono coll’essere quasi piatte.
Almeno dal 1081 il villaggio di Carpignano fa parte delle località direttamente controllate dalla
potente famiglia dei conti di Pombia, cui competeva (per delega dell’impero) l’esercizio dei poteri
pubblici sulla vasta area estesa tra i fi umi Ticino e Sesia ed incuneata tra i monti lungo le valli di
quest’ultimo fi ume e dell’Ossola.
E’ però soprattutto lungo il XII secolo che i diplomi rilasciati dagli imperatori (Corrado II nel 1140-
1141; Federico I Barbarossa nel 1152, 1156 e 1159; Enrico VI nel 1196) ai conti di Biandrate,
discendenti diretti dei Pombia, ricordano Calpinianum tra le località di loro appartenenza cum omnibus castris et villis, territoriis ac pertinentiis (‘con tutti i castelli e i villaggi, i territori e le loro
pertinenze’). Nel frattempo, come risulterà da una bolla pontifi cia del 1140-1141, la chiesa di San
Pietro era però entrata a far parte dei possessi della Chiesa Romana, ossia del nucleo di quello che
nel tempo diventerà il ‘Patrimonio di San Pietro’. Sono ignoti sia l’epoca precisa, sia le circostanze
di tale passaggio, così come le sue motivazioni e i suoi protagonisti. Esso può aver avuto luogo tanto
per iniziativa della precedente famiglia signorile dei de Calpiniano, così come dei conti di Pombia
o di Biandrate.
La motivazione può essere ricondotta alla diff usione dell’opera di riforma della chiesa promossa
da papa Gregorio VII (1073-1085) e dai suoi immediati successori (soprattutto Urbano II, 1088-
1099, già priore a Cluny), come per altre chiese divenute in quei decenni ecclesie iuris beati Petri, cioè sottoposte alla giurisdizione del beato Pietro,
per divenire centri propulsori del rinnovamento ec-
clesiale. Non va però neppure trascurata una motiva-
zione legata alla prima crociata, alla quale partecipa-
rono i fratelli conti Alberto e Guido di Biandrate ed
il loro nipote Ottone Altaspada: qualche esponente
della famiglia signorile può aver proceduto a dona-
re la chiesa del castello di Carpignano ai pontefi ci,
o nell’imminenza della partenza per l’Oriente nel
settembre 1100, oppure subito dopo il ritorno dal-
la disastrosa spedizione nel 1104. Alla giurisdizione
diretta della chiesa di Roma il San Pietro di Carpi-
gnano sarebbe appartenuto fi no al suo passaggio
all’ordine di Cluny, nel 1140-1141.
San Pietro in Castello, veduta absidale nel 1936
(da P.VERZONE, L’architettura romanica nel Novarese)
5
LA RIFORMA GREGORIANA Nel corso del secolo XI entra in crisi la visione del mondo nata con Carlo Magno e proseguita con
i suoi successori alla guida del Sacro Romano Impero, fondata sulla stretta unità tra la Chiesa e
l’Impero all’interno di una visione ‘imperiale’ della Chiesa stessa. Il pontifi cato di papa Gregorio
VII (Ildebrando di Soana, 1073-1085) segna la rottura con questa visione, e l’affermazione di una
nuova concezione della Chiesa, non più sottoposta alla supremazia e alla protezione degli impe-
ratori e destinataria di singole concessioni di libertà, bensì depositaria essa stessa della libertas
e fonte del diritto, perché fondata per diritto divino. All’affermazione teocratica del primato papa-
le su ogni altro potere laico ed ecclesiastico si accompagna un programma di riforma radicale dei
costumi (lotta alla simonia, riaffermazione del celibato ecclesiastico) e di ristrutturazione della
Chiesa (consolidamento della gerarchia, organizzazione della curia romana sul modello di quella
imperiale), fi nalizzata al progetto di rifondare una res publica christiana, una società interamente
permeata e guidata dalla Ecclesia universalis.
I CONTI DI POMBIA E DI BIANDRATE All’origine del casato dei conti di Pombia stanno i fratelli Uberto I, Riccardo I e Gualberto (vescovo
di Novara dal 1032 al 1039). Adalberto, Uberto II, Guido I e Riprando (vescovo di Novara dal 1039
al 1053), fi gli di Uberto I, con Ottone loro nipote fondano verso il 1050 l’abbazia benedettina di
San Nazzaro (oggi San Nazzaro Sesia, presso Biandrate). Da Guido II, fi glio di Guido I di Pombia
e fondatore nel 1083 del priorato cluniacense di San Pietro di Castelletto Cervo, discesero i conti
del Canavese; dai discendenti di Adalberto derivarono i conti di Castello, radicati soprattutto
nell’alto Novarese, nel Verbano e nell’Ossola; infi ne, da Ottone, cugino di Guido II, ebbero origine
i conti di Biandrate. Tra i fi gli di Ottone, i conti Alberto e Guido di Biandrate (viri mirae nobilitatis
et ductores exercitus, ‘uomini di splendida nobiltà e condottieri di eserciti’ secondo il cronista
Alberto di Aix) presero parte tra 1100 e 1104 alla prima crociata, durante la quale il primo morì
in combattimento. Figlio di Alberto fu il conte Guido detto il Grande, ‘uno fra i grandi ed egregi
prìncipi di Lombardia’ secondo il contemporaneo Guglielmo di Tyr. Guido, imparentato con Gu-
glielmo III di Monferrato, col duca Corrado di Svevia e con i conti di Savoia, dopo aver preso parte
alla terza crociata, fu fedele vassallo di Federico I Barbarossa (da cui ebbe importanti privilegi e
riconoscimenti) e seppe convincere i milanesi a patteggiare con l’imperatore dopo le distruzioni
da lui infl itte alla città e al suo territorio nel 1158. Dopo la sua morte (1167), i suoi fi gli non furono
in grado di opporsi all’espansionismo di Novara e Vercelli sulla pianura e sulla Valsesia, ed accet-
tarono di sottomettersi alle due città.��RIANA
ra in crisi la visione del mondo nata con Carlo Magno e proseguita con
a del Sacro Romano Impero, fondata sulla stretta unità tra la Chiesa e
Chiesa stessa. Il pontifi cato di papa Gregorio
ttura con questa visione, e l’affermazione di una
osta alla supremazia e alla protezione degli impe-
bertà, bensì depositaria essa s ibertas
no. All’affermazione teocratica del primato papa-
accompagna un programma di riforma radicale dei
celibato ecclesiastico) e di rist
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I BIANDRmbia stanno i fratelli Uberto I, Riccardo I e Gualberto (vescovo
erto, Uberto II, Guido I e Riprando (vescov
one loro nipote fondano verso il 1
o (oggi San Nazzaro Sesia, presso Biandrate). Da Guido II, fi glio di Guido I di Pom
ore nel 1083 del priorato cluniacense di San Pietro di Castelletto Cervo, discesero i conti
vese; dai discendenti di Adalberto derivarono i conti di Castello, radicati soprattutto
Verbano e nell’Ossola; infi ne, da Ottone, cugino di Guido II, ebbero origine
fi gli di Ottone, i conti Alberto e Guido di Biandrate (viri mirae nobilitatis
omini di splendida nobiltà e condottieri di eserciti’ second
rte tra 1100 e 1104 alla prima crociata, durante la quale il prim
di Alberto fu il conte Guido detto il Grande, ‘uno fra i grandi ed
dia’ secondo il contemporaneo Guglielmo di Tyr. Guido, imparentato c
Monferrato, col duca Corrado di Svevia e con i conti di Savoia, dopo aver preso parte
rociata, fu fedele vassallo di Federico I Barbarossa (da cui ebbe importanti privilegi e
menti) e seppe convincere i milanesi a patteggiare con l’imperatore dopo le distruzioni
te alla città e al suo territorio nel 1158. Dopo la sua morte (1167), i suoi fi gli non furono
di Novara e Vercelli sulla pianura e sulla Valsesia, ed accet-
Abstract 2:
In the late 11th century San Pietro church inside the castle was donated to the Roman Catholic
Church, most likely by the counts of Biandrate when the fi rst Crusade took place, and it must
have been a dissemination centre of the church’s reformation as ordered by Pope Gregory VI and
his successors.
Between 1140 and 1141 Pope Innocent II donated the church to the Cluniac priory of Castelletto
Cervo (today belonging to the province of Biella), which was founded by Count Guido di Pombia
in 1083.
6
3 - La fondazione di Cluny nel 910
e la sua diffusione
Prima di occuparsi del passaggio del San Pietro di Carpignano all’ordine cluniacense, è opportuno
soff ermarsi brevemente su quest’ultimo, sulle sue origini e sulla sua diff usione in Italia. Nel settem-
bre dell’anno 910 o 911 il duca d’Aquitania e conte di Macon, Guglielmo (poi detto ‘il Pio’), con sua
moglie Ingelberga, disponeva che con i suoi beni situati nel villaggio di Cluny, in Borgogna, ed in al-
tri villaggi circostanti, si fondasse un monastero sotto la protezione dei santi apostoli Pietro e Paolo,
i cui monaci avrebbero seguito la regola di san Benedetto sotto la paterna guida dell’abate Bernone.
Compiti dei monaci della nuova fondazione sarebbero stati innanzitutto la preghiera incessante (per
le anime del fondatore, dei suoi antenati, di sua moglie e del suo signore il conte Odone di Parigi) e
la carità e le opere quotidiane di misericordia per i poveri e i pellegrini.
La caratteristica che veramente distingue Cluny dai molti altri monasteri fondati in quei secoli da
imperatori, re e signori, è l’esenzione da qualunque altro potere, laico o ecclesiastico (si veda il box
a pagina 7): questo fa sì che il monastero borgognone e i numerosi altri che gli si aggregheranno in
Europa diventino centri propulsori di una intensa opera di riforma del monachesimo e della chiesa,
spesso con l’appoggio di arcivescovi e vescovi, soprattutto versa la fi ne del secolo XI, in concomi-
tanza con quella promossa da papa Gregorio VII.
La prima fondazione cluniacense in diocesi di Novara è quella di Cavaglietto, dove un consistente
gruppo famigliare di lontane origini longobarde nel 1092 procede alla donazione a Cluny di gran
parte del castello edifi cato nella località e dei beni da esso dipendenti: in quegli edifi ci e con quei
beni viene così fondato un monastero femminile, sotto l’invocazione di san Pietro, che dopo un pe-
riodo iniziale di prosperità conoscerà vicissitudini complesse e negative, fi no al trasferimento delle
monache (divenute nel frattempo clarisse) a Novara nel ‘200. Oggi i resti degli edifi ci claustrali e
della chiesa sussistono nella cascina Monastero.
Abstract 3:
The monastery of Cluny, situated in Burgundy, was founded between 909 and 910 by William
I, Count of Aquitaine, who desired to keep it away from any secular or ecclesiastic infl uence so
that the monks would have been free to dedicate themselves to prayers and liturgies.
Diff erent other monasteries were affi liated to Cluny, creating a network of Cluniac houses
around Europe, from France to Spain, Switzerland, Great Britain and Italy.
In Novara the fi rst Cluniac foundation was the monastery of Cavaglietto, established in 1092.
4 - Il priorato
cluniacense
di Castelletto Cervo
Nel 1083 il conte Guido II di Pombia, dispose la donazione di un vasto patrimonio a favore del
���Abstract 3:
The monastery of
I, Count of AquitI, Co
that the monks wthat
Diff erent other mDiff erent ot
around Europe, faround E
In Novara the fi rIn Nov
4 - Il pr4 - Il pr
cluniaceclu
di Castedi Cas
Nel 1083 il conte108
7
monastero di San Pietro qui est constructo in loco ubi dicitur Clugnedo (‘costruito nel luogo detto Cluny’),
forse in restituzione di un prestito consistente avuto
da quell’ente monastico. I beni donati, per la massima
parte localizzati in Valsesia, consistevano nella chie-
sa di san Dionigi (a Locarno, presso Varallo), sedici
mansi o piccole aziende agricole, due alpeggi (tra cui
quelli del vallone di Otro), alcune selve, porzioni del
monte di Parone, un molino in Varallo, una famiglia
di servi ed una mandria di bovini. Quattro anni dopo,
forse in seguito alla morte di Guido, alcuni suoi eredi
rinunciavano ai loro diritti sui beni che egli aveva do-
nato, rendendone possibile l’assegnazione defi nitiva a
Cluny.
CLUNY E L’ESENZIONE MONASTICA Per una precisa volontà del suo fondatore, Guglielmo il Pio, l’abate di Cluny e i suoi monaci sareb-
bero stati totalmente liberi da qualunque forma di soggezione a poteri tanto laici quanto eccle-
siastici. Come garanti, tutori e difensori di questa eccezionale libertà, Guglielo il Pio invocava gli
Apostoli Pietro e Paolo e il pontefi ce romano. Questa disposizione conferisce al nuovo monastero
una fi sionomia del tutto diversa da quella di tante altre comunità monastiche del tempo: era
infatti abituale che i fondatori o i grandi benefattori di un monastero si riservassero su di esso
alcuni diritti (fra cui quelli di intervenire nell’elezione degli abati o dei priori, o di curare gli affari
temporali ed amministrativi del cenobio) che fi nivano col condizionarne pesantemente la vita
e col farne un mezzo di affermazione di potere nei confronti di altri signori laici o ecclesiastici.
L’ESPANSIONE DI CLUNY IN EUROPA E IN ITALIA Durante il secolo X Cluny diviene una ‘seconda Roma’ nel cuore dell’Europa, grazie al grandioso
sviluppo architettonico del monastero e della sua basilica (consacrata nel 981 con la riposizione
di alcune reliquie degli Apostoli Pietro e Paolo), mentre l’estensione del privilegio dell’esenzione
a tutti i monasteri ad essa legati, dovunque si trovino, dà vita ad una rete di abbazie e priorati
dipendenti dall’abbazia borgognona e dal suo abate: un vero e proprio ordine religioso che ha in
Cluny il suo centro e il suo cuore. Quella che viene chiamata la ecclesia cluniacensis si diffonde
anzitutto in Borgogna, Alvernia, Provenza, quindi anche in Italia, lungo le grandi vie di pellegri-
naggio conducenti a Roma, a partire dall’epoca dell’abate san Maiolo (954-994). Dopo il primo
monastero italiano, fondato a Pavia nel 967, è soprattutto l’ultimo venticinquennio dell’XI secolo
che, tra 1076 e 1095, vede la nascita di oltre cinquanta monasteri cluniacensi nel territorio delle
attuali Lombardia e Piemonte orientale: singoli personaggi o famiglie dell’aristocrazia gareggiano
nel favorire la nascita di nuove fondazioni religiose in cui si viva con la regola seguita a Cluny.
Hanno così origine S.Maria a Laveno , S.Valeriano a Robbio, S.Giovanni a Vertemate, S.Maria di
Calvenzano a Vizzolo Predabissi, S.Giacomo a Pontida, senza tralasciare i priorati di Figina a
Galbiate, di Cernobbio, di Zello a Lodi Vecchio, o di Arlate. Nel frattempo Cluny si espande anche
nella Francia settentrionale, in Gran Bretagna ed in Spagna. Alla fi ne del secolo XI, sotto l’abate
Ugo di Semur, Cluny è una vera e propria potenza europea
San Pietro in Castello, abside centrale,
particolare della cornice ad archetti pensili
��IONE MONASTICAel suo fondatore, Guglielmo il Pio, l’abate di Cluny e i suoi
ualunque forma di soggezione a poteri tanto laici quanto eccle-
questa eccezionale libertà, Guglielo il Pio invocava gli
o. Questa disposizione conferisce al nuovo monastero
di tante altre comunità monastiche del tempo: era
nefattori di un monastero si riservassero su di esso
’elezione degli abati o dei priori, o di curare gli affari
obio) che fi nivano col condizionarne pesantemente la vita
ne di potere nei confronti di altri signori laici o e
CLUNY IN EUROPA E IN ITAdiviene una ‘seconda Roma’ nel cuore dell’Europa, grazie al grandio
monastero e della sua basilica (consacrata nel 981 con la riposizione
stensione del privilegio dell’esenzione
à vita ad una rete di abbazie e priorati
vero e proprio
chiamata la ecclesia clunia
ndi anche in Italia, lungo le grandi
oca dell’abate san Maiolo (954-994). Do
soprattutto l’ultimo venticinquennio dell’XI secolo
acensi nel territorio delle
dell’aristocrazia gareggiano
n la regola seguita a Cluny.
nni a Vertemate, S.Maria di
ciare i priorati di Figina a
mpo Cluny si espande anche
ne del secolo XI, sotto l’abate
8
La potente abbazia borgognona utilizzò i beni
ricevuti dai Pombia per la fondazione e la do-
tazione di un nuovo insediamento monastico: il
priorato di San Pietro, che sorse presso l’abitato
dell’attuale Castelletto Cervo (ora in provincia di
Biella) prima del 1095.
I possessi del priorato di Castelletto nel territorio di CarpignanoI possessi del priorato di Castelletto, già consi-
stenti, crebbero ulteriormente nel 1140 o 1141,
quando papa Innocenzo II stabilì che gli fosse ag-
gregata anche la chiesa di San Pietro nel castello
di Carpignano, que beati petri iuris existit, ossia
che fi no a quel momento era stata soggetta alla
giurisdizione diretta della Sede Romana. La chie-
sa di Carpignano, che già godeva dell’esenzione
‘romana’, passava da allora sotto quella monastica cluniacense: con molta verosimiglianza l’intenzio-
ne del pontefi ce e di chi ne aveva sollecitato la donazione nel 1140-1141 (forse i conti di Biandrate, o
forse lo stesso priore di Castelletto) era di mantenerla nella sua funzione di centro di diff usione della
riforma della chiesa, ora sotto la protezione dell’immunità di cui si avvantaggiavano tutte le dipenden-
ze cluniacensi, al riparo da condizionamenti e impedimenti che potessero venirle dal mondo dei po-
teri laici. Da allora dunque San Pietro di Carpignano entra nell’orbita di Cluny.Una bolla sottoscritta
da papa Lucio III nel settembre 1184 a Verona, destinata al priore Guglielmo di Castelletto Cervo,
contiene il lungo elenco delle località, delle chiese e dei beni annessi al priorato. Da essa ricaviamo la
consistenza della presenza cluniacense a Carpignano. Il monastero di Castelletto, infatti, vi possede-
va anzitutto la chiesa di San Pietro in castello con tutte le sue pertinenze, quindi la chiesa a servizio
degli abitanti del villaggio (la futura parrocchiale di Santa Maria Assunta), la chiesa di Santa Maria
de Olgieto (attualmente nota come Santa Maria di Lebbia, sulla vecchia strada Biandrina, a Nord del
paese), la chiesa di Sant’Agata de Messa (oggi l’oratorio di Sant’Agata, ad Ovest del paese verso il
Sesia) e alcuni poderi. I monaci benedettini cluniacensi, in virtù del provvedimento di Innocenzo II,
guidavano e controllavano dunque la vita religiosa di Carpignano, offi ciandone le chiese principali, e
gran parte di quella economica, attraverso le consistenti pertinenze fondiarie annesse.
Giova ricordare che dal 1171 al 1195 fu vescovo di Novara Bonifacio, di cui sono documentati una
serie di interventi di riforma del clero e delle strutture della chiesa novarese, in consonanza con le
iniziative dei pontefi ci.
Uno degli interventi di Bonifacio riguarda probabilmente il sacerdote cui spettava l’offi ciatura della
chiesa di San Pietro di Carpignano, il quale si riteneva svincolato dall’obbedienza promessa al suo
vescovo al momento dell’ordinazione sacerdotale, adducendo il motivo che la chiesa che offi ciava
pagava un censo alla Sede Romana e perciò unicamente da quella avrebbe dovuto dipendere.
Abstract 4:
The priory of Castelleto Cervo was instituted between 1083 and 1087 by Count Guido di Pombia
who donated to Cluny diff erent of his properties situated in the areas of Novara, Vercelli and
Valsesia. In 1184 the priory owned San Pietro church in Carpignano Sesia (1140-1141), the
Parish church and the S. Maria de Olgieto and S. Agata de Messa churches.
San Pietro in Castello, facciata
9
5 - Castelletto Cervo
e San Pietro di Carpignano
nel basso medioevo
Nel corso del ‘200 le relazioni delle ispezioni periodiche fatte ai singoli monasteri e priorati da
inviati dell’abate di Cluny, documentano lunghi e ricorrenti periodi di grave crisi per il priorato di
Castelletto.
Dopo aver subito molto probabilmente conseguenze negative già negli anni del contrasto tra la fa-
zione guelfa e l’imperatore Federico II di Svevia, in cui dovette essere stato coinvolto come altri
insediamenti cluniacensi italiani, Castelletto verso il 1280 si trovava ad aver ipotecato gran parte dei
suoi beni fondiari, i suoi monaci non praticavano più la vita comune, anzi, vivevano al di fuori di
ogni regola, ed il monastero stesso cadeva in rovina.
Alla fi ne di quel secolo Matteo Visconti, capitano del popolo di Milano e di Novara, aveva imposto
come priore un uomo assai corrotto nell’amministrazione, ma da lui protetto, tanto che neppure i
defi nitori incaricati direttamente da Cluny osarono intervenire direttamente per risanare la situazio-
ne ormai disperata in cui il cenobio era precipitato.
Nei decenni successivi, inoltre, le guerre tra i Visconti e le città guelfe della pianura padana impedi-
rono la rinascita delle case cluniacensi di tutta la regione. San Pietro di Carpignano fu inevitabilmen-
LE DIPENDENZE DEL PRIORATO DI CASTELLETTO NEL 1184 La bolla papale del 1184 testimonia la consistenza delle dipendenze di Castelletto Cervo nel mo-
mento della sua massima espansione. A Castelletto, oltre al monastero, il priorato possedeva tre
chiese (S.Quirico, S. Maria e S.Tommaso).
Nei dintorni e nell’alta pianura vercellese deteneva a Buronzo poderi e diritti su chiese, altri poderi
a Casanova Elvo e Quinto Vercellese (dove possedeva pure la chiesa del castello), a Formigliana la
chiesa di S.Maria, a Valdengo la chiesa di S.Andrea, a Greggio la chiesa di S.Stefano, alcuni poderi
e una ‘braida’ (una brughiera destinata al pascolo); altri poderi, parti delle decime e la chiesa di
S.Desiderio a Ghislarengo, la chiesa di S.Sebastiano di Rado (presso Gattinara), due chiese (di
S.Salvatore e del castello) a Casalrosso. Più Nord e ad Ovest, i possessi di Castelletto giungevano
a Roppolo (chiesa di S.Martino di Salomone), mentre nei dintorni di Moncalvo comprendevano la
chiesa dei Ss.Maria e Paolo di Narzo. In terra novarese dipendevano da Castelletto alcuni poderi
in Sillavengo e Carpignano (oltre le chiese già ricordate).
In Valsesia erano ubicati gli importanti poderi di Varallo, Foresto, Doccio, Roccapietra; la chiesa di
S.Pietro a Parone e quella di S.Dionigi a Locarno; ma soprattutto gli alpeggi di Otro e Mud, con altri
alle pendici del Monte Rosa, che garantivano il pascolo estivo del bestiame con la transumanza.
Nel Vergante ad Invorio la chiesa di S. Pietro in monte (molto probabilmente nell’attuale cascina
Cévola) e quella del castello (oggi S.Maria del Castello). Ad Ornavasso, infi ne, una chiesa.
Già dal 1127 il priorato di Castelletto aveva dato vita a due altri priorati autonomi, S.Vitale di
Occimiano e S.Benedetto di Conzano, grazie ad una cospicua donazione fondiaria da parte del
marchese Oberto di Occimiano.
��ENZE DEL PRIORATO DI CASTELLETTO NEL 1184el 1184 testimonia la consistenza delle dipendenze di Castelletto Cervo n
a sua massima espansione. A Castelletto, oltre al monastero, il priorato possed
se (S.Quirico, S. Maria e S.Tommaso).
dintorni e nell’alta pianura vercellese deteneva a Buronzo poderi e diritti su chiese, altri poderi
Casanova Elvo e Quinto Vercellese (dove possedeva pure la chiesa del castello), a Formigliana la
esa di S.Maria, a Valdengo la chiesa di S.Andrea, a Greggio la chiesa di S.Stefano, alcuni poderi
ra destinata al pascolo); altri poderi, parti delle decime e la chiesa di
la chiesa di S.Sebastiano di Rado (presso Gattinara), due chiese (di
ello) a Casalrosso. Più Nord e ad Ovest, i possessi di Castelletto giungevano
di S.Martino di Salomone), mentre nei dintorni di Moncalvo comprendevano
ria e Paolo di Narzo. In terra novarese dipendevano da Castelletto alcuni poder
hiese già ricordate).
ti poderi di Varallo, Foresto, Doccio, Roccapietra; la chiesa di
gi a Locarno; ma soprattutto gli alpeggi di Otro e Mud, con altri
antivano il pascolo estivo del bestiame con la transumanza.
S. Pietr molto probabilmente nell’at(
S.Maria del Castello). Ad Ornavasso, infi ne, una c
a due a
spicua
��no no
fatte ai singoli monasteri e priorati dafatte ai singoli monasteri e priorati da
i periodi di grave crisi per il priorato di periodi di grave crisi per il priorato di
ive già negli anni del contrasto tra la fa-negli anni del contrasto tra la fa-
ovette essere stato coinvolto come altri ssere stato coinvolto come altri
trovava ad aver ipotecato gran parte dei potecato gran parte dei
ta comune, anzi, vivevano al di fuori di vivevano al di fuori di
10
te coinvolto nella inesorabile decadenza di Castelletto, sua ‘casa madre’.
Nel 1245, tuttavia, fu benefi cato da un lascito di Lanfranco da Momo, un canonico della basilica
di San Giulio sul Lago d’Orta, che, dopo aver lasciato a Castelletto una rendita di 10 soldi ogni
anno per provvederlo di paramenti sacri, ed un turibolo d’argento, destinava pure a San Pietro di
Carpignano una somma di denaro e quattro moggi vercellesi di fagioli ogni anno per soccorrere i
poveri del villaggio.
Per quanto riguarda il secolo XIV, sappiamo che nel 1328 priore e monaci lasciarono Castelletto a
motivo delle guerre che martoriavano quei paraggi, per trasferirsi per qualche anno in grangia sua de Carpiniano, cioè nella loro grangia di Carpignano, più sicura perché posta all’interno del recinto
murato del castello.
Due anni dopo, anzi, il priore spese oltre 200 fi orini per restaurare gli edifi ci monastici carpignanesi:
quegli interventi dovettero interessare in modo particolare la navata sinistra della chiesa, al di sopra
della quale fu creato un ambiente di collegamento con le costruzioni adiacenti.
Nella rimanente parte del secolo, dopo un momento di ripresa verso il 1350, nuove prolungate
guerre (questa volta tra i Visconti e i marchesi del Monferrato) insanguinarono e devastarono il No-
varese e il Vercellese: insieme con altre località vicine, anche Carpignano e il suo castello subirono
devastazioni attorno al 1360. Cluny stessa, proprio in quegli anni, perdette ogni speranza di poter
riformare le sue case lombarde e piemontesi e, nei fatti, le abbandonò al loro destino.
Abstract 5:
During the 13th and 14th centuries the priory of Castelletto Cervo suff ered great damages
from the numerous battles fought between the local lords. Frequently (just like it happened in
1328) the prior and the monks would abandon the priory to seek refuge inside the grange which
stood next to San Pietro church in Carpignano, defended by the castle’s walls. Therefore the
edifi ce was reconstructed. From the late 1300’s, subsequently to its decline, Cluny abandoned
its numerous Italian monasteries.
6 - L’amministrazione
degli abati commendatari
Come numerosissime altre abbazie e monasteri d’Europa, fra ‘300 e ‘400 anche Castelletto Cervo,
ormai priva di monaci residenti, venne assoggettata al regime amministrativo della cosiddetta ‘com-
menda’: in base ad essa, la gestione temporale dei beni monastici veniva affi data (commendata, donde
il nome) ad un ecclesiastico che, col titolo di ‘abate commendatario’, avrebbe dovuto averne cura. Nei
fatti, tuttavia, questi non prendeva residenza nel monastero, ma ne esercitava in qualche modo l’ammi-
nistrazione a distanza, limitandosi il più delle volte a percepirne le rendite e delegando ogni intervento
ad un suo agente (in pratica un fattore) locale.
Dei primi abati commendatari di Castelletto e di Carpignano non sappiamo nulla. Per il ‘400 si suppo-
ne che abbiano rivestito questa carica ecclesiastici appartenenti alla famiglie nobili novaresi dei Della
Porta e dei Caccia: gli stemmi di questi casati erano infatti aff rescati sulla facciata del San Pietro di
Carpignano, come documentano vecchie fotografi e e come ancora oggi è in parte visibile.
In particolare, il cardinal Ardicino Della Porta nel 1489 ebbe la commenda del monastero di San Sila-
no di Romagnano Sesia, ed è probabile che abbia esercitato anche quella di Carpignano e Castelletto.
11
La commenda di Castelletto Cervo e di
Carpignano fu soppressa soltanto nel 1771
da papa Clemente XIV, su richiesta di Car-
lo Emanuele di Savoia, re di Sardegna, ed i
beni immobili furono inglobati allora nella
neo-costituita mensa vescovile della dioce-
si di Biella, cui appartennero per circa un
secolo. Dei vari commendatari succedutisi
nel tempo restava memoria in alcuni stem-
mi aff rescati sulle pareti esterne degli edifi ci
annessi al San Pietro di Carpignano, oggi
purtroppo in gran parte deteriorati al punto
da non essere più decifrabili.
Abstract 6:
Between the 14th and 15th centuries
diff erent monasteries which had been
abandoned by the monks were entrusted
to the lay abbots. Even in Castelletto
Cervo and Carpignano there is
documented evidence of lay abbots up to
the 18th century. In 1771 the properties
of Castelletto’s prior were included in the
prebends of the bishop of Biella.
��GLI ABATI COMMENDATARI CONOSCIUTI DI CASTELLETTO E DI CARPIGNANO Secolo XV:
Della Porta di Novara (Ardicino?)
Caccia (di Novara)
Secolo XVI:
1558: mons.Pietro Begiami di Vercelli, dei signori di Cavallerleone e di Santalbano
1590, 1597: rev.Giovanni Battista Tettoni, canonico di San Gaudenzio di Novara
Secolo XVII:
1611: cardinal Leni (di Modena?)
dal 1627 circa: cardinal Fabrizio Verospi, di Roma
cardinal Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII
1639, 1654: cardinal Lorenzo Raggi, patrizio genovese
1660-1681 circa: rev.Giovan Battista Cermenati, milanese
dal 1683: cardinal Giovan Francesco Ginetti, di Velletri
secolo XVIII:
1711: abate Giovan Battista Marcello Riccardi, torinese
1761: cardinal Carlo Alberto Guidobono Cavalchini, tortonese
San Pietro in Castello,interno
12
7 - Le condizioni
materiali
del San Pietro
in età moderna
A partire dagli ultimi anni del ‘500 le relazioni
delle visite pastorali compiute periodicamente dai
vescovi novaresi costituiscono una fonte preziosa
per conoscere le condizioni materiali degli edifici
sacri di tutta la diocesi.
Anche il San Pietro di Carpignano, benchè legato
dapprima alla commenda di Castelletto Cervo e
poi alla mensa vescovile biellese, fu regolarmente
visitato fino ai primi decenni dell’800.
Nel 1590 e nel 1597 la chiesa di San Pietro, in cui
si celebrava la messa quattro volte la settimana, era
coperta in tutte e tre le navate da soffitti lignei a
cassettoni (opere laqueato), gli affreschi dell’absi-
de centrale erano ancora ben visibili e un piccolo
campanile sovrastava la facciata.
All’inizio del ‘600 risale l’apertura delle due fine-
stre rettangolari nell’abside maggiore, come ampliamento delle due preesistenti monofore ro-
maniche.
Nel corso del secolo si annota più volte l’abbandono in cui versava l’edificio, con i soffitti in
rovina, la mancanza di suppellettili sacre, e le pareti annerite dall’umidità e dalla polvere.
Nel 1663 il vescovo cardinal Ferdinando Taverna diede ordine di scancellare le pitture nel choro rese indecenti: fortunatamente la disposizione non fu eseguita, ma ci si limitò ad imbiancare a
calce gli splendidi affreschi, che in tal modo sono giunti fino ad oggi.
Una relazione scritta dal parroco di Carpignano nel 1794 ci informa che le due navate laterali,
che in precedenza presentavano soffitti in legno, risultavano coperte a volte appena basse, men-
tre un suolo di assi coperto a tela e dipinto sovrastava la navata centrale.
Dallo strato di calce affioravano le tracce di antichissime pitture, ignote di nome e di fatto, sulla
facciata si innalzava ancora il campaniletto, privo però di campana; la chiesa, non più officiata,
era occupata da vasi vinarij de’ fittabili di detta Mensa (la mensa vescovile biellese). Nel 1820
l’edificio sacro era da tempo convertito in usi rustici, non si sa con quale autorità.
Abstract 7:
The documents which were edited during the pastoral visits of the bishops of Novara testify the
conditions of San Pietro church in Carpignano between the 16th and 18th centuries.
The edifi ce was apparently abandoned and between the 18th and 19th centuries it was used as
a warehouse by the tenants of Biella’s bishop-prebends.
San Pietro in Castello, navatella Sud, volta
della quarta campata (inizio del sec.XI)
13
8 - L’Ottocento
e la laicizzazione
La chiesa di San Pietro in età moderna risulta dotata
di un cospicuo patrimonio di beni fondiari, che forse
le erano stati assegnati fi n dal secolo XI (quando fu
donata alla Sede Romana) o XII (in occasione della
sua assegnazione al priorato di Castelletto).
Nella bolla di papa Lucio III del 1184 si parla sinte-
ticamente di pertinentie, cioè ‘dipendenze’, annesse
alla nostra chiesa e a quelle di Santa Maria de Olgieto
(ora Santa Maria di Lebbia) e di Sant’Agata e alla par-
rocchiale. Dalla metà del ‘500 si hanno invece infor-
mazioni più precise sulla dote terriera del San Pietro,
che nel 1553 risulta formata da 116 appezzamenti
posti in territorio di Carpignano, per un totale di
circa 2500 pertiche di superfi cie (la pertica novarese
misura 7,665 are), per la maggior parte seminati a ce-
reali, in parte minore prati e in minima parte vigneti.
A questi si aggiungevano 125 pertiche di terreni in
territorio di Ghemme (tra cui 21 pertiche a vigneto) e
minori estensioni di coltivi nei territori di Fara, Sizza-
no e Sillavengo. Alla fi ne del ‘700, dopo quasi quattro
secoli di amministrazione commendataria e ripetute alienazioni, il patrimonio fondiario era ridotto
a sole 1382 pertiche.
Nell’agosto 1867 il ministro Rattazzi ottenne l’approvazione della Legge per la liquidazione dell’asse ecclesiastico, in conseguenza della quale vennero espropriati a favore dello stato italiano i beni immo-
bili di tutti gli enti ecclesiastici non più adibiti a fi nalità di culto o di assistenza. Anche gli edifi ci e i
terreni del San Pietro di Carpignano subirono questa sorte e, nel 1871, vennero così venduti all’asta
92 appezzamenti (per un totale di circa 103 ettari di campi, prati e boschi), che fruttarono alla casse
del Regno d’Italia 181.769 lire.
Assieme agli immobili, fu messa all’asta anche la vetusta chiesa di San Pietro in Castello. Gli acqui-
renti, dopo averla destinata per qualche anno a sala per banchetti, procedettero al frazionamento
della proprietà e così l’interno dell’edifi cio sacro venne suddiviso, mediante tramezzi, in locali uti-
lizzati come cantine, depositi e granai. Al di sopra dell’absidìola settentrionale fu costruito il locale
ancora esistente, che servì anche da modesta abitazione, servito un tempo da una scala in legno
esterna. L’operazione comportò anche l’apertura delle numerose porte d’accesso che ancor oggi si
vedono lungo le tre absidi e la parete laterale nord.
Abstract 8:
In 1867 the Kingdom of Italy requisitioned the properties which no longer served religious
purposes belonging to ecclesiastic authorities, among which we fi nd the former-prior of
Castelletto whose contents were sold by auction in 1871. San Pietro church was shared out to
diff erent purchasers who partitioned it, turning its spaces into cellars and warehouses.
San Pietro in Castello, abside centrale,
interno, veduta d’insieme
14
9 - Il Novecento: la riscoperta
Tenuta come qualunque altra cantina (così si espresse nel 1926 il sindaco di Carpignano Sesia in
una risposta al Soprintendente che chiedeva notizie sulle condizioni della chiesa), San Pietro in
Castello non godette per più di un secolo di alcuna attenzione, al punto che i carpignanesi stessi ne
ignoravano molto spesso il valore storico ed artistico, se non addirittura l’esistenza.
La sua riscoperta, ad oltre cinquant’anni dalla riduzione ad usi profani, iniziò con gli studi di Pa-
olo Verzone (si veda il box a pagina 15), il quale già nel 1928 individuò nell’ultima campata della
navatella meridionale l’unica parte superstite delle volte dell’XI secolo e la segnalò come uno degli
esempi più antichi di volte a crociera in Italia settentrionale.
Lo studioso al San Pietro di Carpignano dedicò nel 1936 un’ampia scheda che si può considerare il
primo studio organico sul monumento.
Dopo avere presentato una descrizione della chiesa e aver radunato le poche notizie storiche di-
sponibili allora, Verzone concludeva il suo intervento con le parole seguenti, dure ma rispondenti
purtroppo a verità: La chiesa è ormai sconsacrata: i vani in cui è suddivisa sono utilizzati come ma-gazzini o cantine, e quindi per la macanza di aria e di luce appaiono gonfi , neri e coperti di muff a in condizioni da far pietà. Pare, da quanto mi fu riferito, che l’edifi cio sia passato nelle mani di privati in seguito alle leggi di incamerazione dei beni ecclesiastici e che per qualche anno sia servito come magazzino e locale per riunioni e banchetti (!) fi nchè verso il 1875 fu tramezzato e ridotto nelle attuali pietose condizioni che suonano vergogna al paese di Carpignano.
Furono forse le pagine dello studioso vercellese a spingere nell’agosto 1945 il Comitato di Libera-
zione Nazionale carpignanese a richiedere alla Soprintendenza regionale di ripristinare architettoni-
camente e funzionalmente la chiesa per degnamente ed in modo duraturo esprimere la riconoscenza a tutti coloro che alla liberazione hanno concorso e collaborato, piuttosto che erigere nuovi monumenti. Il desiderio, veramente encomiabile, rimase però irrealizzato.
A distanza di alcuni decenni dagli studi del Verzone, e dopo interventi sporadici di altri impor-
tanti studiosi (quali Puig I Cadafalch nel 1930, Baroni nel 1952, Arslan nel 1954), una seconda
signifi cativa tappa nella riscoperta del nostro monumento è lo studio che gli dedicò Maria Laura
Gavazzoli in occasione della mostra Novara e la sua terra nei secoli XI-XII, tenutasi nel capolugo
di provincia nel 1980. La studiosa
fornì per la prima volta un’analisi
organica dell’architettura dell’edi-
fi cio (nelle condizioni in cui si pre-
sentava allora, identiche a quelle
riscontrate dal Verzone) e radunò
la documentazione archivistica di-
sponibile, soprattutto gli atti delle
visite pastorali dei vescovi novare-
si. Per quanto riguarda le vicende
costruttive, confermò la datazione
San Pietro in Castello, abside centrale,
affreschi del semicatino (sec.XII): Cristo
in trono, Pietro, la ‘mater ecclesia’
15
��dell’edifi cio ai primi decenni dopo il Mille e comunque prima del terzo quarto del secolo XI.
A partire dagli anni 1980 anche a Carpignano fi nalmente si risvegliava l’interesse attorno al mo-
numento, grazie alle attività, agli studi e alle pubblicazioni promossi dalla Associazione Storica
Archeologica Carpignanese. Come conseguenza di questa rinnovata attenzione, l’amministrazione
comunale di Carpignano Sesia in quegli anni avviava la laboriosa acquisizione dell’immobile in tutte
le sue parti, premessa indispensabile al suo restauro che si sarebbe svolto negli ultimi anni del ‘900
sotto la guida della Soprintendenza ai Beni Architettonici, Artistici ed Ambientali del Piemonte.
Nel frattempo due convegni di studi, presieduti il primo nel 1993 da Aldo A.Settia ed il secondo nel
2003 da Franca Tonella Regis, mettevano in luce le vicende storiche ed artistiche della chiesa e del
complesso del castello in cui è inserita.
L’intervento di Maria Laura Gavazzoli sul ciclo pittorico del San Pietro, tenuto in occasione del
secondo convegno e successivamente edito nella prestigiosa rivista scientifi ca "Arte medievale",
forniva infi ne un contributo determinante per l’impostazione e il chiarimento di molti problemi
e interrogativi legati ai temi sviluppati negli aff reschi, al contesto storico e culturale in cui furono
presumibilmente eseguiti nonché agli aspetti iconografi ci ad essi connessi.
Gli aff reschi del San Pietro guadagnavano così fi nalmente il posto che loro compete, accanto ad altri
già noti cicli del medioevo novarese (come il Battistero e la cappella di San Siro presso il Duomo di
Novara, gli oratori di San Tommaso a Briga Novarese e di San Remigio a Pallanza).
Abstract 9:
It is only thanks to the research held out by the architect Paolo Verzone (1928 and 1936) that
San Pietro church in Carpignano was rediscovered, becoming popular among scholars. Other
studies were held in 1980. Meanwhile, the Municipality of Carpignano Sesia bought the church
and promoted its refurbishment which brought to light some beautiful frescoes in the apse, later
studied by Maria Laura Gavazzoli.
PAOLO VERZONE E LA RISCOPERTA DEL ROMANICO NOVARESE
Paolo Verzone, nato nel 1902 a Vercelli e laureatosi in ingegneria civile a Torino nel 1925, dal 1942
fu docente al Politecnico del capoluogo piemontese, ottenendo dapprima la cattedra di Caratteri
Stilistici e Costruttivi dei Monumenti, poi quelle di Storia dell’Arte, di Storia e Stili dell’Architettura
e di Restauro dei Monumenti. Dal 1952 fu anche docente ordinario di Storia dell’Architettura
all’Università Tecnica di Istanbul. A partire nel 1957 fondò e diresse la Missione Archeologica Ita-
liana in Turchia, con la quale condusse importanti campagne di scavo nel sito romano e paleocri-
stiano di Hierapolis. Gli studi di Verzone, oltre al romanico padano (in particolare quello vercellese
e novarese, sui quali elaborò i primi repertori esaustivi, frutto di campagne di ricerca condotte
‘a tappeto’ sul territorio), approfondirono anche in modo particolare l’arte e l’architettura tardo-
antica, romana e bizantina e dell’Asia Minore. Lo studioso si spense nel 1986.
La sua serie di articoli su L’architettura romanica nel Novarese, corredata di fotografi e e tavole
che oggi rivestono particolare valore documentario, comparve sui numeri del "Bollettino Storico
della Provincia di Novara" editi dal 1932 al 1937, e costituisce su questo argomento la prima
rassegna condotta con metodo scientifi co che ambisca ad essere il più possibile completa.
16
10 - L’architettura del San Pietro
L’esternoLa chiesa di San Pietro in castello si presenta come un edifi cio sacro a pianta basilicale, con tre nava-
te disposte con orientamento da Est ad Ovest. Sul lato orientale, prospiciente sul Vicolo Carducci, si
vedono le tre absidi, di cui la centrale e maggiore ha conservato quasi integralmente la sua struttura
architettonica originaria, se si escludono l’ampliamento delle due fi nestre (eseguito nel sec.XVII) e
l’apertura di una porta che dà sull’esterno (eseguita negli ultimi decenni del sec.XIX).
L’abside maggiore presenta la superfi cie esterna scandita, mediante lesene in muratura, in sette spec-
chiature, coronate nella parte superiore da coppie di archetti pensili realizzati con frammenti laterizi
e sorretti da mensoline sagomate pure in laterizio.
Ad un terzo dell’altezza, a circa m 1,90 dal suolo, si nota che la muratura delle specchiature, inferior-
mente curvilinea, riduce la propria curvatura facendosi tendenzialmente più piatta, tanto che la cor-
nice sotto la gronda del tetto fi nisce coll’assumere un andamento poligonale, anziché semicircolare.
Senza ultreriori dettagli, nel 1936 Paolo Verzone defi nì direttamente poligonale la superfi cie esterna
dell’abside centrale. Anche la composizione della muratura varia sensibilmente in corrispondenza
del passaggio tra la sezione più bassa, semicircolare, e quella mediana e superiore, a specchiature
piatte: i laterizi, piuttosto abbondanti nella zona inferiore, sono pressochè assenti nel resto della pa-
rete, quasi interamente realizzata in ciottoli, e ricompaiono unicamente negli archetti e nella cornice
di coronamento e in qualche breve tratto di muratura a spina pesce ottenuto con frammenti di tego-
le. La sostituzione della muratura mista di ciottoli e laterizi con quella di solo pietrame, così come
la riduzione della curvatura della parete, sono forse i segni di una interruzione e di una ripresa nel
cantiere della costruzione.
Le due absidi minori hanno entrambe perduto
il loro coronamento formato da archetti pensili e
cornice soprastante; quella a Nord è stata soprae-
levata a fi ne ‘800 con un ambiente che, a memoria
d’uomo, fu utilizzato anche come abitazione, ser-
vita in passato da una scala esterna con ballatoio
in legno.
Al di sopra dell’abside maggiore, la muratura
esterna del cleristorio, con le due fi nestre di forma
orbiculare, è frutto di una ricostruzione avvenuta
tra ‘200 e ‘300. L’impiego di ciottoli nella mura-
tura è minimo, vi prevale nettamente il mattone,
disposto in corsi regolari e sagomato opportuna-
mente per realizzare le ghiere delle fi nestre e la
cornice a mensoline sotto il tetto. Analoghe carat-
teristiche presentano le pareti laterali del cleristo-
rio, visibili da terra soltanto in minima parte.
Delle due pareti laterali, soltanto quella a Nord è
visibile, sotto l’androne che immette nel cortile,
San Pietro in Castello, abside centrale, affreschi del
sottarco: scena marina (sec.XII), particolare
17
mentre quella a Sud dà su di uno
stretto cavedio completamente
racchiuso fra la chiesa e l’abitazio-
ne confi nante.
Il fi anco Nord, sotto l’androne che conduce al cortile, è scandito da sei lesene e conserva tracce
della cornice ad archetti pensili; la porta adiacente l’absidìola e quella tamponata tra la seconda e la
terza lesena furono aperte a fi ne ‘800, mentre quella in prossimità dello spigolo di facciata presenta
caratteri più antichi, forse seicenteschi.
Sul cortile interno, un tempo circondato dagli edifi ci della grangia monastica (di cui restano ancora
parti antiche), prospetta la facciata della chiesa. La casa, già residenza del fattore, sul lato meridio-
nale del cortile, addossandosi alla facciata, ne ha occultato la parte corrispondente alla navatella
meridionale, mentre quella corrispondente alla navatella opposta risulta sopraelevata col prolunga-
mento del loggiato settecentesco adiacente. Soltanto la porzione centrale ha perciò mantenuto la sua
fi sionomia originaria, sebbene modifi cata al centro dall’apertura della grande fi nestra circolare (del
sec.XV) e nella parte superiore dalla ricostruzione due-trecentesca, chiusa da una cornice a menso-
line in laterizio. La muratura di facciata si presenta spoglia di qualunque altro elemento decorativo:
cornici ad archetti pensili, probabilmente presenti in antico, devono essere andate distrutte. Al di
sopra del portale (ampliato tra ‘800 e ‘900) si intravvede, aff rescato, lo stemma quattrocentesco dei
nobili novaresi Della Porta. Gli spigoli ancora visibili della facciata sono rinforzati in più punti da
grossi conci parallelepipedi in pietra.
Nella sua porzione superiore destra, dove si congiunge all’abitazione adiacente, il muro di facciata
presenta impresse sull’intonaco tracce di una decorazione a specchiature rettangolari, probabilmen-
te da riferirsi alla presenza di un soprastante campaniletto a vela, documentato nel sec.XVII e poi
demolito.
L’internoLa navata centrale della chiesa comunica con le due laterali mediante quattro arcate a tutto sesto
su ogni lato, sorrette da massicci pilastri in muratura a base quadrangolare. L’assenza di basi e
di capitelli, così come di qualunque altro elemento plastico decorativo, conferisce all’insieme un
carattere di rude e severa semplicità. Due sono però le incongruenze che immediatamente si im-
pongono all’osservatore. Innanzitutto, alzando lo sguardo verso la copertura a capriate, si nota la
netta interruzione delle murature e delle lesene dei pilastri della navata centrale in corrispondenza
di una sottile cornice in mattoni a circa due metri sotto il soffi tto, al di sopra della quale scompaiono
le lesene e le mura stesse si fanno più sottili e più regolari nella loro verticalità. Come si è detto tutta
la parte superiore della navata centrale con la relativa copertura, infatti, ha subìto una ricostruzione
in età gotica, ben visibile anche dall’esterno. La seconda incongruenza è data dalla diversa struttura
dei pilastri. Mentre infatti i tre del lato destro presentano tutti una struttura a fascio, che sembra
predisposta in vista della costruzione di archi trasversali e di volte a crociera, sul lato sinistro tale
struttura manca totalmente ai primi due ed è presente soltanto nell’ultimo.
Pare logico dover concludere, col Verzone, che in una prima fase la costruzione fu prevista con vol-
San Pietro in Castello,
abside centrale,
affreschi del tamburo (sec.XII):
gli Apostoli Paolo,
Pietro e Giovanni
18 ����
te a crociera, mentre (probabilmente dopo
un’interruzione) essa fu poi condotta a ter-
mine in forma più semplice, rinunciando alle
volte in favore di una soluzione tecnicamente
meno impegnativa e fi nanziariamente meno
costosa, come una soffi ttatura in legno o ad-
dirittura il tetto a vista. Le due navatelle la-
terali si presentano coperte in gran parte da
volte di epoca barocca, ma già Paolo Verzo-
ne aveva individuato quella dell’ultima cam-
pata della navatella Sud come un esempio
fra i più precoci di volta a crociera nell’Italia
settentrionale, risalente ai primi decenni del
secolo XI. Va infi ne rilevata l’irregolarità evi-
dente nella pianta dell’edifi cio sacro: il fi anco della navatella meridionale, infatti, a partire dall’arco
fra la seconda e la terza campata, diverge notevolmente verso l’esterno (la stessa navatella, che ha una
larghezza di m 1,82 all’interno della facciata, è larga m 2,61 all’attacco dell’absidìola). È diffi cile
spiegare le ragioni di tale irregolarità: essa può dipendere da condizionamenti del terreno o dovuti
ad edifi ci già presenti a lato della chiesa, o ancora potrebbe spiegarsi ipotizzando che le due ultime
campate e l’absidìola della navatella Sud costituissero un oratorio incorporato poi nella chiesa a tre
navate in costruzione. Certamente non sembra dovuto a pura e semplice imperizia dei costruttori. Va
ricordato che, in genere, la pianta delle chiese romaniche evita volutamente l’assoluta regolarità e la
perfezione, considerate qualità che distinguono la divinità, perciò non usurpabili dall’uomo.
Abstract 10:
San Pietro church presents three naves and three apses directed eastwards of which only the
central one has remained uncontaminated, maintaining its pilaster strips and Romanesque-
style blind decorative arcades. The upper part of the central nave was raised during the 13th-
14th centuries. The naves are divided by groined arches held up by imposing pillars: some of
them seem to have been built to support the lancet vaults which were supposed to decorate the
central nave (although they were never built). The only original 11th-century vault to have
survived is the one in the last span of the southern nave which presents a peculiar direction
in comparison to the church’s axe, probably because it belongs to an earlier chapel which was
incorporated into the church.
LE DIMENSIONI INTERNE DEL SAN PIETRO Lunghezza delle navate (absidi escluse): m 14.50
Larghezza totale lungo il muro di facciata: m 10.45
Larghezza totale lungo il lato absidale: m 11.40
Diametro dell’abside maggiore: m 4.20
Profondità dell’abside maggiore: m 2.50
Diametro delle absidi minori: m 2.60
San Pietro in Castello, abside centrale, affreschi del tamburo
(sec.XII): tre Apostoli
19����
��11 - Gli affreschi
dell’abside maggiore
I restauri condotti negli anni ’90 del secolo scorso sotto la guida
della Soprintendenza regionale ai Beni Artistici, hanno permes-
so la riscoperta e la valorizzazione dello splendido ciclo aff rescato
dell’abside maggiore, oltre che di altri brani pittorici presenti in altri
punti della chiesa.
Il grandioso insieme dell’abside maggiore (studiato puntualmente
da Maria Laura Gavazzoli, che ne ha proposto una datazione agli
anni 1140-1159) si presenta articolato in tre fasce sovrapposte, di-
stinte ma nello stesso tempo continue fra loro. I soggetti rappresen-
I VALORI SIMBOLICI E SPIRITUALI DELLO SPAZIO SACRO DEL SAN PIETRO Gli edifi ci sacri in ogni civiltà (dalla ziqqurat mesopotamica al tempio classico, dalla pagoda orien-
tale alla chiesa cristiana) assumono un signifi cato ‘cosmico’, cioè rimandano colla loro struttura
architettonica alla struttura mitica del cosmo. Questo è vero in particolare per la chiesa romanica,
nella quale si fondono forme geometriche, volumi e rimandi numerici di valore simbolico e di si-
gnifi cato spirituale. Le due forme geometriche di base sono il quadrato ed il cerchio, dalle quali
nascono i volumi del cubo (o del parallelepipedo) e della sfera (o del cilindro). Il primo simboleggia la
dimensione terrestre (basti pensare alle quattro stagioni dell’anno o alle quattro direzioni cardinali
dello spazio), mentre la seconda allude a quella celeste (l’orizzonte come linea curva apparente-
mente infi nita, o l’universo come sfera). In una chiesa romanica esse generano rispettivamente
le navate (che nelle loro strutture ortogonali ospitano i fedeli che vivono ‘nel mondo’) e le absidi,
semicilindriche e coronate da volte a quarto di sfera (sede dell’altare su cui si celebra il sacrifi cio
divino e universale della Messa). L’intera struttura è poi ‘orientata’, ossia edifi cata in modo da avere
verso Oriente le absidi e gli altari e da guidare in quella direzione lo sguardo dei fedeli: è evidente
in questo il simbolismo sacro della luce, immagine di Dio, in particolare del Cristo lux mundi. Ac-
canto a forme e volumi, anche i numeri, per antica tradizione risalente almeno a Pitagora di Samo,
comunicavano all’uomo medievale forti valori simbolici. Al quadrato può corrispondere il numero 4
(quello dei suoi lati), al cerchio il numero 3 (equivalente più o meno al coeffi ciente necessario per
ottenere dalla misura del diametro quella della circonferenza): se il 4 allude ancora alla vita terre-
stre (è il numero degli elementi fondamentali, aria acqua terra fuoco, ma anche degli Evangelisti che
annunciano sulla terra il messaggio cristiano), il 3 si riferisce alla divinità e al mondo spirituale (le
tre virtù teologali, le tre persone della Trinità cristiana). Sant’Agostino scrive che ‘il numero ternario
è in relazione con l’anima, quello quaternario col corpo’. Tre sono le navate della basilica romanica,
e generalmente (come nel San Pietro di Carpignano) quattro le campate di ciascuna: la somma dei
due numeri (che dà 7) o il loro prodotto (che è 12) designano in vari modi ‘l’unione dell’anima e del
corpo nella creatura umana oppure la Chiesa universale’ (Beigbeder).
San Pietro in Castello, abside centrale, velario (sec.XII):
combattimento tra il nobile e la fi era
20
tati rifl ettono solo parzialmente i temi più abituali nella decorazione
delle zone absidali di chiese romaniche, dove di norma si vedono la
gloria di Cristo in trono, i quattro esseri viventi o tetramorfo (leone,
toro, uomo e aquila, simboleggianti gli Evangelisti) alla sua base, pro-
feti ed angeli, infi ne gli Apostoli. Qui, infatti, il Cristo seduto su di un
trono ornato di gemme e pietre preziose non è affi ancato dal tetra-
morfo, ma da altre fi gure; non compaiono le gerarchie angeliche né
i profeti dell’Antico Testamento; vi è però il collegio degli Apostoli
nella fascia centrale. Nella presente sintetica illustrazione ci si soff er-
merà sugli aspetti fondamentali legati ai soggetti raffi gurati e alla loro
interpretazione, rinviando allo studio di Maria Laura Gavazzoli chi
fosse interessato a maggiori e più puntuali approfondimenti.
Il catino absidale e il sottarcoLa zona superiore, nel semicatino, si impone per la maestà e la solennità delle fi gure rappresentate,
le cui dimensioni sono superiori al naturale. Su di uno sfondo azzurro di lapislazzulo si staglia al
centro il Cristo (di proporzioni ancora più grandi rispetto alle altre fi gure) seduto su di un ricco tro-
no marmoreo intarsiato di pietre dure; ai suoi lati un vegliardo rivestito di una classica toga candida
e una fi gura femminile avvolta da un ampio mantello (il maphorion) che le copre il capo, le spalle
e le braccia tese verso il Cristo. Se il vegliardo è immediatamente riconoscibile come san Pietro,
grazie anche alle due chiavi che tiene nella mano destra, la fi gura femminile è interpretabile come
personifi cazione della Chiesa, attraverso l’immagine della Sposa di cui parla il biblico Cantico dei Cantici. Sono d’aiuto, in queste identifi cazioni, anche le parti ancora leggibili della scritta che corre
sulla cornice rossastra sottostante e che occupa alcune zone dello sfondo. La scena rappresentata
è con molta probabilità la restituzione, alla fi ne dei tempi, della chiavi e della Chiesa stessa (santa e immacolata, come aff erma san Paolo nella lettera agli Efesini) da Pietro (suo custode e patrono per
volontà divina) a Cristo (suo fondatore e capo), e non la consegna delle chiavi da Cristo a Pietro
(che sarà la più consueta nell’arte dei secoli seguenti). Il sottarco dell’abside maggiore raffi gura una
scena marina: nella parte Sud (destra per chi guarda) si vedono alcune fi gure di animali fantastici
(nei cui corpi si fondono parti di mammiferi e felini con parti di pesci e crostacei) e un barcaiolo
intento a condurre con un lungo remo una piccola imbarcazione; nella parte opposta (Nord, a sini-
stra per l’osservatore) compaiono invece, alternati con una sirena bicaudata e un pescatore armato
di fi ocina, pesci e crostacei dall’aspetto più naturalistico. Ad entrambe le estremità dell’arco sono
dipinti due bassi e larghi recipienti a forma di càntaro, dai quali illusionisticamente scaturiscono le
acque marine e le fi gure in esse contenute. È perduta la parte più alta della fascia, al centro dell’arco.
Problematica risulta l’interpretazione della scena: è forse allusiva al giudizio fi nale, se si considera
che alla destra del Cristo in trono dell’abside compaiono animali marini veri e credibili e alla sua
sinistra animali di aspetto mostruoso, i quali starebbero a signifi care rispettivamente i pesci buoni e
i pesci cattivi, ossia i salvati e i dannati. Al di sopra dell’abside centrale sulla parete si intravvedono
resti di aff reschi, danneggiati dall’apertura delle due fi nestre circolari e da cadute di intonaco, che
fanno pensare ad una scena di adorazione: vi erano forse rappresentati due angeli ai lati di una croce
centrale. Ugualmente frammentari e non più interpretabili sono gli aff reschi che occupavano le due
pareti della campata antistante l’abside, al di sopra degli archi laterali. Alla parete destra era forse
rappresentata la scena del martirio di Pietro e Paolo.
San Pietro in Castello, abside centrale, velario (sec.XII): testina di satiro
21
Gli Apostoli
Tornando all’abside maggiore, la fascia mediana degli aff reschi presenta invece la teoria degli Apo-
stoli. Ne sono visibili interamente soltanto nove. L’ampliamento delle fi nestre e l’apertura della porta
nella parete, tuttavia, hanno causato la distruzione probabilmente di una sola fi gura, perciò origi-
nariamente dovevano essere soltanto dieci, e non dodici come nella tradizione più diff usa. Tra di
loro si riconoscono con sicurezza al centro Pietro e Paolo, che tengono fra le mani e mostrano ai
fedeli una croce argentea, simbolo della salvezza, nel gesto di una ostensione solenne. Presso Pietro,
l’apostolo dai tratti giovanili è forse Giovanni. Particolare è il modo di rappresentare i volti, pro-
fondamente espressivi, con sguardi penetranti e lineamenti fortemente marcati da rapide e sicure
lumeggiature bianche. Catturano l’attenzione anche le barbe di alcuni dei personaggi rappresentati,
divise in ciocche più o meno sottili (come in Pietro e Paolo) secondo modelli di origine bizantina,
oppure lunga e avvolta a spirale da un nastro di perle (come nell’apostolo presso la fi nestrella di
destra, il cui modello pittorico è per ora diffi cile da individuare, forse orientale, o forse normanno o
franco). Alcuni fra gli apostoli di Carpignano tengono in mano un rotolo, segno della loro missione
di ammaestrare le genti; altri, come Pietro e Paolo, alzano la mano destra aperta, tenendone il palmo
rivolto in avanti, in segno di vittoria sulla morte; quelli delle due zone più esterne, invece, tendono
le loro mani verso il centro della conca absidale, guidando gli sguardi del fedele verso i tre centrali
(Pietro, Paolo e Giovanni) e soprattutto convogliandoli sulla croce mostrata dai due capi del collegio
apostolico.
Il velario inferioreLa sezione più bassa, la più danneggiata, conteneva la rappresentazione di un velario, ossia di un
fi nto tessuto drappeggiato a rivestire idealmente la parete. Si sono conservati ampi tratti del bordo
superiore, ornato da motivi vegetali, ma gravemente frammentarie sono le scene che erano rappre-
sentate a monocromo sul velo. Da sinistra si riconoscono la testa di un rapace, un guerriero rivestito
di lunga tunica che respinge con spada e scudo l’assalto di una fi era (per cui si veda il box a pagina
22), le gambe e il tronco di un uomo irsuto (o di una scimmia?) seduto su di un alto cippo e, di fronte
ad esso, una testina quasi caricaturale.
Un’interpretazione del ciclo absidaleIl signifi cato generale dei soggetti rappresentati nell’abside maggiore è abbastanza chiaro: scene di
vita ‘terrestre’ in basso; al centro gli Apostoli, uomini chiamati ad essere annunciatori della buona
novella evangelica, quindi ad essere intermediari fra la terra ed il cielo; in alto la visione celeste con
San Pietro in Castello,
navata centrale, terza
campata: Annunciazione
(fi ne sec.XIV
inizio sec.XV)
22
il ritorno della Chiesa al suo fondatore alla fi ne dei tempi. L’insieme, tuttavia,
si presta anche ad una lettura più vicina al clima culturale ed ecclesiologico che
caratterizza le fasi avanzate della ‘riforma gregoriana’ della Chiesa e della ‘lotta
per le investiture’, tra gli ultimi decenni del secolo XI e la prima metà del XII.
L’idea infatti di una chiesa sottoposta unicamente a Cristo rex regum, re dei re
(come recita l’iscrizione frammentaria dell’aff resco), che ha in Pietro il suo pa-tronus e si personifi ca nell’immagine femminile della ecclesia mater, è infatti in
armonia con i contenuti ideologici e con i temi iconografi ci che si diff ondono
da Roma ad altre aree della cristianità durante il pontifi cato dei successori di
Gregorio VII e più in particolare dal 1120 circa. San Pietro di Carpignano fu
una ecclesia iuris beati Petri, ossia soggetta immediatamente alla giurisdizione
papale, sino al 1140-1141, nel periodo di più intensa diff usione degli ideali
della riforma, prima di divenire possesso cluniacense. L’alta qualità degli aff re-
schi suggerisce una committenza di alto livello e con possibilità economiche
non lievi, che è più facile immaginare legata alla curia pontifi cia e all’ambiente
culturale della riforma gregoriana, che non al priorato di Castelletto Cervo del quale il complesso
di Carpignano costituiva una dipendenza. Gli studi svolti da Maria Laura Gavazzoli hanno propo-
sto di datare il ciclo aff rescato dell’abside maggiore agli anni 1140-1159, ma non è da escludersi
categoricamente la possibilità di anticipare di qualche decennio tale datazione, anteriormente alla
donazione a Cluny del 1140-1141.
IL COMBATTIMENTO TRA IL GUERRIERO E LA FIERA Tra i pochi resti affrescati del velario, uno dei più completi è quello raffi gurante un uomo armato
che fronteggia l’assalto di una fi era. È stato opportunamente messo in risalto (da M.L.Gavazzoli)
il legame iconografi co tra questo soggetto e quello di una miniatura all’interno di un codice con-
tenente un commento al libro di Giobbe, eseguito a Citeaux attorno al 1120 per volere dell’abate
Stefano Harding (1098-1134). La fi gura dell’uomo d’arme, in particolare, più che come allegoria
del combattimento del Bene contro il Male, è stata interpretata come un riferimento bonaria-
mente ironico all’ambiente cortese e ai suoi vizi, dai quali il monaco defi nitivamente si separa. È
anche interessante notare come questo soggetto trovi rispondenza in uno scritto di san Bernardo
di Chiaravalle, il De laude novae militiae (‘Elogio della nuova milizia’) scritto poco dopo il 1130 per
affermare un nuovo modello di cavaliere al servizio della religione cristiana, alternativo a quello
laico più violento. In esso san Bernardo descrive satiricamente il cavaliere secolare come fornito
di zazzera come le donne, vestito di tuniche lunghe e vaporose con ampie maniche avvolgenti e
lunghe calzature appuntite, animato da frenesia di vanagloria e da brama di ricchezze terrene.
Il nuovo cavaliere, per il santo cistercense, si identifi cava con il Templare, la cui regola (forse
anch’essa opera di san Bernardo) bandiva del tutto le pratiche mondane della caccia e della fal-
coneria: non è forse casuale che nel velario di Carpignano, accanto alla scena dell’uomo armato
e della fi era, si intravveda un piccolo falco, resto di un’altra raffi gurazione perduta.���aux
omo d’arme, in
è stata interpre
vizi, dai quali il mon
to trovi rispondenza in uno scritto di san
e militi ella nuova milizia’) scritto poco dopo
cavaliere al servizio della religione cristiana, alternativo a quello
rdo descrive satiricamente il cavaliere secolare come fornito
che lunghe e vaporose con ampie maniche avvolgen
frenesia di vanagloria e da brama di ricchezze t
santo cistercense, si identifi cava con il Templare, la cui regola
Bernardo) bandiva del tutto le pratiche mondane della caccia e della fal-
nel velario di Carpignano, accanto alla scena dell’uomo armato
olo falco, resto di un’altra raffi gurazione perduta
San Pietro in Castello, navata centrale, terza campata, sottarco: S.Antonio Abate
(fi ne sec.XIV – inizio sec.XV)
23
Abstract 11:
The frescoes which decorate the central nave have been dated 1140-1159. They depict Jesus
on throne between Peter (handing back to him the keys of the church) and a female presence
incarnating the Church; the Apostles appear in the middle band, around Peter and Paul
holding a cross and John; below the remains of a drapery proposing profane scenes. The
excellent-quality frescoes recall the paintings and mosaics which adorn the basilicas in Rome
and Ravenna as well as the art of central Europe (Renania and Burgundy). They might have
been painted after the edifi ce’s donation to Cluny in 1140 or even a few years earlier, when it
still belonged to the Roman Catholic Church.
12 - Gli affreschi delle navate
L’absidìola NordIl programma decorativo realizzato in San Pietro durante il secolo XII si estese all’abside maggiore,
alla campata antistante ad essa e all’abside della navatella Nord. Mentre però, come si è visto, gli af-
freschi della campata sono andati pressochè totalmente distrutti, quelli dell’absidìola settentrionale
ci sono pervenuti gravemente danneggiati dal trascorrere del tempo, tanto da essere oggi leggibili
solo con molta diffi coltà.
Anche qui si ripropone la ripartizione in tre fasce sovrapposte come nell’abside maggiore: il catino
raffi gurava un Cristo in trono affi ancato da due personaggi, la fascia del tamburo presentava una te-
oria di santi aureolati, infi ne lo zoccolo era ricoperto da un velario sul quale si riconoscono l’immagi-
ne di un quadrupede (forse un vitello) e una testina scimmiesca. A diff erenza del velario dell’abside
maggiore, realizzato a monocromo, quello dell’absidìola Nord era invece policromo.
La navatella NordNelle navate, come frequentemente si verifi cava nelle chiese medievali,
la decorazione pittorica si sviluppava per iniziativa di committenti pri-
vati e con fi nalità non più dogmatiche o ecclesiologiche, ma devozio-
nali e votive. Sul terzo pilastro della navata, sul lato rivolto alla parete
d’ingresso, resta gran parte della fi gura di un san Giovanni Battista, col
cartiglio recante l’iscrizione Ecce Agnus Dei qui tollit peccata mundi, risalente al secolo XV.Nella seconda campata della navatella è visibile
un aff resco assai deteriorato racchiuso in una cornice a fascia bicolore,
rossa e bianca, databile alla seconda metà del secolo XV. Sulla destra
appare la fi gura in piedi di un santo che veste un mantello fi no al gi-
nocchio, tiene in capo un cappello dalla larga tesa e si appoggia ad un
lungo bastone: questi particolari, e soprattutto il cagnolino accoccolato
ai suoi piedi, lo fanno riconoscere come san Rocco. Di fronte a lui stan-
no alcune fi gure di devoti o di pellegrini. Lo sfondo è costituito da un
paesaggio collinare e montano, con edifi ci turriti ed una chiesa sparsi
sulle alture. La presenza di un bovino, in alto a sinistra sulle colline,
suggerisce che il santo fosse invocato anche contro le epizoozie.��� San Pietro in Castello, navata centrale, terza campata, sottarco:
S.Dorotea (fi ne sec.XIV – inizio sec.XV)
24
La navatella SudNell’absidìola meridionale gli unici frammenti di decorazione, presso la fi nestrella quadrata, appar-
tengono ad aff reschi di scuola novarese della fi ne del ‘400: a destra dell’apertura vi sono tracce della
raffi gurazione di un santo in abito benedettino, mentre a sinistra i pochi resti dipinti potrebbero
appartenere ad una Madonna in trono.
L’AnnunciazioneNella terza campata della navata centrale, al di sopra dell’arco, si trova un aff resco rappresentante l’An-
nunciazione, realizzato da un ignoto pittore lombardo-piemontese, tra la fi ne del ‘300 e gli inizi del ‘400.
Si tratta di una delle poche testimonianze pittoriche novaresi risalenti a quell’epoca. Conclusa in alto da
una cornice dipinta che simula una raffi nata tarsìa marmorea, la scena è distribuita ai due lati dell’arco
secondo l’iconografi a tradizionale: a sinistra l’arcangelo Gabriele annunciante, con un ramo d’olivo fra le
mani; a destra la Vergine annunciata, inginocchiata davanti ad un leggio su cui è aperto un codice recante
le parole Ecce ancilla Domini, ‘ecco l’ancella del Signore’; altri due voluminosi codici sono appoggiati
sulla pedana lignea del reggilibro.
Non comune nella tradizione fi gurativa è invece, sopra il centro dell’arco entro una lunetta, la fi gura
dell’Eterno Padre (dalla fi sionomia insolitamente giovanile) affi ancata da angeli e rivolta verso la Vergine.
La raffi gurazione unisce tratti di ricercatezza gotico-cortese (i colori e i panneggi dei ricchi abiti, il
drappo d’ermellino appeso dietro la fi gura della Vergine, le cromìe delle ali dell’angelo, la gestualità
elegante, la gentilezza dei volti, la bionda pettinatura della Madonna impreziosita da un nastro) a
tratti di immediatezza decisamente più popolaresca e comunicativa: si noti, a questo proposito, la
sottile linea tratteggiata che va dalle mani dell’Eterno Padre alla colomba dello Spirito Santo presso
il volto di Maria, quasi la traiettoria seguita dal volatile per raggiungere l’orecchio della Vergine, al
quale sussurrare l’annuncio della sua futura maternità divina. O, ancora, l’atteggiamento degli ange-
li, ritratti a braccia conserte, come curiosi e in attesa di verifi care se l’annuncio stesso avrà buon esi-
to. Non manca neppure l’attenzione per i particolari realistici, come le venature del legno del leggio
e della pedana, o addirittura iperrealistici e quasi meta-pittorici, come i due anelli che sospendono
il drappo d’ermellino alla cornice esterna superiore della scena, o il piede dell’arcangelo che sfora la
scena per appoggiarsi alla cornice rossa, bianca e nera dell’arco. Al di sotto dell’arcata, sui lati interni
dei due pilastri, sono raffi gurati sant’Antonio abate (a sinistra) e santa Dorotea (a destra), entrambi
protettori delle attività agricole e legate all’allevamento. Al primo pilastro destro della navata, infi ne,
campeggia la fi gura di santa Caterina da Siena, opera quasi certamente di un pittore della cerchia di
Tommaso Cagnoli, attivo nel Novarese negli ultimi decenni del ‘400. L’immagine della santa senese,
che regge in mano un cuore per indicare lo scambio che ebbe col cuore di Cristo, è una eco diretta
della diff usione della predicazione dei domenicani nel territorio della diocesi novarese.
Abstract 12:
The frescoes in the northern apse (12th century) have partially gone lost. The third arch on
the right of the central nave is decorated with a Gothic-court style Annunciation, attributed to
a Lombard-Piedmont artist (late 14th-early 15th century). Below one can admire the Saints
Antony the Abbot and Dorothy, invoked to protect the animals and the agricultural products.
The third northern pilaster presents Saint John the Baptist (15th century), the second southern
pilaster Saint Catherine of Siena (late 15th century), the second northern span Saint Rocco,
invoked against plague and diseases, standing among the faithful (15th century, severely
damaged).
25
����I SANTI IN SOCCORSO DELLA VITA QUOTIDIANALa raffi gurazioni votive dei santi all’interno della chiesa di San Pietro, così come universalmente
nella pittura cristiana, rifl ettono le devozioni individuali dei committenti e le attese della comu-
nità.
Al mondo agricolo e all’economia basata sul lavoro dei campi e l’allevamento degli animali fanno
riferimento i culti a sant’Antonio abate e a santa Dorotea. Il primo, ricordato il 17 gennaio, anaco-
reta egiziano vissuto tra III e IV secolo, riconoscibile qui dall’abito monastico e dal bastone da cui
pende una campanella, era comunemente invocato per ottenere la protezione divina sugli animali
di allevamento, in particolare i suini e i bovini. Probabilmente anche ai piedi di questo affresco,
dove ora l’intonaco è caduto, si vedeva un tempo l’immagine di un porcellino. Questo animale
poteva simboleggiare il demonio tentatore, sconfi tto da Antonio, ma anche alludere al fatto che
i monaci antoniani godevano del privilegio di allevare liberamente maiali di cui utilizzavano il
grasso nella preparazione di un unguento contro il cosiddetto ‘fuoco di Sant’Antonio’, l’herpes
zoster, assai diffuso nel medioevo.
Alla seconda invece, una martire del IV secolo, si chiedeva di vegliare sui prodotti di giardini e
frutteti. La santa reca fra le mani un piccolo cesto di vimini, forse contenente le rose e le mele
che, come narra un’antica leggenda, le furono offerti da un bambino apparsole durante il martirio:
la santa, allora, chiese al bambino di porgerli a Teòfi lo, un fi losofo che l’aveva dileggiata poco
prima chiedendole alcune rose e mele del giardino del suo sposo (cioè di Cristo). Stupefatto dal
gesto (si era infatti nel mese di febbraio, quando né rose né mele potevano esserci nei giardini),
Teòfi lo si convertì al cristianesimo e subì il martirio insieme a Dorotea.
Tragedie collettive come le frequenti epidemie (spesso, ma non esclusivamente, di peste), che nei
secoli passati colpivano gli esseri umani a motivo dell’alimentazione povera e dell’igiene primiti-
va, decimando intere comunità, riecheggiano nella devozione a san Rocco. Il giovane pellegrino di
origini francesi, morto forse in Lombardia nella seconda metà del ‘300 di ritorno da un viaggio a
Roma, durante il quale secondo la tradizione si era prodigato per assistere gli appestati incontra-
ti, prese ben presto il posto dell’antico martire Sebastiano come santo ausiliatore contro la peste.
Soprattutto a partire dal ‘400, infatti, il culto di san Rocco si diffuse capillarmente in ogni località
dell’Occidente cristiano: non vi è forse città né villaggio in cui non sorgano una chiesa, una cap-
pella votiva, o almeno un altare a lui dedicati. Nel Novarese il suo culto, già presente nel secolo XV
(come documentano diversi affreschi, tra cui il nostro), ebbe impulso particolarmente a partire
dalla fi ne del secolo XV e raggiunse il suo apice nel ‘600 (con la peste degli anni 1629-1631).
TESTIMONIANZE DEL CULTO DI SAN ROCCO A CARPIGNANOA Carpignano già alla metà del ‘500 esisteva la cappella campestre dedicata a san Rocco, situata
in fondo a quella che è oggi la via omonima. Essa fu ristrutturata nella seconda metà dell’800 in
segno di ringraziamento per aver evitato le gravi conseguenze dell’epidemia di colera del 1853
e decorata con affreschi del pittore Giovanni Zanolo di Varallo. Nell’antica chiesa parrocchiale,
invece, nel pieno della pestilenza del 1631 la comunità fece voto di erigere un altare dedicato ai
santi Rocco e Sebastiano e di festeggiare le ricorrenze annuali dei due santi il 20 gennaio e il 16
agosto. Costruita l’attuale parrocchiale nel ‘700, ai due santi e in unione a san Carlo e a sant’Olivo,
fu dedicato l’altare del transetto destro, dove campeggia una grande tela del milanese Francesco
Bianchi (anno 1743) che li raffi gura.
26
13 - Il castello
Col nome di castello si indica da secoli a Carpignano la porzione del centro abitato che ne costitu-
isce il nucleo storicamente più antico. Fino al secolo XIX era circondato da un fossato (di cui re-
stano il ricordo e parzialmente il tracciato nella Via della Fossa) ed aveva un unico ingresso, vigi-
lato da un torrione e munito di ponte levatoio, verso Piazza Marconi. Oggi il torrione è scomparso
ed il fossato è da tempo interrato, ma il castello ha mantenuto la sua antica conformazione pres-
sochè circolare. Scomparsa è anche la fortifi cazione detta del Rivellino, che difendeva la porta e
occupava l’area della tettoia metallica, costruita nel 1905 su Piazza Marconi per servire al mercato
dei bozzoli e dei bachi da seta. Su questa stessa piazza, a destra dell’accesso al castello, si aff accia
l’edifi cio sede della Biblioteca Comunale, che fa parte del complesso dell’antico palatium castri, ossia la residenza signorile che affi ancò e sostituì il primitivo dongione. All’ultimo piano, sotto la
falda del tetto, si vedono le aperture arcuate dell’antico camminamento, ricavate tra i merli: questo
assetto risale probabilmente alle ricostruzioni autorizzate da Filippo Maria Visconti nel 1421.
L’accesso principale da Piazza Marconi introduce alla Via Castello, che attraversa in leggera sa-
lita tutta la fortifi cazione ed è fi ancheggiata da edifi ci che tavolta hanno mantenuto il loro antico
aspetto, talaltra sono stati invece ricostruiti o ristrutturati in forme moderne. La via divide anche
l’area del castello in due parti ben distinte: quella settentrionale (anticamente comunitaria, poi
frazionata in proprietà private) e quella meridionale (che contiene la chiesa di San Pietro e gli edi-
fi ci della grangia monastica che furono per secoli proprietà dei cluniacensi di Castelletto Cervo).
Il primo vicolo a destra immette in un piccolo slargo su cui si aff acciano case medievali che dove-
vano far parte del dongione, cioè la residenza signorile fortifi cata munita di torrione la cui base è
identifi cabile nell’edifi cio all’angolo Nord-Est del castello (visibile anche da Via della Fossa). Su
questo slargo dà anche una delle due facciate della casa che ospitò l’atelier del pittore Giuseppe
Ajmone (1923 - 2005), nativo di Carpignano;
la casa è abbellita da due grandi fi nestre a sesto
acuto con cornici in cotto lavorato.
La Cantina del TorchioTornati sulla via centrale, si incontra a destra la
Cantina del Torchio. Al suo interno è collocato il
monumentale torchio a peso, o a sistema latino,
realizzato nel 1575 con un tronco d’albero (for-
se olmo) della lunghezza di circa 13 metri, uti-
lizzato fi no ai primi del ‘900 per la produzione
di vino e ancor oggi perfettamente conservato.
Appartenne inizialmente alla famiglia Ferrari,
dalla quale fu ceduto alla famiglia Pinzio, i cui
eredi Perego ne ebbero la proprietà fi no al 1968.
Attualmente l’edifi cio è di proprietà comunale,
mentre il torchio ligneo appartiene alla Casa di
Riposo Perego Pinzio Lavagetto di Carpignano.
L’antichità, lo stato di conservazione e le dimen-
Castello, scorcio di Via Castello
27
sioni eccezionali ne fanno uno degli esemplari più importanti e pregevoli di questo tipo di manu-
fatti nel Piemonte. Nello stesso ambiente sono esposti anche attrezzi per la vinifi cazione e alcune
grandi botti dell’800.
La Piazzetta della CredenzaLungo il lato destro di Vicolo Castelfi dardo, subito dopo la Cantina del Torchio, si può vedere
un’interessante serie di case tardomedievali (oggi adibite a cantine e magazzini) in ciottoli e late-
rizi, costituite ciascuna da un ambiente a piano terreno con portoncino ad arco, da una camera al
primo piano (accessibile anticamente tramite scala e ballatoio in legno esterni) e da un solaio al
sottotetto (spesso aggiunto successivamente). Proseguendo ancora sulla Via Castello si incontra a
destra la minuscola Piazzetta della Credenza, che deve il suo nome alla Casa della Credenza, ossia
la sede medievale del Consiglio Comunale, che vi sorgeva e che purtroppo fu avventatamente
demolita negli anni 1960.
Abstract 13:
Until the 19th century it was surrounded by a moat and it was equipped with a tower (which
was later demolished) and a drawbridge. The edifi ce which rises on the right of the entrance,
on Piazza Marconi, was reconstructed in 1421, authorized by the duke of Milan, Filippo
Maria Visconti. Along its internal alleys rise 15th and 16th century buildings built with
stones, some of which present windows decorated with terracotta motifs.
Halfway of the central road stands the Cantina del Torchio (Press Cellar) housing a
monumental press built in 1575 with a 13-metre tree trunk. It is one of the biggest and oldest
samples in Piedmont. Further on one can visit the small Piazzetta della Credenza where once
the medieval Town hall building stood.
14 - Le altre chiese
di Carpignano
legate a Cluny
La bolla papale del 1184 elencava, fra le chiese di
Carpignano soggette al priorato di Castelletto, an-
che la chiesa del villaggio (la futura parrocchiale
dell’Assunta) e le chiese di Santa Maria de Olgieto
e di Sant’Agata de Messa. Tutte e tre esistono anco-
ra, sebbene trasformate nel tempo.
La parrocchiale dell’Assunta
Della chiesa medievale a tre navate, distrutta nel
1729, rimangono soltanto alcuni capitelli in pietra
di stile romanico, conservati negli edifi ci annes-
Castello, scorcio di Via Castello
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si alla casa parrocchiale. Il campanile attuale è degli ultimi anni del ‘500, ma interamente ricostruito
dall’orologio in su nel 1877. La chiesa attuale fu costruita a più riprese tra il 1718 e il 1756 su progetto
dell’architetto valsesiano Carlo Zaninetti di Breia (frazione di Cellio, VC), ad aula unica con quattro
cappelle laterali. Tra gli arredi e le opere d’arte dell’interno, alcuni meritano segnalazione. Al primo
altare di sinistra si vede una tela raffi gurante le Anime del Purgatorio, opera di Lorenzo Peracino da
Cellio dipinta nel 1771: tra i santi rappresentati al centro, il primo da sinistra è Sant’Odilone, l’abate di
Cluny che nell’anno 999 istituì la ricorrenza della commemorazione dei defunti il 2 novembre. L’altare
di fronte accoglie invece un Crocifi sso ligneo eseguito alla fi ne del ‘500 per ordine del vescovo novarese
Carlo Bescapè, già venerato nell’antica parrocchiale. Al secondo altare di sinistra si trova una statua
della Madonna del Rosario, scolpita nel 1649 da Bartolomeo Tiberino di Arona, mentre il secondo
altare destro ha come pala la grande tela di Francesco Bianchi (1743) raffi gurante i Santi Olivo, Carlo, Rocco e Sebastiano, protettori particolari della parrocchia. Nel coro troneggia la grande tela
con l’Assunzione della Vergine, eseguita nel 1752 da Lorenzo Peracino. L’aff resco della cupola (Il trionfo della Croce adorata da Sant’Elena, anno 1756) è opera di Antonio Orgiazzi da Varallo, men-
tre i quattro grandi aff reschi alle pareti del presbiterio e del coro (Le nozze di Cana, L’Immacolata,
La Pentecoste e Il Calvario) furono eseguiti nel 1931 dal torinese Luigi Morgari. Al lato destro della
chiesa è addossata la cappella sopraelevata dello scurolo di Sant’Olivo Martire, progettata da Ercole
Marietti di Galliate e terminata nel 1905, cui si accede dalla seconda cappella destra.
Santa Maria di LebbiaL’antica ecclesia Sanctae Mariae de Olgieto, oggi dedicata alla Madonna del Carmine, è situata a circa
un kilometro a Nord del paese, lungo la strada Biandrina che porta a Ghemme.
Nelle condizione attuali è un oratorio di forme tardogotiche, probabilmente ricostruito tra ‘300 e
‘400. All’interno affi orano aff reschi quattrocenteschi, tra cui una Cena degli Apostoli nell’abside e
San Francesco che riceve le stimmate su una parete della navata. L’altare in stucco è del 1680.
Sant’AgataIl piccolo oratorio ad Ovest del paese era un tempo in prossimità del guado sul fi ume Sesia verso
Ghislarengo. La costruzione attuale è l’ampliamento, realizzato nel 1791, di un più piccolo edifi cio
sacro per lo meno quattrocentesco.
All’interno si segnala unicamente l’aff resco sopra l’altare (Il Crocifi sso e le Sante Agata ed Apollonia)
Castello, case del secolo XV su Vicolo Castelfi dardo Castello, casa del secolo XV con fi nestra gotica in cotto
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eseguito nel 1796 da Luigi Arcardini di Nibbiola. Attorno all’oratorio si costruì nel 1630 il lazzaret-
to per gli appestati, che servì ancora per l’epidemia di colera alla metà dell’800.
Abstract 14:
The parish and the churches S. Maria de Olgieto (today knows as Lebbia) and S. Agata also
depended on Cluny. The parish church was built in the 1700’s and it collects some canvases
attributed to local artists: The Purgatory’s souls on the fi rst altar on the left and the Assumption
of the Virgin in the choir, both painted by Lorenzo Peracino and the Saints Charles, Sebastian,
Rocco and Olivo on the second altar on the right by Francesco Bianchi. The dome was painted
with frescoes by Antonio Orgiazzi from Varallo Sesia in 1756 with the Triumph of the Cross. In
S. Maria di Lebbia countryside church one can still admire fragments of 15th-century frescoes
inside the choir. In S. Agata oratory the altar is decorated with a fresco by Luigi Arcardini
(Crucifi xion).
Oratorio di Santa Maria di Lebbia, Cena degli Apostoli (sec.XV), part.Castello, particolare di un portale (sec.XV)
Castello, particolare di un portale (sec.XVII?) Castello, particolare di un portale (sec.XV)
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��L’ASSOCIAZIONE AMICI DEL SAN PIETRO DI CARPIGNANO SESIAL’Associazione si è costituita nel settembre 2009 con lo scopo di valorizzare, con tutte le iniziative ritenute
opportune, la conoscenza della chiesa di San Pietro in Castello di Carpignano Sesia ed il patrimonio artistico,
storico e culturale che essa rappresenta, renderla fruibile ai visitatori attraverso aperture periodiche e visite
guidate, inserirla in un circuito culturale e turistico internazionale (Statuto, art.3). Quest’ultimo scopo è stato
raggiunto ottenendo l’adesione del Comune di Carpignano Sesia, proprietario della chiesa di San Pietro,
alla Fédération Européenne Sites Clunisiens, con sede a Cluny, di cui pure l’Associazione fa parte fi n dalla
sua costituzione. L’Associazione non ha scopi di lucro, gli aderenti prestano volontariamente la loro opera
e si propongono di lavorare in accordo con gli enti locali, le istituzioni culturali e morali ed i privati per
l’ottenimento degli scopi statutari.
e-mail: [email protected] - sito web: amicidelsanpietro.wordpress.com
Abstract:Since 2009 the Amici del San Pietro di Carpignano Sesia Association has worked on popularising and enhancing the San Pietro Romanesque church and its frescoes. The Association is member of the Fédération Européenne Sites Clunisiens, seated in Cluny. It is a non-profi t making association which collaborates with the local cultural institutions and authorities.
LA FÉDÉRATION EUROPÉENNE DES SITES CLUNISIENSFondata nel 1994 a Cluny col nome di Fédération des Sites Clunisiens, ha assunto nel 2010 la denominazione
attuale. Si propone di far conoscere e valorizzare lo straordinario patrimonio costituito dalle centinaia di
fondazioni sparse sul territorio europeo che nei secoli scorsi fecero parte dell’ordine cluniacense. Si avvale
delle competenze di studiosi riconosciuti e di ricercatori universitari, nonché della partecipazione diretta
dei comuni sul cui territorio sorgono testimonianze della presenza cluniacense. Ne fanno parte enti locali,
associazioni culturali e turistiche, privati cittadini interessati alla conoscenza e allo studio dell’eredità
cluniacense. Attualmente (2010) comprende più di 130 siti distribuiti tra Francia, Svizzera, Germania, Spagna,
Gran Bretagna e Italia. I siti cluniacensi italiani facenti parte della Fédération sono Calco (LC), Capodiponte
(BS), Cazzago San Martino (BS), Cosio Valtellino (SO), Galbiate (LC), Pontida (BG), Provaglio d’Iseo (BS),
Rodengo Saiano (BS), San Benedetto Po (MN), Vizzolo Predabissi (MI) e Carpignano Sesia (NO). Nel 2005
il Consiglio d’Europa ha conferito alla rete dei siti cluniacensi costruita dalla federazione stessa la qualifi ca di
Grande Itinerario Culturale, alla stregua del prestigioso Camìno de Santiago di Compostella.
Abstract:The Fédération Européenne des Sites Clunisiens was founded in 1994 in Cluny with the aim to unify all the sites which were once seats of Cluniac monasteries. Today it numbers more than 100 sites, situated in France, Switzerland, Germany, Spain and Great Britain. In Italy there are eleven sites, all located in the Region of Lombardy with the exception of Carpignano Sesia. The network of affi liated Cluniac sites has been recognized by the Council of Europe since 2005 as Major Cultural Route.