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Cassazione S.U. 26 marzo 2003, n. 13687 Pres. Marvulli – rel. Battisti Pm Siniscalchi ric.Berlusconi ed altri Svolgimento del processo Nel corso di due processi, pendenti, rispettivamente, dinanzi alla prima e alla quarta sezione penale del Tribunale di Milano in fase dibattimentale, gli imputati Silvio Berlusconi, Cesare Previti, Filippo Verde, Attilio Pacifico, Felice Roveli, Prima Rosa Battistella Rovelli, Renato Squillante, Mariano Squillante, Fabio Squillante e Olga Savtchenko hanno presentato in date diverse, dal 1° marzo all'8 aprile 2002, distinte richieste di rimessione ai sensi degli articoli 45 e segg. Cpp; tutti, ad eccezione del Verde del Pacifico, hanno presentato contestuale richiesta di sospensione dei processi di merito a norma dell'articolo 47 comma 2, Cpp. Disposta dall'autorità giudiziaria milanese l'immediata trasmissione di tali richieste, con i relativi allegati, a questa Corte, il Primo Presidente, in accoglimento di analoga istanza presentata dai primi due imputati – cui hanno prestato successivamente adesione anche gli altri richiedenti - ha disposto, con decreti del 19 e 26 marzo 2002, la loro assegnazione alle Sezioni unite penali, sul rilievo che le “questioni proposte rivestono speciale importanza per la complessità dei motivi prospettati e che appare altresì opportuno, a causa del ruolo istituzionale assunto da uno degli imputati, investire della decisione la più qualificata espressione della giurisdizione penale”. Con gli stessi provvedimenti è stata rimessa al Collegio ogni decisione sull'istanza di riunione dei procedimenti e sulla sospensione dei processi in corso. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano ha proposto osservazioni alle quali ha replicato, con memoria, la difesa di Silvio Berlusconi. Sono state, poi, inoltrate le ulteriori richieste di rimessione presentate n epoca successiva, la cui assegnazione alle Sezioni unite è stata disposta con decreti del Primo Presidente di contenuto identico a quelli sopra citati. – Silvio Berlusconi L'istante premette che l'esigenza ineliminabile e mai conculcabile dell'indipendenza ed imparzialità del giudice trova la propria conferma e tutela nell'istituto della rimessione del processo, di cui, sia pur nella vigenza del codice abrogato, la Core costituzionale (sentenze 50 e 109/63) ha sottolineato la natura di suprema garanzia di giustizia, a conferma – e non in deroga – del principio del giudice naturale precostituito per legge sancito dall'articolo 25 Costituzione. L'articolo 45 Cpp, poi, a differenza della corrispondente disposizione del codice abrogato (articolo 55 Cpp 1930), prevede ora come presupposto della rimessione “gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili” che, una volta accertate, impongono la translatio, e non solo la consigliano, come nella disciplina previdente. Ciò significa che il legislatore ha riconosciuto come l'ambiente in cui un processo si svolge possa influire sui giudizi, alterandoli e finanche deviandone l'esito, allorché la “grave situazione locale” abbia proiettato un'ombra di indiscriminato sospetto e di generale sfiducia sugli uffici giudiziari nel loro complesso, generando quell'attentato alla serena formazione della decisione giurisdizionale a cui baluardo è posto l'istituto della rimessione; e tale situazione, ad avviso dell'istante, si può verificare quando siano messi in

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Cassazione S.U. 26 marzo 2003, n. 13687 Pres. Marvulli – rel. Battisti Pm Siniscalchi ric.Berlusconi ed altri

Svolgimento del processo

Nel corso di due processi, pendenti, rispettivamente, dinanzi alla prima e alla quarta sezione penale del Tribunale di Milano in fase dibattimentale, gli imputati Silvio Berlusconi, Cesare Previti, Filippo Verde, Attilio Pacifico, Felice Roveli, Prima Rosa Battistella Rovelli, Renato Squillante, Mariano Squillante, Fabio Squillante e Olga Savtchenko hanno presentato in date diverse, dal 1° marzo all'8 aprile 2002, distinte richieste di rimessione ai sensi degli articoli 45 e segg. Cpp; tutti, ad eccezione del Verde del Pacifico, hanno presentato contestuale richiesta di sospensione dei processi di merito a norma dell'articolo 47 comma 2, Cpp.

Disposta dall'autorità giudiziaria milanese l'immediata trasmissione di tali richieste, con i relativi allegati, a questa Corte, il Primo Presidente, in accoglimento di analoga istanza presentata dai primi due imputati – cui hanno prestato successivamente adesione anche gli altri richiedenti - ha disposto, con decreti del 19 e 26 marzo 2002, la loro assegnazione alle Sezioni unite penali, sul rilievo che le “questioni proposte rivestono speciale importanza per la complessità dei motivi prospettati e che appare altresì opportuno, a causa del ruolo istituzionale assunto da uno degli imputati, investire della decisione la più qualificata espressione della giurisdizione penale”.

Con gli stessi provvedimenti è stata rimessa al Collegio ogni decisione sull'istanza di riunione dei procedimenti e sulla sospensione dei processi in corso.

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano ha proposto osservazioni alle quali ha replicato, con memoria, la difesa di Silvio Berlusconi.

Sono state, poi, inoltrate le ulteriori richieste di rimessione presentate n epoca successiva, la cui assegnazione alle Sezioni unite è stata disposta con decreti del Primo Presidente di contenuto identico a quelli sopra citati.

– Silvio Berlusconi

L'istante premette che l'esigenza ineliminabile e mai conculcabile dell'indipendenza ed imparzialità del giudice trova la propria conferma e tutela nell'istituto della rimessione del processo, di cui, sia pur nella vigenza del codice abrogato, la Core costituzionale (sentenze 50 e 109/63) ha sottolineato la natura di suprema garanzia di giustizia, a conferma – e non in deroga – del principio del giudice naturale precostituito per legge sancito dall'articolo 25 Costituzione.

L'articolo 45 Cpp, poi, a differenza della corrispondente disposizione del codice abrogato (articolo 55 Cpp 1930), prevede ora come presupposto della rimessione “gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili” che, una volta accertate, impongono la translatio, e non solo la consigliano, come nella disciplina previdente.

Ciò significa che il legislatore ha riconosciuto come l'ambiente in cui un processo si svolge possa influire sui giudizi, alterandoli e finanche deviandone l'esito, allorché la “grave situazione locale” abbia proiettato un'ombra di indiscriminato sospetto e di generale sfiducia sugli uffici giudiziari nel loro complesso, generando quell'attentato alla serena formazione della decisione giurisdizionale a cui baluardo è posto l'istituto della rimessione; e tale situazione, ad avviso dell'istante, si può verificare quando siano messi in

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pericolo i valori costituzionalmente tutelati della sicurezza e della pubblica incolumità.

In tale prospettiva possono acquistare un particolare rilievo, ai fini dell'accoglimento della richiesta, anche le manifestazioni di piazza, le dichiarazioni pronunciate in pubblico ed in occasioni istituzionali da parte di rappresentanti della magistratura e della politica, tutti fenomeni esterni alla normale dialettica processuale quando mirano ad eccitare la suggestione dell'ambiente, tenendolo in costante allarme; una situazione, dunque, ben lontana dalla “quiete sociale”.

Nel caso di specie, sottolinea l'istante, viene in rilievo l'ipotesi della rimessione, per il vulnus recano alla libertà di determinazione di coloro che partecipano al processo, dovendosi individuare l'esistenza di una sorta di pregiudizio implicante una vera e propria coartazione fisica o psichica, preclusiva per tutti di ogni possibilità di scelta e segnatamente per i difensori degli imputati; ed il difensore, per la sua alta funzione di titolare del diritto di difesa tecnica e per il ruolo di parte processuale riconosciutogli dall'ordinamento, è garantito nella sua libertà di determinazione al pari degli altri soggetti di cui all'articolo 45 Cpp.

Ne deriva che anche l'atteggiamento manifestato più volte dall'ufficio del Pm nei confronti degli avvocati difensori degli imputati, unito ad un clima di tensione e di esacerbata contrapposizione, ovvero la stessa situazione obbiettiva del processo quale ricavabile dalle ordinanze fino ad ora collegialmente pronunciate dal tribunale sulle molteplici questioni sorte nel suo svolgimento, fanno fondatamente presagire un esito non imparziale e sereno del giudizio.

Tale situazione costituisce all'evidenza un dato effettivamente inquinane del processo non altrimenti eliminabile se non con il rimedio della rimessione.

Su tale complessa situazione, si espone nella richiesta, va innestato l'ulteriore elemento, giuridicamente rilevante ai fini dell'applicazione dell'articolo 45 Cpp, della “campagna di stamp” tuttora in atto quale ulteriore indice di una situazione locale idonea a turbare lo svolgimento del processo.

Detta campagna di stampa, che si protrae da lungo tempo ed è particolarmente segnata dall'asprezza dei toni, è tale da incidere direttamente sulla capacità del giudice di assolvere con obiettività il compito demandatogli e sulla libertà di determinazione degli altri partecipanti al processo, e presenta altresì tutte le caratteristiche sintomatiche – individuate dalla giurisprudenza di legittimità nella sentenza 7 giugno 1978, ric. De Stefano – dell'attività informativa astiosa, continua a prevaricante il diritto di cronaca che costituisce mezzo diretto a creare, intorno al processo stesso, un “ambiente scandalistico e fazioso teso verso opinioni preconcette in rapporto ad un avvenimento o nei confronti dei protagonisti dello stesso”.

Ciò premesso, l'istante elenca a sostegno della richiesta varie circostanze di fatto, premettendo la considerazione che nel corso degli anni, nell'ambito dei procedimenti nei suoi confronti celebratisi in Milano, sono accaduti eventi eccezionali, sia in tema di applicazione del diritto e della procedura, sia per quanto attiene al comportamento della magistratura milanese e di tutto l'ambiente intorno a questa gravitante, di cui rappresenta la sintesi il discorso svolto in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario dal procuratore generale presso la Corte di appello dottor Borrelli.

Anche dall'esame degli atti del dibattimento e dell'udienza preliminare, si osserva, è agevole comprendere come la magistratura milanese abbia adottato una serie di decisioni ed abbia tenuto atteggiamenti che sono in diretta e strettissima correlazione con la situazione ambientale descritta.

Quanto all'atteggiamento nel tempo della procura di Milano, l'istante espone che, dopo la sua “discesa” in politica e la creazione di un nuovo partito, nei suoi confronti nonché nei confronti di manager, dipendenti e collaboratori del gruppo Fininvest a avuto inizio una lunga serie di procedimenti penali, caratterizzati da richieste di misure cautelari personali, perquisizioni, sequestri anche presso banche, in Italia ed all'estero, con

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il risultato che solo in alcune limitatissime ipotesi vi è stato il riconoscimento definitivo di responsabilità penali; il tutto accompagnato dalle dichiarazioni pubbliche di chiara natura politica del dottor Borrelli e dei magistrati della procura, a far data da quella in cui (dicembre 1993 – febbraio 1994) l'allora procuratore di Milano invitava “quelli che si vogliono candidare” a “guardarsi dentro” ed a presentarsi in lista solo “se puliti”.

In particolare si ricordano la pubblica lettura da parte dei magistrati della Procura di un proclama contro un decreto legge dell'esecutivo; il rilascio, da parte del dottor Borrelli, di dichiarazioni costituenti una sorta di “preavviso” di garanzia a mezzo stampa rivolto all'istante; la notifica di un avviso di garanzia, peraltro anticipata giornalisticamente, effettuata allo stesso istante mentre, nella veste di Presidente del Consiglio, presiedeva una conferenza internazionale; le critiche rivolte dall'allora procuratore generale presso la Core di Appello, dottor Catalani, al modus operandi del pool.

A prescindere dalle dichiarazioni pubbliche dei magistrati milanesi, osserva l'istante come nel 1997 il Parlamento, in cui il centro-destra era pur in minoranza, ha individuato, nel rigettare la richiesta di autorizzazione all'arresto dell'on. Previti, coimputato nel processo di cui si chiede ora la rimessione, l'esistenza del fumus persecutionis, ed ha accolto la proposta della competente Giunta per le autorizzazioni che aveva accertato un'”esasperazione accusatoria” nell'iniziativa del Gip.

A riprova dell'atteggiamento della procura nei suoi confronti l'istante indica inoltre un intervento ufficiale del dottor Borrelli il quale, come procuratore generale di Milano, aveva richiesto al procuratore generale presso la Corte di cassazione di sollecitare la fissazione di un processo a suo carico; il discorso inaugurale dell'anno giudiziario 2002, svoltosi in un clima da stadio e con pesanti intimidazioni ai parlamentari di Forza Italia ed al rappresentante del Governo, in concomitanza con una manifestazione di piazza fuori del palazzo di Giustizia a sostegno dei magistrati milanesi e contro il Governo tenuta da elementi dell'estrema sinistra e con il volantinaggio di un centinaio di asseriti giuristi milanesi di sinistra, diffamatorio nei confronti dei difensori del processo in oggetto; una manifestazione tenutasi il 26/1/2002 attorno al tribunale di Milano, con la presenza di oltre tremila persone che solidarizzavano con i magistrati milanesi contro le posizioni della difesa degli imputati ed il Governo.

Rileva altresì l'istante come i comportamenti dei magistrati del p.m. durante l'intero procedimento abbiamo raggiunto quei livelli che la giurisprudenza di legittimità ha indicato come idonei a legittimare la translatio judicii, in quanto l'atteggiamento persecutorio, superando i limiti dell'ordinaria dialettica processuale, è suscettibile di produrre riflessi negativi sulla serenità e correttezza del giudizio.

Indica, a dimostrazione del clima in cui si sta svolgendo il processo, la sua tardiva iscrizione nel registro degli indagati, che gli ha impedito di interloquire in ordine alla proroga delle indagini (pagina 12), nonché la irritale e tardiva contestazione suppletiva (articolo 319ter Cp), effettuata solo nell'udienza dibattimentale del 17/11/2000, nonostante gli elementi già raccolti la rendessero possibile anche in precedenza: e ciò al solo scopo di radicare la competenza milanese in virtù del più grave reato fra quelli contestati con il decreto dispositivo del giudizio (articolo 2621 Cc), che tale tuttavia non sarebbe stato se quello oggetto della contestazione suppletiva – il quale avrebbe radicato, perché a sua volta più grave, diversa competenza territoriale – fosse stato tempestivamente rubricato.

Aggiunge l'istante la denuncia della patologia aggressività dell'ufficio del Pm, che non si è esercitata solo nei confronti degli imputati, bensì anche nei confronti dei difensori, costretti a recarsi presso il procuratore D'Ambrosio per segnalare il comportamento del sostituto Boccassini, perché funzionale non al processo, ma ad intimidire le difese.

Quanto all'atteggiamento degli organi giudicanti, evidenzia:

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la incompletezza del fascicolo delle indagini preliminari depositato dal Pm, denunciata al Gup ma da lui non sanata con idonei interventi sul Pm;

la mancata doverosa astensione del Gup dottor Rossato, a seguito dell'accertamento da parte del Parlamento del carattere persecutorio della sua richiesta in ordine all'arresto dell'Onorevole Previti;

la mancata risposta del predetto Gup alla richiesta di incidente probatorio, formulata nell'udienza preliminare sia con riferimento all'audizione di alcuni testimoni, sia con riguardo ad una perizia contabile sui bilanci oggetto dell'imputazione;

la violazione del diritto di difendersi provando posta in essere dal tribunale il quale, nell'udienza dibattimentale del 17 novembre 2000, negava agli imputati l'ammissione dei testimoni indicati su circostanze favorevoli, di quelli destinati a fungere da controprova e dei consulenti tecnici di parte;

la sostanziale negazione, da parte del tribunale, del diritto della difesa di esaminare i documenti – contenuti in cento falconi – indicati dal P.M. nell'esposizione introduttiva svolta nell'udienza del 9 giugno 2000, ma non fisicamente depositati;

l'illegittimo rifiuto, da parte del tribunale, di far regredire il processo alla fase dell'udienza preliminare in ordine al reato suppletivamente contestato – in relazione al quale l'udienza predetta non era stata pacificamente tenuta – in palese violazione della lettera dell'articolo 516, comma 1ter Cpp [“Se a seguito della modifica (dell'imputazion, n.d.r.) risulta un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare, e questa non si è tenuta, l'inosservanza delle relative disposizioni è eccepita, a pena di decadenza, entro il termine indicato dal comma 1-bis”];

la mancata illegittima concessione dei termini a difesa ad alcuni sostituti processuali nominati d'ufficio, in particolare all'avv. Pecorella, nominato sostituto dei difensori dell'imputato Previti nell'udienza del 5/2/2001, ed all'avv. Novellino, nominato sostituto dei difensori dell'imputato Misiani nell'udienza del 6/4/2001, nonché la irritale nomina di quest'ultimo;

l'illegittima ordinanza di rigetto dell'istanza di rinvio formulata nell'udienza del 15/12/2001 dall'imputato On. Previti per concomitanti impegni parlamentari, basata sulla mancanza di prova della effettiva presenza del parlamentare alla seduta della Camera di appartenenza, contraddetta tuttavia da altra successiva ordinanza che riconosceva la difficoltà del medesimo imputato di fornire la prova richiesta ma che, illogicamente, non revocava la precedente, né dichiarava la nullità dell'udienza celebrata in sua assenza;

la mancata dichiarazione di inutilizzabilità, in violazione della legge 367/01, degli atti pervenuti in esecuzione di rogatorie internazionali e privi di qualsiasi timbro di autenticità; osserva l'istante che analoghe decisioni sono state adottate anche nel processo pendente davanti alla seconda sezione (cd. All Iberian), in cui pure è imputato, nonché in quello pendente davanti alla quarta sezione (cd. “Imi-Sir”), e rileva l'assoluta e peculiare sintonia tra i collegi giudicanti, allarmante se posta in relazione con quanto dichiarato alla stampa dal dottor Borrelli, secondo il quale “lo sforzo della magistratura sarà quello di neutralizzare sul piano interpretativo i peggiori guasti che dalla legge sulle rogatorie possono nascere”;

la “insubordinazione” commessa dal tribunale rispetto alla sentenza con la quale la Corte costituzionale, risolvendo il conflitto di attribuzioni, aveva annullato le plurime ordinanze del Gup che negavano la sussistenza di un legittimo impedimento a partecipare all'udienza dell'imputato Onorevole Previti., impegnato in Palamento; il tribunale, infatti, ai sensi dell'articolo 185 Cpp, avrebbe dovuto dichiarare la nullità di tutti gli atti conseguenti alle ordinanze predette e disporre la trasmissione del fascicolo al giudice dell'udienza preliminare: ciò non è tuttavia avvenuto, con elusione dell'osservanza del dictum della sentenza costituzionale di annullamento. A ciò si aggiunga che sia la prima (processo “Sme-Ariosto”) che la quarta

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sezione (processi ora riuniti “Imi-Sir” e “Lodo Mondatori”) del tribunale, davanti alle quali si proponeva l'identica questione dell'invalidità derivata, a dispetto della rapidità con la quale era stato condotto fino quel momento il dibattimento, hanno disposto, dopo la sentenza predetta, un rinvio delle udienze per svariati mesi; e che il presidente della quarta sezione, in una missiva al presidente della Camera dei deputati volta ad ottenere informazioni sui futuri lavori dell'Assemblea, anticipava sostanzialmente la decisione che, sull'anzidetta questione, sarebbe stata adottata sia dal collegio da lui presieduto, sia dalla prima sezione, a conferma di come essa fosse maturata al di fuori della sede tipica processuale;

l'inesistente “intercettazione ambientale” di una conversazione tra gli imputati Squillante e Misiani asseritamene effettuata presso il bar Mandara di Roma ed utilizzata ai fini cautelari, in relazione alla quale il Gip dottor Rossato non ha compiuto alcuna verifica documentale, ritardando indebitamente la risposta alla richiesta di incidente probatorio circa le modalità della sua esecuzione. Gli operatori di Pg che tale attività di captazione hanno compiuto, rileva altresì l'esponente, si trovano attualmente sottoposti a procedimento penale davanti alla procura della Repubblica presso il tribunale di Perugina per il reato di falso ideologico, ipotizzato proprio in relazione a quanto avvenuto nel corso delle operazioni investigative; gli organi delegati per le indagini sono dunque divenuti a loro volt indagati, con la conseguenza che, alla stregua di quanto affermato dalla Corte di cassazione nel caso Cerciello (v. infra, n.d.r.), in dibattimento si verrà a formare una prova che non potrà non essere condizionata, con riferimento sia ai testi-indagati di reato connesso sia allo stesso Pm che ha svolto le indagini proprio avvalendosi del loro ausilio investigativo;

l'irritualità della composizione del collegio, del quale non poteva fare più parte, a seguito della decisione 31/12/2001 del Ministero della giustizia, il giudice dottor Brambilla, trasferito ad altro ufficio (sorveglianza), la cui titolarità è incompatibile, ai sensi dell'articolo 68 legge 354/75, con lo svolgimento di altre funzioni giudiziarie; il comportamento del predetto magistrato, teso pervicacemente ad esercitare le funzioni presso il tribunale ordinario, a fronte di una situazione da lui obiettivamente creata con la richiesta di trasferimento; la sua mancata astensione; l'immediata dichiarazione di inammissibilità della ricusazione proposta nei suoi confronti; l'illegittima sua applicazione al tribunale per la prosecuzione del processo, disposta dal presidente della Corte di appello, a riprova dell'atteggiamento ambientale della magistratura milanese che ha così reagito ad un legittimo atto del Ministero;

l'irrituale nomina di un difensore di ufficio all'imputato Previti, che aveva revocato i propri, e la mancata concessione allo stesso dei termini a difesa, pur dovendosi procedere all'escussione di numerosi e importanti testimoni.

Le variegate e straordinarie interpretazioni in punto di diritto operate dalla magistratura milanese acquistano, ad avviso dell'istante, un preciso significato se ripercorse alla luce delle esternazioni di vari magistrati ed in particolare del discorso svolto in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario dal dottor Borrelli il quale, assumendo il ruolo di leader in pectore dell'opposizione più radicale ed estrema al Governo Berlusconi, ha tracciato il programma di quello che è stato e di quello che sarà nel futuro l'atteggiamento della stessa magistratura in tema di esercizio del diritto di difesa (paragonato agli atti emulativi), riforme legislative e politica giudiziaria, amministrazione della giustizia e prestigio dell'ordine giudiziario.

Allo stesso modo, i osserva, assumono decisivo rilievo le dichiarazioni pubbliche del dottor D'Ambrosio, procuratore della Repubblica di Milano, in totale sintonia con quelle del dottor Borrelli specie in ordine alla critica verso il legittimo esercizio dell'attivitàò difensiva e della dottoressa Boccassini.

Ciò che più preoccupa, rileva ancora l'istante, è tuttavia la grave situazione dell'ordine pubblico, testimoniata innanzi tutto da quanto accaduto durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario, con folla plaudente i passaggi più aggressivi del discorso del dottor Borrelli, ovazioni, slogan contro il Governo, gli imputati e i loro difensori, con i deputati di Forza Italia costretti ad abbandonare l'aula; nonché provata da successive manifestazioni di piazza, scritte minacciose sui muri, tafferugli tra sostenitori di opposte fazioni, fino alla

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manifestazione organizzata al Palavobis il 23 febbraio 2002 per l'anniversario di Mani pulite, nel corso della quale migliaia di persone hanno dimostrato con accenti durissimi non tanto a favore dei magistrati, quanto – con particolare livore – contro il presidente del Consiglio in carica, in nome della parola d'ordine “resistere, resistere, resistere” lanciata dal dottor Borrelli.

La situazione dell'ordine pubblico e della serenità del processo devono ritenersi dunque irrimediabilmente compromesse.

– Cesare Previti

premesso che il cd. pool di Milano è assurto negli anni al rango di organismo politico, in grado di condizionare, in alcuni momenti drammatici, le stesse Istituzioni repubblicane, osserva l'istante che nella sede giudiziaria milanese i è instaurata una giustizia politica, ad illustrare i risvolti della quale rinvia ad una serie di pubblicazioni allegate.

L'azione diretta a colpire l'On. Berlusconi e le persone a lui politicamente o professionalmente legate è stata così trasposta al di fuori della tipica sede processuale, attraverso continue propalazioni provenienti dalla procura di Milano o comunque a tale Ufficio attribuibili, concernenti, in moli casi, perfino notizie coperte dal segreto investigativo; la strategia dei magistrati milanesi inquirenti è stata quella di anticipare gli elementi di accusa, con mirate anteprime medianiche, in modo da preparare la strada al successivo sviluppo processuale e così, sulla base di un precostituito consenso popolare, anch'esso abilmente creato grazie all'attivazione studiata ed organizzata della piazza, ottenere risultati processuali altrimenti irraggiungibili, data la labilità del costrutto accusatorio.

Se dunque, rileva l'istante, il rimedio giuridico della rimessione deve essere attivato quando il processo e le persone che in esso agiscono soffrono di condizionamenti e di turbamenti provenienti dall'esterno, un simile anomalia è stata per prima creata e progettata all'interno degli uffici della Procura di Milano che sulla prevaricante azione di disturbo processuale ha fondato il proprio operato, principalmente alla ricerca del consenso mediatico e politico, senza il quale i processi nei confronti suoi e dell'On. Berluconi non si sarebbero neppure potuti iniziare, per essere stata trascurata proprio la ricerca degli elementi di prova e dei riscontri di fatto che avrebbero dovuto sostenere l'accusa, viceversa rimasta allo stato embrionale o addirittura calibrata su fatti non previsti come reato oppure già prescritti, come ritenuto dalla Corte di cassazione nelle sentenze 2006/96 e 3524/01.

Esempio eclatante è costituito dalla notifica all'Onorevole Berlusconi, all'epoca primo ministro, dell'invito a comparire per rendere l'interrogatorio su un'imputazione poi ritenuta fin dall'origine infondata (Cassazione, 1170/01, all. 5bis), effettuata mentre presiedeva un vertice internazionale ed accompagnata dalla violazione del segreto investigativo circa l'iscrizione del predetto nel registro degli indagati; tutto ciò secondo un programma di studiata e sistematica violazione del segreto, la cui esistenza è stata confermata in un'intervista dallo stesso dottor Ghitti, all'epoca Gip presso il tribunale di Milano.

In specie l'istante, oltre a lamentare l'esistenza nei suoi confronti di una campagna di demonizzazione alimentata da indebita anticipazione di notizie riservate, censurata anche dal Capo dello Stato (all. 6), espone di essere stato oggetto di particolare attenzione da parte del dottor Borrelli, il quale, al momento del voto parlamentare in ordine alla richiesta di autorizzazione al suo arresto presentata dall'Ag milanese, dichiarò pubblicamente che il Parlamento avrebbe dovuto dare un segnale “morale” al Paese concedendo l'autorizzazione e, più recentemente, censurandole la condotta processuale, lo ha accostato ai terroristi.

Lo stesso dottor Borrelli ha offerto al pubblico la summa dei principi dell'azione “paragiudiziaria” diretta ad influenzare il corso del processo nella relazione svolta nella veste di procuratore generale in occasione della cerimonia di apertura dell'anno giudiziario, risoltasi in un discorso programmatico di gestione politica

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dell'azione giudiziaria, tale da apparire finalizzato a spingere la magistratura milanese ad assumere iniziative contro il Capo del governo nell'ambito dei procedimenti in corso come ritorsione per l'adozione, sul piano politico, di condotte ritenute “punitive” e perfino “minatori” nei confronti degli stessi magistrati milanesi, tra le quali la riduzione delle scorte a quelli, tra loro, impiegati a sostenere l'accusa nei confronti dell'on. Berlusconi; nella medesima occasione il dottor Borrelli ha invocato l'introduzione di un illecito di oltraggio alla Giustizia nei confronti degli avvocati che abbiano adottato strategie dilatorie, con allusione evidente alla condotta processuale dell'istante, già da lui pubblicamente stigmatizzata, ed invito palese alla soppressione del suo diritto di difesa, esercitato peraltro sempre correttamente.

I violenti attacchi, le sistematiche violazioni del segreto investigativo con le conseguenti amplificazioni sugli organi di informazione, i proclami di natura politica, l'invito al disprezzo degli imputati come individui immorali e spregevoli, l'invito alla soppressione di ogni firma processuale a favore di un giutizialismo ad oltranza hanno creato non un semplice clima, ma un vero e proprio contesto che, ad avviso dell'istante, rende impossibile al celebrazione dei processi nei confronti suoi e dell'Onorevole Berlusconi senza l'intervento di fattori esterni che condizionino pesantemente l'operato di giudici e parti.

In particolare si sottolinea:

la politicizzazione della magistratura milanese, di cui è conferma l'accertamento effettuato dalla Giunta delle autorizzazioni a procedere che, nella sua relazione approvata a larga maggioranza dalla Camera dei deputati, ha segnalato una serie impressionante di anomalie che hanno contraddistinto l'azione della Procura milanese, ritenendo sussistente l'esistenza del fumus persecutionis riconducibile all'operato della Procura stessa e del giudice per le indagini preliminari.

Il contesto ambientale nel quale agisce la magistratura milanese è stato altresì accertato nel dibattito sulla questione giustizia svoltosi al Senato nei giorni 4 e 5 dicembre 2001, dal quale è risultato chiaro che i magistrati milanesi hanno agito in funzione metagiudiziaria per cercare il consenso dell'opinione pubblica, sono stati promotori di riunioni anomale finalizzate ad elaborare una strategia processuale nei confronti dell'istante e dell'Onorevole Berlusconi, volte ad eludere norme di legge, una sentenza costituzionale e i diritti di difesa, hanno organizzato assemblee, volantinaggi, affissione di manifesti e partecipato a manifestazioni di piazza di stampo giustizialista contro i predetti, assumendo per bocca dei loro “capi riconosciuti”, i dottori Borrelli e D'Ambrosio, posizioni e atteggiamenti dichiaratamente politici incompatibili con l'indipendenza e la libertà di autodeterminazione, nonché con la serena partecipazione ai processi degli imputati e dei loro difensori.

Essendosi siffatte condotte realizzate in va generalizzata, e mostrandosi pertanto inadeguato a rimuovere il giudice sospetto l'istituto della ricusazione, risulta evidente ad avviso dell'istante che non può esservi altro rimedio a tutela dell'imparzialità di giudizio che la rimessione ex articolo 45 Cpp.

la concertazione contra reum; si espone nella richiesta che nel palazzo di giustizia di Milano si sono tenute riunioni “informali” tra magistrati, non programmate e comunicate secondo l'ordinamento giudiziario e le autorizzazioni del Csm, aventi ad oggetto non temi di studio o approfondimento giuridico-culturale, bensì le strategie da seguire nei processi contro l'istante e l'Onorevole Berlusconi e l'ndividuazione di linee interpretative comuni di tipo elusivo, abrogativo, soppressivo, dirette a preparare e sostenere – anche con la partecipazione di estranei agli uffici giudiziari milanesi (come il dottor Giancarlo Caselli) – una serie di decisioni, totalmente illegittime perché al di fuori dei limiti delle competenze funzionali del giudice dibattimentale e della stessa giurisdizione, che sarebbero state poi adottate nei confronti del medesimo istante.

In particolare, a riprova dell'assunto, si espone che i magistrati di Milano (Pm e giudici) si sono riuniti in gruppo, più volte, per decidere collettivamente la condotta da adottare contro l'istante in ordine

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all'applicazione della legge 367/01 in tema di rogatorie internazionali; a tali incontri ha partecipato il dottor Borrelli, il quale aveva poco prima annunciato pubblicamente, sulla stampa nazionale, che la legge sulle rogatorie sarebbe stata “neutralizzata”: ed infatti, si legge nella richiesta, puntualmente i giudici che procedono hanno letteralmente disapplicato, con argomentazioni capziose e sofistiche, la predetta legge dello Stato e la Convenzione europea di assistenza giudiziaria pur di non mettere “in pericolo” la prova d'accusa predisposta dalla Procura di Milano.

Allo stesso modo l'esistenza di accordi realizzata da magistrati milanesi al fine di condizionare i processi contro gli imputati Previti, Berlusconi ed altri è provata dalla disapplicazione della sentenza della Corte costituzionale 225/01 la quale, accogliendo il ricorso per conflitto di attribuzioni, ha annullato le ordinanze del Gip milanese che avevano negato all'istante il riconoscimento del legittimo impedimento a partecipare alle udienze derivante dallo svolgimento di attività parlamentare, l'orientamento dei giudici, a riprova del previo accordo, era stato preannunciato da una lettera indirizzata dal presidente della IV sez. penale del tribunale al Presidente della Camera dei deputati – nella quale si estendevano le preoccupazioni sugli effetti di detta sentenza anche al processo pendente presso la I sezione, ad ulteriore dimostrazione del concerto – ben prima che i collegi impegnati nella trattazione dei processi si pronunciassero in merito.

Inoltre, ad avviso dell'istante, solo ipotizzando un accordo tra i giudici procedenti e tra i titolari delle sezioni giudicanti del tribunale e della Corte di appello è comprensibile quanto accaduto nel processo pendente innanzi alla IV sezione, nel corso del quale un imputato (Acampora aveva tempestivamente richiesto il giudizio abbreviato; nell'occasione il tribunale, anziché dar corso al rito speciale nei confronti dell'imputato richiedente, come previsto dall'articolo 223 decreto legislativo 51/1998 (modificato dall'articolo 56 legge 479/99), ha disposto la separazione “al contrario” del procedimento che lo riguardava da quello dei non richiedenti, così autoattribuendosi la competenza funzionale a proseguire nel giudizio verso questi ultimi.

Dall'“accordo”, dall'“organizzazione”, dalla “concertazione”, dal “coordinamento” (che presuppongono per definizione vincoli, impegni, promesse) fra magistrati milanesi è derivata dunque una situazione esterna di turbativa che esclude in radice l'indipendenza e l'imparzialità di giudizio.

la vicenda Brambilla, che rappresenta plasticamente l'estrema peculiarità del contesto ambientale milanese in cui si stanno svolgendo i processi a carico dell'istante, in cui l'intero apparato giudiziario di Milano ed i suoi vertici hanno agito allo scopo di indebitamente neutralizzare gli effetti del sancito trasferimento di un giudice, membro del collegio che procedere al dibattimento nel processo cd. “Sme-Arioto”, pendente davanti alla I sezione penale del tribunale.

le anomalie delle vicende processuali, che hanno caratterizzato lo svolgimento dei vari processi imbastiti a Milano, costellato di incredibili singolarità ed illegittimità a dimostrare che il destino processuale dell'imputato istante è stato prestabilito in anticipo.

Il condizionamento degli avvocati; assume l'istante che nei confronti dei suoi difensori, come documenta corposa rassegna stampa sono state adottate pesantissime intimidazioni di tipo “punitivo” e “ritorsivo”, anche nel discorso di inaugurazione dell'anno giudiziario del dottor Borrelli, solo perché essi avevano esercitato legittimamente il diritto di difesa, prospettando le dovute eccezioni volte a rimediare tempestivamente ai numerosissimi vizi di legittimità accumulatasi nel corso dei processi. Una simile rappresentazione dell'esercizio della difesa, condivisa da tutti i magistrati procedenti, ha finito per condizionare l'operato dei difensori stessi, costretti a calibrare ogni intervento per evitare accuse strumentali e costituisce elemento che determina perturbazioni irreversibili degli equilibri processuali ed impedisce la celebrazione di processi giusti, immuni da influenze e condizionamenti.

Situazioni locali; osserva l'istante che si sono verificati in Milano, all'esterno del palazzo di giustizia, alcuni episodi che costituiscono, in termini oggettivi, cause di turbativa dei processi in corso; si sono tenute infatti

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numerose manifestazioni di piazza pro e contro la linea del governo – tra cui un “girotondo-picchetto” intorno al palazzo di Giustizia mentre si teneva una delle udienze del processo “Sme-Ariosto” – e sono state vergate varie scritte sui muri nei confronti sia del Pm di udienza, sia degli imputati. Espone in particolare che nel giorno dell'inaugurazione dell'anno giudiziario sono state organizzate manifestazioni di piazza aventi ad oggetto proprio i processi in cui egli è imputato, e che alcuni manifestanti hanno anche tentato di fare ingresso nel palazzo di giustizia, al cui interno, peraltro, è stata consentita, appena fuori della sala destinata alla cerimonia, la distribuzione di volantini prestampati contenenti incitazioni alla condanna sua e dell'on. Berlusconi, nonché pesantissimi attacchi ai difensori, a conferma del legame diretto tra gli appelli e gli inviti alla mobilitazione del dottor Borrelli e di altri magistrati milanesi ed i fenomeni di “sollevazione” popolare che hanno finito per determinare, sui processi in corso, un condizionamento ambientale ormai non più eliminabile.

Pure da ciò derivano, ad avviso dell'istante, considerata anche l'enorme pressione mediatica, pesanti condizionamenti e coartazioni psicologiche sui giudici procedenti ed in generale su tutti coloro che partecipano al processo.

c) – Attilio Pacifico

Rileva l'istante che l'attuale formulazione dell'articolo 45 Cpp, recependo i risultati dell'elaborazione giurisprudenziale sull'articolo 55 del codice abrogato, ha elevato ad esplicito presupposto della rimessione la categoria dell'”ordine processuale”, inteso quale sottospecie dell'ordine pubblico risultante dal complesso delle condizioni predisposte dall'ordinamento al fine di assicurare che tutti i soggetti del processo possano esercitare liberamene, senza condizionamenti, i poteri-doveri che ad essi fanno capo e di garantire, così, lo svolgimento non inquinato del processo stesso e la genuinità dei risultati del giudizio.

Con la vigente disciplina, dunque, la tutela si è spostata dal giudice-organo al più generale contesto processuale, sulla considerazione che il giudice non è l'unica dramatis persona vulnerabile da pressioni esterne, e si sono allargati i presupposti che legittimano la proposizione della richiesta di rimessione in coerenza con i caratteri del nuovo rito, qualificato in senso accusatorio dall'iniziativa delle parti nella formazione della prova e dall'assunzione di questa, di regola, nel dibattimento.

Pertanto, si osserva, pur se il rimedio è riservato ad una eccezionalità di casi, può acquistare valenza per l'accoglimento della relativa istanza una situazione di rilevante turbativa della ordinaria dialettica processuale, anche se esterna ad essa, generata da diversi fattori riconducibili tutti, comunque, ad un atteggiamento di forte ostilità politica nei confronti degli imputati: ostilità che può emergere quando una campagna di stampa condotta attraverso la pubblicazione di notizie giudiziarie in maniera continuativa, sistematica e persecutoria nei confronti di determinate persone, sia tale da far presumere che l'ufficio di chi è chiamato a giudicare mostri quasi di esseri schierato contro di esse; ed a fortori, nel caso in cui la campagna di stampa faccia registrare prese di posizione, manifestate nelle più diverse occasioni, degli stessi componenti dell'ufficio giudiziario, a conferma del forte accanimento anche politico nei confronti di certi soggetti.

Nel caso di specie la condizione di costante allarme e tensione, oltre che dalla campagna di stampa, la quale ne costituisce il veicolo, è alimentata da manifestazioni di piazza, da dichiarazioni pronunciate in pubblico ed in occasione istituzionali da parte di rappresentanti di magistratura e politica, da sit-in di fronte al palazzo di giustizia di Milano: situazioni tutte estranee alla dialettica processuale, ma strettamente legate al luogo ove si svolge il processo, che creano un clima di forte suggestione.

Tale clima, che testimonia e rafforza l'esasperata ostilità e la conseguente mancanza di serenità di giudizio in capo all'organo giudicane, compromette senza ombra di dubbio la libertà di tutte le persone coinvolte nel processo, compresi testimoni e difensori che devono essere garantiti, al pari di tutti gli altri soggetti di cui all'articolo 45 Cpp, nella loro liberà di determinazione.

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La sintesi di quanto accaduto negli ultimi anni è offerta, ad avviso dell'istante, dal discorso del procuratore generale dottor Borrelli pronunciato per l'inaugurazione dell'anno giudiziario, interamente teso – a conferma dell'esistenza di una contrapposizione extra-istituzionale – a demonizzare l'opera dell'attuale Governo la quale, attraverso i ministri della Giustizia e dell'Interno, sarebbe diretta a “risolvere i processi” contro l'On. Berlusconi; discorso che, per la circostanza di essersi collocato in una importante sede istituzionale, non può non suggestionare l'animo degli ascoltatori e dell'intera comunità milanese. Del resto, si osserva, l'intento della procura generale di intervenire sui processi in corso è emerso in maniera chiara durante l'approvazione di importanti leggi (falso in bilancio, rogatorie, rientro di capitali dall'estero, mandato di cattura europeo); in particolare, si ricorda, il dottor Borrelli, in merito alla legge sulle rogatorie, ha pubblicamente affermato che “il nostro sforzo sarà quello di neutralizzare sul piano interpretativo i guasti che da questa legge possono nascere”; ed a questo proposito appaiono inquietanti le decisioni rese in siffatta materia dalla prima e quarta sezione penale del tribunale nei processi de quibus, che sembrano coordinate fra loro come sotto la direzione di una regia unica.

Sulla stessa linea del procuratore generale si è collocato, con dichiarazioni pubbliche riportate dalla stampa, anche il procuratore della Repubblica dottor D'Ambrosio.

La magistratura milanese, prosegue l'istante, insieme a tutto l'ambiente intorno ad essa gravitante, ha agito negli ultimi anni spinta da un intento persecutorio nei confronti dell'Onorevole Berlusconi e dell'Onorevole Previti; di conseguenza tutte le persone coinvolte nei procedimenti penali che li riguardano hanno “beneficiato” di un trattamento che si può definire almeno “speciale”.

Tra gli eventi del tutto peculiari che lo hanno coinvolto direttamente, l'istante indica:

l'utilizzazione nei suoi confronti, a fini cautelari, di un'inesistente “intercettazione ambientale” di una conversazione tra gli imputati Squillante e Misiani asseritamene effettuata presso il bar Mandara di Roma, in relazione alla quale il Gip dottor Rossato non ha compiuto alcuna verifica documentale, ritardando indebitamente la risposta alla richiesta di incidente probatorio circa le modalità della sua esecuzione. Gli operatori di Pg che tale attività di captazione hanno compiuto, rileva altresì l'esponente, si trovano attualmente sottoposti a procedimento penale davanti alla procura della Repubblica presso il tribunale di Perugina per il reato di falso ideologico, ipotizzato proprio in relazione a quanto avvenuto nel corso delle operazioni investigative; gli organi delegati per le indagini sono dunque divenuti a loro volta indagati, con la conseguenza che, alla stregua di quanto affermato dalla Corte di cassazione nel caso Cerciello, in dibattimento si verrà a formare una prova che non potrà non essere condizionata, con riferimento sia ai testi-indagati di reato connesso, sia allo stesso Pm che ha svolto le indagini proprio avvalendosi del loro ausilio investigativo;

la “ribellione” del Gip di Milano – attuata con un'ordinanza tardivamente emessa ed elusiva dei principi fissati in sede di legittimità – alla decisione della Corte di cassazione (all. 5, 6) con la quale era stato disposto l'annullamento con rinvio della misura cautelare applicata nei suoi confronti;

l'ordinanza, caratterizzata da una intollerabile dose di cinismo, con la quale il Gip di Milano ha disatteso la sua richiesta di rimessione in libertà ovvero di attenuazione della cautela per l'esistenza di uno stato depressivo incompatibile con la custodia;

la sentenza della Corte di appello di Milano del 12/5/2001, in cui si leggono gravi censure al mondo giudiziario romano al quale egli viene ascritto, a conferma che la situazione ambientale ha contagiato anche il giudice di secondo grado;

la “insubordinazione” del tribunale rispetto alla sentenza con la quale la Corte costituzionale, risolvendo il conflitto di attribuzioni, aveva annullato le plurime ordinanze del Gup che negavano la sussistenza di un

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legittimo impedimento a partecipare all'udienza preliminare dell'imputato n. Previti, impegnato n Parlamento; il tribunale, infatti, ai sensi dell'articolo 185 Cpp, avrebbe dovuto dichiarare la nullità di tutti gli atti conseguenti alle ordinanze predette e disporre la trasmissione del fascicolo al giudice dell'udienza preliminare: ciò non è tuttavia avvenuto, con elusione dell'osservanza del dictum della sentenza costituzionale di annullamento;

l'irritualità della composizione del collegio, del quale non poteva fare più parte, a seguito della decisione 31/12/2001 del Ministero della giustizia, il giudice dottor Brambilla, trasferito ad altro ufficio (sorveglianza), la cui titolarità è incompatibile, ai sensi dell'articolo 68 legge 354/75, con lo svolgimento di altre funzioni giudiziarie; il comportamento del predetto magistrato, teso pervicacemente ad esercitare le funzioni presso il tribunale ordinario, a fronte di una situazione da lui obiettivamente creata con la richiesta di trasferimento; la sua mancata astensione; l'immediata dichiarazione di inammissibilità della ricusazione proposta nei suoi confronti; l'illegittima sua applicazione al tribunale per la prosecuzione del processo, disposta dal presidente della Corte di appello, a riprova dell'atteggiamento ambientale della magistratura milanese che ha così reagito ad un legittimo atto del ministero;

la circostanza che il giorno 17 febbraio 2002 sia stata chiamata a raccolta una moltitudine di persone a fare “quadrato” intorno al palazzo della Corte Suprema, e, dalla voce di personaggi che nulla hanno a vedere con il mondo giudiziario, i sentissero pronunciare attacchi antigovernativi e di incitamento a moti rivoluzionari contro eventuali riforme che possano risolversi nell'introduzione di garanzie a favore degli imputati, secondo un copione già visto a Milano, ove si corre il rischio che tali manifestazioni diventino epidemiche.

È ormai storia, conclude l'istante, che le indagini e i conseguenti processi si svolgono con criteri mirati che hanno per obiettivo la destabilizzazione del Presidente del Consiglio in carica e, quindi, di coloro che si trovano nell'area del suo potere.

Ne è ulteriore riprova un episodio verificatosi nella primavera del 2001: nel corso di attività rogatoria svoltasi in Svizzera i difensori dell'istante avevano eccepito la violazione del principio di specialità; alla successiva udienza in Italia il Pm sollecitava il tribunale a verificare se l'avv. Patanè, italiano, non avesse commesso per questo attività antinazionale all'estero, a conferma di un atteggiamento ostile dell'accusa che anche in altre occasioni h portato il rappresentante del P.M. a richiedere la trasmissione degli atti al proprio ufficio per valutare ipotesi di reato a carico dei difensori che esercitavano il loro ministero.

Tutto il processo, dunque, è condizionato da una situazione ambientale non altrimenti eliminabile che impedisce la celebrazione di un sereno e giusto processo, menomando la libertà di determinazione delle persone che vi partecipano.

d) – Filippo Verde

L'istante, premesso di non avere alcuna intenzione di “schierarsi” nell'ambito di uno scontro processuale, politico ed istituzionale fin troppo noto, rileva tuttavia che proprio le caratteristiche di tale scontro hanno determinato in lui la convinzione che il contesto nel quale si stanno celebrando i processi di cui chiede il trasferimento non può garantire il loro svolgimento sereno nella sede giudiziaria di Milano, a causa del condizionamento ambientale al quale sono sottoposti giudici, parti, difensori, testimoni e che impedisce di celebrare i dibattimenti secondo i canoni di una fisiologica dialettica.

Non interessa, si osserva, rilevare chi fra i contendenti abbia torto o ragione: resta il fatto che la situazione denunciata, ormai irreversibile ed ineliminabile, sta determinando uno svolgimento anomalo del processo, nel quale l'applicazione o il richiamo delle norme di procedura, da parte dei ciascuno dei partecipanti, è puramente strumentale a “tenere il punto” più che ad applicare in modo sereno il codice e le leggi.

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Si svolgono pertanto, ad evidenziare circostanze tali da turbare lo svolgimento del processo e limitare la libertà di determinazione di coloro che vi partecipano, le seguenti considerazioni:

è fatto notorio che la magistratura milanese è considerata e si autoconsidera, nella sua integralità, un unicum; essa, a partire dall'ultimo decennio, ha patrocinato e difeso, non solo in sede strettamente processuale, ma pure (travalicando le proprie funzioni istituzionali) in sede politica e di opinione pubblica, le inchieste giudiziarie note come Mani pulite, che hanno assunto, anche per le spese di posizione pubbliche dei magistrati milanesi (all. 1, 2), il carattere di “emblema” della lotta alla corruzione, smarrendo il ruolo laico del processo per rivestire valenza etica e contrapponendosi, per questo, all'attività svolta da altre autorità giudiziarie, ed in particolare quella di Roma (il cd. “porto delle nebbie”); inchieste, tra l'altro, connotare, secondo l'opinione di una consistente parte di commentatori, studiosi e giornalisti, pur di diverso orientamento politico (all. 3, 4, 5), da una serie di singolarità processuali (uso improprio ed esasperato della custodia cautelare, forzatura nell'interpretazione delle norme sulla competenza territoriale, adozione di prassi organizzative inconsuete – un unico Gip si occupava di tutte le indagini -, uso sistematico della delazione, etc.) e da un pericoloso “sostanzialismo”.

È noto altresì che in tale contesto alcune forze politiche e culturali si sono contrapposte alle metodiche ed all'agire dei magistrati di Milano. In questa situazione è nato uno scontro – che perdura fino ad oggi e che si è sviluppato non solo nelle aule giudiziarie, ma anche attraverso i mezzi di informazione, in sedi istituzionali, nelle piazze – fra due schieramenti: l'uno rappresentato dalla magistratura milanese (la procura della Repubblica, con il consenso di fatto della magistratura giudicante), l'altro da alcune forze politiche, in particolare dal partito “Forza Italia” cui appartengono gli imputati Berlusconi e Previti.

IV – Prima di prestare la dovuta attenzione alla relazione tenuta da Borrelli, quale procuratore generale presso la corte di appello di Milano, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario – 12 gennaio 2002 -, è opportuno fare una riflessione su quanto sinora acquisito. A – Se è vero che gli interventi, le dichiarazioni, gli atti di Borrelli dalla fine del 1993 al settembre 1997 sono irrilevanti, oltre che per motivi tecnico-giuridici, per essere stati posti in essere nella fase procedimentale, anche perché – si pensi alla notifica del 21 novembre 1994, atto emblematico secondo Previti – del tutto privi del significato che debbono avere i fatti per poter essere ritenuti manifestazione della grave situazione locale; se è vero, poi, che gli interventi, le iniziative, le affermazioni di Borrelli coincidenti con la fase processuale e, quindi, astrattamene rilevanti, si sono rilevati, in sede critica, inesistenti: si pensi alla tesi della concertazione contra reum, alle riunioni e al significato ad esse attribuito da Previti e si pensi, soprattutto, al tema delle rogatorie; se tutto ciò è vero, deve affermarsi che, almeno sino a questo momento, la grave situazione locale richiesta dalla legge per la traslatio iudicii è risultata del tutto inesistente. B – Sul valore delle esternazioni dei procuratori generali è opportuno ricordare quanto la giurisprudenza di questa Suprema corte ha già avuto occasione di affermare. Per Cass., 25 ottobre 1995, Gullotti: «le pubbliche esternazioni fatte dal procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello di Messina in sede di prolusione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, il cui tenore è concordane con quanto versato in processo dall’accusa pubblica, rimangono mere opinioni, pur se autorevoli». «Nel vigente sistema processuale, infatti, il Pm, in tutte le sue configurazioni ordinamentali, riveste pur sempre la qualità di parte, con tutte le implicazioni che ciò comporta in ordine alle sue valutazioni extraprocessuali, che, per quanto concerne i giudici – togati o laici – rimangono affermazioni on valutabili nel giudizio, sia per il luogo che per la fonte da cui provengono, e di nessuna valenza cogente per l’assoluta indipendenza e non interferenza dei medesimi dal procuratore generale e dalle funzioni a costui attribuite dall’ordinamento, del tutto estranee alla giurisdizione».

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«Mentre, per quanto riguarda la persona fisica del Pm d’udienza non hanno alcun valore cogente, per le sue determinazioni in detta sede, atteso che il Pm d’udienza – articolo 53, comma 1, Cpp e 70, comma 4, Rd 30 gennaio 1941 n. 12, così come sostituito dall’articolo 20, Dpr 22 settembre 1988, n. 449 – esercita autonomamente le sue funzioni nelle udienze ed è soggettivamente titolare delle funzioni di Pm, quale “designato” dal capo dell’ufficio della procura e non più tramite di costui – come era previsto da sostituito articolo 70 dell’Ordinamento giudiziario – nello svolgimento delle predette funzioni». Per Cass., 17 marzo 2000, Panella: «è manifestamente infondata la richiesta di rimessione basata sulla prospettazione del mero timore di condizionamenti psicologici dell’organo giudicante in assenza di una qualsiasi grave situazione locale, radicata sul territorio e al di fuori dell’ambito processuale, idonea a turbare lo svolgimento del processo, anche… in relazione a dichiarazioni provenienti da ufficio non titolare dell’azione penale ed, in ogni caso, espressione di una parte processuale, le cui opinioni e i cui atteggiamenti non si sottraggono al vaglio giudiziale né possono alterare l’imparzialità del giudicante e la serenità del giudizio» (cfr. anche, Cass., 13 ottobre 1997, Manganaro). I principi affermati in queste ordinanze sono in equivoci: le esternazioni del procuratore generale in sede di relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario sono irrilevanti sia per i giudici, sia per i pubblici ministeri; le esternazioni del procuratore generale in quella sede non autorizzano la prospettazione di un mero timore di condizionamenti psicologici dell’organo giudicante in assenza di una grave situazione locale radicata sul territorio e al di fuori dell’ambito processuale. Si potrebbe già osservare, allora, che Borrelli, nell’affermare, come pone in risalto la richiesta di Berlusconi, che «un moderno codice deontologico dovrebbe sanzionare come oltraggio alla giustizia ogni esercizio di diritto all’interno del processo, che abbia come unico scopo quello di nuocere o recare ritardo al processo stesso e renderne irragionevole la durata», aggiungendo che si asteneva «dal citare gli esempi, più clamorosi, offerti da esperienze in corso», altro non ha fatto che esprimere sue opinioni condivisibili o non condivisibili, opportune o inopportune, ma, pur sempre opinioni personali, destinate al vaglio critico dei destinatari e, comunque, ininfluenti sui giudici, per l’assoluta indipendenza di costoro dal procuratore generale. E gli stessi rilievi valgono per il giudizio di Borrelli nei riguardi del ministro della Giustizia per la vicenda “Brambilla” («e che dire poi del recente, soccorrevole tentativo di sabotaggio di un processo, proveniente addirittura dall’estero, da un elevato livello esterno, sotto l’ingannevole specie dello scrupolo legalitario»?), trattandosi, ancora una volta, di un giudizio discutibile, dotato di scarsa persuasività, in considerazione del momento, della sede e della fonte, peraltro non aliena alle eclatanti manifestazioni del suo pensiero. Le stesse considerazioni, inoltre, si possono fare quanto ai giudizi sui procedimenti nei confronti delle associazioni mafiose, procedimenti che, secondo Borrelli, avrebbero avuto un calo non perché quelle associazioni sono state debellate, ma per tutta un’altra serie di ragioni, quale, tra le altre, «l’atteggiamento genericamente sfavorevole di ampi settori della classe politica». Queste considerazioni, infine, possono essere ripetute per i giudizi di Borrelli sulla separazione delle carriere dei magistrati, sul pericolo che il Pm sia vincolato all’esecutivo, sulla legge delle rogatorie e sulla riduzione della scorta a magistrati esposti, «uno dei quali pubblico ministero in un processo in cui sostiene l’accusa contro il Capo del Governo». Anche questi sono giudizi soggettivi ed opinabili, che non hanno attinenza ai processi in corso. C – Prima di soffermarsi su quel triplice resistere, sul quale, se non principalmente, si soffermano le richieste, è da sottolineare, come fanno nella loro memori, più volte citata, i pubblici ministeri, che «dalle fotocopie, allegate, di articoli di giornali risulta evidente che, nei discorsi dei procuratori generali in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario nei distretti, sono state manifestate espressioni di profondo malessere per la situazione in cui versa la magistratura italiana nonché forti preoccupazioni per il contenuto di leggi in tema di giustizia approvate nel periodo immediatamente precedente» e che «in alcune sedi hanno espresso il loro disagio anche appartenenti al foro». Ebbene, i titoli dei quotidiani su quelle inaugurazioni dicono, inequivocabilmente, che, quel giorno,

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le relazioni dei procuratori generali sono state particolarmente critiche e che in tute le sedi i magistrati hanno manifestato, denunciando l’inefficienza dell’amministrazione. E se a Milano è stato Borrelli a pronunciare per tre volte la parola “resistere”, a Palermo si è parlato di “resistenza” e quasi tutti i quotidiani hanno dato risalto a tale stato di tensione. Se tutto ciò risponde a verità – ed è da ritenere che nessuno lo dubiti – ciò che è successo Milano non è stato molto diverso da ciò che, quel giorno, è avvenuto in tutti i distretti, il che vuol dire sia che tutti i procuratori generali hanno espresso, quanto meno, le loro perplessità sugli stessi temi trattati da Borrelli o su temi analoghi. Come nessuno può mai pensare che nei capoluoghi degli altri distretti si sia creata, quel giorno, una grave situazione locale, così è impossibile ritenere che questa situazione sia sorta in Milano solo per avere detto Borrelli, in più rispetto a quanto detto dai suoi colleghi, che gli atti di emulazione andavano evitati, che non era stato esemplare il tentativo di sabotaggio di un processo, che un certo magistrato del pubblico ministero era stato privato della scorta. D – È di avallo a quella conclusione quanto si legge in quella pagina della memoria di Previti del 16 maggio 2002, nella quale si esprime un giudizio sul resistere, resistere, resistere pronunciato da Borrelli. «Nella richiesta di rimessione – così la memoria – è stato ampiamente segnalato l’intervento pubblico di Borrelli che, nella piazza giudiziaria milanese, ha più volte invitato all’azione i magistrati di Milano e il pubblico presente con le ormai famigerate parole: “resistere, resistere, resistere”».

«Ebbene, - prosegue la memoria – intervistato in ordine al significato di una simile espressione di invito esplicito alla lotta giudiziaria contro bersagli umani ben identificati nel delirante discorso con il quale è stata occupata l’inera cerimonia di apertura dell’anno giudiziario milanese, il Dott. Borrelli ha testualmente dichiarato: “lo ripeterei ancora tre volte perché era un invito rivolto alla collettività, non già contro il governo, perché recuperi il senso della legalità e resiste allo sgretolamento delle coscienze”». «Con tale dichiarazione, che si caratterizza anche per l’abituale travalicamento delle funzioni istituzionali che da giudiziarie diventano censorie e moraleggianti, il Dott. Borrelli – così ancora la memoria – ha praticamente confessato lo scopo e gli obiettivi del suo intervento dinanzi agli Stati generali della Giustizia milanese». «Infatti, visto che aveva l’intenzione di stimolare la “collettività”, “la coscienza civica”, evidentemente dei moltissimi magistrati presenti, tra i quali il Pm di udienza Dott.ssa Boccassini, è ovvio che nelle parole del Dott. Borrelli era contenuto un espresso invito alla lotta giudiziaria del “bene” contro il “male” e, quindi, ad una mobilitazione della sede giudiziaria milanese, certo non favorevole all’assistito, ripetutamente additato proprio da Borrelli come incarnazione di quel “male” che deve essere combattuto». Ma, se l’invito era un invito alla collettività «a recuperare il senso della legalità» e «a resistere allo sgretolamento delle coscienze», può essere “ovvio”, per usare il termine che appare nella memoria, che Borrelli abbia invitato i magistrati presenti alla “lotta giudiziaria” se si intende, però, quell’invito come invito al recupero della legalità, che, diretto a magistrati, non poteva non avere, tra i tanti, anche il significato di invito a non essere prevenuti, a non avere pregiudizi nei confronti degli imputati, ad essere imparziali, proprio perché questa è senza dubbio legalità. Se si accetta la interpretazione che di quel triplice resistere si dà nella memoria, è impossibile, sul piano squisitamente logico, che l’invito alla collettività, ivi compresi i magistrati, al recupero della legalità e a resistere allo sgretolamento delle coscienze sia stato un invito ai giudici ad essere di parte, a non fare il proprio dovere e, dunque, un invito a spingersi nella illegalità. È evidente che non può essere stato questo il significato di quel “resistere, resistere, resistere” e se ne ha la conferma se queste tre prole vengono lette nel contesto in cui sono state pronunciate. «Questo non è un discorso di conservazione», così la relazione di Borrelli in chiusura. «Nessuna istituzione, nessun principio, nessuna regola sfugge ai condizionamenti storici e, dunque,

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all’obsolescenza, nessun cambiamento deve suscitare scandalo, purché sia assistito dalla razionalità e purché il diritto, inteso come categoria del pensiero e dell’azione, non subisca sopraffazioni dagli interessi». «Ma, ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo baluardo della questione morale, è dovere della collettività “resistere, resistere, resistere”, come su una irrinunciabile linea del Piave». Come può notarsi, in queste ultime proposizioni Borrelli fa del diritto l’ultimo, l’estremo baluardo della questione morale, sicché si comprende bene il senso dell’invito al recupero della legalità: farsi guidare dal diritto. Poco prima Borrelli aveva invitato i magistrati anche «ad essere scudo della legalità»: i due inviti, recupero della legalità ed esserne scudo, non possono certamente risolversi, a meno che le parole non abbiano il loro significato, in una grave situazione locale tale da imporre la traslatio iudicii. La grave situazione locale, prima di quella relazione, non esisteva, come si è ampiamente dimostrato: non può averla fatta nascere un invito, enfaticamente espresso, preceduto da opinabilissimi giudizi, al rispetto della legalità, ad avere il culto per il diritto, per il rispetto delle regole. Se questo è il significato che deve attribuirsi, con evidente ragionevolezza, a quel triplice “resistere”, ne consegue che, essendosi definitivamente rivelata infondata la tesi della trasformazione della procura in organismo politico con gli copi che questo organismo avrebbe avuto stando alle richieste, specialmente alla richiesta di Previti, nessun rilevanza possono avere i provvedimenti endoprocessuali, tutti precedenti alla relazione di Borrelli. Né può omettersi di sottolineare che, come si è accennato da qualcuno dei difensori nell’udienza dinanzi a queste sezioni unite, dal gennaio 2002 in poi nulla di particolarmente significativo si è verificato in loco, fatta eccezione per alcune dichiarazioni di magistrati – se ne prenderà in esame una e se ne dimostrerà la totale insignificanza – e per alcuni eventi endoprocessuali, sicché potrebbe anche discutersi sull’attualità della grave situazione locale, dato e assolutamente non concesso che sia mai esistita.

V – Nella richiesta di Previti, a pag. 49, quando si stanno descrivendo le manifestazioni di piazza, si torna a dire che «lo scopo dei processi milanesi, quale concepito nel corso delle riunioni, concertazioni o manifestazioni, alle quali hanno partecipato cittadini e magistrati, è appunto unicamente quello di giungere alla condanna, vista come rivincita o ritorsione politica nei confronti del sottoscritto e dell’On. Berlusconi, definiti, nei vari appelli popolari di magistrati milanesi, primo tra tutti il procuratore generale Borrelli, quali personificazione del male».

Se la tesi, che costituisce l’architrave delle richieste, specialmente di quelle di Previti e di Berlusconi, che Borrelli ha trasformato la procura in organismo politico per «rivincita o ritorsione politica» contro lo stesso Previti e contro Berlusconi, non può essere condivisa perché manifestamente infondata, come si è posto in evidenza soffermandosi sui fatti che avrebbero dovuto esserne la prova, le campagne mediatiche, le manifestazioni di piazza, le scritte sui muri o le dichiarazioni di questo o di quel magistrato – il Dott. D’Ambrosio, ad esempio – nulla di decisivo aggiungono ad una inesistente grave situazione locale. Venuta meno la tesi di fondo, non possono essere articoli di giornali o legittime manifestazioni popolari a creare, sul territorio una situazione eccezionale, patologica, tale da essere causa della traslatio iudicii. La giurisprudenza di questa Suprema corte, sia quella formatasi nella vigenza dell’attuale Codice, sia quella formatasi nella vigenza del codice abrogato, è tutta in questi termini. «Le campagne di stampa, quantunque accese, astiose e martellanti o le pressioni dell’opinione pubblica non sono di per sé idonee a condizionare la libertà di determinazione del giudice, abituato ad essere oggetto di attenzione e critica senza che per ciò solo ne resti menomata la sua indipendenza di giudizio o minata la sua imparzialità». (Cass., 4 aprile 1995, Mazza; 19 gennaio

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1995, Gallo; 3 ottobre 1995, Galli). E in precedenza: «Ai fini della procedura di rimessione, una campagna di stampa o un diffuso orientamento della opinione pubblica non equivalgono a pressioni o influenze tali da scuotere la imparzialità del giudice e l’assolvimento della correlativa funzione giurisdizionale» (Cass., 11 aprile 1983, RV 158403; 29 gennaio 1981, Bernardelli; 20 ottobre 1975, Izzo). Per quel che riguarda, in particolare, le pubbliche manifestazioni è ricorrente il principio che «le pubbliche manifestazioni, anche se riprese dalla stampa, di sostegno alle tesi accusatorie, pur se possono attestare l’esistenza di prese di posizione locali aspre e vivaci, costituiscono una forma di espressione della libertà di pensiero e, come tali, rappresentano un dato coessenziale ad una società democratica, onde non sono, di per sé, idonee a pregiudicare la capacità di determinazione del giudice, tenuto conto delle qualità morali, psicologiche e di esperienza che normalmente assistono le persone di coloro che sono chiamati al disimpegno di funzioni giurisdizionali» (Cass., 17 marzo 2000, Panella; 9 gennaio 1996, Farassino; 25 ottobre 1995, Gullotti). Ed è altrettanto costante, quanto alle campagna di stampa, l’affermazione che «in nessun caso possono essere prese in considerazione le campagne di stampa, posto che, in presenza di fatti che abbiano risonanza nazionale e siano trattati e commentati da tutta la stampa italiana di ogni orientamento, con conseguenti aspettative contrastanti sull’esito del processo, vengono meno quelle “gravi situazioni locali” che sono richieste dall’articolo 45 Cpp, venendo a trovarsi sostanzialmente ogni giudice della Repubblica in una situazione di potenziale condizionamento, non suscettibile, pertanto, di eliminazione» (Cass., 17 marzo 2000, Panella; 16 ottobre 1996, Berlioz; 9 novembre 1995, Cerciello; 20 settembre 1995, Craxi; 5 luglio 1995, Fiandrotti; 30 settembre 1992, De Feo9). Volendo ipotizzare – e il principio può valere anche per le manifestazioni popolari – che le campagne di stampa possano costituire grave situazione locale, il trasferimento del processo non la eliminerebbe, perché, se ha determinate caratteristiche – tra le altre, la natura dei fatti, la qualità delle persone – il processo, dovunque venisse trasferito, non farebbe venire meno l’interesse della stampa e dell’opinione pubblica. Non può, quindi, obiettarsi, come si obietta nella memoria di Previti del 18 gennaio 2003, che la Corte di cassazione deve considerare, semplicemente ed esclusivamente, la situazione ambientale realmente realizzatasi al fine di stabilire se esista o meno la possibilità di condizionare l’imparzialità del giudizio o la serenità della condotta processuale, non dovendo essa immaginare situazioni non ancora accadute per stabilire che, anche in questi casi, si verificherebbe un condizionamento ambientale. L’obiezione non può essere apprezzata perché è la stessa legge che impone alla corte di cassazione di disporre il trasferimento del processo solo se le gravi situazioni locali non siano altrimenti eliminabili e il giudizio sulla eliminabilità o sulla non elimnabilità non è necessariamente un giudizio di certezza, potendo ben essere un motivato giudiziosi alta probabilità. Se la stampa e l’opinione pubblica si sono sempre interessate di un certo processo è, quanto meno, altamente probabile che continuino ad interessarsene anche se il processo viene trasferito altrove, non potendo, certo, escludersi che un evento, in quel momento imprevedibile, faccia venire meno l’interesse dell’una o dell’altra. Alla luce di questi principi nessun rilievo, dunque, può avere – per venire ad alcune delle manifestazioni indicate nelle richieste – la manifestazione di piazza davanti al palazzo di giustizia del 28 settembre 2001 in cui i partecipanti hanno manifestato, come si legge nella richiesta di Previti, «contro il colpo di spugna di Berlusconi con evidente riferimento alla legge n. 367/01». L’opinione pubblica, invero, può, indiscutibilmente, legittimamente dissentire – e manifestare il proprio dissenso – nei confronti di una legge, con il solo limite di rispettarla ove se ne debba fare applicazione. Nessun rilievo, poi, può avere il “girotondo-politico” del 26 gennaio 2002 davanti al palazzo di giustizia, non consentendo un girotondo – al quale hanno partecipato persone dello spettacolo e della cultura, donne e bambini, come si desume dai resoconti della stampa allegati alla memoria dei pubblici ministeri – neppure illazioni o supposizioni sul condizionamento dei giudici, tanto più se la

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manifestazione ha avuto luogo, come ha dimostrato documentalmente la citata memoria, nel pomeriggio quando l’udienza era terminata da tempo e se quel giorno era un sabato, «quando, come si scrive nella memoria, notoriamente non si svolge, di solito, nel pomeriggio, attività giudiziaria pubblica e gli ingressi al palazzo sono chiusi ad eccezione di un unico carraio». La manifestazione al “Palavobis”, infine. La memoria dei pubblici ministeri nota, al riguardo, che «la manifestazione, svoltasi ancora di sabato e assai distante dal palazzo di giustizia, ha avuto la specificità di avere visto la partecipazione di famiglie – ancora una volta donne e bambini – e non ha dato origine a incidenti di sorta e nemmeno a battibecchi».

La prova del resto, se ve ne fosse bisogno, della non incidenza sui processi in corso di questa manifestazione si ricava dalla richiesta di rimessione di Previti, nella quale si descrive la manifestazione come «un’imponente manifestazione indetta dal capo dei forcaioli, Flores D’Arcais, per celebrare il “manetta day: l’anniversario dell’arresto di Mario Chiesa che diede inizio al fenomeno di arresti conosciuto come “Mani pulite”».

Quella manifestazione, quindi, aveva il semplice scopo di celebrare l’anniversario dell’inizio di un fenomeno – Mani pulite – che, per quei partecipanti, era da ricordare, pur consapevoli – è ovvio – del legittimo dissenso di altri. Prima di concludere sul punto, è doveroso indugiare, come si è preannunciato, sulle dichiarazioni rilasciate dal Dott. D’Ambrosio. Le dichiarazioni di quest’ultimo sulla vicenda “Brambilla” vengono ampiamente citate nella richiesta di Berlusconi e sulle stesse non può non ripetersi quanto si è detto in ordine al giudizio espresso da Borrelli, sullo stesso argomento, nella sua relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Il Dott. D’Ambrosio, in quelle dichiarazioni, rilasciate in una intervista, ha criticato l’intervento del ministro, affermando, tra l’altro, che “il ministro non aveva tenuto in conto quella che è un’esigenza primaria, cioè la continuazione di un processo” e che “era la prima volta che si verificava un’interferenza così pesante da parte del potere esecutivo nell’amministrazione della giustizia. Si tratta, come si vede, di un giudizio, di un’opinione, che, come tutte le opinioni, può essere o non essere condivisa, un’opinione con la quale si manifesta il desiderio che i processi, e anche quel processo, vengano celebrati, un’opinione che non si esprime affatto sull’esito del processo e tale, allora, da non essere, oggettivamente e soggettivamente, in alcuna relazione con il problema della imparzialità di giudici. Nella memoria del 18 gennaio 2003 si riporta un brano di un’intervista rilasciata da D’Ambrosio al Corriere della Sera.

«Il precedente governo – così D’Ambrosio – aveva approvato diversi provvedimenti, pur non univoci, per rendere quantomeno accettabili i tempi dei processi… questa nuova strategia veniva interrotta nel giugno 2001, con l’avvento del nuovo governo… solo l’abnegazione e l’attaccamento del personale tutto di questa procura riusciva ad evitare una crisi irreversibile».

Questo passo dell’intervista ha come tema, non può dubitarsi, i tempi dei processi e un confronto tra la velocità accettabile degli stessi prima del giugno 2001 e la velocità non accettabile dopo il giugno 2201 con l’avvento del nuovo governo: D’Ambrosio afferma che soltanto grave all’abnegazione e all’attaccamento del personale tutto della procura si era riusciti ad evitare una crisi irreversibile, crisi che, viste le entità a confronto, non può essere, sul piano logico, che quella dovuta alla minore velocità dei processi dopo il giugno del 2001. Secondo la memoria di Previti, invece, il riferimento alla “crisi irreversibile” «non può che essere rivolto sia al provvedimento che, secondo la legge in tema di rogatorie, avrebbe dovuto espellere dagli atti dei processi in corso le informi fotocopie, sia alla sentenza di non doversi procedere per

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estinzione del reato a seguito di intervenuta prescrizione per quanto concerne i processi per falso in bilancio instaurati nei confronti dell’On. Berlusconi, sia alla sospensione dei processi per i quali sono state avanzate richieste di rimessione». Ma, in quella intervista non v’è nulla di tutto ciò, sicché le considerazioni della memoria sul piano della pura logica – è la logica che dice quali fossero le entità a confronto – si rivelano supposizioni, illazioni del tutto ingiustificate. Nella memoria si aggiunge che «le incredibili affermazioni di D’Ambrosio sono state tratte da una sorta di “relazione-bilancio” che il Dott. D’Ambrosio ha scritto per “il nuovo anno giudiziario” e che è stata affidata al nuovo Pg» e si commenta che «l’episodio è sconcertante», perché «non è mai accaduto che un procuratore uscente e, per di più, funzionalmente non legittimato, si sia preoccupato di predisporre la relazione di apertura dell’anno giudiziario, appropriatosi di un compito che spetta al procuratore generale presso la Corte di appello». Di sconcertane non v’è alcunché perché ogni anno, diversi mesi prima dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, i procuratori generali chiedono ai procuratori della Repubblica notizie-bilancio sui temi della giustizia con le loro riflessioni, notizie che i procuratori generali utilizzeranno, poi, nelle loro relazioni. È, allora, appena ragionevole che nella “relazione-bilancio” – atto al quale era funzionalmente legittimato – D’Ambrosio si sia premurato di porre in evidenza l’abnegazione e l’attaccamento di tutto il personale per rendere accettabile la velocità dei processi, mentre sarebbe stato del tutto irragionevole che avesse alluso alle rogatorie o a quant’altro avesse avuto a che fare con i processi a carico di Berlusconi e di Previti, consapevole, oltre tutto, che destinatario di quella relazione sarebbe stato il nuovo Procuratore generale, del tutto estraneo rispetto a quei processi.

VI – Traendo le conclusioni da tutto ciò, è da definitivamente affermare che non esiste la grave situazione locale-territoriale o ambientale. Non è vero che Borrelli abbia trasformato la procura in organismo politico perché non costituiscono prova di questa trasformazione quanto Borrelli avrebbe detto e fatto nella, irrilevante, fase procedimentale, la mai esistita concertazione contra reum, le ordinanze sulle rogatorie, la relazione di Borrelli in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, le campagne di stampa, le manifestazioni popolari, le dichiarazioni di altri magistrati. Restano, a questo punto, i numerosi provvedimenti endoprocessuali che i richiedenti hanno esposto nelle richieste e nelle memorie per porne in evidenza la illegittimità, sintomo, secondo loro, della parzialità dei giudizi. Secondo i principi che queste Sezioni unite hanno affermato trattando della grave situazione locale, i provvedimenti endoprocessuali del giudice e gli atti, le iniziative, le richieste, i comportamenti, in genere, del Pm nel processo, non debbono essere presi in alcuna considerazione se si accerti la inesistenza di una grave situazione locale-territoriale, mentre assumono rilevanza – e se ne sono precisate le condizioni – ove la grave situazione locale venga accertata. È opportuno ricordare, per quel che riguarda i provvedimenti endoprocessuali dei giudici, che la giurisprudenza di questo supremo collegio non ha avuto mai dubbi sulla rilevanza degli stessi. Per Cass., 23 febbraio 1998, Berlusconi: «Il tentativo di proiettare l’influenza negativa dei Pm milanesi sulle decisioni del collegio giudicante in tema di acquisizione probatoria è destinato a fallire, ove si consideri che l’attività di istruzione dibattimentale risulta caratterizzata da decisioni che, anche se non condivise dall’imputato e dai suoi difensori, sono state adottate nel pieno rispetto delle norme processuali vigenti». «Rientra, infatti, nei poteri del collegio di revocare ordinanze, di disporre di ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, di rigettare richieste avanzate dai difensori in merito alla acquisizione di documenti o alla ammissione di testi o di recuperare testi non ammessi». «Tali decisioni – tutte ritualmente motivate e tutte rientranti nel sistema processuale previsto dal Codice di rito vigente – non sono certo idonee a generare il sospetto che siano stati commessi abusi nei confronti dell’imputato; la non con divisibilità delle decisioni adottate dal collegio, d’altra parte,

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non può costituire causa di rimessione del processo, essendo esercitatile all’uomo il diritto all’impugnazione, che è il rimedio previsto dalla legge per rimuovere decisioni eventualmente non corrette». (Negli stessi termini: Cass. 5 luglio 1995, Fiandrotti; 20 settembre 1995, Craxi; 20 dicembre 1995, Vizzini). Ancora più netta Cass., 8 aprile 1992, Canaglia: «Trattasi quasi esclusivamente i censure a singoli provvedimenti incidentali sfavorevoli all’imputato e da costui interpretati quale sistematica persecuzione nei suoi confronti; le censure avverso singoli provvedimenti – impugnabili – saranno fatte valere nella opportuna sede evitandosi anticipazioni di temi e di questioni che attengono esclusivamente al merito e al dibattimento in corso».

Ciò detto, queste sezioni unite ritengono, però, di doversi soffermare ugualmente su alcune questioni endoprocessuali vista la rilevanza ad esse attribuita dai richiedenti e di doverlo fare, relativamente alle ordinanze emesse dai tribunali a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 225 del 2000, con una certa ampiezza, avendole inserite la richiesta di Previti tra le prove della concertazione contra reum, e brevemente, invece, al solo fine di metterne in evidenza alcuni profili, sulla “vicenda Mandara”, sulla “fonte confidenziale Olbia-ArRiosto”, sul tema della competenza per territorio nel processo IMI-SIR, sulla vicenda “Brambilla”. A – La richiesta di Previti, a pag. 33 e ss.gg., e la richiesta di Berlusconi, a pag. 36 e ss.gg. – ne trattano, comunque, anche gli altri richiedenti, come si è accennato – si soffermano su questa sentenza nell’ottica, ancora una volta, della concertazione contra reum, concertazione, però, che, in questa occasione, ha il suo protagonista, non in Borrelli, ma nei due tribunali. La Corte costituzionale, come è noto, con questa sentenza, ha risolto un conflitto di attribuzione tra i poteri dello stato, promosso con ricorso del presidente della Camera a seguito delle ordinanze emesse dal Gop del Tribunale di Milano il 17 e 20 settembre 1999, in due procedimenti penali a carico dell’On. Cesare Previti, e delle successive ordinanze – in particolare quelle adottate nelle udienze del 22 settembre 1999, 5 ottobre e 6 ottobre 1999 – «in quanto non avevano considerato assoluto impedimento il diritto-dovere del deputato di assolvere il mandato parlamentare attraverso la partecipazione e votazioni in assemblea». La Corte costituzionale ha annullato le ordinanze dopo avere dichiarato che «non spettava al giudice dell’udienza preliminare, nell’apprezzare i caratteri e la rilevanza degli impedimenti addotti dall’imputato per chiedere il rinvio dell’udienza, affermare che l’interesse della Camera dei Deputati allo svolgimento delle attività parlamentari e, quindi, l’esercizio dei diritti-doveri inerenti alla funzione parlamentare, dovesse essere sacrificato all’interesse relativo alla speditezza del procedimento giudiziario». Nelle due richieste, dopo essersi richiamata la norma dell’articolo 185 Cpp, nelle parti in cui dispone che «la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo» e che «la dichiarazione di nullità comportala regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l’atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito», si censurano le ordinanze, sul punto, della I e della IV sezione del Tribunale di Milano, del 17 novembre e del 21 novembre 2001, «per avere avallato, con argomentazioni capziose e sofistiche e con abili giri di parole – secondo la richiesta di Previti – una macroscopica contraddizioni in termini, cioè che l’annullamento della Corte costituzionale non avesse comportato la nullità delle ordinanze annullate», o – richiesta di Berlusconi, «per avere effettuato una “insubordinazione” al comando giuridico promanante dal provvedimento di annullamento della Corte costituzionale». Le censure impongono di porre in rilievo che sono gli stessi richiedenti che, nel momento in cui prestano attenzione alla norma dell’articolo 185 Cpp, mostrano di rendersi perfettamente conto che la nullità di un atto processuale, in tanto rende invalidi gli atti consecutivi, in quanto questi atti dipendano da quello dichiarato nullo. Secondo la giurisprudenza di questo supremo collegio, infatti, «deve ritenersi derivato da altro precedente quell’atto che con il primo si ponga in rapporto di dipendenza effettiva, del quale venga,

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cioè, a costituire la conseguenza logica e giuridica, nel senso che l’atto dichiarato nullo costituisce l’ineliminabile premessa logica e giuridica di quello successivo, per modo che, cadendo tale premessa, restano necessariamente cadutati anche gli atti che ne conseguono» (Cass., 22 dicembre 1997, Nikolic; 19 settembre 1997, Guzzardi). La medesima giurisprudenza non ha, inoltre, mai dubitato che, «in tema di estensibilità di nullità di un atto processuale ad altro atto processuale, al giudice penale è riservato in ogni caso il potere d’indagine e di decisione circa la sussistenza di un rapporto di connessione tra i vari atti» (per tutte: Cass., 8 febbraio 1980, Villa). Se questi sono i principi che si deducono dalla norma dell’articolo 185 Cpp, la I sezione del Tribunale, nella sua ordinanza, è rimasta nell’ambito dei poteri conferiti al giudice dalla legge quando ha dichiarato che, «nel caso di specie, non sussistono i presupposti per disporre la regressione del procedimento, sia perché la nullità dell’ordinanza 20 settembre 1999 non si è comunicata a nessun altro atto e tanto meno al decreto che dispone il giudizio – che sarebbe arduo ritenere collegato necessariamente in via logico-giuridica all’ordinanza del 20 settembre 1999 - sia perché in nessun modo la tenuta di quella particolare udienza meramente interlocutoria in assenza del suddetto imputato ha compromesso i suoi sostanziali diritti di difesa». Il Tribunale, poco prima, aveva spiegato perché l’ordinanza del 20 settembre dovesse ritenersi innocua, osservando che, «nell’ambito di quell’udienza del 20 settembre 1999, non era stato assunto nessun provvedimento dopo il rigetto della richiesta di rinvio per impedimento dell’imputato, tranne il provvedimento di rinvio all’ulteriore udienza del 24 settembre, di cui non fu disposta la notifica all’imputato Previti, il quale, peraltro, è intervenuto alla suddetta udienza senza far valere il vizio di notifica, con ciò sanandolo ed interrompendo definitivamente ogni effetto diffuso». La IV sezione si è tenuta, come impostole dalla fattispecie, su un altro piano, pervenendo, però, alla stessa conclusione di non incidenza della nullità delle ordinanze e della non regressione del procedimento. Dopo avere premesso che i difensori degli imputati, ad eccezione del difensore di Vittorio Metta, avevano chiesto che, in esecuzione della sentenza della Corte costituzionale, venisse dichiarata la nullità del decreto che dispone il giudizio, il Tribunale ha osservato che nella sentenza della Corte costituzionale «è mancata ogni affermazione, da parte della Corte, circa la sussistenza, in capo all’imputato e per le udienze in questione – le udienze del 22 settembre e del 5 e 6 ottobre 19999 – di un legittimo impedimento», il che «equivale a dire – ha aggiunto – che la nullità delle ordinanze colpirebbe gli atti successivamente compiuti solo laddove il giudice del dibattimento riconoscesse, ora per allora, in base alla documentazione prodotta per provare l’impedimento, il diritto ad ottenere il rinvio dell’udienza». Ma, questo riconoscimento, ora per allora, del diritto ad ottenere il rinvio dell’udienza, non era, secondo il Tribunale, giuridicamente possibile. Se, infatti, è «onere dell’imputato, che intenda richiedere il rinvio dell’udienza per un legittimo impedimento, di qualsiasi natura, darne prova piena, al momento della richiesta di rinvio, con riferimento ai caratteri di esistenza, di assolutezza ed attualità dell’impedimento medesimo, in tema di impedimento parlamentare non è sufficiente produrre informale convocazione del deputato da parte del Capogruppo, occorrendo invece documentazione ufficiale relativa al calendario dei lavori della Camera di appartenenza, unitamente a prova specifica circa la presenza dell’imputato presso la stessa Camera contestualmente allo svolgimento dell’udienza e ciò anche secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione in una fattispecie simile» (Cass., 3 dicembre 1980, Pisanò). «Nessuna nullità, quindi, concernente l’intervento dell’imputato si è verificata alle udienze avanti il Gip, in data 17 e 22 settembre, 5 e 6 ottobre 1999, in quanto non trattatasi della prima udienza di costituzione delle parti e, in ogni caso, i difensori dell’imputato, nel richiedere in rinvio per impegni parlamentari, non ebbero a produrre documentazione idonea ad attestare l’esistenza e la attualità del dedotto impedimento». Questi i punti salienti delle due ordinanze. Può discutersi, certo, se i due collegi hanno correttamene escluso la dipendenza logica e giuridica

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degli atti successivi dagli atti dichiarati nulli e se hanno correttamente negato la regressione del procedimento; ma, con altrettanta certezza, non si può sostenere che, nell’escludere l’incidenza della dichiarazione di nullità delle ordinanze e nel non ravvisare le condizioni della regressione, quei due collegi si siano attribuiti poteri che non avevano, sicché non si potrebbe mai dire, tra l’altro, che le due ordinanze sono atti abnormi, “provvedimenti, cioè, inficiati da anomalie genetiche o funzionali tali che ne impediscono l’inquadramento negli schemi normativi tipici e li rendono incompatibili con le linee fondanti del sistema processuale (Cass., 9 luglio 1997, Quarantelli). Della censura di abnormità non v’è, del resto, alcuna traccia nelle richieste. Nella richiesta di Berlusconi si trascrivono parte delle ragioni addotte dai tribunali per dimostrare l’inesistenza delle condizioni per la regressione del processo e, dopo la trascrizione, non solo non si eccepisce l’abnormità dei provvedimenti, ma, soprattutto, nulla di specifico si aggiunge al giudizio che le ordinanze sono l’effetto di insubordinazione o – richiesta di Previti – capziose e sofistiche. I richiedenti, in altri termini, lamentano la disapplicazione della sentenza della Corte costituzionale; ma, anche in questo caso, come nel caso delle ordinanze sulle rogatorie, si astengono dal misurarsi con il contenuto di quelle ordinanze e, ciò, nonostante, formulano, ugualmente, il giudizio di capziosità e di insubordinazione, giudizio che, in quanto del tutto apodittico, immotivato, non consente, certamente, di affermare che, dato e non concesso che sussista la grave situazione locale, le due ordinanze in esame ne sono il riflesso. La richiesta di Berlusconi ritiene di cogliere l’anomalia delle decisioni del Tribunale anche nella “voluta” tardività dei provvedimenti, tesi, questa, che i pubblici ministeri contestano nella loro memoria, riportando quanto risulta dai verbali di udienza della I sezione nel periodo dal 9 luglio al 17 novembre 2001. Nell’udienza del 9 luglio, ad appena tre giorni dalla sentenza della Corte costituzionale, «venne stabilito di rinviare l’udienza al 17 novembre, prima udienza utile dopo la sospensione feriale, per consentire alle parti di esaminare la sentenza con la dovuta attenzione». Il 17 novembre, «Cesare Previti presentava istanza di rinvio per legittimo impedimento per malattia e il Tribunale, ritenuto il legittimo impedimento, rinviava al 28 settembre», udienza in cui «le parti svolgevano le loro considerazioni sugli effetti della sentenza della Core costituzionale e in cui il Tribunale riservava la propria decisione per l’udienza dell’1 ottobre». All’udienza dell’1 ottobre Previti presentava ulteriore istanza di rinvio per legittimo impedimento per malattia, acconsentendo, però, alla lettura dell’ordinanza sugli effetti della sentenza della Corte costituzionale; ma, il Tribunale riteneva assorbente la richiesta di rinvio ed aggiornava il processo all’8 ottobre, data in cui Previti rinnovava la richiesta di rinvio per legittimo impedimento per malattia, manifestando, anche in questa udienza, il consenso alla lettura dell’ordinanza, e il Tribunale riteneva di nuovo assorbente la richiesta di rinvio fissando l’udienza al 17 novembre, di pochissimi giorni successivo alla scadenza della malattia. L’ordinanza veniva letta il 17 novembre. Se si esaminano le date con attenzione, si coglie sia che il Tribunale avrebbe dovuto leggere l’ordinanza l’1 ottobre, mentre ne ha dato lettura il 17 novembre, dopo 46 giorni, sia che il Tribunale non ha voluto questo ritardo – oggettivamente tutt’altro che senza misura – se non per consentire a Previti di essere presente, tenendo anche conto che la malattia si sarebbe risolta in un ragionevole lasso di tempo. È, dunque, mera illazione o supposizione interpretare quel ritardo, per nulla smisurato e, soprattutto, motivato, come uno degli aspetti della concertazione contra reum. Connesso al tema delle ordinanze emesse dopo l’intervento della Corte costituzionale e, nelle richieste di Previti e di Berlusconi, il tema che ha ad oggetto la lettera che il presidente del IV sezione, dottor Paolo Carfì, aveva indirizzato, il 22 ottobre 2001 – dandone lettura in udienza il 29 ottobre – al presidente della Camera dei Deputati per chiedere indicazioni sul calendario futuro dei lavori dell’assemblea, richiesta «finalizzata alla fissazione di udienza dibattimentale in giornate diverse da quelle dedicate ai lavori parlamentari».

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Il dottor Carfì, in quella lettera, «anticipava – questa è la tesi – seppure implicitamente, il convincimento circa la inapplicabilità del dispositivo della sentenza della Corte costituzionale al processo Imi-Sir, che la problematica relativa alla fissazione di ulteriori udienze sottintendeva necessariamente la volontà di procedere oltre nel dibattimento». Il dottor Carfì, quindi, «aveva già maturato la propria decisione, nonostante che avesse fissato l’udienza del 5 novembre per la trattazione della questione e, in quella lettera, estendeva le proprie preoccupazioni anche ai processi a lui non assegnati, vale a dire al processo Sme-Ariosto e al processo Lodo Mondadori». «In altre parole – prosegue la richiesta di Berlusconi – il dottor Carfì, facendo espresso riferimento alla esigenza di coordinare le udienze Imi-Sir con quelle dei dibattimenti relativi ai processi Sme-Ariosto e Mondadori, sembra anticipare la decisione della I sezione del medesimo Tribunale; in pratica sembrava a conoscenza il 22 ottobre 2001 che anche la I sezione del rionale di Milano avrebbe il 17 novembre 2001 disapplicato il dispositivo della sentenza 225/01 della Corte costituzionale, come è infatti puntualmente avvenuto». La lettera del dottor Carfì non i presta a questa lettura. Se, come si scrive nella richiesta di Previti, la lettera è stata scritta il 22 ottobre e ne è stata data lettura in pubblica udienza il successivo 29, quando l’udienza per la trattazione della questione non era stata ancora tenuta – la trattazione sarebbe iniziata il 5 novembre e si sarebbe conclusa il 16 novembre – ne consegue che la lettera è stata spedita e ne è stata data lettura in un momento in cui, non essendo stata ancora discussa la questione degli effetti della sentenza della Corte costituzionale, il contenuto dell’ordinanza non era affatto scontato, dipendendo anche da quanto le parti avrebbe osservato nella discussione. Che l’ordinanza avrebbe escluso che vi fossero atti, dipendenti dalle ordinanze, da annullare o che ricorressero le condizioni per disporre la regressione del procedimento, era, in quel momento, soltanto uno dei possibili esiti, il che spiega la preoccupazione del presidente del collegio di sapere quando, in quali giorni, nel caso l’ordinanza avesse avuto un certo contenuto, avrebbe potuto celebrare le udienze senza intralciare i lavori della Camera. E il problema si poneva, in questa ottica, anche per la I sezione e ciò anche senza alcun contatto tra i due presidenti, essendo sufficiente, perché presentasse il problema come un problema rilevante anche per la I sezione, che il dottor Carfì sapesse – come è ragionevole ritenere che sapesse – che la I sezione non aveva ancora emesso l’ordinanza. Del resto, per rendersi conto che i due collegi hanno pronunciato le due ordinanze senza confrontarsi basta scorrerle per coglierne la diversa, profonda, impostazione di fondo. D’altro canto, la richiesta di Berlusconi non va al di là di espressioni quali (l’iniziativa del dott. Carfì) «sembra anticipare la decisione della I sezione», “sembrava” (il dott. Carfì) «a conoscenza che il 22 ottobre anche la I sezione si sarebbe pronunciata nello stesso modo» e l’uso del verbo “sembrare” sta a significare che il richiedente, in questo caso, fa semplici illazioni, semplici supposizioni, sulle quali è impossibile fondare, come è noto, il giudizio che certi fatti ne sono sicuro sintomo della grave situazione locale. B – Merita, invece, maggiore attenzione la questione relativa alla competenza per territorio del Tribunale di Milano, non già perché essa sia decisiva o rilevante ai fini della rimessione del processo, ma perché, oltre ad essere stata prospettata con ricchezza di rilievi dai difensori degli imputati, non può essere ignorato che, in applicazione del principio espresso dall’articolo 23 Cpp, ogni giudice è obbligato alla verifica della propria competenza. Se vero è che, in questa sede, ai limitati fini di accertare se sussistono i presupposti per disporre la rimessione di un processo ad altra sede non compete alla corte verificare se ed in quale misura sono fondati i rilievi dedotti dalla difesa degli imputati in ordine all’eccepita incompetenza territoriale, a tale onere non potrà sottrarsi il giudice del processo, nel doveroso rispetto degli inderogabili criteri stabiliti dagli articoli 8 e 9 Cpp, ed utilizzando ai fini di tale indagine, non solo la documentazione già acquisita al processo, ma anche quella indicata dalle parti e sostegno della proposta eccezione. C – alla vicenda del “bar Mandara” i richiedenti hanno dedicato non poco spazio e nelle richieste e

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nelle memorie, anche alla luce di quanto accertato dalla perizia assunta nel corso dell’incidente probatorio disposta dal Gip del Tribunale di Perugia. «il perito ha perentoriamente concluso – si scrive nella memoria di Berlusconi del 20 gennaio 2003 – affermando che l’audio-cassetta Basf tipo Crome extra 2 numero identificativo 044412200R messa a disposizione della Ag. di Milano per l’incidente probatorio, depositata come originale, originale non è ed è stata pure manipolata». si dice, ancora, in questa memoria che il perito ha chiesto una proroga dei termini per il deposito «per poter eseguire nuovi ed ulteriori accertamenti sulle modalità di manipolazione dei nastri magnetici». Orbene, volendo dare tutto per certo, e ribadendo che tutto quanto è stato scritto e detto, al riguardo, non ha alcuna rilevanza ai fini della rimessione per le ragioni più volte esposte, si può soltanto porre in evidenza che la genesi ed il contenuto di quella cassetta dovranno formare oggetto di valutazione all’esito degli accertamenti in corso, nell’ambito del relativo procedimento. C – Altro tema che è stato oggetto, nelle richieste, di particolari riflessioni, è quello che va sotto il nome di “fonte confidenziale Olbia”, fonte che è la teste Stefania Ariosto, uno dei testi nel processo Sme-Ariosto. Può discutersi – e non è questa la sede – se la procura, prima che l’Ariosto deponesse dinanzi ai magistrati del Pm, abbi “gestito” la fonte per più di qualche mese senza lasciare alcuna traccia agli atti di questa gestione: se ciò fosse avvenuto non v’è dubbio che illegittima sarebbe l’utilizzazione di quelle dichiarazioni. Ma, volendo ipotizzare che la tesi sia fondata, non può negarsi che è la stessa memori che, nell’illustrare anche le ultime acquisizioni processuali – le ultime deposizioni – consente di dire che la verità sta emergendo nel processo e, in un processo in cui si fa strada la verità, è difficile che si possa pensare ad un condizionamento della imparzialità del giudice. D – In ordine alla vicenda Brambilla, pure sulla quale molto si è scritto, è sufficiente richiamare, condividendolo, quanto la corte di cassazione ha recentemente affermato nel rigettare il ricorso di Previti avverso l’ordinanza che aveva deciso sulla dichiarazione di ricusazione del dottor Guido Brambilla, componente del collegio della I sezione del Tribunale di Milano. La Corte di cassazione, dopo avere affermato che «le norme sulle destinazioni dei magistrati agli uffici giudiziari o alle varie sezioni e quelle sulla formazione dei collegi, per le finalità che le ispirano e per le esigenze che intendono salvaguardare, sono del tutto estranee alla disciplina processuale in tema di incompatibilità, astensione e ricusazione», ha aggiunto che «il dottor Brambilla era stato richiamato nel collegio che giudica sulla vicenda Sme in applicazione corretta e doverosa delle norme deliberate dal Csm». Né – ha precisato – si può sostenere l’incompatibilità del magistrato solo perché l’ordinamento penitenziario vieta ai magistrati di sorveglianza di essere adibiti ad altre funzioni giudiziarie. Questa norma, infatti, nasce dall’esigenza di non distogliere il giudice di sorveglianza dalla propria attività istituzionale, anche per consentire una idonea specializzazione; ma, non tutte le norme che dispongono divieti di attività per i giudici determinano incompatibilità tali da rendere necessaria la loro astensione (Cass., 4 febbraio 03, Previti). Può aggiungersi che Borrelli e D’Ambrosio, che si sono espressi su questa questione, nella loro vis polemica hanno voluto dire, sostanzialmente, anzitutto, che l’Organizzazione giudiziaria non può non essere funzionale alla giurisdizione, collaborando, nell’ambito delle proprie competenze, al concreto esercizio della stessa, e, in secondo luogo, che, in precedenza, l’Organizzazione giudiziaria aveva sempre collaborato ogni qualvolta si fosse presentato un problema la cui mancata soluzione avrebbe potuto pregiudicare lo svolgimento di un processo.

VII – Dopo tutto ciò, queste sezioni debbono osservare che, se l’inesistenza della grave situazione locale non può essere posta in dubbio, una preziosa garanzia che proprio questa sia la verità è offerta da alcuni determinati, dati processuali. Si è avuto cura di mettere ripetutamente in risalto che la grave situazione locale non può non essere

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territoriale-ambientale, non può non consistere in una patologia del territorio, perché è in quel determinato territorio, in quel determinato luogo, che si radica il processo, il quale ne è, eccezionalmente, sradicato perché è in forse la imparzialità del giudice. Giudice, però, che, proprio perché la grave situazione locale è una patologia ambientale, territoriale, da tutti percepibile, non può non essere se non il giudice nel suo complesso, cioè la totalità dei giudici, con la conseguenza che, ove si abbia la prova positiva della assoluta imparzialità sia pure soltanto di alcuni giudici, la rimessione non può essere disposta. La prova di quella imparzialità direbbe, invero, con estrema chiarezza che, al più, v’è, in quel luogo, una situazione non del tutto fisiologica, ma non quella situazione che, se è grave, patologica, non può non giustificare quanto meno la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice. Ebbene, nel processo Lodo-Mondadori, il Gip, con sentenza del 19 giugno 2000, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di Acampora, Metta, pacifico, Previti e Berlusconi perché il fatto non sussiste e la corte di appello, a seguito di appello del procuratore della Repubblica, mentre ha disposto il rinvio a giudizio di tutti gli altri, ha riconosciuto a Berlusconi le attenuanti generiche e ha dichiarato di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione; la corte di cassazione, poi, con sentenza del 16 novembre 2001, ha rigettato, tra gli altri, il ricorso di Berlusconi. Se si riflette che la sentenza del Gip è del 19 giugno 2000 e che, in quel momento, secondo le richieste, Borrelli già aveva trasformato la procura in organismo politico, facendo anche tutta quella serie di dichiarazioni che vanno dal 1993 al 1997 e disponendo per quella notifica che, secondo Previti, aveva assestato un colpo mortale al Governo allora in carica che poco dopo dovette dimettersi, non può dubitarsi del significato di questa pronuncia. La quale, peraltro, non è stata emessa in una fattispecie in cui l’assoluzione poteva dirsi scontata, tanto è vero che la Corte di appello ha affermato che anche per Berlusconi vi sarebbero state ragioni per in rinvio a giudizio, perché il materiale indiziario rendeva prospettabile il successo delle ragioni dell’accusa all’esito degli apporti dibattimentali; e, del resto, la corte di cassazione nulla ha avuto da eccepire, neppure sul punto, alla decisione della corte di appello. Né può obiettarsi, come si è fatto nell’udienza dinanzi a queste Sezioni unite, che il Gip che ha emesso quella sentenza è stato trasferito, che ciò che importa, evidentemente, è che un giudice, ed un giudice che si è interessato di uno dei processi di cui si chiede la rimessione, abbia ritenuto, nonostante la situazione descritta dai richiedenti, di dover prosciogliere gli imputati. Inoltre, sono stati più volte citati i principi formulati dall’ordinanza del 23 febbraio 1998 di questa corte di cassazione, che ha rigettato una richiesta presentata da Berlusconi e da altri per la rimessione di un diverso processo. Il Tribunale, di Milano, con sentenza del 7 luglio 1998, ha affermato la penale responsabilità di Berlusconi per una serie di episodi di corruzione che gli erano stati contestati in quel processo e la corte di appello, con sentenza del 9 maggio 2000, ha riconosciuto le attenuanti generiche, dichiarando estinte per prescrizioni tre ipotesi di corruzione, e ha assolto Berlusconi per non aver commesso il fatto dalla imputazione di corruzione di cui al capo E). E, se si riflette, di nuovo, sulle date, la situazione, secondo le richieste di rimessione, era, anche in questo caso, di particolare gravità, avendo Borrelli già iniziato con successo, secondo i richiedenti, l’opera di trasformazione della procura in organismo politico. E, d’altro canto, gli imputati di quel processo avevano richiesto la rimessione proprio perché ritenevano che vi fossero le condizioni previste dalla legge per il trasferimento del processo. Il proscioglimento e l’assoluzione – e, a ben vedere, anche il riconoscimento delle attenuanti generiche con la conseguente dichiarazione di prescrizione, tenuto conto che riconoscere o non riconoscere le attenuanti generiche rientra tra i poteri discrezionali del giudice – dicono che, in quegli anni, alcuni giudici di Milano, quando hanno ritenuto di dover prosciogliere o assolvere o riconoscere attenuanti generiche, anche quando il riconoscimento delle stesse determinava la prescrizione dei reati, lo hanno fatto, è questo è segno evidenti della inesistenza del

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condizionamento della imparzialità, segno evidente, dunque, della inesistenza della grave situazione locale. 2 – Tutto ciò premesso le richieste debbono essere rigettate.

PQM

La Corte di cassazione a Sezioni unite rigetta le richieste di rimessione e condanna i richiedenti alle spese del procedimento.