Breve novella del cervello malato

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Racconto inedito su carta di Alessandro Berselli

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Breve novelladel cervello malato

Racconto di Alessandro Berselli

Inedito

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Il primo mal di testa ti è venuto a fine aprile.Non ne avevi mai sofferto, per questo lo trovammo strano.Eravamo proprio qui, seduti sul divano, a guardare qualcosa alla

televisione, se non sbaglio (o forse era un DVD? A dire il veronon ricordo, è passato così tanto tempo), quando improvvisamen-te mi hai chiesto: “Non è che in casa abbiamo un’Aspirina, unMoment, un Aulin” o una qualsiasi altra cosa che potesse servireallo scopo?

“Mal di testa? Tu?”Si, mal di testa, io.Perché? Che c’è di strano? È un’emicrania, cazzo, la cosa più

normale del mondo.Mica ti sto dicendo: “Ho un tumore alla testa!”No.Non me lo stavi dicendo.L’avrebbe detto il neurologo, però, e lo avrebbe fatto di lì a po-

chi mesi.Proprio così Eleonora.Tumore.A ventisette anni, peraltro, un’età in cui una dovrebbe pensare

alla vita, mica alla morte.“Il problema è che purtroppo si tratta di una formazione tumorale

molto estesa, difficilmente operabile, e non escludo che possanoanche essersi già formate delle possibili metastasi”

Quanti mesi di vita?Venti? Dieci? Due?“Otto. Dodici al massimo”Otto.

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Puttana miseria.Non sono molti otto mesi, non se sono quelli che ti restano an-

cora da vivere perlomeno.“Dio mio, non posso farcela”Figurarsi che quella sera siamo persino usciti a cena.Un modo per reagire, più che altro, o di fare finta che non fosse

successo niente.Abbiamo parlato poco, com’era prevedibile, evitando accurata-

mente di toccare l’argomento.Ne avremmo discusso, questo era certo, ma non in quel momen-

to, non in quel posto.“Voglio fare l’amore”, mi hai detto tornando a casa.E lo abbiamo fatto l’amore, due volte.Lentamente, come piace a te, tu sopra e io sotto, fino a quando

non ti sei addormentata.Io invece non ce l’ho fatta ad addormentarmi, non subito.Sono stato a guardare la stanza fino alle due, o forse anche oltre,

fatto sta che mi sentivo come uno che non avrebbe mai più chiusogli occhi per il resto della sua vita.

Ripensavo a noi, ai nostri progetti.Che ne sarebbe stato di tutte quelle cose che dovevamo ancora

fare, alcune importanti, altre molto meno.Le vacanze, ad esempio.Le avremmo fatte lo stesso o avremmo lasciato perdere?E la macchina nuova?Aveva senso cambiarla adesso?Quella notte è stata la prima volta che l’ho sentito chiaramente.Il tumore, intendo.Me ne stavo lì, tra il sonno e la veglia, quando quel figlio di

puttana ha iniziato a martellare.TUMTUM.TUM

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In un primo momento ho pensato che fosse qualcuno che pic-chiava contro il muro, ma poi alla fine ho capito che non era così.

Quel TUM TUM veniva dalla tua testa, ed era un rumore chenon aveva niente a che fare con la regolarità di un battito cardiaco.

A volte sembrava avvicinarsi, altre allontanarsi, quasi fosseropassi provenienti da diverse direzioni.

Ti ho guardato. Dormivi.Cazzo, come potevi non sentirlo?Avrei voluto urlare, svegliarti, qualsiasi cosa pur di non sentire

più quel dannato TUM TUM TUM.“Devo prendere un sonnifero.”Il mattino dopo ho provato a parlartene.“Come sarebbe un rumore nel cervello?”Si, un rumore.Colpi più che altro, alcuni forti, altri molto meno, difficile da

spiegare.“Tu sei pazzo”La notte seguente è stato lo stesso.Devo confessarti che un po’ me l’aspettavo, per questo non ne

sono rimasto sorpreso più di tanto.Me ne stavo in balcone a fumare la milionesima sigaretta quan-

do ho sentito il primo colpo, nitido, proveniente dalla camera.TUM.Silenzio.TUM TUM.Silenzio ancora.“Mi stai chiamando?”TUM.“Mi stai parlando?”TUM TUM.Di lì a breve la mia vita cambiò radicalmente.Al mattino ero spesso stanco, e sul lavoro il mio rendimento

scese presto di parecchio.

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I più attribuirono la cosa a quel che era successo a Eleonora, edevo onestamente riconoscere che ci fu molta comprensione daparte dei miei superiori.

“Mi ascolti Flavio, se ha bisogno di prendersi del tempo, chesiano ferie o settimane non retribuite, non si faccia scrupolo dichiedermelo, va bene?”

No, grazie, preferisco così.Ho bisogno di uscire, di stare in mezzo alla gente.In quella casa c’è un senso di morte che lei non si immagina,

dottor Mandrioli.Lo so che la mia affidabilità non è più quella di un tempo ma la

prego, ingegnere, non mi tolga anche questo.Glielo chiedo per piacere.“Non si preoccupi, Flavio. Nessuno le toglierà nulla. Non qui

alla Mandrioli perlomeno”Quando tornavo a casa ti trovavo spesso a letto, con il libro aperto

sul cuscino.Da qualche giorno eri sempre a pagina cinquantatre.“Perché lo tieni lì, se poi non lo leggi?”“Non ne ho voglia, tutto qua. Inizio a pensare e mi deconcentro,

e così finisce che leggo e rileggo sempre la stessa riga”“E qual è la riga che stai rileggendo?”“All’improvviso la carrozza voltò di lato con un poderoso scos-

sone e cominciò a scendere come in una gola fra cancelli, muri ependii”

“Doppio sogno” di Schnitzler.Un libro come un altro, eppure, chissà perché, sembrava pro-

prio che stesse parlando della nostra vita.Eh siì, perché anche la nostra esistenza all’improvviso aveva

iniziato a voltare di lato con un poderoso scossone per poi comin-ciare a scendere come in una gola fra cancelli, muri e pendii.

E di certo, prima o poi, sarebbe andata a schiantarsi da qualcheparte.

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Nel frattempo i rumori erano diventati ancora più insistenti.Attribuivo la cosa al fatto che il tumore stesse aumentando di

volume, quindi non me ne preoccupavo nemmeno più di tanto.Al TUM TUM TUM principale si aggiungevano ogni tanto dei

piccoli colpetti che sentivo più lontani, una sorta di ticchete ticchete,tanto per intenderci.

Metastasi, probabilmente.Formazioni tumorali a uno stadio ancora embrionale.Nonostante passassi tutte le notti ad ascoltarti, dopo la volta che

mi avevi detto: “Tu sei pazzo” avevo smesso di parlartene.Anzi, alla domanda:“Ma li senti ancora poi quei colpi?”la mia risposta era sempre:“No”E comunque la terapia non stava dando affatto gli effetti sperati.A dicembre venisti sottoposta a un intervento per ridurre la mas-

sa tumorale in modo da allentare la pressione sul cervello.A Natale saremmo dovuti andare alle Maldive, ed invece eri

qua, all’ospedale Bellaria, nel bel mezzo di una craniotomia, acontare i giorni (non più di due mesi, a quanto dicevano i dottori)che ancora ti restavano da vivere.

Ma anche quell’intervento non sarebbe servito a nulla.Tu stavi sempre peggio e quando di addormentavi quel TUM

TUM diventava devastante.Se incontravo i vicini sulle scale avevo l’espressione contrita di

chi si deve scusare per qualcosa.“È impossibile che non sentano quei colpi che battono tutta not-

te”, pensavo, “E se stanno zitti è solo per rispetto nei confrontidella malattia”.

Ma sotto sotto lo sapevo che mi odiavano.“Vogliamo dormire”, sembravano dirmi, “E non ce ne frega niente

se quella stronza ha un tumore dentro la testa, l’importante è chela smetta di tenerci svegli tutte le notti”.

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Avevano ragione.Lo sapevo che avevano ragione.“Tranquilli signori, che prima o poi qualcosa succede”L’ultimo dell’anno è stata la notte peggiore.Oramai Eleonora dormiva pochissimo, ma quelle poche volte

che riusciva a farlo mi sembrava di impazzire.TUMTUMTUMTUM.Cazzo, quei colpi sembravano tuoni durante un temporale esti-

vo, e si succedevano a pochi secondi l’uno dall’altro.TUMTUMTUMTUM.“È il tumore che sta per esplodere”, mi dicevo, e camminavo

in preda all’angoscia aspettando il momento in cui sarebbe suc-cesso.

Alle undici e quaranta i primi fuochi d’artificio cominciarono asovrapporsi all’insopportabile TUM TUM.

Ho iniziato a odiarti in quel momento, forse perché avevo biso-gno di dormire, e sapevo che fino a quando la malattia non avreb-be avuto definitivamente il sopravvento non avrei potuto farlo.

“Ridammi la mia vita, troia!”Questo ti ho urlato.Ma tu niente, continuavi a dormire, e intanto quel bastardo era

tutto un TUM - TUTUTUM -TUTUTUM, un battito dietro l’al-tro, senza soluzione di continuità, tamburi di morte o qualcosa delgenere, tanto per rendere il concetto.

Ed è stato in quel momento, amore mio, che ho capito che eraarrivato il momento di chiudere la pratica, di voltare, come si dice,pagina.

“Adesso basta!”TUMTUMTUMTUMTUMTUMTUMTUMTUMTUMTUM.La testa era lì, davanti a me, enorme e spaventosa.TUMTUMTUMTUMTUMTUMTUMTUMTUMTUMTUM.Sapevo che dovevo aprirla, che solo così avrebbe smesso di di-

sturbare le mie notti.

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Dovevo entrare dentro quella maledetta scatola cranica e tirarevia tutto, e dovevo farlo subito, maledizione.

TUMTUMTUMTUMTUMTUMTUMTUMTUMTUMTUM.“Mi dispiace Eleonora, mi dispiace”E nonostante il dolore dovuto al fatto che sapevo che ti stavo

uccidendo ti devo confessare che non immaginavo davvero chesarebbe stato così semplice.

È bastato un martello, nemmeno troppo grosso.Venti colpi in rapida successione, sembrava quasi di avere a che

fare con un cocomero maturo.TUMTUMPochi battiti ancora, separati da pause sempre più lunghe.TUMAvevi perso la tua baldanza, figlio di puttana, credevi davvero

che non sarei riuscito a venirti a prendere, vero?E invece adesso te ne stavi lì, sparso dappertutto, e a guardarti

sembravi proprio ben poca cosa, solo materia cerebrale uguale atanta altra, niente di più.

Dieci minuti e poi non ho più sentito nulla.E a mano a mano che il rumore si riduceva lasciando che il si-

lenzio tornasse a prendere il sopravvento, dalla strada salivano legrida della gente che festeggiava, stappando spumante e facendoesplodere petardi, perché era capodanno, cazzo, ed era giusto chefosse così.

È stata l’ultima volta che ti ho visto, Eleonora.Ho chiuso la porta della tua stanza e sono sceso in piazza an-

ch’io, con la bottiglia che avevo comperato per noi due.Ho visto gente che rideva, Eleonora, gente che voleva vivere, e

ho goduto nell’allontanarmi da tutto quel senso di morte a cui miavevi costretto negli ultimi mesi.

Ho bevuto, baciato donne che manco sapevo chi fossero e can-tato canzoni che avevo sempre detestato.

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Ho ballato, spaccato bicchieri e camminato fino all’alba.E quando il sole è tornato di nuovo a sorgere quel TUM TUM

era una ricordo così lontano che non ci avrei davvero messo anco-ra molto per riuscire a dimenticarlo del tutto.