Booklet Iliade Libro 2

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VOCE RECITANTE Franco Costantini PRESENTAZIONE Valerio Massimo Manfredi Audiolibro LIBRO 2 “Tutti ancora dormìan per l’alta notte i guerrieri e gli Dei...” www.area51publishing.com area51 Publi shing NELLA TRADUZIONE DI Vincenzo Monti ILIADE

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Il booklet del Libro 2 dell'Iliade in audiolibro.

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VOCE RECITANTE

Franco Costantini

PRESENTAZIONE

Valerio Massimo Manfredi

Audiolibro

LIBRO 2

“Tutti ancora dormìan per l’alta nottei guerrieri e gli Dei...”

www.area51publishing.com

area51Publishing

NELLA TRADUZIONE DI Vincenzo Monti

ILIADE

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PRESENTAZIONE Il linguaggio del neoclassico Monti, per quanto alto e solenne (come si addice

all’epos), suona forse troppo arcaico e “arduo” per i gusti dei moderni. Eppure la traduzione montiana dell’Iliade conserva una musicalità

straordinaria, che la voce profonda di Franco Costantini valorizza appieno. Non è un caso che io abbia spesso chiamato Costantini

ad interpretare i miei personaggi epici, durante le presentazioni ufficiali dei miei romanzi: le corde vocali del nostro sembrano fatte apposta per cantare

di Ettore e Achille, delle grandi gesta eroiche, degli Dei e del Fato.Abbandonatevi all’ascolto degli endecasillabi, e Costantini sarà il vostro aedo...

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Valerio Massimo Manfredi ILIADE

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L’AUDIOLIBRO Achille, Ettore, Ulisse... Dal tempo lontanissimo in cui il cantore

ne narrava le gesta, i loro nomi sono scolpiti per sempre nella memoria collettiva. Eroi inarrivabili per valore, e a noi vicini per sentimenti.

Eroi per i quali è sempre un buon giorno per vincere o morire. E poi Giove, Giunone, Minerva:

dei che scendono in campo a fianco degli uomini e, benché possenti e immortali, sono a loro volta mossi da passioni umane.

E ancora, condottieri e soldati che sullo sfondo si affrontano nelle formidabili battaglie, e tutti gli altri personaggi che rendono vivo e fresco il racconto, dal clangore delle armi ai moti dell’animo. Tutto questo è Iliade, grandiosa

e abbagliante. Nella traduzione, lucida e potente, che Vincenzo Monti ha consegnato ai secoli a venire.

01 • Il sogno di Agamennone 3’44” 02 • L’inganno dell’Atride 6’35” 03 • Ulisse trattiene gli Achei 4’17” 04 • Tersite è punito 4’44” 05 • Ulisse infiamma gli animi 4’03” 06 • Nestore e Agamennone 4’02”

07 • Gli Achei si preparano a combattere 5’46” 08 • I condottieri achei 7’48” 09 • Ulisse e gli altri valorosi 6’12” 10 • I più grandi eroi 7’10” 11 • Guerrieri troiani 6’10”

Durata complessiva: 60’31”

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IL TRADUTTOREVincenzo Monti (1754-1828)

Nato ad Alfonsine (Ravenna) e morto a Milano, Vincenzo Monti fu poeta, drammaturgo e traduttore. Autore di varie composizioni encomiastiche,

politicamente orientate ora in una direzione ora nell’altra, ne ricevette alterna fortuna. Tra le sue opere si distinguono il poemetto Feroniade,

il dramma Aristodemo e la traduzione della Pucelle d’Orléans di Voltaire. Benché mediato da versioni italiane e latine, il suo capolavoro è la traduzione

dell’Iliade di Omero, monumento della letteratura neoclassica.

IL LIBRO 2 DELL’ILIADEPer compiacere Teti, Giove invia ad Agamennone un sogno ingannatore, che induca l’Atride ad attaccare avventatamente i Troiani: la disfatta che ne seguirà farà rimpiangere a tutti gli Achei l’assenza di Achille...

Agamennone, per saggiare il morale dei suoi, finge di voler cessare l’assedio e tornare a casa. Sarà poi Ulisse a convincere gli Achei che la vittoria è vicina, e che conviene sferrare l’attacco decisivo...

Durante l’assemblea, Ulisse percuote il brutto e codardo Tersite. Nestore, dopo i rituali propiziatori, invita Agamennone a schierare l’esercito. Intanto Iride, messaggera degli dei, si reca al campo troiano,

e nelle sembianze di Polite informa Ettore delle intenzioni nemiche, esortandolo a preparare il contrattacco.La seconda parte del libro consiste nel “catalogo delle navi”, lungo elenco delle forze e dei capitani

che partecipano, su entrambi i fronti, alla guerra di Troia.

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FRANCO COSTANTINI

Attore, poeta, esperto di metrica, è da sempre tra i lettori di RavennaPoesia. Ha interpretato piccole parti in tv, ma come attore preferisce esprimersi nel “teatro di poesia”.

Dal 2004 cura per conto del Comune di Ravenna uno spazio dedicato a poesia e musica nel corso della manifestazione estiva “Ravenna Bella di Sera”.

Franco Costantini negli audiolibri di Area51 Publishing:• Dannunziana, con Maria Giovanna Maioli (Classic Edition e Music Edition)

• Orchi e Fate

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L’INTERPRETE

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01• IL SOGNO DI AGAMENNONE

Tutti ancora dormìan per l’alta nottei guerrieri e gli Dei; ma il dolce sonnogià le pupille abbandonato aveadi Giove che pensoso in suo segretodivisando venìa come d’Achille,con molta strage delle vite argive,illustrar la vendetta. Alla divinamente alfin parve lo miglior consiglioinvïar all’Atride Agamennóneil malefico Sogno. A sé lo chiama,e con presto parlar, Scendi, gli dice,scendi, Sogno fallace, alle velociprore de’ Greci, e nella tenda entratod’Agamennón, quant’io t’impongo, esponiesatto ambasciator. Digli che tuttein armi ei ponga degli Achei le squadre,che dell’iliaco muro oggi è decretasu nel ciel la caduta; che discordidegli eterni d’Olimpo abitatoripiù non sono le menti; che di Giunocessero tutti al supplicar; che in sommal’estremo giorno de’ Troiani è giunto.Disse; ed il Sogno, il divin cenno udito,avvïossi e calossi in un balenosu l’argoliche navi. Entra d’Atridenel queto padiglione, e immerso il trovanella dolcezza di nettareo sonno.Di Nestore Nelìde il volto assume,di Nestore, cui sovra ogni altro duceAgamennóne riveriva, e in questeforme sul capo del gran re sospesa,così la diva visïon gli disse:Tu dormi, o figlio del guerriero Atrèo?Tutta dormir la notte ad uom sconviensi

di supremo consiglio, a cui son tantegenti commesse e tante cure. Attentodunque m’ascolta. A te vengh’io celestenunzio di Giove, che lontano ancorasu te veglia pietoso. Egli precettoti fa di porre tutti quanti in armeprontamente gli Achei. Tempo è venutoche l’ampia Troia in tua man cada: i numiscesero tutti, intercedente Giuno,in un solo volere, e alla troianagente sovrasta l’infortunio estremopreparato da Giove. Or tu ben figgiquesto avviso nell’alma, e fa che seconon lo si porti, col partirsi, il sonno.Sparve ciò detto; e delle udite cose,di che contrario uscir dovea l’effetto,pensoso lo lasciò. Prender di Troiaquel dì stesso le mura egli sperossi,né di Giove sapea, stolto! i disegni,né qual aspro pugnar, né quanta il Diodi lagrime cagione e di sospiriai Troiani e agli Achivi apparecchiava.Si riscuote dal sonno, e la divinavoce dintorno gli susurra ancora.Sorge, e del letto su la sponda assisouna molle s’avvolge alla personatunica intatta, immacolata; gittasiil regal manto indosso; il piè costringene’ bei calzari; il brando aspro e lucented’argentee borchie all’omero sospende,l’invïolato avito scettro impugna,ed alle navi degli Achei cammina.

02• L’INGANNO DELL’ATRIDE

Già sul balzo d’Olimpo alta ascendea

di Titon la consorte, annunziatricedell’alma luce a Giove e agli altri Eterni;quando con chiara voce i banditoriper comando d’Atride a parlamentoconvocaro gli Achei, che frettolosiaccorsero e frequenti. Ma raccolsede’ magnanimi duci Agamennóneprima il senato alla nestorea nave,e raccolti che fûro, in questi accentiil suo prudente consultar propose:M’udite, amici. Nella queta notteuna divina visïon m’apparve,che te, Nestore padre, alla statura,agli atti, al volto somigliava in tutto.Sul mio capo librossi, e così disse:Figlio d’Atrèo, tu dormi? A sommo ducecui di tanti guerrieri e tante curecommesso è il pondo, non s’addice il sonno.M’odi adunque: mandato a te son ioda Giove che dal ciel di te pensieroprende e pietate. Ei tutte ti comandaarmar le truppe de’ chiomati Achei,ché di Troia il conquisto oggi è maturo;poiché di Giuno il supplicar composela discordia de’ numi, e grave ai Teucridanno sovrasta per voler di Giove.Tu di Giove il comando in cor riponi.Sparve, ciò detto, e quel mio dolce sonnom’abbandonò. La guisa or noi di porregli Achivi in arme esaminiam. Ma priagiovi con finto favellar tentarne,fin dove lice, i sentimenti. Io dunquecomanderò che su le navi ognunosi disponga alla fuga, e sparsi ad artevoi l’impedite con opposti accenti.Così detto s’assise. In piè rizzossidell’arenosa Pilo il regnatore

Nestore, e saggio ragionando disse:O amici, o degli Achei principi e duci,s’altro qualunque Argivo un cotal sognodetto n’avesse, un menzogner l’avremmo,e spregeremmo: ma lo vide il sommocapo del campo. A risvegliar si corradunque l’acheo valore. – E sì dicendousciva il vecchio dal consiglio, e tuttisurti in piè lo seguìan gli altri scettratidel re supremo ossequiosi. Intantoil popolo accorrea. Quale dai foridi cava pietra numeroso sbucalo sciame delle pecchie, e succedendosempre alle prime le seconde, volanosui fior di aprile a gara, e vi fan grappoloaltre di qua affollate, altre di là;così fuor delle navi e delle tendecorrean per l’ampio lido a parlamentoaffollate le turbe, e le spronaval’ignea Fama, di Giove ambasciatrice.Si congregaro alfin. Tumultuosobrulicava il consesso, ed al sedersidi tante genti il suol gemea di sotto.Ben nove araldi d’acchetar fean provaquell’immenso frastuono, alto gridando:Date fine ai clamori, udite i regi,udite, Achivi, del gran Dio gli alunni.Sostârsi alfine: ne’ suoi seggi ognunosi compose, e cessò l’alto fragore.Allor rizzossi Agamennón stringendolo scettro, esimia di Vulcan fatica.Diè pria Vulcano quello scettro a Giove,e Giove all’uccisor d’Argo Mercurio;questi a Pelope auriga, esso ad Atrèo;Atrèo morendo al possessor di pinguigreggi Tïeste, e da Tïeste alfinenella destra passò d’Agamennóne,

I TESTI

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che poi sovr’Argo lo distese, e sopraisole molte. A questo il grande Atrideappoggiato, sì disse: Amici eroi,Dànai, di Marte bellicosi figli,in una dura e perigliosa impresaGiove m’avvolse, Iddio crudel, che primami promise e giurò delle superbeiliache mura la conquista, e in Argoglorïoso il ritorno. Or mi deludeindegnamente, e dopo tante in guerravite perdute, di tornar m’imponeinonorato alle paterne rive.Del prepotente Iddio questo è il talento,di lui che nell’immensa sua possanzagià di molte città l’eccelse rocchedistrusse, e molte struggeranne ancora.Ma qual onta per noi appo i futuriche contra minor oste un tale e tantoesercito di forti una sì lungaguerra guerreggi; e non la cómpia ancora?Certo se tutti convocati insiemesalda pace a giurar Teucri ed Achivi,e di questi e di quei levato il conto,ad ogni dieci Achivi un Teucro solomescer dovesse di lïeo la spuma,molte decurie si vedrìan chiedenticon labbro asciutto il mescitor: cotantomaggior de’ Teucri cittadini estimoil numero de’ nostri. Ma li moltida diverse città raccolti e scesiin lor sussidio bellicosi amiciduro intoppo mi fanno, e a mio dispettomi vietano espugnar d’Ilio le mura.Già del gran Giove il nono anno si volgeda che giungemmo, e già marciti i fianchison delle navi, e logore le sarte;e le nostre consorti e i cari figlidesïando ne stanno e richiamandonelle vedove case. E noi l’impresache a queste sponde ne condusse, ancoraconsumar non sapemmo. Al vento adunque,diamo al vento le vele, io vel consiglio,

alla dolce fuggiam terra natìadi concorde voler, ché disperatadelle mura troiane è la conquista.

03• ULISSE TRATTIENE GLI ACHEI

Mosse quel dire delle turbe i petti,e fremea l’adunanza, a quella guisache dell’icario mare i vasti fluttisi confondono allor che Noto ed Eurodella nube di Giove il fianco aprendoa sollevar li vanno impetuosi.E come quando di Favonio il soffiodenso campo di biade urta, e passandoil capo inchina delle bionde spiche;tal si commosse il parlamento, e tuttialle navi correan precipitosicon fremito guerrier. Sotto i lor piedis’alza la polve, e al ciel si volve oscura.I navigli allestir, lanciarli in mare,espurgarne le fosse, ed i puntellisottrarre alle carene era di tuttila faccenda e la gara. Arde ogni pettodel sacro amore delle patrie mura,e tutto di clamori il cielo eccheggia.E degli Achei quel dì sarìa seguìto,contro il voler de’ fati, il dipartire,se con questo parlar non si volgeaGiuno a Minerva: O dell’Egìoco Padreinvincibile figlia, così dunque,il mar coprendo di fuggenti vele,al patrio lido rediran gli Achivi?Ed a Priamo l’onore, ai Teucri il vantolasceran tutto dell’argiva Elènadopo tante per lei, lungi dal caronido natìo, qui spente anime greche?Deh scendi al campo acheo, scendi, ed adopralusinghiero parlar, molci i soldati,frena la fuga, né patir che un solode’ remiganti pini in mar sia tratto.

Obbedïente la cerulea Divadalle cime d’Olimpo dispiccossivelocissima, e tosto fu sul lido.Ivi Ulisse trovò, senno di Giove,occupato non già del suo naviglio,ma del dolor che il preme, e immoto in piedi.Gli si fece davanti la divinaGlaucopide dicendo: O di Laertegeneroso figliuol, prudente Ulisse,così dunque n’andrete? E al patrio suolonavigherete, e lascerete a Priamodi vostra fuga il vanto, ed ai Troianid’Argo la donna, e invendicato il sanguedi tanti, che per lei qui lo versaro,bellicosi compagni? A che ti stai?T’appresenta agli Achei, rompi gl’indugi,dolci adopra parole e li trattieni,né consentir che antenna in mar si spinga.Così disse la Dea. Ne riconobbel’eroe la voce, e via gittato il manto,che dopo lui raccolse il banditoreEurìbate itacense, a correr diessi;e incontrato l’Atride Agamennóne,ratto ne prende il regal scettro, e volacon questo in pugno tra le navi achee;e quanti ei trova o duci o re, li fermacon parlar lusinghiero; e, Che fai, dice,valoroso campione? A te de’ vilidisconvien la paura. Or via, ti resta,pregoti, e gli altri fa restar. La menteben palese non t’è d’Agamennóne;egli tenta gli Achei, pronto a punirli.Non tutti han chiaro ciò che dianzi in chiusoconsesso ei disse. Deh badiam, che iratonon ne percuota d’improvvisa offesa.Di re supremo acerba è l’ira, e Giove,che al trono l’educò, l’onora ed ama.S’uom poi vedea del vulgo, e lo coglieavociferante, collo scettro il dossobatteagli; e, Taci, gli garrìa severo,taci tu tristo, e i più prestanti ascoltatu codardo, tu imbelle, e nei consigli

nullo e nell’armi. La vogliam noi forsefar qui tutti da re? Pazzo fu semprede’ molti il regno. Un sol comandi, e queglicui scettro e leggi affida il Dio, quei solone sia di tutti correttor supremo.

04• TERSITE È PUNITO

Così l’impero adoperando Ulissefrena le turbe, e queste a parlamentodalle navi di nuovo e dalle tendecon fragore accorrean, pari a marinaonda che mugge e sferza il lido, ed altone rimbomba l’Egeo. Queto s’assideciascheduno al suo posto: il sol Tersitedi gracchiar non si resta, e fa tumultoparlator petulante. Avea costuidi scurrili indigeste dicerìepieno il cerèbro, e fuor di tempo, e senzao ritegno o pudor le vomitavacontro i re tutti; e quanto a destar risoinfra gli Achivi gli venìa sul labbro,tanto il protervo beffator dicea.Non venne a Troia di costui più bruttoceffo; era guercio e zoppo, e di contrattagran gobba al petto; aguzzo il capo, e sparsodi raro pelo. Capital nemicodel Pelìde e d’Ulisse, ei li soleamorder rabbioso: e schiamazzando alloracolla stridula voce laceravaanche il duce supremo Agamennóne,sì che tutti di sdegno e di corrucciofremean; ma il tristo ognor più forti alzavale rampogne e gridava: E di che dunqueti lagni, Atride? che ti manca? Hai pienidi bronzo i padiglioni e di donzelle,delle vinte città spoglie presceltee da noi date a te primiero. O forsepur d’auro hai fame, e qualche Teucro aspettiche d’Ilio uscito lo ti rechi al piede,prezzo del figlio da me preso in guerra,

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da me medesmo, o da qualch’altro Acheo?O cerchi schiava giovinetta a cuimescolarti in amore alla spartita?Eh via, che a sommo imperador non licescandalo farsi de’ minori. Oh vili,oh infami, oh Achive, non Achei! Facciamovela una volta; e qui costui si lasciqui lui solo a smaltir la sua ricchezza,onde a prova conosca se l’aitagli è buona o no delle nostr’armi. E dianzinol vedemmo pur noi questo superboad Achille, a un guerrier che sì l’avanzadi fortezza, far onta? E dell’offesonon si tien egli la rapita schiava?Ma se d’Achille il cor di generosabile avvampasse, e un indolente vilenon si fosse egli pur, questo sarìastato l’estremo de’ tuoi torti, Atride.Così contra il supremo Agamennóneimpazzava Tersite. Gli fu soprarepente il figlio di Laerte, e torvoguatandolo gridò: Fine alle tuefaconde ingiurie, ciarlator Tersite.E tu sendo il peggior di quanti a Troiacon gli Atridi passâr, tu audace e solonon dar di cozzo ai re, né rimenarlisu quella lingua con villane aringhe,né del ritorno t’impacciar, ché il finedi queste cose al nostro sguardo è oscuro,né sappiam se felice o sventuratoquesto ritorno rïuscir ne debba.Ma di tue contumelie al sommo Atrideso ben io lo perché: donato il vedidi molti doni dagli achivi eroi,per ciò ti sbracci a maledirlo. Or iocosa dirotti che vedrai compiuta.Se com’oggi insanir più ti ritrovo,caschimi il capo dalle spalle, e dettodi Telemaco il padre io più non sia,mai più, se non t’afferro, e delle vestitutto nudo, da questo almo consesso

non ti caccio malconcio e piangoloso.Sì dicendo, le terga gli percuotecon lo scettro e le spalle. Si contorcee lagrima dirotto il manigoldodell’aureo scettro al tempestar, che tuttagli fa la schiena rubiconda; ond’eglidi dolor macerato e di pauras’assise, e obbliquo riguardando intornocol dosso della man si terse il pianto.Rallegrò quella vista i mesti Achivi,e surse in mezzo alla tristezza il riso;e fu chi vòlto al suo vicin dicea:Molte in vero d’Ulisse opre vedemmoeccellenti e di guerra e di consiglio,ma questa volta fra gli Achei, per dio!fe’ la più bella delle belle imprese,frenando l’abbaiar di questo canedileggiator. Che sì, che all’arrogantepassò la frega di dar morso ai regi!

05• ULISSE INFIAMMA GLI ANIMI

Mentre questo dicean, levossi in piedie collo scettro di parlar fe’ cennol’espugnatore di cittadi Ulisse.In sembianza d’araldo accanto a luila fiera Diva dalle luci azzurresilenzio a tutti impose, onde gli estremidel par che i primi udirne le parolepotessero, ed in cor pesarne il senno.Allora il saggio diè principio: Atride,questi Achivi di te vonno far oggiil più infamato de’ mortali. Han postole promesse in obblìo fatte al partirsid’Argo alla volta d’Ilïon, giurandodi non tornarsi che Ilïon caduto.Guardali: a guisa di fanciulli, a guisadi vedovelle sospirar li senti,e a vicenda plorar per lo desìo

di riveder le patrie mura. E in verotal qui si pate traversìa, che scusail desiderio de’ paterni tetti.Se a navigante da vernal procellaimpedito e sbattuto in mar che freme,pur di un mese è crudel la lontananzadalla consorte, che pensar di noiche già vedemmo del nono anno il girosu questo lido? Compatir m’è forzadunque agli Achivi, se a mal cor qui stanno.Ma dopo tanta dimoranza è turpevôti di gloria ritornar. Deh voi,deh ancor per poco tollerate, amici,tanto indugiate almen, che si conoscase vero o falso profetò Calcante.In cuor riposte ne teniam noi tuttile divine parole, e voi ne fostetestimoni, voi sì quanti la Parcanon aveste crudel. Parmi ancor ieriquando le navi achee di lutto a Troiaapportatrici in Aulide raccolte,noi ci stavamo in cerchio ad una fontesagrificando sui devoti altarivittime elette ai Sempiterni, all’ombrad’un platano al cui piè nascea di purelinfe il zampillo. Un gran prodigio apparvesubitamente. Un drago di sanguignemacchie spruzzato le cerulee terga,orribile a vedersi, e dallo stessore d’Olimpo spedito, ecco repentesbucar dall’imo altare, e tortuosoal platano avvinghiarsi. Avean lor nidoin cima a quello i nati tenerellidi passera feconda, latitantisotto le foglie: otto eran elli, e nonala madre. Colassù l’angue salitogl’implumi divorò, miseramentepigolanti. Plorava i dolci figlila madre intanto, e svolazzava intornopietosamente; finché ratto il serpevibrandosi afferrò la meschinella

all’estremo dell’ala, e lei che l’aureempiea di stridi, nella strozza ascose.Divorata co’ figli anco la madre,del vorator fe’ il Dio che lo mandavanuovo prodigio; e lo converse in sasso.Stupidi e muti ne lasciò del fattola meraviglia, e a noi, che dell’orrendoportento fra gli altari intervenutoincerti ci stavamo e paventosi,Calcante profetò: Chiomati Achivi,perché muti così? Giove ne mandanel veduto prodigio un tardo segnodi tardo evento, ma d’eterno onore.Nove augelli ingoiò l’angue divino,nov’anni a Troia ingoierà la guerra,e la città nel decimo cadrà.Così disse il profeta, ed ecco omaitutto adempirsi il vaticinio. Or dunqueperseverate, generosi Achei,restatevi di Troia al giorno estremo.

06• NESTORE E AGAMENNONE

Levossi a questo dire un alto grido,a cui le navi con orribil ecorispondean, grido lodator del saggioparlamento d’Ulisse. Ed incalzandoquei detti il vecchio cavalier Nestorre,Oh vergogna, dicea; sul vostro labbroparole intesi di fanciulli a cuinulla cal della guerra. Ove n’andrannoi giuramenti, le promesse e i tanticonsigli de’ più saggi e i tanti affanni,le libagioni degli Dei, la fededelle congiunte destre? Dissipatin’andran col fumo dell’altare? Achei,noi contendiamo di parole indarno,e in vane induge il tempo si consuma,che dar si debbe a salutar riparo.Tien fermo, Atride, il tuo coraggio, e fermo

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su gli Achei nelle pugne alza lo scettro:ed in proposte, che d’effetto votecadran mai sempre, marcir lascia i pochiche in disparte consultano se in Argoredir si debba, pria che falsa o verasi conosca di Giove la promessa.Io ti fo certo che il saturnio figlio,il giorno che di Troia alla ruïnasciolser gli Achivi le veloci antenne,non dubbio cenno di favor ne fecebalenando a diritta. Alcun non siadunque che parli del tornarsi in Argo,se prima in braccio di troiana sposanon vendica d’Elèna il ratto e i pianti.Se taluno pur v’ha che voglia a forzadi qua partirsi, di toccar si proviil suo naviglio, e troverà primierola meritata morte. Tu frattantopria ti consiglia con te stesso, o sire,indi cogli altri, né sprezzar l’avvisoch’io ti porgo. Dividi i tuoi guerrieriper curie e per tribù, sì che a vicendasi porga aita una tribù con l’altra,l’una con l’altra curia. A questa guisa,obbedendo gli Achei, ti fia palesede’ capitani a un tempo e de’ soldatiqual siasi il prode e quale il vil; ché ognunocon emula virtù pel suo fratellocombatterà. Conoscerai pur ancose nume avverso, o codardìa de’ tuoi,o poca d’armi maestrìa ti tolgadelle dardanie mura la conquista.Saggio vegliardo, gli rispose Atride,in tutti della guerra i parlamentinanzi a tutti tu vai. Piacesse a Giove,a Minerva piacesse e al santo Apollo,ch’altri dieci io m’avessi infra gli Acheia te pari in consiglio; ed atterratacadrìa ben tosto la città troiana.Ma me l’Egìoco Giove in alti affannisommerse, e incauto mi sospinse in vanegare e contese. Di parole avemmo

gran lite Achille ed io d’una fanciulla,ed io fui primo all’ira. Ma se fiache in amistà si torni, un sol momentonon tarderà di Troia il danno estremo.Or via, di cibo a ristorar le forzeitene tutti per la pugna. Ognunol’asta raffili, ognun lo scudo assetti,di copioso alimento ognun governii corridor veloci, e diligentevisiti il cocchio, e mediti il conflitto;onde questo sia giorno di battagliatutto e di sangue, e senza posa alcuna,finché la notte non estingua l’irede’ combattenti. Di guerrier sudorebagnerassi la soga dello scudosui caldi petti, verrà manco il pugnosovra il calce dell’asta, e destrier mollitrarranno il cocchio con infranta lena.Qualunque io poscia scorgerò che lungidalla pugna si resti appo le navineghittoso, non fia chi salvo il mandidalla fame de’ cani e degli augelli.

07• GLI ACHEI SI PREPARANO A COMBATTERE

Così disse, e al finir di sue parolemandâr gli Achivi un altissimo gridosomigliante al muggir d’onda spezzataall’alto lido ove il soffiar la cacciadi furïoso Noto incontro ai fianchidi prominente scoglio, flagellatoda tutti i venti e da perpetue spume.Si levâr frettolosi, si disperseroper le navi, destâr per tutto il lidoglobi di fumo, ed imbandîr le mense.Chi a questo dio sacrifica, chi a quello,al suo ciascun si raccomanda, e il pregadi camparlo da morte nella pugna.Ma il re de’ prodi Agamennóne un pinguetoro quinquenne al più possente nume

sagrifica, e convita i più prestanti:Nestore primamente e Idomenèo,quindi entrambi gli Aiaci, e di Tidèol’inclito figlio, e sesto il divo Ulisse.Spontaneo venne Menelao, cui notoera il travaglio del fratello. E questifêr di sé stessi una corona intornoalla vittima, e preso il salso farronel mezzo Agamennóne orando disse:Glorioso de’ nembi adunatoreMassimo Giove abitator dell’etra,pria che il sole tramonti e l’aria imbruni,fa che fumanti al suol di Priamo io gettigli alti palagi, e d’ostil fiamma avvampile regie porte; fa che la mia lanciasquarci l’usbergo dell’ettòreo petto,e che dintorno a lui molti suoi fidiboccon distesi mordano la polve.Disse; ed il nume l’olocausto accolse,ma non il voto, e a lui più lutto ancorapreparando venìa. Finito il pregoe sparso il farro, ed incurvato all’aradella vittima il collo, la scannaro,la discuoiaro, ne squartâr le cosce,le rivestîr di doppio zirbo, e sopraposervi i crudi brani. Indi la fiammad’aride schegge alimentando, a quellacocean gli entragni nello spiedo infissi.Adusti i fianchi, e fatto delle sacreviscere il saggio, lo restante in pezzinegli schidon confissero, ed acconcia--mente arrostito ne levaro il tutto.Finita l’opra, apparecchiâr le mense,e a suo talento vivandò ciascuno.Di cibo sazi e di bevanda, presea così dire il cavalier Nestorre:Re delle genti glorïoso AtrideAgamennón, si tolga ogni dimoraall’impresa che in pugno il Dio ne pone.Degli araldi la voce alla rassegnachiami sul lido i loricati Achei,e noi scorriamo le raccolte squadre,

e di Marte destiam l’ira e il desìo.Assentì pronto il sire, ed al suo cennol’acuto grido degli araldi diededella pugna agli Achivi il fiero invito.Corsero quelli frettolosi; e i regidi Giove alunni, che seguìan l’Atride,li ponean ratti in ordinanza. ErravaMinerva in mezzo, e le splendea sul pettoincorrotta, immortal la prezïosaegida da cui cento eran sospesefrange conteste di finissim’oro,e valea cento tauri ogni gherone.In quest’arme la Diva folgorandoconcitava gli Achivi, ed accendeal’ardir ne’ petti, e li facea gagliardia pugnar fieramente e senza posa.Allor la guerra si fe’ dolce al corepiù che il volger le vele al patrio nido.Siccome quando la vorace vampasulla montagna una gran selva incende,sorge splendor che lungi si propaga;così al marciar delle falangi achivemandan l’armi un chiaror che tutto intornodi tremuli baleni il cielo infiamma.E qual d’oche o di gru volanti esercitiovver di cigni che snodati il tenuecollo van d’Asio ne’ bei verdi a pascerelungo il Caïstro, e vagolando esultanosu le larghe ale, e nel calar s’incalzanocon tale un rombo che ne suona il prato;così le genti achee da navi e tendesi diffondono in frotte alla pianuradel divino Scamandro, e il suol rimbombasotto il piè de’ guerrieri e de’ cavalliterribilmente. Nelle verdi landedel fiume s’arrestâr gremìti e spessicome le foglie e i fior di primavera.Conti lo sciame dell’impronte moscheche ronzano in april nella capanna,quando di latte sgorgano le secchie,chi contar degli Achei desìa le tormeanelanti de’ Teucri alla rovina.

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Ma quale è de’ caprai la maestrìanel divider le greggie, allor che il pascole confonde e le mesce, a questa guisain ordinate squadre i capitanischieravano gli Achivi alla battaglia.Agamennón qual tauro era nel mezzo,che nobile e sovrana alza la frontesovra tutto l’armento e lo conduce:e tal fra tanti eroi Giove gl’infondee garbo e maestà, che Marte al cinto,Nettunno al petto, e il Folgorante istessonegli sguardi somiglia e nella testa.

08• I CONDOTTIERI ACHEI

Muse dell’alto Olimpo abitatrici,or voi ne dite (ché voi tutte, o Dive,riguardate le cose e le sapete:a noi nessuna è conta, e ne susurradi fuggitiva fama un’aura appena),dite voi degli Achivi i condottieri.Della turba infinita io né parolefarò né nome, ché bastanti a questonon dieci lingue mi sarìan né diecibocche, né voce pur di ferreo petto.Di tutta l’oste ad Ilio navigatadivisar la memoria altri non puoteche l’alme figlie dell’Egìoco Giove.Sol dunque i duci, e sol le navi io canto.Erano de’ Beozi i capitaniArcesilao, Leìto e Penelèoe Protenore e Clonio, e traean secod’Iria i coloni e d’Aulide petrosa,con quei di Scheno e Scolo, e quei dell’ertaEteono e di Tespia, e quei che mandala spazïosa Micalesso e Grea;e quei che d’Arma la contrada edùca,ed Ilesio ed Erìtre ed Eleonee Peteone ed Ila ed Ocalèa.Seguono i prodi della ben costrutta

Medeone e di Cope, e gli abitantid’Eutresi e Tisbe di colombe altrice.Di Coronèa vien dopo e dell’erbosaAlïarto e di Glissa e di Platèae d’Ipotebe dalle salde murauna gran torma: ed altri abbandonarole sacrate a Nettunno inclite selved’Onchesto, e d’Arne i pampinosi colli;altri il pian di Midèa; altri di Nisagli almi boschetti, e gli ultimi confinid’Antèdone. Di questi eran cinquantale navi, e ognuna cento prodi e venti,fior di beozia gioventù, portava.Dell’Orcomèno Minïèo gli eletti,misti a quei d’Aspledóne, hanno a lor duciAscàlafo e Ialmeno, ambo di Marteegregia prole. Ne’ secreti alberghid’Attore Azìde partorilli Astiochevereconda fanciulla, alle supernestanze salita, e al forte iddio commistain amplesso furtivo. Eran di questitrenta le navi che schierârsi al lido.Regge la squadra de’ Focensi il cennodi Schedio e d’Epistròfo, incliti figlidel generoso Naubolìde Ifìto.Invìa questi guerrier la discoscesabalza di Pito, e Ciparisso e Crissa,gentil paese, e Daulide e Panope.D’Anemoria e di Jampoli van secogli abitatori, e quei che del Cefisobeon l’onde sacre, e quei che di Lilèadomano i gioghi alle cefisie fonti.Son quaranta le prore al mar fidateda questi prodi, e tutte in ordinanzade’ Beozî disposte al manco lato.Di Locride guidava i valorosiAiace d’Oïlèo, veloce al corso.Di tutta la persona egli è minoredel Telamonio, né minor di poco;ma picciolo quantunque e non copertoche di lineo torace, ei tutti avanza

e Greci e Achivi nel vibrar dell’asta.Di Cino, di Callïaro e d’Opuntelo seguono i deletti, e quei di Bessa,e quei che i colti dell’amena Augèee di Scarfe lasciâr, misti di Tarfaai duri agresti, e quei di Tronio a cuiil Boagrio torrente i campi allaga.Venti e venti il seguìan preste carenedella locrese gioventù venutadi là dai fini della sacra Eubèa.Ma gl’incoli d’Eubèa gli arditi Abanti,Eretrïensi, Calcidensi, e quellidell’aprica vitifera Istïea,e di Cerinto in una i marinari,e i montanari dell’alpestre Dio,e quei di Stira e di Caristo han duceil bellicoso Elefenòr, figliuolodi Calcodonte, e sir de’ prodi Abanti.Snellissimi di piè portan costorofiocchi di chiome su la nuca, egregicombattitori, a maraviglia spertinell’abbassar la lancia, e sul nemicopetto smagliati fracassar gli usberghi.E quaranta di questi eran le vele.Della splendida Atene ecco gli eroi,popolo del magnanimo Erettèocui l’alma terra partorì. Nudrilloed in Atene il collocò Minervaalla sant’ombra de’ suoi pingui altari,ove l’attica gente a statuitogiro di soli con agnelli e tauriplaca la Diva. Guidator di questiera il Petìde Menestèo. Non vedepari il mondo a costui nella scïenzadi squadronar cavalli e fanti. Il soloNestor l’eguaglia, perché d’anni il vince.Cinquanta navi ha seco. Unîrsi a questesei altre e sei di Salamina uscite,al Telamonio Aiace obbedïenti.Seguìa l’eletta de’ guerrier, cui d’Argomandava la pianura e la superba

d’ardue mura Tirinto e le di cupogolfo custodi Ermïone ed Asìne.Con essi di Trezene e della lietadi pampini Epidauro e d’Eïonevenìa la squadra; e dopo questa un fierodi giovani drappello che d’Eginalasciò gli scogli e di Masete. A questitre sono i duci, il marzio Dïomede,Stènelo dell’altero Capanèodiletta prole, e il somigliante a numeEurïalo figliuol di MecistèoTalaionìde. Ma del corpo tuttocondottiero supremo è Dïomede.E sono ottanta di costor le antenne.Ma ben cento son quelle a cui comandail regnatore Agamennóne Atride.Sua seguace è la gente che gl’invìala regale Micene e l’opulentaCorinto, e quella della ben costruttaCleone e quella che d’Ornee discende,e dall’amena Aretirèa. Né scarsafu de’ suoi Sicïon, seggio primierod’Adrasto. Anco Iperesia, anco l’eccelsaGonoessa e Pellene ed Egio e tuttele marittime prode, e tutta intornod’Elice la campagna impoverîrsid’abitatori. E questa truppa è fioredi gagliardi, e la più di quante alloraschierârsi in campo. D’arme rilucentiiva il duce vestito, ed esultavain suo segreto del vedersi il primofra tanti eroi; e veramente egli erail maggior di que’ regi, e conduceail maggior nerbo delle forze achive.Il concavo di balze incoronatolacedemonio suol Sparta e Brisèe,e Fari e Messa di colombe altrice,e Augìe la lieta e l’amiclèa contrada,Etilo ed Elo al mar giacente e Laa,queste tutte spedîr sovra sessantaprore i lor figli; e Menelao li guida

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aïtante guerrier. Disgiunta ei tienedalla fraterna la sua schiera, e fortedel suo proprio valor la sprona all’armi,di vendicar su i Teucri impazïentel’onta e i sospir della rapita Elèna.

09• ULISSE E GLI ALTRI VALOROSI

Di novanta navigli capitanoveniva il veglio cavalier Nestorre.Di Pilo ei guida e dell’aprica Arenegli abitanti e di Trio, guado d’Alfèo,e della ben fondata Epi, con quellia cui Ciparissente e Anfigenìasono stanza, e Ptelèo ed Elo e Dorio,Dorio famosa per l’acerbo scontroche col tracio Tamiri ebber le Museil giorno che d’Ecalia e dagli alberghidell’ecaliese Eurìto ei fea ritorno.Millantava costui che vinte avrìaal paragon del canto anco le Muse,le Muse figlie dell’Egìoco Giove.Adirate le dive al burbanzosotolser la luce e il dolce canto e l’artedelle corde dilette animatrice.Seguìa l’arcade schiera dalle faldedel Cillene discesa e dai contornidel tumulo d’Epìto, esperta gentenel ferir da vicino. Uscìa con essadi campestri garzoni una caterva,che del Fenèo li paschi e il pecorosoOrcomeno lasciâr. V’eran di Ripee di Strazia i coloni e di Tegèa,e quei d’Enispe tempestosa, e quellicui dell’amena Mantinèa nutriscel’opima gleba e la stinfalia vallee la parrasia selva. Avean costorospiegate al vento di cinquanta e diecinavi le vele, che a varcar le negre

onde lor diè lo stesso rege AtrideAgamennóne; perocché di studimarinareschi all’Arcade non cale.D’intrepidi nell’arme e sperti pettiiva carca ciascuna, e la reggead’Ancèo figliuolo il rege Agapenorre.La squadra che consegue, e si dividequadripartita, ha quattro duci, e ognunoa dieci navi accenna. Le montaromolti Epèi valorosi, e gli abitantidi Buprasio e del sacro elèo paese,e di tutto il terren che tra il confinedi Mirsino ed Irmino si racchiude,e tra l’Olenia rupe e l’erto Alìsio.Di Cteato figliuol l’illustre Anfimacoguida il primo squadron, Talpio il secondoegregio seme dell’Eurìto Attòride;Dïore il terzo, generosa proled’Amarincèo. Del quarto è correttoreil simigliante a nume Polisseno,germe dell’Augeïade Agastene.Ai forti di Dulichio e delle sacreEchinadi isolette, che rimpettoalle contrade elèe rompon l’oppostopelago, a questi è condottier Megete,di sembiante guerrier pari a Gradivo.Il generò Filèo diletto a Giove,buon cavalier che dai paterni un giornoodii sospinto alla dulichia terramigrò fuggendo, e v’ebbe impero. Il figlioquaranta prore ad Ilïon guidava.Dei prodi Cefaleni, abitatorid’Itaca alpestre e di Nerito ombroso,di Crocilèa, di Samo e di Zacintoe dell’aspra Egelìpe e dell’oppostocontinente, di tutti è duce Ulissevero senno di Giove; e lo seguiènododici navi di vermiglio pinte.Ne spinge in mar quaranta il capitanodegli Etòli Toante, a cui fu padreAndrèmone; e traea seco le torme

di Pleurone, d’Oleno e di Pilene,quelle dell’aspra Calidone e quelledi Calcide. E raccolta era in Toantedegli Etòli la somma signorìada che la Parca i figli ebbe percossodel magnanimo Enèo, posto col biondoMeleagro infelice ei pur sotterra.Il gran mastro di lancia Idomenèoguida i Cretesi che di Gnosso usciro,di Litto, di Mileto e della forteGortina e della candida Licastoe di Festo e di Rizio, inclite tuttepopolose contrade, ed altri moltidell’alma Creta abitator, di Cretache di cento città porta ghirlanda.Di questi tutti Idomenèo dividecol marzio Merïon la glorïosacapitananza; e ottanta navi han seco.Nove da Rodi ne varâr gli alteriRodïani per l’isola partitiin triplice tribù: Lindo, Jaliso,e il biancheggiante di terren Camiro.L’Eràclide Tlepòlemo è lor duce,grande e robusto battaglier che al forteErcole un giorno Astïochèa produsse,cui d’Efira e dal fiume Selleenteseco addusse l’eroe, poiché distruttov’ebbe molte cittadi e molta insiemegioventù generosa. Entro i paternifidi alberghi Tlepòlemo cresciutodi subitaneo colpo a morte miseLicinnio, al padre avuncolo diletto,e canuto guerrier. Ratto costrussealquante navi l’uccisore, e accoltimolti compagni, si fuggì per l’onde,l’ira vitando e il minacciar degli altrifigli e nipoti dell’erculeo seme.Dopo error molti e stenti i fuggitivitoccâr di Rodi il lido, e qui divisitutti in tre parti posero la stanza:e il gran re de’ mortali e degli Dei

li dilesse, e su lor piovve la pienad’infinita mirabile ricchezza.Nirèo tre navi conducea da Sima,Nirèo d’Aglaia figlio e di Caropo,Nirèo di quanti navigaro a Troiail più vago, il più bel, dopo il Pelìdebeltà perfetta. Ma un imbelle egli era;e turba lo seguìa di pochi oscuri.Quei che tenean Nisiro e Caso e Cràpatoe Coo seggio d’Euripilo, e le prodedell’isole Calidne, il cenno regged’Antifo e di Fidippo, ambo figliuolidi Tessalo Eraclìde. E trenta naviaravano a costor l’onda marina.

10• I PIÙ GRANDI EROI

Ditene adesso, o Dive, i valorosid’Alo e d’Alope e del pelasgic’Argoe di Trachine; né di Ftia né d’Ellade,di bellissime donne educatrice,gli eroi tacete, Mirmidón chiamati,ed Elleni ed Achei. Sopra cinquantaprore a costoro è capitano Achille.Ma di guerra in que’ cor tace il pensiero,ch’ei più non hanno chi a pugnar li guidi.Il divino Pelìde appo le navineghittoso si giace, e della toltaBriseide l’ira si smaltisce in petto,bella di belle chiome alma fanciullache in Lirnesso ei s’avea con molto affannoconquistata per mezzo alla ruïnadi Lirnesso e di Tebe, a morte spintidel bellicoso Eveno ambo i figliuoliEpistrofo e Minete. Per costeilanguìa nell’ozio il mesto eroe; ma il giornodel suo destarsi all’armi era vicino.Quei che Filàce e la fiorita Pìrraso,terra a Cerere sacra, e la fecondadi molto gregge Itóne, e quei che manda

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la marittima Antrone e di Ptelèol’erboso suol, reggea, mentre che visse,il marzïal Protesilao. Ma luila negra terra allor chiudea nel seno,e la moglie in Filàce derelittale belle gote lacerava, e tuttavedova del suo re piangea la casa.Primo ei balzossi dalle navi, e primotrafitto cadde dal dardanio ferro:ma senza duce non restò sua schiera,ché Podarce or la guida, esimio figliodel Filacide Ificlo, che di pinguilanose torme avea molta ricchezza.Del magnanimo ucciso era Podarceminor germano; ma perché quel grandenon pur d’anni il vincea, ma di prodezza,l’egregio estinto duce era pur sempredi sua schiera il desìo. Di questa squadrason quaranta le navi in ordinanza.Gli abitator di Fere, appo il bebèostagno, e quelli di Bebe e di Glafirae dell’alta Jaolco avean salpatocon undici navigli. Eumelo è duce,germe caro d’Admeto, e la divinain fra le donne Alcesti il partorìo,delle figlie di Pelia la più bella.Di Metone, Taumacia e Melibèae dell’aspra Olizone era venutocon sette prore un fier drappello, e carcadi cinquanta gagliardi era ciascuna,sperti di remo e d’arco e di battaglia.Famoso arciero li reggea da primaFilottete; ma questi egro d’acutispasmi ora giace nella sacra Lenno,ove da tetra di pestifer anguepiaga offeso gli Achei l’abbandonaro.Ma dell’afflitto eroe gl’ingrati Argiviricorderansi, e in breve. Intanto il fidosuo stuol si strugge del desìo di lui,ma non va senza duce. Lo governaMedon cui spurio figlio ad Oïlèo

eversor di città Rena produsse.Que’ poi che Tricca e la scoscesa Itomeed Ecalia tenean seggio d’Eurito,han capitani d’Esculapio i figli,della paterna medic’arte entrambisperti assai, Podalirio e Macaone.Fan trenta navi di costor la schiera.Ormenio, Asterio e l’iperèe fontane,e del Titano le candenti cimei lor prodi mandâr sotto il comandodel chiaro figlio d’Evemone Eurìpiloda quaranta carene accompagnato.D’Argissa e di Girton, d’Orte e d’Elonae della bianca Oloossona i figliprocedono suggetti al fermo e fortePolipete, figliuol di Piritòo,del sempiterno Giove inclito seme;e generollo a Piritòo l’illustreIppodamìa quel dì che dei bimembriirti Centauri ei fe’ l’alta vendetta,e li cacciò dal Pelio, e agli Eticesili confinò. Né solo è Polipete,ma seco è Leontèo, marzio germogliodel Cenìde magnanimo Corone.E questa è squadra di quaranta antenne.Venti da Cifo e due Gunèo ne guidad’Enïeni onerose e di Perebi,franchi soldati, e di color che intornoalla fredda Dodona avean la stanza,e di quelli che solcano gli amenicampi cui l’onda titaresia irriga,rivo gentil che nel Penèo devolvele sue bell’acque, né però le mescecon gli argenti penèi, ma vi galleggiacome liquida oliva; ché di Stige(giuramento tremendo) egli è ruscello.Ultimo vien di Tentredone il figlioil veloce Protòo, duce ai Magnetidal bel Penèo mandati e dal frondosoPelio. Il seguìan quaranta navi. E questifur dell’achiva armata i capitani.

Dimmi or, Musa, chi fosse il più valentedi tanti duci e de’ cavalli insiemeche gli Atridi seguîr. Prestanti assaieran le ferezïadi puledrech’Eumèlo maneggiava, agili e rattecome penna d’augello, ambe d’un pelo,d’età pari e di dosso a dritto filo.Il vibrator del curvo arco d’argentoFebo educolle ne’ pïerii prati,e portavan di Marte la pauranelle battaglie. Degli eroi primieroera l’Aiace Telamonio, mentreperseverò nell’ira il grande Achille,il più forte di tutti; e innanzi a tuttiivan di pregio i corridor portantil’incomparabil Tessalo. Ma questinelle ricurve navi si giaceainoperoso, e sempre spirante iracontro l’Atride Agamennóne. Intantolunghesso il mare al disco, all’asta, all’arcoi suoi guerrieri si prendean diletto.Ozïosi i cavalli appo i lor cocchipasceano l’apio paludoso e il loto,e i cocchi si giacean coperti e mutinelle tende dei duci, e i duci istessi,del bellicoso eroe desiderosi,givan pel campo vagabondi e inerti.Movean le schiere intanto in vista egualia un mar di foco inondator, che tuttadivorasse la terra; ed alla pestade’ trascorrenti piedi il suol s’udìarimbombar. Come quando il fulminanteirato Giove Inarime flagelladuro letto a Tifèo, siccome è grido;così de’ passi al suon gemea la terra.

11• GUERRIERI TROIANI

Mentre il campo traversano velocigli Achei, col piè che i venti adegua, ai Teucri

Iri discese di feral novellaapportatrice, e la spedìa di Gioveun comando. Tenean questi consigliogiovani e vecchi, congregati tuttine’ regali vestiboli. Mischiossitra lor la Diva, di Polìte assuntal’apparenza e la voce. Era Polìtedi Priamo un figlio che, del piè fidandonella prestezza, stavasi de’ Teucriesploratore al monumento in cimadell’antico Esïeta, e vi spïavadegli Achivi la mossa. In queste formetrasse innanzi la Diva, e al re conversa,Padre, disse, che fai? Sempre a te piaceil molto sermonar come ne’ giornidella pace; né pensi alla ruinache ne sovrasta. Molte pugne io vidi,ma tali e tante non vid’io giammaiordinate falangi. Numeroseal pari delle foglie e dell’areneprocedono nel campo a dar battagliasotto Troia. Tu dunque primamente,Ettore, ascolta un mio consiglio, e il poniad effetto. Nel sen di questa grandecittà diversi di diverse lingueabbiam guerrieri di soccorso. Ognunode’ lor duci si ponga alla lor testa,e tutti in punto di pugnar li metta.Conobbe Ettorre della Dea la voce,e di subito sciolse il parlamento.Corresi all’armi, si spalancan tuttele porte, e folti sboccano in tumultofanti e cavalli. Alla città rimpettosolitario nel piano ergesi un collea cui s’ascende d’ogni parte. È dettoda’ mortai Batïèa, dagl’immortalitomba dell’agilissima Mirinna;ivi i Teucri schierârsi e i collegati.Capitan de’ Troiani è il grande Ettorre,d’eccelso elmetto agitator. Lo seguede’ più forti guerrier schiera infinita

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ILIADE

coll’aste in pugno di ferir bramose.Ai Dàrdani comanda il valorosofigliuol d’Anchise Enea cui la divinaVenere in Ida partorì, commistaDiva immortale ad un mortal; ned eglisolo comanda, ma ben anco i dueAntenòridi Archìloco e Acamantein tutte guise di battaglia esperti.Quei che dell’Ida alle radici estremehanno stanza in Zelèa ricchi Troianila profonda beventi acqua d’Asepo,Pandaro guida, licaonio figlio,cui fe’ dono dell’arco Apollo istesso.Della città d’Apesio e d’Adrastèa,di Pitïèa la gente e dell’eccelsaferèa montagna han duci Adrasto ed Anfiocorazzato di lino, ambo rampollidi Merope Percosio. Era costuidivinator famoso, ed a’ suoi figlinon consentìa l’andata all’omicidaguerra. Ma i figli non l’udir; ché neroa morir li traea fato crudele.Mandâr Percote e Prazio e Sesto e Abidoe la nobile Arisba i lor guerrieri,ed Asio li conduce, Asio figliuolod’Irtaco, e prence che d’Arisba venneda fervidi portato alti cavallialla riviera sellentèa nudriti.Dalla pingue Larissa i furibondilanciatori pelasghi Ippòtoo menacon Pilèo, bellicosi ambo germoglidel pelasgico Leto Teutamìde.Acamante e l’eroe duce Piròoi Traci conducean quanti ne serral’estüoso Ellesponto; ed i Cicònidel giavellotto vibratori, Eufemodel Ceade Trezeno alto nipote;poi Pirecme i Peòni a cui sul tergosuonan gli archi ricurvi, e gli spediscela rimota Amidone, e l’Assio, fiumedi larga correntìa, l’Assio di cuinon si spande ne’ campi onda più bella.

Dall’èneto paese ov’è la razzadell’indomite mule, conduceadi Pilemene l’animoso pettoi Paflagoni, di Citoro e Sèsamoe di splendide case abitatorilungo le rive del Partenio fiume,e d’Egiàlo e di Cromna e dell’eccelsebalze eritine. Li seguìa la squadradegli Alizoni d’Alibe discesi,d’Alibe ricca dell’argentea vena.Duci a questi eran Odio ed Epistròfo,e Cromi ai Misii e l’indovino Eunòmo.Ma con gli augurii il misero non seppeschivar la Parca. Sotto l’asta ei caddedel Pelìde, quel dì che di nemicastrage vermiglio lo Scamandro ei fece.Forci ed Ascanio dëiforme al campodall’Ascania traean le frigie tormedi commetter battaglia impazïenti.Di Pilemene i figli Antifo e Mestle,alla gigèa palude partoriti,ai Meonii eran duci, a quelli ancorache alla falda del Tmolo ebber la vita.Quindi i Carii di barbara favelladi Mileto abitanti e del frondosomonte de’ Ftiri e del meandrio fiumee dell’erte di Mìcale pendici.Anfimaco a costor con Naste impera,figli di Nomïon, Naste un prudente,Anfimaco un insano. Iva alla pugnacarco d’oro costui come fanciulla:stolto! ché l’oro allontanar non seppel’atra morte che il giunse allo Scamandro.Ivi il ferro achilleo lo stese, e l’oropreda del forte vincitor rimase.Venìan di Licia alfine, e dai rimotigorghi del Xanto i Licii, e li guidaval’incolpabile Glauco e Sarpedonte.

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UNA PRODUZIONE RavennaPoesia/Parametri Musicali

ORGANIZZAZIONE E SUPERVISIONE Massimo Mazzoni

TESTO Omero

TRADUZIONE Vincenzo Monti

CONSULENZA TESTO Galilea Maioli

SINOSSI Franco Costantini

VOCE RECITANTE Franco Costantini

REALIZZAZIONE Giancarlo Di MariaStudio Parametri Musicali, Bologna

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GRAFICA Wilma Germani

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COLLANA I TitaniAL.TT.02/2010

ISBN978-88-6574-005-7

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