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temi&strumenti studi&ricerche ISBN 885-543-0019-5

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temi&strumenti

studi&ricerche

ISBN 885-543-0019-5

L’Isfol, Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, è un Ente pubblico di ricerca scientifica istituito con D.P.R. n. 478 del 30 giugno 1973. L’Istituto opera in base al nuovo Statuto approvato con D.P.C.M. del 19 marzo 2003 ed al nuovo assetto organizzativo approvato con delibera del Consiglio di Amministrazione n. 12 del 6.10.2004. Svolge attività di studio, ricerca, sperimentazione, documentazione, informazione e valutazione nel campo della formazione, delle politiche sociali e del lavoro, al fine di contribuire alla crescita dell’occupazione, al miglioramento delle risorse umane, all’inclusione sociale ed allo sviluppo locale. Fornisce consulenza tecnico-scientifica al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e ad altri Ministeri, alle Regioni, Province autonome e agli Enti locali, alle Istituzioni nazionali pubbliche e private. Svolge incarichi che gli vengono attribuiti dal Parlamento e fa parte del Sistema statistico nazionale. Svolge anche il ruolo di struttura di assistenza tecnica per le azioni di sistema del Fondo sociale europeo, è Agenzia Nazionale per il programma comunitario Leonardo da Vinci, Centro Nazionale Europass, Struttura nazionale di supporto all’iniziativa comunitaria Equal.

La collana "Temi&Strumenti" – articolata in Studi e Ricerche, Percorsi, Politiche comunitarie – presenta i risultati delle attività di ricerca dell’Isfol sui temi di competenza istituzionale, al fine di diffondere le conoscenze, sviluppare il dibattito, contribuire all’innovazione e la qualificazione dei sistemi di riferimento. La collana “Temi&Strumenti” è curata da Isabella Pitoni, responsabile del Centro di Documentazione Specializzato Isfol.

ISFOL PENSARE IL FUTURO UNA PRATICA DI ORIENTAMENTO IN GRUPPO

ISFOL Editore

Il volume descrive una pratica di orientamento messa a punto dall’Isfol, in collaborazione con TIVA di Roma, e riporta i risultati della sperimentazione che si è svolta con alcuni enti e strutture territoriali che operano nel settore orientamento. Il lavoro rappresenta una esperienza di applicazione operativa di un modello di intervento Isfol e si colloca nell’ambito dei lavori realizzati dall’Area Politiche per l’Orientamento di cui è responsabile Anna Grimaldi. Il gruppo di lavoro che ha realizzato lo studio, è costituito, per l’Isfol, da Anna Grimaldi, Marco Amendola, Andrea Laudadio, Rita Porcelli; per TIVA di Roma da Francesco Avallone, Maria Luisa Farnese, Letizia Lombardi, Raffaella Milazzo, Giorgia Ortu La Barbera.

Sono autori del testo: PARTE PRIMA – Dall’orientamento verso il mestiere all’orientamento maturativo Capitolo 1 - Anna Grimaldi e Francesco Avallone Capitolo 2 – Marco Amendola, Andrea Laudadio, Rita Porcelli Capitolo 3 – Maria Luisa Farnese e Giorgia Ortu La Barbera Capitolo 4 - Marco Amendola, Andrea Laudadio, Rita Porcelli PARTE SECONDA – Protocollo della pratica pensareilfuturo Anna Grimaldi, Marco Amendola, Maria Luisa Farnese, Giorgia Ortu La Barbera, Andrea Laudadio, Letizia Lombardi, Raffaella Milazzo, Rita Porcelli, Francesco Avallone. Il volume è a cura di Anna Grimaldi e Francesco Avallone. Il volume contiene un CD su cui sono stati riportati il Protocollo dell’intera pratica pensareilfuturo (incluse le schede e gli strumenti per lo svolgimento delle esercitazioni) e il Diario di bordo. Il testo del CD è riproducibile a colori ed è dunque direttamente utilizzabile da chi voglia mettere in pratica la metodologia proposta. Il Cd Rom è stato realizzato da: ComunicaTiva® Via G. Serafino, 20 - 00136 Roma. www.comunicativa.it La pubblicazione è aggiornata al 30.10.2005. Coordinamento editoriale della collana “Temi & Strumenti”: Piero Buccione e Aurelia Tirelli. Con la collaborazione di: Paola Piras.

PARTE PRIMA

Dall’orientamento verso il mestiere all’orientamento maturativo

PARTE SECONDA

Protocollo della pratica pensareilfuturo

PARTE PRIMA Dall’orientamento verso il mestiere all’orientamento maturativo

I. La costruzione del progetto professionale 9 (Anna Grimaldi e Francesco Avallone)

1.1. Verso l’orientamento maturativo 9 1.2. pensareilfuturo: articolazione del percorso 12

II. Il gruppo in orientamento.

Dai modelli di riferimento alle esperienze realizzate 15 (Marco Amendola, Andrea Laudadio, Rita Porcelli) III. Il progetto pensareilfuturo 21 (Maria Luisa Farnese e Giorgia Ortu La Barbera)

3.1. La storia del progetto 21 3.1.1. Le origini 21 3.1.2. Le finalità 22 3.1.3. I criteri generativi 23 3.1.4. La sperimentazione 24

3.2. Perché adottare la pratica 26 3.2.1. Gli utenti 26 3.2.2. I Servizi 28

3.3. Le opzioni metodologiche 30 3.3.1. Il gruppo come strumento di empowerment 30 3.3.2. La modularità 31 3.3.3. Le alternative 33 3.3.4. La co-conduzione 34 3.3.5. Le competenze degli operatori 36 3.3.6. Uno strumento di lavoro: il Diario 38

INDICE

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3.4. La struttura del percorso 39 3.4.1. La costituzione del gruppo dei partecipanti 39 3.4.2. Lo spazio dedicato 40 3.4.3. Modalità e tempi di conduzione 40 3.4.4. Le attività del percorso 42

IV. La valutazione della pratica 45 (Andrea Laudadio, Rita Porcelli, Marco Amendola)

4.1. Premesse generali 45 4.2. Il follow up 47

4.2.1 Il parere degli utenti 48 4.2.2 Il parere degli operatori nella funzione di osservatori 53

4.3. Nota conclusiva 54

PARTE SECONDA Protocollo della pratica pensareilfuturo

(Anna Grimaldi, Marco Amendola, Maria Luisa Farnese, Giorgia Ortu La Barbera, Andrea Laudadio, Letizia Lombardi, Raffaella Milazzo,

Rita Porcelli, Francesco Avallone)

V. Descrizione della pratica 55 Articolazione del percorso: contenuti, fasi e tempi 57

Modulo 0. Motivazione e contratto 64 Prima giornata 77

Modulo 1. Ci presentiamo 78 Modulo 2. Il futuro 84

Seconda giornata 109 Modulo 3. Io nel contesto 110 Modulo 4. Il progetto 113

Attività di intermodulo 139 Terza giornata 149

Modulo 5. I saluti 165

Bibliografia 169

LA COSTRUZIONE DEL PROGETTO PROFESSIONALE 1.1. VERSO L’ORIENTAMENTO MATURATIVO Cambiamento, mutevolezza e incertezza sono termini che ricorrono sem-pre più spesso per connotare l’attuale scenario socio-economico. Allo stesso modo, anche quando si tratta di definire e descrivere l’orientamento, sembra inevitabile fare uso degli stessi, identici, termini. La funzione dell’orientamento in una società sempre più caratterizzata da un elevato indice di flessibilità e mobilità deve essere ridisegnata per defi-nire obiettivi, modelli e strumenti che siano congruenti e realmente di supporto alle nuove politiche attive del lavoro. Oggi l’orientamento ac-compagna ogni fase della vita formativa e lavorativa degli individui, di-ventando trasversale ai diversi sistemi, per sostenere esigenze di riconver-sione e di mobilità professionale interne ad un mercato del lavoro caratte-rizzato dalla necessità di rielaborare percorsi di professionalizzazione che mutano nel tempo. La complessità di un mercato in evoluzione che ri-chiede sempre più profili professionali capaci di coniugare saperi specifici e competenze di processo, nonché di utilizzare le proprie risorse maturate e acquisite nel corso di tutta una vita, valorizzando le diverse esperienze, impone una riflessione approfondita su aspetti di natura sistemica (il ruolo dell’istruzione e della formazione professionale e le loro interazioni), su alcuni concetti chiave, come quello di competenza, che vanno rivisti e rifondati (Alberici, Serreri, 2003), su una concezione di orientamento a carattere “globale” che consenta una costante elaborazione di competenze e professionalità.

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In quest’ottica orientare significa “produrre conoscenza”, porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé, della realtà occupazionale, sociale ed economica per poter effettuare scelte consapevoli, autonome, efficaci e congruenti con il contesto (Grimaldi, 2003e). Un’azione, con finalità maturativa, che deve facilitare la capacità ad auto-orientarsi. In questo senso l’orientamento sconfina dal suo contesto originario, collocato fondamentalmente nella pratica educativa col significato prevalente di guida, a setting differenziati, dedicati e specialistici dove il significato si arricchisce di concetti quali progettualità, professionalità, trasformazione, attivazione, soggettività. Concorrono, pertanto, nel processo fattori di ordine individuale (quali, ad esempio, le motivazioni, gli interessi, gli stili cognitivi); fattori di ordine sociale (come la famiglia, le aspettative del proprio contesto di riferimento) e fattori di ordine situazionale, come la cultura locale, le prospettive occupazionali, formative, l’organizzazione nella quale si opera. Il peso ed il ruolo specifico di ognuno di questi fattori dipende dalla sin-gola specifica situazione contestuale e dalla rappresentazione cognitiva che ogni singolo soggetto si costruisce relativamente alla situazione com-plessiva. Il focus del processo è quindi sulla relazione tra mondo esterno e mondo interno. In tale prospettiva culturale l’unità di analisi si sposta dall’individuo alla relazione tra l’individuo ed il contesto. L’interesse si muove, quindi, verso lo studio di tutte quelle dimensioni che sostengono la comprensione delle rappresentazioni che l’individuo formula e rifor-mula continuamente sul proprio contesto di riferimento e sulle strategie che la persona mette in atto per analizzare e relazionarsi con tali realtà contestuali. In tale prospettiva, alcune dimensioni come il coping, gli stili di attribuzione, gli orientamenti motivazionali, gli stili decisionali, in quanto dimensioni di confine tra il sé e il mondo esterno, indicative della relazione con il contesto di riferimento, acquistano sempre più rilevanza nell’orientamento nella misura in cui si pongono come variabili significa-tive di conoscenza di sé e degli altri (Grimaldi, Ghislieri, 2004). Il riferimento culturale è al modello socio-cognitivo e, in particolare, all’approccio costruzionista i cui presupposti culturali si fondano sull’analisi dei processi di attribuzione di significato che i soggetti – in quanto attori entro un tessuto di relazioni – sviluppano relativamente all’ambiente esterno ed al proprio ruolo. Se si accettano tali assunti cultu-rali allora l’orientamento può essere definito come una consulenza di processo volta a facilitare la conoscenza di sè, delle proprie rappresenta-zioni sul contesto occupazionale, sociale, culturale ed economico di riferi-mento, sulle strategie messe in atto per relazionarsi ed intervenire con tali realtà, al fine di favorire la maturazione e lo sviluppo delle competenze

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necessarie per poter definire autonomamente obiettivi personali e profes-sionali aderenti al contesto, elaborare o rielaborare un progetto di vita e di sostenere le scelte relative (Grimaldi, 2005). Definita tale mission maturativa dell’orientamento, l’obiettivo generale è quello di “produrre conoscenza”. Tale obiettivo generale è declinabile nei seguenti ulteriori obiettivi (Avallone, 2002): • rendere pensabile il futuro lavorativo. Molte persone e, in particolare, i

giovani sono, per diversi motivi, concentrati sul presente, hanno diffi-coltà a delineare un progetto: pensare il futuro significa poter definire degli obiettivi, individuare dei percorsi, dotarsi di una strategia, valu-tare alternative, orientare l'azione;

• individuare le competenze possedute e quelle che possono essere acquisite o incrementate. Il riferimento non è solo alle diverse competenze tecniche proprie dei singoli settori professionali ma anche a competenze di rela-zione interpersonale e sociale;

• tradurre il pensiero in comportamento. Si riferisce alla possibilità di spe-rimentarsi nella realtà e di verificarsi consapevolmente in un progetto professionale;

• trasformare l’utente in committente. Non si tratta di fornire un servizio più o meno qualificato di orientamento al quale il giovane o l’adulto possa accedere ma di allestire una situazione grazie alla quale il giovane o l’adulto possa diventare l’attore di un percorso.

Sulla base di tali presupposti concettuali è stato concepito il percorso di gruppo di consulenza orientativa pensareilfuturo. Il confronto continuo in uno spazio di gruppo è stato considerato un setting indicato per favorire la conoscenza, la riflessione, l’attivazione e la maturazione delle risorse per-sonali. Il percorso è rivolto a soggetti adulti che si trovano in una qualsiasi fase di transizione. É stato sperimentato, dall’èquipe di ricerca, con 4 gruppi diversi (per un totale di 46 soggetti): lavoratori precari, giovani laureati, disoccupati, adulti in transizione da una situazione lavorativa ad un’altra. I soggetti sono stati contattati in 4 diversi Centri di orientamento al la-voro di Roma. Durante la sperimentazione per ogni gruppo era presente un consulente di orientamento che aveva il compito principale di verifi-care il grado di applicabilità e replicabilità del modello proposto nelle proprie realtà organizzative, anche tenendo conto delle risorse e delle competenze dei professionisti presenti nelle strutture territoriali. Le indi-cazioni dei consulenti, l’osservazione e il monitoraggio sistematico da parte del gruppo di ricerca e, insieme, la valutazione dell’efficacia e del gradimento da parte dell’utenza, testata sia a fine sperimentazione con l’ultimo modulo del percorso sia a distanza di 8 mesi con la partecipazione

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ad un follow-up, hanno evidenziato coerenza interna, funzionalità rispetto agli obiettivi e validità dell’ipotesi di lavoro consentendo così la stesura definitiva del percorso. 1.2. PENSAREILFUTURO: ARTICOLAZIONE DEL PERCORSO Il percorso di orientamento pensareilfuturo, che sarà analiticamente de-scritto nel capitolo terzo, è stato progettato con l’intento di facilitare un pensiero progettuale e quindi è stato finalizzato all’esplorazione, delle di-mensioni che possono sostenere il soggetto nel passaggio da un futuro im-pensabile ad un futuro progettuale. Tre i passaggi fondamentali che sottendono l’articolazione del percorso: • riconoscersi la possibilità di desiderare, di avere aspirazioni, sogni ed ambizioni; • conoscere ed esplorare le forze in gioco: risorse, vincoli, competenze, ca-pacità, limiti che facilitano o ostacolano la realizzazione di queste aspira-zioni; • riuscire a definire un obiettivo professionale e costruire un progetto per-sonale. Questi passaggi costituiscono il nucleo dei tre moduli centrali del percorso suggerito. A questi si aggiunge un modulo iniziale di apertura dei lavori e costituzione del gruppo, ed un modulo conclusivo per un totale comples-sivo di tempo stimabile intorno alle 20 ore, articolate su tre giornate: le prime due consecutive per favorire il consolidamento e la coesione del gruppo, la terza a distanza di circa una settimana per favorire la rifles-sione e la rielaborazione. L’avvio del percorso è preceduto dal Modulo 0 – Motivazione e contratto, in cui il consulente di orientamento presenta l’iniziativa ad un gruppo di potenziali partecipanti, specificandone obiet-tivi e metodologia, così che si possano creare, attraverso il confronto e l’analisi della coerenza tra offerta e domanda, le condizioni per una ade-sione motivata e consapevole. Il Modulo 1 – Ci presentiamo è dedicato all’accoglienza, alla costituzione del gruppo, alla creazione di un clima collaborativo e di un buon livello motivazionale. Le dimensioni prevalenti su cui pone enfasi il lavoro sono la motivazione, l’atteggiamento relazio-nale e l’atteggiamento nei confronti della differenze. Il Modulo 2 – Il futuro introduce il tema del “sogno” professionale: ai par-tecipanti è chiesto di valorizzare la dimensione emotiva, proiettandosi nel futuro ed esprimendo alcuni desideri ed aspettative lavorative. La rifles-sione condivisa sugli aspetti di utopia (sogni troppo “grandi”) e sui vissuti di impotenza (sogni troppo “piccoli”) fonda le basi per la costruzione del

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progetto professionale. Le dimensioni analizzate in questa unità di lavoro sono le emozioni, gli interessi, i valori e la prospettiva temporale. Il Modulo 3 – Io nel contesto è finalizzato all’esplorazione delle risorse in-terne. Nella sua prima unità, si evidenzia la relazione tra gli stili di attri-buzione, le emozioni vissute e le strategie di coping attraverso una eserci-tazione mirata ad evidenziare le caratteristiche e gli stili di comporta-mento personali. La seconda unità, costituisce un approfondimento di queste riflessioni, proponendo di analizzare nuovamente le proprie moda-lità di fronteggiamento e gestione di situazioni difficili, facendo però rife-rimento, questa volta, ad un racconto di vita. Il Modulo 4 – Il progetto si apre con la prima unità in cui i partecipanti de-finiscono uno specifico obiettivo professionale tra quelli prefigurati prece-dentemente, individuato attraverso l’intersezione tra le caratteristiche importanti del desiderio ed una valutazione della sua perseguibilità. In relazione a questo specifico obiettivo, nella seconda unità vengono dunque analizzati i punti di forza e di debolezza interni ed esterni più rilevanti e vengono immaginate possibili strategie per implementare i fattori positivi e per superare i fattori ostacolanti. Una riflessione più puntuale sui punti di forza e di debolezza personali è facilitata da un’attività di intermodulo collocata nell’intervallo tra la se-conda e la terza giornata. É questo un tempo in cui la sospensione delle attività di gruppo porta ciascun partecipante a rielaborare personalmente i contenuti emersi, ad appropriarsene e a formulare diversi modi di rap-portarsi al processo di ricerca di lavoro. La terza ed ultima giornata si apre con una esercitazione che, attraverso l’analisi delle competenze, con-sente di fornire ulteriori informazioni sulla persona. L’ultima unità racco-glie le informazioni e le riflessioni sviluppate organizzandole all’interno di un progetto di (ri)collocazione professionale. Il progetto parte dall’obiettivo individuato e, a ritroso, richiede la definizione delle fasi principali, delle azioni e delle risorse necessarie per la sua realizzabilità. Diverse le dimensioni esplorate in tale modulo: aspettative ed interessi professionali, significati e concezioni del lavoro, valori, capacità proget-tuale, autonomia, creatività, stili cognitivi. Il confronto continuo con il gruppo, le diverse rappresentazioni della realtà e i diversi modi di relazio-narsi alimentano, inoltre, la riflessione sulle proprie risorse: autoefficacia, autonomia, creatività, decision making, orientamento al cambiamento. Il percorso si conclude con il Modulo 5 – I saluti, dedicato alla chiusura dell’intervento e al commiato del gruppo. Le riflessioni e le scelte metodologiche ed operative che questo gruppo di lavoro ha portato avanti sono state supportate da un processo di valuta-zione della pratica – descritto nel quarto capitolo del volume – che è stato

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realizzato attraverso il contributo dei consulenti di orientamento che hanno svolto il ruolo di osservatori nel corso della sperimentazione, e at-traverso il follow up realizzato alla sua conclusione. Ci auguriamo che la disseminazione della pratica e la sua diffusione tra i professionisti dell’orientamento, nei Centri di orientamento e nei servizi per l’impiego possa contribuire, a livello politico-culturale, ad integrare domanda e offerta di orientamento; a livello teorico-concettuale, a conso-lidare una cultura comune a proposito del pensare e dell’agire orientativo e, a livello tecnico-operativo, ad arricchire l’offerta di percorsi di consu-lenza orientativa per adulti che devono affrontare una transizione forma-tivo-lavorativa. Un grazie sincero, infine, ad Anna Crisà, Dirigente del Servizio Orienta-mento del Comune di Roma; ad Antonella Barile, Antonia Colasante, Laura Pernice e Ivo Spadoni, i consulenti di orientamento che hanno accompagnato, con preziosi suggerimenti, questo percorso; e ai 46 partecipanti con i quali abbiamo condiviso un’esperienza che speriamo significativa.

IL GRUPPO IN ORIENTAMENTO: DAI MODELLI DI RIFERIMENTO ALLE ESPERIENZE REALIZZATE In continuità con le riflessioni proposte nel capitolo precedente, dedicato ai significati e ai modelli teorici che definiscono l’attuale scenario dell’orientamento in una prospettiva maturativa, e come premessa al percorso pensareilfuturo, descritto più avanti nel volume, in questo capitolo l’attenzione è rivolta all’utilizzo del gruppo nel processo di orientamento. L’intento non è di presentare una rassegna di contributi relativi a questo tema ma di proporre una riflessione che, a partire dalle esperienze di orientamento di gruppo rintracciabili nella pratica professionale e da alcune suggestioni presenti in letteratura (Salis, 2005), ripercorra le ragioni che hanno guidato il nostro gruppo di lavoro nella messa a punto della pratica di orientamento presentata in questo volume. Dalla lettura delle “buone pratiche” di orientamento individuate sulla base di un precedente censimento di enti che, su base nazionale, si occupano di orientamento (Grimaldi, 2003a), emerge che un terzo di queste prevedono l’utilizzo del gruppo in orientamento. Naturalmente questa considerazione non ha alcuna rilevanza statistica essendo la

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totalità delle pratiche non esaustiva né rappresentativa dell’universo di riferimento: tuttavia è possibile avanzare alcune considerazioni sull’utilizzo del gruppo in orientamento sulla base di esempi tratti dalla rassegna citata. Le pratiche di orientamento di gruppo sono, come si è detto, meno frequenti di quelle individuali. Più spesso il gruppo sembra piuttosto circoscrivibile ad un momento specifico all’interno di un percorso di orientamento di natura sostanzialmente individuale. Altre volte il gruppo, più che confinato ad un “momento” all’interno al percorso, costituisce il centro della pratica, probabilmente in ragione del fatto che è funzionale al conseguimento di obiettivi specifici. A sostegno di questa affermazione riportiamo di seguito un breve riassunto relativo a tre pratiche illustrate nella rassegna Isfol che differiscono per target di utenza e obiettivi dichiarati, oltre che per diversa realtà regionale in cui sono state messe a punto e sviluppate, ma che tuttavia insistono sulla necessità di allestire un setting gruppale.

(a) “Foto dal Futuro” è una pratica di orientamento realizzata dall’agenzia formativa “PratiKa” di Arezzo che prevede l’attivazione, direttamente presso le scuole, di piccoli gruppi di studenti, nonché alcuni appuntamenti di gruppo allargato, al fine di sviluppare competenze di analisi e descrizione del sé, sviluppare una competenza progettuale, promuovere nei ragazzi una molteplicità di linguaggi – in particolare quello fotografico che dà il nome alla pratica − per la costruzione di un significato, favorire lo scambio, la socializzazione e la relazione tra gruppi. L’obiettivo generale della pratica è quello di favorire negli studenti il controllo della propria vita e delle proprie scelte al fine di progettare il proprio futuro. Da un lato l’utilizzo del gruppo è funzionale al raggiungi-mento di obiettivi dichiarati; dall’altro sembra difficile pensare ad una pratica di intervento che non utilizzi il gruppo-classe o, come nel caso specifico, il gruppo allargato, dato il contesto di riferimento. (b) Un’altra pratica censita in rassegna è quella messa a punto nel 2001 da Orientamento Lavoro Veneto Centro CORA, che per statuto ha adottato la pratica Retravailler specificamente pensata per un target femminile. Il percorso di orientamento è pensato per donne per la prima volta in cerca di lavoro o che esprimono l’intenzione di ricandidarsi nel mondo del lavoro dopo un periodo di tempo prolungato (“a figli cresciuti” è l’efficace espressione sinteticamente usata per definire il target di riferimento con maggiore precisione). Si tratta di un percorso di gruppo che, insieme alla finalità generale “Cora” di realizzare un’azione positiva per le donne, si pone l’obiettivo di favorire un inserimento al lavoro efficace, cioè il più possibile duraturo e, in ragione di questo, prevede l’attivazione di gruppi omogenei di donne in modo da fornire risposte differenziate a specifiche domande di orientamento.

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(c) Analoga per alcuni aspetti alla precedente pratica, soprattutto in riferimento al target, la pratica denominata “Chances comunicative, chances imprenditoriali e chances tecnologiche” messa a punto e realizzata dalla cooperativa Orientainforma di Bari nel 2002, ha come obiettivo quello di promuovere l’attivazione e il coinvolgimento di donne sostanzialmente estranee al mercato del lavoro perché confinate sia relativamente al contesto geografico (quartiere di Bari Vecchia) che culturale (persone che vivono in una situazione culturale che non favorisce la propositività nel mercato del lavoro, anzi, che sostanzialmente la preclude). Il percorso è centrato sull’utilizzo del gruppo come occasione di stimolo per il riconoscimento delle proprie potenzialità e competenze, al fine di promuovere l’imprenditorialità proprio laddove questa propensione non è favorita dal contesto di riferimento.

Le pratiche descritte, a questo proposito, sembrano pensate specificatamente al fine di produrre un risultato che sia propriamente raggiungibile utilizzando il gruppo come setting privilegiato. Le ragioni metodologiche per le quali un percorso di orientamento può scegliere l’utilizzo del setting gruppale sono essenzialmente due. In primo luogo si attiva un setting di gruppo perché proprio nel gruppo, esistendo la possibilità di confrontarsi con altri soggetti in condizioni assimilabili alla propria (soprattutto se il gruppo è omogeneo), si rende possibile una ristrutturazione cognitiva ed emotiva del proprio futuro con gli altri, anche semplicemente al fine di promuovere la consapevolezza di non essere isolati rispetto alla progettazione e messa a punto del proprio futuro/progetto professionale. In secondo luogo il gruppo appare un luogo privilegiato per la promozione di empowerment, intendendo con questo la possibilità di una emancipazione/sviluppo individuale e attivazione, che attraverso il gruppo, tipicamente più facilmente può essere sollecitata (Piccardo, 1995). L’uso di un setting di gruppo all’interno di un gruppo di orientamento, inoltre, è sostenuto anche da ragioni di carattere teorico. Già nel 1951 Lewin definiva il gruppo come una totalità dinamica, qualcosa di più o di diverso dalla somma dei suoi membri: ha una struttura propria, fini peculiari, e relazioni particolari con altri gruppi. Quel che ne costituisce l’essenza non è la somiglianza o la dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza. I contributi attuali sull’orientamento che si muovono in una prospettiva psicosociale insistono su un progressivo spostamento dell’unità di analisi dall’individuo alla relazione persona-contesto. Tale spostamento – dall’individuo alla relazione – implica un significativo cambiamento

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relativamente alla pratica professionale soprattutto in ragione del fatto che l’unità di analisi, individuando come centrale la relazione che l’individuo intrattiene con il contesto di appartenenza, sembra suggerire proprio il gruppo come uno dei luoghi privilegiati per interventi di consulenza maturativa in orientamento. L’individuo, nel corso della sua esistenza, transita, infatti, da un gruppo all’altro, dai gruppi informali a quelli di tipo più formale; la qualità e quantità delle relazioni che vive in ognuna di queste esperienze determinano la ricchezza e la potenzialità della rete di ognuno e le personali condizioni di benessere (Francescato, Tomai, Ghirelli, 2003). Il gruppo costituisce il luogo privilegiato dell’articolazione tra il mondo dei processi mentali e il mondo dei processi sociali (Quaglino, Casagrande, Castellano, 1992). In questo senso la riproduzione all’interno di uno spazio “protetto” di una rete di relazioni sociali, consente di trattare, su un piano simbolico, le interazioni e le dinamiche che possono attivarsi all’interno del gruppo di orientamento, offrendo spunti di riflessione – per analogia – sulla relazione “reale” che ciascun partecipante ha con il proprio contesto di riferimento. Rispetto alle dimensioni, nella pratica presentata in questo volume si fa riferimento al piccolo gruppo che non sempre, come ricorda Pombeni (1996), raggiunge la dimensione ideale (da 8 a 15 soggetti) ma che tuttavia, come suggerisce Bales (1960), può essere inteso come tale se ogni membro riceve da ognuno degli altri delle impressioni o percezioni, sufficientemente distinte per cui egli possa reagire a ognuno degli altri membri preso singolarmente. Al di là della numerosità dei membri che lo compongono, l’utilizzo del gruppo, così come è stato proposto nella pratica, differisce significativamente dai gruppi di terapia e dai t-group: i primi, infatti, sono gruppi autocentrati in cui l’obiettivo primario è quello di modificare comportamenti che sono la causa del malessere delle persone che ne fanno parte; i t-group, diversamente dai primi, sono gruppi di addestramento che si pongono come principale obiettivo l’apprendimento dei soggetti. Il riferimento ai gruppi terapeutici, rispetto ai quali naturalmente quello orientativo si differenzia per diverse ragioni, tra le quali sicuramente le finalità per le quali viene attivato, può essere tuttavia preso in prestito per un’altra questione. Tipicamente infatti, nella prospettiva psicodinamica che prevede interventi che utilizzano un setting di gruppo, viene più volte proposta la distinzione tra analisi di gruppo e analisi in gruppo (Badolato, Di Iullo, 1979; Gallizzioli, Celia, 2005): sinteticamente si può dire che relativamente alla prima, l’unità di riferimento è il gruppo (analisi di gruppo); relativamente alla seconda, l’unità di

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riferimento è il singolo, in presenza degli altri (analisi in gruppo). Tenendo ferma la distanza dal gruppo di natura terapeutica, ma volendo utilizzare questa distinzione per declinarla rispetto alla proposta di pensareilfuturo (anche se tale declinazione, con buona approssimazione, è estendibile anche all’utilizzo del gruppo in orientamento in generale), nella pratica che viene proposta ci si riferisce più propriamente ad un orientamento in gruppo: la tipologia del lavoro proposto, infatti, prevedendo la messa a punto di un progetto professionale individuale, seppur formulato e condiviso all’interno di un gruppo, è difficilmente pensabile in termini di gruppo – laddove l’unità di riferimento sarebbe il gruppo – ma più propriamente in gruppo – laddove i singoli hanno l’opportunità di sviluppare il proprio progetto professionale individualmente, all’interno di un contesto di gruppo. Una ulteriore distinzione – gruppo di lavoro e lavoro di gruppo – viene in soccorso per meglio definire la metodologia proposta in pensareilfuturo. Ricordiamo in sintesi questa distinzione (Quaglino, Casagrande, Castellano, 1992). • Gruppo: pluralità, in interazione, con un valore di legame, che ne

determina l’emergenza psicologica. • Gruppo di lavoro. Mentre un gruppo è una pluralità in interazione, un

gruppo di lavoro è una pluralità in integrazione. Nell’interazione un gruppo sviluppa un fenomeno definito coesione che corrisponde all’emergere delle uguaglianze, consentendo ai membri di riconoscere il gruppo stesso come proprio, permettendo di fissare legami, e orientando alla percezione dei vantaggi correlati all’aggregarsi di un collettivo. Nella costruzione di un gruppo di lavoro il passaggio successivo all’interazione è l’interdipendenza, cioè l’acquisizione della consapevolezza dei membri di dipendere gli uni dagli altri, con il relativo sviluppo della rappresentazione della rete di relazione con gli altri. L’interazione si fonda sulla percezione della presenza, l’interdipendenza sulla percezione della necessità reciproca.

• Il lavoro di gruppo è espressione dell’azione complessa propria del gruppo di lavoro. Il lavoro di gruppo comprende la pianificazione del compito, lo svolgimento del compito, la gestione delle relazioni: non è la semplice esecuzione di mandato organizzativo.

Accade spesso che i gruppi tendono a concentrarsi sull’esecuzione del compito, trascurando sia gli aspetti prospettici, di pianificazione, che gli aspetti profondi di gestione della relazione tra i membri e tra il gruppo e l’organizzazione. È molto comune che nei gruppi si assista allo svolgimento parallelo e contemporaneo di compiti individuali; ciascuno affronta il proprio problema con gli strumenti concettuali dei quali

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dispone e trova la sua soluzione. Il lavoro di gruppo si riduce alla ricerca del consenso degli altri circa il punto di vista che si presume sia giusto, o a quello che fornisce la soluzione migliore. Come suggerito da Pombeni (1996) il gruppo orientativo, rispetto alla distinzione proposta, si colloca lungo la seconda prospettiva – lavoro di gruppo – trattandosi specificatamente di un gruppo centrato sul compito, dove i membri si ritrovano insieme per superare un compito orientativo, cioè una situazione critica connessa alla propria esperienza formativa e lavorativa. Anche se gli obiettivi della pratica pensareilfuturo, come peraltro evocato nel titolo della pratica, hanno una connotazione sensibilmente diversa (più di attivazione rispetto al proprio futuro, nella consapevolezza che “pensare il futuro” costituisca la premessa per la messa a punto di un progetto professionale e/o personale), è possibile condividere tale posizione e pertanto intendere più propriamente la proposta come lavoro di gruppo piuttosto che gruppo di lavoro. In altri termini il gruppo, in questa accezione, è inteso come metodologia di lavoro. Sulla base delle considerazioni fornite nei paragrafi precedenti è possibile fornire alcune risposte all’interrogativo: “Perché il gruppo in orientamento?” (a) …perché il gruppo, in questa prospettiva, sembra funzionale al conseguimento di obiettivi che discendono da una prospettiva psicosociale dell’orientamento, che si esprime nella necessità di conoscere e sperimentare se stessi, nel proprio stile di intrattenere la relazione con il contesto. In questa veste il gruppo sarebbe il luogo privilegiato per favorire la conoscenza di sé in termini di atteggiamenti, stili di attribuzione causale, modalità di fronteggiamento della realtà (coping), e così via. (b) …perché nel gruppo – se si realizza un contesto non valutativo e adeguatamente protetto – gli individui hanno non solamente l’opportunità di accrescere la conoscenza di sé in relazione al proprio contesto, ma anche una occasione di appropriazione di nuove modalità di relazione con la realtà, innescando la premessa per un possibile cambiamento che può rivelarsi strategico nella traduzione in azione di un progetto personale e/o professionale. (c) …perché il gruppo si configura come luogo di conferma di sé, ma anche di una possibile sperimentazione di presa di distanza da un modello comportamentale usuale che in un contesto nuovo, in una prospettiva “altra”, autorizza a muoversi nella propria realtà in maniera diversa.

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(d) …perché il gruppo offre una occasione di valutazione rispetto a sé in quanto, offrendo un termine di confronto con gli altri, orienta, prima ancora che il soggetto, i parametri sui quali si fonda la propria valutazione; una valutazione ancorata alla realtà perché, maggiormente in un contesto gruppale piuttosto che duale, in gruppo gli altri non sono solamente evocati ma anche presenti. (e) …perché il gruppo è funzionale alla realizzazione di un obiettivo che, in presenza degli altri, diventa possibile: quello di rendere “pensabile” la realizzazione di qualcosa che altrimenti rimarrebbe confinato nella condizione di “sogno”.

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IL PROGETTO PENSAREILFUTURO 3.1. LA STORIA DEL PROGETTO 3.1.1. Le origini Il progetto pensareilfuturo nasce con l’obiettivo di concretizzare alcune linee guida considerate rilevanti per condurre con efficacia ed efficienza un intervento di orientamento in un contesto di gruppo. Il progetto può considerarsi la fase conclusiva di un percorso più ampio che ha visto, nella sue fasi precedenti, un’attività di indagine volta alla conoscenza e alla descrizione delle azioni di orientamento in uso nelle diverse realtà istituzionali (centri pubblici e privati di diversa natura) e geografiche (tutto il territorio italiano). La prima fase di ricerca, a carattere esplorativo, ha consentito – attraverso le risposte dei 492 enti che hanno aderito (il 30% degli enti censiti) – non solo di ricostruire la “fotografia” delle strutture che si occupano di orientamento (modelli organizzativi, compagine lavorativa, linee di attività) ma anche di raccogliere la descrizione di un significativo numero di esperienze di orientamento realizzate dagli enti, in relazione alle finalità che si prefiggevano (orientamento scolastico, supporto all’imprenditorialità, counselling ecc.), alle diverse tipologie di utenti (giovani, immigrati, disoccupati di lunga durata ecc.) e ai modelli teorici di riferimento (psicometrico, cognitivo-comportamentale, affettivo-supportivo, psicologico-sociale, psicodinamico, o altro) (Isfol, 2001). La seconda fase della ricerca è stata dedicata all’analisi in profondità di alcune pratiche di orientamento considerate, dai soggetti attuatori, esperienze di eccellenza per la loro valenza innovativa in termini metodologici o per l’efficacia dimostrata. Le venticinque pratiche analizzate sono state individuate, tra le molte descritte, facendo in modo

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che venisse rappresentata una realtà variegata per collocazione geografica dell’ente, per tipologia di utenti e tipo di intervento. Attraverso interviste semistrutturate in profondità realizzate con diversi soggetti organizzativi (un responsabile e due operatori), è stata raccolta una descrizione analitica di ciascun intervento in relazione alla sua storia, agli obiettivi, e alle metodologie e strumenti per la gestione e la valutazione degli interventi. Questa fase di ricerca si proponeva di favorire l’individuazione di aree innovative di intervento nell’ambito di azioni di orientamento a partire dallo studio di esperienze che, pur non essendo statisticamente rappresentative del panorama delle offerte di interventi di orientamento, potevano tuttavia essere considerate come emblematiche per qualità e innovazione delle proposte. Una descrizione di queste fasi di indagine e dei loro esiti è presente nel volume dell’Isfol a cura di Grimaldi e Avallone (2005). La buona pratica presentata in questo volume costituisce, infine, l’esito della terza fase di ricerca, che ha visto la progettazione e la sperimentazione di un percorso di orientamento rivolto a piccoli gruppi di utenti. 3.1.2. Le finalità La pratica pensareilfuturo è stata messa a punto con l’intento di: • definire le linee guida di una pratica di orientamento che esplicitasse il

proprio modello di riferimento, metodologie e strumenti, in modo da offrire una struttura omogenea di riferimento per tutti gli operatori che intendano utilizzarla. Si tratta di una griglia che guida il processo di orientamento, delineando finalità, tempi e modi dell’intervento, e che propone alcuni percorsi paralleli di sviluppo. In questo senso costituisce un punto di partenza – ed anche di discussione e confronto – per gli operatori che vorranno utilizzarla, in diversi contesti e con diversi gruppi di utenti.

• proporre un impianto metodologico sperimentato con diverse tipologie di utenti e prefigurando uno specifico contesto di applicazione (Centri di orientamento). La proposta di seguito illustrata è stata infatti oggetto di riflessione e condivisione da parte di professionisti di diversa esperienza nell’ambito della formazione e dell’orientamento, è stata sottoposta ad un’applicazione per verificare la validità dell’impianto concettuale e la chiarezza della struttura ed, infine, è stata rivista alla luce delle osservazioni emerse (cfr. par. 3.1.4).

• offrire una gamma di strumenti – descritti dettagliatamente negli obiettivi, nelle risorse necessarie e nelle modalità di utilizzo – tra i quali gli operatori che gestiscono la pratica possono scegliere. Le diverse

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opzioni rappresentano alternative analoghe dal punto di vista della finalità dell’intervento, ma si differenziano per la procedura di realizzazione. Gli operatori possono dunque scegliere una esercitazione tra quelle proposte in alternativa o anche decidere se svolgere o meno alcune delle attività previste, in relazione al tipo di gruppo con cui stanno lavorando, all’andamento delle attività, alle proprie competenze/stili di lavoro, e così via (cfr. par. 3.2.1).

In sintesi, la pratica pensareilfuturo è stata progettata cercando di rispondere a criteri di omogeneità, validità e flessibilità della procedura proposta. 3.1.3. I criteri generativi L’assunto di base che guida la proposta di questa buona pratica è che la costruzione di un progetto personale di (re)impiego rappresenta l’esito di un processo che ha inizio nella pensabilità di un futuro, dimensione spesso negata da chi vive una condizione di precarietà lavorativa o di esclusione dal mercato del lavoro. La struttura del percorso prende dunque l’avvio proprio dalla possibilità di dedicare uno spazio ed un tempo per far emergere, delineare, dar voce, rievocare, la sfera del desiderio: vorrei..., mi piacerebbe..., ho sempre sognato... La legittimazione del desiderio, la sua verbalizzazione e condivisione all’interno di un gruppo, la sua trasformazione e “prender forma” attraverso momenti di analisi e riflessione, rappresentano passaggi metodologici fondamentali del percorso, a partire dai quali si snoda la costruzione del progetto professionale. Un secondo criterio-guida alla base della pratica pensareilfuturo è quello della contestualizzazione, che si esprime attraverso l’attenzione e la possibilità di declinare le indicazioni generali della pratica in relazione a quelle che sono le specifiche esigenze della situazione in essere. Ciò si traduce, dal punto di vista degli operatori, nella flessibilità del percorso, ossia nella possibilità di scegliere ed adattare la forma del percorso al contesto specifico in cui la pratica viene messa in opera ed alle esigenze che il gruppo dei partecipanti via via esprime e, dal punto di vista degli utenti, nella personalizzazione, intesa come centralità conferita agli aspetti di soggettività e di specificità individuale di ciascun partecipante. Se la struttura del percorso è uguale per tutti, essa è comunque formulata in modo tale che ciascun partecipante abbia degli spazi individuali di analisi e riflessione durante le attività di orientamento e produca degli output personali (il Diario, il feed back di alcune esercitazioni, le consulenze, il progetto) che ne garantiscano la vicinanza alle specificità e alle esigenze di ciascuno.

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La struttura generale avrà dunque, come esito, risultati di volta in volta diversi per ciascun gruppo e per ciascun partecipante, come espressione del suo adattamento alla specificità delle situazioni e come intento di offrire un “prodotto” coerente con i bisogni delle diverse realtà di contesto e personali. Altrettanto importante è, infine, il contesto di gruppo. Pur trattandosi di un lavoro di orientamento a carattere individuale – in cui, cioè, il “beneficiario” dell’azione è il singolo partecipante – il percorso valorizza la dimensione di gruppo. Il gruppo inteso in primo luogo come “cornice”: l’intervento si svolge in un contesto collettivo, si rivolge cioè ad un piccolo gruppo di utenti (da 10 a 15) che, parallelamente, svolgono un percorso di orientamento e dunque utilizzano nel medesimo tempo le risorse del Servizio (umane, logistiche, temporali). In ipotesi, la pratica pensareilfu-turo si colloca temporalmente – nell’operatività dei Servizi – subito dopo la fase di prima accoglienza, quando gli utenti hanno già espresso in modo sufficientemente esplicito e consapevole un bisogno di orientamento, e quando gli operatori hanno quel minimo di informazioni sulla storia e le esigenze dell’utente tali da consentirne l’aggregazione all’interno di un gruppo abbastanza omogeneo. Alla pratica pensareilfuturo può seguire un percorso individuale, da delineare sulla base del progetto che ciascun partecipante ha definito per sé. Il gruppo, d’altra parte, rappresenta anche uno strumento di lavoro. Gli spazi esercitativi prevedono l’alternanza di momenti in cui i partecipanti lavorano assieme (discussioni di gruppo, consulenze reciproche, plenarie ecc.) e momenti in cui essi si ritagliano uno spazio di lavoro “privato” (esercitazioni individuali, attività di intermodulo ecc.). In ogni caso la dimensione gruppale rappresenta, per i partecipanti, un aspetto essenziale dell’esperienza di orientamento svolgendo funzione di confronto e apprendimento di diverse modalità di pensiero, di amplificazione della sfera emotiva, di supporto e accoglienza, di legittimazione e rinforzo delle scelte compiute, ed altro ancora. 3.1.4. La sperimentazione La pratica pensareilfuturo, come detto, è stata pensata come uno strumento di lavoro all’interno di strutture – quali i Centri di orientamento – che hanno la possibilità di offrire diversi servizi di orientamento e di differenziare le funzioni e le attività svolte nei confronti di un pubblico ampio e diversificato. Contesto privilegiato di applicazione, dunque, sono tutti quei centri ed enti che, nell’ambito del loro mandato, individuano anche una funzione di orientamento di tipo non strettamente informativo.

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Per questo motivo la valutazione della coerenza della struttura teorica, metodologica ed operativa è stata effettuata realizzando una sperimentazione rivolta ad utenti dei Centri di Orientamento al Lavoro e dei Centri Informagiovani di un Comune del centro Italia e con la collaborazione – in qualità di osservatori – degli operatori dei Centri. Sono stati realizzati quattro gruppi, dedicati a diverse tipologie di utenti “tipici” di tali Centri: disoccupati di lunga durata, lavoratori atipici (con contratti di lavoro saltuari e/o precari), lavoratori in transizione (in cerca di una nuova o diversa collocazione professionale), studenti in cerca di prima occupazione. I gruppi, evidentemente, non fanno riferimento a classificazioni rigide, ma a macro-categorie di riferimento che alludono a storie di vita e di lavoro e a relazioni e problemi verso il mercato del lavoro tendenzialmente diverse. I partecipanti individuati per la sperimentazione, inoltre, non possono essere considerati statisticamente rappresentativi della popolazione di riferimento e tuttavia possono essere considerati rappresentanti e portavoce di alcune istanze e modelli di relazione rispetto al processo di ricerca di un’occupazione. Distinguere tra condizioni di disoccupazione di lunga durata, di lavoro atipico oppure di primo ingresso nel mercato del lavoro, infatti, vuol dire tenere conto della diversità di modelli e di rappresentazioni con cui le persone si rapportano al mondo del lavoro. Modelli e rappresentazioni che si costruiscono e si rinforzano anche a partire dalle esperienze pregresse e che presuppongono obiettivi e strategie di (ri)collocazione tendenzialmente diversi. La sperimentazione è stata realizzata in più fasi. La prima fase ha visto l’incontro del gruppo di ricerca con gli operatori dei Centri. In questa fase sono stati condivisi gli obiettivi della pratica, definiti i ruoli dei diversi soggetti nella sperimentazione, e sono stati concordati tempi e modalità di convocazione dei partecipanti. La seconda fase ha visto la realizzazione della pratica di orientamento (incontro di presentazione e tre giornate di lavoro), parallelamente nei quattro gruppi di lavoro. La terza fase è stata dedicata alla messa in comune dei feed back: sono state raccolte le osservazioni di carattere metodologico ed operativo da parte di tutti soggetti che hanno preso parte alla gestione dei quattro gruppi sperimentali. Nella quarta fase, infine, è stato realizzato il follow up dell’esperienza, invitando nuovamente i partecipanti a distanza di otto mesi, per riflettere insieme sulla loro situazione occupazionale attuale e sul contributo che, soggettivamente, attribuiscono alla partecipazione all’esperienza di orientamento nella gestione del rapporto con il mondo del lavoro.

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Le sperimentazioni hanno seguito fedelmente la procedura indicata dalla buona pratica progettata, ad eccezione di alcuni aspetti:

- l’équipe di gestione della pratica era costituita da due conduttori (membri dell’équipe di ricerca) e da un osservatore (operatore del Centro inviante); nella gestione effettiva l’équipe dovrebbe essere costituita da due operatori del Centro; - la convocazione degli utenti è stata effettuata dagli operatori dei Centri, che tuttavia non hanno poi gestito direttamente il percorso di orientamento (come nella realtà dovrebbe avvenire) ma hanno svolto il ruolo di osservatori; - gli utenti in alcuni casi avevano da poco contattato il Centro e partecipato esclusivamente alla fase di prima accoglienza (come effettivamente è previsto in situazioni di utilizzo ordinario della pratica), in altri avevano rapporti più consolidati con il Centro, avendo preso parte ad altre attività di orientamento (es. colloqui individuali, consulenza sulla stesura del curriculum vitae ecc.).

La sperimentazione, inoltre, ha richiesto ai conduttori di svolgere un duplice ruolo: da un lato, in qualità di orientatori, di gestire il processo di gruppo; dall’altro, in qualità di ricercatori, di osservare e valutare l’andamento del processo. Era loro compito annotare tutte le possibili riflessioni, criticità, variazioni emerse nell’ambito della realizzazione della pratica pensareilfuturo. Questo medesimo compito, strutturato attorno ad un canovaccio di riferimento, è stato affidato agli osservatori. Questi, essendo anche operatori del Servizio, avevano inoltre un punto di osservazione privilegiato potendo prefigurare anche la trasferibilità della procedura proposta all’interno di un contesto lavorativo istituzionale. La sperimentazione si è chiusa con la revisione della pratica alla luce delle osservazioni e delle riflessioni emerse e dei risultati del follow up: sono stati specificati o articolati più approfonditamente alcuni passaggi, alcune esercitazioni sono state “snellite”, sono stati puntualizzati tempi e ritmi del lavoro. Alcune questioni, infine, sono state lasciate aperte, ritenendo che non possano essere univocamente e aprioristicamente definite, ma che debbano essere di volta in volta valutate a cura di chi gestisce il percorso (es. criteri di scelta delle esercitazioni, requisiti per la composizione del gruppo dei partecipanti ecc.). 3.2. PERCHÉ ADOTTARE LA PRATICA 3.2.1. Gli utenti

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La pratica pensareilfuturo è dedicata ad un duplice target di destinatari. Ad un primo livello troviamo, naturalmente, gli utenti del Centro, ossia i beneficiari diretti del percorso di orientamento. Ad un livello più ampio i Servizi, cioè gli operatori che scelgono di utilizzare la pratica ma anche, più globalmente, il contesto, la cornice organizzativa di riferimento per la realizzazione della pratica. Ma, a quali domande ed istanze intende rispondere la pratica? Per quel che riguarda gli utenti, si parte ovviamente da un’esigenza di orientamento. Un’esigenza tuttavia che non è un semplice bisogno, un’aspettativa generica e diffusa, ma che assume già la forma di una domanda. Le persone che, idealmente, dovrebbero partecipare a questo percorso non sono persone che – senza un lavoro o insoddisfatte del lavoro attuale – si rivolgono ad un Servizio chiedendo un aiuto generico (“vorrei trovare un lavoro”) ovvero si pongono in una posizione passiva e di dipendenza rispetto al processo di cambiamento (“ditemi cosa posso fare”). Si tratta, al contrario, di persone che esprimono in qualche modo una domanda specifica, un’istanza di cambiamento di cui si fanno carico. Ciò evidentemente non significa che i partecipanti si rappresentino come soggetti attivi, protagonisti del proprio futuro, con un progetto specifico in mente, né che siano già presenti alcune competenze (es. di tipo progettuale o proattive). Questi costituiscono tuttavia alcuni dei possibili esiti del percorso di orientamento o, se già presenti, potrebbero più idoneamente suggerire agli operatori di indirizzare gli utenti verso altre forme di intervento. Significa tuttavia che sono presenti due elementi: a) la percezione di corresponsabilità rispetto al processo, l’interesse a farsi carico del “proprio” futuro lavorativo, e b) la disponibilità/curiosità a mettersi in discussione, la possibilità di istituire uno spazio di riflessione e confronto sulle questioni proposte. Nelle intenzioni progettuali, dunque, la buona pratica non si rivolge in modo indifferenziato a tutti gli utenti effettivi o potenziali di un Servizio, ma ad una specifica tipologia, definita non tanto sulla base di criteri socio-anagrafici (es. età o condizione lavorativa) quanto sul tipo di relazione che ciascun utente esprime nel rapporto con il mondo del lavoro e nel portare al Servizio di orientamento una domanda di cambiamento. Pur essendo operazione complessa, la verifica della coerenza tra il tipo di domanda manifestata dagli utenti potenzialmente interessati a (coinvolgibili in) questo percorso e l’offerta di orientamento, può essere effettuata in due diversi momenti. In primo luogo in fase di accoglienza. Nel corso dei colloqui iniziali di un neo-utente che si avvicina ad un Servizio di orientamento, è infatti

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possibile accogliere, appunto, il bisogno di orientamento che egli esprime, ma anche esplorare che tipo di relazione di aiuto prefigura, in quale rapporto si pone rispetto al proprio futuro lavorativo, che tipo di azioni di (ri)collocamento sono già state affrontate e come sono state gestite, e così via. L’insieme di queste informazioni sul processo di (re)inserimento nel mondo del lavoro dà all’operatore di prima accoglienza alcune indicazioni circa l’opportunità di proporre o meno la partecipazione alla pratica pensareilfuturo. Il secondo momento è rappresentato dalla fase di apertura del percorso di orientamento, la presentazione. Questo spazio, che precede l’avvio effettivo dei lavori, è finalizzato proprio a consentire una verifica tra quella che è l’offerta di orientamento (come contenuti, impegno, modalità di lavoro ecc.) e quelle che sono le aspettative dei futuri partecipanti. Gli utenti compiono dunque un’autoselezione, valutando in modo più accurato se e quanto la proposta di orientamento che viene loro descritta è in sintonia con la loro idea circa il processo di (ri)collocazione lavorativa, con le risorse che sono disposti a mettere in gioco, con le proprie motivazioni, e così via. Per questo motivo la fase di presentazione del percorso è rivolta ad un gruppo di partecipanti più ampio di quello effettivo ed è stata pensata con l’intento di facilitare e consentire ai partecipanti una verifica delle loro aspettative ed un’adesione più consapevole (ovvero la scelta di non partecipare al percorso futuro). 3.2.2. I Servizi Il secondo target di riferimento della pratica pensareilfuturo sono i Servizi. Anche in questo caso proviamo ad analizzare le possibili domande a cui la pratica intende rispondere. Una esigenza è sicuramente di tipo funzionale: pensando ad un’organizzazione complessa – quale un Centro di orientamento – la pratica pensareilfuturo rappresenta una modalità di intervento all’interno di una linea di attività, che può essere realizzata parallelamente (o in alternativa) ad altri tipi di intervento. Ad esempio, utilizzando la pratica pensareilfuturo invece di uno stage, o una consulenza individuale, o un supporto nella stesura del curriculum vitae, o altro ancora. Oppure può essere sviluppata in connessione con altri interventi. Ad esempio facendola precedere da uno spazio iniziale di primo orientamento di carattere informativo, e facendola seguire da colloqui individuali di consulenza per l’avvio d’impresa. Oppure come percorso di gruppo parallelo ed integrato con una attività formativa dedicata allo sviluppo di conoscenze e competenze tecnico-specialistiche. L’utilizzo della pratica in

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connessione con altri interventi richiede necessariamente la sua modulazione in funzione di quelli che sono gli obiettivi complessivi che si intende perseguire. La pratica costituisce dunque un ampliamento ed una differenziazione dell’offerta di servizi cui gli operatori possono attingere, ed una risposta specifica per un pubblico “di nicchia”. Da un punto di vista metodologico, la divulgazione e la condivisione di una pratica formalizzata e descritta in modo analitico rappresenta una proposta che riduce i rischi di autoreferenzialità e di isolamento che gli operatori talvolta avvertono. La pratica pensareilfuturo può costituire un punto di partenza omogeneo per avviare momenti di verifica interna o di confronto allargato sulle azioni messe in opera dal Servizio. L’applicazione del percorso, le scelte che al suo interno è possibile operare, le eventuali modifiche e adattamenti, rappresentano altrettanti passaggi metodologici che consentono al Servizio di interrogarsi sull’efficacia delle diverse tipologie di azione, generando, attraverso una riflessione collettiva, apprendimento organizzativo. Da un diverso punto di osservazione, i Servizi costituiscono la cornice di riferimento per la realizzazione della pratica. Operativamente, la pratica pensareilfuturo è stata progettata tenendo conto del futuro contesto di applicazione, cercando di bilanciare le esigenze metodologiche “ottimali” con le esigenze organizzative e di servizio. Ad esempio gli incontri di gruppo, oltre che su un piano metodologico (sinergia, sviluppo delle dinamiche di apprendimento), presentano un vantaggio in termini di efficienza, in quanto con le medesime risorse (umane, logistiche, temporali) è possibile offrire un servizio ad un ampio numero di utenti. O ancora, nell’immaginare la sequenza temporale degli incontri, si è cercato di ridurre al minimo il ricorso ai tempi extra all’orario lavorativo. Non sempre ciò è stato possibile, anche perché a diversi Servizi (per mandato, dimensione, collocazione geografica, competenze tecnico-specialistiche degli operatori, ...) corrispondono diverse esigenze. Riteniamo tuttavia che la flessibilità e la modularità della struttura proposta consentano, a chi condurrà la pratica, di compiere scelte di “adattamento” coerenti con le esigenze dello specifico contesto. La lettura del contesto e delle relazioni tra il gruppo di utenti ed il contesto socio-economico forniscono, d’altra parte, elementi preziosi di riflessione da utilizzare nella gestione della pratica, nel corso della conduzione del gruppo di lavoro. Ad esempio la pratica pensareilfuturo non prevede, al suo interno, sezioni dedicate alla trasmissione di informazioni (sul mondo del lavoro, su specifiche realtà territoriali o

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produttive, su normative ecc.), mentre prevede, in una logica di rete, un rimando ai ruoli e alle funzioni che il Servizio già svolge in questa direzione. Richieste reiterate dei partecipanti di ricevere informazioni possono indurre a interpretare tali richieste (ad esempio come espressione di un bisogno di dipendenza, o come modalità rassicuratoria e di ricerca di certezze, o come sfida e messa alla prova degli operatori ecc.) e di istituire uno spazio di riflessione sulle modalità con cui i partecipanti si relazionano al percorso di orientamento e, per trasposizione, al processo di ricerca di lavoro. La specificità del contesto può inoltre facilitare o indirizzare alcune scelte sulla struttura del percorso, utilizzando parametri non esclusivamente metodologici o di valutazione di efficienza (quali la disponibilità di tempo). Ad esempio la gestione della fase di intermodulo può variare – oltre che in base a parametri “interni” al processo di orientamento (es. le caratteristiche del gruppo) – in relazione a come gli operatori prefigurano che i partecipanti possano utilizzare le risorse del Servizio anche in questa fase (es. possibilità di una consulenza, disponibilità di spazi informativi ecc.) e delle reti di relazione che essi attivano con i colleghi del Servizio. 3.3. LE OPZIONI METODOLOGICHE 3.3.1. Il gruppo come strumento di empowerment Come abbiamo visto, la pratica si propone come un percorso di orientamento in gruppo. Pur trattandosi di un lavoro di orientamento a carattere individuale – in cui, cioè, il “beneficiario” dell’azione è il singolo partecipante – il percorso valorizza la dimensione di gruppo. Il gruppo inteso in primo luogo come “cornice”: l’intervento si svolge in un contesto collettivo, si rivolge cioè ad un piccolo gruppo di utenti (orientativamente da 10 a 15) che, parallelamente, svolgono un percorso di orientamento e dunque utilizzano nel medesimo tempo le risorse del Servizio (umane, logistiche, temporali). Il gruppo, d’altra parte, rappresenta anche uno strumento di lavoro. Gli spazi esercitativi prevedono l’alternanza di momenti in cui i partecipanti lavorano insieme (discussioni di gruppo, consulenze reciproche, plenarie ecc.) e momenti in cui essi si ritagliano uno spazio di lavoro “privato” (esercitazioni individuali, attività di intermodulo ecc.). In ogni caso la dimensione gruppale rappresenta, per i partecipanti, un aspetto essenziale dell’esperienza di orientamento svolgendo funzione di confronto e apprendimento di diverse modalità di pensiero, di amplificazione della sfera emotiva, di supporto e accoglienza, di legittimazione e rinforzo delle scelte compiute, ed altro ancora.

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Di fatto si tratta di un gruppo costituito ad hoc per l’esperienza, che costituisce non l’oggetto di lavoro (come potrebbe essere un’équipe stabile) ma lo strumento metodologico in virtù del quale il processo di apprendimento e di sviluppo dei singoli partecipanti può avere luogo. É dunque una realtà fenomenologica con una vita delimitata dal tempo di esistenza dell’azione di orientamento. I partecipanti, d’altra parte, rappresentano un gruppo in quanto fanno riferimento al medesimo Servizio, condividono una realtà simbolica (condizione socio-lavorativa e vissuti ad essa connessi) e sono portatori di una specifica domanda, coerente con le strategie di intervento proposte dalla pratica. Un’ulteriore funzione del gruppo rispetto al singolo, può essere quella di implementare lo sviluppo di competenze utili nelle relazioni professionali e dunque per la ricerca di un’occupazione. Il contesto di gruppo consente, infatti, di agire alcune modalità relazionali che possono essere oggetto di analisi e comprensione nel momento in cui esse si manifestano e si amplificano all’interno di un luogo protetto in cui possono essere elaborate, nell’ipotesi che quanto avviene nel corso dell’esperienza di orientamento sia una estensione delle modalità ordinariamente utilizzate per gestire le relazioni con il mondo del lavoro. Inoltre, l’oscillazione tra attività individuali e di gruppo sollecita il passaggio dalla contrapposizione tra una posizione individualistica ed una collettiva, ad una concezione generativa delle relazioni, nell’idea che il tempo speso per un altro partecipante non sia depauperante per sé, e che il prodotto – cioè la risorsa che il gruppo genera – sia al contempo individuale e della collettività. 3.3.2. La modularità Un importante criterio che ha guidato la progettazione della pratica è stato la modularità del percorso. Il criterio è stato pensato ed adottato al fine di rendere la pratica quanto più possibile contestualizzabile all’interno delle diverse realtà di applicazione e quindi vicina alle esigenze dei diversi destinatari – gli operatori dei servizi e gli utenti finali – a cui si rivolge. In primo luogo la modularità si traduce nell’articolazione dell’intervento di orientamento lungo un percorso ideale di tre giornate intere, di cui le prime due in successione e la terza a distanza di una settimana, ritenendo che questa articolazione consenta ai partecipanti di non vivere il percorso come un’attività scissa dalla loro abituale attività di ricerca o ricollocazione professionale. Si è pensato di trattare i contenuti delle prime due giornate in successione per permettere – con un certo agio di

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tempo – lo sviluppo di processi di gruppo, quali la conoscenza dei/tra i partecipanti, la costituzione del gruppo e l’esplorazione della proposta metodologica. Il tempo tra le prime due giornate e la terza rappresenta invece per i partecipanti un’occasione per integrare il proprio progetto, ad esempio raccogliendo una serie informazioni da ricercare sul campo, ricostruendo la propria storia professionale, vagliando le risorse a disposizione, mettendo a fuoco alcuni aspetti motivazionali rispetto alla ricerca del lavoro. In questo spazio intermedio il Centro mette a disposizione i propri servizi per richieste specifiche, quali un supporto per la stesura del curriculum, l’accesso all’emeroteca, una consulenza per l’avvio d’impresa ecc. L’intervallo tra la seconda e la terza giornata, dunque, non è una pausa nell’attività di orientamento ma un tempo in cui si continua a “stare” nel percorso, si continua a riflettere su di esso, si usano gli stimoli ricevuti per elaborare nuove riflessioni che possono in seguito essere condivise nel gruppo. La modularità consiste inoltre nella possibilità di realizzare l’intervento attraverso modalità organizzative alternative a quella proposta e quindi ristrutturabili di volta in volta a partire, ad esempio, dalla condizione lavorativa e dalla disponibilità di tempo degli utenti coinvolti, e dai tempi di lavoro del Servizio. La pratica è stata progettata e sperimentata su un’articolazione di tre giornate nell’arco di una settimana, dove la scelta di concludere il percorso in un lasso di tempo di breve respiro consente di utilizzare al meglio l’attivazione e l’investimento dei partecipanti, favorendo così il loro “stare” e “restare” nel percorso. Lo spazio di orientamento può infatti essere considerato una sorta di tempo “limbico” tra ciò che ho fatto e ciò che vorrei fare, un presente indefinito (intanto chi sono?) che sollecita l’emergere di fantasie di incompiutezza, inconcludenza, incapacità, impotenza. Il processo di orientamento coincide dunque con la possibilità di affrontare “il” nodo problematico che, come abbiamo visto, è legato alla pensabilità di un futuro, e al contempo istituisce uno spazio di riflessione che porta alla costruzione di una trama tra passato e futuro. La fine del percorso ha quindi una forte valenza simbolica in quanto disegna una linea di demarcazione importante tra la confusione del presente e la visibilità del futuro, e diluire eccessivamente il percorso potrebbe essere vissuto da alcuni come un’amplificazione di questa distanza. Non solo, quanto più lontana è la fine del percorso, tanto maggiore sarà il tempo di permanenza in questo tempo, con tutte le difficoltà che i partecipanti incontreranno nello “stare” a contatto con le proprie fantasie e con le emozioni che ne derivano.

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Ovviamente, le considerazioni fatte non sono generalizzabili a tutti i gruppi ed è possibile che le differenti tipologie di utenze identifichino diversamente lo spazio dell’orientamento sulla base di categorie proprie. Ad esempio, i neo laureati portano con loro la recente esperienza universitaria che facilita la possibilità di pensare al percorso come ad “un tempo per la formazione” a cui sono abituati e di cui riescono a tollerare la carica emozionale. Diversamente, per i soggetti in cerca di occupazione o in transizione, questo tempo potrebbe coincidere con la fantasia di “sottrarre tempo” alla ricerca del lavoro o al lavoro che già svolgono. La seconda questione riguarda il “restare” ed è legata ad una dispersione che, per un percorso di più lunga durata, potrebbe essere fisiologica. I soggetti che partecipano ai percorsi di orientamento sono – per loro stessa natura – caratterizzati da un’instabile condizione lavorativa: ossia, essendo alla ricerca di un lavoro… è probabile che lo trovino! Protrarre eccessivamente il percorso di orientamento aumenta la possibilità che da un incontro all’altro i partecipanti attivino nuove collaborazioni professionali e abbandonino il percorso a causa di una mancata disponibilità di tempo o per un “decadimento” di interesse. Oltre alle questioni legate all’intervallo di tempo e alla sua funzione, è evidente che un’importante dispersione è destabilizzante non solo per il gruppo che rimane, ma anche per lo staff che si troverà nella duplice difficoltà di gestire con i partecipanti questa situazione e di rimodulare il percorso sulla base della nuova composizione e numerosità del gruppo. La struttura proposta non ha la pretesa di risolvere a priori le questioni riportate, ma è stata pensata con un’attenzione specifica su queste dimensioni di investimento, anche e soprattutto di tipo emozionale. Sono però l’esperienza e la sensibilità dell’operatore le principali risorse che consentono alle emozioni e alle fantasie espresse dai partecipanti in relazione a queste tematiche di poter essere esplorate, comprese ed utilmente impiegate. 3.3.3. Le alternative Ogni intervento di orientamento, seppure organizzato attorno ad un iter strutturato quale può essere la pratica proposta, si caratterizza per la sua unicità: unici e irriducibili sono infatti i servizi proponenti, gli operatori con le loro risorse, i partecipanti con le loro storie, motivazioni, con i loro investimenti e sogni professionali, il gruppo con la sua organizzazione, le sue dinamiche, il suo modo di essere una risorsa per i singoli. Di questa unicità dell’intervento si è tenuto conto nella stesura della pratica, e in tal senso sono state fatte delle precise scelte metodologiche

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che, pur tenendo salda la coerenza del percorso, hanno fatto sì che tale coerenza non diventasse, per l’operatore, una rigidità applicativa. In quest’ottica, un ulteriore elemento di flessibilità – oltre alla modularità – è stato introdotto attraverso la presenza di diverse opzioni: per la maggior parte dei moduli è stata pensata la possibilità che gli orientatori possano scegliere tra due diverse opzioni, considerate equivalenti ai fini della coerenza del percorso e per il raggiungimento dell’obiettivo che i moduli si propongono; possono inoltre valutare l’opportunità di svolgere o meno alcune esercitazioni (analisi dei casi, attività di intermodulo) in funzione dell’andamento del percorso. La struttura della pratica si presenta quindi come una griglia, uno schema guida, la cui declinazione è lasciata agli operatori dei servizi che, di volta in volta, opteranno per le attività che ritengono più vicine ai propri stili di conduzione, alle proprie esperienze, alle peculiarità dei partecipanti (livello di attivazione, di coinvolgimento emotivo, di competenze ecc.), alle caratteristiche del gruppo (numerosità, relazioni ecc.), all’andamento dell’intervento e clima d’aula. 3.3.4. La co-conduzione É stato ritenuto opportuno prefigurare una co-conduzione della pratica, per rispondere a diverse istanze metodologiche: • poiché si tratta di una pratica in gruppo, in cui comunque l’output è di

tipo individuale, la presenza di due operatori consente lo sviluppo di esercitazioni seguendo più da vicino i singoli partecipanti (in piccoli gruppi o in lavori individuali in plenaria) e dando loro la possibilità di sentirsi sostenuti, supportati e seguiti in modo personalizzato;

• la gestione del lavoro con i gruppi, per le dinamiche che attiva, è facilitata dalla presenza di due conduttori che di volta in volta possono esercitare ruoli diversi (di feed back reciproco, di conduzione e osservazione, di attivazione e di supporto ecc.).

Con co-conduzione si fa riferimento non solo alla compresenza dei due operatori nella fase di gestione del percorso ma, ancor prima, al momento in cui si decide di utilizzare la pratica e si dà avvio alla progettazione operativa. Va quindi considerato un tempo di back office, in cui gli operatori si confrontano sull’andamento della pratica che – in considerazione del fatto che si lavora su processi, comprensibili solo in corso d’opera – necessita di un monitoraggio costante e di elaborare una serie di scelte solo in parte prefigurabili in anticipo. Per tutte queste ragioni è preferibile che i due operatori condividano esperienze professionali, modelli di intervento e metodologie di lavoro.

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I vantaggi della co-conduzione da parte di due operatori del Servizio sono molteplici: • la presa in carico: attivare una micro-équipe e reti comunicative interne

con altri operatori significa che la realizzazione dell’attività non è un percorso del singolo operatore ma implica una presa in carico da parte del Servizio nel suo insieme;

• molteplicità di apprendimento: la possibilità di gestire unità di lavoro di volta in volta diverse (plenaria, piccolo gruppo, triadi, lavoro individuale) rappresenta un’opportunità per attivare forme di apprendimento molteplici, ampliando le possibilità di riflessione e di confronto tra i partecipanti e utilizzando differenti modalità di interazione con la conduzione;

• i processi: i conduttori possono più facilmente gestire i processi che si generano, alternandosi nella conduzione, giocando un ruolo diverso (di guida e di osservatore), sviluppando una comprensione più articolata delle dinamiche attraverso il confronto reciproco;

• gruppi a confronto: i due gruppi, quello dei partecipanti (e della loro relazione con il mondo del lavoro) e quello della conduzione (e della loro relazione con il Servizio), possono rappresentare uno specchio reciproco, dove le dinamiche che si attivano nell’uno possono attivare riflessione nell’altro. Da parte del gruppo di conduzione, leggere le dinamiche che il gruppo dei partecipanti sta attivando può essere utilizzato come feed back su come lo staff sta lavorando e su come la posizione assunta influenzi il modo in cui partecipa il gruppo. Reciprocamente, l’osservazione del gruppo di conduzione da parte dei partecipanti può assumere una funzione di apprendimento rispetto alle modalità relazionali attivate. Ad esempio, fantasie del gruppo dei partecipanti su Servizi disorganizzati e frammentati – ragione spesso evocata rispetto allo scarso supporto percepito nel trovare lavoro – possono essere rinforzate dal gruppo degli operatori (ad esempio condividendo la lamentela o sostenendo il vissuto di dipendenza facendosi garanti di certezze e elargendo informazioni); ovvero possono essere disconfermate dallo staff attraverso comportamenti quali l’integrazione tra i conduttori, il rispetto di un setting di lavoro, l’ascolto personalizzato degli utenti.

La co-conduzione, d’altra parte, richiede di prestare attenzione ad alcune dinamiche che si possono generare all’interno della diade, anche in relazione al ruolo rivestito all’interno del Servizio. Ad esempio, se uno dei due conduttori è l’operatore che gestisce la prima accoglienza, probabilmente avrà una conoscenza più puntuale della storia dei partecipanti e potrà proporsi in maniera competitiva rispetto al proprio

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collega in quanto detentore di maggiori informazioni o referente privilegiato dell’utente. O ancora, se gli operatori hanno diversa appartenenza professionale (es. sociologo, educatore, psicologo) e sono portatori di modelli di intervento diversi, il confronto può spostarsi da una riflessione sull’integrazione tra i diversi modelli e competenze, ad una “sfida” volta a dimostrare la superiorità di un modello sull’altro. 3.3.5. Le competenze degli operatori All’interno della composizione variegata di professionalità, percorsi lavorativi e formativi, ruoli ricoperti, specializzazioni ed expertise acquisite, generalmente presenti nei Servizi e Centri che si occupano di orientamento, è utile considerare il possesso di un set teorico, di alcune competenze di processo e di esperienze professionali in ambiti affini, coerenti con quanto richiede la conduzione del percorso. Le caratteristiche del percorso della pratica pensareilfuturo richiedono infatti che la sua gestione sia affidata ad operatori che, preferibilmente, abbiano alcune caratteristiche professionali, che si aggiungono a quelle specifiche dell’orientatore. Sono infatti richieste alcune competenze di tipo tecnico-specialistico e gestionale. • Competenze relative al processo di counselling. Includiamo in quest’area quell’ampio insieme di expertise professionali che, in senso lato, fanno riferimento alla capacità di decodificare le dinamiche soggettive ed interpersonali e di “restituirle” al partecipante in modo coerente con la domanda di orientamento che egli pone e con l’obiettivo di sviluppo che, attraverso la partecipazione all’esperienza di orientamento, il partecipante persegue. Pensiamo, ad esempio, alla capacità di comprendere la domanda di orientamento che un partecipante porta al Servizio e le motivazioni che possono sostenerne l’adesione al percorso della pratica (istituendo uno spazio di riflessione su ciò in fase di prima accoglienza, nel corso della presentazione della pratica, ma anche durante tutto il percorso). Pensiamo alla capacità di dare senso alle emozioni dei partecipanti, senza agirle o razionalizzarle, ma usandole (definendone il senso) nel processo di orientamento. Pensiamo, ancora, alla capacità di fare ipotesi interpretative sulla relazione tra ciò che viene agito nel “qui ed ora” e la rappresentazione della relazione con il mondo del lavoro. Ad esempio la richiesta pressante e “preoccupata” di un riferimento degli operatori come eventuale supporto per lo svolgimento delle attività di intermodulo può essere accolta come tale dai conduttori, che possono

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rispondere in modo rassicuratorio ai partecipanti (fornendo numeri di telefono e indirizzi mail, offrendo la disponibilità delle risorse del Servizio ecc.), o possono aprire uno spazio di riflessione sull’emozione in quel momento prevalente nel gruppo e sul senso che essa assume rispetto al lavoro di orientamento e rispetto al processo di ricerca di un’occupazione (es. attesa di una presa in carico totale da parte del Servizio, delega ad altri del processo di conoscenza di sé, timore di un confronto più diretto con il mondo del lavoro e “rifugio” nello spazio protetto dell’orientamento ecc.). • Competenze relative alla gestione di gruppi La capacità di cogliere le dinamiche interpersonali che caratterizzano la vita di un gruppo, di gestire i processi di lavoro del gruppo allargato e dei piccoli gruppi che via via si costituiscono, di valorizzare i contributi dei singoli partecipanti conservando un livello collettivo di riflessione, rappresentano aspetti basilari della professionalità di chi intenda condurre una pratica di orientamento di gruppo. La sua efficacia dipende infatti dalla capacità del conduttore di guidare il processo di orientamento di ciascun partecipante all’interno di una rete di relazioni con gli altri partecipanti, considerandola un elemento di valore dell’esperienza. Di bilanciare inoltre gli spazi individuali e quelli collettivi, senza scivolare in problematiche e interpretazioni afferenti alla sfera privata dei partecipanti (pertinenti ad un setting e ad un obiettivo di lavoro diversi), conservando una logica di trasferibilità delle riflessioni a tutti i partecipanti. Se ad esempio – nel pieno di una esercitazione a conclusione del percorso – un partecipante inizia a raccontare di quando, laureando, andava spesso a visitare un luogo ...molto suggestivo... evocativo...: il cimitero ebraico. E a ciò si collega il racconto di un’altra partecipante che ricorda di quando aspettava il suo primo bambino e ha accompagnato in una giornata caldissima la nonna al cimitero, rischiando di partorire lì... Questi racconti possono essere considerati come divagazioni da disinteresse o stanchezza, e quindi essere rapidamente liquidati per tornare alla “vera” attività di orientamento. Possono essere trattati come espressione di un sentimento di depressione del primo partecipante in relazione all’insoddisfazione sulla propria vita attuale e alle difficoltà a trovare un diverso lavoro (coerentemente con altri elementi forniti dal partecipante stesso in precedenti momenti del percorso), a cui risponde in modo empatico la seconda partecipante. O possono, infine, essere considerati un fenomeno di un gruppo che si avvia al commiato chiudendo un percorso (la formazione universitaria, la gestazione) e aprendo la strada ad una nuova esperienza (la laurea, il bimbo). Pur essendo pertinenti tutti e tre i livelli di lettura,

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nel contesto della pratica è preferibile privilegiare un livello interpretativo che faccia riferimento al gruppo piuttosto che ai singoli partecipanti. • Competenze nella gestione dei processi d’aula. La gestione di un gruppo di apprendimento richiede, da parte del conduttore, la capacità di guidare e sostenere il gruppo verso l’obiettivo condiviso, gestendo i tempi di lavoro, definendo le modalità operative, favorendo la partecipazione di tutti i membri del gruppo, e così via. Un aspetto importante in quest’ambito è la capacità di definire il setting di lavoro, istituendo un luogo ed un tempo adeguati al tipo di attività che si intende svolgere e “presidiandone” i confini. Soprattutto se l’esperienza di orientamento si svolge all’interno del luogo di lavoro, infatti, è necessario che l’operatore ponga dei vincoli rispetto all’accesso all’aula (che negli orari in cui è presente il gruppo non può essere utilizzata da altri o per altri scopi) e definisca il proprio ruolo (i conduttori non fanno accoglienza, non rispondono al telefono, non si alternano nella presenza in aula per sostituire colleghi malati ecc.). • Competenze di coordinamento e gestione di attività. La realizzazione della pratica, infine, richiede di attuare una serie di azioni di progettazione, di organizzazione logistica, di predisposizione di materiali e risorse per il gruppo, di coordinamento tra le varie azioni e con i colleghi del Servizio, ed altro ancora, collaterali alla gestione d’aula. É dunque importante che chi gestisce la pratica abbia anche un’esperienza di tipo organizzativo che lo supporti nello svolgimento di queste attività di back office. Non ultimo, riteniamo importante che gli operatori coinvolti valutino la propria motivazione a seguire un processo articolato, che richiede un investimento di tempo e di energie a volte superiori a quanto le attività di routine consentano: “mettere in piedi” un gruppo, gestire reti con i colleghi del Servizio, garantire unitarietà ai tempi di lavoro, e così via, possono rappresentare impegni che esulano dai compiti specificamente previsti per un tipo di ruolo e che tuttavia per la buona riuscita del percorso è necessario mettere in campo. 3.3.6. Uno strumento di lavoro: il Diario Il percorso di orientamento si avvale di uno strumento, il “Diario di viaggio” 1, un raccoglitore dato a ciascun partecipante predisposto per accogliere i materiali didattici ed esercitativi su cui ciascuno lavora. Si tratta di un insieme di schede che seguono puntualmente il percorso di orientamento nelle sue diverse fasi e che, di volta in volta, servono come

1 Disponibile CD allegato.

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stimolo iniziale per sviluppare le esercitazioni, come spazio di promemoria per annotare informazioni e riflessioni, come luogo di sintesi del progetto di (ri)collocazione finale elaborato da ciascun partecipante. Il Diario è stato immaginato per rispondere principalmente a tre esigenze: • la “memoria”. Nel corso dell’esperienza di orientamento, il Diario aiuta da un lato a ricostruire e rileggere il passato formativo e professionale, dall’altro a prefigurare il futuro; alla sua conclusione, a conservare una traccia dell’esperienza stessa;

• il “processo metodologico”. La pratica si propone di condividere con i partecipanti un percorso che non solo e non semplicemente porti ad alcune decisioni progettuali e sostenga azioni di (ri)collocazione, ma che fornisca alcune competenze metodologiche che i partecipanti potranno utilizzare anche in futuro per valutare le scelte intraprese o per elaborare nuovi progetti. Il Diario in questo senso raccoglie le “linee guida” del percorso metodologico che potranno, di volta in volta, essere riempite con contenuti diversi;

• la “personalizzazione”: come tutti i Diari, rappresenta spazio privato, “segreto”, che consente di recuperare margini di autonomia e di individualità rispetto ad un lavoro che si svolge essenzialmente in un contesto di gruppo.

3.4. LA STRUTTURA DEL PERCORSO 3.4.1. La costituzione del gruppo dei partecipanti I partecipanti all’esperienza devono presentare alcuni requisiti che sono relativi principalmente al grado di coerenza tra la motivazione espressa e la proposta di intervento erogata. La pratica, inoltre, in quanto fondata su un lavoro in gruppo, richiede un’attenzione specifica ai criteri di composizione del gruppo, che tendenzialmente dovrebbe risultare abbastanza omogeneo in relazione al posizionamento dei vari partecipanti rispetto al proprio percorso di orientamento, aspetto che può essere preso in considerazione in fase di accoglienza dall’operatore che incontra nei primi colloqui gli utenti che accedono al Servizio. Un altro elemento di omogeneità è rappresentato dalla condizione occupazionale. Nell’ambito della grande varietà di condizioni lavorative più o meno precarie e più o meno soddisfacenti, avere una analoga condizione lavorativa – e, come abbiamo visto, analoghe rappresentazioni ad essa connessa – può costituire per i partecipanti un elemento di facilitazione nel processo di riconoscimento e di confronto reciproci, e consente quindi utilizzare al meglio una delle principali risorse a disposizione del lavoro con il gruppo.

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L’eterogeneità su altri aspetti (quali il tipo di professionalità o il livello di formazione o la varietà di esperienze professionali o altro ancora) può costituire un elemento arricchente per il confronto che può attivarsi all’interno del gruppo, ma questi sono elementi che gli operatori avranno cura di valutare di volta in volta.

Infine, la numerosità ottimale del gruppo è di circa 10 partecipanti, senza superare il numero massimo di 15. 3.4.2. Lo spazio dedicato É bene spendere qualche parola sull’organizzazione logistica in cui si svolgeranno gli incontri. Il luogo sarà tendenzialmente una stanza all’interno del Servizio; l’intervento si inserirà quindi dentro un contesto di operatività quotidiana fatta di altri operatori impegnati nelle loro attività abituali e di utenti che utilizzano gli altri servizi a disposizione. Il fatto di utilizzare uno spazio del Servizio rappresenta un forte ancoraggio al contesto e agli obiettivi dell’intervento, ma può tuttavia presentare alcuni inconvenienti a cui si dovrà prestare attenzione. La stanza deputata agli incontri, infatti, dovrà essere uno spazio sufficientemente protetto da interferenze esterne (telefoni che squillano, accesso incidentale di altri utenti, interruzione da parte di altri operatori ecc.) al fine di confermare ai partecipanti – anche attraverso queste accortezze – che l’intervento è un contesto a loro dedicato. In quest’ottica di “spazio dedicato”, sarà cura dei conduttori garantire sempre la loro presenza agli incontri ed evitare quindi la sovrapposizione con altri impegni lavorativi. Per ciò che riguarda la stanza di lavoro, la sua organizzazione spaziale dovrà favorire le interazioni all’interno del gruppo e con i conduttori; ideale a questo riguardo è la disposizione delle sedie intorno ad un grande tavolo di lavoro o disposte a circolo. É utile inoltre avere a disposizione, per la realizzazione di alcuni moduli, un’ulteriore stanza che consenta ai partecipanti di suddividersi in sottogruppi di lavoro paralleli. Nella preparazione dello spazio di lavoro dovranno infine essere predisposti gli strumenti necessari allo svolgimento delle attività, quali le cartelle del “Diario di viaggio”, le fotocopie delle esercitazioni, l’elenco dei partecipanti e l’eventuale foglio firma, la lavagna a fogli mobili, e così via.

3.4.3. Modalità e tempi di conduzione In ipotesi, la pratica pensareilfuturo si colloca temporalmente – nell’operatività dei Servizi – subito dopo la fase di prima accoglienza, quando gli utenti hanno espresso in modo sufficientemente esplicito e consapevole un bisogno di orientamento, e quando gli operatori hanno

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quel minimo di informazioni sulla storia e le esigenze dell’utente tali da consentirne l’aggregazione all’interno di un gruppo abbastanza omogeneo. Alla pratica può seguire un percorso individuale, da delineare sulla base del progetto che ciascun partecipante ha definito per sé. Per quel che riguarda la gestione dell’intervento, la pratica è stata progettata con l’intento di accompagnare le persone in orientamento lungo un percorso che va da un futuro impensabile ad un futuro progettuale e si snoda in tre passaggi fondamentali: • recuperare e riconoscersi la possibilità di desiderare, di avere aspirazioni

personali, sogni ed ambizioni; • conoscere ed esplorare le forze in gioco, interne ed esterne: risorse,

vincoli, competenze, capacità che facilitano o ostacolano la realizzazione di queste aspirazioni, la disponibilità di energia e l’investimento personale;

• riuscire a definire un obiettivo professionale e costruire attorno a questo un progetto personale.

Questi passaggi costituiscono il nucleo dei tre moduli centrali del percorso. Ad essi si aggiunge, come già detto, un modulo iniziale di apertura dei lavori e “riscaldamento” del gruppo, ed un modulo di chiusura dedicato alla conclusione del lavoro. É necessario ribadire che la pratica proposta è stata pensata come uno schema di riferimento, in quanto fondata sull’assunto che una buona pratica, per essere tale, deve necessariamente essere adattata al contesto di applicazione. In questo senso la struttura che segue va considerata una griglia per gli orientatori che la gestiranno, i quali dovranno aver cura di adattare il percorso – nei contenuti e nell’articolazione temporale – al contesto di applicazione: al contesto istituzionale del Servizio, alle necessità e ai vincoli operativi dell’organizzazione, alla tipologia e alla numerosità dei partecipanti, e così via. Come abbiamo visto in precedenza, per la maggior parte dei moduli sono previste due diverse opzioni, considerate equivalenti al fine della coerenza del percorso di orientamento e per il raggiungimento dell’obiettivo che i moduli si propongono. A parità di obiettivo, i conduttori possono quindi scegliere di volta in volta, tra le esercitazioni alternative, quella che ritengono più adeguata alla situazione. La struttura, inoltre, si articola su alcuni elementi fondanti ed altri accessori, che i conduttori potranno scegliere di sviluppare o meno. Si può dunque valutare di non utilizzare tutto il materiale a disposizione, ad esempio selezionando le esercitazioni proposte per la fase di intermodulo o decidendo di non svolgere l’esercitazione di analisi dei casi.

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I singoli moduli propongono l’esplorazione di diverse aree e dimensioni (aspirazioni e desideri, autovalutazione delle caratteristiche personali, analisi punti di forza e debolezza ecc.) che vengono gestite attraverso attività quali giochi d’aula, discussioni di gruppo, esercitazioni di gruppo ed individuali. Molte delle attività proposte prevedono lavori in sottogruppi ed è, pertanto, sempre necessaria la doppia conduzione. In termini organizzativi, l’intervento di orientamento prevede: - un “modulo 0” di presentazione della pratica e di selezione dei

partecipanti; - tre giornate di cui le prime due in sequenza e la terza a distanza di circa

una settimana. Ogni giornata ha una durata complessiva di circa 6 ore di attività d’aula. La modularità del percorso consente tuttavia all’operatore di adottare la pratica scomponendo le giornate2 in singoli moduli, che potranno in tal caso essere condotti – pur conservandone la sequenzialità – come sessioni uniche. Questa scelta, ovviamente, prevede un incremento delle giornate dedicate all’intervento;

- alcune attività intermodulo che i partecipanti svolgeranno individualmente nel tempo che intercorre tra gli incontri.

3.4.4. Le attività del percorso Il percorso, come già accennato nel capitolo introduttivo, prevede cinque moduli, più uno di presentazione e motivazionale. Quest’ultimo precede di alcuni giorni l’avvio vero e proprio del percorso, e si propone di presentare l’iniziativa ad un gruppo di potenziali partecipanti al fine di favorire da parte loro un’autovalutazione rispetto alla partecipazione al percorso (in termini di interesse e di impegno da sostenere). Il conduttore, sulla base di una prima rilevazione dei bisogni di orientamento effettuata nella fase di accoglienza del Servizio, avrà infatti invitato i singoli utenti a prendere parte all’iniziativa, presentando loro brevemente le finalità e la metodologia della pratica. Nel corso del Modulo 0 – Motivazione e contratto, al gruppo degli utenti presenti vengono esplicitati più dettagliatamente finalità, obiettivi e modalità di realizzazione dell’intervento. Attraverso il confronto diretto si intende verificare la coerenza tra l’offerta di orientamento e le aspettative di ciascun partecipante, giungendo in tal modo ad una adesione motivata e consapevole alla pratica di orientamento.

2 Con questo termine si intende la sequenza di attività idealmente progettate e pensate all’interno di una giornata di sei ore di lavoro.

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La prima giornata del percorso è dedicata alla fondazione del gruppo di lavoro ed è centrata sulla dimensione del “sogno”, intesa come ampliamento degli spazi di pensabilità del futuro ed esplicitazione delle sfera del desiderio connessa ai propri percorsi lavorativi. Il Modulo 1 – Ci presentiamo, attraverso la presentazione dei partecipanti, si propone dunque di avviare la relazione tra i partecipanti e tra questi ed i conduttori: la sua dimensione prevalente può essere considerata la disponibilità alla relazione. Esso si propone anche di definire nuovamente il contratto d’aula rispetto al percorso da sviluppare. In questo senso rappresenta il momento istituente del lavoro di orientamento. Il Modulo 2 – Il futuro introduce il tema del “sogno” professionale: ai partecipanti è chiesto di valorizzare la dimensione emotiva, proiettandosi nel futuro ed esprimendo alcuni desideri ed aspettative lavorative. La riflessione condivisa sugli aspetti di utopia (sogni troppo “grandi”) e sui vissuti di impotenza (sogni troppo “piccoli”) fonda le basi per la costruzione del progetto professionale, riattivando le energie verso la definizione progressiva di un obiettivo che contempli, al suo interno, anche un pezzetto di sogno. L’obiettivo professionale è infatti considerato, in questa pratica, non un punto di partenza, un oggetto “dato”, ma un oggetto da costruire in progress, da trasformare in un gioco di equilibrio tra gli elementi fondanti del desiderio e gli elementi di realtà a supporto della realizzabilità del progetto. I moduli successivi hanno dunque lo scopo di valutare risorse e vincoli interni ed esterni e di organizzarli all’interno di un progetto, che assume la funzione di un “piano di fattibilità”. La prima giornata di lavoro si chiude con la prima unità del terzo modulo, che introduce il tema della definizione delle risorse interne, proponendo un’autovalutazione delle proprie modalità di gestione di situazioni difficili. Il Modulo 3 – Io nel contesto, nella sua prima unità, intende infatti evidenziare la relazione tra gli stili di attribuzione, le emozioni vissute e le strategie di coping attraverso una esercitazione mirata ad evidenziare le caratteristiche e gli stili di comportamento personali. La seconda unità, che si svolge all’inizio della seconda giornata, costituisce un approfondimento di queste riflessioni, proponendo di analizzare nuovamente le proprie modalità di fronteggiamento e gestione di situazioni difficili, in questo caso non generali o prototipiche ma realmente presenti nella vita del partecipante. La seconda giornata prosegue con l’approfondimento delle forze in campo, positive e negative, che entrano in gioco rispetto al progetto professionale.

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Il Modulo 4 – Il progetto si apre con la prima unità in cui i partecipanti definiscono, secondo un percorso ad imbuto, uno specifico obiettivo professionale, individuato attraverso l’intersezione tra le caratteristiche importanti del desiderio ed una valutazione soggettiva dell’importanza, della desiderabilità e della perseguibilità dei vari possibili obiettivi professionali prefigurati. In relazione a questo specifico obiettivo, nella seconda unità vengono dunque analizzati i punti di forza e di debolezza interni ed esterni più rilevanti e vengono immaginate possibili strategie per implementare i fattori positivi e per superare i fattori ostacolanti. Una riflessione più puntuale sui punti di forza e di debolezza personali è facilitata dagli strumenti che i partecipanti possono utilizzare nell’intervallo tra la seconda e la terza giornata (Attività di intermodulo). É questo un tempo in cui la sospensione delle attività di gruppo porta ciascun partecipante a rielaborare personalmente i contenuti emersi, ad appropriarsene e a formulare diversi modi di rapportarsi al processo di ricerca di lavoro. In questa fase è anche possibile che l’obiettivo prescelto sia sottoposto ad una nuova valutazione e sostituito con un altro. La terza ed ultima giornata si apre con una esercitazione che, attraverso l’analisi delle proprie competenze, consente di fornire ulteriori informazioni su di sé (terza unità). Queste informazioni, assieme a quelle emerse dalle attività di intermodulo, costituiscono l’ultimo elemento del mosaico che porta alla formulazione del progetto. L’ultima unità, infatti, raccoglie le informazioni e le riflessioni sviluppate organizzandole all’interno di un progetto di (ri)collocazione professionale (quarta unità). Il progetto parte dall’obiettivo individuato e, a ritroso, richiede la definizione delle fasi principali, delle azioni e delle risorse necessarie per la sua realizzabilità. A partire dai diversi obiettivi individuati da ciascun partecipante, il progetto assumerà forme diverse, che vanno dalla ricognizione delle opportunità formative e/o lavorative presenti nell’area di mercato del lavoro di interesse, ad un piano di massima per la valutazione di fattibilità del progetto, ad un vero e proprio piano d’azione. Il percorso si conclude, infine, con il Modulo 5 – I saluti, dedicato alla chiusura dell’intervento e al commiato del gruppo. Nella seconda parte è presentata analiticamente la struttura del percorso ora delineata, con i materiali didattici di riferimento e i tempi di sviluppo.

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LA VALUTAZIONE DELLA PRATICA 4.1. PREMESSE GENERALI Un tema trasversale che interessa, in forme diverse, tanto le attività di ricerca quanto le azioni di intervento professionale, è quello della valutazione. All’interno di tale diversità, un elemento di continuità è costituito dalla connotazione strategica che assume l’attività di valutazione in termini di riprogettazione di interventi, cioè a dire la possibilità di rileggere e di mettere a punto, in un’ottica di processo, nuove azioni professionali che siano coerenti rispetto al loro intento generale, tradotto in obiettivi specifici. Tuttavia la valutazione, soprattutto se pensata in termini di processo e in relazione agli attori che ne sono coinvolti, porta con sé una resistenza, probabilmente dovuta al fatto che, come sostiene Avallone (1996) in forma di assioma, la valutazione espone sia il valutato che il valutatore. Numerose sono le ragioni a sostegno della necessità di allestire procedure di valutazione nelle pratiche di intervento, così come in altri ambiti ma, prendendo in prestito una riflessione di Palumbo (2001), esse sono sostanzialmente riconducibili a due: da una parte c’è la necessità istituzionale di rendere conto relativamente a un investimento sostenuto, ossia di rendere trasparente alla comunità in quale modo si è risposto ad una richiesta del sistema; dall’altra c’è la volontà, oltre naturalmente alla necessità, che un progetto portato a termine costituisca anche una esperienza di crescita, ovvero una occasione di apprendimento complessivo per il sistema che lo ha sostenuto, in un’ottica di progresso (Guichard, Huteau, 2001). In questo capitolo, a partire da una riflessione sulla valutazione in orientamento, e analogamente ad altre precedenti esperienze nella

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progettazione e sperimentazione di pratiche o percorsi orientativi (Grimaldi, Rossi, 2004; Laudadio, Amendola, Porcelli, Grimaldi, 2005), si vogliono ripercorrere le ragioni che hanno guidato la messa a punto dell’impianto di valutazione della pratica di gruppo pensareilfuturo presentata in questo volume, e le riflessioni che scaturiscono dalle procedure di follow up messe in atto. Bezzi (2001), nel tentativo di sistematizzare una serie di definizioni presenti in letteratura su questo tema, fornisce la seguente definizione di valutazione, rispetto alla quale saranno successivamente evidenziati alcuni aspetti che a nostro avviso sono rilevanti per esplicitare le ragioni che hanno sostenuto l’impianto di valutazione messo a punto nella sperimentazione della pratica.

“[…La valutazione è] principalmente (ma non esclusivamente) un’attività di ricerca sociale applicata, realizzata, nell’ambito di un processo decisionale, in maniera integrata con le fasi di programmazione, progettazione e intervento, avente come scopo la riduzione della complessità decisionale attraverso l’analisi degli effetti diretti ed indiretti, attesi e non attesi, voluti o non voluti, dell’azione, compresi quelli non riconducibili ad aspetti materiali; in questo contesto la valutazione assume il ruolo peculiare di strumento partecipato di giudizio di azioni socialmente rilevanti, accettando necessariamente le conseguenze operative relative al rapporto fra decisori, operatori e beneficiari dell’azione.” (Bezzi, 2001, p. …….)

Sulla base della definizione appena proposta la valutazione consiste quindi in un processo complesso all’interno del quale sono rintracciabili almeno due momenti: un primo, di raccolta dati, in grado di sintetizzare l’esito dell’intervento e il processo che lo ha generato; un secondo momento, della formulazione del giudizio, articolato sulla base dei dati raccolti (Bulgarelli, 1996). Così come sembra evidente in questa forma, se la formulazione del giudizio sembra essere successiva alla fase di raccolta dei dati, la distinzione tra i due momenti sembrerebbe evocare quella modalità di procedura che nella ricerca sociale ha originato la Grounded Theory3 (cfr. Strauss e Corbin, 1990). Al tempo stesso, secondo alcuni autori, questo metodo di procedere mancherebbe di scientificità, in quanto il metodo scientifico sarebbe

3 Sotto il profilo metodologico – in estrema sintesi – la Grounded Theory prevede tre momenti: la raccolta dei dati e delle informazioni, la loro codifica in categorie e sottocategorie, e la loro analisi, in una interazione costante (circolare) tra le varie fasi. La Grounded Theory esprime il cuore della ricerca qualitativa, ovvero quello di lavorare in assenza di una vera ipotesi in un processo in cui, invece, si parte dal basso (Cicognani, 2002).

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esclusivamente quello basato sulla falsificazione (Popper, 1959) di una ipotesi precedentemente formulata sulla base di una teoria scientifica. Accettare questa seconda posizione significa scomporre la fase della formulazione di giudizio in due momenti, uno preliminare e uno successivo alla raccolta dati: un primo momento di definizione degli obiettivi (formulazione dell’ipotesi) (Guichard, Huteau, 2001), e un secondo di formulazione di un giudizio sulla base della falsificazione dell’ipotesi sulla base dei dati registrati. Anche la valutazione, pertanto, se si accetta la riduzione di complessità nelle due posizioni appena descritte, impone una scelta di paradigma, ciascuna delle quali può essere legittimamente perseguita. La definizione di Bezzi, inoltre, fornisce una ulteriore suggestione: la valutazione non dovrebbe essere centrata in modo esclusivo sugli obiettivi iniziali dell’attività ma, piuttosto, dovrebbe prendere in considerazione anche gli aspetti non voluti, non attesi e indiretti. Il limite posto dalla realtà per il quale è impossibile osservare “tutto”, impone anche al “valutatore” di selezionare una porzione della relazione azione-contesto ed esprimere un giudizio su tale relazione. L’ampiezza della porzione di relazione che vuole essere oggetto di valutazione sarà coerente con il livello di sensibilità che la valutazione sarà in grado di esprimere: quanto più ampio sarà lo spazio della relazione posto sotto analisi, con i limiti che questo comporta sul piano della fattibilità, tanto maggiore sarà la sensibilità dell’attività valutativa. Tuttavia la questione più rilevante in un processo valutativo è senza dubbio quella dell’oggetto della valutazione, cioè definire cosa valutare. Secondo Palumbo (2001) le tipologie di valutazione sono sostanzialmente due: una centrata sull’efficacia e un’altra sull’efficienza. La prima – in termini relazionali – si interroga su quanto l’intervento ha saputo rispondere alle necessità espresse dal contesto; la seconda, su quanto l’intervento è appropriato e congruente con il contesto, soprattutto in termini di risorse. 4.2. IL FOLLOW UP Il processo di valutazione applicato alla pratica ISFOL pensareilfuturo esprime la volontà di evidenziare gli elementi che nella relazione utente-percorso hanno “funzionato” meglio (e quindi anche quelli che hanno funzionato meno bene) soprattutto in una prospettiva di replicabilità della pratica. Rispetto all’intento appena formulato appare evidente come il “committente” di questo intervento di follow up sia l’ideatore del percorso

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stesso e che pertanto il mandato sia quello di cercare di individuare soprattutto le criticità progettuali e metodologiche, oltre che gli elementi che potrebbero ostacolarne la diffusione. Essendo la valutazione parte integrante dell’attività di progettazione, è stato possibile coinvolgere tutti coloro che hanno partecipato alla progettazione e realizzazione del percorso, nonché gli utenti di questa prima sperimentazione. 4.2.1. Il parere degli utenti Al fine di esplorare il parere degli utenti rispetto ad alcuni ambiti di interesse è stata utilizzata la tecnica del focus group4. Nello specifico sono stati realizzati quattro focus group, uno per ciascuno dei quattro gruppi di orientamento che erano stati costituiti sulla base delle tipologie di destinatari del percorso (adulti in transizione, lavoratori atipici, neo laureati e disoccupati). A distanza di circa otto mesi dall’ultimo incontro, tutti i partecipanti al percorso di ciascun gruppo sono stati ricontattati ed invitati a partecipare ad un incontro con l’obiettivo di attivare un confronto sull’esperienza vissuta. Pur avendo risposto all’invito tutti i soggetti, hanno di fatto aderito al focus circa il 50% degli interessati. Coloro che non hanno potuto partecipare hanno, comunque, fornito i loro feedback rispetto all’esperienza utilizzando una diversa modalità comunicativa (prevalentemente posta elettronica). Le motivazioni fornite dagli utenti sono state oggetto di una particolare attenzione da parte dell’équipe di lavoro e sono state presentate nell’ambito dei focus group al fine di poterle condividere. All’interno dei vari focus group sono state esplorate tre aree di interesse: • giudizio complessivo verso il percorso e specifico riguardo alle salienze del

percorso (ovvero cosa i soggetti ricordavano meglio o, comunque, come prima cosa);

• gli “effetti” percepiti del percorso. In particolare, ripercorrendo lo studio di Gaudron e Bernard (1997), sono stati tre gli ambiti che si è cercato di

4 Il focus group è una tecnica qualitativa di rilevazione dei dati, diffusa nella ricerca sociale, che si basa sulla raccolta delle informazioni che emergono da una intervista di gruppo su un tema che il ricercatore desidera indagare in profondità. In letteratura non è possibile rintracciarne una definizione univoca, ma numerosi ricercatori (Krueger, 1994; Greenbaum, 1998; Barbour e Kitzinger, 1999) concordano nell’affermare che tale metodo di ricerca coinvolge da quattro a dodici persone, in una situazione di gruppo, che si riuniscono in un giorno prestabilito e, con l’aiuto di un moderatore, discutono di un argomento in un ambiente informale, “permissivo”. Le informazioni fornite dai partecipanti durante la discussione costituiscono i dati del focus group, che si rivela pertanto particolarmente utile per esplorare in modo approfondito le opinioni, gli atteggiamenti o i comportamenti della collettività e le motivazioni sottostanti al pensiero ed al comportamento umano (Zammuner, 2004).

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indagare in questa area: in primo luogo gli effetti sulla rappresentazione delle competenze e dei centri di interesse; quindi gli effetti sul progetto professionale; per ultimo, gli effetti sul comportamento concreto nei confronti del mercato del lavoro;

• la relazione con il gruppo. Complessivamente i giudizi forniti dai partecipanti ai quattro focus group nei confronti del percorso sono positivi. Ne riportiamo alcuni a titolo esemplificativo:

“…Per quanto riguarda l’esperienza che abbiamo fatto, sicuramente interessante e piacevole, mi è rimasto un ricordo positivo.” “Sono arrivata una anno fa a Roma, e la prima cosa che mi hanno detto le mie cugine è stato: “Tu puoi fare solo la badante alla tua età, e questo per me è stato uno shock……….Poi, dopo il corso….. sono andata alla chiesa americana, ed ho cominciato a dare curriculum a tutti, e devo dire qualche offerta è arrivata. Queste giornate mi sono servite a non credere solo alle parole dure dei miei cugini e di coloro che dicono solo quello che sanno…Ho cominciato a vincere la paura”. “Un’esperienza positiva per una cosa che io ho reputato sempre importante, per me lavorare insieme è un momento molto importante. Lo riscontro anche sul lavoro: purtroppo tante volte sul lavoro non è sempre possibile, non tutti reputano quello che per me può essere importante. Reputo il confronto tra le parti sia indispensabile…”

È tuttavia doveroso notare come esista una significativa differenza di atteggiamento nei confronti del percorso in relazione alle aspettative possedute prima di iniziare. Sono infatti i soggetti che avevano aspettative più “concrete” o, per meglio dire, centrate sulla possibilità che l’esperienza potesse rappresentare un’occasione concreta per trovare o cambiare lavoro, ad essere più critici nei confronti del percorso. Questo risultato è in linea con alcuni studi di Kop e collaboratori (1997) che avevano già evidenziato come le aspettative nei confronti dei percorsi di orientamento (e di bilancio in particolare) siano fortemente in relazione con il giudizio complessivo di utilità formulato a distanza dell’esperienza.

“…Mi aspettavo dal percorso una metodologia che permettesse di confrontarmi con altre persone e altri approcci. Di vedere come presentarmi nel mondo del lavoro…” “…Praticamente io prima del corso avevo degli obiettivi chiari, fare una impresa di importazione ed esportazione. Io pensavo che il corso dovesse essere più tecnico. Le mie aspettative erano di tipo tecnico…”

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Di contro, sono coloro che pensavano al percorso come ad una opportunità per conoscere meglio se stessi, ad avere i maggiori livelli di soddisfazione.

“Pensavo di lavorare nel cinema ma non conoscevo le figure professionali in tale campo, avevo il dubbio che forse sarebbe stato un peccato come mi dicevano, non utilizzare la mia preparazione universitaria sostenuta dalla compiuta pratica forense. Lavorare nel cinema avrebbe richiesto una nuova qualificazione. Insomma mi ponevo sempre domande… … [Adesso] ho trovato il mio lavoro ideale, sono la segretaria di un avvocato molto importante che oltre che a svolgere la professione forense, è membro del consiglio di amministrazione di molte delle più importanti società per azioni italiane legate alla cinematografia…”

Trasversalmente, i ricordi sono nella maggior parte dei casi in relazione alle attività in cui hanno potuto riflettere su se stessi o comunque alle attività che, più di altre, hanno fornito delle indicazioni relative ad alcune dimensioni importanti come le strategie di coping, l’autoefficacia, e così via:

“Mi è venuto in mente il gioco delle carte. Quello è stata una cosa molto carina, riscontrarsi in quel momento con vari tipi di esperienze, e come tu risponderesti a quel tipo di esperienza. Tante volte noi non ci pensiamo, però, effettivamente, ci sono dentro di noi sicuramente delle motivazioni che ci portano ad avere vari comportamenti.” “Quello delle carte è stato simpatico, quello dell’albero l’ho trovato interessante anche se a primo impatto non capivo bene, poi però mi è sembrato carino, l’impatto visivo l’ho trovato carino. Nell’insieme ho trovato tutto costruttivo.” “…Gli strumenti sono stati buoni, hanno permesso di mettere a fuoco la nostra situazione lavorativa e di vedere gli obiettivi che ognuno di noi si prefigge. Poi ha funzionato anche perché ci ha dato la possibilità di conoscerci, anche attraverso la storia personale, perché poi sono nati dei rapporti.”

Come indicato da Tronti (2002), è possibile esplorare il livello di soddisfazione generale degli utenti sulla base del benessere individuale o collettivo percepito. Complessivamente sono molti i soggetti che hanno riferito miglioramenti complessivi del proprio benessere e che pongono l’esperienza come causa-concausa del miglioramento del livello generale di benessere percepito. Rispetto agli effetti del corso, in primo luogo è interessante notare come molti soggetti mettano in diretta relazione il percorso fatto con un

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aumento di chiarezza generale circa i propri interessi e riguardo alla rappresentazione delle proprie competenze.

“Sicuramente è rimasto un patrimonio di conoscenza di me stesso che prima non riuscivo a vedere, in termini anche di limiti. Questo è uscito bene attraverso i nostri incontri, e poi sicuramente, è importante avere delle idee e degli strumenti per confrontarsi con la realtà.” “…Nella mia enorme confusione mentale, sono molto confusionaria, sono una persona molto confusionaria, quelle tre giornate mi hanno aiutato a fare chiarezza… Ho cominciato a darmi delle scadenze e fare degli schemi che in vita mia non ho mai fatto.”

Per alcuni soggetti il percorso è stato l’occasione per “fare il punto” e “confrontarsi”. Nello specifico, tra gli ambiti sui quali si è fatto il punto, i soggetti riferiscono “i propri interessi”, “quello che so fare e non so fare”, “quello che voglio fare”, “quello che vorrei fare”:

“…Il contesto mi ha portato ha mettermi in relazione con i progetti degli altri ragazzi e quindi mi sono reso conto che in effetti la strada che avevo cominciato a prendere, cioè di cercare lavoro così, devo strutturarla in maniera differente, cioè finire gli studi, specializzarmi per poter fare poi la professione che vorrei ricoprire in futuro.” “Dall’esperienza fatta mi è rimasta la capacità di progettare. Il mio problema era se continuare a studiare e fare la specialistica o fermarmi alla triennale, ho deciso di continuare e quei tre giorni mi sono serviti per darmi delle scadenze e fare dei progetti, e schemi per finire gli esami.”

Rispetto al proprio progetto professionale è subito evidente come giochi un ruolo fondamentale il livello soggettivo di sviluppo di carriera. Mentre per alcuni soggetti il percorso ha costituito un momento di “definizione”, per altri è stato proprio un momento di “costruzione” e, per altri ancora, il percorso ha semplicemente fornito gli “strumenti per mettere a punto un progetto”. A quest’ultima categoria afferiscono coloro per i quali il progetto pensato durante il percorso non ha costituito altro che una palestra per l’analisi e lo sviluppo delle proprie competenze e metacompetenze di progettazione del proprio futuro professionale. Rispetto alle azioni concrete circa il mercato del lavoro o, meglio, rispetto ai comportamenti che i soggetti hanno messo in atto o nella direzione di rendere concreto il proprio progetto o, comunque, di “attivazione

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concreta generale” nei confronti del mercato del lavoro, l’analisi dei risultati dei focus group offre due spaccati distinti. Da una parte ci sono coloro per i quali comunque la pratica ha segnato un deciso cambio di tendenza nel comportamento e nell’atteggiamento nei confronti del mercato del lavoro:

“Io ho tentato di fare fruttare il significato dei nostri incontri. Sono partita in quarta.”

Dall’altra ci sono i soggetti per cui la pratica non ha favorito alcun cambiamento di comportamento:

“Dopo questa esperienza non ho appreso una maniera grintosa su come vendermi, ho continuato a muovermi come prima. Non avevo neanche riempito tutto la scheda del progetto.”

Rispetto a questo secondo gruppo c’è da dire che probabilmente sono state smarrite le finalità dell’intervento, come se l’analisi del bisogno iniziale del percorso e la riformulazione degli obiettivi avesse lasciato una traccia poco significativa. In relazione all’esperienza d’aula, limitatamente al fatto che si è trattato specificatamente di un percorso di gruppo, il discorso è più articolato. Bisogna infatti, distinguere tra due livelli di osservazione: quella in cui c’è il contributo offerto dal gruppo nella fase di accoglienza e accompagnamento e quella in cui il gruppo viene utilizzato con la funzione di sostegno, successiva alla conclusione del percorso.

“Rispetto al gruppo volevo dire che la cosa che ti aiuta di più è sapere che ci sono altre persone nella tua stessa situazione, quindi condividere le tue motivazioni critiche, tirarle fuori, trarre dagli altri degli spunti che potreb-bero applicarsi al tuo caso. Forse anche perché non eravamo tanti…” “È importante sentire l’altro, è diverso se senti che un’altra persona ha il tuo stesso problema.” “C’è stata un’apertura nei confronti dell’altro che ha portato a farci dire delle cose intime che in un’altra situazione poteva non capitare. Non c’era nessuno che ci giudicava o che poteva manipolare quello che dicevamo. Quindi credo proprio che il piccolo gruppo abbia creato questa condizione, molto comunicativa, si stava bene, si rideva, si scherzava.”

Trasversalmente rispetto ai quattro gruppi iniziali, il gruppo sembra avere assolto alla funzione di accoglienza e accompagnamento. Molti soggetti ricordano con piacere il gruppo ed il clima che si era creato.

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In un caso il gruppo di orientamento si è trasformato in un vero e proprio gruppo di lavoro, nato dall’occasione di incontro, conoscenza reciproca e comunanza di esperienza generate dal percorso: il gruppo dei disoccupati ha infatti protratto gli incontri ben oltre la fine del percorso, dando vita ad una sorta di istituzionalizzazione del gruppo, essendo sorta, tra alcuni dei partecipanti, la volontà di costituire una piccola cooperativa. 4.2.2. Il parere degli operatori nella funzione di osservatori In precedenza si è detto che durante la sperimentazione è stato chiesto ad alcuni operatori dei Servizi di orientamento, che hanno partecipato alla fase sperimentale, di assistere agli incontri in qualità di osservatori esterni. A ciascuno dei percorsi, infatti, ha partecipato un operatore a cui è stato chiesto di osservare attivamente le varie tappe del percorso e di formulare su di esse delle riflessioni organizzate in una griglia di valutazione. La griglia era strutturata in modo da produrre, per ciascun modulo esercitativo, indicazioni, su una scala a tre passi (scarsa, discreta ed elevata), rispetto a tre dimensioni: (a) chiarezza della proposta formativa, (b) coerenza della proposta formativa agli obiettivi e (c) clima del gruppo. Complessivamente tutti i moduli sono stati valutati tra il discreto e l’elevato; nessun modulo è stato considerato come distante/non coerente con le finalità esplicitate. Alla conclusione della sperimentazione è stata inoltre organizzata una riunione in cui sono state presentare le valutazioni generali e specifiche nei confronti della pratica. Le uniche criticità individuate dagli operatori sono, in larga misura, imputabili alla situazione sperimentale (ad esempio un operatore si chiede quanto sia corretto indicare ai soggetti la categoria sperimentale della quale fanno parte), oppure alla complessiva gestione del gruppo. Proprio in relazione a quest’ultimo punto, nell’ultimo incontro si è dedicato uno spazio significato ai feedback degli operatori relativi alla possibile applicabilità di tale pratica all’interno dei Centri per l’Impiego e dei Servizi di orientamento in generale: tutti sembrano concordi sull’utilità di un servizio di questo tipo, anche se viene posta particolare attenzione da un lato alla formazione degli operatori e dall’altra ai setting ambientali – assetto organizzativo dei Centri – che, in alcuni casi, non sembrano adeguati ad ospitare servizi di questo tipo. Grazie alle informazioni e ai commenti emersi in questa fase di follow up con gli operatori, è stato possibile migliorare la struttura della pratica, “limando” alcuni aspetti (es. puntualizzazione dei tempi di lavoro,

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revisione di alcune esercitazioni), definendo così la versione finale di pensareilfuturo, presentata in questo volume. 4.3. NOTA CONCLUSIVA In sintesi, la lettura trasversale dei focus group in relazione alla pratica suggerisce che questa ha sicuramente risposto all’obiettivo di attivare le persone rispetto al proprio futuro professionale. Dai due punti di osservazione – gli utenti e gli operatori-osservatori – emerge che la struttura della pratica, così come è stata proposta nella sperimentazione, risulta efficace sia nella sua articolazione interna (l’impianto temporale, gli obiettivi delle esercitazioni proposte, e così via) sia nelle opzioni metodologiche effettuate (co-conduzione, setting in gruppo). Rimane il vincolo, così come evidenziato da alcuni utenti nel corso dei focus group, della corretta valutazione – a monte del percorso di orientamento – della coerenza tra domanda/aspettativa del singolo utente e obiettivi e modalità di realizzazione della pratica (sia come selezione degli utenti potenziali da parte degli operatori nel momento in cui propongono la partecipazione al percorso, sia come auto-selezione da parte dei singoli utenti nella fase di accoglienza). Rimane inoltre aperta, e a carico degli operatori che sceglieranno di adottare la pratica, una riflessione sul raccordo tra questo tipo di intervento e gli altri interventi che il Servizio potenzialmente offre, garantendo una continuità di relazione con ciascun partecipante.

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PARTE SECONDA

Protocollo della pratica pensareilfuturo

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una pratica di orientamento di gruppo

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CAPITOLO II – IL GRUPPO IN ORIENTAMENTO

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IL GRUPPO IN ORIENTAMENTO. DAI MODELLI DI RIFERIMENTO ALLE ESPERIENZE REALIZZATE In continuità con le riflessioni proposte nel capitolo precedente, dedicato ai significati e ai modelli teorici che definiscono l’attuale scenario dell’orientamento in una prospettiva maturativa, e come premessa al percorso pensareilfuturo, descritto più avanti nel volume, in questo capi-tolo l’attenzione è rivolta all’utilizzo del gruppo nel processo di orienta-mento. L’intento non è di presentare una rassegna di contributi relativi a questo tema ma di proporre una riflessione che, a partire dalle esperienze di orientamento di gruppo rintracciabili nella pratica professionale e da alcune suggestioni presenti in letteratura (Salis, 2005), ripercorra le ra-gioni che hanno guidato il nostro gruppo di lavoro nella messa a punto della pratica di orientamento presentata in questo volume. Dalla lettura delle “buone pratiche” di orientamento individuate sulla base di un precedente censimento di enti che, su base nazionale, si occu-pano di orientamento (Grimaldi, 2003a), emerge che un terzo di queste prevedono l’utilizzo del gruppo in orientamento. Naturalmente questa considerazione non ha alcuna rilevanza statistica essendo la totalità delle pratiche non esaustiva né rappresentativa dell’universo di riferimento: tuttavia è possibile avanzare alcune considerazioni sull’utilizzo del gruppo in orientamento sulla base di esempi tratti dalla rassegna citata.

CAPITOLO II – IL GRUPPO IN ORIENTAMENTO

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Le pratiche di orientamento di gruppo sono, come si è detto, meno fre-quenti di quelle individuali. Più spesso l’uso del gruppo sembra piuttosto circoscrivibile ad un momento specifico all’interno di un percorso di orientamento di natura sostanzialmente individuale. Altre volte il gruppo, più che confinato ad un “momento” all’interno al percorso, costituisce il centro della pratica, probabilmente in ragione del fatto che è funzionale al conseguimento di obiettivi specifici. A sostegno di questa affermazione riportiamo di seguito un breve riassunto relativo a tre pratiche illustrate nella rassegna Isfol che differiscono per target di utenza e obiettivi dichiarati, oltre che per diversa realtà regionale in cui sono state messe a punto e sviluppate, ma che tuttavia insistono sulla necessità di allestire un setting gruppale.

(a) “Foto dal Futuro” è una pratica di orientamento realizzata dall’agenzia formativa “PratiKa” di Arezzo che prevede l’attivazione, di-rettamente presso le scuole, di piccoli gruppi di studenti, nonché alcuni appuntamenti di gruppo allargato, al fine di sviluppare competenze di analisi e descrizione del sé, sviluppare una competenza progettuale, pro-muovere nei ragazzi una molteplicità di linguaggi – in particolare quello fotografico che dà il nome alla pratica – per la costruzione di un signifi-cato, favorire lo scambio, la socializzazione e la relazione tra gruppi. L’obiettivo generale della pratica è quello di favorire negli studenti il con-trollo della propria vita e delle proprie scelte al fine di progettare il proprio futuro. Da un lato l’utilizzo del gruppo è funzionale al raggiungimento di obiettivi dichiarati; dall’altro sembra difficile pensare ad una pratica di in-tervento che non utilizzi il gruppo-classe o, come nel caso specifico, il gruppo allargato, dato il contesto di riferimento.

(b) Un’altra pratica censita in rassegna è quella messa a punto nel 2001 da Orientamento Lavoro Veneto Centro CORA, che per statuto ha adottato la pratica Retravailler specificamente pensata per un target femminile. Il percorso di orientamento è pensato per donne per la prima volta in cerca di lavoro o che esprimono l’intenzione di ricandidarsi nel mondo del lavoro dopo un periodo di tempo prolungato (“a figli cresciuti” è l’efficace espres-sione sinteticamente usata per definire il target di riferimento con mag-giore precisione). Si tratta di un percorso di gruppo che, insieme alla fina-lità generale “Cora” di realizzare un’azione positiva per le donne, si pone l’obiettivo di favorire un inserimento al lavoro efficace, cioè il più possibile duraturo e, in ragione di questo, prevede l’attivazione di gruppi omogenei di donne in modo da fornire risposte differenziate a specifiche domande di orientamento.

(c) Analoga per alcuni aspetti alla precedente pratica, soprattutto in rife-rimento al target, la pratica denominata “Chances comunicative, chances imprenditoriali e chances tecnologiche” messa a punto e realizzata dalla cooperativa Orientainforma di Bari nel 2002, ha come obiettivo quello di promuovere l’attivazione e il coinvolgimento di donne sostanzialmente estranee al mercato del lavoro perché confinate sia relativamente al conte-

CAPITOLO II – IL GRUPPO IN ORIENTAMENTO

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sto geografico (quartiere di Bari Vecchia) che culturale (persone che vi-vono in una situazione culturale che non favorisce la propositività nel mercato del lavoro, anzi, che sostanzialmente la preclude). Il percorso è centrato sull’utilizzo del gruppo come occasione di stimolo per il ricono-scimento delle proprie potenzialità e competenze, al fine di promuovere l’imprenditorialità proprio laddove questa propensione non è favorita dal contesto di riferimento.

Le pratiche descritte, a questo proposito, sembrano pensate specificata-mente al fine di produrre un risultato che sia propriamente raggiungibile utilizzando il gruppo come setting privilegiato. Le ragioni metodologiche per le quali un percorso di orientamento può scegliere l’utilizzo del setting gruppale sono essenzialmente due. In primo luogo si attiva un setting di gruppo perché proprio nel gruppo, esistendo la possibilità di confrontarsi con altri soggetti in condizioni as-similabili alla propria (soprattutto se il gruppo è omogeneo), si rende possibile una ristrutturazione cognitiva ed emotiva del proprio futuro con gli altri, anche semplicemente al fine di promuovere la consapevo-lezza di non essere isolati rispetto alla progettazione e messa a punto del proprio futuro/progetto professionale. In secondo luogo il gruppo appare un luogo privilegiato per la promo-zione di empowerment, intendendo con questo la possibilità di una eman-cipazione/sviluppo individuale e attivazione, che attraverso il gruppo, tipicamente più facilmente può essere sollecitata (Piccardo, 1995). L’uso di un setting di gruppo all’interno di un gruppo di orientamento, inoltre, è sostenuto anche da ragioni di carattere teorico. Già nel 1951 Lewin definiva il gruppo come una totalità dinamica, qualcosa di più o di diverso dalla somma dei suoi membri: ha una struttura propria, fini peculiari, e relazioni particolari con altri gruppi. Quel che ne costituisce l’essenza non è la somiglianza o la dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza. I contributi attuali sull’orientamento che si muovono in una prospettiva psicosociale insistono su un progressivo spostamento dell’unità di analisi dall’individuo alla relazione persona-contesto. Tale spostamento – dall’individuo alla relazione – implica un significativo cambiamento rela-tivamente alla pratica professionale soprattutto in ragione del fatto che l’unità di analisi, individuando come centrale la relazione che l’individuo intrattiene con il contesto di appartenenza, sembra suggerire proprio il gruppo come uno dei luoghi privilegiati per interventi di consulenza ma-turativa in orientamento. L’individuo, nel corso della sua esistenza, transita, infatti, da un gruppo all’altro, dai gruppi informali a quelli di tipo più formale. La qualità e quantità delle relazioni che vive in ognuna di queste esperienze determinano la ricchezza e la potenzialità della rete

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di ognuno e le personali condizioni di benessere (Francescato, Tomai, Ghirelli, 2002). Il gruppo costituisce il luogo privilegiato dell’articola-zione tra il mondo dei processi mentali e il mondo dei processi sociali (Quaglino, Casagrande, Castellano, 1992). In questo senso la riprodu-zione all’interno di uno spazio “protetto” di una rete di relazioni sociali, consente di trattare, su un piano simbolico, le interazioni e le dinamiche che possono attivarsi all’interno del gruppo di orientamento, offrendo spunti di riflessione – per analogia – sulla relazione “reale” che ciascun partecipante ha con il proprio contesto di riferimento. Rispetto alle dimensioni, nella pratica presentata in questo volume si fa riferimento al piccolo gruppo che non sempre, come ricorda Pombeni (1996), raggiunge la dimensione ideale (da 8 a 15 soggetti) ma che tutta-via, come suggerisce Bales (1960), può essere inteso come tale se ogni membro riceve da ognuno degli altri delle impressioni o percezioni, suffi-cientemente distinte per cui egli possa reagire a ognuno degli altri mem-bri preso singolarmente. Al di là della numerosità dei membri che lo compongono, l’utilizzo del gruppo, così come è stato proposto nella pra-tica, differisce significativamente dai gruppi di terapia e dai t-group: i primi, infatti, sono gruppi autocentrati in cui l’obiettivo primario è quello di modificare comportamenti che sono la causa del malessere delle per-sone che ne fanno parte; i t-group, diversamente dai primi, sono gruppi di addestramento che si pongono come principale obiettivo l’apprendi-mento dei soggetti. Il riferimento ai gruppi terapeutici, rispetto ai quali naturalmente quello orientativo si differenzia per diverse ragioni, tra le quali sicuramente le finalità per le quali viene attivato, può essere tuttavia preso in prestito per un’altra questione. Tipicamente, infatti, nella prospettiva psicodi-namica che prevede interventi che utilizzano un setting di gruppo, viene più volte proposta la distinzione tra analisi di gruppo e analisi in gruppo (Badolato, Di Iullo, 1979; Gallizzioli, Celia, 2005): sinteticamente si può dire che relativamente alla prima, l’unità di riferimento è il gruppo (ana-lisi di gruppo); relativamente alla seconda, l’unità di riferimento è il sin-golo, in presenza degli altri (analisi in gruppo). Tenendo ferma la di-stanza dal gruppo di natura terapeutica, ma volendo utilizzare questa di-stinzione per declinarla rispetto alla proposta di pensareilfuturo (anche se tale declinazione, con buona approssimazione, è estendibile anche all’utilizzo del gruppo in orientamento in generale), nella pratica che viene proposta ci si riferisce più propriamente ad un orientamento in gruppo: la tipologia del lavoro proposto, infatti, prevedendo la messa a punto di un progetto professionale individuale, seppur formulato e con-diviso all’interno di un gruppo, è difficilmente pensabile in termini di

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gruppo – laddove l’unità di riferimento sarebbe il gruppo – ma più pro-priamente in gruppo – laddove i singoli hanno l’opportunità di svilup-pare il proprio progetto professionale individualmente, all’interno di un contesto di gruppo. Una ulteriore distinzione – gruppo di lavoro e lavoro di gruppo – viene in soccorso per meglio definire la metodologia proposta in pensareilfuturo. Ricordiamo in sintesi questa distinzione (Quaglino, Casagrande, Castel-lano, 1992). • Gruppo: pluralità in interazione, con un valore di legame, che ne deter-mina l’emergenza psicologica.

• Gruppo di lavoro. Mentre un gruppo è una pluralità in interazione, un gruppo di lavoro è una pluralità in integrazione. Nell’interazione un gruppo sviluppa un fenomeno definito coesione che corrisponde all’emergere delle uguaglianze, consentendo ai membri di riconoscere il gruppo stesso come proprio, permettendo di fissare legami, e orientando alla percezione dei vantaggi correlati all’aggregarsi di un collettivo. Nella costruzione di un gruppo di lavoro il passaggio successivo all’interazione è l’interdipendenza, cioè l’acquisizione della consapevo-lezza dei membri di dipendere gli uni dagli altri, con il relativo sviluppo della rappresentazione della rete di relazione con gli altri. L’interazione si fonda sulla percezione della presenza, l’interdipendenza sulla perce-zione della necessità reciproca.

• Il lavoro di gruppo è espressione dell’azione complessa propria del gruppo di lavoro. Il lavoro di gruppo comprende la pianificazione del compito, lo svolgimento del compito, la gestione delle relazioni: non è la semplice esecuzione di un mandato organizzativo.

Accade spesso che i gruppi tendono a concentrarsi sull’esecuzione del compito, trascurando sia gli aspetti prospettici, di pianificazione, che gli aspetti profondi di gestione della relazione tra i membri e tra il gruppo e l’organizzazione. È molto comune che nei gruppi si assista allo svolgi-mento parallelo e contemporaneo di compiti individuali; ciascuno af-fronta il proprio problema con gli strumenti concettuali dei quali dispone e trova la sua soluzione. Il lavoro di gruppo si riduce alla ricerca del con-senso degli altri circa il punto di vista che si presume sia giusto, o a quello che fornisce la soluzione migliore. Come suggerito da Pombeni (1996) il gruppo orientativo è centrato sul compito: i membri si ritrovano insieme per superare un compito orienta-tivo, cioè una situazione critica connessa alla propria esperienza forma-tiva e lavorativa. Anche se gli obiettivi della pratica pensareilfuturo, come peraltro evocato nel titolo della pratica, hanno una connotazione sensibilmente diversa (più di attivazione rispetto al proprio futuro, nella

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consapevolezza che “pensare il futuro” costituisca la premessa per la messa a punto di un progetto professionale e/o personale), è possibile condividere tale posizione e pertanto intendere più propriamente la pro-posta come lavoro di gruppo piuttosto che gruppo di lavoro. In altri ter-mini il gruppo, in questa accezione, è inteso come metodologia di lavoro. Sulla base delle considerazioni fornite nei paragrafi precedenti è possibile fornire alcune risposte all’interrogativo: “Perché il gruppo in orienta-mento?” (a) …perché il gruppo, in questa prospettiva, sembra funzionale al con-seguimento di obiettivi che discendono da una prospettiva psicosociale dell’orientamento, che si esprime nella necessità di conoscere e speri-mentare se stessi, nel proprio stile di intrattenere la relazione con il con-testo. In questa veste il gruppo sarebbe il luogo privilegiato per favorire la conoscenza di sé in termini di atteggiamenti, stili di attribuzione cau-sale, modalità di fronteggiamento della realtà (coping) e così via. (b) …perché nel gruppo – se si realizza un contesto non valutativo e adeguatamente protetto – gli individui hanno non solamente l’opportunità di accrescere la conoscenza di sé in relazione al proprio contesto, ma anche una occasione di appropriazione di nuove modalità di relazione con la realtà, innescando la premessa per un possibile cam-biamento che può rivelarsi strategico nella traduzione in azione di un progetto personale e/o professionale. (c) …perché il gruppo si configura come luogo di conferma di sé, ma anche di una possibile sperimentazione di presa di distanza da un mo-dello comportamentale usuale che in un contesto nuovo, in una prospet-tiva “altra”, autorizza a muoversi nella propria realtà in maniera di-versa. (d) …perché il gruppo offre una occasione di valutazione rispetto a sé in quanto, offrendo un termine di confronto con gli altri, orienta, prima ancora che il soggetto, i parametri sui quali si fonda la propria valuta-zione; una valutazione ancorata alla realtà perché, maggiormente in un contesto gruppale piuttosto che duale, in gruppo gli altri non sono so-lamente evocati ma anche presenti. (e) …perché il gruppo è funzionale alla realizzazione di un obiettivo che, in presenza degli altri, diventa possibile: quello di rendere “pensa-bile” la realizzazione di qualcosa che altrimenti rimarrebbe confinato nella condizione di “sogno”.

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IL PROGETTO PENSARE IL FUTURO 3.1. LA STORIA DEL PROGETTO

3.1.1. Le origini Il progetto pensareilfuturo nasce con l’obiettivo di concretizzare alcune linee guida considerate rilevanti per condurre con efficacia ed efficienza un intervento di orientamento in un contesto di gruppo. Il progetto può considerarsi la fase conclusiva di un percorso più ampio che ha visto, nella sue fasi precedenti, un’attività di indagine volta alla conoscenza e alla descrizione delle azioni di orientamento in uso nelle di-verse realtà istituzionali (centri pubblici e privati di diversa natura) e ge-ografiche (tutto il territorio italiano). La prima fase di ricerca, a carattere esplorativo, ha consentito – attra-verso le risposte dei 492 Enti che hanno aderito (il 30% degli Enti censiti) – non solo di ricostruire la “fotografia” delle strutture che si occupano di orientamento (modelli organizzativi, compagine lavorativa, linee di atti-vità) ma anche di raccogliere la descrizione di un significativo numero di esperienze di orientamento realizzate dagli Enti, in relazione alle finalità che si prefiggevano (orientamento scolastico, supporto all’imprenditoria-lità, counselling ecc.), alle diverse tipologie di utenti (giovani, immigrati, disoccupati di lunga durata ecc.) e ai modelli teorici di riferimento (psico-metrico, cognitivo-comportamentale, affettivo-supportivo, psicologico-sociale, psicodinamico, o altro) (Grimaldi, 2001). La seconda fase della ricerca è stata dedicata all’analisi in profondità di alcune pratiche di orientamento considerate, dai soggetti attuatori, espe-rienze di eccellenza per la loro valenza innovativa in termini metodologici o per l’efficacia dimostrata. Le venticinque pratiche analizzate sono state individuate, tra le molte descritte, facendo in modo che venisse rappresen-

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tata una realtà variegata per collocazione geografica dell’Ente, per tipolo-gia di utenti e tipo di intervento. Attraverso interviste semistrutturate in profondità realizzate con diversi soggetti organizzativi (un responsabile e due operatori), è stata raccolta una descrizione analitica di ciascun inter-vento in relazione alla sua storia, agli obiettivi, e alle metodologie e stru-menti per la gestione e la valutazione degli interventi. Questa fase di ri-cerca si proponeva di favorire l’individuazione di aree innovative di inter-vento nell’ambito di azioni di orientamento a partire dallo studio di espe-rienze che, pur non essendo statisticamente rappresentative del panorama delle offerte di interventi di orientamento, potevano tuttavia essere consi-derate come emblematiche per qualità e innovazione delle proposte. Una descrizione di queste fasi di indagine e dei loro esiti è presente nel volume dell’Isfol a cura di Grimaldi e Avallone (2005). La buona pratica presentata in questo volume costituisce, infine, l’esito della terza fase di ricerca, che ha visto la progettazione e la sperimenta-zione di un percorso di orientamento rivolto a piccoli gruppi di utenti. 3.1.2. Le finalità La pratica pensareilfuturo è stata messa a punto con l’intento di: • definire le linee guida di una pratica di orientamento che esplicitasse il proprio modello di riferimento, metodologie e strumenti, in modo da of-frire una struttura omogenea di riferimento per tutti gli operatori che in-tendano utilizzarla. Si tratta di una griglia che guida il processo di orientamento, delineando finalità, tempi e modi dell’intervento, e che propone alcuni percorsi paralleli di sviluppo. In questo senso costituisce un punto di partenza – ed anche di discussione e confronto – per gli ope-ratori che vorranno utilizzarla, in diversi contesti e con diversi gruppi di utenti.

• proporre un impianto metodologico sperimentato con diverse tipologie di utenti e prefigurando uno specifico contesto di applicazione (Centri di orientamento). La proposta di seguito illustrata è stata infatti oggetto di riflessione e condivisione da parte di professionisti di diversa espe-rienza nell’ambito della formazione e dell’orientamento, è stata sottopo-sta ad un’applicazione per verificare la validità dell’impianto concet-tuale e la chiarezza della struttura ed, infine, è stata rivista alla luce delle osservazioni emerse (cfr. par. 3.1.4).

• offrire una gamma di strumenti – descritti dettagliatamente negli obiet-tivi, nelle risorse necessarie e nelle modalità di utilizzo – tra i quali gli operatori che gestiscono la pratica possono scegliere. Le diverse opzioni rappresentano alternative analoghe dal punto di vista della finalità dell’intervento, ma si differenziano per la procedura di realizzazione. Gli

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operatori possono dunque scegliere una esercitazione tra quelle proposte in alternativa o anche decidere se svolgere o meno alcune delle attività previste, in relazione al tipo di gruppo con cui stanno lavorando, all’andamento delle attività, alle proprie competenze/stili di lavoro, e così via (cfr. par. 3.2.1).

In sintesi, la pratica pensareilfuturo è stata progettata cercando di rispon-dere a criteri di omogeneità, validità e flessibilità della procedura propo-sta. 3.1.3. I criteri generativi L’assunto di base che guida la proposta di questa buona pratica è che la costruzione di un progetto personale di (re)impiego rappresenta l’esito di un processo che ha inizio nella pensabilità di un futuro, dimensione spesso negata da chi vive una condizione di precarietà lavorativa o di esclusione dal mercato del lavoro. La struttura del percorso prende dunque l’avvio proprio dalla possibilità di dedicare uno spazio ed un tempo per far emergere, delineare, dar voce, rievocare, la sfera del desiderio: vorrei..., mi piacerebbe..., ho sempre so-gnato... La legittimazione del desiderio, la sua verbalizzazione e condivi-sione all’interno di un gruppo, la sua trasformazione e “prender forma” attraverso momenti di analisi e riflessione, rappresentano passaggi meto-dologici fondamentali del percorso, a partire dai quali si snoda la costru-zione del progetto professionale. Un secondo criterio-guida alla base della pratica pensareilfuturo è quello della contestualizzazione, che si esprime attraverso l’attenzione e la possi-bilità di declinare le indicazioni generali della pratica in relazione a quelle che sono le specifiche esigenze della situazione in essere. Ciò si traduce, dal punto di vista degli operatori, nella flessibilità del percorso, ossia nella possibilità di scegliere ed adattare la forma del percorso al contesto speci-fico in cui la pratica viene messa in opera ed alle esigenze che il gruppo dei partecipanti via via esprime e, dal punto di vista degli utenti, nella perso-nalizzazione, intesa come centralità conferita agli aspetti di soggettività e di specificità individuale di ciascun partecipante. Se la struttura del per-corso è uguale per tutti, essa è comunque formulata in modo tale che cia-scun partecipante abbia degli spazi individuali di analisi e riflessione du-rante le attività di orientamento e produca degli output personali (il Dia-rio, il feed back di alcune esercitazioni, le consulenze, il progetto) che ne garantiscano la vicinanza alle specificità e alle esigenze di ciascuno. La struttura generale avrà dunque, come esito, risultati di volta in volta diversi per ciascun gruppo e per ciascun partecipante, come espressione del suo adattamento alla specificità delle situazioni e come intento di of-

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frire un “prodotto” coerente con i bisogni delle diverse realtà di contesto e personali. Altrettanto importante è, infine, il contesto di gruppo. Pur trattandosi di un lavoro di orientamento a carattere individuale – in cui, cioè, il “benefi-ciario” dell’azione è il singolo partecipante – il percorso valorizza la di-mensione di gruppo. Il gruppo inteso in primo luogo come “cornice”: l’intervento si svolge in un contesto collettivo, si rivolge cioè ad un piccolo gruppo di utenti (da 10 a 15) che svolgono un percorso di orientamento e dunque utilizzano nel medesimo tempo le risorse del Servizio (umane, lo-gistiche, temporali). In ipotesi, la pratica pensareilfuturo si colloca tempo-ralmente – nell’operatività dei Servizi – subito dopo la fase di prima acco-glienza, quando gli utenti hanno già espresso in modo sufficientemente esplicito e consapevole un bisogno di orientamento, e quando gli operatori hanno quel minimo di informazioni sulla storia e le esigenze dell’utente tali da consentirne l’aggregazione all’interno di un gruppo abbastanza omogeneo. Alla pratica pensareilfuturo può seguire un percorso indivi-duale, da delineare sulla base del progetto che ciascun partecipante ha definito per sé. Il gruppo, d’altra parte, rappresenta anche uno strumento di lavoro. Gli spazi esercitativi prevedono l’alternanza di momenti in cui i partecipanti lavorano assieme (discussioni di gruppo, consulenze reciproche, plenarie ecc.) e momenti in cui essi si ritagliano uno spazio di lavoro “privato” (esercitazioni individuali, attività di intermodulo ecc.). In ogni caso la dimensione gruppale rappresenta, per i partecipanti, un aspetto essenziale dell’esperienza di orientamento svolgendo funzione di confronto e appren-dimento di diverse modalità di pensiero, di amplificazione della sfera emo-tiva, di supporto e accoglienza, di legittimazione e rinforzo delle scelte compiute, ed altro ancora. 3.1.4. La sperimentazione La pratica pensareilfuturo, come detto, è stata pensata come uno stru-mento di lavoro all’interno di strutture – quali i Centri di orientamento – che hanno la possibilità di offrire diversi servizi di orientamento e di diffe-renziare le funzioni e le attività svolte nei confronti di un pubblico ampio e diversificato. Contesto privilegiato di applicazione, dunque, sono tutti quei Centri ed Enti che, nell’ambito del loro mandato, individuano anche una funzione di orientamento di tipo non strettamente informativo. Per questo motivo la valutazione della coerenza della struttura teorica, metodologica ed operativa è stata effettuata realizzando una sperimenta-zione rivolta ad utenti dei Centri di Orientamento al Lavoro e dei Centri

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Informagiovani di un Comune del centro Italia e con la collaborazione – in qualità di osservatori – degli operatori dei Centri. Sono stati realizzati quattro gruppi, dedicati a diverse tipologie di utenti “tipici” di tali Centri: disoccupati di lunga durata, lavoratori atipici (con contratti di lavoro saltuari e/o precari), lavoratori in transizione (in cerca di una nuova o diversa collocazione professionale), studenti in cerca di prima occupazione. I gruppi, evidentemente, non fanno riferimento a classificazioni rigide, ma a macro-categorie di riferimento che alludono a storie di vita e di lavoro e a relazioni e problemi verso il mercato del la-voro tendenzialmente diverse. I partecipanti individuati per la sperimen-tazione, inoltre, non possono essere considerati statisticamente rappresen-tativi della popolazione di riferimento e tuttavia possono essere conside-rati rappresentanti e portavoce di alcune istanze e modelli di relazione rispetto al processo di ricerca di un’occupazione. Distinguere tra condi-zioni di disoccupazione di lunga durata, di lavoro atipico oppure di primo ingresso nel mercato del lavoro, infatti, vuol dire tenere conto della diver-sità di modelli e di rappresentazioni con cui le persone si rapportano al mondo del lavoro. Modelli e rappresentazioni che si costruiscono e si rin-forzano anche a partire dalle esperienze pregresse e che presuppongono obiettivi e strategie di (ri)collocazione tendenzialmente diversi. La sperimentazione è stata realizzata in più fasi. La prima fase ha visto l’incontro del gruppo di ricerca con gli operatori dei Centri. In questa fase sono stati condivisi gli obiettivi della pratica, definiti i ruoli dei diversi soggetti nella sperimentazione, e sono stati con-cordati tempi e modalità di convocazione dei partecipanti. La seconda fase ha visto la realizzazione della pratica di orientamento (in-contro di presentazione e tre giornate di lavoro), parallelamente nei quat-tro gruppi di lavoro. La terza fase è stata dedicata alla messa in comune dei feed back: sono state raccolte le osservazioni di carattere metodologico ed operativo da parte di tutti soggetti che hanno preso parte alla gestione dei quattro gruppi sperimentali. Nella quarta fase, infine, è stato realizzato il follow up dell’esperienza, in-vitando nuovamente i partecipanti a distanza di otto mesi, per riflettere insieme sulla loro situazione occupazionale attuale e sul contributo che, soggettivamente, attribuiscono alla partecipazione all’esperienza di orien-tamento nella gestione del rapporto con il mondo del lavoro. Le sperimentazioni hanno seguito fedelmente la procedura indicata dalla buona pratica progettata, ad eccezione di alcuni aspetti: - l’équipe di gestione della pratica era costituita da due conduttori (membri dell’équipe di ricerca) e da un osservatore (operatore del Centro

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inviante); nella gestione effettiva l’équipe dovrebbe essere costituita da due operatori del Centro; - la convocazione degli utenti è stata effettuata dagli operatori dei Centri, che tuttavia non hanno poi gestito direttamente il percorso di orientamento (come nella realtà dovrebbe avvenire) ma hanno svolto il ruolo di osservatori; - gli utenti in alcuni casi avevano da poco contattato il Centro e parte-cipato esclusivamente alla fase di prima accoglienza (come effettiva-mente è previsto in situazioni di utilizzo ordinario della pratica), in altri avevano rapporti più consolidati con il Centro, avendo preso parte ad altre attività di orientamento (es. colloqui individuali, consulenza sulla stesura del curriculum vitae ecc.).

La sperimentazione, inoltre, ha richiesto ai conduttori di svolgere un du-plice ruolo: da un lato, in qualità di orientatori, di gestire il processo di gruppo; dall’altro, in qualità di ricercatori, di osservare e valutare l’andamento del processo. Era loro compito annotare tutte le possibili ri-flessioni, criticità, variazioni emerse nell’ambito della realizzazione della pratica pensareilfuturo. Questo medesimo compito, strutturato attorno ad un canovaccio di rife-rimento, è stato affidato agli osservatori. Questi, essendo anche operatori del Servizio, avevano inoltre un punto di osservazione privilegiato po-tendo prefigurare anche la trasferibilità della procedura proposta all’interno di un contesto lavorativo istituzionale. La sperimentazione si è chiusa con la revisione della pratica alla luce delle osservazioni e delle riflessioni emerse e dei risultati del follow up: sono stati specificati o articolati più approfonditamente alcuni passaggi, alcune esercitazioni sono state “snellite”, sono stati puntualizzati tempi e ritmi del lavoro. Alcune questioni, infine, sono state lasciate aperte, ritenendo che non possano essere univocamente e aprioristicamente definite, ma che debbano essere di volta in volta valutate a cura di chi gestisce il percorso (es. criteri di scelta delle esercitazioni, requisiti per la composizione del gruppo dei partecipanti ecc.). 3.2. PERCHÉ ADOTTARE LA PRATICA

3.2.1. Gli utenti La pratica pensareilfuturo è dedicata ad un duplice target di destinatari. Ad un primo livello troviamo, naturalmente, gli utenti del Centro, ossia i beneficiari diretti del percorso di orientamento. Ad un livello più ampio i Servizi, cioè gli operatori che scelgono di utilizzare la pratica ma anche,

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più globalmente, il contesto, la cornice organizzativa di riferimento per la realizzazione della pratica. Ma, a quali domande ed istanze intende rispondere la pratica? Per quel che riguarda gli utenti, si parte ovviamente da un’esigenza di orienta-mento. Un’esigenza tuttavia che non è un semplice bisogno, un’aspettativa generica e diffusa, ma che assume già la forma di una do-manda. Le persone che, idealmente, dovrebbero partecipare a questo per-corso non sono persone che – senza un lavoro o insoddisfatte del lavoro attuale – si rivolgono ad un Servizio chiedendo un aiuto generico (“vorrei trovare un lavoro”) ovvero si pongono in una posizione passiva e di di-pendenza rispetto al processo di cambiamento (“ditemi cosa posso fare”). Si tratta, al contrario, di persone che esprimono in qualche modo una do-manda specifica, un’istanza di cambiamento di cui si fanno carico. Ciò evidentemente non significa che i partecipanti si rappresentino come soggetti attivi, protagonisti del proprio futuro, con un progetto specifico in mente, né che siano già presenti alcune competenze (es. di tipo proget-tuale o proattive). Questi costituiscono alcuni dei possibili esiti del percorso di orientamento o, se già presenti, potrebbero più idoneamente suggerire agli operatori di indirizzare gli utenti verso altre forme di intervento. Significa tuttavia che sono presenti due elementi: a) la percezione di corre-sponsabilità rispetto al processo, l’interesse a farsi carico del “proprio” fu-turo lavorativo, e b) la disponibilità/curiosità a mettersi in discussione, la possibilità di istituire uno spazio di riflessione e confronto sulle questioni proposte. Nelle intenzioni progettuali, dunque, la buona pratica non si rivolge in modo indifferenziato a tutti gli utenti effettivi o potenziali di un Servizio, ma ad una specifica tipologia, definita non tanto sulla base di criteri socio-anagrafici (es. età o condizione lavorativa) quanto sul tipo di relazione che ciascun utente esprime nel rapporto con il mondo del lavoro e nel portare al Servizio di orientamento una domanda di cambiamento. Pur essendo operazione complessa, la verifica della coerenza tra il tipo di domanda manifestata dagli utenti potenzialmente interessati a (coinvol-gibili in) questo percorso e l’offerta di orientamento, può essere effettuata in due diversi momenti. In primo luogo in fase di accoglienza. Nel corso dei colloqui iniziali di un neo-utente che si avvicina ad un Servizio di orientamento, è infatti possi-bile accogliere, appunto, il bisogno di orientamento che egli esprime, ma anche esplorare che tipo di relazione di aiuto prefigura, in quale rapporto si pone rispetto al proprio futuro lavorativo, che tipo di azioni di (ri)collocamento sono già state affrontate e come sono state gestite, e così

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via. L’insieme di queste informazioni sul processo di (re)inserimento nel mondo del lavoro dà all’operatore di prima accoglienza alcune indicazioni circa l’opportunità di proporre o meno la partecipazione alla pratica pen-sareilfuturo. Il secondo momento è rappresentato dalla fase di apertura del percorso di orientamento, la presentazione. Questo spazio, che precede l’avvio effet-tivo dei lavori, è finalizzato proprio a consentire una verifica tra quella che è l’offerta di orientamento (come contenuti, impegno, modalità di la-voro ecc.) e quelle che sono le aspettative dei futuri partecipanti. Gli utenti compiono dunque un’autoselezione, valutando in modo più accu-rato se e quanto la proposta di orientamento che viene loro descritta è in sintonia con la loro idea circa il processo di (ri)collocazione lavorativa, con le risorse che sono disposti a mettere in gioco, con le proprie motivazioni, e così via. Per questo motivo la fase di presentazione del percorso è rivolta ad un gruppo di partecipanti più ampio di quello effettivo ed è stata pensata con l’intento di facilitare e consentire ai partecipanti una verifica delle loro aspettative ed un’adesione più consapevole (ovvero la scelta di non parte-cipare al percorso futuro). 3.2.2. I Servizi Il secondo target di riferimento della pratica pensareilfuturo sono i Servizi. Anche in questo caso proviamo ad analizzare le possibili domande a cui la pratica intende rispondere. Una esigenza è sicuramente di tipo funzionale: pensando ad un’organizzazione complessa – quale un Centro di orientamento – la pra-tica pensareilfuturo rappresenta una modalità di intervento all’interno di una linea di attività, che può essere realizzata parallelamente (o in alter-nativa) ad altri tipi di intervento. Ad esempio, utilizzando la pratica pen-sareilfuturo invece di uno stage, o una consulenza individuale, o un sup-porto nella stesura del curriculum vitae, o altro ancora. Oppure può essere sviluppata in connessione con altri interventi. Ad esempio facendola precedere da uno spazio iniziale di primo orientamento di carattere informativo, e facendola seguire da colloqui individuali di consulenza per l’avvio d’impresa. Oppure come percorso di gruppo paral-lelo ed integrato con una attività formativa dedicata allo sviluppo di co-noscenze e competenze tecnico-specialistiche. L’utilizzo della pratica in connessione con altri interventi richiede necessariamente la sua modula-zione in funzione di quelli che sono gli obiettivi complessivi che si intende perseguire.

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La pratica costituisce dunque un ampliamento ed una differenziazione dell’offerta di servizi cui gli operatori possono attingere, ed una risposta specifica per un pubblico “di nicchia”. Da un punto di vista metodologico, la divulgazione e la condivisione di una pratica formalizzata e descritta in modo analitico rappresenta una proposta che riduce i rischi di autoreferenzialità e di isolamento che gli operatori talvolta avvertono. La pratica pensareilfuturo può costituire un punto di partenza omogeneo per avviare momenti di verifica interna o di confronto allargato sulle azioni messe in opera dal Servizio. L’applicazione del percorso, le scelte che al suo interno è possibile operare, le eventuali modifiche e adattamenti, rappresentano altrettanti passaggi metodologici che consentono al Servizio di interrogarsi sull’efficacia delle diverse tipologie di azione, generando, attraverso una riflessione collet-tiva, apprendimento organizzativo. Da un diverso punto di osservazione, i Servizi costituiscono la cornice di riferimento per la realizzazione della pratica. Operativamente, la pratica pensareilfuturo è stata progettata tenendo conto del futuro contesto di applicazione, cercando di bilanciare le esi-genze metodologiche “ottimali” con le esigenze organizzative e di servizio. Ad esempio gli incontri di gruppo, oltre che su un piano metodologico (si-nergia, sviluppo delle dinamiche di apprendimento), presentano un van-taggio in termini di efficienza, in quanto con le medesime risorse (umane, logistiche, temporali) è possibile offrire un servizio ad un ampio numero di utenti. O ancora, nell’immaginare la sequenza temporale degli incontri, si è cercato di ridurre al minimo il ricorso ai tempi fuori dell’orario lavora-tivo. Non sempre ciò è stato possibile, anche perché a diversi Servizi (per mandato, dimensione, collocazione geografica, competenze tecnico-spe-cialistiche degli operatori, ...) corrispondono diverse esigenze. Riteniamo tuttavia che la flessibilità e la modularità della struttura proposta consen-tano, a chi condurrà la pratica, di compiere scelte di “adattamento” coe-renti con le esigenze dello specifico contesto. La lettura del contesto e delle relazioni tra il gruppo di utenti ed il conte-sto socio-economico forniscono, d’altra parte, elementi preziosi di rifles-sione da utilizzare nella gestione della pratica, nel corso della conduzione del gruppo di lavoro. Ad esempio la pratica pensareilfuturo non prevede, al suo interno, sezioni dedicate alla trasmissione di informazioni (sul mondo del lavoro, su specifiche realtà territoriali o produttive, su normative ecc.), mentre prevede, in una logica di rete, un rimando ai ruoli e alle fun-zioni che il Servizio già svolge in questa direzione. Richieste reiterate dei partecipanti di ricevere informazioni possono indurre a interpretare tali richieste (ad esempio come espressione di un bisogno di dipendenza, o

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come modalità rassicuratoria e di ricerca di certezze, o come sfida e messa alla prova degli operatori ecc.) e di istituire uno spazio di riflessione sulle modalità con cui i partecipanti si relazionano al percorso di orientamento e, per trasposizione, al processo di ricerca di lavoro. La specificità del contesto può inoltre facilitare o indirizzare alcune scelte sulla struttura del percorso, utilizzando parametri non esclusivamente metodologici o di valutazione di efficienza (quali la disponibilità di tempo). Ad esempio la gestione della fase di intermodulo può variare – oltre che in base a parametri “interni” al processo di orientamento (es. le caratteristiche del gruppo) – in relazione a come gli operatori prefigurano che i partecipanti possano utilizzare le risorse del Servizio anche in questa fase (es. possibilità di una consulenza, disponibilità di spazi informativi ecc.) e delle reti di relazione che essi attivano con i colleghi del Servizio. 3.3. LE OPZIONI METODOLOGICHE

3.3.1. Il gruppo come strumento di empowerment Come abbiamo visto, la pratica si propone come un percorso di orienta-mento in gruppo. Pur trattandosi di un lavoro di orientamento a carattere individuale – in cui, cioè, il “beneficiario” dell’azione è il singolo parteci-pante – il percorso valorizza la dimensione di gruppo. Il gruppo inteso in primo luogo come “cornice”: l’intervento si svolge in un contesto collettivo, si rivolge cioè ad un piccolo gruppo di utenti (orientativamente da 10 a 15) che, parallelamente, svolgono un percorso di orientamento e dunque utilizzano nel medesimo tempo le risorse del Servizio (umane, logistiche, temporali). Il gruppo, d’altra parte, rappresenta anche uno strumento di lavoro. Gli spazi esercitativi prevedono l’alternanza di momenti in cui i partecipanti lavorano insieme (discussioni di gruppo, consulenze reciproche, plenarie ecc.) e momenti in cui essi si ritagliano uno spazio di lavoro “privato” (esercitazioni individuali, attività di intermodulo ecc.). In ogni caso la dimensione gruppale rappresenta, per i partecipanti, un aspetto essenziale dell’esperienza di orientamento svolgendo funzione di confronto e appren-dimento di diverse modalità di pensiero, di amplificazione della sfera emo-tiva, di supporto e accoglienza, di legittimazione e rinforzo delle scelte compiute, ed altro ancora. Di fatto si tratta di un gruppo costituito ad hoc per l’esperienza, che costi-tuisce non l’oggetto di lavoro (come potrebbe essere un’équipe stabile) ma lo strumento metodologico in virtù del quale il processo di apprendimento e di sviluppo dei singoli partecipanti può avere luogo. É dunque una realtà

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fenomenologica con una vita delimitata dal tempo di esistenza dell’azione di orientamento. I partecipanti, d’altra parte, rappresentano un gruppo in quanto fanno riferimento al medesimo Servizio, condividono una realtà simbolica (con-dizione socio-lavorativa e vissuti ad essa connessi) e sono portatori di una specifica domanda, coerente con le strategie di intervento proposte dalla pratica. Un’ulteriore funzione del gruppo rispetto al singolo, può essere quella di implementare lo sviluppo di competenze utili nelle relazioni professionali e dunque per la ricerca di un’occupazione. Il contesto di gruppo consente, infatti, di agire alcune modalità relazionali che possono essere oggetto di analisi e comprensione nel momento in cui esse si manifestano e si amplifi-cano all’interno di un luogo protetto in cui possono essere elaborate, nell’ipotesi che quanto avviene nel corso dell’esperienza di orientamento sia una estensione delle modalità ordinariamente utilizzate per gestire le relazioni con il mondo del lavoro. Inoltre, l’oscillazione tra attività indivi-duali e di gruppo sollecita il passaggio dalla contrapposizione tra una po-sizione individualistica ed una collettiva, ad una concezione generativa delle relazioni, nell’idea che il tempo speso per un altro partecipante non sia depauperante per sé, e che il prodotto – cioè la risorsa che il gruppo ge-nera – sia al contempo individuale e della collettività.

3.3.2. La modularità Un importante criterio che ha guidato la progettazione della pratica è stato la modularità del percorso. Il criterio è stato pensato ed adottato al fine di rendere la pratica quanto più possibile contestualizzabile all’interno delle diverse realtà di applicazione e quindi vicina alle esigenze dei diversi destinatari – gli operatori dei Servizi e gli utenti finali – a cui si rivolge. In primo luogo la modularità si traduce nell’articolazione dell’intervento di orientamento lungo un percorso ideale di tre giornate intere, di cui le prime due in successione e la terza a distanza di una settimana, ritenendo che questa articolazione consenta ai partecipanti di non vivere il percorso come un’attività scissa dalla loro abituale attività di ricerca o ricolloca-zione professionale. Si è pensato di trattare i contenuti delle prime due giornate in successione per permettere – con un certo agio di tempo – lo sviluppo di processi di gruppo, quali la conoscenza dei/tra i partecipanti, la costituzione del gruppo e l’esplorazione della proposta metodologica. Il tempo tra le prime due giornate e la terza rappresenta invece per i parte-cipanti un’occasione per integrare il proprio progetto, ad esempio racco-gliendo una serie informazioni da ricercare sul campo, ricostruendo la pro-

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pria storia professionale, vagliando le risorse a disposizione, mettendo a fuoco alcuni aspetti motivazionali rispetto alla ricerca del lavoro. In que-sto spazio intermedio il Centro mette a disposizione i propri servizi per richieste specifiche, quali un supporto per la stesura del curriculum, l’accesso all’emeroteca, una consulenza per l’avvio d’impresa ecc. L’intervallo tra la seconda e la terza giornata, dunque, non è una pausa nell’attività di orientamento ma un tempo in cui si continua a “stare” nel percorso, si continua a riflettere su di esso, si usano gli stimoli ricevuti per elaborare nuove riflessioni che possono in seguito essere condivise nel gruppo. La modularità consiste inoltre nella possibilità di realizzare l’intervento attraverso modalità organizzative alternative a quella proposta e quindi ristrutturabili di volta in volta a partire, ad esempio, dalla condizione la-vorativa e dalla disponibilità di tempo degli utenti coinvolti, e dai tempi di lavoro del Servizio. La pratica è stata progettata e sperimentata su un’articolazione di tre giornate nell’arco di una settimana, dove la scelta di concludere il per-corso in un lasso di tempo di breve respiro consente di utilizzare al meglio l’attivazione e l’investimento dei partecipanti, favorendo così il loro “stare” e “restare” nel percorso. Lo spazio di orientamento può infatti essere considerato una sorta di tempo “limbico” tra ciò che ho fatto e ciò che vorrei fare, un presente indefi-nito (intanto chi sono?) che sollecita l’emergere di fantasie di incompiu-tezza, inconcludenza, incapacità, impotenza. Il processo di orientamento coincide dunque con la possibilità di affrontare “il” nodo problematico che, come abbiamo visto, è legato alla pensabilità di un futuro, e al con-tempo istituisce uno spazio di riflessione che porta alla costruzione di una trama tra passato e futuro. La fine del percorso ha quindi una forte valenza simbolica in quanto dise-gna una linea di demarcazione importante tra la confusione del presente e la visibilità del futuro, e diluire eccessivamente il percorso potrebbe essere vissuto da alcuni come un’amplificazione di questa distanza. Non solo, quanto più lontana è la fine del percorso, tanto maggiore sarà il tempo di permanenza in questo tempo, con tutte le difficoltà che i partecipanti in-contreranno nello “stare” a contatto con le proprie fantasie e con le emo-zioni che ne derivano. Ovviamente, le considerazioni fatte non sono generalizzabili a tutti i gruppi ed è possibile che le differenti tipologie di utenze identifichino di-versamente lo spazio dell’orientamento sulla base di categorie proprie. Ad esempio, i neo laureati portano con loro la recente esperienza universitaria che facilita la possibilità di pensare al percorso come ad “un tempo per la

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formazione” a cui sono abituati e di cui riescono a tollerare la carica emo-zionale. Diversamente, per i soggetti in cerca di occupazione o in transi-zione, questo tempo potrebbe coincidere con la fantasia di “sottrarre tempo” alla ricerca del lavoro o al lavoro che già svolgono. La seconda questione riguarda il “restare” ed è legata ad una dispersione che, per un percorso di più lunga durata, potrebbe essere fisiologica. I soggetti che partecipano ai percorsi di orientamento sono – per loro stessa natura – caratterizzati da un’instabile condizione lavorativa: ossia, es-sendo alla ricerca di un lavoro… è probabile che lo trovino! Protrarre ec-cessivamente il percorso di orientamento aumenta la possibilità che da un incontro all’altro i partecipanti attivino nuove collaborazioni professio-nali e abbandonino il percorso a causa di una mancata disponibilità di tempo o per un “decadimento” di interesse. Oltre alle questioni legate all’intervallo di tempo e alla sua funzione, è evidente che un’importante dispersione è destabilizzante non solo per il gruppo che rimane, ma anche per lo staff che si troverà nella duplice difficoltà di gestire con i parteci-panti questa situazione e di rimodulare il percorso sulla base della nuova composizione e numerosità del gruppo. La struttura proposta non ha la pretesa di risolvere a priori le questioni riportate, ma è stata pensata con un’attenzione specifica su queste dimen-sioni di investimento, anche e soprattutto di tipo emozionale. Sono però l’esperienza e la sensibilità dell’operatore le principali risorse che consen-tono alle emozioni e alle fantasie espresse dai partecipanti in relazione a queste tematiche di poter essere esplorate, comprese ed utilmente impie-gate. 3.3.3. Le alternative Ogni intervento di orientamento, seppure organizzato attorno ad un iter strutturato quale può essere la pratica proposta, si caratterizza per la sua unicità: unici e irriducibili sono infatti i Servizi proponenti, gli operatori con le loro risorse, i partecipanti con le loro storie, motivazioni, con i loro investimenti e sogni professionali, il gruppo con la sua organizzazione, le sue dinamiche, il suo modo di essere una risorsa per i singoli. Di questa unicità dell’intervento si è tenuto conto nella stesura della pra-tica, e in tal senso sono state fatte delle precise scelte metodologiche che, pur tenendo salda la coerenza del percorso, hanno fatto sì che tale coe-renza non diventasse, per l’operatore, una rigidità applicativa. In quest’ottica, un ulteriore elemento di flessibilità – oltre alla modularità – è stato introdotto attraverso la presenza di diverse opzioni: per la mag-gior parte dei moduli è stata pensata la possibilità che gli orientatori pos-sano scegliere tra due diverse opzioni, considerate equivalenti ai fini della

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coerenza del percorso e per il raggiungimento dell’obiettivo che i moduli si propongono; possono inoltre valutare l’opportunità di svolgere o meno alcune esercitazioni (analisi dei casi, attività di intermodulo) in funzione dell’andamento del percorso. La struttura della pratica si presenta quindi come una griglia, uno schema guida, la cui declinazione è lasciata agli operatori dei Servizi che, di volta in volta, opteranno per le attività che ritengono più vicine ai propri stili di conduzione, alle proprie esperienze, alle peculiarità dei partecipanti (livello di attivazione, di coinvolgimento emotivo, di competenze ecc.), alle caratteristiche del gruppo (numerosità, relazioni ecc.), all’andamento dell’intervento e clima d’aula. 3.3.4. La co-conduzione É stato ritenuto opportuno prefigurare una co-conduzione della pratica, per rispondere a diverse istanze metodologiche: • poiché si tratta di una pratica in gruppo, in cui comunque l’output è di tipo individuale, la presenza di due operatori consente lo sviluppo di esercitazioni seguendo più da vicino i singoli partecipanti (in piccoli gruppi o in lavori individuali in plenaria) e dando loro la possibilità di sentirsi sostenuti, supportati e seguiti in modo personalizzato;

• la gestione del lavoro con i gruppi, per le dinamiche che attiva, è facili-tata dalla presenza di due conduttori che di volta in volta possono eser-citare ruoli diversi (di feed back reciproco, di conduzione e osservazione, di attivazione e di supporto ecc.).

Con co-conduzione si fa riferimento non solo alla compresenza dei due operatori nella fase di gestione del percorso ma, ancor prima, al momento in cui si decide di utilizzare la pratica e si dà avvio alla progettazione ope-rativa. Va quindi considerato un tempo di back office, in cui gli operatori si con-frontano sull’andamento della pratica che – in considerazione del fatto che si lavora su processi, comprensibili solo in corso d’opera – necessita di un monitoraggio costante e di elaborare una serie di scelte solo in parte prefigurabili in anticipo. Per tutte queste ragioni è preferibile che i due operatori condividano espe-rienze professionali, modelli di intervento e metodologie di lavoro. I vantaggi della co-conduzione da parte di due operatori del Servizio sono molteplici: • la presa in carico: attivare una micro-équipe e reti comunicative interne con altri operatori significa che la realizzazione dell’attività non è un percorso del singolo operatore ma implica una presa in carico da parte del Servizio nel suo insieme;

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• molteplicità di apprendimento: la possibilità di gestire unità di lavoro di volta in volta diverse (plenaria, piccolo gruppo, triadi, lavoro indivi-duale) rappresenta un’opportunità per attivare forme di apprendimento molteplici, ampliando le possibilità di riflessione e di confronto tra i par-tecipanti e utilizzando differenti modalità di interazione con la condu-zione;

• i processi: i conduttori possono più facilmente gestire i processi che si generano, alternandosi nella conduzione, giocando un ruolo diverso (di guida e di osservatore), sviluppando una comprensione più articolata delle dinamiche attraverso il confronto reciproco;

• gruppi a confronto: i due gruppi, quello dei partecipanti (e della loro re-lazione con il mondo del lavoro) e quello dei conduttori (e della loro relazione con il Servizio), possono rappresentare uno specchio reciproco, dove le dinamiche che si attivano nell’uno possono attivare riflessione nell’altro. Da parte del gruppo di conduzione, leggere le dinamiche che il gruppo dei partecipanti sta attivando può essere utilizzato come feed back su come lo staff sta lavorando e su come la posizione assunta in-fluenzi il modo in cui partecipa il gruppo. Reciprocamente, l’osservazione del gruppo di conduzione da parte dei partecipanti può assumere una funzione di apprendimento rispetto alle modalità relazio-nali attivate. Ad esempio, fantasie del gruppo dei partecipanti su Servizi disorganizzati e frammentati – ragione spesso evocata rispetto allo scarso supporto percepito nel trovare lavoro – possono essere rinforzate dal gruppo degli operatori (ad esempio condividendo la lamentela o so-stenendo il vissuto di dipendenza facendosi garanti di certezze e elar-gendo informazioni); ovvero possono essere disconfermate dallo staff at-traverso comportamenti quali l’integrazione tra i conduttori, il rispetto di un setting di lavoro, l’ascolto personalizzato degli utenti.

La co-conduzione, d’altra parte, richiede di prestare attenzione ad alcune dinamiche che si possono generare all’interno della diade, anche in rela-zione al ruolo rivestito all’interno del Servizio. Ad esempio, se uno dei due conduttori è l’operatore che gestisce la prima accoglienza, probabilmente avrà una conoscenza più puntuale della storia dei partecipanti e potrà proporsi in maniera competitiva rispetto al proprio collega in quanto de-tentore di maggiori informazioni o referente privilegiato dell’utente. O ancora, se gli operatori hanno diversa appartenenza professionale (es. so-ciologo, educatore, psicologo) e sono portatori di modelli di intervento di-versi, il confronto può spostarsi da una riflessione sull’integrazione tra i diversi modelli e competenze, ad una “sfida” volta a dimostrare la supe-riorità di un modello sull’altro.

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3.3.5. Le competenze degli operatori All’interno della composizione variegata di professionalità, percorsi lavo-rativi e formativi, ruoli ricoperti, specializzazioni ed expertise acquisite, generalmente presenti nei Servizi e Centri che si occupano di orienta-mento, è utile considerare il possesso di un set teorico, di alcune compe-tenze di processo e di esperienze professionali in ambiti affini, coerenti con quanto richiede la conduzione del percorso. Le caratteristiche del percorso della pratica pensareilfuturo richiedono in-fatti che la sua gestione sia affidata ad operatori che, preferibilmente, ab-biano alcune caratteristiche professionali, che si aggiungono a quelle spe-cifiche dell’orientatore. Sono infatti richieste alcune competenze di tipo tecnico-specialistico e ge-stionale. • Competenze relative al processo di counselling. Includiamo in quest’area quell’ampio insieme di expertise professionali che, in senso lato, fanno riferimento alla capacità di decodificare le dina-miche soggettive ed interpersonali e di “restituirle” al partecipante in modo coerente con la domanda di orientamento che egli pone e con l’obiettivo di sviluppo che, attraverso la partecipazione all’esperienza di orientamento, il partecipante persegue. Pensiamo, ad esempio, alla capacità di comprendere la domanda di orien-tamento che un partecipante porta al Servizio e le motivazioni che pos-sono sostenerne l’adesione al percorso della pratica (istituendo uno spazio di riflessione su ciò in fase di prima accoglienza, nel corso della presenta-zione della pratica, ma anche durante tutto il percorso). Pensiamo alla capacità di dare senso alle emozioni dei partecipanti, senza agirle o razionalizzarle, ma usandole (definendone il senso) nel processo di orientamento. Pensiamo, ancora, alla capacità di fare ipotesi interpretative sulla rela-zione tra ciò che viene agito nel “qui ed ora” e la rappresentazione della relazione con il mondo del lavoro. Ad esempio la richiesta pressante e “preoccupata” di un riferimento degli operatori come eventuale supporto per lo svolgimento delle attività di in-termodulo può essere accolta come tale dai conduttori, che possono ri-spondere in modo rassicuratorio ai partecipanti (fornendo numeri di tele-fono e indirizzi mail, offrendo la disponibilità delle risorse del Servizio ecc.), o possono aprire uno spazio di riflessione sull’emozione in quel mo-mento prevalente nel gruppo e sul senso che essa assume rispetto al lavoro di orientamento e rispetto al processo di ricerca di un’occupazione (es. at-tesa di una presa in carico totale da parte del Servizio, delega ad altri del processo di conoscenza di sé, timore di un confronto più diretto con il

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mondo del lavoro e “rifugio” nello spazio protetto dell’orientamento ecc.). • Competenze relative alla gestione di gruppi La capacità di cogliere le dinamiche interpersonali che caratterizzano la vita di un gruppo, di gestire i processi di lavoro del gruppo allargato e dei piccoli gruppi che via via si costituiscono, di valorizzare i contributi dei singoli partecipanti conservando un livello collettivo di riflessione, rap-presentano aspetti basilari della professionalità di chi intenda condurre una pratica di orientamento di gruppo. La sua efficacia dipende infatti dalla capacità del conduttore di guidare il processo di orientamento di ciascun partecipante all’interno di una rete di relazioni con gli altri partecipanti, considerandola un elemento di valore dell’esperienza. Di bilanciare inoltre gli spazi individuali e quelli collettivi, senza scivolare in problematiche e interpretazioni afferenti alla sfera pri-vata dei partecipanti (pertinenti ad un setting e ad un obiettivo di lavoro diversi), conservando una logica di trasferibilità delle riflessioni a tutti i partecipanti. Se ad esempio – nel pieno di una esercitazione a conclusione del percorso – un partecipante inizia a raccontare di quando, laureando, andava spesso a visitare un luogo ...molto suggestivo... evocativo...: il cimitero ebraico. E a ciò si collega il racconto di un’altra partecipante che ricorda di quando aspettava il suo primo bambino e ha accompagnato in una giornata cal-dissima la nonna al cimitero, rischiando di partorire lì... Questi racconti possono essere considerati come divagazioni da disinteresse o stanchezza, e quindi essere rapidamente liquidati per tornare alla “vera” attività di orientamento. Possono essere trattati come espressione di un sentimento di depressione del primo partecipante in relazione all’insoddisfazione sulla propria vita attuale e alle difficoltà a trovare un diverso lavoro (coeren-temente con altri elementi forniti dal partecipante stesso in precedenti momenti del percorso), a cui risponde in modo empatico la seconda parte-cipante. O possono, infine, essere considerati un fenomeno di un gruppo che si avvia al commiato chiudendo un percorso (la formazione universi-taria, la gestazione) e aprendo la strada ad una nuova esperienza (la lau-rea, il bimbo). Pur essendo pertinenti tutti e tre i livelli di lettura, nel con-testo della pratica è preferibile privilegiare un livello interpretativo che faccia riferimento al gruppo piuttosto che ai singoli partecipanti. • Competenze nella gestione dei processi d’aula. La gestione di un gruppo di apprendimento richiede, da parte del condut-tore, la capacità di guidare e sostenere il gruppo verso l’obiettivo condi-viso, gestendo i tempi di lavoro, definendo le modalità operative, favo-rendo la partecipazione di tutti i membri del gruppo, e così via.

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Un aspetto importante in quest’ambito è la capacità di definire il setting di lavoro, istituendo un luogo ed un tempo adeguati al tipo di attività che si intende svolgere e “presidiandone” i confini. Soprattutto se l’esperienza di orientamento si svolge all’interno del luogo di lavoro, infatti, è necessa-rio che l’operatore ponga dei vincoli rispetto all’accesso all’aula (che negli orari in cui è presente il gruppo non può essere utilizzata da altri o per al-tri scopi) e definisca il proprio ruolo (i conduttori non fanno accoglienza, non rispondono al telefono, non si alternano nella presenza in aula per so-stituire colleghi malati ecc.). • Competenze di coordinamento e gestione di attività. La realizzazione della pratica, infine, richiede di attuare una serie di azioni di progettazione, di organizzazione logistica, di predisposizione di materiali e risorse per il gruppo, di coordinamento tra le varie azioni e con i colleghi del Servizio, ed altro ancora, collaterali alla gestione d’aula. É dunque importante che chi gestisce la pratica abbia anche un’esperienza di tipo organizzativo che lo supporti nello svolgimento di queste attività di back office. Non ultimo, riteniamo importante che gli operatori coinvolti valutino la propria motivazione a seguire un processo articolato, che richiede un inve-stimento di tempo e di energie a volte superiori a quanto le attività di routine consentano: “mettere in piedi” un gruppo, gestire reti con i colle-ghi del Servizio, garantire unitarietà ai tempi di lavoro, e così via, possono rappresentare impegni che esulano dai compiti specificamente previsti per un tipo di ruolo e che tuttavia per la buona riuscita del percorso è necessa-rio mettere in campo. 3.3.6. Uno strumento di lavoro: il Diario Il percorso di orientamento si avvale di uno strumento, il “Diario di viag-gio” (disponibile nel CD allegato), un raccoglitore dato a ciascun partecipante predisposto per accogliere i materiali didattici ed esercitativi su cui ciascuno lavora. Si tratta di un insieme di schede che seguono puntualmente il percorso di orientamento nelle sue diverse fasi e che, di volta in volta, servono come stimolo iniziale per sviluppare le esercitazioni, come spazio di promemoria per annotare informazioni e riflessioni, come luogo di sintesi del progetto di (ri)collocazione finale elaborato da ciascun partecipante. Il Diario è stato immaginato per rispondere principalmente a tre esigenze: • la “memoria”. Nel corso dell’esperienza di orientamento, il Diario aiuta da un lato a ricostruire e rileggere il passato formativo e professionale, dall’altro a prefigurare il futuro; alla sua conclusione, a conservare una traccia dell’esperienza stessa;

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• il “processo metodologico”. La pratica si propone di condividere con i partecipanti un percorso che non solo e non semplicemente porti ad al-cune decisioni progettuali e sostenga azioni di (ri)collocazione, ma che fornisca alcune competenze metodologiche che i partecipanti potranno utilizzare anche in futuro per valutare le scelte intraprese o per elaborare nuovi progetti. Il Diario in questo senso raccoglie le “linee guida” del percorso metodologico che potranno, di volta in volta, essere riempite con contenuti diversi;

• la “personalizzazione”: come tutti i Diari, rappresenta spazio privato, “segreto”, che consente di recuperare margini di autonomia e di indivi-dualità rispetto ad un lavoro che si svolge essenzialmente in un contesto di gruppo.

3.4. LA STRUTTURA DEL PERCORSO

3.4.1. La costituzione del gruppo dei partecipanti I partecipanti all’esperienza devono presentare alcuni requisiti che sono relativi principalmente al grado di coerenza tra la motivazione espressa e la proposta di intervento erogata. La pratica, inoltre, in quanto fondata su un lavoro in gruppo, richiede un’attenzione specifica ai criteri di com-posizione del gruppo, che tendenzialmente dovrebbe risultare abbastanza omogeneo in relazione al posizionamento dei vari partecipanti rispetto al proprio percorso di orientamento, aspetto che può essere preso in conside-razione in fase di accoglienza dall’operatore che incontra nei primi collo-qui gli utenti che accedono al Servizio. Un altro elemento di omogeneità è rappresentato dalla condizione occu-pazionale. Nell’ambito della grande varietà di condizioni lavorative più o meno precarie e più o meno soddisfacenti, avere una analoga condizione lavorativa – e, come abbiamo visto, analoghe rappresentazioni ad essa connessa – può costituire per i partecipanti un elemento di facilitazione nel processo di riconoscimento e di confronto reciproci, e consente quindi utilizzare al meglio una delle principali risorse a disposizione del lavoro con il gruppo. L’eterogeneità su altri aspetti (quali il tipo di professionalità o il livello di formazione o la varietà di esperienze professionali o altro ancora) può co-stituire un elemento arricchente per il confronto che può attivarsi all’interno del gruppo, ma questi sono elementi che gli operatori avranno cura di valutare di volta in volta. Infine, la numerosità ottimale del gruppo è di circa 10 partecipanti, senza superare il numero massimo di 15.

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3.4.2. Lo spazio dedicato É bene spendere qualche parola sull’organizzazione logistica in cui si svol-geranno gli incontri. Il luogo sarà tendenzialmente una stanza all’interno del Servizio; l’intervento si inserirà quindi dentro un contesto di operati-vità quotidiana fatta di altri operatori impegnati nelle loro attività abi-tuali e di utenti che utilizzano gli altri servizi a disposizione. Il fatto di utilizzare uno spazio del Servizio rappresenta un forte ancorag-gio al contesto e agli obiettivi dell’intervento, ma può tuttavia presentare alcuni inconvenienti a cui si dovrà prestare attenzione. La stanza depu-tata agli incontri, infatti, dovrà essere uno spazio sufficientemente pro-tetto da interferenze esterne (telefoni che squillano, accesso incidentale di altri utenti, interruzione da parte di altri operatori ecc.) al fine di confer-mare ai partecipanti – anche attraverso queste accortezze – che l’intervento è un contesto a loro dedicato. In quest’ottica di “spazio dedi-cato”, sarà cura dei conduttori garantire sempre la loro presenza agli in-contri ed evitare quindi la sovrapposizione con altri impegni lavorativi. Per ciò che riguarda la stanza di lavoro, la sua organizzazione spaziale dovrà favorire le interazioni all’interno del gruppo e con i conduttori; ide-ale a questo riguardo è la disposizione delle sedie intorno ad un grande tavolo di lavoro o disposte a circolo. É utile inoltre avere a disposizione, per la realizzazione di alcuni moduli, un’ulteriore stanza che consenta ai partecipanti di suddividersi in sottogruppi di lavoro paralleli. Nella preparazione dello spazio di lavoro dovranno infine essere predispo-sti gli strumenti necessari allo svolgimento delle attività, quali le cartelle del “Diario di viaggio”, le fotocopie delle esercitazioni, l’elenco dei parte-cipanti e l’eventuale foglio firma, la lavagna a fogli mobili, e così via. 3.4.3. Modalità e tempi di conduzione In ipotesi, la pratica pensareilfuturo si colloca temporalmente – nell’operatività dei Servizi – subito dopo la fase di prima accoglienza, quando gli utenti hanno espresso in modo sufficientemente esplicito e con-sapevole un bisogno di orientamento, e quando gli operatori hanno quel minimo di informazioni sulla storia e le esigenze dell’utente tali da consen-tirne l’aggregazione all’interno di un gruppo abbastanza omogeneo. Alla pratica può seguire un percorso individuale, da delineare sulla base del progetto che ciascun partecipante ha definito per sé. Per quel che riguarda la gestione dell’intervento, la pratica è stata proget-tata con l’intento di accompagnare le persone in orientamento lungo un percorso che va da un futuro impensabile ad un futuro progettuale e si snoda in tre passaggi fondamentali:

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• recuperare e riconoscersi la possibilità di desiderare, di avere aspirazioni personali, sogni ed ambizioni;

• conoscere ed esplorare le forze in gioco, interne ed esterne: risorse, vin-coli, competenze, capacità che facilitano o ostacolano la realizzazione di queste aspirazioni, la disponibilità di energia e l’investimento personale;

• riuscire a definire un obiettivo professionale e costruire attorno a questo un progetto personale.

Questi passaggi costituiscono il nucleo dei tre moduli centrali del percorso. Ad essi si aggiunge, come già detto, un modulo iniziale di apertura dei la-vori e “riscaldamento” del gruppo, ed un modulo di chiusura dedicato alla conclusione del lavoro. É necessario ribadire che la pratica proposta è stata pensata come uno schema di riferimento, in quanto fondata sull’assunto che una buona pra-tica, per essere tale, deve necessariamente essere adattata al contesto di applicazione. In questo senso la struttura che segue va considerata una griglia per gli orientatori che la gestiranno, i quali dovranno aver cura di adattare il percorso – nei contenuti e nell’articolazione temporale – al contesto di ap-plicazione: al contesto istituzionale del Servizio, alle necessità e ai vincoli operativi dell’organizzazione, alla tipologia e alla numerosità dei parteci-panti, e così via. Come abbiamo visto in precedenza, per la maggior parte dei moduli sono previste due diverse opzioni, considerate equivalenti al fine della coerenza del percorso di orientamento e per il raggiungimento dell’obiettivo che i moduli si propongono. A parità di obiettivo, i conduttori possono quindi scegliere di volta in volta, tra le esercitazioni alternative, quella che riten-gono più adeguata alla situazione. La struttura, inoltre, si articola su alcuni elementi fondanti ed altri acces-sori, che i conduttori potranno scegliere di sviluppare o meno. Si può dun-que valutare di non utilizzare tutto il materiale a disposizione, ad esempio selezionando le esercitazioni proposte per la fase di intermodulo o deci-dendo di non svolgere l’esercitazione di analisi dei casi. I singoli moduli propongono l’esplorazione di diverse aree e dimensioni (aspirazioni e desideri, autovalutazione delle caratteristiche personali, analisi punti di forza e debolezza ecc.) che vengono gestite attraverso at-tività quali giochi d’aula, discussioni di gruppo, esercitazioni di gruppo ed individuali. Molte delle attività proposte prevedono lavori in sottogruppi ed è, per-tanto, sempre necessaria la doppia conduzione. In termini organizzativi, l’intervento di orientamento prevede:

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- un “modulo 0” di presentazione della pratica e di selezione dei parteci-panti;

- tre giornate di cui le prime due in sequenza e la terza a distanza di circa una settimana. Ogni giornata ha una durata complessiva di circa 6 ore di attività d’aula. La modularità del percorso consente tuttavia all’operatore di adottare la pratica scomponendo le giornate1 in singoli moduli, che potranno in tal caso essere condotti – pur conservandone la sequenzialità – come sessioni uniche. Questa scelta, ovviamente, pre-vede un incremento delle giornate dedicate all’intervento;

- alcune attività intermodulo che i partecipanti svolgeranno individual-mente nel tempo che intercorre tra gli incontri.

3.4.4. Le attività del percorso Il percorso, come già accennato nel capitolo introduttivo, prevede cinque moduli, più uno di presentazione e motivazionale. Quest’ultimo precede di alcuni giorni l’avvio vero e proprio del percorso, e si propone di presentare l’iniziativa ad un gruppo di potenziali parteci-panti al fine di favorire da parte loro un’autovalutazione rispetto alla par-tecipazione al percorso (in termini di interesse e di impegno da sostenere). Il conduttore, sulla base di una prima rilevazione dei bisogni di orienta-mento effettuata nella fase di accoglienza del Servizio, avrà infatti invi-tato i singoli utenti a prendere parte all’iniziativa, presentando loro bre-vemente le finalità e la metodologia della pratica. Nel corso del Modulo 0 – Motivazione e contratto, al gruppo degli utenti presenti vengono esplici-tati più dettagliatamente finalità, obiettivi e modalità di realizzazione dell’intervento. Attraverso il confronto diretto si intende verificare la coe-renza tra l’offerta di orientamento e le aspettative di ciascun parteci-pante, giungendo in tal modo ad una adesione motivata e consapevole alla pratica di orientamento. La prima giornata del percorso è dedicata alla fondazione del gruppo di lavoro ed è centrata sulla dimensione del “sogno”, intesa come amplia-mento degli spazi di pensabilità del futuro ed esplicitazione delle sfera del desiderio connessa ai propri percorsi lavorativi. Il Modulo 1 – Ci presentiamo, attraverso la presentazione dei partecipanti, si propone dunque di avviare la relazione tra i partecipanti e tra questi ed i conduttori: la sua dimensione prevalente può essere considerata la di-sponibilità alla relazione. Esso si propone anche di definire nuovamente il

1 Con questo termine si intende la sequenza di attività idealmente progettate e pensate all’interno di una giornata di sei ore di lavoro.

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contratto d’aula rispetto al percorso da sviluppare. In questo senso rap-presenta il momento istituente del lavoro di orientamento. Il Modulo 2 – Il futuro introduce il tema del “sogno” professionale: ai par-tecipanti è chiesto di valorizzare la dimensione emotiva, proiettandosi nel futuro ed esprimendo alcuni desideri ed aspettative lavorative. La rifles-sione condivisa sugli aspetti di utopia (sogni troppo “grandi”) e sui vissuti di impotenza (sogni troppo “piccoli”) fonda le basi per la costruzione del progetto professionale, riattivando le energie verso la definizione progres-siva di un obiettivo che contempli, al suo interno, anche un pezzetto di sogno. L’obiettivo professionale è infatti considerato, in questa pratica, non un punto di partenza, un oggetto “dato”, ma un oggetto da costruire in progress, da trasformare in un gioco di equilibrio tra gli elementi fon-danti del desiderio e gli elementi di realtà a supporto della realizzabilità del progetto. I moduli successivi hanno dunque lo scopo di valutare risorse e vincoli interni ed esterni e di organizzarli all’interno di un progetto, che assume la funzione di un “piano di fattibilità”. La prima giornata di lavoro si chiude con la prima unità del terzo modulo, che introduce il tema della definizione delle risorse interne, proponendo un’autovalutazione delle proprie modalità di gestione di situazioni diffi-cili. Il Modulo 3 – Io nel contesto, nella sua prima unità, intende infatti eviden-ziare la relazione tra gli stili di attribuzione, le emozioni vissute e le stra-tegie di coping attraverso una esercitazione mirata ad evidenziare le carat-teristiche e gli stili di comportamento personali. La seconda unità, che si svolge all’inizio della seconda giornata, costitui-sce un approfondimento di queste riflessioni, proponendo di analizzare nuovamente le proprie modalità di fronteggiamento e gestione di situa-zioni difficili, in questo caso non generali o prototipiche ma realmente presenti nella vita del partecipante. La seconda giornata prosegue con l’approfondimento delle forze in campo, positive e negative, che entrano in gioco rispetto al progetto professionale. Il Modulo 4 – Il progetto si apre con la prima unità in cui i partecipanti definiscono, secondo un percorso ad imbuto, uno specifico obiettivo pro-fessionale, individuato attraverso l’intersezione tra le caratteristiche im-portanti del desiderio ed una valutazione soggettiva dell’importanza, della desiderabilità e della perseguibilità dei vari possibili obiettivi profes-sionali prefigurati. In relazione a questo specifico obiettivo, nella seconda unità vengono dunque analizzati i punti di forza e di debolezza interni ed esterni più rile-

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vanti e vengono immaginate possibili strategie per implementare i fattori positivi e per superare i fattori ostacolanti. Una riflessione più puntuale sui punti di forza e di debolezza personali è facilitata dagli strumenti che i partecipanti possono utilizzare nell’intervallo tra la seconda e la terza giornata (Attività di intermodulo). É questo un tempo in cui la sospensione delle attività di gruppo porta cia-scun partecipante a rielaborare personalmente i contenuti emersi, ad ap-propriarsene e a formulare diversi modi di rapportarsi al processo di ri-cerca di lavoro. In questa fase è anche possibile che l’obiettivo prescelto sia sottoposto ad una nuova valutazione e sostituito con un altro. La terza ed ultima giornata si apre con una esercitazione che, attraverso l’analisi delle proprie competenze, consente di fornire ulteriori informa-zioni su di sé (terza unità). Queste informazioni, assieme a quelle emerse dalle attività di intermodulo, costituiscono l’ultimo elemento del mosaico che porta alla formulazione del progetto. L’ultima unità, infatti, raccoglie le informazioni e le riflessioni sviluppate organizzandole all’interno di un progetto di (ri)collocazione professionale (quarta unità). Il progetto parte dall’obiettivo individuato e, a ritroso, richiede la definizione delle fasi principali, delle azioni e delle risorse ne-cessarie per la sua realizzabilità. A partire dai diversi obiettivi individuati da ciascun partecipante, il progetto assumerà forme diverse, che vanno dalla ricognizione delle opportunità formative e/o lavorative presenti nell’area di mercato del lavoro di interesse, ad un piano di massima per la valutazione di fattibilità del progetto, ad un vero e proprio piano d’azione. Il percorso si conclude, infine, con il Modulo 5 – I saluti, dedicato alla chiusura dell’intervento e al commiato del gruppo. Nella seconda parte del volume è presentata analiticamente la struttura del percorso ora delineata, con i materiali didattici di riferimento e i tempi di sviluppo.

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LA VALUTAZIONE DELLA PRATICA 4.1. PREMESSE GENERALI

Un tema trasversale che interessa, in forme diverse, tanto le attività di ricerca quanto le azioni di intervento professionale, è quello della valuta-zione. All’interno di tale diversità, un elemento di continuità è costituito dalla connotazione strategica che assume l’attività di valutazione in ter-mini di riprogettazione di interventi, cioè a dire la possibilità di rileggere e di mettere a punto, in un’ottica di processo, nuove azioni professionali che siano coerenti rispetto al loro intento generale, tradotto in obiettivi speci-fici. Tuttavia la valutazione, soprattutto se pensata in termini di processo e in relazione agli attori che ne sono coinvolti, porta con sé una resistenza, probabilmente dovuta al fatto che, come sostiene Avallone (1996) in forma di assioma, la valutazione espone sia il valutato che il valutatore. Numerose sono le ragioni a sostegno della necessità di allestire procedure di valutazione nelle pratiche di intervento, così come in altri ambiti ma, prendendo in prestito una riflessione di Palumbo (2001), esse sono sostan-zialmente riconducibili a due: da una parte c’è la necessità istituzionale di rendere conto relativamente a un investimento sostenuto, ossia di rendere trasparente alla comunità in quale modo si è risposto ad una richiesta del sistema; dall’altra c’è la volontà, oltre naturalmente alla necessità, che un progetto portato a termine costituisca anche una esperienza di crescita, ovvero una occasione di apprendimento complessivo per il sistema che lo ha sostenuto, in un’ottica di progresso (Guichard, Huteau, 2001). In questo capitolo, a partire da una riflessione sulla valutazione in orien-tamento, e analogamente ad altre precedenti esperienze nella progetta-zione e sperimentazione di pratiche o percorsi orientativi (Grimaldi, Rossi, 2004; Laudadio, Amendola, Porcelli, Grimaldi, 2004), si vogliono ripercor-

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rere le ragioni che hanno guidato la messa a punto dell’impianto di valu-tazione della pratica di gruppo pensareilfuturo presentata in questo vo-lume, e le riflessioni che scaturiscono dalle procedure di follow up messe in atto. Bezzi (2001), nel tentativo di sistematizzare una serie di definizioni pre-senti in letteratura su questo tema, fornisce la seguente definizione di va-lutazione, rispetto alla quale saranno successivamente evidenziati alcuni aspetti che a nostro avviso sono rilevanti per esplicitare le ragioni che hanno sostenuto l’impianto di valutazione messo a punto nella sperimen-tazione della pratica.

“[…La valutazione è] principalmente (ma non esclusivamente) un’attività di ricerca sociale applicata, realizzata, nell’ambito di un pro-cesso decisionale, in maniera integrata con le fasi di programmazione, progettazione e intervento, avente come scopo la riduzione della comples-sità decisionale attraverso l’analisi degli effetti diretti ed indiretti, attesi e non attesi, voluti o non voluti, dell’azione, compresi quelli non riconduci-bili ad aspetti materiali; in questo contesto la valutazione assume il ruolo peculiare di strumento partecipato di giudizio di azioni socialmente rile-vanti, accettando necessariamente le conseguenze operative relative al rapporto fra decisori, operatori e beneficiari dell’azione.” (Bezzi, 2001, p. 60)

Sulla base della definizione appena proposta la valutazione consiste quindi in un processo complesso all’interno del quale sono rintracciabili almeno due momenti: un primo, di raccolta dati, in grado di sintetizzare l’esito dell’intervento e il processo che lo ha generato; un secondo mo-mento, della formulazione del giudizio, articolato sulla base dei dati rac-colti (Bulgarelli, 1996). Così come sembra evidente in questa forma, se la formulazione del giudizio sembra essere successiva alla fase di raccolta dei dati, la distinzione tra i due momenti sembrerebbe evocare quella moda-lità di procedura che nella ricerca sociale ha originato la Grounded Theory1 (cfr. Strauss e Corbin, 1990). Al tempo stesso, secondo alcuni autori, questo metodo di procedere man-cherebbe di scientificità, in quanto il metodo scientifico sarebbe esclusi-vamente quello basato sulla falsificazione (Popper, 1959) di una ipotesi precedentemente formulata sulla base di una teoria scientifica. Accettare

1 Sotto il profilo metodologico – in estrema sintesi – la Grounded Theory prevede tre momenti: la raccolta dei dati e delle informazioni, la loro codifica in categorie e sottocategorie, e la loro analisi, in una interazione costante (circolare) tra le varie fasi. La Grounded Theory esprime il cuore della ricerca qualitativa, ovvero quello di lavorare in assenza di una vera ipotesi in un processo in cui, invece, si parte dal basso (Cicognani, 2002).

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questa seconda posizione significa scomporre la fase della formulazione di giudizio in due momenti, uno preliminare e uno successivo alla raccolta dati: un primo momento di definizione degli obiettivi (formulazione dell’ipotesi) (Guichard, Huteau, 2001), e un secondo di formulazione di un giudizio sulla base della falsificazione dell’ipotesi sulla base dei dati regi-strati. Anche la valutazione, pertanto, se si accetta la riduzione di complessità nelle due posizioni appena descritte, impone una scelta di paradigma, cia-scuna delle quali può essere legittimamente perseguita. La definizione di Bezzi, inoltre, fornisce una ulteriore suggestione: la valu-tazione non dovrebbe essere centrata in modo esclusivo sugli obiettivi ini-ziali dell’attività ma, piuttosto, dovrebbe prendere in considerazione an-che gli aspetti non voluti, non attesi e indiretti. Il limite posto dalla realtà per il quale è impossibile osservare “tutto”, impone anche al “valutatore” di selezionare una porzione della relazione azione-contesto ed esprimere un giudizio su tale relazione. L’ampiezza della porzione di relazione che vuole essere oggetto di valutazione sarà coerente con il livello di sensibi-lità che la valutazione sarà in grado di esprimere: quanto più ampio sarà lo spazio della relazione posto sotto analisi, con i limiti che questo com-porta sul piano della fattibilità, tanto maggiore sarà la sensibilità dell’attività valutativa. Tuttavia la questione più rilevante in un processo valutativo è senza dub-bio quella dell’oggetto della valutazione, cioè definire cosa valutare. Se-condo Palumbo (2001) le tipologie di valutazione sono sostanzialmente due: una centrata sull’efficacia e un’altra sull’efficienza. La prima – in termini relazionali – si interroga su quanto l’intervento ha saputo rispon-dere alle necessità espresse dal contesto; la seconda, su quanto l’intervento è appropriato e congruente con il contesto, soprattutto in termini di ri-sorse. 4.2. IL FOLLOW UP

Il processo di valutazione applicato alla pratica ISFOL pensareilfuturo esprime la volontà di evidenziare gli elementi che nella relazione utente-percorso hanno “funzionato” meglio (e quindi anche quelli che hanno fun-zionato meno bene) soprattutto in una prospettiva di replicabilità della pratica. Rispetto all’intento appena formulato appare evidente come il “commit-tente” di questo intervento di follow up sia l’ideatore del percorso stesso e che pertanto il mandato sia quello di cercare di individuare soprattutto le

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criticità progettuali e metodologiche, oltre che gli elementi che potrebbero ostacolarne la diffusione. Essendo la valutazione parte integrante dell’attività di progettazione, è stato possibile coinvolgere tutti coloro che hanno partecipato alla proget-tazione e realizzazione del percorso, nonché gli utenti di questa prima spe-rimentazione. 4.2.1. Il parere degli utenti Al fine di esplorare il parere degli utenti rispetto ad alcuni ambiti di inte-resse è stata utilizzata la tecnica del focus group2. Nello specifico sono stati realizzati quattro focus group, uno per ciascuno dei quattro gruppi di orientamento che erano stati costituiti sulla base delle tipologie di destinatari del percorso (adulti in transizione, lavoratori atipici, neo laureati e disoccupati). A distanza di circa otto mesi dall’ultimo incontro, tutti i partecipanti al percorso di ciascun gruppo sono stati ricontattati ed invitati a partecipare ad un incontro con l’obiettivo di attivare un confronto sull’esperienza vissuta. Pur avendo risposto all’invito tutti i soggetti, hanno di fatto aderito al focus circa il 50% degli interessati. Coloro che non hanno potuto partecipare hanno, comunque, fornito i loro feedback rispetto all’esperienza utilizzando una diversa modalità comunicativa (prevalentemente posta elettronica). Le motivazioni fornite dagli utenti sono state oggetto di una particolare at-tenzione da parte dell’équipe di lavoro e sono state presentate nell’ambito dei focus group al fine di poterle condividere. All’interno dei vari focus group sono state esplorate tre aree di interesse: • giudizio complessivo verso il percorso e specifico riguardo alle salienze del percorso (ovvero cosa i soggetti ricordavano meglio o, comunque, come prima cosa);

• gli “effetti” percepiti del percorso. In particolare, ripercorrendo lo studio di Gaudron e Bernaud (1997), sono stati tre gli ambiti che si è cercato di indagare in questa area: in primo luogo gli effetti sulla rappresentazione

2 Il focus group è una tecnica qualitativa di rilevazione dei dati, diffusa nella ricerca sociale, che si basa sulla raccolta delle informazioni che emergono da una intervista di gruppo su un tema che il ricercatore desidera indagare in profondità. In letteratura non è possibile rintracciarne una definizione univoca, ma numerosi ricercatori (Krueger, 1994; Greenbaum, 1998; Barbour e Kitzinger, 1999) concordano nell’affermare che tale metodo di ricerca coinvolge da quattro a dodici persone, in una situazione di gruppo, che si riuniscono in un giorno prestabilito e, con l’aiuto di un moderatore, discutono di un argomento in un ambiente informale, “permissivo”. Le informazioni fornite dai partecipanti durante la discussione costituiscono i dati del focus group, che si rivela pertanto particolarmente utile per esplorare in modo approfondito le opinioni, gli atteggiamenti o i comportamenti della collettività e le motivazioni sottostanti al pensiero ed al comportamento umano (Zammuner, 2003).

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delle competenze e dei centri di interesse; quindi gli effetti sul progetto professionale; per ultimo, gli effetti sul comportamento concreto nei confronti del mercato del lavoro;

• la relazione con il gruppo. Complessivamente i giudizi forniti dai partecipanti ai quattro focus group nei confronti del percorso sono positivi. Ne riportiamo alcuni a titolo esemplificativo:

“…Per quanto riguarda l’esperienza che abbiamo fatto, sicuramente inte-ressante e piacevole, mi è rimasto un ricordo positivo.” “Sono arrivata una anno fa a Roma, e la prima cosa che mi hanno detto le mie cugine è stato: “Tu puoi fare solo la badante alla tua età, e questo per me è stato uno shock…Poi, dopo il corso… sono andata alla chiesa americana, ed ho cominciato a dare curriculum a tutti, e devo dire qualche offerta è arrivata. Queste giornate mi sono servite a non credere solo alle parole dure dei miei cugini e di coloro che dicono solo quello che sanno…Ho cominciato a vincere la paura”. “Un’esperienza positiva per una cosa che io ho reputato sempre impor-tante, per me lavorare insieme è un momento molto importante. Lo ri-scontro anche sul lavoro: purtroppo tante volte sul lavoro non è sempre possibile, non tutti reputano quello che per me può essere importante. Re-puto il confronto tra le parti sia indispensabile…”

È tuttavia doveroso notare come esista una significativa differenza di at-teggiamento nei confronti del percorso in relazione alle aspettative pos-sedute prima di iniziare. Sono infatti i soggetti che avevano aspettative più “concrete” o, per meglio dire, centrate sulla possibilità che l’esperienza potesse rappresentare un’occasione concreta per trovare o cambiare lavoro, ad essere più critici nei confronti del percorso. Questo risultato è in linea con alcuni studi di Kop e collaboratori (1997) che avevano già evidenziato come le aspettative nei confronti dei percorsi di orientamento (e di bilancio in particolare) siano fortemente in relazione con il giudizio complessivo di utilità formulato a distanza dell’esperienza.

“…Mi aspettavo dal percorso una metodologia che permettesse di confron-tarmi con altre persone e altri approcci. Di vedere come presentarmi nel mondo del lavoro…” “…Praticamente io prima del corso avevo degli obiettivi chiari, fare una impresa di importazione ed esportazione. Io pensavo che il corso dovesse essere più tecnico. Le mie aspettative erano di tipo tecnico…”

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Di contro, sono coloro che pensavano al percorso come ad una opportu-nità per conoscere meglio se stessi, ad avere i maggiori livelli di soddisfa-zione.

“Pensavo di lavorare nel cinema ma non conoscevo le figure professionali in tale campo, avevo il dubbio che forse sarebbe stato un peccato come mi dicevano, non utilizzare la mia preparazione universitaria sostenuta dalla compiuta pratica forense. Lavorare nel cinema avrebbe richiesto una nuova qualificazione. Insomma mi ponevo sempre domande… … [Adesso] ho trovato il mio lavoro ideale, sono la segretaria di un avvo-cato molto importante che oltre che a svolgere la professione forense, è membro del consiglio di amministrazione di molte delle più importanti società per azioni italiane legate alla cinematografia…”

Trasversalmente, i ricordi sono nella maggior parte dei casi in relazione alle attività in cui hanno potuto riflettere su se stessi o comunque alle at-tività che, più di altre, hanno fornito delle indicazioni relative ad alcune dimensioni importanti come le strategie di coping, l’autoefficacia, e così via:

“Mi è venuto in mente il gioco delle carte. Quello è stata una cosa molto carina, riscontrarsi in quel momento con vari tipi di esperienze, e come tu risponderesti a quel tipo di esperienza. Tante volte noi non ci pensiamo, però, effettivamente, ci sono dentro di noi sicuramente delle motivazioni che ci portano ad avere vari comportamenti.” “Quello delle carte è stato simpatico, quello dell’albero l’ho trovato inte-ressante anche se a primo impatto non capivo bene, poi però mi è sem-brato carino, l’impatto visivo l’ho trovato carino. Nell’insieme ho trovato tutto costruttivo.” “…Gli strumenti sono stati buoni, hanno permesso di mettere a fuoco la nostra situazione lavorativa e di vedere gli obiettivi che ognuno di noi si prefigge. Poi ha funzionato anche perché ci ha dato la possibilità di cono-scerci, anche attraverso la storia personale, perché poi sono nati dei rap-porti.”

Come indicato da Tronti (2002), è possibile esplorare il livello di soddisfa-zione generale degli utenti sulla base del benessere individuale o collettivo percepito. Complessivamente sono molti i soggetti che hanno riferito mi-glioramenti complessivi del proprio benessere e che pongono l’esperienza come causa-concausa del miglioramento del livello generale di benessere percepito. Rispetto agli effetti del corso, in primo luogo è interessante notare come molti soggetti mettano in diretta relazione il percorso fatto con un au-

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mento di chiarezza generale circa i propri interessi e riguardo alla rappre-sentazione delle proprie competenze.

“Sicuramente è rimasto un patrimonio di conoscenza di me stesso che prima non riuscivo a vedere, in termini anche di limiti. Questo è uscito bene attraverso i nostri incontri, e poi sicuramente, è importante avere delle idee e degli strumenti per confrontarsi con la realtà.” “…Nella mia enorme confusione mentale, sono molto confusionaria, sono una persona molto confusionaria, quelle tre giornate mi hanno aiutato a fare chiarezza… Ho cominciato a darmi delle scadenze e fare degli schemi che in vita mia non ho mai fatto.”

Per alcuni soggetti il percorso è stato l’occasione per “fare il punto” e “confrontarsi”. Nello specifico, tra gli ambiti sui quali si è fatto il punto, i soggetti riferiscono “i propri interessi”, “quello che so fare e non so fare”, “quello che voglio fare”, “quello che vorrei fare”:

“…Il contesto mi ha portato ha mettermi in relazione con i progetti degli altri ragazzi e quindi mi sono reso conto che in effetti la strada che avevo cominciato a prendere, cioè di cercare lavoro così, devo strutturarla in maniera differente, cioè finire gli studi, specializzarmi per poter fare poi la professione che vorrei ricoprire in futuro.” “Dall’esperienza fatta mi è rimasta la capacità di progettare. Il mio problema era se continuare a studiare e fare la specialistica o fermarmi alla triennale, ho deciso di continuare e quei tre giorni mi sono serviti per darmi delle scadenze e fare dei progetti, e schemi per finire gli esami.”

Rispetto al proprio progetto professionale è subito evidente come giochi un ruolo fondamentale il livello soggettivo di sviluppo di carriera. Mentre per alcuni soggetti il percorso ha costituito un momento di “definizione”, per altri è stato proprio un momento di “costruzione” e, per altri ancora, il percorso ha semplicemente fornito gli “strumenti per mettere a punto un progetto”. A quest’ultima categoria afferiscono coloro per i quali il progetto pensato durante il percorso non ha costituito altro che una pale-stra per l’analisi e lo sviluppo delle proprie competenze e metacompetenze di progettazione del proprio futuro professionale. Rispetto alle azioni concrete circa il mercato del lavoro o, meglio, rispetto ai comportamenti che i soggetti hanno messo in atto o nella direzione di rendere concreto il proprio progetto o, comunque, di “attivazione con-creta generale” nei confronti del mercato del lavoro, l’analisi dei risultati dei focus group offre due spaccati distinti.

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Da una parte ci sono coloro per i quali comunque la pratica ha segnato un deciso cambio di tendenza nel comportamento e nell’atteggiamento nei confronti del mercato del lavoro:

“Io ho tentato di fare fruttare il significato dei nostri incontri. Sono par-tita in quarta.”

Dall’altra ci sono i soggetti per cui la pratica non ha favorito alcun cam-biamento di comportamento:

“Dopo questa esperienza non ho appreso una maniera grintosa su come vendermi, ho continuato a muovermi come prima. Non avevo neanche riempito tutto la scheda del progetto.”

Rispetto a questo secondo gruppo c’è da dire che probabilmente sono state smarrite le finalità dell’intervento, come se l’analisi del bisogno ini-ziale del percorso e la riformulazione degli obiettivi avesse lasciato una traccia poco significativa. In relazione all’esperienza d’aula, limitatamente al fatto che si è trattato specificatamente di un percorso di gruppo, il discorso è più articolato. Bi-sogna infatti, distinguere tra due livelli di osservazione: quello in cui c’è il contributo offerto dal gruppo nella fase di accoglienza e accompagna-mento e quello in cui il gruppo viene utilizzato con la funzione di soste-gno, successiva alla conclusione del percorso.

“Rispetto al gruppo volevo dire che la cosa che ti aiuta di più è sapere che ci sono altre persone nella tua stessa situazione, quindi condividere le tue motivazioni critiche, tirarle fuori, trarre dagli altri degli spunti che potreb-bero applicarsi al tuo caso. Forse anche perché non eravamo tanti…” “È importante sentire l’altro, è diverso se senti che un’altra persona ha il tuo stesso problema.” “C’è stata un’apertura nei confronti dell’altro che ha portato a farci dire delle cose intime che in un’altra situazione poteva non capitare. Non c’era nessuno che ci giudicava o che poteva manipolare quello che dicevamo. Quindi credo proprio che il piccolo gruppo abbia creato questa condizione, molto comunicativa, si stava bene, si rideva, si scherzava.”

Trasversalmente rispetto ai quattro gruppi iniziali, il gruppo sembra avere assolto alla funzione di accoglienza e accompagnamento. Molti sog-getti ricordano con piacere il gruppo ed il clima che si era creato. In un caso il gruppo di orientamento si è trasformato in un vero e proprio gruppo di lavoro, nato dall’occasione di incontro, conoscenza reciproca e

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comunanza di esperienza generate dal percorso: il gruppo dei disoccupati ha infatti protratto gli incontri ben oltre la fine del percorso, dando vita ad una sorta di istituzionalizzazione del gruppo, essendo sorta, tra alcuni dei partecipanti, la volontà di costituire una piccola cooperativa. 4.2.2. Il parere degli operatori nella funzione di osservatori In precedenza si è detto che durante la sperimentazione è stato chiesto ad alcuni operatori dei Servizi di orientamento, che hanno partecipato alla fase sperimentale, di assistere agli incontri in qualità di osservatori esterni. A ciascuno dei percorsi, infatti, ha partecipato un operatore a cui è stato chiesto di osservare attivamente le varie tappe del percorso e di formulare su di esse delle riflessioni organizzate in una griglia di valutazione. La griglia era strutturata in modo da produrre, per ciascun modulo eserci-tativo, indicazioni, su una scala a tre passi (scarsa, discreta ed elevata), rispetto a tre dimensioni: (a) chiarezza della proposta formativa, (b) coe-renza della proposta formativa agli obiettivi e (c) clima del gruppo. Com-plessivamente tutti i moduli sono stati valutati tra il discreto e l’elevato; nessun modulo è stato considerato come distante/non coerente con le fi-nalità esplicitate. Alla conclusione della sperimentazione è stata inoltre organizzata una riunione in cui sono state presentate le valutazioni generali e specifiche nei confronti della pratica. Le uniche criticità individuate dagli operatori sono, in larga misura, im-putabili alla situazione sperimentale (ad esempio un operatore si chiede quanto sia corretto indicare ai soggetti la categoria sperimentale della quale fanno parte), oppure alla complessiva gestione del gruppo. Proprio in relazione a quest’ultimo punto, nell’ultimo incontro si è dedicato uno spazio significato ai feedback degli operatori relativi alla possibile applica-bilità di tale pratica all’interno dei Centri per l’Impiego e dei Servizi di orientamento in generale: tutti sembrano concordi sull’utilità di un servi-zio di questo tipo, anche se viene posta particolare attenzione da un lato alla formazione degli operatori e dall’altra ai setting ambientali – assetto organizzativo dei Centri – che, in alcuni casi, non sembrano adeguati ad ospitare servizi di questo tipo. Grazie alle informazioni e ai commenti emersi in questa fase di follow up con gli operatori, è stato possibile migliorare la struttura della pratica, “limando” alcuni aspetti (es. puntualizzazione dei tempi di lavoro, revi-sione di alcune esercitazioni), definendo così la versione finale di pensareil-futuro, presentata in questo volume.

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4.3. NOTA CONCLUSIVA

In sintesi, la lettura trasversale dei focus group in relazione alla pratica suggerisce che questa ha sicuramente risposto all’obiettivo di attivare le persone rispetto al proprio futuro professionale. Dai due punti di osservazione – gli utenti e gli operatori-osservatori – emerge che la struttura della pratica, così come è stata proposta nella spe-rimentazione, risulta efficace sia nella sua articolazione interna (l’impianto temporale, gli obiettivi delle esercitazioni proposte e così via) sia nelle opzioni metodologiche effettuate (co-conduzione, setting in gruppo). Rimane il vincolo, così come evidenziato da alcuni utenti nel corso dei focus group, della corretta valutazione – a monte del percorso di orienta-mento – della coerenza tra domanda/aspettativa del singolo utente e obiettivi e modalità di realizzazione della pratica (sia come selezione degli utenti potenziali da parte degli operatori nel momento in cui propongono la partecipazione al percorso, sia come auto-selezione da parte dei singoli utenti nella fase di accoglienza). Rimane inoltre aperta, e a carico degli operatori che sceglieranno di adot-tare la pratica, una riflessione sul raccordo tra questo tipo di intervento e gli altri interventi che il Servizio potenzialmente offre, garantendo una continuità di relazione con ciascun partecipante.

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ARTICOLAZIONE DEL PERCORSO: CONTENUTI, FASI E TEMPI Il percorso di orientamento pensareilfuturo è stato progettato con l’intento di facilitare un pensiero progettuale e quindi è stato finalizzato all’esplorazione, attraverso il gruppo, di tutte quelle dimensioni che pos-sono sostenere il soggetto nel passaggio da un futuro impensabile ad un futuro progettuale. Tre sono i passaggi fondamentali che sottendono l’articolazione del percorso: � recuperare e riconoscersi la possibilità di desiderare, di avere aspirazioni personali, sogni ed ambizioni; � conoscere ed esplorare le forze in gioco, interne ed esterne: risorse, vin-coli, competenze, capacità, limiti che facilitano o ostacolano la realizza-zione di queste aspirazioni; � riuscire a definire un obiettivo professionale e costruire attorno a questo un progetto personale. Questi passaggi costituiscono il nucleo dei tre moduli centrali del percorso suggerito. A questi si aggiunge un modulo iniziale di apertura dei lavori e costituzione del gruppo ed un modulo conclusivo, per un totale comples-sivo di tempo stimabile intorno alle 20 ore (si veda lo Schema 1). Il percorso così come da noi suggerito si articola su tre giornate, le prime due consecutive per favorire il consolidamento e la coesione del gruppo, la terza a distanza di circa una settimana per favorire la riflessione e la riela-borazione. Quanto alla numerosità del gruppo, che suggeriamo omogeneo per posizione lavorativa, noi crediamo debba aggirarsi tra le 8-15 unità. Un ulteriore suggerimento è relativo alla co-conduzione: la presenza di due consulenti consente da un lato un più agile lavoro soprattutto là dove sono previsti laboratori in sotto-gruppi, dall’altro rende il confronto più proficuo a favore di un più puntuale rigore procedurale. L’articolazione suggerita, nei modi e nei tempi, va considerata una griglia da adattare in maniera flessibile ai diversi contesti territoriali ed organizzativi, in rela-zione alle necessità e ai vincoli operativi dell’organizzazione, alla tipologia e alla numerosità dei partecipanti. Allo stesso modo l’articolazione del percorso contempla per alcuni moduli ed unità di lavoro più di una eserci-tazione: a parità di obiettivo i consulenti potranno scegliere quale eserci-tazione risulta più coerente con le esigenze dei partecipanti e con l’andamento del percorso. L’avvio del percorso è preceduto da un Modulo 0 – Motivazione e contratto in cui il consulente di orientamento presenta l’iniziativa ad un gruppo di potenziali partecipanti, specificandone obiettivi e metodologia, così che si possano creare, attraverso il confronto e l’analisi della coerenza tra offerta

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e domanda, le condizioni per una adesione motivata e consapevole. Egli, sulla base di una prima rilevazione dei bisogni di orientamento effettuata nella fase di accoglienza del Servizio, avrà infatti invitato i singoli utenti a prendere parte all’iniziativa, presentando loro brevemente le finalità e la metodologia della Pratica. La prima giornata del percorso è dedicata alla costruzione del gruppo di lavoro ed è centrata sulla dimensione del “sogno” intesa come amplia-mento degli spazi di pensabilità del futuro ed esplicitazione delle sfera del desiderio connessa ai propri percorsi lavorativi. Il Modulo 1 – Ci presentiamo è dedicato all’accoglienza, alla costituzione del gruppo, di un clima collaborativo e di un buon livello motivazionale. Attraverso la presentazione, si propone dunque di avviare la relazione tra i partecipanti: le dimensioni prevalenti su cui pone enfasi il lavoro sono la motivazione e l’atteggiamento relazionale. In questa fase di apertura dei lavori viene inoltre consegnato ai singoli partecipanti il “Diario di viag-gio”, un quaderno che raccoglie gli strumenti via via utilizzati durante il percorso e che rappresenta, per ciascuno, la memoria del percorso e un’agenda personale su cui apportare considerazioni e commenti. Il Modulo 2 – Il futuro introduce il tema del “sogno” professionale: ai par-tecipanti è chiesto di valorizzare la dimensione emotiva, proiettandosi nel futuro ed esprimendo alcuni desideri ed aspettative lavorative. La rifles-sione condivisa sugli aspetti di utopia (sogni troppo “grandi”) e sui vissuti di impotenza (sogni troppo “piccoli”) fonda le basi per la costruzione del progetto professionale, riattivando le energie verso la definizione progres-siva di un obiettivo che contempli, al suo interno, anche un pezzetto di sogno. L’obiettivo professionale è infatti considerato, in questa pratica, non un punto di partenza ma un oggetto da costruire in progress, da tra-sformare in un gioco di equilibrio tra gli elementi fondanti del desiderio e gli elementi di realtà a supporto della realizzabilità del progetto. Le prin-cipali dimensioni analizzate in questa unità di lavoro sono le emozioni, gli interessi, i valori e la prospettiva temporale. I moduli successivi hanno dunque lo scopo di valutare risorse e vincoli in-terni ed esterni e di organizzarli all’interno di un progetto, che assume la funzione di un “piano di fattibilità”. La prima giornata di lavoro si chiude con la prima unità del terzo modulo, che introduce il tema della defini-zione delle risorse interne, proponendo un’autovalutazione delle proprie modalità di gestione di situazioni difficili. Il Modulo 3 – Io nel contesto, nella sua prima unità, intende evidenziare la relazione tra gli stili di attribuzione, le emozioni vissute e le strategie di coping attraverso una esercitazione mirata ad evidenziare le caratteristi-che e gli stili di comportamento personali.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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La seconda unità, che si svolge all’inizio della seconda giornata, costituisce un approfondimento di queste riflessioni, proponendo di analizzare nuo-vamente le proprie modalità di fronteggiamento e gestione di situazioni difficili, in questo caso non generali-prototipiche ma realmente presenti nella vita del partecipante. La seconda giornata prosegue con l’approfondimento delle forze in campo, positive e negative, che entrano in gioco rispetto al progetto professionale. Il Modulo 4 – Il progetto si apre con la prima unità in cui i partecipanti de-finiscono, secondo un percorso ad imbuto, uno specifico obiettivo profes-sionale, individuato attraverso l’intersezione tra le caratteristiche impor-tanti del desiderio ed una valutazione soggettiva dell’importanza, della desiderabilità e della perseguibilità dei vari possibili obiettivi professionali prefigurati. In relazione a questo specifico obiettivo, nella seconda unità vengono dun-que analizzati i punti di forza e di debolezza interni ed esterni più rile-vanti e vengono immaginate possibili strategie per implementare i fattori positivi e per superare i fattori ostacolanti. Una riflessione più puntuale sui punti di forza e di debolezza personali è facilitata dagli strumenti che i partecipanti possono utilizzare nell’intervallo tra la seconda e la terza giornata (Attività di intermodulo). E’ questo un tempo in cui la sospensione delle attività di gruppo porta ciascun partecipante a rielaborare personalmente i contenuti emersi fino ad ora, ad appropriarsene e a formulare diversi modi di rapportarsi al pro-cesso di ricerca di lavoro. In questa fase è anche possibile che l’obiettivo prescelto sia sottoposto ad una nuova valutazione e sostituito con un al-tro. La terza ed ultima giornata si apre con una esercitazione che, attraverso l’analisi delle proprie competenze, consente di fornire ulteriori informa-zioni su di sé (terza unità). Queste informazioni, insieme a quelle emerse dalle attività di intermodulo, costituiscono l’ultimo elemento del mosaico che porta alla formulazione del progetto. L’ultima unità infatti, raccoglie le informazioni e le riflessioni sviluppate organizzandole all’interno di un progetto di (ri)collocazione professionale (quarta unità). Il progetto parte dall’obiettivo individuato e, a ritroso, ri-chiede la definizione delle fasi principali, delle azioni e delle risorse neces-sarie per la sua realizzabilità. A partire dai diversi obiettivi individuati da ciascun partecipante, il progetto assumerà forme diverse, che vanno dalla ricognizione delle opportunità formative e/o lavorative presenti nell’area di mercato del lavoro di interesse, ad un piano di massima per la valuta-zione di fattibilità del progetto, ad un vero e proprio piano d’azione. Di-verse le dimensioni esplorate in tale modulo: aspettative ed interessi pro-

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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fessionali, significati e concezioni del lavoro, valori, capacità progettuale, autonomia, creatività, stili cognitivi. Il confronto continuo con il gruppo, le diverse rappresentazioni della realtà e i diversi modi di relazionarsi alimentano, inoltre, la riflessione sulle proprie risorse: autoefficacia, auto-nomia, creatività, decision making, orientamento al cambiamento. Il percorso si conclude con il Modulo 5 – I saluti, dedicato alla chiusura dell’intervento e al commiato del gruppo. Di seguito è presentata schematicamente la struttura del percorso, sopra delineata, con i materiali didattici di riferimento e i tempi di sviluppo. Lo Schema 1 sintetizza la struttura del percorso ora descritta indicando, per ciascun modulo, le principali dimensioni di analisi, le attività proposte e l’articolazione temporale. Lo Schema 2 riporta, per ogni unità didattica, l’elenco di materiali e stru-menti messi a punto e previsti per i diversi laboratori.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Schema 1 – La struttura del percorso.

MODULO DIMENSIONI DI ANALISI

ATTIVITA’ DI LABORATORIO

TEMPI

P r i m o c o n t a t t o Modulo 0 MOTIVAZIONE E CONTRATTO

Domanda di orientamento, aspettative e principali motivazioni

Presentazione del percorso Raccolta delle adesioni

1h e 30’

P r i m a g i o r n a t a Modulo 1 CI PRESENTIAMO

Atteggiamento relazionale, motivazione

Accoglienza (2 attività alternative) a. L’evento significativo b. Cosa mi piace

2h

Pausa di 30’ Modulo 2 IL FUTURO

Aspirazioni e desideri, emozioni, interessi, valori, prospettiva temporale

(2 attività alternative) a. La lampada di Aladino b. Il sogno

2h

Pausa pranzo di 1h Modulo 3, Unità 1 IO NEL CONTESTO

Stili di attribuzione, emozioni, strategie di coping

(2 attività alternative) a. Situazioni in gioco b. Come affrontiamo le situazioni

2h

S e c o n d a g i o r n a t a Modulo 3, Unità 2 IO NEL CONTESTO

Gestione delle situazioni critiche, emozioni, strate-gie di coping

La narrazione. Analisi di casi lavorativi

2h e 30’

Pausa di 30’ Modulo 4, Unità 1 IL PROGETTO

Aspettative professionali, valori e concezioni del lavoro

Le caratteristiche del mestiere desiderato

1h e 10’

Pausa pranzo di 1h Modulo 4, Unità 2 IL PROGETTO

Analisi dei punti di forza e debolezza, autoefficacia, autonomia, creatività, decision making, orienta-mento al cambiamento

(2 attività alternative) a. Forze in atto b. I cappelli per pensare

2h e 30'

ATTIVITÀ DI INTERMODULO

Autovalutazione dei punti di forza e debolezza interni

Le competenze La storia lavorativa

T e r z a g i o r n a t a Modulo 4, Unità 3 IL PROGETTO

Analisi delle proprie competenze

Ciò che so 30'

Modulo 4, Unità 4 IL PROGETTO

Capacità progettuale, creatività, gestione del rischio

Il viaggio 3h

Pausa pranzo di 1h Modulo 4, Unità 4 IL PROGETTO

Capacità progettuale, creatività, gestione del rischio

Il viaggio (segue) 1h e 30'

Modulo 5 I SALUTI

Valutazione del percorso (3 attività alternative) a. La valigia b. La telefonata c. Perché sì perché no

1h

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Schema 2 Gli strumenti previsti per le singole attività di laboratorio (il simbolo � indica gli strumenti che entrano a far parte del Diario di viaggio di ciascun partecipante, il simbolo � indica gli strumenti ad uso interno per il conduttore).

MODULO ATTIVITA’ DI LABORATORIO

STRUMENTI

P r i m o c o n t a t t o Modulo 0 MOTIVAZIONE E CONTRATTO

Presentazione del percorso

� A1. Lucidi di presentazione del percorso di orientamento �

� Calendario degli incontri � Materiale sul Servizio � Lavagna luminosa

Raccolta delle adesioni � A2. Scheda di adesione (e copie) � Calendario degli incontri (e

copie) � Penne

P r i m a g i o r n a t a Modulo 1 CI PRESENTIAMO

Accoglienza

� Diario di viaggio (consegna) � A1. Lucidi di presentazione del

percorso di orientamento � � Cartoncini per cavalieri � Lavagna a fogli mobili

(prima alternative) a. L’evento significativo

� Lavagna a fogli mobili

(seconda alternativa) b. Cosa mi piace

� Lavagna a fogli mobili

Pausa di 30’ Modulo 2 IL FUTURO

(prima alternativa) a. La lampada di Aladino

� Post it � A3. Griglia di analisi delle

caratteristiche dei desideri � � A4. Tabellone “L’albero dei

mestieri” � � A5. Il mio desiderio � � A6. Esempio di analisi dei

desideri � (seconda alternativa)

b. Il sogno � Cavalieri � A7. Tabellone “albero dei

mestieri” � � A8. Il mio desiderio �

Pausa pranzo di 1h Modulo 3, Unità 1 IO NEL CONTESTO

(prima alternativa) a. Situazioni in gioco

� A12. Libretto con le istruzioni ad uso del conduttore �

� A13. Descrizione del mazzo di carte �

(seconda alternativa) b. Come affrontiamo le situazioni

� A14. La bussola delle emozioni �

� A15. Le situazioni � � A16. Schede delle situazioni �

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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S e c o n d a g i o r n a t a

Modulo 3, Unità 2 IO NEL CONTESTO

La narrazione. Analisi di casi lavorativi

Pausa di 30’ Modulo 4, Unità 1 IL PROGETTO

Le caratteristiche del mestiere desiderato

� A17. Le caratteristiche del lavoro �

� A18. I tre mestieri � � A19. Il mio obiettivo lavorativo

� � A7. Tabellone “L’albero dei

mestieri” � � Post-it

Pausa pranzo di 1h Modulo 4, Unità 2 IL PROGETTO

(prima alternativa) a. Forze in atto

� Lavagna a fogli mobili � A20. La margherita � � A21. Le strategie �

(seconda alternativa) b. I cappelli per pensare

� A22. La margherita � � Cartoncini colorati � A23. Lucido con descrizione dei

cappelli � � A24. Esempio di “Mappa dei

cappelli” � � A25. Le strategie �

ATTIVITÀ DI INTERMODULO

Le competenze La storia lavorativa

� A26. Le competenze � � A27. La mia storia lavorativa

� T e r z a g i o r n a t a

Modulo 4, Unità 3 IL PROGETTO

Ciò che so � A29. Ciò che so � � A30. Esempio di “Ciò che so” �

Modulo 4, Unità 4 IL PROGETTO

Il viaggio � A31. Il mio progetto professionale �

� A32. Esempio di progetto professionale �

Pausa pranzo di 1h Modulo 4, Unità 4 IL PROGETTO

Il viaggio (segue)

Modulo 5 I SALUTI

(prima alternativa) a. La valigia

� Foglietti di carta � Un cestino

(seconda alternativa) b. La telefonata

(terza alternativa) c. Perché sì perché no

� Post-it di due colori diversi � Pennarelli colorati � Lavagna a fogli mobili

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Modulo 0 – MOTIVAZIONE E CONTRATTO Unità 0.1. Principali dimensioni di analisi: domanda di orientamento, aspettative e principali motivazioni.

Presentazione del percorso

Obiettivi Scopo dell’incontro è di presentare ai potenziali partecipanti le finalità dell’intervento e gli obiettivi perseguibili (cfr. progetto professionale), le caratteristiche e le modalità di realizzazione, gli operatori coinvolti. Durata 1h Destinatari I destinatari saranno individuati dagli operatori dei Centri di orienta-mento fra le persone che, ricercando una occupazione, hanno avuto un precedente contatto con la struttura e che saranno stati informati ed invi-tati attraverso le modalità ritenute più opportune (contatto telefonico, invito scritto, e-mail). Potranno altresì essere invitate le persone che, avendo saputo dell’iniziativa attraverso canali indiretti o attraverso vo-lantini affissi nella struttura o in altre sedi, avranno espresso un interesse nei confronti dell’iniziativa. E’ opportuno richiedere una prenotazione per la partecipazione all’incontro al fine di non superare il numero di unità previsto. Il numero di partecipanti ad ogni incontro non dovrebbe superare le 20 persone (data una fisiologica riduzione della partecipazione rispetto al numero di richieste si potranno prendere fino ad un massimo di 25-27 pre-notazioni). Per richieste superiori è necessario prevedere ulteriori edizioni dell’incontro introduttivo. Strumenti e materiali � ALLEGATO 1: Lucidi di presentazione del percorso di orientamento � Materiale sul Servizio

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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� Penne e fogli bianchi � Lavagna luminosa Modalità Fase 0: Preparazione dell’incontro Predisporre l’ambiente in modo tale che la distanza tra i partecipanti e gli operatori sia ridotta, che i partecipanti siano disposti a semicerchio su massimo due file e lo schermo risulti visibile da ogni posizione. Favorire un clima sereno e cordiale, non eccessivamente formale. Fase I Presentare la struttura che promuove l’intervento. Presentare gli operatori coinvolti: profilo, ruolo nella struttura, esperienze lavorative, ruolo nel percorso. Presentare le finalità dell’intervento di orientamento, spiegare gli obiet-tivi perseguibili e quelli non raggiungibili (es. certezza di un inserimento lavorativo). Presentare lo sviluppo del percorso, evidenziando i tre passaggi essenziali: il sogno-desiderio come punto di partenza, la conoscenza delle forze in gioco interne ed esterne, la definizione di un obiettivo professionale at-torno a cui costruire un progetto professionale. Come metafora del percorso può essere utilizzata la stessa proposta nel Diario di viaggio: immaginare di percorrere un viaggio e di definire dun-que una meta ideale (“mi piacerebbe andare...”), di valutare le risorse a disposizione e quelle necessarie per sostenere il viaggio (mezzi, conoscenze, soldi, preparazione atletica, compagnia, ...), di progettare infine le tappe del percorso da svolgere per arrivare alla meta (scegliere dove fermarsi, quanto tempo, ...). In questo senso le varie esercitazioni del percorso di orientamento rappresentano altrettanti tasselli della mappa informativa necessaria a prendere le decisioni adeguate. Indicare infine le caratteristiche e le modalità di realizzazione, i tempi, il calendario e l’impegno richiesto. Fase II Invitare i partecipanti a richiedere ulteriori chiarimenti e informazioni. Assicurarsi che tutti abbiano potuto porre le loro domande. Rispondere alle domande verificando sempre se si è stati chiari ed esaustivi rispetto alle richieste del partecipante. Qualora emergano questioni significative che tuttavia fanno parte delle riflessioni che saranno sviluppate nel percorso di orientamento (ad esem-pio lamentele relative alla “chiusura” del mercato del lavoro), è oppor-

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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tuno in questa fase sospendere la discussione e rinviarla alle attività fu-ture. Fase III Invitare i partecipanti ad esprimere le loro aspettative rispetto alla pro-posta, a formulare la loro motivazione a partecipare o a non partecipare al percorso al fine di poter meglio definire quali sono gli obiettivi raggiungi-bili e quelli invece non congruenti con le finalità del percorso. L’operatore avrà cura di sottolineare i punti di forza dell’iniziativa: � uno spazio di autoconoscenza; � uno spazio di riflessione sulle proprie esperienze lavorative/formative in

un’ottica progettuale; � la messa a fuoco di un piano di lavoro personalizzato e l’acquisizione di

un metodo per la costruzione di un progetto di (ri)collocazione profes-sionale;

� l’opportunità di stabilire relazioni e di realizzare un confronto attivo con altre persone che condividono la condizione di ricerca del lavoro e la partecipazione al percorso;

� l’accesso ad una consulenza (telefonica o per e-mail) per la realizzazione del piano di lavoro, per un certo periodo di tempo dopo la conclusione dell’intervento presso il Centro di orientamento.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 1 Strumento per il conduttore

Lucidi di presentazione del percorso di orientamento. I lucidi costituiscono la base della presentazione al gruppo di utenti convocati all’incontro preliminare. E’ necessario inserire i riferimenti del Servizio che propone la Buona Pratica (logo, indirizzo, etc.), modificare il calendario e predisporre – per i partecipanti che aderiranno all’iniziativa – le fotocopie del lucido “Il percorso” e del lucido “Calendario degli incontri”.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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(LOGO SERVIZIO)

pensareilfuturo

una pratica di orientamento

in gruppo

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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(LOGO SERVIZIO)

QUALI SONO LE FINALITÀ DEL PROGETTO?

Il progetto è un percorso “ad imbuto” che…

… a partire dalla definizione dei

desideri e dei sogni professionali di ciascuno

… e attraverso l’esplorazione delle forze interne ed esterne in

gioco …

… si propone di definire un obiettivo professionale e

di costruire attorno a questo un progetto personale.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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(LOGO SERVIZIO)

Partecipando a questo percorso possiamo: ���� chiarirci le idee su quali sono le

nostre aspirazioni professionali ���� definire quali sono le risorse più

utili da mettere in campo per raggiungere un obiettivo lavorativo

���� confrontarci con persone che hanno storie ed esperienze diverse dalle nostre

���� mettere a punto un piano di

COSA È POSSIBILE OTTENERE?

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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(LOGO SERVIZIO)

COSA NON È POSSIBILE OTTENERE?

Partecipare a questo percorso non significa che: ���� avremo a disposizione qualcuno che ci

dica cosa è giusto fare o non fare

���� otterremo un impiego ���� avremo attestati utili per trovare un

lavoro ���� ……………

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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(LOGO SERVIZIO)

���� Il percorso è articolato in tre giornate di

lavoro.

���� Gli incontri prevedono alcune attività individuali, altre in gruppo, altre in piccoli

gruppi o coppie.

���� Il lavoro si basa sull’esperienza diretta che i partecipanti realizzano attraverso

esercitazioni, giochi, momenti di riflessione e discussione.

���� Tutto il lavoro svolto è raccolto in un

“Diario di viaggio” che ci accompagnerà nelle tre giornate e sarà la nostra memoria

dell’esperienza.

COSA FACCIAMO?

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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(LOGO SERVIZIO)

Prima giornata Ci presentiamo

Il futuro Noi e il contesto

Seconda giornata

I punti di forza e di debolezza

… nell’intervallo … La mia storia lavorativa

Terza giornata

Il progetto professionale

IL PERCORSO

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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(LOGO SERVIZIO)

Prima giornata MARTEDI’ 28 SETTEMBRE 200…

dalle 9 alle 17

Seconda giornata MERCOLEDI’ 29 SETTEMBRE 200…

dalle 9 alle 17

Terza giornata GIOVEDI’ 7 OTTOBRE 200…

dalle 9 alle 17

presso il Centro di Orientamento “………………………”

in via Rossi n. 20, Roma

CALENDARIO DEGLI INCONTRI

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Raccolta delle adesioni

Obiettivi Individuare i partecipanti effettivi che assicurino un’adesione motivata e consapevole al percorso di orientamento. Acquisire informazioni di base sui partecipanti interessati a partecipare al percorso e sulle loro motivazioni ed aspettative. Durata 30’ Strumenti e materiali � ALLEGATO 2: Scheda di adesione � Copie della scheda di adesione � Calendario degli incontri � Copie del calendario degli incontri � Penne per la compilazione della scheda Modalità Sottolineare l’assoluta libertà di aderire o meno al percorso di orientamento e l’importanza dell’impegno a partecipare attivamente e in modo continuativo, che viene assunto dalla persona attraverso la sottoscrizione della scheda di adesione. Distribuire il calendario degli incontri e la Scheda di adesione (ALLEGATO 2) a tutti i partecipanti, chiedendo di compilarla solo a chi è interessato a proseguire il percorso. Presentare collettivamente la Scheda spiegando per ogni voce la corretta modalità di compilazione. Chiarire che la richiesta di esprimere nuovamente e per iscritto le motivazioni e le attese ha lo scopo di avviare un processo di conoscenza dei partecipanti e di guidare gli operatori nella messa a punto del percorso rispetto al gruppo effettivo delle persone che parteciperanno. Assicurare la riservatezza dei dati richiesti ed il loro uso ai soli fini dell’organizzazione del percorso. Durante la compilazione delle Schede garantire la disponibilità a fornire chiarimenti. Ritirare le Schede compilate.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 2 Strumento per le attività d’aula

Scheda di adesione

NOME

COGNOME LUOGO E DATA DI NASCITA TELEFONO E-MAIL

TITOLO DI STUDIO: � licenza elementare � licenza media inferiore � diploma istituto professionale � diploma scuola media superiore � laurea: ................................ � altro: ………………………

CONDIZIONE LAVORATIVA: � occupato a tempo indeterminato � occupato a tempo determinato � in cerca di prima occupazione � disoccupato � studente � altro: …………………………

ULTIMA OCCUPAZIONE: ......................................................................... (o: occupazione attuale: .................................................................) Ha partecipato negli ultimi 2 anni ad esperienze formative e/o di aggiornamento?

SÌ � NO � Se sì, quali? Perché ha deciso di aderire al percorso di orientamento?

Si autorizza il trattamento dei dati personali ai sensi della normativa vigente.

Data Firma

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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pp rr ii mm aa gg ii oo rr nn aa tt aa

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Modulo 1 – CI PRESENTIAMO Unità 1.1.

Principali dimensioni di analisi: atteggiamento relazionale, motivazione.

Accoglienza

Obiettivi Costituzione del gruppo. Avviare la relazione di ciascun partecipante con i conduttori e con gli altri partecipanti. Ridefinire il contratto con i partecipanti. Trasmettere tutte le informazioni organizzative funzionali allo svolgimento del percorso. Durata 30’ Strumenti � Diario di viaggio � ALLEGATO 1. Lucidi di presentazione del percorso � Cartoncini per costruire i cavalieri � Lavagna a fogli mobili Modalità Fase 0: Preparazione dell’incontro Preparare una copia del Diario per ciascun partecipante: folder nominativo e schede iniziali: “Itinerario”, “Programma delle giornate”, “Viaggio con...” e copertine delle varie sezioni da riempire nel corso delle attività (“I compagni di viaggio”, “Cosa metto in valigia”, “La mia meta”, “Appunti di viaggio”). Predisporre inoltre tutti i materiali didattici necessari allo svolgimento delle esercitazioni. Predisporre il luogo dell’incontro accuratamente in modo che sia accogliente, confortevole, curato nei dettagli che faccia sentire i partecipanti attesi e desiderati. Accertarsi che l’ambiente sia sufficientemente spazioso ed illuminato, che tutti abbiano un posto a sedere, che possano agevolmente guardarsi.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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(Disposizione semi-circolare su un’unica fila delle sedie con ribaltina e posizione dei conduttori e della lavagna/schermo visibile da tutte le posizioni; oppure un unico tavolo ovale su cui tutti possano appoggiarsi, con i conduttori ad uno dei vertici del tavolo) Predisporre i cavalieri con il nome di ogni partecipante e dei conduttori. Verificare la funzionalità dei supporti che verranno utilizzati durante gli incontri (lavagna luminosa, lavagna a fogli mobili, …). Fase I Illustrare l’articolazione del percorso e ridefinire il contratto con i partecipanti: chiarire ancora una volta gli obiettivi, le modalità di svolgimento e il tipo di impegno richiesto ai partecipanti. Ripresentare i lucidi sulla struttura del percorso utilizzati durante la presentazione (Modulo 0) e lasciati in copia ai partecipanti, al fine di evidenziare i principali passaggi del percorso. Questo stesso materiale potrà essere ripreso all’inizio di ogni sessione come filo conduttore tra le varie attività. Invitare i partecipanti ad esplicitare il loro stato di animo e le loro attese in questa fase iniziale del percorso reale. Riportare alla lavagna le attese espresse verificando che quanto scritto corrisponda al pensiero del partecipante. Raggruppare le attese espresse, dove possibile, in categorie (per esempio: rispetto alla relazione con gli altri partecipanti, al tipo di impegno richiesto, al risultato finale, al tipo di attività che si realizzeranno, altro). Verificare la congruità delle attese con le finalità del percorso ed eventualmente fornire ulteriori chiarimenti sugli obiettivi del percorso, le modalità, i tempi e quant’altro risulti utile. Illustrare il programma delle attività della giornata (contenuti e tempi). Consegnare ad ogni partecipante il Diario di viaggio, spiegandone le finalità e le modalità di utilizzo.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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L’evento significativo Esercitazione A

Obiettivi Avviare la relazione di ciascuno con i conduttori e con gli altri partecipanti e favorire il processo di socializzazione. Favorire l’emergere della struttura del gruppo creando un terreno comune a partire dalla condivisione di elementi che riguardano i vissuti individuali. Durata 1h e 30’ Modalità Fase I: Presentazione degli operatori Presentazione degli operatori coinvolti attraverso brevi riferimenti alla propria storia personale e professionale, esplicitazione delle proprie aspettative verso il percorso intrapreso, racconto di un evento/elemento particolarmente significativo della loro vita (che ti rappresenta, che ti piace raccontare, un fatto strano che ti è capitato, ...). Gli operatori avranno cura di animare la loro presentazione, dando il tono alle presentazioni dei partecipanti, ricorrendo al racconto di eventi non banali, evidenziando fatti e persone che hanno preso parte, emozioni vissute, modalità con cui l’evento è stato fronteggiato, eventuali conseguenze, ciò che ancora rimane nella propria vita di quel particolare fatto. Fase II: Presentazione dei partecipanti Invitare ciascun membro del gruppo a presentarsi fornendo qualche cenno sulla loro vita personale e professionale (esperienze di vita, studio e lavoro) e raccontando un evento/elemento particolarmente significativo della loro vita, animandolo con tutti i dettagli ed esprimendo il più possibile come è stato vissuto e cosa ha lasciato. Durante le presentazioni gli operatori appuntano con discrezione su un notes gli elementi significativi delle varie presentazioni al fine di poter mantenere memoria per una conoscenza più approfondita di ogni

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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partecipante e per poter raggruppare elementi simili al fine di iniziare ad evidenziare punti in comune e differenziazioni all’interno del gruppo. Il conduttore ricorda inoltre ai partecipanti che il Diario si apre proprio con una pagina dedicata alla composizione del gruppo di lavoro (i “compagni di viaggio”), e li invita ad annotare nome ed eventuali note relative a ciascun partecipante. Fase III: Discussione Alla fine delle presentazioni, con riferimento alle diverse ‘storie personali’ evidenziare la stretta connessione tra eventi della vita privata e della vita lavorativa, dare rilievo alla importanza di fattori oggettivi e soggettivi, razionali ed emozionali nella storia di ogni persona e sottolineare come tutte queste dimensioni saranno presenti durante tutto il percorso in funzione del riconoscimento e della valorizzazione delle esperienze e delle competenze sviluppate ai fini della definizione del proprio progetto professionale. Mettere in risalto quanto questa presentazione abbia consentito di conoscere già un po’ di più le persone e di mettere in comune qualche pezzetto di ognuno per iniziare a sentirsi gruppo.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Cosa mi piace Esercitazione B

Obiettivi Avviare la relazione di ciascuno con i conduttori e con gli altri partecipanti e favorire il processo di socializzazione. Favorire l’emergere della struttura del gruppo creando un terreno comune a partire dalla condivisione di elementi che riguardano i vissuti individuali. Durata 1h e 30’ Strumenti � Foglio della lavagna a fogli mobili in cui è riportata la traccia di

autopresentazione. Modalità Fase I: Presentazione degli operatori Presentazione degli operatori coinvolti attraverso brevi riferimenti alla propria storia personale e professionale, esplicitazione delle proprie aspettative verso il percorso intrapreso, racconto di alcuni aspetti di sé sulla base della traccia esposta sulla lavagna. Ad esempio: � La cosa che mi piace di più fare � Tre aggettivi che mi descrivono � Ciò che non vorrei mai sentirmi dire � Un oggetto che mi rappresenta � ……

Fase II: Presentazione dei partecipanti Invitare ciascun membro del gruppo a presentarsi fornendo qualche cenno sulla sua vita personale e professionale (esperienze di vita, studio e lavoro) e raccontando qualcosa di sé in base alla traccia che l’operatore ha esposto sulla lavagna. Il conduttore ricorda inoltre ai partecipanti che il Diario si apre proprio con una pagina dedicata alla composizione del gruppo di lavoro (i

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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“compagni di viaggio”), e li invita ad appuntare nome ed eventuali note relative a ciascun partecipante. Fase III: Discussione Evidenziare la grande varietà di elementi emersi e sottolineare la ricchezza legata alla diversità delle persone in un gruppo. Mettere in risalto quanto questa presentazione abbia consentito di conoscere già un po’ di più le persone e di mettere in comune qualche pezzetto di ognuno per iniziare a sentirsi gruppo. Rilevare se nelle diverse presentazioni sono emersi elementi che afferiscono all’area della formazione e dello studio, all’area del lavoro, a quella della vita personale. Indicare come esiste una stretta connessione tra eventi della vita privata e della vita lavorativa, come siano importanti fattori relativi a come noi stessi ci vediamo, a cosa ci piace e non ci piace e sottolineare come tutte queste dimensioni saranno presenti durante tutto il percorso in funzione del riconoscimento e della valorizzazione delle esperienze vissute e delle competenze sviluppate ai fini della definizione del proprio progetto professionale.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Modulo 2 – IL FUTURO Unità 2.1.

Principali dimensioni di analisi: aspirazioni e desideri, emozioni, interessi, valori, prospettiva temporale.

La lampada di Aladino Esercitazione A

Obiettivi L’esercitazione si propone di: - sollecitare l’area del desiderio come propedeutica ad una progettualità

lavorativa - introdurre i partecipanti alla dimensione di gruppo - avvicinare i partecipanti alla metodologia proposta (per analogia

rispetto al lavoro futuro) Durata 2h Strumenti � Un set di post-it di colori diversi per ciascun partecipante � ALLEGATO 3: Griglia di analisi delle caratteristiche dei desideri � ALLEGATO 4: Il tabellone “L’albero dei mestieri” � ALLEGATO 5: Il mio desiderio Modalità Fase I: La formulazione dei desideri (tempo: 15 minuti) Dopo una breve introduzione sul significato del “sogno” e del “desiderio”, accompagnata da esempi, si propone ai partecipanti di pensare ad alcuni desideri che ciascuno di loro vorrebbe realizzare nella vita professionale. E’ importante che il conduttore chiarisca che i desideri non necessariamente corrispondono ad un obiettivo lavorativo (di tipo pragmatico, concreto, realistico, ...): in questa fase il sogno corrisponde ad una idea desiderabile che, nel corso del progetto di orientamento, si proverà a trasformare in un obiettivo lavorativo perseguibile attraverso

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un progetto, estrapolandone le caratteristiche più importanti per il soggetto. Attraverso un breve brainstorming ciascun partecipante individua 3-4 desideri (es. fare la ballerina, aprire un vivaio, etc.) e li trascrive su dei foglietti colorati che applica su una pagina del Diario. Si invitano i partecipanti ad individuare, attraverso una breve riflessione, il desiderio che in questo momento della loro vita sentono più importante-desiderabile. Fase II: I gruppi di consulenza (tempo: 1h e 15’) L’orientatore spiega ai partecipanti in che modo verranno trattati questi desideri: divisi in sottogruppi (di 4-6 partecipanti) a turno ciascun partecipante avrà modo di raccontare il proprio sogno/desiderio e di ricevere una consulenza da parte del gruppo. I partecipanti che svolgono il ruolo di consulenti formulano delle domande seguendo una griglia con delle domande guida (ALLEGATO 3: Griglia di analisi delle caratteristiche dei desideri) che servono a facilitare il processo di esplorazione e di rilettura sogno. Ad esempio se nel sogno/desiderio si parlava di “un aviatore che ...”, alcune caratteristiche potrebbero essere la propensione al rischio, un lavoro di tipo individuale, il dinamismo, la rilevanza di competenze tecnico-specialistiche, ecc.). Il conduttore, mentre presenta la griglia, la trascrive sulla lavagna a fogli mobili in modo che il gruppo ne abbia memoria durante la discussione. Questa fase viene seguita da entrambi i conduttori, che girano tra i gruppi di consulenza e facilitano l’analisi dei desideri. La consulenza dovrebbe portare alla riformulazione del sogno rendendolo più perseguibile attraverso 1) la sua definizione/riduzione rispetto a parametri di realtà (es. fare la ballerina � gestire una scuola di danza), 2) l’individuazione di dimensioni trasversali (categorie) che possono essere applicate ad “oggetti” diversi conservando lo stesso livello di desiderabilità per il soggetto (es. fare la ballerina � fare una lavoro in cui si usa il corpo, che dà visibilità, a contatto con la musica, …). Si propone cioè di bilanciare gli aspetti di utopia (sogni “troppo” grandi) con quelli di impotenza (nessun sogno), legittimando la possibilità di sognare, definita come espressione di un desiderio che può avere ancoraggi con la realtà. I partecipanti si alternano nel ricevere la consulenza ogni 20’ circa. Al termine della consulenza ciascun partecipante trascrive il proprio desiderio sul Diario di viaggio e riporta (su dei post-it) quelle

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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caratteristiche trasversali che, individuate nella fase di consulenza, danno significatività del desiderio (ALLEGATO 5: Il mio desiderio). Fase III: L’albero dei mestieri (durata: 40’) Questa fase si propone di a) facilitare i partecipanti nel definire un’area professionale che faccia da cornice all’individuazione di un obiettivo specifico; b) esplicitare un’assunzione di responsabilità da parte dei partecipanti che formalizzano il loro impegno di fronte al resto del gruppo. Terminata la fase di consulenza si torna in plenaria. L’orientatore avrà intanto sistemato su una parete dell’aula un tabellone (ALLEGATO 4: Il tabellone “L’albero dei mestieri”). Ciascun partecipante colloca il proprio desiderio sull’albero, raccontando brevemente il desiderio stesso ed alcune delle considerazioni che sono emerse nella consulenza. Completato il tabellone l’orientatore può sollecitare la riflessione del gruppo sull’insieme dei desideri espressi e sulla loro rappresentazione del loro futuro professionale, ad esempio formulando alcune domande quali: cosa vi pare di questi sogni? quanto avete “osato” sognare? quanto sono perseguibili? sono sogni che erano da tempo nel cassetto o sono nuovi sogni? quale è stato il contributo del gruppo nell’immaginarli? Per concludere, l’orientatore farà alcune riflessioni sull’insieme dei sogni che sono stati espressi, evidenziandone gli aspetti di similitudine, di differenza, di realizzabilità... In particolare, avrà cura di evidenziare le aree professionali in cui si colloca ciascun sogno, creando eventuali aggregazioni. Terrà memoria, inoltre, della collocazione dei singoli desideri nelle diverse aree professionali in quanto potrà successivamente utilizzare questa informazione nella costituzione dei sottogruppi (facilitando, ad esempio, l’incontro tra persone con desideri afferenti nella stessa area).

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 3 Strumento per le attività d’aula

Griglia di analisi delle caratteristiche dei desideri I partecipanti che a turno, nei sottogruppi, svolgono il ruolo di consulenti formulano domande seguendo la griglia di seguito proposta, per facilitare il processo di esplorazione e di ri-lettura dei sogni-desideri in funzione della successiva definizione di un obiettivo professionale. Possibili aree di esplorazione dei sogni-desideri sono: � LE CARATTERISTICHE DEL DESIDERIO

- Come è possibile definire il desiderio? - Cosa lo compone? - Quali elementi o fattori lo caratterizzano?

� LE MOTIVAZIONI

- Perché è importante? - Che “valore” ha questo sogno? - Cosa spinge a desiderare di realizzarlo?

� SIGNIFICATO

- Che origine ha il desiderio? - Come si rapporta alla storia di vita del “sognatore”?

� PAURE E RISCHI

- Quali difficoltà sono legate alla realizzazione? - Cosa ha ostacolato finora la sua realizzazione?

� ASPETTATIVE

- Come immagina di diventare il “sognatore” una volta che ha realizzato il desiderio? - Come/in cosa cambierebbe la sua vita?

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 4 Strumento per le attività d’aula

Il Tabellone “L’albero dei mestieri”

a a

a a

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CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 5 Strumento per le esercitazioni d’aula

Il mio desiderio

.....................

IL MIO DESIDERIO È:

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 6 Strumento per il conduttore

Esempi di pagine del Diario di viaggio: il desiderio professionale e le caratteristiche implicite che potrebbero emergere in fase di consulenza.

Lavorare con i bambini

Non essere dipendente Esprimere

la mia creatività

Vorrei gestire un nido privato

Mettere a frutto una competenza già acquisita Avere

contatti con le persone

Gestire delle persone

IL MIO DESIDERIO È:

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Il rischio

Conoscere posti nuovi

Sentirmi libero e lavorare

Vorrei essere pilota di aerei

Maneggiare una macchina sofisticata

Andare via da questa città

IL MIO DESIDERIO È:

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Fare cose che mi piace fare

per me

Essere in contatto con la gente

Aumentare le mie

conoscenze

Vorrei fare l’estetista

Lavoro autonomo

Avere a che fare con la

moda

IL MIO DESIDERIO È:

Lavorare nel campo del benessere

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Il sogno Esercitazione B

Obiettivi L’esercitazione, attraverso la realizzazione di un focus group, si propone di: - sollecitare l’area del desiderio come propedeutica ad una progettualità

lavorativa - introdurre i partecipanti alla dimensione di gruppo - avvicinare i partecipanti alla metodologia proposta (per analogia

rispetto al lavoro futuro) Durata 2h Strumenti � Un set di cavalieri � ALLEGATO 7: Il tabellone “L’albero dei mestieri” � ALLEGATO 8: Il mio desiderio Modalità Fase I: La formulazione dei desideri (tempo: 15 minuti) Dopo una breve introduzione sul significato del “sogno” e del “desiderio”, accompagnata da esempi, si propone ai partecipanti di pensare ad alcuni desideri che ciascuno di loro vorrebbe realizzare nella vita professionale. E’ importante che il conduttore chiarisca che i desideri non necessariamente corrispondono ad un obiettivo lavorativo (di tipo pragmatico, concreto, realistico, ...): in questa fase il sogno corrisponde ad un’idea desiderabile che, nel corso del progetto di orientamento, si proverà a trasformare in un obiettivo lavorativo. L’obiettivo – a differenza del sogno – costituisce una meta perseguibile attraverso un progetto, che tuttavia conserva in sé gli aspetti significativi del sogno, avendone estrapolate le caratteristiche più importanti per il soggetto. Dopo alcuni minuti di riflessione ogni partecipante scrive su un cavaliere davanti a sé il suo sogno professionale.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Fase II: Partendo dal sogno di un primo partecipante ogni persona del gruppo può rivolgere domande al soggetto/sogno considerato al fine di facilitare il processo di esplorazione del sogno e di ri-lettura in funzione della definizione di un obiettivo professionale. Le domande sono lasciate all’iniziativa dei partecipanti ma, un caso di necessità, i conduttori possono intervenire ponendo anche loro domande per sondare aree quali: � LE CARATTERISTICHE DEL DESIDERIO Come è possibile definire il desiderio? Cosa lo compone? Quali elementi o fattori lo caratterizzano?

� LE MOTIVAZIONI Perché è importante? Che “valore” ha questo sogno? Cosa spinge a desiderare di realizzarlo?

� SIGNIFICATO Che origine ha il desiderio? Come si rapporta alla storia di vita del “sognatore”?

� PAURE E RISCHI Quali difficoltà sono legate alla realizzazione? Cosa ha ostacolato finora la sua realizzazione?

� ASPETTATIVE Come immagina di diventare il “sognatore” una volta che ha realizzato il desiderio? Come/in cosa cambierebbe la sua vita? Al termine del focus ciascun partecipante trascrive il proprio desiderio sul Diario di viaggio e riporta (su dei post-it) quelle caratteristiche trasversali che, individuate nella fase di focus, danno significatività del desiderio (ALLEGATO 8: Il mio desiderio). Fase III: L’albero dei mestieri (durata: 30’) Questa fase si propone di a) definire un’area professionale che faccia da cornice all’individuazione di un obiettivo specifico, b) esplicitare un’assunzione di responsabilità da parte dei partecipanti che formalizzano il loro impegno di fronte al resto del gruppo.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Ciascun partecipante, infatti, colloca il proprio desiderio all’interno di un’area professionale, raccontando brevemente il desiderio stesso ed alcune delle considerazioni che sono emerse nella consulenza. Terminata la fase di consulenza si torna in plenaria. L’orientatore avrà intanto sistemato su una parete dell’aula un tabellone (ALLEGATO 7: Il tabellone “L’albero dei mestieri”). Ciascun partecipante colloca il proprio desiderio sull’albero, raccontando brevemente il desiderio stesso ed alcune delle considerazioni che sono emerse nella consulenza. Completato il tabellone l’orientatore può sollecitare la riflessione del gruppo sull’insieme dei desideri espressi e sulla loro rappresentazione del loro futuro professionale, ad esempio formulando alcune domande quali: cosa vi pare di questi sogni? quanto avete “osato” sognare? quanto sono perseguibili? Sono sogni che erano da tempo nel cassetto o sono nuovi sogni? quale è stato il contributo del gruppo nell’immaginarli? Per concludere, l’orientatore farà alcune riflessioni sull’insieme dei sogni che sono stati espressi, evidenziandone gli aspetti di similitudine, di differenza, di realizzabilità... In particolare, avrà cura di evidenziare le aree professionali in cui si colloca ciascun sogno, creando eventuali aggregazioni. Terrà memoria, inoltre, della collocazione dei singoli desideri nelle diverse aree professionali in quanto potrà successivamente utilizzare questa informazione nella costituzione dei sottogruppi (facilitando, ad esempio, l’incontro tra persone con desideri afferenti nella stessa area).

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 7 Strumento per le attività d’aula

Il Tabellone “L’albero dei mestieri”

a a

a a

a

a

a

a

a

a

aa

a

a

a

a

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ALLEGATO 8 Strumento per le esercitazioni d’aula

Il mio desiderio

IL MIO DESIDERIO È:

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Modulo 3 – IO NEL CONTESTO Unità 3.1.

Principali dimensioni di analisi: stili di attribuzione, emozioni, strategie di coping.

Situazioni in gioco

Esercitazione A

Obiettivi L’esercitazione – un gioco per scoprire, di fronte alle situazioni, cosa si prova, che spiegazioni sono date e come vengono affrontate – si propone come finalità di: - favorire la conoscenza dei partecipanti relativamente alla modalità di

lettura, alla reazione emotiva e alle modalità comportamentali di fronteggiamento delle situazioni;

- stimolare il confronto fra le diverse modalità emotive, cognitive e comportamentali che emergono nel gruppo.

Nello specifico, ogni giocatore deve raccontare la propria storia rispetto a situazioni specifiche, avvicinandosi il più possibile al proprio modo di essere, di sentire e di fronteggiare le situazioni, “costruendo” attraverso le carte a disposizione due “poker” (4 x 2 = 8 carte in tutto) che siano rappresentativi di sé. Allo stesso tempo ogni giocatore costruirà un proprio “Cestino” dove scarterà le carte che rappresentano emozioni e comportamenti che non gli appartengono

Tempo: 2 h

Strumenti Il kit completo del gioco comprende: � ALLEGATO 12: Un libretto con le istruzioni ad uso del conduttore � ALLEGATO 13: Mazzo di 251 carte da gioco di cui:

- 24 carte di QUADRI (ciascuna carta contiene una situazione diversa per un totale di 24 situazioni)

- 80 carte di CUORI (8 set da 10 carte di CUORI; ciascuna carta corrisponde a una emozione)

- 75 carte di PICCHE (5 set da 15 carte di PICCHE per ciascuno dei 5 stili attribuzionali – impegno, abilità, altri, fortuna, difficoltà del compito – sono previste 3 alternative).

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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- 72 carte di FIORI (6 set da 12 carte di FIORI per ciascuno dei 4 stili di coping – aiuto, evitamento, fronteggiamento, autocritica – sono previste 3 alternative)

Modalità 1. Giocatori e ruoli Il gioco può essere svolto da giocatori dai 16 anni in poi, in numero minimo di 5 e massimo di 8. E’ inoltre richiesto 1 mazziere (il conduttore). Qualora il gruppo fosse più numeroso si possono prevedere due sessioni parallele oppure prevedere la figura dell’osservatore fino ad un massimo di 8 osservatori, secondo il seguente schema:

PARTECIPANTI GIOCATORI OSSERVATORI da 5 a 8 tutti -

9 6 3 10 7 3

da 11 in poi 8 i restanti La consegna per gli osservatori può essere quella di guardare, ognuno o per gruppi, le carte dello stesso seme oppure di osservare, ognuno o per gruppi, le mosse di un certo numero di giocatori.

2. Prima del gioco Il mazziere predispone 4 mazzi di carte divisi per seme e mescolati separatamente. La numerosità dei singoli mazzi varia in relazione al numero dei partecipanti secondo il seguente schema:

QUADRI set di 24 carte

CUORI set di 10 carte

FIORI set di 15 carte

PICCHE set di 12 carte

5 giocatori 1 5 3 4 6 giocatori 1 6 4 5 7 giocatori 1 7 5 6 8 giocatori 1 8 5 6

I mazzi di carte (uno per ogni seme) restano separati l’un l’altro per tutta la durata del gioco e saranno opportunamente mischiati dal mazziere separatamente.

3. Svolgimento del gioco Il conduttore gestisce il gioco seguendo le istruzioni contenute nell’ALLEGATO 12: Libretto con le istruzioni per il conduttore.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 12 Strumento per il conduttore

Libretto con le istruzioni per il conduttore Modalità di svolgimento del gioco:

Fase I Il mazziere spiega ai partecipanti l’obiettivo del gioco: a partire da una situazione immaginaria ma realistica, “costruire” la descrizione più fedele possibile di sé, dei propri comportamenti e del proprio modo di essere, utilizzando gli esempi di risposta proposti nelle carte a disposizione. Le descrizioni così ottenute aiuteranno i membri del gruppo ad analizzare i propri comportamenti e modi tipici di affrontare le situazioni della vita, e a riflettere sulle modalità che le persone possono utilizzare per gestire situazioni complesse. Va evidenziato che si tratta di piccoli eventi “critici” con cui, potenzialmente, ciascuno di noi si confronta quotidianamente e che comportano vissuti emotivi di tipo “negativo” e la necessità di attivare strategie di fronteggiamento più o meno adeguate/efficaci. Successivamente distribuisce ad ogni giocatore 3 carte di quadri con la consegna di scartare, nel cestino personale (virtuale), la situazione che meno lo rappresenta e quindi di collocare davanti a lui, sul tavolo, le rimanenti due carte. Fase II Il mazziere, dopo aver comunicato che lo scopo di questa seconda fase del gioco è quella di rispondere alla domanda “cosa provo di fronte alle situazioni scelte?”, distribuisce a ciascuno dei giocatori, una alla volta, 5 carte di CUORI. La consegna, questa volta, è di calarsi nelle situazioni e di scegliere le due emozioni (una per ciascuna delle due situazioni) che si prestano maggiormente a descrivere i sentimenti provati. Dopo che i giocatori hanno valutato la possibilità di cambiare nessuna, alcune o tutte le carte ricevute, il mazziere, seguendo il giro, fornisce ai giocatori che ne fanno richiesta nuove carte che prenderà dal mazzo. Delle 5 carte così ottenute il giocatore, così come ha fatto per le carte di quadri, scarta nel proprio cestino la carta che rappresenta l’emozione che meno si presta, quella più lontana. Le due emozioni scelte vengono quindi messe sul tavolo associate alle situazioni precedenti. Fase III Il mazziere, dopo aver comunicato che lo scopo di questa terza fase del gioco è quella di rispondere alla domanda “perché è successo?” (attribuzione), distribuisce a ciascuno dei giocatori, una alla volta, 5 carte di PICCHE. La consegna è di calarsi nelle situazioni e di scegliere le due

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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possibili risposte che si prestano maggiormente a spiegare la situazione. Delle 5 carte il giocatore – così come ha fatto per le carte di QUADRI e di CUORI – scarta nel proprio cestino la carta che rappresenta la spiegazione più lontana. Dopo che i giocatori hanno valutato la possibilità di cambiare nessuna, una, due, tre o tutte e quattro le carte di PICCHE rimaste, il mazziere, seguendo il giro, fornisce ai giocatori che ne fanno richiesta nuove carte che prenderà dal mazzo e raccoglierà gli scarti dei giocatori, tenendole da parte. Le due spiegazioni scelte vengono quindi messe sul tavolo associate alle situazioni e alle emozioni precedenti. Fase IV Il mazziere, dopo aver comunicato che lo scopo di questa terza fase del gioco è quella di rispondere alla domanda “come affronto la situazione?” (coping), distribuisce a ciascuno dei giocatori, una alla volta, 5 carte di FIORI. La consegna è di calarsi nelle situazioni e di scegliere le due possibili strategie di fronteggiamento della situazione più vicine alla situazione, secondo il punto di vista del partecipante. Delle 5 carte il giocatore, così come ha fatto per le carte di QUADRI, di CUORI e di PICCHE, scarta nel proprio cestino la carta che rappresenta lo stile di fronteggiamento più lontano. Dopo che i giocatori hanno valutato la possibilità di cambiare nessuna, una, due, tre o tutte e quattro le carte di FIORI rimaste, il mazziere, seguendo il giro, fornisce ai giocatori che ne fanno richiesta nuove carte che prenderà dal mazzo e raccoglierà gli scarti dei giocatori, tenendole da parte. Le due carte di FIORI scelte vengono quindi messe sul tavolo associate alle situazioni, alle emozioni e alle spiegazioni precedenti. Fase V A questo punto, ogni giocatore avrà di fronte a sé due “poker” di 4 carte (situazione, emozione, attribuzione, coping) ed un cestino personale con le 4 carte scartate. Il conduttore chiederà a ciascun giocatore di descrivere, nell’ordine, prima le carte contenute nel proprio cestino, cercando di motivarne la scelta; successivamente di descrivere, tra i due poker, quello che più rappresenta il proprio modo di essere, organizzando così un racconto organico e personale, che possa rispondere alla 3 domande formulate durante il gioco (cosa provo, perché è successo, come affronto la situazione). Fase VI Il conduttore, sentiti gli eventuali osservatori, attiverà, a questo punto, la discussione di gruppo, con l’obiettivo di identificare le diverse modalità di fronteggiamento in termini emotivi, cognitivi e comportamentali, individuando aspetti comuni e discrepanti in relazione alle diverse situazioni e al gruppo.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 13

Strumento per il conduttore Descrizione del mazzo di carte (*) 24 Carte di quadri – situazioni

1. Sono in riunione e non riesco a comunicare con i miei colleghi 2. Non riesco a inserirmi nel mio nuovo gruppo di amici 3. Vorrei andare al cinema ma nessuno vuole venire con me 4. Sono ad un esame. Mi hanno fatto una domanda a cui non so

rispondere 5. Non riesco a trovare un file importante che avevo salvato 6. Non riesco a completare il lavoro che sto facendo 7. Non riesco a rintracciare una persona che sto cercando da tempo 8. Ultimamente mi è capitato di prendere molte multe 9. Oggi mi è stato affidato un compito che non mi compete 10. Sto ristrutturando casa e ho superato la cifra che avevo

preventivato 11. Litigo spesso con il mio partner 12. Sono a cena fuori con i miei amici e mi sto annoiando 13. Rischio di essere trasferito in una sede lontana 14. Ho dimenticato di avere un appuntamento 15. Sto per perdere il treno 16. Non riesco a trovare i biglietti del concerto a cui vorrei andare 17. Ho comprato un vestito che non mi piace 18. Ho difficoltà a fare accettare le mie idee ai colleghi con cui lavoro 19. Al lavoro sono stato nominato responsabile di un settore di cui non

mi sento esperto 20. I miei colleghi hanno tentato di screditarmi davanti al capo 21. Sono arrivato in ritardo ad una importante riunione con il mio capo 22. I colleghi con cui lavoro sono diffidenti nei miei confronti 23. Non sono a conoscenza di alcuni cambiamenti importanti sul lavoro 24. Ho dimenticato il compleanno di un mio familiare

(*) Il mazzo di carte è contenuto nel CD allegato al volume e può essere stampato utilizzando i file in formato pdf.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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80 Carte di cuori – emozioni

1. Rabbia 2. Preoccupazione 3. Angoscia 4. Indifferenza 5. Calma 6. Delusione 7. Ansia 8. Fastidio 9. Imbarazzo 10. Dispiacere

75 Carte di picche – attribuzioni

Altri: 1. Non sono stato aiutato

2. Nessuno mi ha aiutato 3. Nessuno mi ha dato una mano

Difficoltà del compito:

4. Era molto difficile 5. Sicuramente non era facile 6. Era proprio complicato

Abilità:

7. Non sono stato capace 8. Sono proprio incapace 9. Non sono capace in queste cose

Impegno:

10. Non mi sono impegnato 11. Non ho dato il massimo 12. Non mi sono sforzato più di tanto

Sfortuna: 13. Sono molto sfortunato 14. La fortuna non mi ha assistito 15. La solita sfortuna

72 Carte di fiori – coping

Fronteggiamento:

1. Mi fermerei ad analizzare il problema 2. Cercherei le possibili soluzioni 3. Cercherei di superare l’inconveniente

Autocritica:

4. E’ colpa mia 5. Mi rassegnerei 6. Sono il solito distratto

Evitamento:

7. Non ci penserei 8. Ignorerei il problema 9. Farei finta di nulla

Aiuto:

10. Mi farei dare una mano 11. Chiamerei un amico 12. Cercherei aiuto negli altri

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Come affrontiamo le situazioni Esercitazione B

Obiettivi Le finalità sono: - favorire la conoscenza dei partecipanti relativamente alla modalità di

lettura, alla reazione emotiva e alle modalità comportamentali di fronteggiamento delle situazioni;

- stimolare il confronto fra le diverse modalità emotive, cognitive e comportamentali che emergono nel gruppo.

Tempo: 2 h Strumenti � ALLEGATO 14: La bussola delle emozioni � ALLEGATO 15: Le situazioni � ALLEGATO 16: Schede delle situazioni (3 per ciascun partecipante) Modalità Giocatori e ruoli Il gioco può essere svolto da un numero minimo di 8 e massimo di 15 partecipanti. Il conduttore gestisce il gioco. Fase I (tempo: 10’) Il conduttore introduce l’esercitazione esplicitandone gli obiettivi e le modalità operative: a partire da una situazione immaginaria ma realistica, “costruire” la descrizione più fedele possibile di sé, dei propri comportamenti e del proprio modo di essere, utilizzando la “bussola delle emozioni” e gli esempi di risposta forniti nelle Schede. Le descrizioni così ottenute aiuteranno i membri del gruppo ad analizzare i propri comportamenti e modi tipici di affrontare le situazioni della vita, e a riflettere sulle modalità che le persone possono utilizzare per gestire situazioni complesse. Va evidenziato che si tratta di piccoli eventi “critici” con cui, potenzialmente, ciascuno di noi si confronta quotidianamente e che comportano vissuti emotivi di tipo “negativo” e la necessità di attivare strategie di fronteggiamento più o meno adeguate/efficaci.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Quindi consegna ad ogni partecipante, seduto intorno ad un tavolo, il set con le 3 schede. Colloca la bussola delle emozioni al centro del tavolo così che possa essere visibile e a disposizione di tutti (ALLEGATO 14). Fase II (tempo: 15’) Il conduttore scrive sulla lavagna a fogli mobili le 5 situazioni prescelte nell’ambito delle 24 proposte in ALLEGATO 15: Le situazioni. Legge le situazioni trascritte, evidenziando come si tratti di situazioni critiche astratte e che tuttavia possono essere capitate a ciascuno di noi. Invita i partecipanti a pensare a situazioni della loro esperienza reale in cui si sono trovati in difficoltà e, in relazione a ciò, a scegliere 3 situazioni che, tra quelle proposte, sentono più vicine a sé. Il conduttore invita dunque ciascun partecipante a segnare su ciascuna delle 3 Schede che ha disposizione (ALLEGATO 16: Schede delle situazioni) la situazione scelta e le proprie risposte seguendo le istruzioni riportate sulla scheda. Fase III (tempo: 15’) Il conduttore legge la prima situazione-stimolo riportata sulla lavagna e invia i partecipanti che l’hanno scelta a leggere e motivare le proprie scelte. Il conduttore può facilitare la presentazione delle schede formulando alcune domande aperte, quali: qual è il ruolo giocato dalle emozioni nel determinare l’andamento degli eventi? che rapporto c’è tra le emozioni, le cause individuate e il comportamento adottato? è capitato altre volte qualcosa di simile? ecc. Fase IV (tempo: 15’) Si ripete quanto fatto nella fase II per ciascuna delle rimanenti 4 situazioni-stimolo. Fase V (tempo: 20’) Il conduttore attiverà, a questo punto, la discussione di gruppo, con l’obiettivo di identificare le diverse modalità di fronteggiamento in termini sia emotivi, sia cognitivi, sia comportamentali, individuando aspetti comuni e discrepanti in relazione alle diverse situazioni e al gruppo. Nel chiudere l’esercitazione evidenzierà come la scelta della strategia abbia effetti significativi sulla possibilità di gestione e soluzione della situazione, e come queste situazioni astratte possono essere generalizzate a situazioni reali e concrete (ci sono “ricorrenze”? che significato assumono?). Ulteriori riflessioni possono essere dedicate ad ipotizzare come gli elementi emersi possano essere spesi efficacemente nella definizione di un progetto di inserimento professionale.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 14

Strumento per le attività d’aula

La bussola delle emozioni

LL AA BBUUSSSSOOLL AA DDEELL LL EE EEMM OOZZII OONNII

EEMM OOZZII OONNII

TRANQUILLITÀ

CALMA

SPERANZA

PIACERE

EUFORIA

GIOIA

FELI CITÀ

ALLEGRIA

AMORE

ENTUSIASMO

INFELICITÀ

DOLORE

DISPIACERE

ANGOSCIA

SPAVENTO

PAURA

PREOCCUPAZIONE

TRISTEZZA

TERRORE PANICO

COMMOZIONE

CURIOSITÀ

SORPRESA

STUPORE

DIFFIDENZA

PERPLESSITÀ

IMBARAZZO

VERGOGNA

COLPA

DELUSIONE

RABBIA

FASTIDIO

ODIO

OSTILITÀ

RANCORE

DISGUSTO

NOIA

INDIFFERENZA

INVIDIA

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 15

Strumento per il conduttore Le situazioni 1. Sono in riunione e non riesco a comunicare con i miei colleghi 2. Non riesco a inserirmi nel mio nuovo gruppo di amici 3. Vorrei andare al cinema ma nessuno vuole venire con me 4. Sono ad un esame. Mi hanno fatto una domanda a cui non so

rispondere 5. Non riesco a trovare un file importante che avevo salvato 6. Non riesco a completare il lavoro che sto facendo 7. Non riesco a rintracciare una persona che sto cercando da tempo 8. Ultimamente mi è capitato di prendere molte multe 9. Oggi mi è stato affidato un compito che non mi compete 10. Sto ristrutturando casa e ho superato la cifra che avevo preventivato 11. Litigo spesso con il mio partner 12. Sono a cena fuori con i miei amici e mi sto annoiando 13. Rischio di essere trasferito in una sede lontana 14. Ho dimenticato di avere un appuntamento 15. Sto per perdere il treno 16. Non riesco a trovare i biglietti del concerto a cui vorrei andare 17. Ho comprato un vestito che non mi piace 18. Ho difficoltà a fare accettare le mie idee ai colleghi con cui lavoro 19. Al lavoro sono stato nominato responsabile di un settore di cui non

mi sento esperto 20. I miei colleghi hanno tentato di screditarmi davanti al capo 21. Sono arrivato in ritardo ad una importante riunione con il mio capo 22. I colleghi con cui lavoro sono diffidenti nei miei confronti 23. Non sono a conoscenza di alcuni cambiamenti importanti sul lavoro 24. Ho dimenticato il compleanno di un mio familiare

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 16

Strumento per le attività d’aula

Schede delle situazioni

SITUAZIONE SCELTA “ .............................................................................. ”

1. CHE COSA PROVI? Rispetto alla situazione che ti è stata appena proposta indica qui di seguito l’emozione prevalente che provi, aiutandoti, se lo ritieni opportuno, con la bussola posta al centro del tavolo. Indica una sola emozione.

………………………………………… 2. PERCHE’ E’ SUCCESSO? Segna (con una x), tra le 15 voci proposte, quella che maggiormente spiega, secondo il tuo punto di vista, la causa che può aver determinato la situazione. Segna una sola voce.

o La solita sfortuna o Non sono stato aiutato o Sono proprio incapace o Non ho dato il massimo o Era proprio complicato o Non mi sono sforzato più di tanto o Non sono capace in queste cose o Sicuramente non era facile o La fortuna non mi ha assistito o Non sono stato capace o Nessuno mi ha aiutato o Non mi sono impegnato o Sono molto sfortunato o Era molto difficile o Nessuno mi ha dato una mano

3. COSA FARESTI? Segna (con una x), tra le 12 voci proposte, quella che maggiormente si avvicina al tuo comportamento. Segna una sola voce.

o Mi rassegnerei o Cercherei aiuto negli altri o Non ci penserei o Mi fermerei ad analizzare il problema o Chiamerei un amico o E’ colpa mia o Sono il solito distratto o Cercherei di superare l’inconveniente o Ignorerei il problema o Cercherei le possibili soluzioni o Farei finta di nulla o Mi farei dare una mano

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ss ee cc oo nn dd aa gg ii oo rr nn aa tt aa

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Modulo 3 – IO NEL CONTESTO Unità 3.2.

Principali dimensioni di analisi: gestione delle situazioni critiche, emozioni, strategie di coping.

La narrazione. Analisi di casi lavorativi

Obiettivi Stimolare l’analisi critica di una situazione, ampliare la comprensione del contesto e della propria relazione con il contesto, incrementare la capacità di leggere la realtà. Con il metodo dei casi nella forma qui presentata di “autocasi”, si propone ai partecipanti una ridefinizione della propria esperienza concreta, della propria situazione-problema cercando di fornire gli strumenti per elabo-rare la propria realtà. Nota: Si tratta di una esercitazione complessa, che richiede un sufficiente af-fiatamento all’interno del gruppo ed un clima positivo, in cui i partecipanti sono disposti a mettersi in gioco in prima persona. L’esercitazione non è in-fatti una simulazione ma si fonda su un livello interpretativo di situazioni personali. Per questo motivo il suo utilizzo è a discrezione del conduttore, che valuterà l’opportunità di svilupparla o meno. Tempo 2h e 30’ Modalità Il conduttore può aprire la giornata stimolando una breve discussione sul lavoro del giorno precedente (quali emozioni? quali sensazioni? e così via). Fase I: Presentazione del lavoro (tempo: 10’) Gli “autocasi” sono costituiti da casi reali della vita lavorativa/personale dei partecipanti. In questo senso l’esercitazione costituisce un approfon-dimento della precedente, dove le situazioni critiche proposte erano un’astrazione generale.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Si propone ai partecipanti di esporre un proprio caso che risponda alle se-guenti caratteristiche: a) caso reale, cioè non inventato; b) caso aperto, cioè non ancora risolto; c) caso di difficile soluzione. Si intende di difficile soluzione un caso

quando al soggetto non sono chiari e comprensibili alcuni dati esterni o interni che lo riguardano oppure, pur apparendo chiari i dati, non si è in grado di prendere una decisione;

d) un caso di relazione riferito alla propria esperienza del mondo del la-voro: si intende una situazione lavorativa oppure, nel caso in cui i par-tecipanti siano inoccupati o disoccupati di lunga durata, una situa-zione che in senso più ampio fa riferimento al loro rapporto con il mondo del lavoro (es. un colloquio di selezione);

e) un caso animato da persone. L’invito è a narrare il caso presentando personaggi e dialoghi ed evitando una descrizione impersonale dei fatti e delle situazioni.

I partecipanti sono divisi in due sottogruppi, ad aggregazione spontanea, con l’invito ad esplicitare, all’interno di ciascun sottogruppo, un proprio caso e a sceglierne uno da presentare in plenaria. I partecipanti sono avvertiti che chi presenterà il caso sarà invitato a formulare, al termine della narrazione dei fatti, una richiesta di consu-lenza ai membri dell’altro sottogruppo. Tale richiesta viene infatti assunta dall’altro gruppo in veste di consu-lente, che viene invitato a “trattare” la specifica richiesta di consulenza formulata dal gruppo proponente. Fase II: Lavoro in sottogruppo (tempo: 30’) Viene svolto, in ambienti separati, dai due sottogruppi senza la presenza dello staff. Salvo particolari esigenze non si è soliti chiedere ai parteci-panti un resoconto di quanto discusso in sottogruppo. Compito di ciascun sottogruppo è confrontarsi sui casi di ciascun parteci-pante che abbiano le caratteristiche sopra esplicitate; e scegliere il caso di un partecipante che voglia presentare in plenaria il proprio caso e ricevere la consulenza. Fase III: Lavoro in plenaria (discussione del primo caso) (tempo: 50’) Tornati in plenaria, il conduttore spiega gli aspetti metodologici che gui-deranno il lavoro del gruppo di consulenti. Ad esempio: iniziare ad esplo-rare il problema formulando domande aperte (che cioè non contengano al proprio interno le opinioni di chi chiede o una risposta del tipo sì/no); prendere in considerazione non solo i contenuti del racconto ma anche la qualità delle relazioni e le emozioni presenti; passare in seguito a formu-lare delle ipotesi (più di una), che non siano consigli; e così via.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

112

Chiede quindi al primo sottogruppo chi presenterà il caso. Il partecipante che presenta il caso ha 10’ di tempo per raccontare detta-gliatamente la situazione critica. Al termine del racconto il conduttore chiede di formulare con chiarezza la richiesta di consulenza (ossia il problema specifico rimasto insoluto, la questione di maggiore criticità per il partecipante, l’aspetto della situa-zione che gli interesserebbe comprendere di più, etc.). Conclusa questa fase i consulenti, in 10’ di tempo, possono fare domande di approfondimento o chiarificazione della situazione e/o del contesto più generale, a cui tuttavia chi chiede la consulenza può scegliere di non ri-spondere. Completata la descrizione della situazione critica, chi riceve la consulenza non parla più e la parola passa al gruppo che inizia a testare ipotesi che possano servire alla comprensione della situazione. A turno, singolar-mente, chi tra i consulenti lo desideri può intervenire. Concluse le singole consulenze, chi presenta il caso può chiarire la propria posizione, puntualizzare, esprimere le proprie opinioni, etc. Al termine della consulenza del gruppo prende la parola lo staff che, se ri-tiene, può riprendere e sottolineare quanto formulato dal gruppo, intro-duce ulteriori elementi di ampliamento dell’analisi e spunti interpretativi. Si avrà cura comunque di non formulare suggerimenti comportamentali. Fase IV: Lavoro in plenaria (discussione del secondo caso) (tempo: 50’) Completata la prima consulenza, si passa alla seconda. Un membro del se-condo sottogruppo presenta il proprio caso e riceve la consulenza, secondo il medesimo schema della fase III. Fase V: Conclusioni (tempo: 10’) Il conduttore chiude l’esercitazione facendo un breve commento di debre-efing su alcuni elementi generali emersi dalle consulenze (es. vissuto di impotenza di fronte a situazioni critiche, sottovalutazione della dimen-sione interpersonale, importanza del creare relazioni di fiducia, elementi utilizzati per prendere decisioni, caratteristiche del contesto e come viene rappresentato, ecc.). Formula inoltre una breve riflessione metodologica rispetto al processo di soluzione dei problemi che i partecipanti (anche coloro che non hanno di-rettamente ricevuto la consulenza) potranno “trasferire” ad altre situa-zioni critiche della loro vita lavorativa.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

113

Modulo 4 –IL PROGETTO Unità 4.1.

Principali dimensioni di analisi: aspettative professionali, valori, concezione del lavoro.

Le caratteristiche del mestiere desiderato

Obiettivi L’esercitazione si propone di circoscrivere la scelta del partecipante verso un obiettivo professionale che servirà ad elaborare la costruzione del progetto di (ri)collocazione lavorativa. Se fino ad ora il percorso di orientamento ha sollecitato l’adozione di una prospettiva di tipo esplorativo, di apertura, in questa fase assume una forma convergente. Durata 1 h e 10’ Strumenti e materiali � ALLEGATO 17: Le caratteristiche del lavoro � ALLEGATO 18: I tre mestieri � ALLEGATO 19: Il mio obiettivo lavorativo � ALLEGATO 7: Tabellone “L’albero dei mestieri” � Post-it. Modalità Fase I: Le caratteristiche del lavoro (tempo: 15’) I partecipanti, individualmente e con il supporto – se richiesto – del conduttore, compilano l’ALLEGATO 17: Le caratteristiche del lavoro. Pensando al lavoro che in futuro vorrebbero svolgere, ciascuno individua le caratteristiche descrittive e “strutturali” del lavoro e fanno un’autovalutazione sulla base della griglia di riferimento. Fase II: I tre mestieri (tempo: 10’)

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Il conduttore invita i partecipanti a prendere in considerazione la scheda “I tre mestieri” (ALLEGATO 18), chiedendo a ciascun partecipante di indicare i tre mestieri che in prossimo futuro gli piacerebbe svolgere. Chiede loro di formulare le scelte tenendo in considerazione anche le informazioni emerse finora dal percorso di orientamento (le caratteristiche evinte dall’analisi del sogno lavorativo, le modalità personali di gestione delle situazioni problematiche, ...). In questa fase il conduttore avrà cura di evidenziare quanto già esplicitato in altre parti del percorso: il sogno professionale rappresenta un elemento di partenza, con caratteristiche di desiderabilità, realizzabilità e di valore emotivo diverse da quelle dell’obiettivo. Questo ultimo, tuttavia può conservarne alcune dimensioni significative, individuate attraverso l’analisi delle caratteristiche del sogno. Dunque l’obiettivo professionale è diverso dal sogno, ma in parte (ed in grado variabile) lo contiene. Fase III: Il mio obiettivo lavorativo (tempo: 5’) Ciascun partecipante valuta su una scala a tre passi (P= poco, A= abbastanza, M= molto) i tre mestieri prescelti, utilizzando le tre dimensioni proposte nell’ALLEGATO 19: � importanza: quale è il valore che il partecipante attribuisce al mestiere; � desiderabilità: in quale grado / con quanta intensità il partecipante desidera in futuro svolgere questo mestiere; � perseguibilità: quanto il partecipante considera realistica la possibilità di svolgere, in un prossimo futuro, il mestiere considerato. Invita infine i partecipanti ad utilizzare le valutazioni effettuate espri-mendo un’opzione soggettiva (una sola) considerando complessivamente le dimensioni indicate. In caso di dubbio, il conduttore rimanda ai partecipanti la responsabilità della decisione ultima, evitando di esprimere consigli. Può tuttavia ricordare che il percorso di orientamento è anche un percorso metodologico e che dunque lo stesso processo di costruzione del progetto attorno all’obiettivo prescelto potrà essere replicato sugli altri obiettivi dai partecipanti, in momenti successivi al percorso. Può inoltre evidenziare come lo spazio di orientamento sia un contesto protetto, in cui le riflessioni sono facilitate dalla presenza del gruppo di colleghi e del conduttore: per questo può essere utile scegliere in questa sede un obiettivo “sfidante” (eventualmente per giungere alla conclusione, attraverso l’elaborazione del progetto, che l’obiettivo è poco sostenibile), rimandando a riflessioni private la valutazione dei rimanenti obiettivi e relativi progetti.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Fase IV: L’albero dei mestieri (durata: 40’) Il conduttore commenta brevemente l’esercitazione precedente, evidenziando come il mestiere prescelto costituisce il futuro obiettivo professionale del partecipante e servirà da punto di riferimento per le attività di orientamento successive (valutazione delle forze, costruzione del progetto personale). Considera inoltre la possibilità che i mestieri non scelti possano in futuro essere presi nuovamente in considerazione (es. se la valutazione di fattibilità del primo progetto dovesse risultare inadeguata, o se i mestieri individuati appartengono tutti ad un’unica famiglia consentendo dunque delle “diramazioni” del progetto, ecc.). Invita dunque i partecipanti a collocare un post-it con il proprio obiettivo professionale sull’ “albero dei mestieri” (ALLEGATO 7) – accanto al proprio desiderio – descrivendolo brevemente al resto del gruppo (motivo della scelta rispetto agli altri due obiettivi esclusi, relazione con il desiderio, ...). In questa fase ai partecipanti del gruppo (o del sottogruppo) è chiesto di svolgere il ruolo di Avvocato del diavolo. A turno, e rapidamente, ciascun membro del gruppo esprime una riflessione critica sull’obiettivo proposto dal partecipante al fine di valutarne la perseguibilità (ed eventualmente di ridefinire l’obiettivo), di evidenziare gli aspetti di difficoltà da tenere presenti nella elaborazione del progetto, di dare voce e chiarire eventuali dubbi interni già presenti in chi presenta l’obiettivo, di rimandare aspetti di conoscenza di sé sviluppati durante il percorso, e così via. A conclusione del giro il partecipante accoglie le riflessioni senza replicare, valutando liberamente quali elementi utilizzare nel lavoro successivo per la definizione del proprio progetto ed eventualmente se ridefinire il proprio obiettivo (con uno dei due mestieri non scelti inizialmente o con un quarto ancora).

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 17

Strumento per le attività d’aula Le caratteristiche del lavoro

PENSANDO AL LAVORO CHE VORRESTI FARE, QUALI CARATTERISTICHE DOVREBBE AVERE?

Metti una crocetta su ogni caratteristica che ritieni importante per il lavoro che desideri svolgere. �A stare a contatto con il pubblico �A incontrare ogni giorno nuove persone �A lavorare con un gruppo di colleghi �A fare parte di un team unito �A essere di aiuto agli altri �A favorire lo sviluppo della collettività �B essere di successo / fare carriera �B ottenere il riconoscimento degli altri �B dirigere altre persone �B decidere per un gruppo di lavoro �B influenzare gli eventi dell’azienda �B decidere in piena autonomia �C avere la possibilità di imparare cose nuove �C aumentare le mie competenze �C avere prospettive di sviluppo professionale �C portare avanti progetti / idee interessanti �C realizzare cose di qualità �C garantire il buon livello dei risultati �D fare ogni giorno cose diverse �D poter cambiare luogo di lavoro, spostarsi �D usare il corpo, muoversi �D svolgere attività da definire di volta in volta �D avere orari di lavoro che possono cambiare nel tempo �D poter gestire flessibilmente gli orari di lavoro �E garantire personalmente dei risultati del proprio lavoro �E decidere, nell’ambito delle proprie competenze, cosa e come farlo �E sentirsi responsabili per quello che si fa �E definire da solo tempi e modi del proprio lavoro �E avere impegni / scadenze da rispettare �E esprimere scelte ed opzioni rispetto alle cose da fare

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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LE CARATTERISTICHE SOPRA ELENCATE SONO RAGGRUPPATE IN CINQUE AREE, CONTRASSEGNATE CIASCUNA DA UNA LETTERA (A, B, C, D, E) ACCANTO AL

QUADRATINO. PER CIASCUNA AREA, CALCOLA IL PUNTEGGIO OTTENUTO FACENDO LA SOMMA (DA

0 AD UN MASSIMO DI 6) DI TUTTE LE RISPOSTE CHE HAI SEGNATO CON UNA

CROCETTA. �A Area A: MOTIVAZIONE ALLE RELAZIONI

� � � Quest’area ha esplorato la tua motivazione alle relazioni. Se hai ottenuto un punteggio alto in quest’area probabilmente per te è importante trovare nel lavoro un clima accogliente e relazioni positive. E’ possibile che tu possa realizzarti professionalmente nell’ambito di mestieri che prevedono il contatto con il pubblico, la relazione con un gruppo di lavoro, un clima nell’azienda di tipo amichevole. �B Area B: MOTIVAZIONE AL SUCCESSO

� � � Quest’area ha esplorato la tua motivazione al successo. Se hai ottenuto un punteggio alto in quest’area probabilmente per te il lavoro può essere un modo per affermare il tuo ruolo nella società. E’ possibile che tu possa realizzarti professionalmente nell’ambito di organizzazioni che offrono possibilità di carriera o rivestendo ruoli con ampi margini di decisionalità. �C Area C: MOTIVAZIONE ALLA REALIZZAZIONE

� � � Quest’area ha esplorato la tua motivazione realizzativa. Se hai ottenuto un punteggio alto in quest’area probabilmente per te il lavoro può essere uno strumento per arricchirsi come persona. E’ possibile che tu possa realizzarti lavorativamente nell’ambito di professioni che consentono di fare cose nuove per aumentare le proprie conoscenze, che presentano margini di autonomia, che permettono di influire sulla qualità dei prodotti/servizi realizzati.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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�D Area D: ORIENTAMENTO AL DINAMISMO

� � � Quest’area ha esplorato il tuo orientamento al dinamismo. Se hai ottenuto un punteggio alto in quest’area probabilmente per te è importante che il lavoro presenti caratteristiche di flessibilità e mutevolezza. E’ possibile che tu possa realizzarti lavorativamente nell’ambito di mestieri che consentono di utilizzare dinamicamente mente e corpo, di sentirsi attivi (piuttosto che mestieri abitudinari). �E Area E: ORIENTAMENTO ALLA RESPONSABILITÀ

� � � Quest’area ha esplorato il tuo orientamento alla responsabilità. Se hai ottenuto un punteggio alto in quest’area probabilmente per te è importante svolgere un mestiere che ti consenta di avere piena responsabilità del tuo operato e di sentirti garante dei risultati che ottieni.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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PENSANDO AL LAVORO CHE VORRESTI FARE,

COSA SARESTI DISPOSTO A FARE?

NO SÌ SÌ, A CONDIZIONE CHE … (specificare)

Seguire una formazione

Lavorare da solo

Essere autonomo sul lavoro

Ricevere istruzioni precise

Imparare nuove tecniche

Lavorare all’esterno

Lavorare di notte

Lavorare a turni

Lavorare i fine settimana

Fare degli orari flessibili

Lavorare part-time

Accettare inizialmente un basso compenso, sapendo che poi potrà aumentare

Essere ricompensato a percentuale

Viaggiare / spostarmi

Trascorrere dei periodi lontano da casa

Altro: (specificare) …………………………

Altro: (specificare) …………………………

Altro: (specificare) …………………………

Altro: (specificare) …………………………

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 18

Strumento per le attività d’aula

I tre mestieri PENSANDO COMPLESSIVAMENTE AI TUOI DESIDERI E ALLE CARATTERISTICHE CHE IL TUO FUTURO LAVORO DOVREBBE O NON DOVREBBE AVERE, QUALI MESTIERI RITIENI CHE SIANO PIÙ VICINI A QUESTE ASPETTATIVE? Indica i tre mestieri che in un prossimo futuro ti piacerebbe svolgere:

Mestiere A

………………………

Mestiere B

…………………….

Mestiere C

………………………………

Mestiere C

…………………….

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

121

ALLEGATO 19

Strumento per le attività d’aula

Il mio obiettivo lavorativo PRENDENDO IN CONSIDERAZIONE I TRE MESTIERI CHE HAI PRESCELTO, PROVA A VALUTARLI SULLA BASE DELLA LORO IMPORTANZA (che “valore” gli attribuisco?), DESIDERABILITÀ (quanto mi piacerebbe svolgere questo lavoro?) E PERSEGUIBILITÀ (quanto ritengo che sia realisticamente realizzabile?). Per ciascuno dei tre mestieri barra con una crocetta la valutazione che ti sembra più adeguata, dove: P= poco, A= abbastanza, M= molto.

IMPORTANZA DESIDERABILITÀ PERSEGUIBILITÀ

Mestiere A ………………...........

P A M

P A M

P A M

Mestiere B ………………….......

P A M

P A M

P A M

Mestiere C ……………………

P A M

P A M

P A M

FACENDO UNA VALUTAZIONE COMPLESSIVA, QUALE DEI TRE MESTIERI METTERESTI AL PRIMO POSTO?

il lavoro che vorrei fare è:

…………………………………….

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Modulo 4 – IL PROGETTO Unità 4.2.

Principali dimensioni di analisi: analisi dei punti di forza e debolezza, autoefficacia, autonomia, creatività, decision making, orientamento al cambiamento.

Forze in atto Esercitazione A

Obiettivi L’esercitazione si propone di: - individuare le forze propulsive e le forze frenanti (del partecipante ed

esterne) rispetto al perseguimento dell’obiettivo professionale; - favorire una lettura dinamica delle risorse/vincoli ed il superamento di

resistenze connesse al cambiamento; - supportare il partecipante nella ri-definizione di una immagine di sé

come persona dotata di risorse individuali e collettive; - avvicinare i partecipanti alla metodologia progettuale proposta. L’esercitazione si basa sull’insieme di feed-back che ciascun partecipante ha ricevuto attraverso gli strumenti di autovalutazione della fase precedente (modulo 3.1.: Situazioni in Gioco / Come affrontiamo le situazioni). L’individuazione dei punti di forza e di debolezza viene preceduta dalla definizione dell’obiettivo lavorativo (cfr. ALLEGATO 19), attività che i partecipanti svolgono individualmente con l’eventuale supporto del conduttore. L’esercitazione parte dall’assunto che le risorse sono a somma variabile e dipendono da: percezioni soggettive, stili di attribuzione, capacità di gestire le relazioni con il contesto, ecc. Durata 2h e 30’

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Strumenti � Lavagna a fogli mobili � ALLEGATO 20: La margherita � ALLEGATO 21: Le strategie Modalità Fase I: Le forze propulsive e frenanti (tempo: 15’) Il conduttore propone al gruppo dei partecipanti un brainstorming volto ad individuare il tipo di forze che possono entrare in campo nel favorire ed ostacolare la realizzazione degli obiettivi professionali. Obiettivo di questa fase è costruire una mappa, la più articolata possibile, di tutte le forze – positive e negative – potenzialmente in campo nel favorire o inibire la realizzazione di un progetto di (ri)collocazione professionale. Ad esempio, tra le forze propulsive e frenanti, è possibile includere tutte le risorse e i vincoli legati agli aspetti di carattere economico; alle competenze, ai titoli di studio ed al saper fare; alla disponibilità delle informazioni ed alla loro ricerca (accesso, burocrazie, capacità nell’uso di internet, ...); al luogo in cui si vive /si lavora (mercato del lavoro locale, infrastrutture, ...); alla ricchezza/ristrettezza dei contatti interpersonali /professionali o alla alta/bassa capacità nel gestire strategicamente relazioni; agli aspetti soggettivi e familiari (flessibilità, “eredità” familiari”, ...); e così via. Per facilitare la produzione di idee il conduttore proverà inizialmente a lavorare su alcuni dei obiettivi presenti sull’albero dei mestieri. Man mano che vengono prodotte le idee il conduttore le trascrive sulla lavagna a fogli mobili, chiedendo ai partecipanti se siano forze propulsive e forze frenanti. La trascrizione deve essere di tipo generale (se, ad esempio, un partecipante individua quale forza propulsiva per il proprio progetto professionale l’ “avere il papà nell’aeronautica”, il conduttore scriverà “avere un genitore che fa il mestiere prescelto”). Fase II: La margherita (tempo: 15’) Ciascun partecipante, sulla base di un’autovalutazione, individua nell’elenco prodotto collettivamente l’insieme delle forze propulsive e frenanti che intervengono sul suo obiettivo professionale: “ce l’ho, ce l’ho, mi manca, …” (ALLEGATO 20: La margherita). Quindi, su invito del conduttore, le divide in forze modificabili (su cui posso influire, su cui

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

124

ritengo utile investire nuove energie in relazione al mio obiettivo professionale) e immodificabili. Il conduttore chiede inoltre ai partecipanti di valutare l’importanza delle forze in gioco: quali sono quelle più rilevanti ai fini del progetto? E’ importante che il conduttore specifichi che l’analisi e la valutazione delle forze non va fatta in assoluto ma in relazione all’obiettivo specifico che ciascun partecipante ha individuato per sé; scopo dell’esercitazione è anche proporre un metodo progettuale da poter utilizzare nuovamente in seguito per nuovi-diversi-futuri obiettivi. Fase III: Forze in Atto (tempo: 1h e 10’) Completato il lavoro individuale, il conduttore riprende l’elenco delle forze individuate nel brainstorming. Con l’aiuto del gruppo vengono scelte le due forze che i partecipanti avvertono come più difficili da gestire, più critiche per la realizzazione del progetto. Spiega quindi ai partecipanti il modo in cui verranno trattate: lavorando in sottogruppo (da 6/8 persone) dovranno individuare delle strategie per affrontare e risolvere i vincoli costituiti dalle due forze frenanti prescelte. Queste strategie devono essere rappresentate in una forma teatrale (breve storia, scenetta, situazione di breve durata) che proponga un’ipotesi di soluzione. Fase IV: Rappresentazione teatrale (tempo: 20’) In plenaria, ciascun gruppo propone la propria rappresentazione teatrale. Fase V: Discussione in plenaria (tempo: 20’) Il conduttore chiede ai partecipanti di raccontare cosa è avvenuto nei sottogruppi, utilizzando domande del tipo: - su cosa si fonda la strategia proposta? (es. valore delle relazioni, tenacia,

sinergia tra più elementi, ...) - quali altre strategie avete individuato e scartato? perché? - avete tenuto/non tenuto conto delle forze propulsive individuate nel

brainstorming? hanno rappresentato un risorsa? Sì: in che modo? No: che uso facciamo delle risorse?

Questa fase ha l’obiettivo di favorire l’acquisizione di una metodologia per l’analisi di vincoli e risorse, attraverso un processo di trasposizione delle strategie individuate dai sottogruppi alla situazione-progetto dei singoli partecipanti.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

125

Fase V: Compilazione del Diario di viaggio (tempo: 10’) I partecipanti riprendono il Diario e – in relazione al proprio obiettivo e alla propria storia – provano ad definire, per ciascuna delle forze frenanti individuate nella fase II, delle specifiche strategie di soluzione (una o più di una). Per ciascuna delle forze propulsive individuate, invece, provano a definire, anche per riferimento alle forze frenanti, delle strategie di impiego/attivazione (ALLEGATO 21: Le strategie). Fase VI: Presentazione delle attività di intermodulo (tempo: 20’) Alla fine dell’esercitazione, il conduttore dedica alcuni minuti a spiegare ai partecipanti le finalità delle esercitazioni previste durante la fase di intermodulo (un momento di riflessione individuale sulle esperienze lavorative svolte al fine di rileggere la propria storia ed evincere gli elementi significativi o che è possibile rielaborare per la costruzione del progetto professionale) e le modalità di compilazione. Si tratta di esercitazioni finalizzate a sollecitare una riflessione individuale sulla propria storia lavorativa e a raccogliere elementi utili alla definizione del progetto professionale. Sarà cura del conduttore valutare – sulla base delle caratteristiche del gruppo, della disponibilità dei partecipanti e dell’andamento del lavoro di orientamento – l’opportunità di proporre tutte o solo alcune delle esercitazioni.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 20

Strumento per le attività d’aula

La margherita Di tutte le forze (propulsive e frenanti) individuate dal gruppo, quali senti che ti riguardano?

Quali di queste forze ti sembrano modificabili (senti cioè di poter fare qualcosa per aumentarle)? E quali invece immodificabili? Segna, tra tutte le forze interne ed esterne che hai individuato sopra, quelle che ritieni modificabili.

LE MIE FORZE

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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ALLEGATO 21

Strumento per le attività d’aula

Le strategie

Prendi nuovamente in considerazione le principali forze positive e negative che hai individuato. In sintesi, quali sono le forze più importanti in gioco? Le forze, cioè, su cui è più utile investire energie per realizzare il tuo progetto professionale? Cosa puoi fare per renderle più funzionali rispetto al tuo progetto?

☺☺☺☺ LE FORZE POSITIVE

LE STRATEGIE

(cosa può aiutarmi a tenerle attive o potenziarle? come posso utilizzarle nel

migliore dei modi? come possono contribuire a frenare le forse negative?)

1. ………………………………

� � �

2. ………………………………

� � �

3. ………………………………

� � �

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

128

���� LE FORZE NEGATIVE

LE STRATEGIE

(cosa può aiutarmi a frenarle o a ridurle? come posso inibire la loro

influenza sul mio progetto? è possibile cambiare la loro

“direzione”?)

1. ………………………………

� � �

2. ………………………………

� � �

3. ………………………………

� � �

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

129

I cappelli per pensare Esercitazione B

Obiettivi L’esercitazione si propone di: - individuare le forze propulsive e le forze frenanti (del partecipante ed

esterne) rispetto al perseguimento dell’obiettivo progettuale; - favorire una lettura dinamica delle risorse/vincoli ed il superamento di

resistenze connesse al cambiamento; - supportare il partecipante nella ri-definizione di una immagine di sé

come persona dotata di risorse individuali e collettive; - avvicinare i partecipanti alla metodologia progettuale proposta. L’esercitazione parte dall’assunto che le risorse sono a somma variabile e dipendono da: percezioni soggettive, stili di attribuzione, capacità di gestire le relazioni con il contesto, ecc. Durata 2h e 30’ Strumenti � Lavagna a fogli mobili � Cartoncini colorati (rosso, giallo, verde. blu) � ALLEGATO 22: La margherita � ALLEGATO 23: Lucido con descrizione dei cappelli � ALLEGATO 24: Esempio di Mappa dei Cappelli � ALLEGATO 25: Le strategie Modalità Fase I: Le forze propulsive e frenanti (tempo: 15’) Il conduttore propone al gruppo dei partecipanti un brainstorming volto ad individuare il tipo di forze che possono entrare in campo nel favorire ed ostacolare la realizzazione degli obiettivi professionali. Obiettivo di questa fase è costruire una mappa, la più articolata possibile, di tutte le forze – positive e negative – potenzialmente in campo nel favorire o inibire la realizzazione di un progetto di (ri)collocazione professionale.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Ad esempio, tra le forze propulsive e frenanti, è possibile includere tutte le risorse e i vincoli legati agli aspetti di carattere economico; alle competenze, ai titoli di studio ed al saper fare; alla disponibilità delle informazioni ed alla loro ricerca (accesso, burocrazie, capacità nell’uso di internet, ...); al luogo in cui si vive /si lavora (mercato del lavoro locale, infrastrutture, ...); alla ricchezza/ristrettezza dei contatti interpersonali /professionali o alla alta/bassa capacità nel gestire strategicamente relazioni; agli aspetti soggettivi e familiari (flessibilità, “eredità familiari”, ...); e così via. Per facilitare la produzione di idee il conduttore proverà inizialmente a lavorare su alcuni dei obiettivi presenti sull’albero dei mestieri. Man mano che vengono prodotte le idee il conduttore le trascrive sulla lavagna a fogli mobili, chiedendo ai partecipanti se siano forze propulsive e forze frenanti. La trascrizione deve essere di tipo generale (se, ad esempio, un partecipante individua quale forza propulsiva per il proprio progetto professionale l’ “avere il papà nell’aeronautica”, il conduttore scriverà “avere un genitore che fa il mestiere prescelto”). Fase II: La margherita (tempo: 15’) Ciascun partecipante, sulla base di un’autovalutazione, individua nell’elenco prodotto collettivamente l’insieme delle forze propulsive e frenanti che intervengono sul suo obiettivo professionale: “ce l’ho, ce l’ho, mi manca, …” (ALLEGATO 22: La margherita). Quindi, su invito del conduttore, le divide in forze modificabili (su cui posso influire, su cui ritengo utile investire nuove energie in relazione al mio obiettivo professionale) e immodificabili. Il conduttore chiede inoltre ai partecipanti di valutare l’importanza delle forze in gioco: quali sono quelle più rilevanti ai fini del progetto? E’ importante che il conduttore specifichi che l’analisi e la valutazione delle forze non va fatta in assoluto ma in relazione all’obiettivo specifico che ciascun partecipante ha individuato per sé; scopo dell’esercitazione è anche proporre un metodo progettuale da poter utilizzare nuovamente in seguito per nuovi-diversi-futuri obiettivi. Fase III: I Cappelli per Pensare – presentazione e riscaldamento (tempo: 20’) Completato il lavoro individuale, il conduttore spiega ai partecipanti il modo in cui verranno trattate le forze: lavorando in sottogruppi (da 4 a max 6 persone) dovranno individuare delle strategie per inibire i vincoli derivanti dalle forze frenanti e per attivare le risorse derivanti dalle forze propulsive.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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Il lavoro in piccoli gruppi si contraddistingue per il fatto che le forze individuate dai partecipanti nella fase precedente non appartengono più ai singoli ma sono della collettività. Nella discussione, dunque, verranno analizzate tutte le forze complessivamente individuate dai partecipanti al sottogruppo. Inoltre, le persone attiveranno la discussione adottando una modalità che verrà dettata dai Cappelli per Pensare. I Cappelli per Pensare sono una metafora dei diversi modi di utilizzare il pensiero: “indossare” un cappello vuol dire adottare uno specifico tipo di mappa mentale per leggere gli eventi, definire i problemi e formulare ipotesi di soluzione. Adottare l’una o l’altra mappa mentale vuol dire orientare i processi di pensiero in modo significativamente diverso tra loro, e quindi consente, in un lavoro di gruppo con più Cappelli in gioco, di ampliare la prospettiva dalla quale osservare le situazioni. Indossare un cappello, inoltre, significa “recitare una parte” e pertanto consente di dire o pensare anche cose che, abitualmente, potrebbero rappresentare delle minacce per la propria immagine di sé. Il conduttore introduce la modalità dei Cappelli per pensare spiegando che siamo abitualmente portatori di un complesso processo di pensiero: il modo in cui si analizzano i problemi è frutto di un articolato intreccio tra dimensioni razionali, creative ed emozionali che è difficile scomporre. L’esercitazione, scomponendo questi elementi, consente di metterli meglio “a fuoco”. Il conduttore illustra i Cappelli (ALLEGATO 22: Lucido con descrizione dei cappelli). Chiarendo che si tratta di un gioco, e quindi dell’estrema semplificazione di una dimensione complessa quale il pensiero, invita i partecipanti ad individuare quali, tra i Cappelli, si avvicina al modo in cui abitualmente approcciano ai problemi. Per facilitare ulteriormente il riscaldamento, può chiedere ai partecipanti di individuare, tra le loro conoscenze, persone che utilizzano prevalentemente l’una o l’altra modalità per approcciare alle situazioni. Il gioco dei Cappelli è in sé molto semplice; tuttavia può risultare difficile per i partecipanti entrare in una dimensione che, seppure ludica, implica la disponibilità a giocare con i propri modelli di pensiero abituali. E’ bene quindi che il conduttore dedichi un po’ di tempo a questa fase di riscaldamento, facendo parlare i partecipanti e animando una piccola discussione attorno ad aneddoti, situazioni, tipizzazioni. Verificato che tutti abbiano compreso le diverse modalità di pensiero proposte, il conduttore invita i partecipanti a scegliere il Cappello con cui

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

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intendono partecipare al lavoro in sottogruppi. Il cappello scelto sarà la mappa mentale con cui contribuiranno all’individuazione di strategie utili ad attivare/contrastare le forze. Trovandosi in una dimensione di gioco, i partecipanti possono provare a sperimentarsi con Cappelli che sentono molto distanti dai propri modelli abituali. Fatta la scelta, ciascun partecipante riceve un cartoncino colorato che identificherà il suo Cappello nel lavoro in sottogruppo. Nella composizione dei sottogruppi si suggerirà ai partecipanti di aggregarsi per diversità di Cappelli affinché ciascun gruppo abbia a disposizione diversi modelli di pensiero.

1. Al cappello blu il colore del cielo e della lucidità, corrisponde un pensiero orientato all’organizzazione, al controllo, ai fatti ed ai dati oggettivi. A chi indossa questo cappello si chiede di mettere da parte le argomentazioni e le opinioni per concentrarsi sulle informazioni. E' un modo per raccogliere tutte le informazioni disponibili, chiarire quali informazioni mancano e tirare le fila del lavoro del gruppo

2. Al cappello rosso, il colore della passione, della rabbia e del sangue, corrisponde un pensiero orientato alle emozioni e ai sentimenti. A chi indossa questo cappello si chiede di mettere da parte il dato oggettivo per dare pieno diritto di cittadinanza alle emozioni: ben vengano quindi le intuizioni, anche se non sono supportate da argomentazioni logiche.

3. Al cappello giallo il colore del sole, dell’energia, corrisponde un pensiero orientato agli aspetti positivi, alla fiducia, all’individuazione dei vantaggi in tutte le situazioni. A chi indossa questo cappello si chiede di trovare il lato buono delle cose. Fiducia, propositività e individuazione dei punti di forza sono le parole chiave di questo modo di pensare.

4. Al cappello verde, il colore della crescita, della generatività, dell’abbondanza, corrisponde un pensiero orientato alla creatività, all’innovazione, alla produzione di idee divergenti. A questo cappello si chiede di dare ampia libertà di parola alla creatività, alle alternative impossibili, per cercare, tra queste, soluzioni possibili a problemi che sembrano non averne. Fase IV: I Cappelli per Pensare – lavoro in sottogruppi (tempo 1h) Nel corso della discussione i membri del sottogruppo annotano le loro idee-proposte-riflessioni prodotte con l’ausilio dei Cappelli per Pensare su un tabellone per ciascuna forza analizzata (o raggruppamento di forze), secondo lo schema proposto in ALLEGATO 24. Le idee vanno trascritte tutte (secondo la metodologia del brainstorming), riservandosi di selezionare a posteriori quelle efficaci / perseguibili.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

133

Fase V: Plenaria (tempo: 30’) I sottogruppi rientrano in aula con i loro tabelloni, che vengono appesi ad una parete. Un portavoce racconterà come hanno lavorato: quali forze hanno trattato e quali strategie individuato. Questa fase ha l’obiettivo di favorire l’acquisizione di una metodologia per l’analisi di vincoli e risorse, attraverso un processo di trasposizione delle strategie individuate dai sottogruppi alla situazione-progetto dei singoli partecipanti. Per facilitare questa trasposizione, il conduttore accompagna la presentazione dei tabelloni con alcune domande di contenuto e di processo, quale ad esempio: - su cosa si fonda la strategia proposta (es. valore delle relazioni, tenacia,

sinergia tra più elementi, ...)? - quali altre strategie avete individuato e scartato? perché? - avete tenuto/non tenuto conto delle forze propulsive individuate nel

brainstorming? hanno rappresentato un risorsa? Sì: in che modo? No: che uso facciamo delle risorse?

Fase VI: Compilazione del Diario di viaggio (tempo: 10’) I partecipanti riprendono il Diario e – in relazione al proprio obiettivo e alla propria storia – provano ad definire, per ciascuna delle forze frenanti individuate nella fase II, delle specifiche strategie di soluzione (una o più di una). Per ciascuna delle forze propulsive, invece, provano a definire, anche per riferimento alle forze frenanti, delle strategie di impiego/attivazione (ALLEGATO 25: Le strategie). Fase VII: Presentazione delle attività di intermodulo (tempo: 20’) Alla fine dell’esercitazione, il conduttore dedica alcuni minuti a spiegare ai partecipanti le finalità delle esercitazioni previste durante la fase di intermodulo (un momento di riflessione individuale sulle esperienze lavorative svolte al fine di rileggere la propria storia ed evincere gli elementi significativi o che è possibile rielaborare per la costruzione del progetto professionale) e le modalità di compilazione.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

134

ALLEGATO 22

Strumento per le attività d’aula

La margherita Di tutte le forze (propulsive e frenanti) individuate dal gruppo, quali senti che ti riguardano?

LE MIE FORZE

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

135

ALLEGATO 23

Strumento per il conduttore

I cappelli per pensare

Al cappello BLU, il colore del cielo e della lucidità,

corrisponde un pensiero orientato all’organizzazione, al controllo, ai fatti ed ai dati oggettivi. A chi indossa

questo cappello si chiede di mettere da parte le

argomentazioni e le opinioni per concentrarsi sulle

informazioni. E' un modo per raccogliere tutte le

informazioni disponibili, chiarire quali informazioni mancano e tirare le fila del

lavoro del gruppo.

Al cappello ROSSO, il colore della passione, della rabbia e del sangue, corrisponde un pensiero orientato alle emozioni e ai sentimenti.

A chi indossa questo cappello si chiede di mettere da parte il dato oggettivo per dare pieno diritto di cittadinanza alle emozioni: ben vengano quindi le intuizioni, anche se non sono supportate da argomentazioni logiche.

Al cappello VERDE, il colore

della crescita, della generatività, dell’

abbondanza, corrisponde un pensiero orientato alla

creatività, all’innovazione, alla produzione di idee

divergenti. A questo cappello si chiede di dare ampia libertà di parola

alla creatività, alle alternative impossibili, per cercare, tra queste, soluzioni possibili a problemi che sembrano non averne.

Al cappello GIALLO, il colore

del sole, dell’energia, corrisponde un pensiero

orientato agli aspetti positivi, alla fiducia, all’individuazione dei vantaggi in tutte le

situazioni. A chi indossa questo cappello si chiede di trovare il lato buono delle cose. Fiducia, propositività e individuazione dei punti di forza sono le

parole chiave di questo modo di pensare.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

136

ALLEGATO 24

Strumento per il conduttore

Esempio di Mappa dei Cappelli

Non avere il titolo necessario

(per fare l’estetista)

CAPPELLO BLU

� verificare cosa è possibile fare senza titolo e cosa è vietato � valutare quanto tempo si ha a disposizione � informarsi sui corsi regionali gratuiti � ……………………………

CAPPELLO VERDE

� fare uno studio associato � fare cose affini (massaggi shiatzu, manicure, …) per cui non è necessario il titolo � trasferirsi a Timbuctu, dove non è necessario il titolo � …………………

CAPPELLO ROSSO

� trovare la voglia di ricominciare a studiare! � paura di non riuscire � realizzare un sogno che si aveva fin da bambini �…………………

CAPPELLO GIALLO

� l’importante è essere perseveranti / impegnarsi � se c’è la propensione … � chiedere consigli alle estetiste di zona � …………………

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

137

ALLEGATO 25

Strumento per le attività d’aula

Le strategie Prendi nuovamente in considerazione le principali forze positive e negative che hai individuato. In sintesi, quali sono le forze più importanti in gioco? Le forze, cioè, su cui è più utile investire energie per realizzare il tuo progetto professionale? Cosa puoi fare per renderle più funzionali rispetto al tuo progetto professionale?

☺☺☺☺ LE FORZE POSITIVE

LE STRATEGIE

(cosa può aiutarmi a tenerle attive o potenziarle? come posso utilizzarle nel

migliore dei modi? come possono contribuire a frenare le forse negative?)

1. ………………………………

� � �

2. ………………………………

� � �

3. ………………………………

� � �

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

138

���� LE FORZE NEGATIVE

LE STRATEGIE

(cosa può aiutarmi a frenarle o a ridurle? come posso inibire la loro

influenza sul mio progetto? è possibile cambiare la loro

“direzione”?)

1. ………………………………

� � �

2. ………………………………

� � �

3. ………………………………

� � �

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

139

aa tt tt ii vv ii tt àà dd ii ii nn tt ee rr mm oo dd uu ll oo

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

140

Attività di intermodulo

Principali dimensioni di analisi: autovalutazione dei punti di forza e di debolezza interni.

Le competenze

La storia lavorativa

Obiettivi L’insieme delle esercitazioni di seguito illustrate si propongono di: - offrire un momento di riflessione individuale sulle esperienze lavorative

passate, al fine di valorizzare il bagaglio di competenze acquisite e rileggere la propria storia;

- evincere gli elementi significativi (o che è possibile rielaborare) per la costruzione del progetto professionale;

- conservare l’investimento cognitivo ed emotivo sul progetto nel momento in cui le attività sono sospese.

Nota: Sarà cura dei conduttori valutare – sulla base delle caratteristiche del gruppo, della disponibilità dei partecipanti e dell’andamento del lavoro di orientamento – l’opportunità di proporre o meno le attività di intermodulo. In alternativa, anche in base alle competenze dei partecipanti, può essere valutata l’opportunità di istituire un’ulteriore modulo, lavorando con i partecipanti su queste aree all’interno delle attività d’aula.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

141

ALLEGATO 26

Strumento per la costruzione del progetto personale

Le competenze Leggi con attenzione la lista seguente, su cui sono indicate alcune importanti competenze che “attraversano” diverse professioni, che cioè sono utili per svolgere professioni diverse. Ad esempio la competenza dell’ “organizzare” può essere rilevante per il mestiere della casalinga, del ristoratore, della segretaria, ecc. Ogni competenza è descritta da alcune azioni che la caratterizzano.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

142

DECIDERE

Fermare Scegliere Concludere Determinare Eliminare Fissare Giudicare Optare Regolare Risolvere

GESTIRE

Acquistare Ammortizzare Risanare

Contabilizzare Consolidare Economizzare Arricchire Equilibrare Guadagnare Investire Ottimizzare

Fare un budget …

DIRIGERE

Animare Comandare Condurre Affidare Definire Delegare Governare Guidare Ispirare Istituire Pilotare Presidiare

AMMINISTRARE

Classificare Contare Registrare Stabilire Gestire

Inventariare Censire …

PRODURRE

Applicare Effettuare Eseguire Fare

Realizzare …

ORGANIZZARE

Anticipare Arredare Coordinare Distribuire Stabilire Pianificare Preparare Prevedere

Programmare Ripartire Strutturare

….

COMUNICARE

Dialogare Discutere Scambiare Ascoltare Esprimere Informare Intervistare Negoziare Redigere Trasmettere

….

SVILUPPARE

Accrescere Migliorare Aumentare

Commercializzare Conquistare Allargare Impiantare Lanciare Progredire Promuovere

…..

CERCARE

Analizzare Calcolare Consultare Indagare Studiare Esaminare Sperimentare Osservare Prospettare Ricercare

….

FORMARE

Animare Insegnare Condurre Sviluppare Educare Allenare Istruire

Sensibilizzare Trasformare

….

CONTROLLARE

Apprezzare Indagare Valutare Esaminare Sperimentare Misurare Dimostrare Sorvegliare Testare Verificare

….

CREARE

Adattare Migliorare Concepire Costruire Scoprire Elaborare Immaginare Innovare Inventare Rinnovare Trasformare Trovare …

NEGOZIARE

Comprare Arbitrare

Argomentare Concludere Consultare Convincere Dimostrare Discutere Influenzare Persuadere Proporre

Selezionare …

CONSIGLIARE

Aiutare Chiarificare Comprendere Diagnosticare Ascoltare Guidare Incitare Orientare Proporre

Raccomandare ….

PERSUADERE

Convincere Influenzare Incidere Influire Definire Volere …

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

143

Pensando al mestiere prescelto (cfr. ALLEGATO 19: Il mio obiettivo lavorativo), prova a definire le competenze trasversali che lo caratterizzano, valutando il loro grado di importanza. Hai a disposizione un “capitale” di 10 stelle. Pensando al lavoro che vorresti svolgere, ripartisci questo capitale tra le diverse competenze, assegnando le stelle in base a quanto le competenze sono importanti per il tuo futuro lavoro. � � � = competenza estremamente importante � � = competenza molto importante � = competenza abbastanza importante � (nessuna stella) = competenza di nessuna importanza

Il mio “capitale”: � � � � � � � � � �

IL LAVORO CHE VORREI FARE È: ……………………………………………………………

DECIDERE � � � GESTIRE � � � DIRIGERE � � � AMMINISTRARE � � � PRODURRE � � � ORGANIZZARE � � � COMUNICARE � � � SVILUPPARE � � � CERCARE � � � FORMARE � � � CONTROLLARE � � � CREARE � � � NEGOZIARE � � � CONSIGLIARE � � � PERSUADERE � � �

Quali sono le tre competenze più importanti che hai individuato? 1. ……………………………………………………………………… 2. ……………………………………………………………………… 3. ………………………………………………………………………

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

144

ALLEGATO 27

Strumento per la costruzione del progetto personale

La mia storia lavorativa

LE ESPERIENZE LAVORATIVE CHE HO SVOLTO Elenca tutte le esperienze professionali che hai svolto in passato o che stai svolgendo attualmente, includendo sia quelle formali (con contratto di lavoro) sia quelle informali (es. aiutare un amico nella gestione di un bar) sia infine le esperienze non strettamente lavorative ma che ti hanno consentito di sviluppare alcune competenze professionali (es. preparare i pranzi di Natale, riparare i motorini degli amici, tenere i bambini di tua sorella, andare in barca a vela, fare la manutenzione dell’impianto idraulico di casa, ecc.). Indica per ciascuna di essa il periodo in cui orientativamente hai svolto questa attività (es. dal 1998 al 2001, oppure: per 10 mesi).

le più signifi-cative

E S P E R I E N Z A L A V O R A T I V A

PERIODO

Segna con una crocetta le tre esperienze che sono risultate più significative per te. Se hai svolto esperienze simili (es. fare il barista in un bar e in un pub) puoi considerarle assieme.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

145

Considera ora le tre esperienze che consideri più importanti. Per ciascuna di esse prova a definire il tipo di competenze messe in gioco, seguendo le indicazioni delle tabelle che seguono.

ESPERIENZA LAVORATIVA 1

………………………………………………… COSA DOVEVO FARE CONCRETAMENTE?

QUALI TECNOLOGIE / MACCHINE /STRUMENTI UTILIZZAVO?

QUALI CARATTERI-STICHE PERSONALI HO MESSO IN GIOCO?

COSA HO IMPARATO DA QUESTA

ESPERIENZA?

COME / PERCHÉ SI È CONCLUSA?

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

146

ESPERIENZA LAVORATIVA 2

………………………………………………… COSA DOVEVO FARE CONCRETAMENTE?

QUALI TECNOLOGIE / MACCHINE /STRUMENTI UTILIZZAVO?

QUALI CARATTERI-STICHE PERSONALI HO MESSO IN

GIOCO?

COSA HO IMPARATO

DA QUESTA ESPERIENZA?

COME / PERCHÉ SI È CONCLUSA?

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

147

ESPERIENZA LAVORATIVA 3

………………………………………………… COSA DOVEVO FARE CONCRETAMENTE?

QUALI TECNOLOGIE / MACCHINE /STRUMENTI UTILIZZAVO?

QUALI CARATTERI-STICHE PERSONALI HO MESSO IN

GIOCO?

COSA HO IMPARATO

DA QUESTA ESPERIENZA?

COME / PERCHÉ SI È CONCLUSA?

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

148

ALLEGATO 28

Strumento per il conduttore

Esempio di scheda “La mia storia lavorativa”

ESPERIENZA LAVORATIVA

……...……...… BARISTA …....…...…...

COSA DOVEVO FARE CONCRETAMENTE?

Preparare gli alimenti (panini, …) Preparare i cappuccini Servire al banco Prendere le ordinazioni Servire ai tavoli Dare i resti Pulire il bancone Lavare tazzine ecc. …………….

QUALI TECNOLOGIE / MACCHINE /STRUMENTI UTILIZZAVO?

Macchina del caffè Piastre Frullatori, spremiagrumi, … Lavastoviglie ………………..

QUALI CARATTERI-STICHE PERSONALI

HO MESSO IN GIOCO?

Trattare con i clienti Organizzare le cose da fare La memoria Stabilire buone relazioni con il proprietario e gli altri ragazzi Allestimento delle vetrine di esposizione ………..

COSA HO IMPARATO

DA QUESTA ESPERIENZA?

� a lavorare per molte ore (fatica fisica) � a rimanere sorridente anche quando i clienti ti fanno arrabbiare � a chiedere i soldi dello stipendio al proprietario � a fare dei buoni cappuccini � ……………………

COME / PERCHÉ SI È CONCLUSA?

Finito il periodo delle feste natalizie, il proprietario non aveva più bisogno di me. Siamo rimasti d’accordo che, se sarò ancora libero, gli darò una mano anche il prossimo Natale.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

149

tt ee rr zz aa gg ii oo rr nn aa tt aa

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

150

Modulo 4 – IL PROGETTO Unità 4.3.

Principali dimensioni di analisi: analisi delle proprie competenze. Il conduttore apre la terza giornata dedicando del tempo alle riflessioni dei partecipanti. Può chiedere, inoltre, se siano state intraprese delle azioni rispetto all’obiettivo individuato in seconda giornata (es.: un’attivazione per la ricerca di informazioni), o se per qualcuno ci sia stato un ripensamento/cambiamento rispetto all’obiettivo e, eventualmente, sulla base di quali considerazioni. E’ possibile che alcuni partecipanti esprimano un senso di incompiutezza/confusione rispetto al percorso. Il conduttore lascia libero spazio a queste emozioni e le tratta spiegando ai partecipanti che la confusione coincide con un processo di ri-categorizzazione della propria realtà, ossia con la possibilità di leggere il proprio orizzonte professionale attraverso coordinate diverse, nuove e non ancora del tutto esplorate. La perdita di punti di riferimento è quindi una condizione temporanea che non solo è fisiologica all’interno di un percorso di orientamento, ma, soprattutto, ne rappresenta la principale risorsa. Il conduttore può utilizzare queste sensazioni per ancorare gli obiettivi e le attività della terza giornata, centrata completamente sulla stesura del progetto professionale.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

151

Ciò che so

Obiettivi L’esercitazione si propone di: - estrapolare, dalle esperienze lavorative e di vita dei partecipanti, le

competenze professionali acquisite - valorizzare le esperienze di vita con esito professionalizzante - fornire ai partecipanti alcune categorie di analisi delle competenze

(conoscenze, competenze tecniche, competenze di processo) - prendere in considerazione, indirettamente, il lavoro svolto dai

partecipanti nella fase di intermodulo Durata: 30’ Strumenti � Lavagna a fogli mobili � ALLEGATO 29 Ciò che so � ALLEGATO 30 Esempio di Ciò che so Modalità Il conduttore illustra brevemente cosa si intende per conoscenze, competenze tecniche e competenze di processo, facilitandone la comprensione attraverso esempi applicati a professioni diverse ma note ai partecipanti (cfr. ALLEGATO 30: Esempio di Ciò che so). Definisce inoltre le risorse, qui intese ad ampio spettro come tutto ciò a cui ciascun soggetto può attingere, come qualunque elemento possa – di fatto o potenzialmente, concretamente o in modo immateriale – contribuire alla ricerca o all’avvio di un nuovo lavoro. I partecipanti, individualmente e con il supporto – se richiesto – del conduttore, compilano la scheda Ciò che so (ALLEGATO 30), utilizzando come elementi di riferimento le schede compilate durante la fase di intermodulo Le competenze e La mia storia professionale. L’esercitazione si chiude con un breve commento, da parte del conduttore, sul fatto che le competenze rappresentano degli indicatori che ci aiutano ad orientarci / definire meglio il nostro obiettivo professionale, e costituiscono – per chi cerca lavoro – un bagaglio di risorse da spendere sul mercato del lavoro.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

152

ALLEGATO 29

Strumento per la costruzione del progetto personale

Ciò che so Pensando a tutte le esperienze professionali che hai svolto, individua: ���� ciò che so: le mie conoscenze specialistiche (es. come funziona un

motore, …) e generali (es. lingue, normative, ecc.) che ho acquisito attraverso gli studi o le esperienze personali e lavorative;

���� ciò che so fare: le mie abilità e le competenze tecniche che ho

acquisito attraverso la formazione o le esperienze personali e lavorative;

���� come sono: le mie caratteristiche personali e competenze nel

gestire le relazioni che ho acquisito attraverso la formazione o le esperienze personali e lavorative;

���� le mie risorse: tutto ciò che può essermi utile per trovare o

avviare un nuovo lavoro (tempo, persone che conosco, tradizioni familiari, strutture e locali, strumenti e attrezzature tecniche, …).

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

153

� CIÒ CHE SO

� CIÒ CHE SO

FARE

☺ COME SONO

� LE MIE RISORSE

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

154

IN RELAZIONE AL MIO OBIETTIVO LAVORATIVO POSSO …

… SVILUPPARE (o solo in parte e devo migliorare)

… ACQUISIRE (non ho e devo apprendere)

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

155

ALLEGATO 30

Strumento per il conduttore

Esempi di scheda “Ciò che so”

Il medico

� CIÒ CHE SO

� CIÒ CHE SO FARE

☺ COME SONO

� Conosco l’anatomia � Conosco le proprietà dei farmaci

� Conosco le patologie � So leggere un elettrocardiogramma

� ........ � .....................

� So fare le punture � So mettere i punti � So riconoscere i sintomi di una malattia

� So ascoltare i battiti cardiaci

� So usare lo steto-scopio

� ........

� Sono preciso � Sono attento � Sono gentile con i pazienti

� So ascoltare � Sono paziente con chi si lamenta

� Ho il sangue freddo � ............

Il barista

� CIÒ CHE SO

� CIÒ CHE SO FARE

☺ COME SONO

� Conosco le ricette dei cocktail

� Conosco le regole igieniche

� Conosco le normative del mio settore

� So come si conservano gli alimenti (tempera-tura, scadenze, ecc.)

� .............

� So preparare i cocktail

� So preparare spuntini � So utilizzare la lava-stoviglie

� So utilizzare la macchina del caffè

� So memorizzare gli ordini

� So tenere sotto controllo il locale

� .................

� Sono veloce � Sono gentile con i clienti

� Sono paziente � So fare battute � ........... � ....................

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

156

Modulo 4 – IL PROGETTO Unità 4.4..

Principali dimensioni di analisi: capacità progettuale, creatività, gestione del rischio. La costruzione del progetto è un momento molto operativo ed è possibile che i partecipanti avvertano la necessità di accedere ad una serie di informazioni. Se lo ritiene opportuno, ed in relazione al tipo di progetti che i partecipanti stanno sviluppando, il conduttore può specificare che la documentazione del Centro è a disposizione dei partecipanti.

Il viaggio

Obiettivi L’esercitazione si propone di: - far convergere le precedenti esperienze del percorso di orientamento

all’interno di un progetto unitario e coerente con il desiderio-obiettivo professionale prefigurato da ciascun partecipante;

- avvicinare i partecipanti alla metodologia della progettazione; - definire delle azioni da svolgere a breve-medio termine, volte alla

(ri)collocazione professionale. Durata 3h Strumenti � ALLEGATO 31: Il mio progetto professionale � ALLEGATO 32: Esempio di progetto professionale Modalità L’esercitazione si svolge in due sottogruppi paralleli in modo che ciascun conduttore possa seguire il lavoro di un piccolo gruppo. Questa fase infatti richiede ai partecipanti lo sviluppo di una capacità progettuale e di tipo metodologico; per rinforzare la struttura del progetto è dunque utile che -

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

157

nel rispetto degli obiettivi professionali definiti da ciascuno - il conduttore dia ampia disponibilità a seguire i partecipanti da vicino. Fase I: Definizione delle tappe progettuali (tempo: 15’) Il conduttore invita ciascun partecipante ad individuare le principali tappe da perseguire per realizzare l’obiettivo lavorativo prefigurato (ALLEGATO 31: Il mio progetto professionale). Si tratta di sub-obiettivi che possono essere collocati in successione (prima faccio una cosa, poi quella conseguente) ma anche in parallelo (es. raccolgo alcune informazioni e al contempo inizio a frequentare un corso). Possono inoltre essere azioni tutte convergenti verso l’obiettivo o anche tra loro alternative, al fine di verificarne la fattibilità e scegliere tra diverse opzioni (es. autopromozione / mettersi in proprio). E’ importante che il conduttore solleciti e sostenga nei partecipanti l’assunzione di una prospettiva temporale a medio termine, favorendo lo sviluppo della capacità di orientamento al futuro, e della capacità di utilizzare un pensiero analitico volto a scomporre le azioni necessarie alla realizzazione del progetto. Fase II: Costruzione della bozza del progetto (tempo: 1h) I partecipanti, individualmente, articolano il proprio progetto definendo per ciascuna tappa (sub-obiettivo) individuata: � le azioni: tutto ciò che è necessario fare per perseguire il sub-obiettivo

(es. contattare persone, frequentare corsi, inviare CV, …) o, in alternativa, per verificarne la fattibilità (raccogliere informazioni, confrontare diverse fonti, fare una stima dei costi, …)

� i tempi: la collocazione temporale delle azioni entro un arco di tempo predefinito (circa un anno); l’indicazione dei tempi consente sia di conferire maggiore concretezza al progetto, sia di verificarne il corretto andamento

� i vincoli, le risorse, le eventuali ulteriori annotazioni: tutti gli elementi propulsivi e di vincolo che entrano in gioco nella realizzazione delle azioni individuate

(cfr. ALLEGATO 31: Il mio progetto professionale; ALLEGATO 32: Esempio di progetto professionale). Il progetto può assumere diverse forme, in funzione della chiarezza e della stabilità dell’obiettivo prefigurato dal partecipante, ed in funzione della ricchezza delle informazioni a sua disposizione. Può infatti assumere la forma di:

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

158

- una “freccia”: il partecipante immagina un progetto analitico rispetto ad un obiettivo professionale definito (es. tutto ciò che occorre fare per diventare xxx); - un “albero”: il partecipante immagina un percorso analitico con varie possibili diramazioni all’interno di un’area professionale (es. fare il barista, fare il ristoratore, …) o diverse possibili modalità per svolgere un mestiere (es. estetista tradizionale, shiatsu, ...), ciascuna delle quali può – ma non necessariamente – concretizzarsi in una azione; - una “spirale”: il partecipante immagina una ipotesi di percorso per macro aree costruendo, più che un progetto operativo, un piano di fattibilità; in questo caso il progetto consiste nel verificare l’effettiva perseguibilità dell’obiettivo, la sua realisticità, prevedendo un ragionamento di tipo ricorsivo (se necessario, tornare indietro di uno o due passi e riprogettare nuovi piani d’azione). Fase III: Condivisione in plenaria: l’Angelo custode (tempo: 1h e 45’) Questa fase dell’esercitazione si propone di valorizzare il progetto elaborato dai partecipanti, di rinforzare la loro motivazione attraverso l’assunzione di un impegno “pubblico”, di evidenziare aspetti più emotivi connessi alla realizzazione del progetto. Dedicando un massimo di 10’ a ciascun partecipante, in plenaria, a turno ciascuno presenta il proprio progetto raccontando ai colleghi che cosa intende realizzare a conclusione del percorso di orientamento, come intende muoversi, di quali risorse dispone, cosa lo preoccupa, e così via. Per analogia e specularmente al ruolo di Avvocato del diavolo svolto precedentemente (definizione dell’obiettivo), i colleghi assumono ora il ruolo di Angelo custode: ossia, ciascuno di loro, a conclusione delle singole presentazioni, fa un “dono” al progetto del collega sotto forma di consiglio, informazione, incoraggiamento, rilevazione di punti di forza, considerazioni … (il dono è centrato sul progetto e non sulla persona).

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

159

ALLEGATO 31

Strumento per la costruzione del progetto personale

Il mio progetto professionale PENSANDO ALL’OBIETTIVO PROFESSIONALE CHE HAI DEFI-NITO, QUALI SONO LE TAPPE PRINCIPALI DEL PERCORSO?

Il lavoro che vorrei fare è:

……………………………………

tappa n. ......

……………………………

tappa n. ......

……………………………

tappa n. 1

……………………………

tappa n. ......

……………………………

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

160

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

161

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

162

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

163

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

164

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

165

Modulo 5 – I SALUTI Unità 5.1.

Principali dimensioni di analisi: valutazione del percorso.

La valigia

Esercitazione A

Obiettivi L’esercitazione si propone di: - “chiudere” emotivamente l’esperienza di orientamento; - consentire a ciascun partecipante di congedarsi dal gruppo; - fornire ai conduttori un feed-back sull’intervento. Durata: 1 h Strumenti � Foglietti di carta � Un cestino Modalità Il conduttore, a conclusione dell’intervento, indica ai partecipanti i riferimenti del Centro di orientamento per una eventuale consulenza futura. Introduce poi, con un breve discorso di sintesi dell’esperienza, il tema del commiato. Il conduttore invita ciascun partecipante a scrivere su dei foglietti di carta messi a disposizione il proprio congedo dal gruppo e dall’esperienza, esprimendo attraverso una parola o una breve frase “ciò che porta a casa” e “ciò che lascia al gruppo”. Quando tutti hanno terminato, raccoglie in un cestino i bigliettini piegati. Fa ruotare il cestino tra i partecipanti e ciascun partecipante legge il biglietto che estrae. A conclusione dell’esercitazione il conduttore chiude l’esperienza esprimendo un feedback all’aula e congedandosi dal gruppo.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

166

La telefonata Esercitazione B

Obiettivi L’esercitazione si propone di: - “chiudere” emotivamente l’esperienza di orientamento; - consentire a ciascun partecipante di congedarsi dal gruppo; - fornire ai conduttori un feed-back sull’intervento. Durata 1 h Modalità Il conduttore, a conclusione dell’intervento, indica ai partecipanti i riferimenti del Centro di orientamento per una eventuale consulenza futura. Introduce poi, con un breve discorso di sintesi dell’esperienza, il tema del commiato. Il conduttore presenta l’esercitazione, che consiste in un role-playing dove un partecipante racconta ad un amico, in una telefonata immaginaria, l’esperienza di orientamento vissuta. Invita dunque due partecipanti a giocare la situazione proposta. Qualora più di due partecipanti desiderino giocare, si può mutare lo “scenario” proponendo una discussione al bar tra più amici. Uno dei due partecipanti racconta l’esperienza di orientamento a cui ha preso parte. L’altro partecipante gioca il ruolo dell’amico che non sa nulla di questa esperienza e fa domande, esprime il proprio interesse-perplessità, ecc. Eventualmente, dopo 10’ di simulazione, i partecipanti possono invertire il ruolo. A conclusione dell’esercitazione il conduttore chiude l’esperienza esprimendo un feedback all’aula e congedandosi dal gruppo.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

167

Perché sì e perché no Esercitazione C

Obiettivi L’esercitazione si propone di: - “chiudere” emotivamente l’esperienza di orientamento; - consentire a ciascun partecipante di congedarsi dal gruppo; - fornire ai conduttori un feedback sull’intervento. Durata 1 h Strumenti � Post-it di due colori diversi (es. gialli e verdi) � Pennarelli colorati � Lavagna a fogli mobili Modalità Il conduttore, a conclusione dell’intervento, indica ai partecipanti i riferimenti del Centro di orientamento per una eventuale consulenza futura. Introduce poi, con un breve discorso di sintesi dell’esperienza, il tema del commiato. Il conduttore invita ciascun partecipante a scrivere su dei post-it di due colori diversi il loro vissuto dell’esperienza di orientamento, utilizzando i foglietti gialli per scrivere gli aspetti positivi (che sono piaciuti, utili, …) e quelli verdi per gli aspetti di difficoltà del percorso di orientamento. Ciascun partecipante, quando ne ha voglia, silenziosamente si alza e attacca i propri bigliettini sul tabellone comune a tutto il gruppo. I partecipanti, muovendosi liberamente nell’aula, leggono e commentano i foglietti di tutto il gruppo. A conclusione dell’esercitazione il conduttore chiude l’esperienza esprimendo un feedback all’aula e congedandosi dal gruppo.

CAPITOLO V – DESCRIZIONE DELLA PRATICA

168

PROVA ORA A COSTRUIRE UN PROGETTO VERO E PROPRIO. PER CIASCUNA TAPPA DEFINISCI QUALI SONO

LE AZIONI IMPORTANTI DA REALIZZARE, QUALI TEMPI SONO NECESSARI PER CIASCUNA AZIONE, QUALI

SONO I VINCOLI E LE RISORSE A DISPOSIZIONE, ED INFINE LE EVENTUALI ANNOTAZIONI PERSONALI.

� � � �

LE TAPPE

LE AZIONI

genn 20..

febb 20..

mar 20..

apr 20..

mag 20..

giu 20..

lu

20..

ago 20..

sett 20..

ott 20..

nov 20..

dic 20..

LE RISORSE, I VINCOLI,

LE ANNOTAZIONI

1° tappa �

…………………… ............

� � � �

LE TAPPE

LE AZIONI

genn 20..

febb 20..

mar 20..

apr 20..

mag 20..

giu 20..

lu

20..

ago 20..

sett 20..

ott 20..

nov 20..

dic 20..

LE RISORSE, I VINCOLI,

LE ANNOTAZIONI

...° tappa �

……………………

……………………

ALLEGATO 32 Strumento per il conduttore

Esempio di scheda “Il mio progetto professionale”

Il lavoro che vorrei fare è: …… l’estetista ……

� � � �

LE TAPPE

LE AZIONI

lu /05

ago /05

sett /05

ott /05

nov /05

dic /06

genn /06

febb /06

mar /06

apr /06

mag /06

giu /06

LE RISORSE, I VINCOLI,

LE ANNOTAZIONI

1° tappa

� cercare e contattare i

centri di formazione

X

� centro vicino casa � corsi serali � rateizzazione

DIPLO-

MA

DA

� informarsi sui corsi

della Regione

X

� chiedere a Carlotta � contrattare con mio marito il tempo per

studiare

ESTE-

TISTA

� verificare i criteri per

il riconoscimento dei

titoli

X

� ……

� frequentare un corso

X

X

X

X

X

X

X

� � � �

LE TAPPE

LE AZIONI

lu /05

ago /05

sett /05

ott /05

nov /05

dic /05

genn /06

febb /06

mar /06

apr /06

mag /06

giu /06

LE RISORSE, I VINCOLI,

LE ANNOTAZIONI

2° tappa

� cercare e contattare i

centri di formazione

X

CORSO SHIATZU

� frequentare un corso

X

X

X

3° tappa

� preparare il Curriculum

Vitae

X

� chiedere a Francesco per il

computer

� farsi prestare il motorino

PROMO-

ZIONE

� fare i biglietti da

visita

X

X

� …….. � …………….

� contattare i centri di

estetica della zona

X

X

� ....

X

� � � �

LE TAPPE

LE AZIONI

lu /05

ago /05

sett /05

ott /05

nov /05

genn /06

febb /06

mar /06

apr /06

mag /06

giu /06

dic /06

LE RISORSE, I VINCOLI,

LE ANNOTAZIONI

4° tappa

� dire alla amiche del

diploma (organizzare una

festa, …)

X

INIZIA-

RE

� organizzare una stanza

della casa

X

X

� convincere la mamma!

A

FARE

� cercare un lettino

usato ed altre attrezza-

ture

X

X

� parlare con la zia Maria per un

prestito

ESPE-

RIENZA

� individuare possibili

“invianti” (dietologi,

parrucchieri, palestre, …)

X

X

� chiedere nomina-tivi al mio medico

di base

� …………….

6

179

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