BloGlobal Weekly N°26/2014
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N°26, 23-29 NOVEMBRE 2014
ISSN: 2284-1024
I
BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 30 novembre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Maria Serra Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net
Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°26/2014 (23-29 novembre 2014), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.net
Photo credits: Reuters; AFP/Getty Images; Reuters; AP; AAP; Pablo Tosco/AFP/Getty Images; DPA; Getty Images; The Guardian; DYVYS; Commissione europea;
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FOCUS
EGITTO↴
Quella appena passata è stata per l’Egitto una settimana molto intensa sia sotto il
profilo diplomatico, sia per quanto riguarda la politica interna e di sicurezza.
Dal 24 al 27, il Presidente al-Sisi è stato impegnato in un importante viaggio
di lavoro tra Italia e Francia – la sua prima visita in Europa da Capo di Stato –,
nel quale ha incontrato le massime autorità dei due Paesi mediterranei. Nella tappa
italiana, il Presidente egiziano ha preso parte all’Italian-Egyptian Business Coun-
cil – un foro di dialogo economico volto a promuovere gli investimenti nei due Paesi
–, durante il quale ha avuto due importanti bilaterali con il Presidente del Consiglio
Matteo Renzi e il Presidente della Repubblica Napolitano, con i quali sono stati affron-
tati i temi sensibili alle due parti come la minaccia terroristica e la questione libica.
Nello spiegare alla stampa la rilevanza strategica che gioca l'Egitto per l’Italia «nelle
questioni geopolitiche del Mediterraneo», Renzi ha colto l'occasione per manifestare
la propria solidarietà al popolo egiziano «colpito nelle ultime settimane da gravi at-
tentati». L'Italia, ha proseguito Renzi, porterà avanti al fianco dell’alleato egiziano
una «lotta senza quartiere al terrorismo, lotta che va rafforzata […] attraverso
una maggiore cooperazione Europa-Egitto […] senza cedimento né arrendevolezza
[…] facendo di tutto per combattere il terrorismo e favorire la stabilità dell'area». A
margine degli incontri ufficiali, al-Sisi ha incontrato anche Papa Francesco, con
il quale ha affrontato i temi del rispetto delle minoranze, in particolare quelle cristiane
– i copti in Egitto rappresentano all’incirca il 10% della popolazione totale – e le
principali questioni internazionali di comune interesse, «con particolare riferimento al
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ruolo dell'Egitto nella promozione della pace e della stabilità nel Medio Oriente e nel
Nord Africa».
Al termine dei colloqui ufficiali, al-Sisi ha incontrato la folta comunità di imprenditori
italiani interessati ad investire nel Paese. L’Italia è il terzo partner commerciale del
Paese dopo USA e Cina e il secondo europeo dopo la Germania. Nella due giorni a
Roma, l'Agenzia per la promozione delle Imprese Italiane all’Estero (ICE) e l'Egyptian
Commercial Service (ECS) hanno firmato un memorandum d’intesa su 14 pro-
getti di investimento nel Paese da 100 miliardi di euro, alcuni di quali di grande
rilevanza strategica, come l’ampliamento dei lavori del Canale di Suez, lo sviluppo
dell’area industriale e mineraria tra i porti sul Mar Rosso e la Valle del Nilo, la costru-
zione di linee ferroviarie ad alta velocità tra Alessandria, Il Cairo e Assuan e alcuni
importanti investimenti nell'energia solare.
Il 26 e il 27 novembre, al-Sisi è dunque volato in Francia dove a Parigi ha incon-
trato il Presidente François Hollande e i Ministri di Esteri e Difesa, Laurent Fabius e
Jean Yves Le Drian. Negli incontri ufficiali le parti oltre ad auspicare un maggior coin-
volgimento economico e una crescita dell’interscambio commerciale, hanno discusso
anche circa la possibilità di una vendita di armamenti francesi all’antiquato ar-
senale egiziano. Sono in discussione infatti alcuni contratti di fornitura da un miliardo
di euro per quattro navi corvetta Gowind alla marina militare e il rinnovo dello stock
di jet Mirage 2000 all’aviazione.
Intanto dopo settimane di attesa, sono giunti al Cairo gli otto elicotteri Apache
promessi all’esecutivo egiziano dall’amministrazione Obama due anni or sono
ma bloccati nell’ottobre del 2013 da Washington a causa della repressione nei con-
fronti della Fratellanza Musulmana.
Sul piano interno, la situazione rimane pressoché incandescente a causa di alcune
decisioni del governo e della magistratura che hanno riportato in piazza i giovani e,
più in generale, gli Egiziani scontenti dell’attuale corso politico nazionale. Alla base di
ciò vi è da un lato un disegno di legge che propone in senso restrittivo una riforma
delle misure in materia di anti-terrorismo per la lotta ai gruppi dissidenti dichia-
rando “terroristi” tutti coloro che potrebbero porre in pericolo l’ordine pubblico e la
sicurezza nazionale, e, dall’altro, la proposta parlamentare di abolizione del par-
tito salafita egiziano al-Nour in quanto ritenuto un partito religioso. Una norma,
questa, che dal punto di vista del governo sarebbe coerente con quanto fatto nell’ago-
sto scorso nei confronti della messa al bando di Giustizia e Libertà, il braccio politico
dei Fratelli Musulmani.
Tutte queste situazioni hanno spinto salafiti e islamisti vicini all’Ikhwan a scendere in
piazza in diversi centri del Paese nel venerdì della collera (28 novembre) contro il
Presidente al-Sisi e il governo Mahlab, rei di aver destituito il Presidente legittimo
Mohammed Mursi e di voler svilire i valori sociali e culturali dell’Islam. Sebbene con-
trassegnate da 3 morti (tra cui un ufficiale dell’esercito ad Alessandria), una ventina
di feriti e all’incirca un’ottantina di arresti, le proteste non hanno raggiunto il
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consenso sperato dagli organizzatori anche per le defezioni di alcuni dei più im-
portanti leader islamisti come Abdel Moneim Aboul Fotouh, che ritenevano le marce
una strumentalizzazione politica in favore del governo.
Nel frattempo, una Corte d’assise del Cairo ha prosciolto il 29 novembre l’ex rais
Hosni Mubarak da tutte le accuse pendenti a suoi carico per fatti risalenti
alla rivoluzione del 2011. Le principali accuse riguardavano uno scandalo di cor-
ruzione e tangenti nelle quali erano coinvolti anche i figli di Mubarak, Gamal e Ala’a,
e, soprattutto, quello relativo all’accusa di concorso in omicidio per le 239 morti dei
manifestanti del gennaio-febbraio 2011, ossia prima della sua destituzione ufficiale
giunta il 25 febbraio. Insieme all’anziano rais erano imputati anche l'ex Ministro degli
Interni Habib al-Adly e sei ex responsabili dei servizi di sicurezza nazionali. Secondo
il procuratore generale del Cairo le accuse contro Mubarak decadono a causa dell’in-
fondatezza dei capi di imputazione. Secondo il magistrato era tecnicamente
inammissibile accusare Mubarak di essere il mandante delle repressioni e pertanto
non doveva neanche essere processato. A giugno 2012, Mubarak era stato condan-
nato all'ergastolo ma la sentenza era stata invalidata per ragioni formali e, quindi,
l'intero processo fu ricominciato.
Immediate si sono levate le proteste dei giovani contro il verdetto di assoluzione per
Mubarak. Per tutta la notte si sono tenute al Cairo e nelle principali città del Paese
manifestazioni di protesta contro la decisione della magistratura egiziana che hanno
provocato la morte di un manifestante e l’arresto di una settantina di persone da
parte delle forze di polizia.
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STATI UNITI ↴
Il grand giurì americano, composto da nove giudici bianchi e tre afro-americani, ha
deciso di non incriminare Darren Wilson, il poliziotto bianco che nell’agosto scorso
nella piccola cittadina di Ferguson ha sparato ed ucciso Michael Brown, un ragazzo di
colore di diciotto anni e disarmato. Poco dopo l’annuncio sono ricominciate le proteste
da parte dei manifestanti, che avevano già colpito il Missouri nelle scorse settimane.
Le manifestazioni si sono poi estese a centosettanta città americane, come
Seattle, Los Angeles, Philadelphia, Denver e Atlanta. A Ferguson è intervenuta la
Guardia Nazionale per fermare saccheggi, incendi ed atti di vandalismo che, nei due
giorni successivi alla sentenza, hanno flagellato la cittadina. Dalla Casa Bianca, il
Presidente Obama ha rivolto un appello ai compatrioti: «Bruciare edifici, incendiare
auto, distruggere proprietà, mettere le persone in pericolo. Tutto ciò è distruttivo.
Non ci sono scuse», ha affermato Obama. «Le persone dovrebbero essere punite se
hanno compiuto [questi] atti criminali». Ha continuato: «Il mio messaggio va a quelle
persone che guardano al futuro in modo costruttivo, cercano di organizzarsi e fare
domande su come migliorare la situazione: voglio che sappiano che il loro Presidente
ha intenzione di lavorare con loro». «La conclusione», ha dichiarato, «è che niente di
significativo emerge da atti distruttivi. Non ho mai visto una legge sui diritti civili e
una sull'immigrazione e la sanità nascere da auto incendiate». Alla fine ha comunque
osservato che «in qualunque parte dell'America una comunità non si sente benvenuta
o trattata giustamente, ciò mette tutti noi a rischio. E noi tutti dobbiamo esserne
preoccupati».
Nel frattempo Wilson ha annunciato di aver lasciato la polizia visto che, come ha
dichiarato il suo avvocato, «il primo giorno che ritornerà in servizio in strada qualcosa
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di terribile potrebbe succedere a lui o a qualcuno che lavora con lui. L'ultima cosa che
vuole è mettere la vita di altri agenti in pericolo».
Intanto a Washington il Segretario alla Difesa, il repubblicano Chuck Hagel, ha
rassegnato le proprie dimissioni da capo del Pentagono dopo due anni dall’as-
sunzione dell’incarico. Nella conferenza stampa, Obama ha detto che era «arrivato il
tempo perché Hagel lasci la guida del Pentagono: non è stato un Ministro della Difesa
comune, ma anzi uno esemplare». Il Segretario di Stato, John Kerry, ha affermato di
essere «molto triste dopo aver sentito che Chuck ha deciso di rassegnare le sue di-
missioni». Più che di dimissioni di Hagel, comunque, secondo quanto lasciato trape-
lare da fonti statunitensi, si è trattato di un licenziamento da parte di Obama.
Secondo il New York Times, «nei prossimi due anni sarà necessario un altro tipo di
focus» per la politica di sicurezza americana. Il Wall Street Journal ha svelato i
contenuti di due lettere private inviate da Hagel al Presidente in cui il Segretario
aveva chiesto un maggior vigore nell’interfacciarsi con le azioni della Russia in Ucraina
per rassicurare gli alleati europei della NATO e una maggiore chiarezza da parte
dell’amministrazione nella strategia in Siria per combattere l’avanzata dell’IS. È dun-
que partito il toto-nomination per chi succederà ad Hagel. In cima alla lista, fino a
due giorni fa, pareva esserci Michele Flournoy, una donna già sottosegretario alla
Difesa e funzionario del Pentagono ai tempi dell'amministrazione Clinton.
In realtà, lei stessa ha dichiarato che non è sua intenzione ricoprire quell’incarico:
«L'altra sera ho parlato con il Presidente Obama e ho chiesto di rimuovermi dalla lista
a causa di problemi famigliari». Un altro nome forte pareva essere quello di Jack
Reed, senatore democratico del Rhode Island, ma anche il suo sembra essersi parec-
chio indebolito. Resta in corsa come favorito Ashton Carter, ex vice Segretario
della Difesa tra l’ottobre 2011 e il dicembre 2013.
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UNIONE EUROPEA ↴
Nel corso della Plenaria del Parlamento Europeo dello scorso 26 novembre a Stra-
sburgo, il Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha lanciato l'ambi-
zioso piano di investimenti da 315 miliardi per il periodo 2015-2017 volto a
stimolare la ripresa economica dell'UE insieme con il completamento del processo di
riforme e con la disciplina di bilancio. Entro giugno 2015 verrà dunque
creato nuovo Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (FEIS) con un ca-
pitale iniziale di 21 miliardi di euro, 16 dei quali già inseriti nel budget UE (provenienti
da Connecting Europefacility e Horizon 2020) e 5 messi a disposizione dalla Banca Eu-
ropea per gli Investimenti (BEI). I 16 miliardi garantiti dall'UE dovranno essere in
grado di generare investimenti di lungo termine per almeno 240 miliardi di euro at-
traverso un effetto moltiplicatore con un rapporto di 1:15 (cioè ogni euro investito
sarà capace di produrre 15 euro di investimenti privati); mentre i 5 miliardi prove-
nienti dalla BEI dovrebbero essere capaci di generare nell'economia reale almeno 75
miliardi di euro per piccole e medie imprese e imprese a media capitalizzazione. A ciò
potrebbero aggiungersi investimenti aggiuntivi tra i 25 e i 30 miliardi di euro grazie
ai fondi strutturali e d’investimento europei 2014-2020. Gli Stati membri potranno
contribuire al piano su base volontaria immettendo risorse aggiuntive con il vantaggio
che tale cofinanziamento non verrà conteggiato nei parametri fissati dal
Patto di Stabilità e Crescita e dagli altri trattati sul rigore di bilancio, restando
dunque al di fuori del calcolo del deficit.
Il FEIS sosterrà pertanto investimenti strategici nelle infrastrutture, in partico-
lare nella banda larga e nelle reti energetiche, nei trasporti negli agglomerati indu-
striali, nonché nell’istruzione, nella ricerca e nell'innovazione, nelle energie rinnovabili
e nell’efficienza energetica. A tal fine già dallo scorso settembre una task force tra
Commissione e BEI sta stilando un elenco dei progetti da sviluppare sulla base di
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alcuni criteri fondamentali (valore aggiunto europeo, redditività fattibilità entro i pros-
simi tre anni) ai quali verrà affiancato anche un importante programma di assi-
stenza tecnica al fine di rendere tali progetti più appetibili per gli investitori privati.
L'ultimo aspetto riguarda infine una road map per la rimozione degli ostacoli alle
opportunità di investimento in tutti i principali settori delle infrastrutture,
dall’energia alle telecomunicazioni, ai trasporti e al digitale, nonché degli ostacoli nei
mercati dei servizi e dei prodotti.
Una volta approvato il piano dal Parlamento e dal Consiglio europeo del prossimo
dicembre, che prevedrà tra l'altro l'adozione di nuove misure legislative, i Ven-
totto concluderanno dovranno concludere la programmazione dei fondi strutturali e
di investimento europei al fine di massimizzarne la leva finanziaria, mentre il FEIS
vedrà il primo contributo aggiuntivo da parte della BEI. Una prima valutazione dell'ef-
ficacia del piano verrà effettuata da Commissione e Capi di Stato e di governo entro
la metà del 2016, quando saranno eventualmente considerate altre opzioni aggiun-
tive; se funzionante, ha dichiarato Juncker, il piano potrà essere prorogato anche
per il periodo 2018-2020. Secondo il vice Presidente della Commissione, Jyrki Ka-
tainen, il piano dovrebbe incarnare un «nuovo approccio a livello europeo per cam-
biare il modo in cui il denaro pubblico viene utilizzato», in particolare sostenendo i
prestiti più rischiosi. Nonostante i pareri discordanti tra i gruppi parlamentari (parti-
colarmente critico GUE/NGL), le nuove misure sono state accolte favorevolmente in-
nanzitutto dall'Italia poiché considerate come il «frutto delle battaglie italiane a fa-
vore della crescita e dell'occupazione».
MECCANISMO PIANO DI INVESTIMENTI UE 2015-17; FONTE: COMMISSIONE EUROPEA
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BREVI
AFGHANISTAN, 23-29 NOVEMBRE ↴
Si è concluso soltanto da poche ore l’attacco che alcuni
talebani hanno lanciato contro una guesthouse situata
nei pressi dell’edificio che ospita il Parlamento a Kabul.
Le forze di sicurezza hanno ucciso due dei tre assalitori,
che secondo alcuni testimoni indossavano uniformi
dell’esercito afghano, mentre il quarto è morto durante
l’esplosione che ha provocato la morte anche di due stranieri. Negli ultimi giorni Kabul
è stata teatro di un’offensiva su larga scala dei talebani che negli ultimi dieci giorni
hanno colpito la capitale per ben otto volte. Gli attacchi si sono concentrati sia contro
obiettivi stranieri che contro le forze afghane, anche se l’attentato peggiore è stato il
23 novembre a Paktika nella provincia di Helmand e ha provocato la morte di 57
persone che stavano assistendo ad una partita di pallavolo. L’attacco più significativo
è avvenuto venerdì 28 novembre quando un kamikaze talebano si è fatto esplodere
al passaggio di un convoglio diplomatico britannico, provocando la morte di un inglese
e di cinque afghani. Nella notte del 28, invece, i combattenti talebani hanno lanciato
un attacco prolungato alla base di Shorabak nella provincia di Helmand, causando la
morte di otto soldati afghani e il ferimento di sette. La base, conosciuta come Camp
Bastion, è una ex-struttura utilizzata dall’esercito britannico che l’ha recentemente
ceduta all’esercito afghano, nel quadro degli accordi di ritiro dal Paese delle truppe
straniere. Questa serie di attacchi fa parte della strategia talebana di colpire sia
membri delle truppe straniere che membri delle forze afghane nel tentativo di opporsi
agli accordi siglati recentemente dal preseidente Ashraf Ghani che prevedono il
proseguimento, in forma ridotta, della presenza di truppe NATO in Afghanistan per
addestrare i militari dell’Afghan National Army.
AUSTRIA, 12 NOVEMBRE ↴
Si sono riuniti a Vienna i Ministri dell’Energia dei Paesi
membri dell’OPEC per discutere del prezzo del petrolio,
in drastica riduzione da mesi, che ha visto in novembre
segnare i propri minimi da cinque anni a questa parte.
La decisione finale è stata quella di non ridurre la
produzione complessiva, lasciando così che il costo del
barile prosegua la sua corsa al ribasso. Regista di questa operazione, che non ha
trovato concordi tutti i Paesi dell’organizzazione, è stata l’Arabia Saudita, per la quale
l’attuale prezzo del petrolio in relazione alle riserve nazionali disponibili non
rappresenta una minaccia per la stabilità, a differenza di altri Stati come l’Iran, la
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Libia e il Venezuela, che al contrario spingevano per un taglio della produzione. Rafael
Ramirez, il Ministro di Caracas, aveva cercato un appoggio esterno nella Russia e nel
Messico per convincere i colleghi della necessità della riduzione. Anche Mosca come
Teheran, ad esempio, ha bisogno che il prezzo del singolo barile sia ben più elevato
del 65 dollari con cui è acquistabile ora per far quadrare i conti del bilancio nazionale.
Il Ministro saudita del Petrolio, Ali Al Naimi, soddisfatto dall’esito della riunione, ha
commentato che «il mercato del petrolio finirà per stabilizzarsi da solo». L’OPEC ha
deciso di riaggiornarsi nel giugno 2015 per discutere nuovamente quali mosse
congiunte debbano essere applicate. A farne le spese sin da ora sono stati alcuni
colossi americani ed europei dell’industria energetica, che alla borsa di New York sono
stati messi sotto pressione. È stato il caso di Exxon Mobil (-3,42%), Chevron (-4,4%),
ConocoPhillips (-5,41%), Hess (-7,68%), Marathon Oil (-8,22%), Devon Energy (-
6,26%) e Occidental Petroleum (-8,60%).
IRAQ-SIRIA, 26 NOVEMBRE ↴
Damasco non depone le armi nel conflitto che da tre
anni insanguina il Paese. Traendo vantaggio
dall’affermazione sulla scena regionale della minaccia
califfale, il regime alawita ha intensificato la
repressione delle opposizioni. Nelle ultime sei
settimane la flotta siriana ha condotto più di duemila
attacchi, diretti in parte contro la fortezza jihadista a
Raqqa, in parte contro le postazioni dei ribelli. Secondo l’Osservatorio Siriano per i
Diritti Umani oltre cinquecento persone, tra cui numerosi civili, sono decedute nei
raid. Se nel nord della Siria le milizie dello Stato Islamico sovrastano in risorse ed
effettivi le forze antagoniste ad al-Assad, a sud della capitale sacche di resistenza
continuano a fronteggiare le truppe governative. Sostenuto materialmente dalla
Giordania, il fronte ribelle forte di circa 30mila guerriglieri è frammentato in oltre
cinquanta fazioni in lotta per la guida di una rivoluzione ormai svuotata dei contenuti
riformatori che contraddistinsero l’adunata di popolo contro la casa regnante. La
commistione di elementi qaedisti e di formazioni “moderate” permane nel
condizionare la risposta statunitense, benché il rinnovamento del Senato a vantaggio
del polo repubblicano e le dimissioni del Segretario della Difesa Hagel – voce
dissenziente all’interno dell’amministrazione Obama sulla questione siriana – tendono
il fianco a soluzioni diverse, finanche maggiormente incisive, nei riguardi di Bashar
al-Assad. Nel frattempo, il Ministro degli Esteri siriano Walid Muallem è stato ricevuto
a Sochi da Vladimir Putin, determinato a garantire la stabilità del governo di
Damasco. Mentre un doppio attacco suicida lanciato dal confine turco (nonostante le
smentite di Ankara) ha tentato di indebolire la resistenza curda a Kobane aprendo un
quarto fronte di combattimento, la provincia irachena di Anbar è tuttora sotto scacco
delle uniformi nere del Califfato, apparentemente non vulnerabili rispetto ai
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bombardamenti della coalizione internazionale. Infine, Hezbollah ha confermato il
ruolo del generale iraniano Qassem Suleimani nel coordinamento sul campo di
battaglia delle milizie sciite che da Baghdad a Samarra, fino a lambire Kirkuk e Baiji,
si sono frapposte in modo decisivo contro l’urto jihadista.
ISRAELE, 23 NOVEMBRE ↴
Durante la riunione di gabinetto dell’esecutivo
israeliano è passato a maggioranza (15 voti a favore e
7 contrari) il disegno di legge che vorrebbe fare di
Israele uno “Stato della nazione ebraica”. La decisione
ha provocato profonde lacerazioni anche all’interno
della maggioranza di governo: la legge è stata infatti
approvata con i voti dei soli partiti della destra nazionalista (Likud, Yisrael Beiteinu e
HaBayit HaYehudi), mentre hanno votato contro i centristi di Yesh Atid del Ministro
delle Finanze Yair Lapid e HaTnuah del Ministro della Giustizia Tzipi Livni e, unica
dissidente dello stesso Likud, il Ministro dello Sport Limor Livnat. Questo nuovo colpo
di spugna di Netanyahu in favore dei partiti di destra israeliana segna da un lato uno
spostamento dell’asse di governo sempre più in favore del partito di Bennett e
Liebermann, dall’altro apre alla possibilità concreta di elezioni anticipate se, come ha
promesso il Premier subito dopo il voto di domenica, il disegno di legge andasse alla
Knesset e fosse infine approvato a maggioranza. Uno scenario, questo, che ha
costretto un’immediata discesa in campo del Presidente della Repubblica Reuven
Rivlin, il quale ha stigmatizzato la proposta di legge di Netanyahu spiegando che di
fatto Israele è già «lo Stato nazionale del popolo ebraico». Alla base delle
preoccupazioni di Rivlin vi sarebbe il timore che una legge identitaria possa
radicalizzare ulteriormente le divisioni nel Paese non solo con i Palestinesi ma anche
e soprattutto con gli Arabi-Iraeliani, che sono una porzione rilevante della popolazione
totale (circa il 20%, 1,5 milioni di abitanti su 8 totali). La proposta di legge di uno
Stato ebraico era stata già ampiamente dibattuta nei passati mesi ma sembrava
essere stata accontatonata per motivi di opportunità politica dall’esecutivo a seguito
della crescente escalation di violenze nel Paese e nei Territori Occupati dopo la Guerra
di Gaza e gli attentati palestinesi in Israele e in Cisgiordania. Tuttavia, i voti dei
Parlamenti nazionali di Svezia, Regno Unito, Irlanda, Spagna e Danimarca di uno
riconoscimento di uno Stato palestinese – e quello ancora in corso in Francia che
dovrebbe aver luogo il prossimo 2 dicembre – e il prolungamento delle trattative sul
nuclare iraniano, avrebbero convinto Netanyahu ad accellerare l’iter della formazione
di uno Stato ebraico israeliano in modo da rafforzare la posizione del suo esecutivo
costituendo un governo mono-colore e libero dalle cosiddette “colombe” centriste che
potrebbero rallentare l’azione politica del governo. Intanto a Gerusalemme lo Shin
Bet, l’agenzia di intelligence per la sicurezza interna, ha arrestato una cellula di 30
persone – alcune delle quali straniere (giordani e kuwaitiani) ed altre appartenenti
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alle Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas – pronte a preparare un
attentato al Teddy Stadium e alla linea dei tram di Gerusalemme. Secondo
l’antiterrorismo israeliano i miliziani arrestati sarebbero stati addestrati in Siria, in
Turchia e a Gaza. Lo stesso gruppo sarebbe stato responsabile di un altro attentato
senza vittime il 31 agosto scorso in Cisgiordania.
KASHMIR, 27 NOVEMBRE ↴
Si sono aperte, il 25 novembre, le urne per la prima
delle cinque fasi che porteranno all’elezione degli 87
seggi parlamentari nel Kashmir indiano. I risultati
saranno resi noti il 23 dicembre. I quattro maggiori
partiti a contendersi la maggioranza sono il Jammu and
Kashmir National Conference (NC, attualmente a capo
dell’assemblea), il People’s Democratic Party (PDP
partito di opposizione), il Bharatiya Janata Party (BJP, partito induista del Premier
indiano Narendra Modi) e l’Indian National Congress (INC, il partito di Sonia Gandhi).
In occasione dell’inizio delle elezioni nella zona del Kashmir amministrata dall’India,
i gruppi separatisti musulmani hanno chiesto alla popolazione di boicottare il voto e
di non recarsi alle urne. Una mossa, questa, che potrebbe rivelarsi, tuttavia,
vantaggiosa per il partito del Premier indiano Narendra Modi, il BJP, che sta cercando
una vittoria storica nel Kashmir. Il voto della popolazione induista, infatti, sarebbe
cruciale qualora i musulmani scegliessero di non votare. Tuttavia, sebbene ci sia un
generale malcontento nei confronti del partito locale finora in carica, il Jammu and
Kashmir NC, a causa della cattiva gestione della crisi dovuta alle inondazioni di
settembre unita ad una carenza di lavoro e opportunità per i giovani kashmiri, risulta
alquanto improbabile che il BJP induista ottenga la maggioranza dei seggi nello Stato.
In questo scenario sono ripresi gli scontri nella zona di Arnia, teatro delle dispute
armate di ottobre scorso. Dei militanti musulmani si sono infiltrati attraverso il confine
con il Pakistan e, asserragliandosi in un bunker, hanno aperto il fuoco contro le truppe
indiane causando la morte di almeno dieci persone. Gli accadimenti violenti degli
ultimi mesi rappresentano il più acuto inasprimento della tensione in Kashmir a
partire dall’entrata in vigore del cessate il fuoco del 2003 tra India e Pakistan. Il
Kashmir, in cui risiede una popolazione a maggioranza musulmana, infatti, è territorio
rivendicato da entrambi i Paesi fin dalla loro creazione ed è stato suddiviso in tre aree
separate: una sottoposta alla giurisdizione indiana, una a quella pakistana ed una,
minore, all’amministrazione cinese.
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NIGERIA, 25-28 NOVEMBRE ↴
Un triplice attacco esplosivo è avvenuto venerdì 28 no-
vembre all’interno della grande moschea di Kano, la più
grande città del nord della Nigeria. Secondo i testimoni
la prima esplosione sarebbe avvenuta all’esterno della
moschea, seguita poi da due grandi esplosioni all’in-
terno: successivamente alcuni uomini armati hanno
iniziato a sparare indiscriminatamente sulla folla mentre scappava in cerca di rifugio.
Il bilancio finale dell’attacco dinamitardo è di 120 morti ed almeno 270 feriti. Al mo-
mento non c’è stata alcuna rivendicazione ma tutti gli indizi punterebbero sul gruppo
terroristico di Boko Haram. Probabilmente l’obiettivo dell’attentato era l’Emiro di
Kano, Sanusi Lamido Sanusi, una delle personalità più influenti del Paese, che la
settimana scorsa aveva spinto la popolazione ad opporsi all’offensiva di Boko Haram,
accusando le autorità nazionali di non fare abbastanza per garantire la sicurezza delle
persone che vivono in quella zona della Nigeria. L’attacco sembra però un avverti-
mento piuttosto che un attacco vero e proprio, in quanto, al momento dell’esplosione,
l’Emiro non si trovava all’interno della moschea per la preghiera del venerdì, bensì in
Arabia Saudita. L’esplosione ha causato la reazione indignata della popolazione di
Kano che, scontenta dell’intervento tardivo della polizia, ha manifestato massiccia-
mente per le strade della città. Nell’altra città del nord della Nigeria presa di mira da
Boko Haram, Maiduguri, martedì 25 novembre due donne kamikaze si sono fatte
esplodere in un mercato popolare, provocando la morte di 45 persone. Anche in que-
sto caso l’attentato non è stato rivendicato, ma gli osservatori lo attribuiscono alla
setta islamista di Boko Haram che è nata proprio in questa città, in passato sottoposta
ad attacchi quasi quotidiani. Di sicuro Boko Haram è responsabile di un'altra carnefi-
cina avvenuta a Dorno Baga, un paese situato sulle rive del lago Ciad, dove sono stati
uccisi 48 commercianti in viaggio per fare acquisti.
RUSSIA-ABKHAZIA, 24 NOVEMBRE ↴
Il Presidente russo Vladimir Putin ha ricevuto, lunedì
24 novembre a Sochi sulla costa del Mar Nero, il leader
dell’autoproclamata Repubblica dell’Abkhazia, Raul
Khadzhimba. I due politici hanno concluso uno
strategico accordo militare che prevede, per il prossimo
triennio, una cooperazione tra Russia e Abkhazia nei
settori di difesa, sicurezza, forze dell’ordine e controllo dei confini. Il risultato sarà,
di fatto, un considerevole controllo da parte di Mosca della politica interna alla regione
abkhaza e porterà le truppe di Putin al confine tra questa e la Georgia. La rilevanza
dell’accordo, ritenuto illegale dalla comunità internazionale – compresi UE e NATO –
risiede nel fatto che l’Abkhazia sia stata riconosciuta indipendente da soli sei membri
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ONU, e dunque un’ingerenza negli affari interni di Sukhumi, capitale della regione,
significa un’ingerenza nella politica interna georgiana. L’Abkhazia, così come l’Ossezia
del Sud sono, infatti, due regioni secessioniste della Georgia le quali hanno dichiarato
la propria indipendenza dopo la dissoluzione dell’URSS ma che sono state
formalmente riconosciute come Stati autonomi dalla Russia soltanto dopo la Seconda
Guerra civile nel 2008. A maggio scorso le proteste popolari, supportate dal Cremlino,
hanno deposto dal vertice dell’autoproclamata Repubblica il Presidente Alexander
Ankvab, sostituendolo con Raul Khadzhimba, ex membro del KGB sovietico. Le
preoccupazioni espresse immediatamente dopo l’accordo dall’Unione Europea e dalla
NATO riguarano la possibilità che Mosca riservi per questo territorio le stesse mire
espansionistiche attuate nella penisola crimeana. In merito a tale allarme il
Segretario Generale NATO, Jens Stoltenberg, ha affermato che «La NATO sostiene
l’integrità territoriale della Georgia e non riconosce il trattato di alleanza strategica
firmato dalla regione abcasa e dalla Russia». Dal canto suo Putin ha risposto dicendo
che «L’accordo è stato siglato per garantire la sicrezza assoluta dell’Abkhazia [...] e
creare le condizioni per l’ulteriore sviluppo dei legami commerciali ed economici».
UCRAINA, 27 NOVEMBRE ↴
Si è tenuta il 27 novembre la prima sessione della
nuova Verchovna Rada (il Parlamento ucraino) come
risultato delle elezioni legislative dello scorso 26
ottobre. Arseniy Yatsenyuk, supportato dalla
coalizione di cinque partiti chiamata “Ucraina Europea”
che conta 288 deputati su 421, è stato nominato Primo
Ministro, mentre Vladimir Groisman, ex Ministro dello
Sviluppo Regionale ed esponente del Blocco Poroshenko, è stato eletto Presidente del
Parlamento. Nonostante l'appartenenza alla stessa maggioranza, la nomina dei due
uomini evidenzia un certo confronto e una serie di frizioni latenti tra gli stessi
Yatsenyuk e Poroshenko. Nello stesso giorno, inoltre, il Consiglio dell'Unione Europea,
sulla base dell'intesa del 17 novembre, ha deciso l'estensione delle sanzioni nei
confronti di 13 nuove personalità e di 5 entità, portando così la blackist dei soggetti
sottoposti a restrizioni a 132 persone e 28 organizzazioni di varia natura. Il nuovo
congelamento di beni e le limitazioni sul rilascio dei visti verso l'Europa questa volta
ha riguardato persone e gruppi direttamente coinvolti nelle elezioni nel Donbass dello
scorso 2 novembre e ritenute illegittime dalla comunità internazionale: tra
essi Sergey Kozyakov, capo della Commissione elettorale dell'auto-proclamata
Repubblica Popolare di Lugansk; Oleksandr Kofman e Ravil Khalikov,
rispettivamente vice Presidente del Parlamento e primo vice Premier, nonché ex
Procuratore Generale, dell'auto-proclamata Repubblica Popolare di Donetsk. Per
quanto riguarda le entità, invece, sono stati colpiti gruppi politici quali la Repubblica
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di Donetsk, Pace per la Regione di Lugansk, Free Donbass, Unione Popolare e l'Unione
Economica di Lugansk.
VATICANO, 28-30 NOVEMBRE ↴
È stata una settimana particolarmente intensa per la
diplomazia della Santa Sede. Dopo aver incontrato a
Roma il Presidente egiziano al-Sisi il 24 novembre, il
giorno seguente il Pontefice ha presieduto a
Strasburgo una sessione congiunta del Parlamento
europeo e del Consiglio d’Europa. A ventisei anni dalla
visita di Giovanni Paolo II – quando il progetto
comunitario ancora cedeva di fronte al Muro di Berlino, emblema di un continente
ostaggio della cortina di ferro – il discorso di Papa Bergoglio, soffermatosi in
particolare sui temi dell’occupazione e dell’immigrazione, apre un capitolo nuovo nelle
relazioni ufficiali tra la Santa Sede e le Istituzioni europee. La breve visita della guida
spirituale della Chiesa Cattolica ha preceduto un impegnativo viaggio di tre giorni in
Turchia, tradizionale ponte tra Occidente e Oriente che la prossimità della crisi siro-
irachena e le ambivalenze di Erdoğan rendono un interlocutore principale nella
contesa ideologica e militare sollevata dal Califfato. Ospite del Presidente turco,
Bergoglio ha celebrato il dialogo interreligioso e interculturale tra le confessioni e i
culti che si affacciano sul Mediterraneo, richiamando la Turchia alla responsabilità di
promuovere la pacificazione del Medio Oriente e lodandone l’impegno profuso
nell’assistenza ai profughi in fuga dagli epicentri di conflitto. A sostanziare le ferma
denuncia del fondamentalismo religioso e della brutale violenza ordita dallo Stato
Islamico, il Pontefice ha in seguito incontrato il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli
Bartolomeo I e il Mufti di Instanbul Rahmi Yaran.
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ALTRE DAL MONDO
BAHRAIN, 22 NOVEMBRE ↴
Chiamata alle urne per l’elezione della camera bassa del Parlamento, la maggioranza
sciita capeggiata dal partito d’opposizione al-Wefaq ha promosso il boicottaggio delle
consultazioni poiché ritenute incongruenti con il risveglio democratico del Bahrain e
strumentali all’esercizio di un potere assoluto da parte della leadership sunnita. La
diffusa astensione tende a sconfessare la legittimità della tornata elettorale, la prima
dalle contestazioni emerse violentemente nel febbraio 2011, mentre le strade sono
state teatro di scontri e incidenti. A una settimana di distanza si è tenuto il ballottag-
gio per l’attribuzione di trentaquattro seggi parlamentari (su un totale di quaranta)
non assegnati al primo turno. La tensione resta elevata.
BULGARIA, 26 NOVEMBRE ↴
Un’operazione di polizia ha portato all’arresto dell’imam Ahmed Mussa nella moschea
di Pazardzhik. Il religioso, già noto per la vicinanza alle incarnazioni estremiste
dell’Islam politico, è accusato assieme ad altre sei persone d’incitamento alla guerra
e di propaganda anti-democratica in ragione di una predicazione ostentatamente fa-
vorevole alla causa dello Stato Islamico. Nel contesto della medesima operazione, le
forze dell’ordine hanno ispezionato più di quaranta abitazioni in quattro centri urbani
in cui le comunità musulmane sono storicamente ben radicate.
BURKINA FASO, 23-27 NOVEMBRE ↴
Dopo le nomine di Michel Kafando e di Isaac Zida, rispettivamente a Presidente e a
Primo Ministro di transizione, il 23 novembre è stata diramata, in tarda serata, anche
la lista dei 26 Ministri del governo temporaneo. I due uomini forti della transizione
hanno tenuto per sé gli incarichi nei loro settori di competenza, con il Presidente a
dirigere il Ministero degli Esteri e il Primo Ministro quello della Difesa. Altri tre com-
ponenti delle forze armate, molto vicini al Premier Zida, sono entrati a far parte del
governo, acquisendo le cariche di alcuni tra i Ministeri più importanti, mentre molte
altre nomine provengono dalla società civile. Ancor prima di occupare la sua carica il
Ministro della Cultura Adama Sagnon ha dato le sue dimissioni, a causa delle proteste
popolari per la sua nomina, in quanto colpevole di aver insabbiato l’inchiesta sull’uc-
cisione del giornalista Norbert Zongo. Nel frattempo, si è installato, giovedì, anche il
terzo organo previsto dalla Carta di transizione, ovvero il Consiglio Nazionale Transi-
torio, alla cui presidenza è stato nominato un giornalista, Cherif Mounima Sy.
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CINA-HONG KONG, 22 NOVEMBRE ↴
Il giovane Joshua Wong, leader della rivolta studentesca di Hong-Kong, scoppiata
nell’agosto scorso con la richiesta di poter eleggere autonomamente i propri rappre-
sentanti governativi, è stato arrestato, insieme all’altro giovane di spicco della pro-
testa, Lester Shum e ad 150 manifestanti. L’arresto è avvenuto mercoledì 26 novem-
bre con l’accusa di aver ostruito il lavoro degli ufficiali di polizia nell’attività di sgom-
bro dell’assedio dell’area di Mong Kok durato circa 60 giorni. Gli studenti sono stati
poi rilasciati e la causa è stata rimandata a gennaio. I giovani leader sono stati tut-
tavia interdetti dalla zona delle proteste dalla Corte di Hong Kong.
CONGO, REPUBBLICA DEMOCRATICA, 23 NOVEMBRE ↴
Una nuova offensiva molto violenta è avvenuta nel Nord Kivu da parte dei ribelli.
L’attacco ha avuto luogo a una ventina di chilometri ad est dell’aeroporto della città
di Beni e ha interessato quattro villaggi. Non c’è ancora un bilancio definitivo dell’as-
salto, ma fonti governative prospettano una cifra che oscilla tra i 70 e i 100 morti. Le
conclusioni delle indagini preliminari puntano gli occhi sui ribelli ugandesi dell’ADF,
autori di numerose attacchi nella regione che, a partire dalla metà di ottobre hanno
causato più di 200 vittime. Spaventata da questa nuova minaccia, alcuni giorni prima,
la società civile congolese aveva esortato l’esercito, la polizia e l’ONU ad agire con
urgenza per ristabilire la sicurezza nella regione.
IRAN, 24 NOVEMBRE ↴
Il termine dei negoziati sul nucleare iraniano è stato prorogato al 30 giugno 2015. Si
tratta della seconda dilazione sul raggiungimento di un accordo di compromesso
avente ad oggetto l’ambizioso programma nucleare di Teheran e le sanzioni econo-
miche applicate da Washington, un braccio di ferro che per entrambe le parti assume
un valore prioritario nelle rispettive agende politiche. Se la crisi siriana e il conse-
guente ostruzionismo sino-russo già avevano ostacolato le trattative, l’affermazione
dello Stato Islamico e la ridiscussione degli equilibri mediorientali attribuiscono alla
contesa un valore strategico di primissimo piano. Consapevoli della posta in gioco, le
dirigenze di Stati Uniti e Iran hanno salutato con favore il prolungamento dei colloqui.
LIBIA, 28 NOVEMBRE ↴
L’ex Generale Khalifa Haftar ha dichiarato di voler riportare, entro il 15 dicembre, il
Parlamento stanziato a Tobruk nella capitale Tripoli ed ha iniziato la campagna di
attacchi aerei contro l’aeroporto di Mitiga. Il Ministro degli Esteri Gentiloni ha affer-
mato, nel frattempo, in merito alla crisi libica che «un intervento di peacekeeping,
rigorosamente sotto l'egida ONU, vedrebbe l'Italia impegnata in prima fila, purché
preceduto dall'avvio di un percorso negoziale verso nuove elezioni garantito da un
governo di saggi. In assenza di ciò mostrare le divise rischia solo di peggiorare la
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situazione». Inoltre, il Consiglio di Sicurezza ONU ha dichiarato che il Comitato San-
zioni sta elaborando provvedimenti, diretti contro le parti in lotta nel Paese nord-
africano, da attuare qualora continuino a non cercare concretamente una soluzione
pacifica al conflitto.
MESSICO, 27 NOVEMBRE ↴
Il Presidente Enrique Peña Nieto ha annunciato un nuovo piano nazionale contro il
crimine organizzato e la corruzione dilaganti. Il piano fornisce maggiori poteri al Con-
gresso che può decidere lo scioglimento delle amministrazioni locali conniventi con i
trafficanti di droga e concede alle autorità locali maggiore controllo sulla polizia mu-
nicipale che verrà riorganizzata in 32 corpi statali. Il piano si focalizzerà, inizialmente,
sui quattro Stati più coinvolti nelle violenze di questi mesi: Guerrero, Michoacan,
Jalisco e Tamaulipas. «Il Messico non può continuare così» ha detto il Presidente
durante una cerimonia al Palazzo Nazionale della capitale, «dopo Iguala, il Paese deve
cambiare». La spinta decisiva all’approvazione di questo nuovo piano anti-crimine è
venuta proprio dalla vicenda dei 43 studenti di Iguala, uccisi da un gang locale con il
tacito accordo della polizia, e dalle massicce proteste popolari che hanno fatto seguito
alla loro scomparsa.
NEPAL, 27 NOVEMBRE ↴
È stato firmato a Kathmandu, in Nepal, un importante accordo di cooperazione ener-
getica tra le otto nazioni parti al 18esimo vertice SAARC (l’Associazione sud-asiatica
per la cooperazione regionale) svoltosi nelle giornate del 26 e 27 novembre. Altri due
accordi firmati dai Paesi membri riguardano la regolamentazione del traffico di pas-
seggeri e merci e la gestione delle linee ferroviarie tra gli Stati membri. Le questioni
discusse, inoltre, nel summit sono state la riduzione della povertà, la promozione del
turismo, la generazione di opportunità di lavoro e le tecniche di controllo degli effetti
dei cambiamenti climatici.
PORTOGALLO, 23 NOVEMBRE ↴
José Socrates, Primo Ministro portoghese dal 2005 al 2011 e leader del Partito So-
cialista, è stato messo in stato di fermo provvisorio insieme ad altri tre uomini
nell’ambito di un’indagine per frode fiscale, riciclaggio di denaro e corruzione. L’arre-
sto di Socrates segue peraltro allo scoppio di un altro scandalo, riguardante la con-
cessione di visti facili agli investitori stranieri, che aveva condotto alle dimissioni del
Ministro dell'Interno, Miguel Macedo, lo scorso 17 novembre.
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SPAGNA, 26 NOVEMBRE ↴
Il Ministro della Sanità, Ana Mato, esponente del Partito Popolare e figura vicina al
Premier Mariano Rajoy, ha rassegnato le proprie dimissioni a causa del presunto coin-
volgimento nello scandalo Gürtel, vicenda di corruzione e favori illeciti nato nel no-
vembre del 2007 e che ha investito negli anni dirigenti e funzionari del PP. É stato
invece prosciolto l'ex Ministro dell'Interno, Angel Acerbes. In seguito ad una nuova
stagione di indagini avviate lo scorso mese di ottobre (Operación Puníca, definita la
Tangentopoli spagnola), e che ha condotto all'arresto di circa 50 esponenti politici e
di numerosi imprenditori, lo stesso Rajoy ha annunciato un piano di misure anti-
corruzione che comprende una nuova legge sul finanziamento dei partiti, un nuovo
statuto per la nomina delle alte cariche, una riforma parziale del codice penale.
TUNISIA, 23 NOVEMBRE ↴
Il primo turno delle elezioni presidenziali non è stato sufficiente a decretare il pros-
simo vertice della Tunisia. Béji Caïd Essebsi, anziano leader del partito di maggio-
ranza Nidaa Tounes, ha ottenuto il 39,4% dei suffragi contro il 33,4% difeso da Mon-
cef Marzouki, Presidente uscente che ha guidato il Paese nella transizione democra-
tica successiva alla deposizione di Ben Alì. Mentre le fazioni politiche ingaggiano con-
trattazioni per la formazione di un auspicato governo di coalizione, il ballottaggio per
l’elezione del Capo di Stato si terrà presumibilmente nella seconda metà di dicembre.
VENEZUELA, 26 NOVEMBRE ↴
La polizia politica venezuelana ha ratificato a Maria Corina Machado, oppositrice del
governo chavista rimossa dalla corsa per la Presidenza alle passate elezioni del 2013,
una citazione in giudizio, con l’accusa di aver partecipato ad una presunta cospira-
zione per l’uccisione dell’attuale Presidente Nicolás Maduro. L’accusa deriverebbe
dall’analisi di alcune mail, inviate dalla Machado ad alcuni esponenti dell’opposizione,
durante le proteste antigovernative avvenute in Venezuela tra il marzo e il maggio
scorso. In realtà Corina Machado è stata già interrogata per la stessa questione in
giugno ma nessuna accusa era stata formulata. Nel frattempo il Venezuela si trova a
dover affrontare le proteste dei carcerati del penitenziario di David Viloria che richie-
dono un miglior trattamento: nonostante il governo abbia proceduto al trasferimento
di 145 persone, la morte per overdose di droga di 13 prigionieri ha rinfocolato le
proteste degli attivisti.
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ANALISI E COMMENTI
L’IMPERATIVO STRATEGICO DELL’IRAN DI FRONTE AL NEGOZIATO NUCLEARE
STEFANO LUPO ↴
Non devono essere stati giorni facili per il Presidente Rouhani e il Ministro degli Esteri
Zarif. Man mano che al tavolo negoziale tra Parigi e Vienna ci si rendeva conto dell’in-
conciliabilità delle posizioni sulle questioni più stringenti tra le parti in causa, in Iran
scoppiava la polemica alimentata da chi sostiene che la posizione troppo morbida di
Zarif già un anno fa avesse predisposto il Gruppo 5+1 (il Consiglio di Sicurezza
dell’ONU più la Germania) a una linea d’azione più intransigente, vedendo Teheran
più disponibile al compromesso. E pensare che più di una volta Zarif ha cercato di
dissuadere il Presidente Rouhani dal rimanere troppo allineato ai dettami della fles-
sibilità eroica della Guida Suprema Khamenei. Il Presidente, eletto più di un anno fa
proprio grazie al suo equilibrio tra le varie istanze, non se l’è sentita di sbilanciarsi
troppo, con il rischio di cadere anima e corpo tra le braccia dell’ala dura, religiosa e
governativa (…) SEGUE >>>
IMMIGRAZIONE: DA MARE NOSTRUM A TRITON,
CHE GOVERNANCE HA IN MENTE L’EUROPA?
SALVATORE DENARO ↴
La crescita del fenomeno migratorio nel Mediterraneo e le numerose tragedie verifi-
catesi nel Canale di Sicilia e al largo di Lampedusa hanno recentemente condotto
l’Unione Europea a tentare di assumere un ruolo di maggiore responsabilità in materia
di immigrazione e di controllo delle frontiere. In seguito alle costanti richieste da
parte del governo italiano circa un maggiore impegno dell’Europa, lo scorso agosto
Frontex, l’agenzia europea creata con il Regolamento 2007/2004 del Consiglio UE con
lo scopo di gestire la cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri,
ha annunciato la creazione della missione Frontex Plus – poi rinominata Triton – che,
operativa dal 1° novembre, e integrando le due missioni già attive nel Mediterraneo
(la Enea e la Hermes), dovrebbe sostituire gradualmente l’operazione italiana militare
ed umanitaria Mare Nostrum (…) SEGUE >>>
COUNTRY PROFILES: BURKINA FASO
BEATRICE NICOLINI ↴
Mali, Togo, Ghana, Costa d’Avorio, Benin e Niger. Tutti questi Paesi confinano con il
Burkina Faso, già Repubblica dell’Alto Volta: un piccolo Paese dell’Africa occidentale
(274.200 Km2, CIA World Fact Book) privo di sbocchi al mare e povero persino per
gli standard della regione che ha sempre sofferto di carestie e di colpi di Stato militari.
Il suo territorio è complessivamente pianeggiante; d’estate le piogge sono frequenti
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e il clima è tropicale, mentre da settembre a maggio soffia il vento secco dell’Har-
mattan, il vento del deserto che porta anche la rivoluzione. Nell’ottobre di quest’anno
la popolazione (16,93 milioni – World Bank 2013) si è sollevata contro il Presidente
Blaise Compaoré deponendolo. Il Burkina Faso appartiene alla più ampia regione
dell’impero del Songhai che fu un crocevia importante per scambi mercantili e una
delle tappe fondamentali nei percorsi carovanieri trans-sahariani. Forti dunque furono
sempre i contatti e gli scambi tra popolazioni, merci e idee (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
www.bloglobal.net