Balibar - Cittadinanza

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@ I samPietrini ÉruruNr BALIBAR C[TA[TìhJANlA Attiva, passiva, politica, sociale, etica, universale: gli aggettivi che la qualificano sono altrettanti indicatori delle connotazionr che può assumere la cittadinanza, mai come oggi dibattuta e reinterpretata. 9,00 www.bollatiboringhieri it tsBN 978-88-3 ,ilIllluffi !r F' w r- @ n Érrrurue BALIBAR ( ITTADINANZA (vl !n e j v,

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Balibar - Cittadinanza

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@ I samPietrini

ÉruruNr BALIBARC[TA[TìhJANlA

Attiva, passiva, politica, sociale, etica, universale:

gli aggettivi che la qualificano sono altrettanti

indicatori delle connotazionr che può assumere

la cittadinanza, mai come oggi dibattutae reinterpretata.

€ 9,00www.bollatiboringhieri it

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BALIBAR( ITTADINANZA

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<< L' espressione " cittadinanza

democratica" può, storicamente,

definire soltanto un problema

ricorrente, un insieme di

conflitti e di definizionr

antitetiche, un enigma serlza

soluzione definitivao (p. t+).

;..'.:,,,..,.,11,'::: 1,'t: 1,1 ,i1..

. ::':ì.r'':l lrir'I '

ì

<Ci troviamo in un momento in

cui diventa (di nuovo) visibile che

f interess e nazionale o l'identità

nazionale non sono, in quanto tali

e in assoluto, fattori di unità della

comunità dei cittadini, e che

l'equazione tra cittadinanza e

nazionalità è essenzialmente

precaria>> (p. :t).

<< Se la comunità politica

funziona come un "club" nel

quale si può essere ammessi o dalquale ci si può veder rifiutarel'accesso, ci si deve domandare

come i "membri di diritto" siano

stati cooptati, come abbiano

stabilito le regole di ammissione

e come si traduca la loropartecipa zione attiv a nella

preservazione di quelle regole>(p. roz).

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Érn . J€53

Étienne Balibar

Cittadin anza

Traduzione di Fabrizio Grillenzoni

@Bollati Boringhieri

5+65%

Page 4: Balibar - Cittadinanza

Prima edizione giugno 2or2

@ zorz Bollad Boringhieri editore

Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86

Gruppo editoriale Mauri Spagnol

rsnN 978-88-339 -2269-o

Schema grafico della copertina: Bosio.Associati

www. bollatiboringhieri. it

Stampato in Italia da Press Grafica - Gravellona Toce (VB)

Indice

I.

64 4.

II

r8

4t

Cittadinanza

Democrazia, cittadinanza:una relazione antinomica

PoliteíaLa costituzione di cittadinanza e I'invenzione dellademocw:ra, zz Autonomia o autarchia del politico, 3zLapoliteía e il deperimento dello Stato, 36La società civile, nuovo luogo della politela?, 4o

Aequa libertasInsurrezione e costituzione, 47 Cittadinanza e

nazionalità, yo Politica e andpolitica: il dilemmadell'istituzione, 54 Stato, rappresentanza, istruzione, 56Democrazia e lotta di classe, 6r

Dalla cittadinanza sociale allo Statonazional-socialeDiritti 3ociali e cittadinanza s ociale, 67 Costituzionemateriale, 7r Socialismo nazionale e democrazia, T6Lantinomia del progresso, 8r

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t.85 Cittadinanza ed esclusioneEsclusione, disuguaglianze, discriminazioni, 86

La questione del udiritto ai dirittio, 89 Politica

e territorialità: le frontiere, 9z Regole di inclusione,

regole di esclusione, 97 Concetto del politico

e antropologia della cittadinanza, ro5

Laporia di una democrazia conflittualeViolenza e controviolenza, rr3 Liberalismo,

pluralismo, rapPresentanza del conflitto, rr6

Democrazia come dominio illegittimo e pluralismo

agonistico, rz3 Istituzione del conflitto come

rapporto asimmetrico, r3o

Neoliberalismo e de-demo cr atizzazioîeIJargomentazione di \Wendy Brown, r35 Escatologie

positive e negative, r4z Dall'individualismo

al populismo, r45 Crisi della raPPresentanza

e nconúodemo ctaziar, t5o

D emo cr atizzare la democrazia

Riferimenti bibliografi ci

III 6.

r)4 7.

flt 8.

17)

Cittadinanza

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I.

Democtazia, cittadinanz : ufia rclazioneantinomica

Cittadinanza e democrazia sono due nozioni indis-sociabili, ma che si rivela difficile mantenere in unrapporto di perfetta reciprocità. Il lettore di un'operaintitolata sempliceme nte Cittadinanza potrebbe arri-vare alla conclusione che la prima nozione prevalesulla seconda, e che la <<democrazia>> ne rappresentasoltanto una qualificaziofle, alla quale si attribuiràsuccessivamente un peso più o meno grande nella sua

definizione. Simili considerazioni gerarchiche o,come direbbe John Rawls, <<lessicografiche>>, nonsono affatto secondarie. Sono le considerazioni chepercorrono i dibattiti che oppongono una concezionerepubblicana (o neorepubblicana) della politica

^unaconcezione democratica (liberale, o sociale). Ne di-pende la comprensione stessa della filosofia politica,e dunque la sua critica, come hanno recentementesottolineato, ciascuno a suo modo, Jacques Rancière(ll disaccordo) e Miguel Abensour (Hannah Arendtcontro k filosofia politica?). Per parte nostra, nonsolo non intendiamo subordinare la considerazionedella democmzia a quella della cittadinanza, ma so-

steniamo che la democrazia - o meglio, il <parados-so democratico>>, secondo la felice formulazione di

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Chantal Mouffe (The Democratic Parador) - rappre-senta I'aspetto determinante del problema attorno alquale gravita la filosofia politica, proprio in quanto èla democrazia che rende l'istituzione della cittadi-flanz^ problernatica.

La cittadinanzahaconosciuto diverse forme stori-che, impossibili da ridurre le une alle altre. Ci si deveperò domandare quello che viene trasmesso sottoquesto nome e attraverso le sue <<traduzioni>> succes-

sive. Dall'una all'altra corre sempre un'analogia, che

riguarda il rapporto antinomico che la cittadinanzaintrattiene con la democrazia in quanto dinamica ditrasformazione del politico. Quando definiamo anti-nomico questo rapporto costitutivo della cittadi-n^nza, che al tempo stesso la mette in crisi, ci rife-riamo a una tradizione filosofica occidentale che ha

particolarmente insistito su due idee: r) quella ditensione permanente tra il positivo e il negativo, trail processo di costruzione e di distruzione, e z) quella

di coesistenza tr^ un problema che non si può mairisolvere definitivamente e I'impossibilità di farloscomparire. La nostra ipotesi di lavoro sarà per I'ap-punto che al centro delf istituzione della cittadinanzala contraddizione nasce e rinasce incessantementedal rapporto con la democrazia. E cercheremo di in-dividuare i momenti di una dialettica, in cui compa-iono al tempo stesso i movimenti e i conflitti di unastoria complessa e le condizioni di un'articolazionedella teoria con la pîatic .

Quello che intendiamo sottolineare è che non c'èniente di << naturale >> nell'associ azione di cittadinanzae democrazia. Tutto è storicamente determinato. E

Í2 r3

tlttaviaci preme riprendere un tema che, con diversiaccenti, si dipana in tutta wa tradizione che va daAristotele a Matx, passando per Spinoza. Aristotelenel libro III della Politica (1275 a 3z) aÍferma cheogni regime politico nel quale esistono dei cittadiniche esercitano anche la <.<magistratura indetermi-n tar> o <(magistratura in generale>> (arché aóristos)

contiene un elemento democratico che non può es-

sere eliminato avantaggio di altre forme di governo.Il suo obiettivo è tuttavia di scongiurarne i pericolitrasformando la democrazia in <<timocrazia>> (così de-finita nell'Etica a Nicomaco).Il senso dell'argomen-tazione sarà ribaltato in epoca moderna da Spinoza,per il quale (nel Tractatus politicus incompiuto delú77) la democrazia non è tanto un regime partico-lare quanto la tendenza a conferire il potere alla mol-titudine, che travaglia i regimi monarchici o aristo-cratici, e dal giovane Marx nella sua Critica delkfilosofia begeliana del diriuo pubblico del r843, in cuiviene indicato esplicitamente che la democrazia - o

i1 potere legislativo - è la <<verità di tutte le costitu-zioni>>. Rancière (L'odio per la dernocrazia) oggi ri-prende questa tesi argomentando che nessun regimepuò scongiurare il rischio rappresentato dalla neces-

sità, in ultima analisi, di farsi accettare dal popolo, ilquale può decidere di obbedire o no. Toni Negri (I/potere costituente) fa di questa tesi il filo conduttoredi una teoria affermativa del potere costituente dellamoltitudine, al quale uno Stato che monopolizza glistrumenti del potere cerca costantemente di sostitu-ire le forme del potere costituito.

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Noi crediamo che si debba interpretare questa for-mula fondamentale in modo alquanto differente da-gli autori citati, assumendo il punto di vista delladialettica: è I'antinomia situata al cenro delle rela-zioni ffa cittadinanza e democrazia che costituisce,nella successione delle figure, il motore delle trasfor-mazioni dell'istituzione politica. Per questo, I'espres-sione << citta dinanza democratica )> può, s toricamente,definire soltanto un problema ricorrente, un insiemedi conflitti e di definizioni antitetiche, un enigmasenza soluzione definitiva, anche se accade periodi-camente, nel contesto di una invenzione decisiva,che si proclami la soluzione <finalmente trovata>(Marx), un <(tesoro perdutor> da riffovare o da ricon-quistare (Arendt).

Formulazioni di questo tipo implicano una deter-minata concezione della filosofia politica, di cui sidovrebbero esaminare a fondo i presupposti e leobiezioni che solleva. Preferiamo non addentrarcidirettamente in una discussione del genere. Non chesia puramente speculativa: compoÍta al contrario im-plicazioni pratiche. Ma noi preferiamo far emergerequeste implicazioni a partire da un'ipotesi diversa,che è la seguente: vi sono delle situazioni e dei mo-menti in cui I'antinomia diviene particolarmente vi-sibile, in quanto la doppia impossibilità di ricusareogni figura della cittadinanza e di perpetuarne unacerta costituzione, sfocia nell'esaurimento del signi-ficato stesso della parola <<politica>>, i cui usi domi-nanti appaiono allora o obsoleti o perversi.

Sembra che oggi ci troviamo in una situazione diquesto tipo. Il che scuote profondamente non solo

r4 t5

definizioni e quallficazioni che per lunghissimo tempoerano sembrate indiscutibili (come quelle di <cittadiflanza nazionale>> o di <cittadinanza sociale>), ma an-

che la categoria stessa di cittadinanza, I cui potere ditrasformazione, cioè la capacità di reinventarsi stori-camente, sembra improvvisamente annientato. Esullo sfondo di questo problema pieno di incertezzeche esamineremo il modello della governance neolibe-rale in quanto processo di de-democntizzazione dellademocrazia, di cui si tratta di stabilire se sia irreversi-bile. Per pafte nostra, vediamo in questo processo unaespressione dell'aspetto distruttore insito nelle antino-mie della cittadinanza, e dunque I'indicazione di unasfida di fronte alla quale si ffova, nell'epoca contem-pot^nea, ogni tentativo di ripensarcla capacità politica collettiva.

Ci proponiamo di affrontare diversi aspetti di que-

sta dialettica. Il primo riguarda la portata, ancorarintracciabile nei dibattiti contempotanei, di quelloche i greci antichi (in particolare gli ateniesi, delle cuiistituzioni, a posteriori, Aristotele si era fatto il teo-rico) chiamavano <<costituzione di cittadinanza>> (po-

liteía). Questa concezione precede I'apparizione diuna divisione tra società civile e Stato, che colloche-rà ireversibilmente il corpo politico nel regime dellascissione. Ma pone anche la doppia questione del po-teîe come <<magistratura illimitata> dei cittadini e

degli obblighi reciproci di questi come condizio-ne della loro autonomia.

Il secondo aspetto riguarda la traccia delle rivolu-zioni borghe sí rcalizzate in nome deIT' eguale libertà (o

egalibertà) nella storia della cittadinanza moderna,

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definita come cittadínanza nazionale (o cittadinanzadello Stato-nazione). Identificheremo questa tracciacome un differenziale Úa insurrezione e costituzione,che pone incessantemente la questione dell'istitu-zione dell'universale nella forma (e nei limiti) di unacomunità organizzata dallo Stato. Le contraddizionidi questo processo sono particolarmente visibili nelloscontro tra differenti teorie e differenti pratichedella rappresentanza, nella misura in cui questa nonè soltanto una' autorizzazione dei rappresentanti, maun potere, owero un'azione, dei rappresentati.

Il terzo aspetto risiede nella contraddizione inter-na alla cittadinanza sociale, così come si è costituita- essenzialmente in Europa - nel quadro dello Statonazional-sociale (definzione che, per scrupolo di pre-cisione, preferiamo a quelle di < Stato-Provvidenza>>,di Y(/ e lfare State o di Sozia lstaat, utilizzate nei diversipaesi europei). Intendiamo che questa figura dellacittadinanza rappresenta storicamente una conquistademocratica, sebbene entro certi limiti, i quali a lorovolta impediscono paradossalmente un ulterioreavanzamento, mentre I'idea di progresso è tuttaviainsita nella figura stessa. E importante esplorare que-sti limiti (e ampliarne il significato concettuale) indue direzioni complementari: quella del rapporto tracittadinanza ed esclusione sociale e quella del rap-poîto tra cittadinanza e conflitto civile.

Il quarto aspetto concerne, di conseguenza, quelloche ci si è abituati a considerare come la rispostaneoliberale alla crisi dello Stato nazional-sociale (o,

se si preferisce, il contributo del neoliberalismo alloscoppio della crisi), e cioè la promozione illimitata

delf individualismo e dell'utilitarismo e laprivatizz,a-zione delle funzioni e dei servizi pubblici. In chemisura si può dire che questa risposta contenga unpericolo mortale per la cittadinanza, non solo nellesue figure passate, ma anche in quelle future? In chemisura si può immaginare che questa risposta con-tenga, quanto meno negativamente, le premesse diuna nuova configurazione della cittadinanza al di làdelle sue istituzioni tradizionali (e in particolare del-la democrazia rappresentativa, alla quale il neolibera-lismo tende a sostituire diverse forme di governancee di comunicazione di massa)? Noi contiamo di dimo-strare, al contrario, il carattere ineludibile della dia-let tic a cittadinanza f demo cr azia, delineando un' alt er -nativa tra de-demo $atizzazione e democra tizzazionedella democrazia stessa come risorsa della cittadi-n nza. Sulla seconda nozione si concentrerà la nostraconclusione prowisoria.

r7

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)

Politeía

L'epoca in cui alcune nazioni euîopee o nate

dall'eqpansione europea si percepivano.come il cen-

tro del mondo è finita. Diversi critici della prospet-

tiva eurocentrica si sono dati il compito di dimo-suare che le problematiche della filosofia politicaclassica ttott ii applicano più alla <(gran parte delmondo> (Partha Chatterjee, Oltre la cittadinanza).Tuttavia, dev'essere ancor^possibile attribuire a co-

struzioni politiche appartenenti alla tradízione occi-

dentale il carattere dell'universalità. Non nel senso

di una universalità estensiva, territoriale e inglo-bante, ma piuttosto nel senso di una universalità in-tensiva, chè fa idealmente delle istituzioni politichelo strumento di una universalizz azione dei rapportisociali, ilmezzo per ridurre le barriere che separano

i cittadini . per io'o.tciare le dominazioni che li as-

setviscono. Anche se, chiaramente, le due prospet-

tive non possono essere del tutto indipendenti I'una

dall'altra.L'attualità conferisce a questi interrogativi un im-

prowiso carattere di urgenza e li concentra attornoàd alcuni termini nevralgici, che non sono i più facilida tradurre da una lingua all'altra, anche se appar-

r8 r9

tengono a uno spazio storico e culturale comune. Iltermine più immediatamente evidente è quello di<costituzione>, se si pensa che sorge periodicamenteIa questione di adottare, secondo differenti proce-clure nazionali, una costituzione per I'Europì e discgnare in tal modo solennemente la sua trasforma-zione in un insieme autonomo, con caratteristichenuove, senza precedenti nella storia. La parola ita-liana <<costituzione>> (equivalente di constitution inlrancese e in inglese) corrisponde in tedesco aVerfas-tunge in greco moderno a sjntagrna: tuttitermini chenìettono I'accento sufla costruzione del corpo poli-tico, la riunione delle sue parti e la produzionè ttitu-t,ionale dell'unità o dell'interesse pubblico. Ci sonoperò buone possibilità che una m.nte di formazionelilosofica europea si senta spinta, al tempo stesso.lallo spirito linguistico e dalla sroria dei dibattitis.ull'essenza delpolitico e sulla sua raduzione giuri-tlica, verso un altro termine originariament. coniato,.lalla Grecia antica: quello di politeía, che i latinilranno <(tradotto)> in res publica e gli inglesi dell'etàclassica in polity e poi in contrtonrDealth, adottandorrlternativamente le due etimologie antiche. È ut-torno a questi termini che si è costituita la rappresen-t'tzione, ancora oggi ampiamente condivisa, di unarrniversalità della forma politica e giuridica e del suorrrovimento di estensione progressiva, dalla pótis alloStato-nazione, e da questo agli insiemi postnazionalio anch€ allo spazio cosmopolita. Ma contemporanea-rnenre si pone in modo acuto la duplice questione distabilire in quale misura una simile catègoria con-rcnga un nocciolo di significato invariante, e se il suo

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trasferimento al di fuori del quadro ormai assai re-

moto della sua elaborazione iniziale non contenga inrealtà una enorme componente di illusione e di mistificazione ideologica. Sbno queste, tra le altre, le ra-

gioni che ci spingono a delineare una riflessioneíu['attualita dè['idea dipoliteía, in particolare nella

sua acceziÒne aristoteliCa, e sulla natura e i limitidella sua universalità.

Forse per la prima volta, da quando- Aristoteleaveva teitato didescrivere le forme dell'otganizza'zione delle póleis della Grecia antica e di attribuireloro una noima di equilibrio interno al tempo stesso

ruzionalee conformó alla natuta, si presenta la possi-

bilità di pensare come due facce di un unico pro-

blema, . drrttqr.r. in definitiva come un solo concetto

che porebbi definirsi <<costituzione di cittadi-n ni^rr, i due aspetti che erano stÎettamente intrec-

ciati nella nozioìe greca di politeía. Si trattava da

una parte della reciprocità, la distribuzione e la cir-colaiione del <potere>>, dell'<<autorità> (arché), tta ititolari del diritto di cittadinanza, e dall'aItra dell'or-ganizzazione delle funzioni di amministrazione e di

lou.tto (o magistrature) in un sistema di istituzioni

!i*idi.h.. Quàsta coincidenza lap,oliteía greca I'aveva

leahzzatadawero, sebbene entro limiti estremamente

ristretti e con esclusioni massicce. Ma la successiva

evoluzione dello Stato aveva irrimediabilmente por-

t^to a una dissociazione dei due termini, a seguito

della costituzione di sovranità territoriali e del rag-

gruppamento delle popolazioni in entità etniche o

ieligiote esclusive, pressoché ereditarie. Ecco però

che quella coincidenza si presenta di nuovo come una

20 2t

ipotesi di lavoro, una possibilità nel quadro di quellache viene chiamata <<globalizzazione> e deile cóstru-zioni politiche postnazionali.

Una possibilità chiaramente non è una necessità, eforse neppure una probabilità, perché oggi non èquesta la tendenza dominante. C'è il caso piuttostodi assistere a una proliferazione e a un ulteiiore raf-forzamento delle frontiere, il che determina ancheun mutamento della loro natura. Ma potrebbe essereanche la questione che, in modo insiitente, fa emer-gere le conraddizioni e le aporie della deterritoria-lizzazione e della riterritorializzazione dei rapportidi potere. La questione che sottende l'alternàtivarnultiforme ai processi di neutralizzazionee in ultimaistanza di annientamento del politico legati aldomi-nio dell'economia capitalistica di mercato e della tec-nologia delle comunicazioni. La questione che ripro-pone il <bel rischio > (kalós kíndynos diceva phtóne,lìedone, r r4 d) di una continuazione della politica inquanto rinnovamenro o ricostituzionó al di làdell'esaurimento relativo delle sue forme specifica-rnente moderne.

. Si tratta di una ipotesi che va esplorata in partico-lare domandandoci come si può sostenere, senza es-sere irrealisti, il paradosso di una costituzione di cit-tadinanza al tempo stesso apeîta, transnazionale ocosmopolita, ed evolutiva, espansiva, per riprendereIa categoria di Gramsci a proposito della democrazia(Quademi d.el carcere), o ancora <<a venire>>, secondola formulazione ricorrente in tutti i lavori diJacquesl)errida. E dunque anche conflittuale. Una cittàdi-nanza che sarebbe aîcoîa ispirata al modello della

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politeía, ma scontando il rovesciamento o I'inver-iione della maggior parte dei presupposti su cui

quest'ultima si fondava.

La costituzione di cittadinunza e l'irutenzione

della dernouazia

Ripartiamo dal significato che assumeva la politeía

nel càntesto dellapólis grec , e tentiamo ditrzcciare a

grandi linee alcune delle tensioni che la carutteîizz^-

íano, in particolare nella presentazione che ne fa Ari,tot.i.. tra gli ellenisti, i filosofi e gli storici del di-

ritto è praticimente un luogo comune indicare come ilsignifióato della parola erecapoliteía non soltanto cor-

riípondu a conteìuti diÍferenti da un autore all'altro,

-" din.tgu tra due semantiche eterogenee. Si ffattachiaramelnte di un anacronismo. Quando Aristoteleusa due volte il termine politeía in due contesti diffe-renti il termine assume forse un significato complesso,

evolutivo, ma chiaramente non corrisponde a concetti

radicalmente diversi. Questo anacronismo è rivelatore

del fossato che si è scavato tra l'istituzione del politico

nel contesto della pólis greca, in particolare ateniese, a

cui si riferisce Aristoiele, e nella situazione dello

Stato-nazione moderno, compresa la sua forma demo-

cîatica, rispetto alla quale noi intendiamo sviluppare

la nostra analisi per identificare ciò che distingue spe-

cificamente un corpo politico da altti raggruppamenti

o associazioni.Francis \X/olff, eminente specialista del pensiero

dello Stagirita, nella voce Pólis del Vocabulaire eu-

22 23

ropéen des philosopbies, sctive: <<La pólis non è né larazioîe, né lo Stato né la società ... Ciò che costitui-sce la pólis è I'identità della sfera del potere (che pernoi appartiene allo "Stato") e della sfera della comu-rrità (che per noi si organizza in "società"), ed è acluesta unità che ciascuno si sente effettivamente le-gato (e non alla "nazione") ... Per questo, lapólis nonè né 1o Stato né la società, ma la "comunità politica".Questa particolarità spiega anche la dicotomia deisignificati di politeía. Se 1l polítes è colui che parre-cipa alla pólis,la politeía può essere o il legame sog-gettivo del polítes con la pólis, ovverosia il modo incuila pólis come comunità si distribuisce tra coloroche essa riconosce come suoi partecipanti (la "citta-dinanza" ), o l' or ganizzazione oggeitiva delle fun-zioni di governo e di amminisrazione, cioè il modoirr cui il potere della pólis viene assicurato collettiva-nlente (il "regime", la "costituzione")>>. Wolff si ri-lerisce alla nota tripartizione dei regimi politici, ascconda che il potere sia esercitato da un sólo indivi-,luo, da diversi individui o da tutti i cittadini, che haIungamente dominato la filosofia politica. L'autorecvoca implicitamente la fluttuazione, carica di giu-rlizi di valore, delle definizioni di ciascun regimelrl-rannia o rnonarchia, aristocrazia o oligarchia, democra-::ia o isonornia). Cilò lo porta a sottolineare il problemacruciale rispetto alf interpretazione del pensiero diAristotele, ovverosia il fatto che questi utilizza an-t'ora il termine politeía, assegnandogli dunque, al-rrieno in app^Íenza, un terzo significato, ridondante,r riflessivo, per indicare il regime costituzionale <<pert'ccellenza>>, che distribuisce il potere tra tutti i ciita-

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dini secondo la norma del <bene comune)> (prós tókoinón symphéron).

Ma si-pu-ò propore un'altra lettura. Il terminepo-Iiteía noiha-mal un unico significato, anche se, infrancese o in italiano moderni, siamo costretti a ren-

derlo con un'espressione composta, per esempio <<co-

stituzione di cittadinanzar>, dando al termine <<costi-

tuzione>> il suo significato completo: non solo quello

che si può trovare in un testo giuridico, ma altresì

ouello di un processo storico costituente, o di una

fàrmazione sóciale e istituzionale. Si tratta sempre di<<formare>> o di <configurare)> il cittadino, portatore

dell'agire politico, definendo un insieme articolato didiritti diàoveri e di po.teri, e prescrivendo le moda-

lità del loro esercizio. E di questo che si tî^tt^ oggipiù che mai, per esempio quando si parla di dotare

i'Ertopu fedelale o confederale di una costituzione,quali che siano le forme più o meno insoddisfacentiin cui questo obiettivo è perseguito per il momento'

In ultiÀa analisi, la validità, la coerenza e la solidità

temporale di un simile progetto potranno essere giu-

dicaìe sulla base del modo in cui esso definirà nuovidiritti, nuovi doveri e nuovi poteri, e a seconda che

riesca o meno a dar vita a una nuova figura storica

del cittadino. Non è aff.atto certo che I'Europa riesca

in questa impresa: è il minimo che si possa dire, se

non-altro pefh fragilità del quadro geopolitico all'in-terno del quale si iolloca, della potenza degli inte-ressi che le si oppongono e della violenza delle ten-

sioni sociali chJla iondizionano nel quadro dellaglobalizzazione economica. Ma è evidente che se

ii-pt.tu riuscisse, qualcosa della potenza, dell'ener-

24 25

gia intrinseca del vecchio concetto dipoliteía si tro-verebbe in un certo qual modo a essere úattivato,anche se con un contenuto e in un contesto del tuttodifferenti.

Ma ritorniamo al modo in cui Aristotele presen-taya il significato della politeía antica, in pariicolarerrel libro II della Politica (Politikó), dove questo con-cetto viene definito in tre tempi, secondo una pro-gressione dialettica, o un'approssimazione succes-siva, assolutamente ammirevole. Questa progressionecnuncia le tre caratteristiche seguenti:

r. In primo luogo (la definizione più generale, piùÀstratta, data per esempio in rz75 a 3o),unapoliteíacsiste, ovverosia vi sono effettivamente dei <<citta-dini> e di conseguenzatî<diritto di cittadinanza>>,là dove gli individui che la cosrituiscono e che si av-vicendano tra le differenti posizioni di potere eserci-tano un' aóristos arché:un <<potere illimitato)), perduran-te nel tempo, ma anche indefinito nel suo oggemo enelle sue modalità, il che li rende i <<sovrani>>, i,,padro-ni> della comunità alla quale apparrengono (kjrlol okyriótatoi).

z. In secondo luogo (definizione principale, discri-minante, data per esempio in rz77 a z5), c'è politeíaper coloro che, alternativamente, a seconda dèlle cir-costanze, sono nella posizione o di dare degli ordini(rírchein) o di riceverli (órchesthai), owero di volta involta comandano o obbediscono: per coloro in so-stanz^ tra cui circola liberamente il potere.

3. In tetzo luogo (definizione finale, data percsempio in rzSz

^ 2j sgg. e ripresa nel libro V, in

r3or ^

z5) c'è politeía là dove i poteri, o <(magistra-

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tuîe> (ancora archuí) sono distribuiti <propotzional'

mente> (ísos) trai cittadini a seconda delle loro com-

Detenze o capacità, e conformemente alla <legge>

inónos). Arisiotele in questo esprime cjò che crede o

ì"àt. .h. sia la figuraiorr.t.tu, stabile, della pólis,

che consente a quest'ultima di raggiungere fattiva-mente il suo scopò natutale, owerosia il bene comune

o la possibilità àe[a <<buona vita>> per i suoi membri'

Cias.uno dei momenti di questa progressione, evi-

dentemente orientata dalla <prefeteîzal> politica che

oer Aristotele va fondata al tempo stesso in ragione

à in nurrrru - il che può essere definito il suo partito

preso ideologico - apre problemi fondamentali' Esa-

miniamoli schemàticamente' prima di passare

all'analisi delle ragioni per le quali una simile formu-

lazione sintetica del pioblema della cittadinanza è

andatain un certo quàl modo perduta quando è usci-

ta dal quadr o della pólls, pur continuando a proietta-

t. ù t"à ombra sufo spazio politico come un ideale o

qualcosa di rimosso. .

Per quanto riguarda I'idea della <<magistratura in-

determinata >> (arché aóristos), essa è associata a una

delle tesi più radicali di Aristotele, che lo- pone in

continuità con le riforme che nell'Atene classica si

inscrivevano nella categoria della isononía,lo avvi-

cina ad alcuni sofisti e lo contrappone nettamente a

ptu,ot.' I'idea cioè che I'essenza, o il fondamento, di

qualsiasi regime politico è la sovranità dei suoi citta-

àlrri. Srt.bÉe coàtraddittorio, dice Aristotele, che ilpotere non appartenesse in ultima istanza a coloro a

Leneficio deì quali è istituito. Questa tesi non ha

cessato di porre dei problemi: è stata sistematica-

z6 27

rnente attaccata dalle tradizioni politiche autoritariein nome di una variante ol'altra dell'idea secondo la.1uale la massa dei cittadini è incapace di autogover-rrarsi. Ma è stata anche periodicamente riaffermata:cla Machiavelli, da Rousseau, dal giovane Marx, da'l'ocqueville, e in tempi più recenti da Arendt, e halinito per apparire indissociabile dall'idea stessa diLrn universalismo politico. Si può dire che questa tesi,rbbia un carattere utopico, oppure puramente for-male e simbolico? Non è escluso, ma Aristotele leconferisce comunque un contenuto preciso, affer-nrando che si traduce per la massa dei cittadini nellalnrtecipazione effettiaa alle due grandi responsabilitàclre sono da una parte il bouleúein,la discussione e larlecisione nel quadro dell'assemblea del popolo, etl'altra parte il krínein, ovverosia I'esercizià delleIunzioni giudiziarie. Aristotele apre in questo modola questione non tanro, a rigor di termini, della divisione dei poteri, quanro della possibile esistenza dieomparti <<riservari>> della vita politica che sfuggireb-lrero per natura alla competenza deicittadini. E d'al-I fa parte pone la questione se la sovranità del popolo1 ros sa diventare puîamente << rappresentativa >>, tra-sl'ormarsi in una finzione giuridica, o se debba sem-l)re contenere una parte di patecipazione reale, dieittadinanza <<attiva>> o di autogoverno. Aristotele:rpre dunque, senza dare una risposta definitiva, la(tuestione di come si distribuiscono il reale e il vir-tLrale nelf idea di sovranità democratica.

Riguardo all'idea dell'alternanza dei governanti e,lci governati (tó djnasthai kaí órchein kaí tírcltesthai,t 277

^ z) e alla corrispettiva idea morale secondo

Page 15: Balibar - Cittadinanza

cui è obbedendo che si impara a comandare ed è eser-

citando le responsabilità o I'autorità che si imparu a

obbedire ft277 b 8-ro) - il che costituisce la <<virtù>>

(areté) ínt.tt* ptoptio del cittadino -, esse collocano

al centro della cittadinar:zai meccanismi della recipro-

cità. Questa costituisce già un'affermazione forte diquanto più oltre, in un linguaggio piuttosto romano,

definiremo l'uguale libertà, non soltanto come status

ma anche comè pratica. fuistotele in questo modo ri-balta in una capacità positiva I'enunciazione neg.ativa,

polemica, che-Erodoto (allievo dei so{isti) nelle sue

Stori" [II,8,.,, z) aveva messo in bocca al principeoersiano Otanet se non c'è una disffibuzione uguale

à.1potere non voglio più né comandare né obbedire

@tiíe eór órchein oúte tírchesthai etbélo). In altri ter-

mini: o la democrazia o I'anarchia! Ma questa conce-

zione dell'uguale libertà in quanto reciprocità dei po-

teri e degli obblighi si accompagna immediatamente a

una hmúazione iadicale della cittadi îanza. In effettila reciprocità può esistere soltanto tra coloro che sono

ugualfper nulutu.Il che, nell'interpretazione di Ari-sótele-e dei suoi contemporanei, inserisce nel cuore

della politica un meccaniJmo di discriminazione fon-

dato iulla difÍ.ercnzaantropologica: la differenza dei

sessi, la differenzad'età, la dilfercnza tra le capacità

manuali e intellettuali, la quale giustifica in particolare

I'istituzione della schiavitù (fuistotele sapeva perfet-

tamente che ad Atene una parte rilevante di cittadiniera composta da contadini e artigiani, ma mantiene

I'idea aristocratica' poîtata alle estreme con-

seguenze da Platone, seiondo cui nel lavoro manuale

inluanto tale vi è un qualcosa di <servile>>).

z8

Si apre qui non solo un problema, ma un abisso. Ilprincipio che istituisce I'universalità intensiva, oqualitativa, del dénzos contiene un meccanismo dicsclusione quantitativo appafentemente insormonta-bile. E noi sappiamo che, lungi dall'attenuare quesratensione, la trasformazione da parte dell'univèrsali-smo moderno dell'uguale libertà dei cittadini in di-ritti dell'uomo e del cittadino nel quadro nazionale,laporta al contrario all'estremo. Indubbiamente questorron impedisce che, al prezzo di lotte e movimentisociali, intere categorie di esclusi, come le donne e glioperai, finiscano per diventare o ridiventarc cjtla-dini; ma d'altra pate avviene che gli esclusi dallacittadinanza (e ce ne sono sempre di vecchi e dinuovi) siano riproposti, e per così dire <<prodotti>>,attraverso tutta una serie di meccanismi istituzionalie disciplinari, come esseri umani imperfetti, degli<anormali>> o dei mostri che si collocano ai marginidell'umanità.

Non siamo ancora usciti, e probabilmente siamolontani dall'uscire, da questa c-ontraddizior.. È ,r.-cessaria una rivoluzione politica, ma anche morale elilosofica - ben lontana dall'esserc rcalizzata, anchese il suo fondamento è chiaramente enunciato inoper_e come quella di Hannah Arendt (Le origini dellotalitarisftzo) - per arcivarc all'idea del <diiitto aidiritti> universale, e meglio ancora all'idea che lapctliteía non consiste nell'istituire la reciprocità sullalra-se di una uguaglianza data, preesistentè o suppostatale, ma nell'estendere la sfera dell'uguaglianàa, nellrrodurla attivamente come imma ginizioie, rrasgre-.lendo costantemente ai limiti imposti dalla naturà (o

Page 16: Balibar - Cittadinanza

da quello che si presenta con questo nome, owerosia

la tradizione). Éorse non è un caso che questo ribal-

,à-..rro diaiettico della formulazione ttadízionale

dei diritti dell'uomo e del cittadino, nel suo enun-

ciato filosofico, sia venuto da una donna, per di più

grande conoscirice dei greci e della loro opposizione

ffa nónzos e Phi'sis.Infine, pèr quanto riguarda la concezione della

< legge > t"Z*oíl .o*. u iiputtizione >. proporzionale

defJ magistrature o delle responsabilità civiche,

emeîge u-na tensione analoga, che nella-pratica non

può ónsiderarsi indipendentedalla tensione tra reci-

irocità ed esclusione, ma che è necessario non iden-

iifi.ur. puramente e semplicemente con quest'ulti-

*". Arittotele qui sembra ritotnare su quello che già

aveva concesso a proposito dell'arché aóristos: accett^

cioè di limitare gú efietti della sovranità delnómos in

,rorn. d.ll. esigénze razionalidel bene comune e del

buon governo- Per riprendere I'efficace argomenta-

zione"diJacques Rancière: non soltanto non tutti icittadini, nominalmente sovrani, hanno una parte

usuale nell'esercizio dei poteri istituiti, e in partico-

la"re dei poteri di decisione, ma in tale quadro vi sono

.t...ttutìu-ente dei ((senza parte>, o degli individui

. d.ll. categorie la cui parteè îeg ta, e per i quali le

occasioni dlobbedienzà prevalgono semple sulle oc-

casioni di comando e di iniziativa, la passività pre-

,ral. srrll'^ttività. Questo sembra essere il ptezzo da

pig t" per la rcaliìzazíone del consenso, dell'equilibtió o àe\La hornónoia, della stabilità politica' O piut-

torl" C il prezzo da pagarc per la rcalizzazíone del

consenso irru... del-conflitto (la lotta di classe in

to 3r

scnso generale, ma anche lalotta tta maggiotanze errrinoranze di ogni tipo), e dunque per la rinozione di,luesti conflitti al di fuori dello spazio pubblico. Senzacontare però - abbiamo imparato a vederlo - che ilconflitto rimosso risorge sempre, finisce per affer-nrarsi di nuovo, se necessario spostandosi sù altri ter-reni, in modo produttivo o disffuttivo. Forse, entrocerti limiti e in certe forme, l'accettazione e il rico-noscimento del conflitto nella sfera pubblica cosritui-scono una condizione di possibilità dell'equilibrioistituzionale stesso, e comunque di un equilibrio di-rramico. Era quanto meno la tesi di Machiavelli, alla,1uale la congiuntura att:uale, su scala nazjonale ot'ontinentale, ma soprattutto mondiale, sembra darerìuova attualità. Tuttavia, anche qui bisogna osser-vare che la tensione inerente al concetto éella poti-tcía, quello che potremmo definire il suo <diffèren-z,iale>> di attività e passività, o di democmzia e oli-riarchia, non è stata in alcun modo risolt a dallateoria,lclle costituzioni moderne, ma piuttosto poîtata arrn livello superiore.

In realtà tutto dipende dal modo in cui si istituiscepositivamente la sovranità del popolo. Il costituzio-rralismo moderno ha avuto la tendenza non soltanto.r fare della sovranirà un principio di legittimazionelrer í meccalismi rappresentativi di delega del pote-rc, ma a subordinarla nel suo esercizio, i .arrr" d.ir ischi di anarchiae di perversione totalitaria che essa(1)rnpotta, a norme fondamentali metagiuridiche, de-,lorte da_principi di equilibrio tra i potéri o da garun-zic dei diritti individuali, evidentèmenre necèssarirìì2ì presentati come acquisiti una volta per tutte.

Page 17: Balibar - Cittadinanza

Bisogna dire tuttavia che esiste forse un altromodo ii concepire la questione delle regole e delle

garunziealle quàli h sovranità delpopolo deve sotto-

irettersi, in una sorta di attolimitazione della pro-

pria potenza che è la condizione della propúa ruzio'

na[tà (in opposizione a una concezione teologica o

mistica dellà sovranità)' Questa alternativa è per

esempio suggerita da Claude Lefort in termini di lz-,rnrùnr rlùinuo della democrazia. Non si tratta diribaltare I'idea di costituzione avarfiaggio di quella

di insurrezione, ma di far vivere la potenza insurre-

zionale dell'emancipazione alf interno della costitu-

zione politica. Si -tîatta

dunque di concepire le

uCarte dei diritti fondamentali> (tra cui in primo

luogo la Dichiarazione unirtersale dei diritti dell'uonto)

coÀe l'e.pressione simbolica dell'insieme dei poteri

acquisiti àal popolo nel corso della propria storia, ilcoÀples.o déi iuoi movimenti di emancipazione e

il punto di appoggio di nuove invenzioni, piuttosto

.h^e.o-e lo iihermo di protezione di un ordine sta-

bilito, che limita a priorile lotte future per la libertà

el'ugtaghanza.

Autononia o uutarchit delpolitico

Prima di compiere un ultimo passo, può essere

utile a questo p.t.tto inserire una considerazione epi-

stemologica. le tendenze ^ppeîa

descritte non rap-

Dresent;no soltanto un móào di costituzione del

oolitico nella modalità dell'universale e - dialettica-'À".rt. - I'indizio di tensioni estremamente profonde

)2 )1 ffi,\e" ^og9/

insite nell'universalità stessa. Esse esprimono ancherrn'idea dell'autonomia del politico. Ma la esprimononella forma, e nella condizione, dell'autarchia dellapólis, della <<comunità dei cittadini>>. E questa im-plica a sua volta due aspetti asimmetrici, che unacerta tradizione critica, in particolare marxista,hateso a percepire come il dritto e il rovescio di unosresso movimento di idealizzazione della politica.Manonèaf f attocertocheidueaspettiprocedanoesattamen-te allo stesso passo. Fino a che punto si può riuscire,r dissociarli?

Da una parte, I'autonomizzazione della politica col-Ioca quest'ultima su un <<piano di immanenza>>, checorrisponde a una rudicale deteologizzazione e a vfiacritica di qualsiasi fondazione rascendente. La poli-tcía è un sistema di rapporti che i cittadini stessi stabi-liscono tra loro, in quanto rapporti derivanti dallosviluppo dei loro conflitti di interessi e di valori. Que-sto sistema di rapporti non è sottomesso ad alcuna:rutorità rascendente, sia essa I'Idea del Bene (Pla-tone), o l'Idea dell'Umanità,ipostatizzata in <grandelissere>> (Comte) o in <<comunità dei fini> (Kant), e,.lunque a nessun principio di unità che si impone atutti e non appartiene a nessuno. O, più esattamente,il solo principio emergente è la conunità stessa, in(luanto totalità,lapólis alla quale i cittadini apparten-rlono perché la istituiscono.

Per questa via scivoliamo però nell'aspetto simme-t rico: I'autarchia deve essere intesa nel senso di unisolamento quanto meno relativo rispetto al mondo('sterno, al kósrnos, e alla oikournéne (<,,terra abitata>>),rll'interno della quale le comunità storiche si disper-

Page 18: Balibar - Cittadinanza

dono e si individualizzano, ma deve intendersi anchenel senso di una indipendenza o di una liberazioneculturale rispetto alle condizioni materiali della vita,della produzione e della riproduzione umana - salvoriservarsi eventualmente di confinare queste condi-zioni materiali, con tutte le pratiche corrispondenti(il lavoro, la sessualità e la maternità, I'educazionedei bambini) in una sfera domestica di esclusione in-terna, che coincide storicamente con I'istituzione delpaftiarcato e della schiavitù.

Va osservato che, sul piano filosofico, la costru-zione di questa autonomia del politico nella figurastringente dell'autarchia corrisponde esattamenteallo sdoppiamento del nómos e della phisis che è alcentro del pensiero greco, e attorno al quale si dispon-gono le sue diverse tendenze, come attorno a unpunto di eresia. La vita pubblica attiene al nórnos o

all'istituzione, mentre le attività domestiche ne costi-tuiscono una condizione naturale. Osserviamo d'altraparte che con il fenomeno della cosiddetta <<globaliz-

zazione>>, i due significati dell'autarchia si sono inqualche modo fusi: parlare delle condizioni materialidell'esistenza di una politeía, che riguardino I'econo-mia del lavoro e degli scambi o la bioeconomia e labiopolitica delle popolaziortt e la soprawivenza de77a

specie vma;na, significa ipso facto parlarc del rapportoche ciascuna comunità di cittadini intrattiene conl'insieme delle alre società umane (comprese le più<<primitive>>) che la determinano ormai dall'interno- riguardo sia alla sua composizione di classe e i suoiconflitti sociali, sia ai suoi modi di comunicazione e

di sviluppo culturale. In altri termini, nella misura in

)4 )5

, tri le diverse comunità di cittadini tendenzialmente

'i fondono, le limitazioni autarchiche della politeía,'splodono irrimediabilmente in quanto frontiere.Nessuna società, nessuna pólis nel senso metaforico,lcl termine, può più costruirsi (se mai ha potutol:rr1o) all'interno di questi limiti, salvo in modo imma-rqirrario: ormai può esistere soltanto come città apeîte-,Lrlle sue differenti esteriorità, che la condizionanoirrternamente, il che sembra essere una contraddi-.,ione in termini. O se si preferisce, I'idea dell'autono-,'ria del politico, in quanto autonomizzazione,lell'azione collettiva, e in quanto rappotto radical-rrrente secolare, immanente al corpo politico (sistema,li rapporti sociali e dinamica dei conflitti interni),,,ggi non può avere senso che a condizione di rinun-r'irrre ufla volta per tutte al mito dell'autarchia e agli,rltri che lo accompagnano (dall'autoctonia fino allapecificità intraducibile di ciascuna cultura). Il poli-

r ico deve lanciarsi senza garanzie né cettezze nell'av-\ \rntura di una formazione della comunità dei citta-,lini che per principio non può che essere apeîta,, ma, lre flon per questo rinuncia all'idea di diritto, né a,1uella di dovere, né a quella di distribuzione dei po-reri e di patecipazione collettiva o self-goaemrnent.t ,ome dimosrano i dibattiti sull'ecologia e la <<plane-rrrrietà>>, ne risulta altresì una profonda trasforma-,i..rne, chiaramente incompiuta, dell'opposizione ffalrr naturd e I'istituzione (tra pltjsis e nórnos), che al-, rrne filosofie politiche tendono a operare nel senso,ii un nuovo naturalismo, mentte altte, al conttario,r(' ffaggono partito a sostegno di un artificialismo,'l:rcralizzato.

Page 19: Balibar - Cittadinanza

La <<politeía> e il deperirnento dello Stato

Ritorniamo dunque alla questione enunciataalI'intzio. Ancora una volta, non si tratta diproporedelle ricette o di fornire delle risposte, ma di {ormu-lare un interrogativo che ci servirà da filo conduttorenello sviluppo della nostîa

^îgomerLt^zione. Pos-

siamo supporre che la messa in discussione delle fi-gure statuali nazionali della cittadinanza a cui assi-

stiamo sia destinata a tiaprire, paradossalmente, ledialettiche interne al concetto dipoliteía, o in altreparole a riattivare la questione di come tenere in-sieme le esigenze di reciprocità nel riconoscimento didiritti - che saremmo tentati di definire, anticipan-do, la <<pressione di uguale libertà> - e le esigenze diregolazione del conflitto sociale, di autolimitazionedell'esercizio del potere? Niente sembra più lontanodalle nostre attualiprospettive europee, e tuttavia è

possibile avanzare due ordini di argomenti, negativie positivi.

In negativo, dobbiamo osservare che abbiamocompiuto un lunghissimo ciclo storico, attraverso leformazioni imperiali, urbane e infine statuali, nellequali il principio della cittadinanza si è alternativa-Àente perduto e ricostituito, identificandosi con lacostruzione nazionale - come dimostra l'uso di ter-mini come citizenship in anglo-americano e di Staats'

bùrgenchaftin tedesco moderno. Nella forma urbanamedievale e rinascimentale, il principio della cittadi-n^îza nell'accezione antica è sopravvissuto comeeccezione storica: lo dimostrano le analisi di Max\Meber (Econornia e società) a proposito della <città>

l.\tadt), che viene definita come una forma di <do-rninazione illegittima>, owerosia una istituzione dell)otere seîza <<garanzia>> trascendentale, sempre('sposta all'imminenza dell'insurrezione. Ma questo,'iclo storico, in tutta la sua complessità, ha comun-tlue contribuito fondamentalmente a tradurre la cit-t'tdinanza nel linguaggio dello Stato, owero a subor-,linarla al funzionamento dello Stato. Il popolo diviene.lunque tendenzialmente una funzione dello Stato.(ìli è incorporato, o se si vuole assimilato: <<Io, loStato, sono il popolo>, ha scritto Nietzsche con ter-ribile ironia all'inizio di Così parlò Zarathustra, nelrnomento stesso in cui la <<divisione del mondo>> trarlli imperialismi europei viene sancita dal Congresso,li Berlino. I costituzionalisti moderni (attaccati su( Iuesto punto da Toni Negri) hanno preso l'abitudine,li definire il potere costituente non come una po-tcnza insurrezionale, ma come una funzione statuale,..'he prende per esempio la forma del diritto di emen-,.lare la costituzione nelle forme e nei limiti che essa\tessa stabilisce, o di rinnovare periodicamente ilI'crsonale politico.

Naturalmente questa evoluzione presuppone unscnso collettivo estremamente profondo, che fa iden-tificare gli individui e corpi sociali intermedi con la('omunità statuale superiore. Ciò non comporta sol-rrrnto aspetti repressivi e patologici, ma rappresentairrnegabilmenteun'alienazione - nel senso che la filo-sofia attribuisce al termine - anche negli Stati piùuliberi>. E questa alienazione, con le sue due facce..li protezione e di prescrizione, raggiunge il suo apice..'on la forma più evoluta dello Stato-nazione euro-

$ 37

Page 20: Balibar - Cittadinanza

peo, in quanto cornunità di cittadini passiua: lo Statoài d.-o.ruzía sociale o, come diremo più oltre, 1o

Stato nazional-sociale, anche se sappiamo che un si-

mile Stato - dove esiste e nella misura in cui è esi-

stito - è stato anche la risultante di uno scontro seco-

lare con movimenti sociali e politici che rappresenta-vano forme di cittadinanzaattiva, quando non formedi rive ndicazio ne insurr ezionale. La rivendic azioneattiva della cittadinanza traduceva la permanenzadel conflitto all'interno della sfera statuale formaliz'zata. Questo potrebbe condurci a sostenere, al Ii-mite, che nella configurazione statuale del politiconon c'è democrazia nel senso puro e ideale del ter-mine, ma possono sempre esserci processi di demo-cratizzazione - il che nella realtà è forse ancora piùimportante.

Ma fino a che punto, fino a che momento, e dun-que entro quali limiti, c'è democratizzazione? Eestremamente difficile dirlo. Sembra chiaro comun-que che ciò dipende dalla capacità di sopravvivenzadi qlt.sto insieme, nel quale I'identificazione collet-tiva con lo Stato, lo sviluppo della burocrazia comeintermediario tra i cittadini e le loro pratiche, si com-

binano con le pratiche dei movimenti di lotta sociale

organizzata, nella maggiorunza dei casi in un quadronazionale. I risultati sono necessariamente ambiva-lenti. Da questo punto di vista è estremamente rive-latore il fatto che le istituzioni del movimento ope-

raio rivoluzionaúo abbiano semple iniziato conI'internazionalismo per finire con il nazionalismo.Neppure i movimenti di solidarietà con le lotte diemàncipazione anticoloniali hanno cambiato le cose

38

in modo duraturo. Ma oggi questo insieme forse hat()ccato i suoi limiti, e comunque manifesta improv-visamente una estrema debolezza interna, mal ma-scherata dalla proliferazione delle burocrazie e dellestrutture giuridiche sovranazionali. Lo si è visto(luando I'Unione Europea ha chiesto ai suoi cittadinirrominalmente sovrani (ma in secondo grado) di eser-,'itare la loro funzione costituente secondo i codicistatuali - quando essa stessa è soltanto il fantasma dirrno Stato, in quanto non possiede nessun elemento..li identificazione collettiva veramente efficace e

,l'altra parte, malgrado la crisi economica, non deve( onfrontarsi con nessun movimento sociale genera-lizzato capace di transnazionalizzare il conflitto poli-t ico. Una simile struttura prefigura forse la forma di

'opravvivenza dell'istituzione statuale della cittadi-\y,rnza che è nel nostto futuro, e che rappresente-rcbbe di fatto, con il nome di goaemance, rrna forma,Ii statalismo senza Stato. Se questa è la tendenza, ci,ono ottime probabilità che I'indebolimento della,'ittadinanza statualizzata nella forma nazionale sfocircl vuoto, oppure in una reazione antipolitica di po-

l,ulismo e nazionalismo esacerbati.In altri termini, assistiamo al vacillare dell'equa-

.rione secolare trala politeía elo Stato (o l'imperiun),(' questo vacillare per il momento non dà luogo ad,rlcun rinnovamento della dinamica democratica: in( )sní caso, non apre la sttada a un ritorno puro e sem-

1,lice alle forme autarchiche e comunitarie presta-rrrali. Corrisponde piuttosto a una fase di estremol,ericolo per la tr adizione democ î atica, che potrebber rcCupzre il nostro orizzonte per un periodo molto

39

Page 21: Balibar - Cittadinanza

lungo. Ma, va ribadito, quello che la crisi non rende

necissario, e probabilmente non favorisce, non loimpedisce neppure fatalmente. E in un certo senso

,r.iu.-.rg.t. piU vistosamente I'urgenza. È dr-tnqo.

la condizione negativa di un rilancio della questione

dellapoliteía.

La società ciaile, nuoao luogo della <politeía>>?

Quale può essere la condizione positiva? Qui è ne-

cessario essere ancoîapiù problematici, per non direspeculativi. Bisogna chiedersi quali forme possono

prendere, o stanno prendendo, dei processi costi-iuenti o degli elemeÀti di cittadinanza poststatualeneces s ariamente dis giunti, o addirit tut a atomizzatialle estremità dello spazio politico, ma che hanno

una vocazione a riunirsi, o sui quali si può lavorareperché finiscano per riunirsi. Dove trovare, o cer-

care, questi elementi?Una risposta a lungo in voga, sulla quale concorda-

vano almeno verbalmente filosofi marxisti o postmar-

xisti, teorici dei <movimenti antisistemici> e pensa-

tori liberali, si chiamav a società ciaile. E innegabileche questa risposta ha permesso di mettere in luce

dei fènomeni caratteristici della nostra epoca e inparticolare alcune nuove dimensioni della cittadi-i^n"u attiva, non riducibili al formalismo statuale e

al quadro nazionale. A questo proposito è estrema-

ment. importante sottolineare ll d.écakge che consi-

ste nel fatto che lo Stato rimane essenzialmente rin-chiuso nella forma- nazione o tenta semplicemente di

trasporla a un livello superiore, mentre la società ci-vile è percepita e si dispiega in modo transnazionale,:rttraverso le frontiere, in quanto società di <com-nrercio>> in tutti i sensi del termine classico, malgradogli ostacoli posti dalla eterogeneità delle lingue e

.lelle culture (ma anche facendo leva su forme nuovedi comunicazione).

Naturalmente ci si può domandare se in questocontesto la categoria della <moltitudine>>, così comeviene utilizzata da Michael Hardt e Toni Negri, nonsia una pura radicalizzazione (e anche unaidealizza-zione) della risposta, come suggerisce d'alffonde lasua simmetria con la nozione dí imperiun. Tuttavia,.1uello che contrasta con una lettura così semplice è ilf'atto che i due autori inscrivono nel loro concetto dirnoltitudine una divisione tra forze costituenti e

l'orme sociali imposte dallo sviluppo capitalistico,configurando dunque una decomposizione piuttostoche un'autonomizzazione della società civile. C'èpoi il fatto che per Hardt e Negri l'<<impero>> a cui si

oppone (<<resiste>>) la moltitudine non è una strutturapuramente <<privata>> o <(corporativa>>, ma ingloba loStato (anche se, secondo unatradizione marxista allacluale, su questo punto, gli autori sono interamentefedeli, lo Stato non è nient'altro che una funzionedella struttva capitalistica). Stato e società civilenon sono esterni I'uno all'altra. C'è infine il fatto cheil principio della resistenza e della potenz^ propriedella moltitudine viene ricercato in ultima istanza aldi qua dei rapporti e delle istituzioni istitutivi dellasocietà civile, in una <ontologia delle forze produt-tive> di carattere vitalistico o, secondo la definizione

4f

Page 22: Balibar - Cittadinanza

di Hardt e Negri estrapolata dalla terminologia diFoucault, <biopolitico>. La potente e suggestiva ela-borazione dei due autori contribuisce dunque a pro-blematizzare I'idea di società civile come nuovoluogo della politica piuttosto che a imporla comeevidenza.

L'identificazione della politeía futura con una po-tenza della società civile in quanto nuova società po-litica, verso la quale spingono al tempo stesso realtàattuali e parole antiche, presenta diversi inconve-nienti. Il primo è che la categoria di società civilecomprende anche forze, istituzioni e tendenze chenon soltanto non hanno nulla di democratico, ma nonhanno neppure nulla di politico nel senso che ab-biamo cercato di dare al termine a partire dalla suaorigine. Si tratta in primo luogo delle forze e dellestrutture del mercato capitalistico, che oggi hannoinglobato non solo la produzione e la commercializ-zazione dei beni materiali, ma anche quelle della vita(o della <<cura>>, care) e della cultura. Queste forzeche dominano la società civile costituiscono la mate-tia, ma evidentemente anche l'antitesi o I'ostacolodei movimenti civici futuri. Non si tr^tta tanto didistruggerle quanto di dominarle, e dunque di con-trastarle, in modo da canalizzare le potenze economi-che al servizio del bene comune della società e, piùoltre, delle diverse società che compongono I'uma-nità. Quello che dovremmo inscrivere positiva-mente, tra i fattori di ricostituzione della politeía, aldi là dello Stato o piuttosto del monopolio delloStato e della crisi dello Stato, non è dunque la societàcivile in quanto tale, ma il differenziale delle ten-

.lcnze all'interno della società civile, e in particolarelo scontro delle logiche dell'interesse pubblico e

,lell'interesse privato di cui la società civile è sede.

il riferimento alla società civile intesa come unasorta di feticcio o di Scibboleth, ha poi un altro in-conveniente, che si può comunque tentare di trasfor-rnare in v^ntaggio o suggerimento positivo. Questot'onsiste nel fatto che vengono escluse, o sembra ven-

sano escluse, forme istituzionali e organizzazioni che

rìon sono infrastatuali o private, ma al contrario so-

vrastatuali. Non pensiamo alle alleanze,le federa-zioni o le confederazioni di Stati, ma piuttosto alleor ganizzazioni giuridiche, economiche, ecologiche o

,aàitarie mondiali incaricate della sicurezza collet-riva e della lotta contro lo sviluppo ineguale, dalleNazioni Unite all'Organizzazione Mondiale della Sa-

rrità, ai Tribunali Penali Internazionali, passando per

l,r Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazio-rrale. Naturalmente, per poter inscrivere potenzial'rìrente nella prospettiva di una costituzione di citta-,.linanza istituzioni di questo tipo - che incarnano,rlmeno virtualmente una sorta di <<comunità senza

eomunità>>, anaistanzadi regolazione dei conflitti dii rrteresse dell'umanità non f ondata sull' apparte îenza,: l'autarchia, ma sulla reciprocità genetalizzata -,bi-,ognerebbe concepire una loro radicale democtatizza-zione, dalla quale siamo ben lontani' Una democra-úzzazioneche presuppone non certo il dissolvimento.lel legame di queste istituzioni con gli Stati di cuioggi continu no a essete essenzialmente I'emana-t,ione, ma un passo decisivo <<al di 1à del Leviatano>>((liacomo Mirramao,Dopo ilLeaiatano), verso la di-

424)

Page 23: Balibar - Cittadinanza

stribuzione e la relativizzazione della sovranità sta-tuale. Non è difficile vedere quali potenti forze sonodestinate a resistere in modo accanito, se non vio-lento, a una simile inversione di marcia della cinghiadi trasmissione tra irnperium statuale e auctoritas in-ternazionale o planetaria. In altri termini, questopresuppone che le organizzazioni internazionali ac-quisiscano un'autorità cosmopolita indipendente daquella degli Stati, e dunque mdicatain pratiche, pro-cedure di intervento, modalità di cooperazione, par-tecipazione, delega di poteri e îappresentanza cheattraversano il livello statuale, scendendone al disotto per ativare alle comunità di cittadini, dallequali ricevono una parte del loro impulso, nel mo-mento stesso in cui, giuridicamente, si collocano al disopra del livello statuale stesso. Oggi si può solo porrequesta questione, non la si può risolvere. Ma la storianon (si) pone soltanto questioni che può risolvere... Oforse potrà risolverle solo ponendole in modo diverso.

Avendo tentato, in un primo percorso ipotetico, dirrffrontare le questioni contemporanee spingendo alle

rrltime conseguenze l'idea di una politeía in quanto<costituzione di cittadinanz^>>, possiamo ota occu-

parci di una seconda genealogia delle antinomie della'cittaditanza

democràtica: quella che abbiamo defi-rúto la traccia dell'egalibertà, intendendo con questa

cspressione-conteniìore I'ideale civico delle rivolu-ziòni borghesi che scandiscono storicamente la mo-

dernità. Non va dimenticato che <<borghese>> e <<citta-

dinor> all'origine sono due termini sinonimi, con una

stessa etimológia (un bùrgerèun cittadino nel quadro

di una città li6era). La loro distinzione, sottolineatada Rousseau (I I c ontratto socia Ie) e poi da Hegel (Linea'

nenti di filosofia del diritto), non abolisce affatto pu-

ramente e semplicemente la loro correlazione.Marx, che aveva giustamente portato la scissione

roussoviana e hegeliana tra borghese e cittadino finoal punto di rottura, af.ferma a più riprese che la mo-

deinità politica avaîza sulla scena storica <(vestita

all'antica>>, e piùr precisamente <<alla romanat>. Que-sto deve farcitenire presente chel'aequa libertas e

l'aequum ius sono due nozioni romane, di cui Cice-

3.

Aequa liberus

44 45

Page 24: Balibar - Cittadinanza

rl

rone in particolare si serviva per indicare l'essenzadel regime a cui dava il nome di res publica: <<E tale èciascuno Stato, quale è I'indole o la volontà di chi logoverna. Pertanto in nessun'altra città, se non inquella in cui è massimo il potere del popolo, risiedein alcun modo la libertà; della quale certamente nullavi può essere di più dolce, ed è tale che se non èeguale per tutti nemmeno è libertà> (Cicerone, loStato,I, 3r, 47).Va detto che il pensiero politico diCicerone si inscriveva in una tradizione giuridicapropria alle istituzioni romane, ma anche in una teo-rizzazione dell' hurnanitas proveniente dal cosmopoli-tismo stoico, il quale, attravetso la sua riformula-zione cristiana, è sfociato in epoca moderna nellefilosofie del diritto narurale.

Ciò che è cruciale tuttavia nell'evoluzione di que-sta linea di pensiero, è il momento di rivoluzione cheinaugura la modernità politica, attraverso il quale ildiritto eguale diventa il concetto di una universali-tà di tipo nuovo. La teotia allora è essenzialmenrecostruita come una doppia unità di contrari: unitàdell'uomo e del cittadino, che appaiono come due no-zioni coestensive malgrado tutte le restrizioni prati-che che gravano sulla distribuzione dei diritti e deipoteri, e unità (o reciprocità) dei concetti stessi diIibertà e di uguaglianza, percepiti come le due faccedi un medesimo potere costituente, malgrado la ten-denza permanente delle ideologie politiche borghesi(genericamente riunibili nella categoria del libera-lismo) a conferire al primo rermine una priorità epi-stemologica o addirittura ontologica, facendone ildiritto naturale per eccellenza, tendenza alla quale

risponde quella opposta socialista a privilegiarel'úguagliaiza. La prima tendenza può essere illu-,trlnAa quello chè John Rawls definisce <<l'ordine

Iessicografico>> inerente al principio di uguale libertà,1,, secoìrda dal pensiero diJacques Rancière, che de-

linisce una opposizione radicale tta la democraziacome af{ermirionrdel <potere di chiunque> e le isti-ruzioni educative e rappresentative, viste come al-

trettanti tentativi di limitare il principio della prima'

Insunezione e costituzione

Quel che è particolarmente interessante è I'ele-rnento di tensione derivante da questa doppia unitàr-lei contrari: esso permette di comprendere perché le

livendicazioni di maggiori poteri per il popolo o

I'emancipazione dal dominio che si traduce in nuovi.liritti ur irr-rno inevitabilmente un cata;ttere insurre-zionale. Rivendicando contemporaneamente l'ugua-glianza e la libertà, si riafferma I'enunciazione che è

,rll'origine della cittadin nza universale moderna' E

chiaramente è quando il potere politico viene con-

rluistato in modo rivoluzionario, con un conseguente

,:ambiamento di regime (per esempio il passaggio

dalla monarchía alla repubblica) o il ridimensiona-rnento di una classe dominante costretta a rinunciareei propri privilegi, che questa úaff.ermazio,ne trova la

,uà espressione-simbolica privilegiata. Ma la petitioìuris, àvvero il movimento di emancipazione legato

alla rivendi cazione dei diritti, può manifestarsi inun'infinità di modi, attraverso movimenti popolari,

46 47

Page 25: Balibar - Cittadinanza

ilI

campagne democratiche, formazione di partiti dura-turi o effimeri. Essa comporta un confronto traf.orzediverse, violento o non violento a seconda deile condi-zioni, I'uso o il rifiuto delle forme giuridiche e delleistituzioni esistenti. Basti pensarc alla diversità del-le storie nazionali in Europa riguardo a1la conquistadei diritti civili, politici e sociali, o alla molteplici-tà delle forme che ha assunto la decolonizzazione nelxx secolo, o al succedersi di episodi di guerra civile edi movimenti per i diritti civili durante più di un se-colo negli Stati Uniti sulla questione mzziale ecc.

Malgrado la diversità di questa fenomenologia, siconstata che il conflitto è sempre determinante inultima istanza, in quanto l'egalibertà non è valoreoriginario, e i dominanti non cedono mai i loro privi-legi o il loro potere volontariamente, anche se accadeloro, sotto la pressione degli awenimenti, di esserepresi dall'ebbrezza della fraternità (come nell'esem-pio simbolico della notte del 4 agosto r789: ma I'epi-sodio è mai accaduto veramente così come è statomitizzato nell' immaginario repubblicano?). Dunquesono necessarie delle lotte, e ancora di più è necessarioche si affermi una legittimità della lotta, quello che

Jacques Rancière chiama <ia pafte dei senza-parte>>,che conferisce un significato universale alla rivendi-cazione di coloro che in precedenza erano esclusi dalbene comune o dalla volontà generale. Emerge quiuna incornpletezza essenziale del popolo in quantocorpo politico, un processo di universalizzazione chepassa peî il conflitto, e per la negazione dell'esclu-sione fondata sulla dignità, la proprietà ,la sicurezza,e in generale sui diritti fondamentali. Il momenro

insurrezionale così caratterizzato guarda, al tempos[esso, verso il passato e verso il futuro: verso il passa-ro in quanto rinvia al fondamento democratico di ognicostituzione che non derivi la sua legittimità dallatradizione, da una rivelazione, o dalla ptrz eÍficaciaburocratica, per quanto determinanti siano questelorme di legittimazione nella costruzione degli Stati;verso il futuro, in quanto di fronte alle limitazioni e,ri dinieghi che si oppongono alla rcalizzazione dellatlemocrazia nelle costituzioni storiche, il ritorno,rlf insurrezione (e il ritorno dell'insurrezione, più onreno a lungo scongiurata) rappresenta una possibi-lità permanente. Che questa possibilità si concretizzi() merìo owiamente è un'altra questione, che non può('ssere oggetto di nessuna deduzione a priori.

Ma se la comunità politica si fonda sull'articola-zione della cittadinanza con differenti modalità in-sLrrrezionali di emancipazione o di conquista dell'uni-versalità dei diritti, essa assume inevitabilmente unalorma paradossale: escludendo qualsiasi consenso,rron è né rcalizzabile come unità omogenea dei suoirnembri, né rappresentabile come totalità compiuta.Né d'altra parte può dissolversi nella forma indivi-.lualistica di un aggregato di soggetti economici esociali il cui solo legame sarebbe la <<mano invisibile>.lell'utilità, o I'interdipendenza dei bisogni, o nellaf orma opposta di una <(guerra di tutti contro tutti>>,,'ioè di un antagonismo generalizzato degli interessiche, in quanto tale, sarebbe il <<comune>>. In un certo

'cnso dunque, i cittadini (o i concittadini) dell'egali-

lrertà non sono né amici né nemici. La loro relazione,'di tipo agonistico. Ci avviciniamo qui a quello che

48 49

Page 26: Balibar - Cittadinanza

tfi

l

I

IChantal Mouffe ha proposto di definire il <<para-

dosso democratico>, su cui ritorneremo, ma stiamo

anche intravedendo le forme sotto le quali una istitu-zione della cittadinanza che permane es s enzialmente

antinomica può manifestarsi nella storia, via via che

cambiano i nomi, glt spazi e i territori, le narrazioni

storiche e le formàzioni ideologiche associati al suo

riconoscimento da parte dei soggetti che vedono inessa il loro orizzonie politico e la loro condizione diesistenza.

Cittadinanza e nazionalità

Perché questa connotazione sostanzialmente in-

stabile, protlematica, contingente della comunità dei

cittadini non è più apparente (o non si manifesta più

spesso)? E percihé, q,tittdo si manifesta, viene facil-

..nt. indicata come un crollo della cittadinanza?

Probabilmente ciò è dovuto, in particolare, alÎattoche nell'epoca moderna le nozioni di cittadinanza e

di nazionàlità sono state praticamente identificate,in quella che si può considerare come I'equivalenza

fonàatrice dello-Stato repubblicano moderno, tanto

pir) indiscussa e - appatè.tt.-ente -- indjstruttibile

in qo^rrto lo Stato tt*to non cessa di rafforzarsi e le

sue giustificazioni mitiche, immaginarie e culturalioroliferano.'

È possibile tuttavia immaginare che il ciclo storico

della-sovranità dello Stato arrivi a un termine, come

oggi sembra stia awenendo, di modo che il carattere

uilh'.rro contingente di questa equazione (ri)diventi

, r'idente? Si tratta in effetti di un'equazione storica-rrrcnte determinata, relativa ad alcune condizioni lo-, rrli e temporali, esposte alla decomposizione o allarrrutazione. E innegabile che la sovranità assoluta,lcl1o Stato-nazione in quanto potenza economica e,rrilitare, o anche come capacità di conffollare i movi-rrrenti e Ie comunicazioni dei propri cittadini, nel,rrondo attuale sia pesantemente messa in discus-,itrne, ma non è certo che i processi di transnaziona-lv,zazione in corso rivestano lo stesso significato do-' unque, e che la percezione che se ne ha in Europai.r generalizzablle. E molto probabile per esempio

, lrc, dal punto di vista della Cina, nel momento in, rri questa sta tentando di affermarsi come una nuovarrrrziore egemonica regionale o mondiale, la prospet-riva appaia molto diversa, tanto sul piano semantico,lrranto sul piano storico. Comunque sia, ci troviamorì rrn momento in cui diventa (di nuovo)visibile chei 'in leresse nazionale o I'identità nazionale non sono,

,rì cluanto tali e in assoluto, fattori di unità della co-

'''rrnità dei cittadini, e che I'equazione tra cittadi-tiltnza e nazionalità è essenzialmente precaria.

Ma la riflessione non può fermarsi qui. Perché, per, trrirnto efficace possa essersi dimostrata la forma na-ione nella storia moderna, essa è soltanto una delle

r,,r'rne possibili della comunità dei cittadini, di cui1,r'r'altro non assorbe mai tutte le funzioni e non neu-rr;rLizzamai tutte le contraddizioni. È necessario so-I'rrìttutto comprendere che la cittadinanza in gene-,,rlc, in quanto idea politica, comporta indubbiamente,rrr liferimento alla comunità (poiché, così come unatrtadinanza senza istituzioîe,l'idea di una cittadi-

5o 5r

Page 27: Balibar - Cittadinanza

rl

î^flza senza comunità è di fatto una contraddizionein termini), e tuttavia non può avere la sua essenza nel

consenso dei suoi membri. Di qui la funzione strate'gica che svolgono nella storia termini come res pu-blica o cornftzonuealth, ma anche la loro profondaequivocità. Dei cittadini sono sempre deí con-citta-dini (o dei co-cittadini, che si conferiscono reciproca-mente i diritti di cui godono): la dimensione di reci-procità è costitutiva. Nel secolo scorso, in un celebreàrticolo (Due rnodelli linguistici d'elk città), Emile Ben-

veniste ha dimostrato che, dal punto di vista filolo-gico, questa priorità della reciprocità sull'appaîte'nenza è esptessa meglio dal binomio latino ciais-ciuitas

che dal binomio greco pólis-polítes, in quanto nelprimo la radice semantica è 1o statuto dell'individuo inrelazione (il concittadino), mentre nel secondo è lapreesistenza nominale del tutto rispetto ai suoi mem'

bri. Questa diff.erenzaha conseguenze politiche e sim-

boliche notevoli, leggibili anche nella posterità mo'derna dei due discorsi. Ma bisogna interpretarlasoprattutto come una tensione interna, presente do'vunque e all'origine di una oscillazione permanente.

Allora, i cittadini come possono esistere al di fuoridi una comunità, che sia o meno territoriale, imma-gínata come un fatto di narua o una eredità cultu-rale, definita come un prodotto della storia o come

una costruzione della volontà? Già fuistotele, si è visto, ne aveva proposto una giustificazione fondamen-tale, inaugurando in tal modo la filosofia politica:quello che lega tra loro i cittadini è una norma di re-

ciprocità dei diritti e dei doveri. O meglio ancora: è

il fatto che la reciprocità dei diritti e dei doveri im-

lrlichi al tempo stesso Ia lirnitazione del potere dei go-t'crnanti e I'accettazione della legge da parte dei gooer-ttuti. Per Aristotele, la gannzia di questa reciprocitàrisiedeva nello scambio periodico di posizione di'(governante>> (tírclton) e di <<governato> (archónze-,rr.,s), anche se questo principio gli appaúva per I'ap-punto gravido di pericoli ultrademocratici. Successi-vlrmente, e di conseguenza,la tradizione politica nonlra mai smesso di tentare di elaborare I'idea di una( ()stituzione mista nella quale la reciprocità e la ge-rrrrchia si trovassero conciliate o composte. I magi-',trati sono dunque responsabili di fronte ai loro com-rnittenti, e i semplici citadini obbediscono alla legge, he hanno contribuito a elaborare, o direttamente ol)cr interposti rappresentanti.

T uttavia, questa inscrizione della cittad inanzarrell'orizzonte della comunità non è in alcun modo';inonimo di consenso o di omogeneità. Al contrario:I'crché i diritti che la cittadinanza garantisce sonortati conquistati, cioè sono stati imposti malgrado larcsistenza opposta da detentori di privilegi, di inte-rcssi personali e di poteri che esprimono altrettante,krminazioni sociali. Perché sono stati (e devono es-',ere continuamente) inoentati (come dice Lefort,i ontrappon€ndosi su questo punto alla corente do-rrrinante del liberalismo e del repubblicanesimo), e i[rro contenuti, come quelli dei doveri e delle respon-,,rbilità corrispondenti, si definiscono sulla base di

I Iuesto rapporto conflittuale.

52 53

Page 28: Balibar - Cittadinanza

fiI

Politica e antipolitica: il dilemma dell'istituzione

Arriviamo così a una caratteristica fondamentale

della cittadinanza moderna, che è anche una delle

ragioni per le quali la sua storia non può che presen-

taisi come un movimento dialettico incessante'

Chiaramente è molto di{ficile accordare I'idea diuna comunità né disgre gata né unificata con una de-

finizione puramente giuridica o costituzionale: ma

non è impossibile concepire questa idea come un

processo itorico governato da una legge di riprodu-

"ion". di interruzione e di ttasfotmazione perma-

.r.rrt.. È d'altronde I'unico modo per comprenderela temporalità discontinua e la storicità della cittadinun

^-inquanto istituzione politica. Non soltanto la

cittadinanza dev'essere attraversata da crisi e da

tensioni periodiche, ma è intrinsecamente fragile o

vulnerabile: in ragione di questo, nel corso della sua

storia, è stata disirutta e ricostruita varie volte, inun nuovo quadro istituzionale' In quanto costitu-zione di citiadinanza, essa è minacciata e destabiliz'zata, o delegittimata (come

^veva visto bene Max

\X/eber), dalla stessa potenza che ne forma il potere

costituente (o di cui è la figura costituita): la capa'

cità insurezionale dei movimenti politici universa'

listi che intendono conquistare diritti ancora ine'

sistenti o ampliare i diritti esistenti, in modo da

realizzare neifatti l'egalibertà' Ecco perché è ne'

cessario parlare di un dif.fetenziale tra insurre'zione e costituzione, che nessuna rappresentanzapuramente formale o giuridica della politica può

riassumere.

Se non fosse così, saremmo costretti a immaginare, lre le invenzioni democratiche, le conquiste di diritti,lc ridefinizioni della reciprocità tra diritti e doveri inlrase a concezioni più ampie e concrete, derivano darrrra idea eterna, dataunavolta per tutte, della cittadin',tnza. E contemporaneamente satemmo tenuti a so-',tituire all'idea diun'inuenzione quella di una conser-rtrzione della democrazia. Ma una democrazia chehar ome funzione quella di conservare una certa defini-,ione della cittadinanza è anche, proprio per questa',ua caratteristica, incapace di resisterc allapropria de-,lemocratizzazione.In effetti, nella misura in cui lal,olitica deve far fronte alla trasformazione delle realtàcsistenti, al loro adeguamento a contesti in muta-nìcnto, alla formulazione di alternative all'interno di,'voluzioni storiche e sociologiche, un concetto di con-',t'rvazione non sarebbe politico ma antipolitico.

E necessario dunque dimostrare, contîo ogni defi-rizione prescrittiva o deduttiva, che la cittadinanza,ron ha mai cessato di oscillare ffa distruzione e rico-, t ruzione, a partiîe dalle sue proprie istituzioni stori-, lrc. Il momento insurrezionale associato al principio,lcll'egalibertà non è soltanto fondante, ma anche ne-,rrico della stabilità delle istituzioni. E se ricono-,ciamo che esso rappresenta, attraverso le sue realiz-t.trzionipiù o meno complete, I'universale all'interno,lclla sfera politica, dovremo convenire che non esi-,tc nella storia niente di simile a un'appropriazione o,r un'installazione nel regno dell'universale, comet)r'nsavano i filosofi classici, per i quali l'avvento dei,liritti dell'uomo e del cittadino rappresentava un1'rrnto di non ritorno, il momento in cui l'uomo di-

54 55

Page 29: Balibar - Cittadinanza

vent^vanei fatti il portatore dell'universale che tt^ Ilper destinazione. fl

Se poi combiniamo I'idea di questo differenziale f,

tra iniurrezione e costituzione con la rappresenta- {zione di una comunità senza unità, in via di ripro- /

duzione e di trasformazione,la dialettica alla quale I

arriviamo non è puramente speculativa' I conflitti I

che essa implica possono essere estremamente vlolen' !ti. E soprattutto coinvolgono tanto lo Stato quanto,

{di fronte allo Stato o al suo intetno, i movimenti di {

emancipazione stessi' Per questo motivo non pos-

siamo neppure rimanere alla nozione di istituzione,ancora .àito generale, di cui ci siamo serviti fin qui,

perché elude ancora la contraddizione principale' Riiorneremo su questo punto tentando di riflettere inmodo più appro{ondito sui rapporti tra istituzione e

conflitìo. Pti-" però è necessario precisare ciò che

risulta, .on.r.tuti.nte, dal fatto che I'istituzione nel-

I'epoca moderna si sviluppa innanzitutto nella forma

deilo Stato nazionale e dei suoi diversi app^îati'

irrtensificare quelle antinomie, senza peraltro mu-rirrne la natura? Oppure bisogna ammettere che tale.rssoggettamento sposta le antinomie su un terreno,lcl tutto diverso, nel quale la dialettica dei diritti e,lci doveri, del comando e dell'obbedienza, non sil)rcsenta più negli stessi termini, di modo che le cate-r rt rrie eredit ate dalT' antichità svolgerebbero soltanto,rrra funzione di mascheratrtta, una <<finzione del po-I i t ico >? Nel solco di Hegel, Marx non era lontano dalItcnsarlo.

Come già si è visto, la nozione stessa di costitu-.,ione ha subito pro{onde evoluzioni nel corso del suo,viluppo storico nel quadro nazionale,legate alTa cre-,('cnte importanza dello Stato e del suo potere sulla,.cietà, sia prima sia dopo che si generalizzasse il,lominio del modo di produzione capitalistico, al,

1t rale lo Stato stesso contribuisce direttament e attîa-t'..'rso un'<<accumulazione primitiva>> estremamenteviolenta (Marx). Le costituzioni antiche erano incen-t r ate sulla distribuzione dei diritti tra le categorie,lella popolazione,le regole dell'esclusione e dell'in-, lrrsione, le modalità della scelta e della responsabi-lità dei magistrati, la definizione dei poteri e dei con-tropoteri. Dunque erano essenzialmente delle, rrstituzioni materiali che producevano un equilibrio,lt'i poteri ma mancavano della neutralità trascenden-r' r le conferita dall'universalità della forma giuridica.Lrr distinzione tra costitu zione forraale (fondata sullalcrarchia delle leggi, delle norme e delle loro fonti) e, {)stituzione materiale (l'equilibrio dei poteri e dei, orpi sociali e politici, il conflitto regolato ra le, lassi e gli attori politici) ha una lunga storia che si

Stato, rappresentanzt, is truzione

Se finora abbiamo fatto assai poco ri{erimento allo

Stato, non è perché si sia voluto evitare di prendere

in esame istiìuzioni specificamente statuali, ma al

contrario per meglio individuare quanto aggiunga 'alle antinómie della cittadinanza I' identif ic azione

delle istituzioni politiche con una costruzione statua'

le nazionale. L'aìsoggettamento della politica all'esistenzae al potere diun apparato statuale non fa che

5657

Page 30: Balibar - Cittadinanza

può far risalire alle critiche delle teorie contrattuali-ite (Hume, Montesquieu, Hegel) e, aÍrcoîa prima,alle discussioni sulla costituzione mista. In epoca mo-

derna questa distinzione è stata ripresa e difesa inparticoiare da Carl Schmitt (Dottrina della costitu'Tione) e da alcuni suoi lettori soprattutto italiani(Mortati, Negri).

Le costituzioni moderne sono invece costituzioniformali, scritte nella lingua della legge, il che corrispon-

de - come ha ben visto il positivismo giuridico - al-

I'autonomiz zazionedello Stato e al suo monopolio dirappresentanza della comunità, cosa che consente

allo Stato stesso di esistere contemporaneamente <<in

idea>> e <<in pratica>>, al di là delle sue divisioni e della

sua incompittezz^ (Hans Kelsen, La dernouazia). Tl

costituzionalismo nazionale moderno combina dun-que la dichiarazione performativa dell'universalitàdei diritti (ela garanzía giudiziatia contto la loro vio-

Iazione) con un nuovo principio di separazioîe tragovernanti e governati, che Catherine Colliot-Thé'l'ène (nel ,rroio-*.nto alla tesi weberiana che af-

ferma la supremazia tendenziale della legittimità bu-

rocratica súile altre forme di legittimità) definisce ilprincipio dell' << ignora nza delpopolo >.

-Si p-otrebbe an-

che pàrlare, sul vetsante istituzionale, di incornpe'

tunzà sostanziale del popolo, di cui la capacità di rap'

presentanza è il prodotto conraddittorio. La ge-

nealogia di questo principio risale fino almeccanismo

t"pprèt"nt"tivo dell' au torizzazione del sovrano inqlruttto .rtti.o attore politico, che è al centro della costru-

zione di Hobbes nélLeuiatano (capitoli 16-17). E lostesso principio si ripropone nell'idea hegeliana se-

, trndo la quale la rappresentanza della società civile,rcilo Stato richiede l'intervento organico di una, l,rsse universale costituita dagli intellettuali, siano, ssi funzionari pubblici o portavoce degli interessi.lt'lla società (Hegel, Lineamenti di filosofia del di-r,,1/o). Questa idea si avvicina alla concezione libe-r,rle, che fa della proprietà e della capacità (fondata,rrlla conoscenza) \e due fonti della cittadinanza at-riva, come ha indicato in particolare Pierre Rosan-

',rllon (ll popolo introuabile).In epoca più vicina a

rr,ri, e in modo più borghese e dunque più pragma-r ico, il principio di incompet enza è stato sistematiz-,,rto dai teorici della democrazia elitaúa (in partico-l;rle Schumpeter), che hanno dominato la scienza;','litica a partfte dall'inizio del xx secolo (in rispostarlla grande paura delle masse provocata dal sociali-,rrro e dal comunismo) e hanno identificato il regime,lt'rnocratico non soltanto con la delega di potere, ma, ()n la concoîrenza tra politici di professione sul mer-, rrlo della rappresentanza.

Tutto ciò fa risaltare quanto le contraddizioni tral,rrrtecipazione e rappresentanz^, e tra rappîesentan-;r e subordinazione, siano acute nella cittadinanza

nroderna, e perché il differenziale tra insurrezione e, ostituzione si sposti in particolare nel funzionamen-r,, dei sistemi di istruzione nazionale. Molti nostri, ()rìtemporanei, pur senza ignorare le sue imperfe-ioni eclatanti, considerano lo sviluppo di un sistema

, li pubblica istruzione un'acquisizione democîatic^lrrndamentale e una condizione preliminare alla de-tpcratizzazione della cittadinanza. Ma noi sappiamo.,rrche che democtazia e meritocrazia si trovano in

58 59

Page 31: Balibar - Cittadinanza

II

Iquesto campo in un rapporto stJaordinariamenteteso. Lo Stalo borghese che combina la rappresen-

tanza politíca con l'istruzione di massa si apre vir-tualmànte alla partecipazione dell'uomo comune o

del cittadino qullsiasi al dibattito politico, e di con'

seguenza alla contest azione del proprio monopoliod.i potere. A seconda della propria efÍicacia nellariduzione delle disugu aglianze, 1o Stato contribuisceall'inclusione di categorie che in precedenza non ave-

vano accesso alla sfera politica, e dunque all'instau-razione di un <diritto ai diritti> (secondo la famosa

formula arendtiana).Ma il principio meritocratico che regge questi si

stemi di istruziott. (e che si identifica con la forma

nìcnte le proprie îozze conl'elitismo e con la dema-liogia. Come è noto, questo è stato il punto forte,lclle teorizzazioni sull'oscillazione dei partiti dirnassa (socialisti) ra la dittatura dei capi e il monopo-lio dei quadri, alle quali Gramsci tentò di rispondere( on la sua teoria degli intellettuali organici, che ribal-rrrva contro lo Stato borghese la tesi hegeliana della,lasse universale e delle sue funzioni egemoniche.

Dernocrazia e lotta di classe

Mettendo in rilievo alcuni dei meccanismi che con-It'riscono un carattere di classe alle costituzioni ditittadinanza del mondo contemporaneo, non inten-,liamo soltanto indicare I'esistenza di un fossato ffa1'r incipi democratici e realtà oligarchiche, ma anche,,,llevare la questione del modo in cui i movimentirrrsurezionali vi sono essi stessi coinvolti. Non sem-l,r'a necessario dilungarsi in questa sede su come laI,rtta di classe abbia svolto un ruolo democratico es-',cnziale nella storia della cittadiîanza nazionale mo-,lcrna. Ciò è dovuto alf.atto che le lotte organizzate.l,rlla classe openia (attraverso tutta la gamma delleLrro tendenze storiche, riformiste e rivoluzionarie)lrrnrio portato al riconoscimento e alla definizione dalrrrrte della società borghese di alcuni diritti socialilordamentali, che lo sviluppo del capitalismo indu-,triale rendeva al tempo stesso più urgenti e più dif-licili da imporre, contibuendà .o., .iò alla nasci-t.rdi una cittadinanza sociale. Ma si è dovuto anche,rr un rapporto diretto con quanto abbiamo chiamato

scolastica stessa: cosa sarebbe infatti un sistema di 1

istruzione generulizzato non meritocratico? I'utopia 'i

scolastica Éu ,.-pr. inseguito questo enigmatic-o i

obiettivo) è di peisé un principio di selezione delle

élite e di'esclusione della-massà da qualsiasi possibi-

lità di controllare realmente le procedure ammini''strative e di parteciparc agliaffari pubblici' La mag' '

sioranza deiìittadini non è comunque mai in grado

éi putt..ip"re agli affari pubblici su un piano di pa'

riti con i nmagistratit> reclutati (e <riprodotti>) sulla

base del loro-sapere e della loro competenza, che

Pierre Bourdieu,ha definito <la nobiltà di Stato>'

Creando una gerarchia di sapere, che è anche gerar'

chia di pot.ré, eventualmeìrc ruff.otzata da altúmeccanismi oligarchici, lo Stato esclude legittima'mente la possibilità per la nazione sovrana di gover-

nare se stessa. E in questo modo opera una fuga in

avanti in cui la rappresentanza celebra costante'

6o 6r

Page 32: Balibar - Cittadinanza

il

îla <(traccia dell'egalibertà>>, al fatto che quelle -lotte

I

hunio trnlarutoílo,o modo un' artic o laziòne' de Il' im - \

;;s,'';;;;;;tdùÈ, a'i*oii*r"io cottetliuo, che è il i

.,-,ót. stesso dell'idea di insurrezione' E un aspetto

tipico della cittadinanza modetna, il cui valore è in- '

dissociabilmente etico e politico, che i diritti del cit-

tadino siano attributi a soggetti individuali, ma siano

conquistati attraverso móvimenti sociali capaci diinventare, in ogni circostanza, le forme e i linguaggi

appropriati della solidarietà. In modo simmetrico, è

.tr.ttri"l-.nte nell'azione collettiva per la conquista

o I'estensione dei diritti che si determina la soggetti-

vazioneche autonomizzaf individuo e gli conferisce

una potenza di azione. Tutto questo I'ideologia do' '

minante fa mosffa di ignorarlo, oppure lo presenta in '

forma invertita, suggirendo che l'attività politicacollettiva è per natuia alienante, per non dire fattore '

di asserviménto alla dimensione totalitaúa'Pur contrapponendoci a questo pregiudizio, non

possiamo.ornonqo. cullarci nell'illusione che la lotta

ài.brr. oryanizàata sia immunizzat^ contÎo I'auto'

ritarismo interno che deriva dalla sua trasformazione

in contro-Stato, e dunque in contropotere e contfo'

violenza, o che rappresenti un principio di universa'

lità illimitata o incondizionata. Non è certo un caso

che nella sua maggioranzatl movimento operaio eu'

ropeo e le sue otganizzazioni di classe siano rimasti

ciÉchi ai probleml deil' oppressióne coloniale, dell' op'

pressionà domestica dellè donne, del dominio che si

àsercita sulle minoranze culturali (quando non è

stato direttamente î^zzistz, nazionalista e sessista),

malgrado questi problemi si siano ricorrentemente

rnenifestati come insumezione nell'insurrezione. È,r,i qualcosa che bisogna spiegare non soltanto conIuesta o quella situazione materiale, con questa o

,1rrella coruzione o degenerazione, ma con il fatto, Ire la resisterLz^ e la protesta contto forme determi-rrrrte di dominio o di oppressione si basano sempre,rrll'emergere e la costruzione di controcomunità chelirrnno propri principi di esclusione e di gerarchia:Sappiamo che I'oppressione e il dominio hanno

,'rolti volti e che non tutti sono il risultato diretto o, scìlusivo del capitalismo globale ... È possibile che,lcune iniziative, le quali si presentano come alterna-rivc al capitalismo globale, siano esse stesse unal,rrma di oppressione>>, scrive oggi Boaventura de:r()rsa Santos, uno dei principali teorici dell'alter-,,rirndismo (Democratizing Dernocracy). La storiale lla lotta di classe - spesso drammatica - richiama

l,ì nostra attenzione sulla finitezza dei movimenti in-,rrrrezionali, in altre parole sul fatto che non esiste,rrlla che assomigli a universalità emancipatrici asso-lrtamente universali che sfuggono ai limiti dei loro,'rrgetti. Le contraddizioni della politica di emancipa-ione che si ispira all'egalibertà si traspongono e si

r il.le ttono all'interno delle costituzioni di cittadinan-.r più democratiche, contribuendo in questo modo,

, lrranto meno passivamente, come vedremo, alla pos-i lrilità della loro de-democratizzazione.

636z

Page 33: Balibar - Cittadinanza

4.

Dalla cittadinanza sociale allo Stato nazional-sociale

riva dello Stato, ovverosia dai modi di otganizza-,,ione della politica stessa. È r.m" questioné di una, omplessità affascinante, che per questo è all'ori-rine di un dibattito di cui siamo ben lungi dal ve-,lcre la fine. E gli sviluppi recenti della crisi econo-,'rico-finanziatia, e le sue ripercussioni possibili o1'r'obabili sulla composizione sociale e i rapporti po-lirici nelle diverse regioni del capitalismo globaliz-,rrto, arrivano a proposito per metterci in guardia, rrrtro le conclusioni af.flettate o speculative. Il di-l,irttito riguarda in particolare l'interpretazione,lclle trasformazioni nella composizione di classe,lclle società di capitalismo av^nzato in cui i diritti,,rciali erano stati ampliati e codificati nel corso del

'r secolo, e delle loro ripercussioni politiche più o

'rcno reversibili. Non è facile rispondere alla do-rrrirnda se la nozione di cittadinanza sociale, fatico-,;unente riconosciuta e lungi dall'essere genemliz-:rrta, appzrtenga già definitivamente al passato, e in,luale misura la crisi in cui ha precipitato quella no-itrne 1o sviluppo della globalizzazione liberale ab-

I'irr ormai distrutto le capacità dei sistemi sociali dirt'sistere all'avanzata di quello che Robert Castelrl,u rnetarnorfosi della questione sociale) chiama le

I orme negativer> dell'individualità e l'<<individua-lrsrno negativo>. Così come è tutt'altro che facile,lilc se quest'ultimo coincide con una interruzionel,'l'initiva dei progressi della democratizzazione o,;'iìr dialetticamente, con una intensificazione dei,,rrri conflitti e della sua incertezza interna, dovutarllt crescente difficoltà di una rivendicazione deilrlitti di organizzarsi in forme collettive di massa.

Tentiamo ora di esplicitare il nexus di contraddi'

,i;;;;iii.h..h. si annodano attorno al problema

lU irr.orpoîrrzioîe dej diritti sociali nella cittadi-

;;;;;;Ttx ,..olo. È evidente che l'importanza

;;ii;;;;;,i""e della cittadinanza sociale.' della sua I

,rutLriuri""e storica e della sua crisi nella forma dello '^Sìri"

*-ri""a-sociale, oggi non è percepita negli -stessi '

i.t À"i Jll.. " "a"

che sillnsidtti l" polit it a nel N ord

o nel Sud. Da una parte lo Stato nalional-sociale ha

;;; t.lt^ se.onda metà del xx secolo un corrispet'

,i*;;i-i;Jnella forma della problem tica dello svi'

irrppo ("rr.h'esso esposto alla crisi nel contesto neoli''b"fii.i. E;'iliiu-purt la questione dei diritti sociali

"à" JiiÀr* tin a ina sob règione del mondo' Si può

;td.;lÀ. tul. questioie si {accia.sentire' anche

;;;f;; differenti, dovunque lo sviluppo del capi-

tufitrno ha come coniropartii" ott-approfondimento

&1ilil;"rg1ianze. E óomunque lacritica del costi-

;;;;ilil?ot*ul. solleva la questione della demo'

*^a-li"iriittrrul", che è necéssario esaminare in

modo universale, e cioè comparativo'.Partiamo dalla relazione tra la crttadffLanz so'

ciale e le trasformazioni della funzione rappresenta'

6q 65

Page 34: Balibar - Cittadinanza

II

Si può considerare la cittadinanza sociale, che si è I

sviluppata nel xx secolo soprattutto il Europa occi ;dentàie (e in misura minore negli Stati Uniti) come una

$

innovazione o invenzione potenzialmente universaliz' Izabtfe. che appartiene alla storia della cittadinanza tn t

g"n.rul.? Èi'irrt.rrogativo posto in particolarellàa['op.ru di Thomas Humphrey Marshall e dai suoi

.o*tn.ntutori: Sandro Mezzadra (che colloca la que'

stione della cittadiîartza nel quadro delle migrazioni '

tnternazionali) in Ttalia, ma anche Margaret Somers'(che combína la visione di Marshall con una nozione,

arendtiana di <diritto ai diritti>) negli Stati Uniti' La,

nozione di cittadinanzasocialeè stata definita da Mar'lshall alf indomani della seconda guerra mondiale, nel{

contesto della grande trasformazione dei diritti del la'1

voro organiz zaTo e deisistemi di protezione degli indi'ividui contro i rischi caratteristici della condizione pro'Í

letaúa: insicu ezza e paupetizzazione, esclusione "

dall'istruzione e dal riconosòimento sociale (rischi chc'

riguardano in forme diverse tuttala popolazione che,

vie di lavoro salariato, la cui esisterlza îon è social'

mente g raîtit^dai proventi della proprietà)'Tale problem atica rirnanà qui parzialmente apeîta,

in quanio una risposta esaustiva dipende da un'analisi

degii sviluppi stòrici del capitalismo che va oltre le

poisibilità & questo saggio. Presupporremo tuttavieihe vi sia nella traiettoria della cittadinanza sociale, in

ragione del modo in cui essa cústallizza una tendenza

inicritta nella forma stessa della lotta di classe tra ca'

pitale e lavoro, una questione irriducibile la cui por'

ìata è di ordine g.t.ral.. Si può dire che si tratta della

questione dei ri-inizi della cittadiî rlza in rapporto ai

r, [i politici del capitalis.o. È tale questione che la, r isi attuale acutizza, e di cui spinge a ricercare le ra-lit'i per immaginarne le evoluzioni possibili. Tre punti

rLrt'ritaho di essere esaminati. Il primo riguarda I'emer-,r'r(: di una cittadinanza sociale distinta dal semplice

r i('onoscimento dei diritti sociali, il che le conferisce, , r ra dimensione univers alista. Il secondo riguarda la

',r,,dalità in cui, incorporandosi in una forma statuale

',1rrella dello Stato nazional-sociale), le lotte che ac-

' rrmpagoafìo la rivendicazione di tali diritti sono, rrrterrìporzneamente politicizzate e dislocate, cioèrrscritte in una dinamica di dislocamenti dell'antago-,isrno di classe, che permette una regolazione (ma

, lrc può anche s{ociare in una crisi). Il terzo punto

'r,qrrarda la complessità dei rapporti storici che in tale, ,rrìteSto si determinaîo tra I'idea del socialismo (in( rìso generale) e la democrazia, là dove le poste inioCo Sono in primo luogo la rappresentazione del pro-

,r('sso come progetto politico e il valore dell'azionel,rrbbiica come modalità di istituzione del collettivo.I 'rle questione non sempre è stata esaminata nel suo

,rt)porto con il problema della cittadinanza (salvo darlt rrni socialisti revisionisti come Eduard Bernstein).It rìterefiio nelle pagine seguenti di mostrare perché,trcsto è l'approccio che può gettare maggiore lucerrlla tematica di cui ci occupiamo.

Diriui sociali e cittadinanza sociale

i,'elemento forse più importante nel modo in cuir i' costituita la cittadinanza sociale alla metà del xx

66 67

Page 35: Balibar - Cittadinanza

secolo è il fatto che non è stata concepita come unsemplice meccanismo di protezione o di assicura'zionè contro le forme di povertà più drammatiche (o

contro l'esclusione dei poveri dalla possibilità di ac'

cedere a una vita familiare decente secondo i canoni

borghesi, che aveva ossessionato la critica sociale del

xrx secolo), ma come un meccanismo di solidarietàuniversale su scala del corpo politico dello Stato. Ildibattito cruciale tîa lJtraconcezione particolaristi'ca e patetnalistica e una concezione universalisticaegtaittariaè ben riassunto dagli storici della socialde'

mocrazia(Donald Sassoon, Cento anni di socialisrno)'

Un dibattito che segna il punto di arrivo di violenteconffoversie, i cui termini risalgono alle discussioni"

dell'epoca della Rivoluzione industriale sull'articola' :

zione'della filantropia o della carità con le strategielborghesi destinate a disciplinarela f.ona lavoro. IrtNalcita detk biopolitica,Foucaalt ricorda che nelle

polemiche dell'epoca il Piano Beveridge del r94z è

itato assimilato àl nazismo dai precursori del neoliberismo come Friedrich Hayek' Si vedrà se antago'

nismi altrettanto violenti si formeranno a proposito

del reddito di cittadinanza, che alcuni teorici con'

temporanei propongono di istituire per risponderealla generalizzazione del precariato e prendere attodella separazione tra diritti sociali e I'assegnazione

degli individui a una identità professionale unica.

In effetti, il meccanismo di solidarietà creato inmisura più o meno estesa dalwelfare State rigtardavavirtualÀente tutti i cittadini e copriva tutta la so"

cietà, cioè ne avevano ugualmente diritto tanto i ric'chi quanto i poveri. Questo punto è simbolicamente,

,,ra anche economicamente, di impoftanza capitale.Anziché dire che i poveri erano ormai trattaticome ir icchi, è più corretto dire che i ricchi erano trattatir trrre i poveri, in base a una univercalizzazione dellar rrtegoriÍr antîopologica di <<lavoro>> in quanto carat-tt're specifico dell'umano. La maggioîanz^dei diritti',trciali gaîantiti o conferiti dallo Stato erano infatti, trndizionati all'appanenenza più o meno stabile de-lli individui attivi a una professione, che dava lororrno status riconosciuto nella società. In un certo(lual modo il lavoro diventava così la base della so-, ictà al posto della f.amiglia (o in concorrenza con,'ssa). Questo punto è fondamentale anche per spie-riirre perché parliamo di citudinanza sociale, introdu-, cndo nel concetto una componente democtatica, elron puramente e semplicemente di denocrazia so-,'iule. Naturalmente le divisioni di classe rimangono,, il capitale (privato o pubblico) conserva il controllo,lelle operazioni di produzione e di investimento. Vanotato per inciso che uno dei problemi pir) acuti chel)one questa estensione della cittadina;îz^ associata aurìa vera e propria rivoluzione antropologica riguardal'rrguaglianza dei sessi, dato che la maggioranza delle,lonne alla metà del xx secolo erano ancora << socializ-zate>>, sia in Europa sia negli Stati Uniti, come mogli,li lavoratori attivi, e pertanto soggette a questi ul-rimi. L'accesso all'attività professionale è diventato,lunque una delle vie maestre dell'emancipazionelemminile. Ma ha anche inaugurato il supersfrutta-nìento delle donne, con la doppia giornata di lavoro,l,rofessionale e domestica, e il loro svilimento attîa-verso I'istituzione di professioni femminili come I'in-

68 69

Page 36: Balibar - Cittadinanza

t;

segnante elementaÍe, il mestiere di infermiera, dit,eir.taúu ecc., che ,íprodo.e la segregazione all'in- q

teino dello spazio pubblico: quello che Geneviève I

Fraisse ha chiamato il sistema dei <due governi>>. f

È opportuno inoltre notare il legame almeno indir.tto, tà.tto economico quanto ideologico, che asso-

ciavalaprotezione sociale e la prevenzione dell'insicu-rczza dàlla vita (di cui Marx aveva fatto una delle

caratteristiche centrali della condizione proletaria) a

un programma politico generale di riduzione delle di-tuguugliun"e. Questo legame era così potente che,

fino all'emergere del neoliberalismo' nessun partitopoteva, almeno verbalmente, metterlo-da parte. Il pro' .

gru-mu comprendeva 1o sviluppo delle-pari op.portu' iiità, l'"n-"nto della mobilità sociale degli individuiattraverso la generulizzazione dell'accesso dei futu' ì

ri cittadini al iistema di istruzione (in altri termini lo ,;

smantellamento simbolico o la delegittimazione del

monopolio culturale della borghesia, che gata;fitivz- i,srro aò.esto esclusivo alle capacità oltre che alle pro'prietà) e I'istituzione dell'imposta progressiva, sia sui

redditi da lavoro sia sui redditi da capitale. Il capitali'smo classico aveva totalmente ignorato questo mecca'

nismo di redistribuzione che, com'è noto, oggi viene

eroso sempre di più, provocando quella che è stata

chiamata la <<crisi fiscale dello Stato> $ames O'Con'nor), la quale a sua volta viene utilizz

^ta peî giustifi-

carclalimitazione o I'eliminazione dei diritti sociali'

Sono queste correlazioni che facevano sì che ilnuovo sistema politico (tendenzialmente creato instretto rapporto con i programmi socialdemocratici,anche qrruttdo le decisiòni erano prese da dirigenti di

,le stra) non si riducesse a un insieme quantitativo di,liritti sociali, e meno ancore- a un sistema pateîî^-listico di protezioni sociali concesse dall'alto a indi-vidui vulnerabili, visti corhe beneficiari passivi,1cll'aiuto sociale (anche se gli ideologi liberali non,i stancavano di presentarli in questo modo, per ar-,ivare alla conclusione che era necessario sorvegliare( ()stantemente gli abusi della sicurezza sociale e ge-', t irne l'attribuzione con parsimo nia) . La questione è,rabilire quel che resta oggi di questo universalismo,ncl momento in cui non solo il suo principio viene,lenunciato dai teorici del neoliberalismo, ma è mi-rrrto da due fenomeni intrecciati tra loro: 7a relativiz-trzione delle frontierc nazionali all'interno delle,ltrali il principio era tendenzialmente istituito (in al-, ulri paesi del Nord), e dunque I'accrescimento della, r)rlCorr€rìza mondiale trailavorutori, e la destabiliz-ttzione del rapporto professionale ra lavoro e indi-

' idualità (o, se si vuole, il regresso della categoriarrìtropologica dell'<<attività> come fondamento del

r iconoscimento sociale, avaîtaggio delle categorie dirìrpresa e di comunicazione, oppure di cura).

C o s tituzione nzateria Ie

Le istituzioni della cittadinanza sociale facevano,lclf insieme dei diritti sociali da questa legittimati, rrme diritti fondamentali una realtà fluttuante, piùlragile

^ncoîa di altre conquiste democratiche, in

, luanto dipendeva da un rapporto di forza storico eLirnaneva soggetto a possibilità di avanzamento o di

7o 71

Page 37: Balibar - Cittadinanza

regresso, all'interno di un orizzonte di asimmetria

stiutturale tra il potere del capitale e quello del la-

voro, alla quale nòn è mai stato dato di mettere fine'Va osservato che in nessuno degli Stati dell'Europaoccidentale governati in un momento o nell'altro da

paîtiti sociJdemocratici il sistema completo dei di-

ritti sociali è mai stato inscritto nella <<norma fonda-

mentale>> nel senso di Kelsen, ovverosia all'internodella costituzione formale che garantisce i dirittifondamentali. Questa valutazione chiaramente va

sfumata , ,..ot àu delle singole storie nazionali:\ecostituzioni francese e soprattutto italiana del do'poguerra contengono un liferimento ai diritti del

iuu"oto e alla protezione sociale, nell'ambito di una

concezione ampia del potere pubblico' Il caso in'glese è particolàre, in quanto in Inghilterra non c'è

óostituiione scritta, anche se è proprio in questo pa-

ese che si è avuta la concettualizzazione più spinta

del nuovo tipo di cittadinanza. Il caso tedesco è par'

ticolarmentè complesso e interessante: Ia polilicasociale risale a Bismarck e, al di là delle vicissitudinitragiche della Repubblica di \leimar, del nazismo e

deía spartizione àel paese durante la guerra fredda,

dividela cittadinanza sociale tra un modello di coge'

stione liberale del capitalismo e un modello di socia'

lismo autoritario.È opportuno dunque fare di nuovo appello atna

noziott. di costituzione materiale applicata alla citta'dinanza,la quale istituisce un equilibrio dei poteri

tra le classi sàciali che è indirettamente sancito dalla

legge (o più in generale dalla norma) a diversi livelli,ma rappresenta essenzialmente un rapporto contin'

sente tra diritti e movimenti sociali, essi stessi più orneno istituzionalizzati. E fuori di dubbio che esistaLrn notevole nocciolo di verità nell'idea largamentecondivisa dai marxisti secondo la quale il compro-rnesso keynesiano consisteva nello scambio tra i di-litti sociali e la rappresentàîz^ istituzionale del mo-vimento operaio nelle istanze di regolazione da unaparte, e dalT'altrala moderazione delle rivendicazionisalariali e la rinuncia della classe operaia alla prospet-tiva di rovesciamento del capitalismo (il che in uncerto senso corrispondeva all.afine del proletariato insenso soggettivo, quello che in Marx era portatorerlelf idea e del progetto rivoluzionari). Come avevavisto molto bene lo stesso Keynes, le possibilità direalizzazione di tale compromesso erano al tempostesso interne ai paesi di capitalismo avaîzato ed6teî7xe (o geopolitiche), nella misura in cui erano con-c{izionate dalla paura del comunismo nutrita dallaborghesia occidentale dopo la Rivoluzione d'ottobre.lel r9r7 e I'instaurazione del <<socialismo in un solol)aese )>.

La conseguenza di questo equilibrio storico erarrna relativa neuftalizzazione della violenza del con-llitto sociale, ricercata costantemente, ma che erasoltanto una delle facce della medaglia. Oggi vedia-no, grazie al distanziamento e alla luce dello scon-t lo che provoca il nuovo ciclo di proletaúzzazione (de-linito da Castel, Negri e altri <<precariato>>), neltluale lo squilibrio tralef.orue sociali su scala mon-..liale si combina con I'ossificazione del sistema della,:ittadinanza sociale, che le lotte non erano pura-rnente e semplicemente scomparse. Da questo

72 7t

Page 38: Balibar - Cittadinanza

punto di vista, bisogna sottolineare il carattere ete-

iogen.o del <<momento 68>>, che contiene al tempostesso una dimensione antisistemica e una trasver-salità antiautoútaúa. Le grandi lotte di classe deglianni settanta hanno segnato I'inizio della {inedell'equilibrio di cui sopra, e al tempo stesso l'avviodi una nuova rivoluzione tecnologica e di una spintaverso I'egemonia del capitalismo finanziatio, primaancoradel crollo del socialismo reale e dell'accelera'zione della globalizzazione economica. Ma è indub'bio che la violenza delle lotte ha avuto anche la

tendenza a spostarsi su altri tetreni, evitando loscontro politico diretto tra le classi: quello dellaguerra tiale nazioni, quello dei conflitti culturalipostcoloniali e quello dell'anomia sociale in senso

àurkhe i m i a no, ovv ero s ia della v iole nz a ir ruzio nale

individuale o collettiva, conrappunto dell'imposi-zione di tutto un sistema micropolitico di norme dimoralità e di nzionalità comportamentale.

Ma è a un livello ancora più generale che bisogna

inscrivere il funzionamento della cittadinanza sociale

in un ambito di spostamento dell'antagonismo, il cuioperatore (e per un certo tempo il beneficiario) è loStato nazional-sociale. Il fenomeno peculiare dell'au'tolimitazione della violenza delle lotte (nel quale si

può vedere un effetto di civiltà borghese) si spiega

ion la rclativa efÍicacia di un modello di oryanizza'zione politica nel quale si combinano I'azione parla'mentaie ed extrapadamentare. Ma a sua volta questo

modello può essere compreso soltanto nel quadro diun doppio spostamento tendenziale, determinatodalle possibilità del sistema politico'

r. Spostamento delle definizioni dei diritti fonda-nrcntali dalla sfera del lavoro propriamente detto o,rrr termini marxisti, dalla sfera della produzione verso, qLrella della riproduzione della {.orzalavoro (cioè ver-,,r forme e condizioni dell'esistenza individuale e fa-rrriliare, che oggi vanno sotto il nome di <(cuîa)>, o care,

nìentre una volta si padava di <<servizi>>). Questa se-

, onda sfeta in effetti può essere oggetto di una com-

lrrrsizione consensuale, mentre la púrna può essedo,lifficilmente, o entro un rapporto di forze sempre

1'recario. Per questo è fondamentale riflettere sul,rrodo in cui le lotte che hanno come posta in giocol't>rganizzazione del lavoro, le forme dell'autorità tay-Irrrista, la resistenza dei collettivi operai all'atomizza-r,ione capitalistica de77a f.orza lavoro si sono sviluppate

1'lima e dopo il r968. Il capitale ha definitivamenteJcstabilizzato il rapporto di forza in proprio favorel:rnciando la <<globalizzazione dal basso>>, cioè ricor-rcndo massicciamente alla forza lavoro immigrata,rrrarginale o non inquadrata nelle organizzazioni stori-,'lre della classe operaia, in un quadro di concorrenzapostcoloniale. Da questo punto di vista la stessa deco-I onizzazione antimperialista diventa funzionale.

z. Spostamento dell'antagonismo sociale al livello,.leile relazioni internazionali, tra sistemi statali. Laipaccatura del mondo in due campi nella guerra freddarrgiva in modo ambivalente: da un lato collegava lelotte per i diritti sociali al pericolo, reale o immagina-rio, di una rivoluzione di tipo sovietico in Occidente,i cui attori sarebbero stati gli operai, ma anche i con-radini, gli impiegati e gli intellettuali ideologicamenter,iuadagnati al comunismo, pericolo che spingevairap-

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Page 39: Balibar - Cittadinanza

tilw

f1i

presentanti politici del capitalismo nazionale a ricer-care un compromesso con la classe operaiaotgatizzatae, più in generale, a sviluppare un proprio modellodi progresso sociale (secondo le raccomandazioni diKeynes, di Roosevelt e di altri strateghi storici dellaborghesia); dall'altro lato, quella spaccatura permet-teva I'affermazione di una divisione ideologica all'in-terno del movimento operaio, tra comunismo e antico-munismo, che riprendeva e inglobava alfte divisioni(sindacalismo laico e cristiano, operai qualificati e nonqualificati, nativi e immigrati ecc.). Owiamente il ca-

rattere antidemocratico sempre più evidente del si-stema sovietico rcÍ.f.orzava enormemente la divisione.

Con la fine della guerra fredda e l'affermazionedella globalizzazione f.inanziaúa, ta paura socialecambia campo: non sono più i capitalisti che hanno pau-

ra della rivoluzione, ma sono gli operai che hannopaura della disoccupazione e della concorrenza degliimmigrati. In questo modo, i rapporti di forza chesottendevano dall'esterno la costituzione dello Statonazional-sociale si ffovano a essere destabrlizzati, fa-cendo apparire alf interno i limiti dell'universalismodella costituzione stessa.

Socialisno nazionale e democrazia

Questa rassegna molto schematica dei problemiche si possono ricondurrc alla categoria della cittadin^nza sociale ci fanno approdare dunque alla ten-sione tra conflitto e istituzione: in effetti è questatensione che esprime la persistenza di una dimen-

,ione politica, la continuazione con altri rnezzí dellar'ontraddizione tra insurrezione e costituzione. Per(luanto possano essere innegabili le preoccupazionisociali e morali della borghesia, è del tutto insuffi-t' iente rappresentare I'emergere della cittadinanzasociale come una concessione filantropica dello Statoborghese in nome della necessità di riparare agli ef-lctti patologici della Rivoluzione industriale e dellosfruttamento capitalistico illimitato, oppure comeuna conseguenzalogica della necessità per il capitalismo stesso di regolare il libero gioco del mercato, che

rriinacciava di distruggere l'integrità della forzala',,oro, da cui dipende la produzione di plusvalore.()uesto forse è il limite delle analisi di Robert Castel:ispirandosi sostanzialmente a una concezione socio-logica (durkheimiana) della società come un organi-srno incalzato dai processi di disgregazione e di ano-

rnia generati dal capitalismo selvaggio, Castel esalta

la reazione regolatrice della potenza pubblica e mini-nizzala dinamica del conflitto di classe, e dunque ilcontributo specifico del movimento operaio all'isti-luzione della cittadinanzasociale. E vero d'altrapafieche il marxismo ortodosso nega la possibilità stessa

di figure di equilibrio costituzionale della lotta diclasse. Ci sono per la verità eccezioni di grande va-lore a questa cecità: per esempio Nicos Poulantzas inlìrancia e Claus Offe in Germania, che tuttavia perI'appunto non sono più dei marxisti ortodossi.

Non c'è dubbio dunque che questi due fattori, in-surrezione e costituzione, abbiano agito efficace-rnente sulle trasformazioni del contenuto della citta-tlinanza nei paesi capitalistici avanzati dove aveva

.I

76

Page 40: Balibar - Cittadinanza

T

luogo la lotta di classe, ma è stato necessatio anche

un terzo elemento concoÍrente con essi per provo-

carelaloro combinazione. Oggi si può dire che que-

sto terzo elemento è stato il socialismo, nelle sue va-

rie correnti, formulazioni e organizzazioni. Il so'cialismo infatti non è soltanto una ideologia, e ancor

meno una pura dotffina teorica. E un insieme storicoistituzionale all'interno del quale, nel xIx e xx se'

colo, si manifesta un ventaglio di tendenze: sociali-

smo consen)atore o autoritario (la cui forma compiutacoinciderà con i partiti-Stato del blocco comunista),socialismo riforrnista (o socialdemocratico), sociali-smo utopistico o rnessianico (che critica i due prece-

denti e ha un fondamento oistiano o libertario).Lo Stato che ha istituito più o meno completa-

mente la cittadinanza sociale dev'essere definito sto-

ricamente come uno Stato al tempo stesso nazionale e

sociale.Intendiamo con questo che il suo programma

di riforme sociali era per definizione concepito e re-

alizzato all'interno delle frontiere nazionali, in unambito di sovranità nazionale, il che vuol dire che lo

Stato stesso non poteva esistere senza un grado suffi-ciente di autonomia e di indipendenza economica.

Ma, simmetricamente, vuol dire anche che 1o Stato-

nuiion ha potuto sormontare le proprie contrad-dizioni, interne ed esterne, soltanto a cond'izione diuniuersalizzare i diritti sociali. Ciò si è verificato inparticolaîe nei momenti di crisi acuta nei quali lapolitica in quanto ,r1. ,t2silla, come è stato quello dig,r.ttu totale del xx secolo. In Europa è fondamen'ialmente l'esperienza della guerra che ha fatto varcarc almovimento operaio la soglia decisiva nella sua

|rìppresentatività e nella sua capacità di negoziato.Iìeclamata da lungo tempo dal movimento operaio, la

l,roclamazione dei diritti sociali come diritti fonda-inentali è intervenuta soltanto all'indomani delle dueriuerre mondiali, nelle quali i lavoratori erano caduti,r milioni combattendo gli uni contro gli altri. C'è in(lrlesto una profonda ironia o astuzia della storia,in quanto I'obiettivo del socialismo europeo all'ori-riine era stato di impedire la guerra.

Sí spiega così il nesso che si stabilisce ra i due at-r r ibuti dello Stato (< nazionale >> e << sociale >) e che fa

',ì che ciascuno di essi diventi il presupposto dell'al-tro. Ma bisogna f.are at passo ulteriore. L'elemento.rocialista della politica moderna incatna una parte, e

l)cr un certo tempo, il lato insurrezionale della citta-,,linanza. Trovandosi integrato in un orizzonte di na-

zionalismo, non si confonde puramente e semplice-nrente con esso - tranne quando del1e congiunture di, risi sociale e morale acuta fanno emergere un di-,r'ofSo e una politica totalitaú.

E questa distanza, o differenza, che si mantiene,rll'interno dello Stato nazional-sociale che ha consen-

rito - per un periodo - al socialismo nato nel xrx se-

, rrlo dicontribuire alla f.ormazione di una sfera pubbliea e politica relativamente autonom^ taruto rispetto,rllo Stato e alle sue funzioni parlamentari quanto ri-,ipetto alla società civile e alle sue transazioni mer-r rrntili o contrattuali. I1 socialismo in questo senso è

I 'involucro comune a tutta una serie di conffaddizio-

rri evolutive. Non avendo mairealizzato i suoi obiettivi ultimi di superamento del capitalismo, il socialismoi' rimasto un progetto o un programma di riforme,

78 79

Page 41: Balibar - Cittadinanza

V

contestato sia dall'interno sia dall'esterno. D'altrapatte, in quanto otizzonte di attesa interiorizzatodalle masse, il socialismo ha continuato a riaccendereil conflitto all'interno dell'istituzione che afiicola ca-pitale e lavoro, proprietà privata e solidarietà , razio-nalità mercantile e statuale, e ha contribuito dunquea far sì che la sfera pubblica fosse una sfera politicain senso forte. Oskar Negt e Alexander Kluge hannodato una interpretazione radicale di questa antino-mia nel loro eccellente libro sull'esperienza politicadel movimento operaio (Sfera pubblica ed esperienza),in risposta alla teoúa habermasiana della sfera pub-blica borghese. La funzione del socialismo si è svoltatuttavia entro determinati limiti, poiché, come si èvisto, la cittadinanza sociale doveva integrarsi con lariproduzione dei rapporti capitalistici di proprietà, ele lotte politiche dovevano inscriversi nel quadro diuna relativa neutralizzazione dell'antagonismo - ilche comportava che lo Stato si dotasse di apparuti diriproduzione del consenso politico, e impedisse agliawersari di diventare nemici (salvo ricorrere alla re-pressione diretta quando I'autonomia operaia assu-meva proporzioni incontrollabili su scala dell'interasocietà). Questo vuol dire anche che la società do-veva essere riconfigurata come processo di normaliz-zazione generalizzata dei comportamenri individuali.Ma al tempo stesso il sistema tendeva a congelare irapporti di forua sociali e a bloccarli in un compro-messo destinato a risultare insostenibile tanto per idominanti quanto per i dominati.

L' antinonzia de I pro gresso

È oppottu.to ripartire da questo punto per com-prendere quello che oggi si presenta come una verae propria antinonia del progresso, di cui la storiadella cittadinanza ci propone un'illustrazione quasiperfetta. In effetti soltanto la prospettiva di un pro-sresso illimitato, ovverosia il desiderio collettivoidealizzato di arrivare effettivamente a una situa-zione di pari opportunità di tutti nella società, hapotuto mantenere la pressione che tendeva a eîo-.lere i privilegi e a tenere in scacco le forme di do-rninio più radicate, ampliando gli spazi di libertàper le masse. Per converso, i limiti del progressosono inscritti nella costituzione materiale, nella,1uale si combinano il nazionale e il sociale, la ripro-tluzione delle capacità di accumulazione del capita-le e la generalizzazione dei diritti sociali, I'etica.1e11'azione collettiva e il conformismo maggiori-tario. Nel quadro dello Stato nazional-sociale leconquiste democratiche sono state reali, e hannocostituito altrettanti momenti progressivi della co-struzione dello Stato stesso (alle volte in formetluasi insurrezionali, si pensi al Fronte popolare delr936 in Francia). Ma quelle conquiste sono stateregolarmente seguite da una úaÍÍ.ermazione deiIimiti strutturali dello Stato nazional-sociale, concontroriforme striscianti o repressioni decisamen-te violente.

È fondamentale, per la nosra analisi della crisiodierna della nozione stessa di cittadinanza sociale e

delle forme assunte dallo smantellamento program-

8o 8r

Page 42: Balibar - Cittadinanza

matico dello Stato sociale, definire a cosa è dovutaquesta crisi, che colpisce sia la sicurezza del lavoro

sia la copert ura sanitaúauniversale, la democtattzza-zione dàil'accesso alf istruzione superiore, la libe-razione domestica e professionale delle donne e lo

stesso principio rrppi.s"ntativo. E soprattutto il ri-sultato di un attacio sferrato dall'esterno dalcapita'lismo, facendo leva sui bisogni di un'economia sem-

pr. più transnazionale, in cui la logica finanziariahaÎa meglio sulla logica industriale? Oppure è il pro-

dotto delle contraddizioni interne della cittadin nza

sociale e del fatto che questa ha raggiunto i proprilimiti storici? In questa seconda ipotesi, la prospettiva

di un progresso óontinuo sulla srada dei diritti fon-

damentali, in particolare per quanto riguatdal'atti'colazione tra llautonomia dell'individuo e la solida'

rietà, verrebbe a scontrarsi non soltanto con gli inte-

ressi dei gruppi sociali dominanti e del sisterna disfruttamento che intende contrastare, ma anche con

i propri limiti immanenti.- Si può sostenere che il socialismo del xIX e xx se'

colo è prigioniero di una fusione tîà progressisnzo,e

statalisrno-. Esso cade nell'aporia della democtaziaconflittuale, sulla quale ritorneremo: indissociabiledalla permanenza dèl conflitto, ma anche dall'istitu-zionalizzazione delle sue forze, delle sue organizza-

zioni edei suoi discorsi in quanto componenti di una

sfera pubblica che viene identificata con la comunità

naziojnale. Il risultato è del tutto paradossale rispetto

^llatopogrztfia marxiana dellapolitica, ma anche tale

da úbàharc le sue crit iche lib erali : la p oliticiz z azio ne

delle questioni sociali, denunciata come un degrado

4

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,1cll'autonomia della politica da neorepubblicani an-, he ostili al capitaliimo come Arendt, non aboli-rce rilz nffona il dualismo tra politica e poliziatlìancière). Con la conseguenza, in particolare, cheI'e stensione dei campi di invenzione e di intervento,lc11a politica non avviene tanto sul versante del la-vuro, al quale rimangono simbolicamente legati i di-ritti, quanto sul versante della riproduzione: fami-rqlia, cultura, servizi pubblici. E su quest'ultimolriano che avverrà l'offensiva del neoliberalismo,,lopo avere spezzato la resistenza openia nei luoghi,ìi produzione con una combinazione di nuove tecno-l, r gie, di rior ganizzazione individualistica del sistema,lclle professioni e di circolazione della manodoperair r [ravetso le frontiere.

Chiaramente, questa ipotesi che cerca di essere pirì

'lialettica non abolisce in nessun modo la considera-zione degli antagonismi sociali, ma ci allontana dallariìppresentazione di una cospirazione di capitalistirrralevoli (o, variante molto popolare in tutta unat,rrrte dell'Europa latina, del modello anglosassone,lel capitalismo d'impresa). Si tîatta anche di un'ipo-r,.rsi più politica, nel senso che propone degli schemi,li intelligibilità nei quali intervengono non soltanto,lr:lle strutture ma anche delle azioni collettive: le, hssi popolari del Nord che hanno beneficiato di im-l,ortanti conquiste sociali (in quanto classi salariate)r' oggi si ritrovano viavia private della sicurezza e di1,,,ssibilità di miglioramento, non figurano in questoripo di processo storico semplicemente come vittime.lrsse sono state e sono ancora, in una certa misuta,,ìegli attori, la cui capacità di influire sulla propria

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Page 43: Balibar - Cittadinanza

storia dipende da condizioni interne ed esterne mu-

tevoli, e in particolarc dal modo in cui rappresentano

a se stesse il sistema nel quale agiscono, e dagli stru-menti collettivi che forniscono loro nella pratica ilpotere di agire. L'ipotesi dunque ci sembra quella

iorrett* vedremo immediatamente come ci permet-

te di individuare alcuni aspetti di quello che oggi

viene chiamato neoliberalismo. In questa analisi cibaseremo sull'interpretazione che ne ha proposto\X/endy Brown nel saggio Neolibetalism and the End

of Denouacy,Ia ctsi influenza è fortemente riscon-

tiabile nel dibattito in corso all'interno della ten-

denza critica della teoria politica' Ma, dopo questa

prima serie di inchieste genealog-iche, è necessatio

Îur. t.rttu pausa per esaminare e illustrare due que-

stioni di port^tagenerale: quella del rapporto tra cit-tadinania ed esclusione e quella della democtaziaconflittuale, già ripetutamente evocata.

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5.

Cittadinanza ed esclusione

Se è vero che la tensione intrinseca alle categoriedi democrazia e di cittadinanz^

^tttaveîs^ tuttala

storia dell'istituzione politica, ne consegue che unatale configutazione fa emergere costantemente larluestione delle esclusioni dalla cittadinanza (come siò visto a proposito degli schiavi, delle donne, deglioperai salariati, dei soggetti coloniali). Contempora-neamente, però, il riscontro di questa tensione nonbasta per sviluppare un'analisi generale del pro-blema. In effetti non rivela compiutamente se coni-sponde a una sommatoria arbitraria di casi storiciindipendenti gli uni dagli altú, eterogenei, o al con-trario a un fenomeno unico, che si ripresenta e sisposta da una struttura sociale a un'altra. Sta di fattocomunque che nei dibattiti contemporanei sulla poli-tica dell'era postnazionale e postliberale, per ragioniche bisogna tentare di capire, la categoúa deli'esclu-sione sociale ha teso a soppiantare quella della disu-t1uaglianza e a essere generalizzata, contribuendo altcmpo stesso a oscurare le questioni della cittadi-ÌaÍrza e a concîetizzatle.

Vogliamo concentrare la nostra attenzione in par-ticolare sul rapporto paradossale che si instaura in

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84 85

Page 44: Balibar - Cittadinanza

epoca mode rna tÍauri concetto di cittadina",* t^i Iversalizzato - al tempo stesso nel senso che si fonda Isu principi universaÎi e nel senso che attraversa le Idifierenze di regimi politici e di tradizioni cultura- |li - e determinate forme di esclusione interna. Qu.- tste ultime appaiono al tempo stesso costitutive e 9ol- i,

traddittorie àal punto di vlsta della definizione della jcittadinanzu. Là loto abolizione richiede dunque iqualcosa di più della semplice scomparsa di una re- [sirizione nell'applicazione di un diritto: richiede una $

mutazione nell'interpretazione dei principi stessi. I

,lico del termine. Castel preferisce la categoria di,, d i s crimina zione ne gativ a >> . D a parte sua Loic \X/ac-tgant (Parias urbains) sostiene che le banlieues non.ono dei ghetti nel senso americano, nella misura inr'ui le comunità di origine sffaniera non occupanorrno spazio storicamente separato dalla città. Castel(l,a Discrinination négatiue) scrive: <<Così come lal,anlieue non è un ghetto, il giovane immigrato dil,anlieue non è un "escluso", se si vuole dare al con-r'ctto il suo vero significato: I'esclusione in senso.;rretto implica una divisione della popolazione intlLre categorie che non comunicano, il che fa sì che gli"esclusi" siano fuori dalla dinamica sociale, non ab-lriano né i diritti, né le capacità, né le risorse neces-sari per svolgere un ruolo nella collettività ... I gio-,'ani della banlieue beneficiano invece di diverse

1 rrerogative attinenti all'apparten enza alla nazione

I rancese: la cittadinanza politica e la cittadinanza so-, iale. Indipendentemente dalle loro origini etniche,lir maggioranza dei giovani delle cités di periferiasono cittadini {rancesi, e dunque in teoria godono,lei diritti politici e dell'uguaglianza davanti allalcgge. Tocqueville ripeteva che i diritti civici rappre-sentano una forma di nobiltà conferita al popolo inrluanto tale. Sappiamo che ci sono voluti secoli dilotte per ottenerli, e non subito e non per tutti. Letlonne in Francia hanno avuto il diritto di voto solonel 1945, molto dopo che nella maggioranza degli,r1tri paesi industriali>. Dunque i giovani francesi dirrrigine straniera, anche se sono vittime di discrimi-rrazioni di classe, di età e di razza, non sarebbero,legli esclusi nel senso proprio del termine, in quanto

Esc lusione, disuguaglianze, disuirninazioni

I dibattiti sull'esclusione dalla cittadrnanza non

sono recenti. Jacques Rancière (ll disaccordo) cita una

frase di LouiJ de Bonald in cui si affetma che <<alcune

persone sono nella società senza essere della socíetà>>'

i\on si potrebbe esprimere meglio il concetto. In Oc-

cidentà questi dibattiti sono ripresi con maggiore

intensità a seguito delle rivolte provocate o favoritenegli ultimi anni dalla segregazione etnica-nelle ban'

lieles o nei ghetti urbani in grandi città del Nord odel Sud (in particolare Parigi e Londra; cfr. Etienne

Balibar, LaProposition d'e l'égaliberté) . Natualmentebisogna guardarsi dalla generalizzazione sociologica'

Ne[à sui analisi delle rivolte del zoo5, Robert Castel

esprime I'opinione che il termine <<esclusione)> non

sia pertinente, in quanto i giovani disoccupati di originà africana o maghrebina che si scontravano con la'poliziaerano di cittadinanzafrancese nel senso giuri'

86 87

Page 45: Balibar - Cittadinanza

rimangono beneficiari dei diritti fondamentali il cuiinsieme costituisce la cittadinanza sociale.

Castel ttttaviaha dovuto riconoscere che esistevaun rischio di equivoco. Indubbiamente, in confrontoa popolazioni che, in alri luoghi del pianeta, sono

esposte alla carcstia o alla deportazione, i giovani im-migrati sono pur sempre relativamente protetti dalrisihio sociale. Anche dal punto di vista culturale,non si collocano, propriamente parlando, all'esternodella società: al contrario, contribuiscono a crearviun ibridismo culturale. Ma se una simile argomenta-zione serve a metterci in guardia contro gli usi ap-

prossimativi ed enfatici della categoria di esclusione,è in particolare contro quelli che suggeriscono che le

contiaddizioni della cittadinanza attuale non fannoche riprodurre le vecchie opposizioni ra cittadini e

soggeiti negli imperi coloniali, essa non può cancel'

lare il carattere strutturale di tali contraddizioni. Aquesto proposito ci si può riferire alla definizionefornita da Geneviève Fraisse, dieci anni púma, a

proposito della condizione delle donne nello spazioi.pubbli.utto, peraltro ripresa dallo stesso Castel:quella di <<democrazia esclusiva>> (A[use de Ia raison).

Fraisse ne tracciava la genealogia risalendo ai con-flitti della Rivoluzione francese a proposito dell'asse-gnazione delle donne alla cittadinanza passiva, inóontrapposizione alla cittadinanza attiva degli uo'mini (che coincideva con I'istituzione della rappre'sefitanz^del popolo come fondamento dello Stato), icui effetti continuano a farsi sentire malgrado I'ac-cesso delle donne alla cittadiÍLaîz^ formalmenteuguale. Il fatto che durante un lunghissimo periodo

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l,r discriminazione sia stata inscritta in seno alle isti-tLrzioni politiche ha lasciato una tîaccia profonda inprarticolare nella forma di una separazione igida ftal:r sfera pubblica e la sfera domestica, assegnando airlue sessi un ruolo sociale differente e negando dilatto al sesso {emminile la capacità di governo (e o{-lrendogli come compensazione il comando dellacasa). Non siftattadunque di esclusione esterna, marli esclusione interna, là dove questo concetto non siliferisce soltanto a uno status giuridico, ma alla sua

t'ombinazione con delle rappresentazioni e delle pra-riche. L'impoîtanza dei diritti formali è innegabile,rna il loro rapporto con I'uso e la disponibilità delpotere, con il <<potere di agire>> (enzpouerment), nonlo è di meno.

La questione del < diritto ai diritti >

In base a quanto detto, possiamo proporre dicstendere la nozione arendtiana di <diritto ai di-ritti>>, superando i limiti che Hannah Arendt le avevarrrbitrariamente imposto. In effetti, ormai da tempol'uso politico di questa formula ha superato la defini-zione strettamente normativa, passando da un'ideadi potere costituito (il diritto ai diritti deriva dall'ap-paîtenenze- a una comunità politica esistente, in par-ticolare a uno Stato-nazione) a un'idea di potere co-stituente: si tratta della capacità attiva di rivendicaredei diritti in uno spazio pubblico, o meglio anco-ra, dialetticamente, della possibilità di non essere

cscluso(a) dal diritto di baaersi per i propri diritti. Ed è

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Page 46: Balibar - Cittadinanza

proprio con questo ostacolo che si scontrano molti lgruppi sociali nelle nostre democrazie, anche liberali, ì,

sperimentando il limite fluttuante ra la resistenza'1(che si può definire come un diritto minimo) e I'esclu- l

sione (che è il non-diritto). Se non ci fosse la resi-stenza, nelle sue diverse forme (non necessariamenteviolente), gli individui in questione potrebbero tro-varsi completamente esclusi, <<deportati>> al di fuoridei territori dove hanno acquisito dei diritti formalie delle protezioni giuridiche, insediati in territoridove non c'è cittadinanza attiva, oppure ricondottiin situazioni in cui la libertà e la sopravvivenza sonoin gioco. E in effetti, anche nelle democrazie questi

,

individui si incontrano spesso in campi di rifugiati o ;

in stutture per migranti clandestini. Ma più general- :

mente li si trova sul limite, dove ciò che è in gioco è

per I'appunto la possibilità di esprimersi e di rivendicare, cioè di esistere politicarnenle. E questo l'oriz-zonte della riflessione di Arendt sulla condizionedegli individui e delle collettività senza Stato, sullaquale si è fondata la sua elaboruzione dell'idea di<diritto ai diritti>.

L'esistenza come resistenza non sempre è possi-bile, o piuttosto non sempre è possibile senza doverricorrere a una violenz^ aîtistituzionale, che punta a

Íorzarc I'ingresso in uno spazio di cittadinanza e diriconoscimento sociale. La violenza protestatafiapuò d'altronde rivelarsi del tutto controproducente,dati certi rapporti di fsrua e per gli effetti che puòavere sul senso di appartenenza degli esclusi stessi.Nel caso delle rivolte urbane, i cui protagonisti sonosoprattutto i giovani, le discriminazioni di classe e di

rtzza si cumulano: la prima assume la forma di quella, lre viene definita ironicamente <<disoccupazione

1,r'eferenziale>, della scelta alienante tra disoccupa-zione e precarietà che ricostituisce il proletariato in';enso tradizionale; la seconda assume la forma di uno,'chema genealogico in virtù del quale i discendenti dir,tranieri continuano a essere considerati stranieri (o

inimigrati), in flagrante contraddizione con la legge,cpubblicana.E a tutto ciò vengono ad aggiungersi,rli effetti di un immaginario collettivo che fa del gio-r',rne immigrato un potenziale nemico interno, cherrrinaccia la comunità nella sua sicutezza così comerrella sua identità culturale e religiosa (anche se que-rta identità religiosa è ufficialmente la laicità). L'ef-It'tto combinato delle esclusioni interne di classe e

,li razza illustra dunque perfettamente quello chet,astel ha definito l'<individualismo negativo> risultan-re dallo smantellamento dello Stato nazional-sociale,la parte delle politiche neoliberali: una situazione in, tri si esige dagli individui che si comportino come,,imprenditori> della propria vita, alla ricerca dellarrrassima ef{icienza, privandoli al tempo stesso delleL ondizioni sociali che permetterebbero loro di svi-lrrppare la propria autonomia. A ciò si deve aggiun-sere il fatto che, se esistono forme di indiaidualitàttt:gatiua, esistono anche chiaramente forme di cornu-nità negatiua che si manifestano quando, in un circolor rrimetico, la rivolta contro la violenza dell'esclusione;ìssume a sua volta caratteristiche violente che neneutralizzano I'e{ficacia o che il sistema dominantepLrò facilmente manipolare e sfruttare per giustifi-rare la propria politica di ordine pubblico. LaFmn-

9o 91

Page 47: Balibar - Cittadinanza

cia (e in generale I'Europa) postcoloniale fornisceun'illustrazione quotidiana di tutto ciò: vi si riro-vano al tempo stesso, ffasformati più o meno com-pletamente in differenze di classe, i prolungamentidelle discriminazioni secolari esercitate contro il sog-

getto del dominio coloniale e le nuove varietà di cit-tadinanza pas siva che derivano dall' indebolimentodei movimenti sociali e dalla loro incapacità di tra'sformare la società. La categoria dell'esclusione è

dunque irrimediabilmente complessa, eterogenea'ma rappresenta anche un luogo privilegiato di sovra'determinazione per le contraddizioni attuali dellacittadinanza.

Politica e tertitorialità: le frontiere

A questo punto è necessaria una digressione teori-ca che permetta al tempo stesso diaÍf.erarcla dimen'sione filosofica dell'idea di esclusione interna e diinscriverla in una teleologia della cittadinanza comeforma del politico. Ciò che ricerchiamo infatti è

un'ipotesi di lavoro che ci consenta di capire quelloche giustifica (e in quali termini) l'estensione dellacategoúa di esclusione fino a farle abbracciare tutti ifenomeni di negazione della cittadinanza che vannodalla discrintinazione all' e lininazione.

Può essere utile iniziare esplicitando la metaforaterritoriale soggiacente a questo ordine di questioni.Come hanno sottolineato in particolare, con orienta-menti molto diversi, Gilles Deleuze e Félix Guattari(Mille piani) da una parte e Carlo Galli (Spazi politici)

,lall'altra, qualsiasi pîatica politica è tenitoria lizzata.lissa identifica o classifica degli individui o delle po-polazioni sulla base della loro capacità di occuparerrno spazio o di esservi ammessi. D'altra parte, però,l'incorporazione in un territorio ha come condizionetluasi trascendentale una situazione di riconoscinzentoleciproco degli individui o dei gruppi, o nel sensoclell'apparteîeîza a una stessa comunità, o nel sen-so della partecipazione a un <<commetcio>>, owerosia,r delle comunicazioni e a degli scambi, sia pure, allimite, nel senso dello scontro all'interno di unostesso conflitto o di una stessa lotta. In virtù di que-sta doppia determinazione di territorio e di ricono-scimento, l'esclusione in quanto fenomeno politicogenerale ha una rlatute- prossima a quella della fron-tiera, che isola e protegge le comunità, ma che renderrnche possibili le comunicazioni e cristallizza i con-llitti. E come la frontiera, l'esclusione costituisce pereccellenza, nella sfera del politico, un fenomeno a

.{oppia f.accia, storico e simbolico. Ma contiene an-che, sotto questo aspetto, un elemento anfibologico,nel senso che le due facce si sovrappongono costan-Lemente I'una all'altra. Fenomeni empirici, storici, diterritorializzazione e deterritor ializzazione (come glispostamenti di popolazioni, le migra zioni, la fortificazione delle frontiere, le barriere alle comunica-zioni) si trasformano in determinazioni dell'univer-sale, cioè in regimi di diritto e di accesso al diritto.I)istinzioni che appartengono alla sf.era simbolica,come le differenze antropologiche di sesso, di età edi cultura, il cui insieme car^tterizza l'umanità comespecie, si rasformano in strumenti materiali (più o

92 93

Page 48: Balibar - Cittadinanza

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meno costringenti) per assegnare gli individui e i $gruppi a determinati territori e regolare la loro circo-

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lazione. Approdiamo così al Î.atto epistemologico ifondamentale che alcune categorie spazialt come ilt.rriiorio, la residenza, la propii.tà deì suolo,

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che, simmetricamente, il viaggio, il nomadismo e lasedentarietà, sono al tempo stesso determinazionicostitutive della cittadinanza. Il fatto che esse circo-lino in modo imprevedibile tra I'empirico e il tra- ',

scendentale, lo storico e il simbolico, deve dunque 'iessere incorporato nella nostra definizione delf isti- ituzione politica. ;

Si tratta di considera zioni astratte, ma il cui signi ificato risalta immediatamente quando si vogliono fstudiare dei fenomeni di esclusione interna: nella sua $

definizione più generale, quest'ultima significa che iíuna frontiera esterna si tràva a essere raddoppiata ''!

da una frontiera interna, o che una condizione di ,;

straniero si trova proiettata all'interno di uno spazio ,

politico o di un territorio nazionale, in modo tale da ..r.u.. un'alterità inassimilabile (come nel caso deglischiavi o degli immigrati), oppure al contrario che ',

una categoria antropologica si vede assegnato un sup'plemento di internità e di appartenenza, in modoiale da escludere lo straniero (come nel caso delledonne presentate come portatrici dell'identítà nazio'nale, della sua riproduzione, della sua purezza ecc').

In entrambi i casi, per dirla con Foucault, degli spazi

altri, o eterotopie, vengono a disturbare I'omogeneità :

dello spazio comunitario, o al contratio aruÍforzatlo,in modo da contrassegnare la posizione specifica oc'cupata dall'altro u.onto, e da premunirsene simbolica'

urcnte e istituzionalmente. Il che nella pratica può.rvvenire soltanto con I'intervento di regole di inclu-sione e di esclusione. E al livello di queste regole (inprrte implicite, in parte dichiarate) che bisogna porsilc questioni sempre difficili della continuità e deller,'ariazioni tra le varie {igure dello straniero, del pa-ria, del mostro, del sottouomo, del nemico intetno,,le 11'esiliato. . .

A partire da questo ordine di questioni possiamorornare in modo critico sulle nozioni di appartenenza,' di essere in comune, che sono, fin dalle loro formu-lrrzioni antiche, presupposte dall'idea di cittadi-1)Ltrrza, ma si trasformano costantemente. Sembra, rvvio che I'esclusione politica (o I'esclusione politiciz-ota) è l'altra faccia della costituzione di una con2u-

ttità inclusiua. Ma la diversità degli esempi da consi-,lerare è variegata in modo inquietante: non tuttiirrfatti assumono visibilmente la forma di una separa-zione operat a da una {rontiera. Per esempio, quando, i si trova esclusi dal <<commercio>> stesso, o dalla co-rrrunicazione, dalla raduzione, dalla mobilità - f.at-ttrri che nel mondo contemporaneo carattetizzato.ialf intensificazione dei flussi di informazione, di,'ircolazione dei beni e delle persone, appaiono altret-r.rnto discriminatori dell'impossibilità di accedere arrn territorio o di esserne espulsi. Tutti questi elemen-ti non rinviano tanto al fenomeno statico dell'esi-lenza delle comunità politiche e della loro relazione.,Lorica con teritori determinati, quanto a un feno-rrreno di secondo grado, più dinamico, che è la rela-,rione ra le comunità, lo scambio reciproco di beni,,li segni e di individui e la pir) o meno grande libertà

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Page 49: Balibar - Cittadinanza

che questo scambio conferisce agli individui rispettoale àppartenenze comunitarie, tra i poli estremi ditn'aderenza immutabile e di un'ad.esione volontaría'Il che testimonia, spesso peraltro in una dimensionedi alienazione e di violenza, del fatto che I'esistenzadelle comunità politiche non implica soltanto una

relazione con se stesse, cioè un principio di appar'tenenza o un diritto di partecipazione alla vita col-

lettiva, ma anche un riconoscimento esterno dell'al-tro e da parte dell'altro, con o seîza una reciprocitàperfetta.

Questa considerazione è chiaramente fondamen-tale per comprendere in che senso gli Stati-nazionemoderni hanno dovuto, per affermare il loro carat'tere di comunità politiche sovrane, non soltanto in-trattenere gli uni con gli altri rapporti commercialie fondare un diritto internazionale che regolassele alternanze tra pace e guerra, ma (come si vede inparticolare nell'elaborazione proposta da Kant) co'itruire su questa doppia base ún cosmopolitismo ditipo nuovo, dotato di una funzione metagiuridica. Iluiittudino del mondo> (1Y/eltbùrger) che costituisce ilcontrappunto concreto (in quanto commerciante, in'tellettuàle della <Repubblica delle Lettere>>, o anche

esiliato o rifugiato politico-religioso) della costitu'zione giuridica degli Stati-nazione (quello che CarlSchmitt chiamava lo lus publicum Europaeum, chehacome condizione di esistenza il dominio europeo e la

spartizione coloniale del mondo), non è il membroimmaginario di una ciuitas o di una pólis senza

esterno, i cui limiti coinciderebbero con quellidell'universo, ma al contrario vî essere di relazione,

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, lrc circola (o meno) tra i teritori e gli Stati. E dun-tlile SU questa base che bisogna interrogarsi su cosa

1'rrò risultare contraddittoriamente - quali nuove1',rssibilità di riconoscimento, quali nuove violenzerìterne ed esterne - dalle trasformazioni contempo-rrrnee del commercio o del diritto internazionale, nelrrromento in cui la circolazione delle persone, la di-,pcrsione delle comunità culturali, I'inversione deillrrssi di popolazione rispetto a quelli coloniali diven-r:uro fenomeni di massa.

Regole di inclusione, regole di esclusione

Se è vero dunque che nel rapporto con il territo-r io, in quanto lo spazio politico più astratto che co-,r ituisce l'orizzonte della cittadinanza, esiste sempre,rrra reciprocità problematica fta appaîteneîza e,()mmercio, essere in comune ed essere in relazione,,i devono pensare I'inclusione e I'esclusione come glirndizi di una instabilità sostanziale della comunità,lci cittadini, che richiede incessantemente nuove ga-rrrnZie che la mettono a loro volta in pericolo, in,

f uanto le condizioni di possibilità sono sempre infi-

,ìitamente vicine alle condizioni di impossibilità. Piùlrrecisamente, si possono formulare tre tesi riguardo,r ll'inclusione e all'esclusione in generale.

Tesi t. Non esiste una procedura istituzionale di, sclusione senz^ un^ regola, che sia una regola di di-ritto o un dispositivo pratico, sociologico. Ma la re-lola di esclusione dev'essere I'inverso di una regola o,li un sistema normativo di inclusione. Dal che di-

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Page 50: Balibar - Cittadinanza

""t-.1 di inclusion. . di esclusione per evitare dli'

pensare che la violenza, onnipresente in questa s-feta,'

si collochi soltanto sul versante dell'esclusione' L'in' "clusione può essere altrettanto aiolenta, nella forml'.

à.ttu.o"u.rsione o dell'assimilazione fotzata (e co{

munque obbligatoria, se si vuole evitare la morte so'

;trl.ii ,o*írtt, ,oí intro* non è scomp",,o ton il,declino del potere politico delle Chiese di <cosringere'l

ul'udariott. per la salvez za>>, teoîizzato da-sant'Ago"''

rti". , p"ttire da una {rase del Vangelo: ha solo as'

,nnto iot.. più secolari o più quotirliane' L'antropQi

logia culturale ci ha insegnato a individuare questoî

scende la potata strategica delle nozioni di appa,t

flenza. di putt..ipazlone: quello che i polichiamano a volte, con il loro caratteristico cinis

ammissione al <club> della cittadinanza' E impor' 1

tante tenere a mente questa correlazione di regole (ai

'qrande, ma non la sopprime mai del tutto. Chiara-rrrcnte è fondamentale analizzare e valutare le forme,le lla violenza in questione, più o meno simmetriche.L possibile che le condizioni che definiscono l'appar-t(nenza identifichino di per sé la non-appaîtenenz^trome nello scenario ideale del rapporto tra <<loro> e

noi>>). Si porebbe immaginare una situazione in cui

'rcsli Stati moderni la nazionalità funzionasse in que-,to modo semplice, che istituisce I'equivalenza tî^,ittadinanza e nazionalità, che in precedenza abbia-,'ro definito <<fondatrice>. Ma nella realtà le cose sono,,rolto pir) complicate, perché nella cittadinanza at-riva ci sono livelli di ogni tipo (anche nei casi in cui,ron esistono ufficialmente cittadinanze diminuite e, iLtadinanze di serie B come nei regimi di apartheid

coloniali in generale), e soprattutto esiste uîazonàlrigia nella quale si trovano individui che non sonoLrtl completamente inclusi né completamente esclusit( ()sì come ci sono stranieri non espellibili da un dator('rritorio, e tuttavia non regolarizzablli, per esempiolì('r ragioni di legami familiari). Il che significa che le,,'uole di inclusione non sono puîamente e semplice-rrt'nte I'inverso delle regole di esclusione. E che im-t,r'ovvisamente il rapporto costitutivo tra comunità, ,l esclusione può cominciare a funzionare in sensor)lrerso: invece di corrispondere a una definizione1'rcesistente della comunità, che porta semplice-lncnte a discriminare i cittadini e i non-cittadini, la,, rrltà si presenta come un conflitto non risolto, in, ()rtinua evoluzione, che si sviluppa essenzialmente,lictro le quinte della cittadinarnza (o su una scena di-t lsa da quella della politica), e che ha come contenuto

elemento di violenza, coscientemente oÎgannzato Q,'

meno, che si ritrova in ogni processo di colonizzar

zione (interna o esterna), ma anche di acculturazioné

. drrnqu. di educazione, in quanto assimilazione dqg[ indìvidui a,ana cultura socialmente dominante o

comune.In realtà, occorre tenere conto di una duplice vio'

Ienza intinseca alla correlazione tra inclusioni ed

.rll"tio"i. E dunque bisogna porre il problema dl

una civiizzazione àela civiltà stessa, cioè di una ci'

viltà che affronti moralmente e politicamente il pro'

prio disagio (Freud), il proprio-elemento di violenza o

ài butbuii.. Da questo puÀto di vista si porebbe dirc

;h; i" cittadínaizaè una regolazione politica di talc

violenza, che le concede uno spazio piri o meno

98 99

Page 51: Balibar - Cittadinanza

ry'l

le violenze discriminatorie, le disuguaglnnze di statu$

e di diritti, la cui materia antropologica è sessuale , îaz' ';

ziale, rcltgiosa, culturale' Attràverso questo conflitto, t

la comunftà istituzionale si abbina a una <<comunitai

immaginata> (Benedict Anderson), così come la fron'tiera e.-sterna si abbina a una frontiera interna (Fichte,

Discorsi. alla nazione tedcsca), ma al tempo stesso si tra'sforma politicamente, nel senso o di una restrizione o

di un ampliamento.Tesi z. Da quanto sopra deriva una conseguenzn

che non ha nulla di speculativo' ma che si riscontr8quotidianamente nellr esp erienza politica : esclusionÉ

e inclusione non descrivóno tanto regole o situazionlfisse, quanto risultati di conflitti attraverso i qualiiì

in quaLhe modo, la cittadinanza úflette le propric:

conàizioni di possibilità. Se qualcuno è escluso dalltcittadinanzain modo radicale, in particolare in forzl:di quelle che abbiamo chiamato <<esclusioni internerilqo.ìto non significa semplicemente che viene messo

flori dalla coÀunità, .o.. tto sraniero può vedenlnegare un visto o una nattJt^lízzazione (cosa chel'

coÀe sappiamo, si applica sempre in modo differen{

ziale). Vúol dire piutìosto che è escluso d'all'inclu',sione, e cioè da uno status, e più significativamentoda un potere o da una capacità' La formula arendtianl

del <diritto ai diritti> Éuna riflessione non sulf isti'tuzione della cittadi Ítanza ma stil'accesso alla cittadhnanz , o meglio aîcota salla cittadinanzt cotze 4c'

cesso ecome insieme di procedure di accesso (Herman

Van Gunsteren, A Theory of Citizenship).È dunqo. chiaro che la cittadinanza va intesl

come unità di contrari in senso dialettico. Quello cho

Arendt ha sviluppato soprattutto, ^

c trsa delle circo-'tt"anze (e delle analogie arrischiate che tentava di sta-lrilire tra diversi tipi di dominio e di eliminazioner tratteristici della modernità), è il lato negativo: illrrtto che gli individui senza Stato sono privati con lalorza deldiritto fondamentale (o della <<personalità>>)

,'lre è la prerogativa di tutti gli altri. Ma c'è anche unlrrto positivo o piuttosto affermativo: quello che noirrrdividuiamo quando definiamo la cittadinanza at-tiva come una forma di partecipazione che si manife-,ta già nella rivendicazione di accesso (o di apparte-ienza). La cittadinanza che non si fonda dunque su

,rn diritto esistente, ma 1o costituisce o ne impone ilriconoscimento. Per simmetria con la formula prece-,lcnte, potremmo dire che si ha in questo caso una,'sclusione dall'esclusione, o úîa inclusione che im-1,lica una negazione della negazione.

Tesi j. A sua volta, però, I'individuazione di unarclazione dinamica tra inclusione ed esclusione, alre mpo stesso conflittuale e riflessiva, ci porta a consi-,lcrare I'aspetto più concretamente politico di questo,lilemma: quello che implica l'entratain scena dei sog-

letti e delle relazioni tra i soggetti. Le variazioni,lclf inclusione e dell'esclusione non sono processi im-t,ersonali: sono il risultato di rapporti diforza ffa isti-trrzioni e

^pp^î^ti da una parte e soggetti individuali

, ' collettivi dalf'altra. La questione che questi rappofti,li forza sollevano non è mai soltanto: chi è escluso da, lrc (da quale apparteneîza, da quali diritti), ma sem-

1'r'e anche: chi esclude (da cosa, da dove)?Naturalmente in questo ambito le esperienze della

,('gregazione razziale e del sessismo assumono un'im-

roo IOI

Page 52: Balibar - Cittadinanza

I

poîtaîz^ p^r^digm tica. Se la comunità politica,Îunziona.ò-. ,ttt <.club>> nel quale si può essere am' I

À.rrl "

àa quale ci ti;;; t.a." tiri"r"te I'accesso, ci ì

si deve domàndare come i <<membri di diritto> siano

stati cooptati, come abbiano stabilito le regole di am'

missione e come si traduca la loro pafiecipazione at-

tiva nella preservazione di quelle regole. In altre pa'

role, si deve fare la storia politica della comunità deicittadini dal punto di vista dei suoi momenti di aper'

tura e di chiusura. Le implicazioni pratiche sono evi'denti: non c'è esclusione delle donne dalla cittadi'nanz^completa (che implica l'esercizio delle funzionipolitiche è professionali), o da certi diritti civili,senzalacostituzione di una cittadinanzache ha fun'Izionato (e continua afiinzionarc) come un oclubo di'maschi, di cui degli individui (maschi e non) si impe+

"

gnano quotidianamente a far rispettare le regole, col' i

locando I'uguale libertà dentro una frontiera interna {

presentata come naturale, tradizionale o socialmentofnecessaria. La stessa considerazione si applica , /nuta',:;

tis mutandi.s, ai fenomeni di discriminazione ruzzíalc

e culturale che creano una barriera (alle volte simbo'lica, alle volte materiale) che impedisce a determinatiesseri umani l'accesso alla cittadin^nz^, o al pienogodimento dei diritti, fenomeni che riguardano l'isti'iuzione politica in tutti i paesi del mondo, compîese

le nazioni democratiche liberali.Tutto ciò vuol dire che è Ia conunità stessa chc

esclude, non soltanto nella forma di regole e proce'

dure burocratiche, ma anche nella forma di un con'senso dei suoi membri, più o meno politicamentemotivato. In termini chiari, si deve dire che sono S€tnî'

l,ra dei cittadini che, sapendosi o immaginandosi tali,,'scludono dalk cittadinanza e in questo modo produ-r ono dei non-cittadini, in modo da poter rappresen-rlrre a se stessi la propria cittadinanza come un'ap-l)xrtenenza comune. A questa constatazione radicale,,'lre implica che la cittadinanza in quanto esclusione,1all'esclusione sia sempre il risultato di una lotta, bi-,,ogna però apportare due precisazioni, se non due,rrtenuazioni. In primo luogo, il grado di partecipa-zione dei cittadini di una comunità all'esclusione deirron-cittadini non è mai uniforme: manifesta dei gradi. arche delle eccezioni, delle proteste o delle trasgres-,ioni al consenso. In secondo luogo, lapartecipazione,lcgli uni all'esclusione degli altri è raramente diretta,rrra piuttosto essenzialmente indiretta, delegata in,lrralche modo alle istituzioni della cittadinanza chelirppresentano i cittadini o derivano dawaloro auto-ri'zzazione - il che vuol dire anche che la gestione,lclle esclusioni costituisce una clausola implicita di, luesta rappresentanza o delega di potere. Il più dellevolte, come sappiamo, nell'istituzione democratica,lclla cittadiîa;Írza spetta alla legge fornire una san-ricrne trascendentale a ogni sorta di categorizzazione,,rciale e alle varie procedure amministrative, o tra-,lormare delle differenze culturali, ideologiche e so-, iologiche in regole universali, normative.

Arriviamo qui a un altro aspetto della conflittualitàrrrscritta nell'equilibrio instabile del processo di inclu-,ione e di esclusione, nella misura in cui queste ultimerìcttono in gioco i rapporti ffa la società, lo Stato e lal, gge. Poiché la partecipazione dei cittadini all'esclu-,ione dei non-cittadini passa per una delega di potere

r03

Page 53: Balibar - Cittadinanza

V{

allo Stato, la linea di demarcazione tra i due tipi dluomini viene santif icatao santuatízzata. Ma poiché lo l,

Stato e la legge incaricati di operare la discriminazionclsono a loro vólta delle autoritàÍragli,la cui legittimitl '

può essere contestata, o la cui sovranità può vacillatelia regola di esclusione è costantemente esposta a uol

pervérsi. Lo si vede in particolare nelle società con'

i.*por"n.., in cui il ruLzismo e la xenofobia sono il '

proàotto non tanto di conflitti di interessi reali n*icomunità culturalmente o storicamente estranect.quanto di meccanismi di proiezione delle angosce so.

.i"U aaU maggionnz. P.t esempio, ciò che doman',

dano più o meno esplicitamente i cittadini quandd

reclamano un indurimento delle misure di esclusionG

nei confronti degli immigrati, o quello che I'estreml'destra chiama la <<preferenza nazionale>>, è un'assicu'1,

razione apriori coitro la discriminazione o il degrado'1

dello statùs sociale di cui temono di poter essere vit1,'

time a loro volta, soprattutto se sono poveri o socialtl

mente svantaggiati. bwiamente esistono enormi dif'fferenze di intensità in questi fenomeni, che non sond':

mai automatici ma sono abbastanza rcgolari, e pericir

dicamente riattivati da circostanze di crisi, da potervl

vedere f indizio di una inquietante affinità tra il popu'

lismo e la stessa cittadinanza democratica . La zona

grigia di cui si è parlato in precedenza ^ppme

dunquc

ioi solo .om. onu zona diincettezza ffa I'inclusionc

e I'esclusione, ma come una zoÍrr- in cui l'esclusione è

indirettamente reclamata allo Stato rappresentativodapanedi una semicomunità di semicittadini, cioè dl

citàdini incerti dei loro diritti e del riconoscimentÓ

dei medesimi.

Concetto del politico e antropologiadella cittadinanza

Le considerazioni fatte fin qui forse aiutano unar illessione storica esauriente sui rapporti trala cit-rrdinanza e I'esclusione. Si può sperare comunque,lre avviino una riconsiderazione del <<concetto del

l,olitico>>, la cui famosa definizione schmittianarlata nel saggio del ry32 Il concetto del <<politico>( ostituisce per noi uno dei riferimenti obbligati e il',rodello

negativo. In effetti non si tîatta di genera-li'zzare o di aggiornare l'idea secondo la quale la di-;tinzione tra amico e nemico definirebbe la specifi-, ità del politico in opposizione ad altre sfere,lcll'attività umana, ma piuttosto di spiegare per-,lré, in circostanze determinate, questa distinzione( sprima la totalità dei dispositivi in cui si articolanor omunità ed esclusione, pur non riuscendo a tenerein considerazione tutto il sistema di differenze che(lueste ultime contengono. Per precisare questi due,rspetti, descriveremo quello che costituisce, pel ec-

, cllenza, ilparadosso dell'antropologia politica spe-,'ificamente associata allo sviluppo della cittadi-t v',nza nazionale moderna.

r. Come spiegare che la cittadinanza moderna, ri-Iondata su principi universalistici, non soltanto nonrnette fine a ogni forma di esclusione interna, ma

tcnde a crearne di nuove e a conferire loro una giu-stificazione universale, o trascendentale? Il principio,lell'uguale libertà presuppone che, entro i limiti,lclla propria comunità o del proprio popolo costitui-ro politicamente, ogni individuo sia uguale, o simile,

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Page 54: Balibar - Cittadinanza

!

a ogni altro, e nessuno possa esercitare su un altroun'autorità arbitraúa, discrezionale. Ma la storia deicodici civili e delle costituzioni borghesi è una storiadi discriminazíoni fondate non soltanto sull'<utilitacomune)> (secondo I'espressione della Dichiarazionedei diritti dell'uorno e del cittadino del ry89, articoloprimo: <Gli uomini nascono e rimangono liberi e

uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono .

ch..ss"r. fondate sull'utilità comune>>), ma su unaemargínazione all'interno dell'umanità stessa. Il rifiuto della disuguaglianza di status, tradizionale oconvenzionale, in questo quadro si paga con uneesclusione arlcoîa più radicale, in quanto è legitti ,

mata nella concezione stessa dell'universale. l

z. Bisogna dunque supporre che I'estensione delprincipio dei diritti del cittadino a <(tutto quello che

ha volto umano>> (Fichte, Contributo per rettificare ìgiudizi del pubblico sulla Rittoluzione francese) e le .l

loro fondazione su dei diritti dell'uomo che non rappresentano una origine naturale bensì una garunzia.trascendentale dell'accesso alla cittadinanza, non co'stituisce soltanto una giustificazione per I'elimina'zione delle discriminazioni (o per la lotta per questa

eliminazione), ma anche una causa della riprodu'zione delle discriminazioni e della loro estensione al

di là dei limiti precedenti, anche se in forme nuove,Se degli individui o dei gruppi non possono essere

esclusi dalla cittaditrarrzz- in base al loro status o alla

loro origine sociale, devono essere esclusi in quanto

uomini: in quanto tipi umani diversi dagli altri. Ciòche colpisce è che questo meccanismo di esclusione,esso stesso universalistico, non scompare via via che

il discorso fondante del diritto naturale cede il passo

:r un costituzionalismo puramente giuridico, neliluale le pratiche di governo rinviano a fondamenti,'lre appartengono alle sfere del diritto o della scienza

t,r il pìrì delle volte a una combinazione delle due). Alr'ontrario, il meccanismo di esclusione si diversifica e

,liventa coestensivo alla società, nel quadro di quella

,'he Foucault ha chiamato <biopolitica>>.La sola spie-

rgazione di ciò è che esiste una corelazione stÍuttu-rale tra il modo di costituzione delle comunità politi-ehe moderne universalistiche (in primo luogo larrazione) e la trasformazione delle differefize antîo-

1'rologiche in generale (differenza dei sessi, dlff.ercnza.i'età, differenza di capacità intellettuali, dtffercnzatra normale e patologico ecc.) in principi di esclu-;ione, il che conferisce all'umanesimo moderno unexrattere fortemente contraddittorio.

Come ha dimostrato Foucault in una serie di studi.li cui si può (e si deve) discutere il dettaglio dellerrnalisi, ma che rappresentano in generale una cesura

L'pistemologica irreversibile, I'universalità trascen-.llntale della specie e la funzione discriminante e di-scriminatoria delle dif{erenze antropologiche nonsono incompatibili, ma costituiscono le due facce diu11o stesso discorso che inizia con la filosofia e lapolitica dei Lumi (come si vede già nella costruzionerlell'antropologia kantiana). Ma Foucault (GIi anor-tuali) mostta anche, in particolaîe con I'esempio,.1e11'<<anormalità>, che questa correlazione è sempre

l-.roblematica: non soltanto perché I'universalismorlei diritti dell'uomo è un ricorso ideale di cui pos-

sono impadronirsi tutte le categorie vittime dell'esclu-

ro6 f07

Page 55: Balibar - Cittadinanza

tfi

sione, ma perché il racciato della linea dell'esclusio.ne è intrinsecamente instabile, e in ultima istanzaintrovabile. Ne è prova il fatto che la categoriadell'<<anormale> oscilla continuamente tra la sferadella psichiatria e quella della criminologia, e che ilcompito dell'emarginazione degli <<anormali>> è ter.reno di disputa tral'apparato sanitario e quello giu.diziaúo. Sarebbe utile, a questo proposito, tentareun confronto con le analisi di Arendt (Le origini deltotalitarisrao) sulla rclazione conraddittoria che esi.ste nel xrx e xx secolo trala chiusura della cittadi.nanz^ istituita in un quadro nazionale el'uniuersali-srno dell'accesso ai diritti proclamato dallo Stato-na. r

zione (a eccezione del suo prolungamento imperialee coloniale, in cui non esistono più cittadini ma sud.diti o sublect races).

Di qui la posizione estrema e tuttavia rivelatriceche occupano a tale riguardo nella storia degli Stati

'

moderni gli Stati ruzzisticome la Germania nazistaoil Sudafrica dell'apartheid, in quanto tendono (local.mente, provvisoriamente, ma con conseguenze ster.minatrici drammatiche) a comprimere la conuaddi.zione su uno solo dei suoi termini, sviluppando unprogramma di purificazione o di segregazione radi.cale della specie. Sappiamo che i programmi eugene-tici (per esempio la stefilizzazione foruata degli indi-vidui <<anormali>) sono stati attuati durante tutto ilxx secolo sia nelle socialdemocrazie nordiche sia innumerosi Stati degli usA (tra cui la California). Comehanno fatto osservare i teorici della Scuola di Fran.coforte (Theodor !f. Adorno e Max Horkheimer) oalcuni critici della modernità come Zygmunt Bau-

rrian, questa tendenza nichilistica e radicalmente an-

riumanistica non è estranea all'umanesimo moderno,

nìa ne costituisce piuttosto l'alffa f.accia (o scena),

rrormalmente più o meno rimossa. Sotto la sfem po'litica c'è sempre una sfera irnpolitica (Roberto Espo-

sito, Noue pensieri sulk politica).

Questo ci porta a suggerire che si può avere ten-.l.nzialmentè una sovrapposizione dei modelli dicsclusione che si giustificano in termini idealistici, rifa-t'endosi a una definizione dell'uomo che lo rende

lrredestinato alla cittadinanza, e dei modelli che si

iiustificano in termini materialistici e positivistici,ìdentificando le caratteristiche fisiologiche o psicolo-

ciche che segnerebbero l'<<inferiorità> delle capacità

.li determinati esseri umani (a seconda delle epoche:

rlonne, lavoratori manuali, anormali, stranieri, co-

l<-:nizzati, immigrati). Nella situazione attuale, che

sottopone la rappresentazione classica della citta-,Iinaiza nazionalè a violente tensioni, alcune condi-zioni di esclusione illustrano bene il modello di <<sta-

to di eccezione normalizzato>> teoîizzato da GiorgioAgamben (Stato di eccezione) rifacendosi a Schmitt,,.,-rà altre rinviano semplicemente a una impossibilità,-1uasi trascendentale di rappresentarela comunità (o

ii<,comune>>), sia in termini di interessi sia in terminidi diritti e di doveri reciproci (Jean-Luc Nancy, Lacomunità inoperosa).

La questione centrale è stabilire se gli attori collet-tivi dila globalizzazione, che si potrebbero definirecome i citiadini futuri dello spazio cosmopolita, cer-

cheranno prevalentemente di far evolvere la globaliz-

zazione verso un modello di governance ffansnazio-

ro8 r09

Page 56: Balibar - Cittadinanza

ry

nale delle discriminazioni e delle esclusioni, o alcontrario verso un nuovo universalismo quanto piùpossibile egualitario. E per questo che alcune que-stioni concrete come il diritto di circolazione e diresidenza (che va al di là dell'ospitalità, di cui Kantfaceva il contenuto principale del cosmopolitismo)hanno una portata determinante nell'evoluzione delconcetto stesso di cittadino. O questi diritti essen-

zialmente transnazionali sono riconosciuti non sol-tanto come diritti dell'uomo (come già f.a, con qual.che precauzione, la Dichiarazione uniuersale dei dirittidell'uorao del r948), ma anche come componentidella cittadinanza politica, o la governance postna- ,

zionale si traduce in una maggiore segregazione erepressione dei nomadi e delle popolazioni diaspori.ctie. Ciò vorrebbe dire che la sovranità degli Stati si ,

concentrerebbe in una funzione precipuamente poli'ziesca di controllo delle frontiere e di respingimentodelle popolazioni, lasciando eventualmente agli orga- ,

nismi internazionali e alle oNc il compito di gestire '

I'enorme problema umanitario della crescente massa 'di non-cittadini che, in quanto tali, non sono né diqui né di altroae. Si arriverebbe in questo modo a uneforma particolarmente violenta, e con tutta probabi-lità instabile, di trasformazione dell'universalità in-tensiva in universalità estensiva, nella quale si co.struisce una cittadin anz^ postrtazionale fondata sullereti di comunicazione e di commercio globalizzate(come propone in particolare Saskia Sassen), ma alpîezzo di una generalizzazione simmeffica della re-gola di esclusione.

6.

L' apoúa di una democrazia conflittuale

Se si mette in discussione I'idea di unacittadinanzalondata sul consenso, o che ricerca una forma supe-

r iore di consenso comunitario, ci si trova a dover ri-llettere sui rapporti che intercorrono tra la democra-

t.ia elalotta ó il conflitto. Non è aÍfatto escluso che

l1ì nozione di una <<democrazia conflittuale>> sia desti-

n^ta ^

rimanere ineluttabilmente aporetica, quanto

rììeno se la si considera unicamente dal punto di vistaistituzionale. Ma questo vorrebbe dire, per I'ap-prrnto, che essa rende possibile un esame critico delruolo delle istituzioni in politica.

La principale fonte di riflessione su questo puntorregli ultimi ànni è statalarilettura, apattuedall'operal<rÀdamentale di John Greville Agard Pocock (ll rno'

tttento rnachiauelliano), delle analisi che, nel Discorsi

trpra la prima Deca di Tito Liuio, Machiavelli dedica

,J rafforzamento della forma repubblicana atffaversoun processo di sviluppo e di rappreserltafiza del con-

tlitio sociale alf interno delle istituzioni romane

,Iell'epoca repubblicana. Quando, al termine di suc-

.cssive rivolie contro i patrizi e I'ordine stabilito, ipoveti, o il basso popolo, si vedono concessa una rap-

l,resentanza ,pe-ificu in seno allo Stato, che per-

Page 57: Balibar - Cittadinanza

mette loro di bloccare più o meno completamentedelle politiche contrarie ai loro interessi, atraveîsoil meccanismo del tribunato della plebe, si viene adeterminare un nuovo tipo di costituzione materiale,non più assimilabile alla costituzione mista dei teo.rici antichi. E che in un certo senso ne è addiritturaI'opposto. Tentando di interpretare il tipo di Statoche si viene a costituire a metà del xx secolo nei paesieuropei (in particolare la Franciael'Italia), nei qualila cittadinanza sociale è imposta dalla pressione deipartiti comunisti, ufficialmente rivoluzionari ma chenella realtà lottano per imporre delle riforme, il politologo francese Georges Lavauhautilizzato per l'ap.punto I'espressione <<funzione tribunizia>, che è diventata classica nella scienza politica. L'esercizio delpotere tribunizio moderno contribuisce in ultimaistanza alla stabilizzazione dello Stato-nazione, maattraverso una forma specifica di organizzazionedella lotta di classe. Non lo si deve liquidare dunquesbrigativamente come un tradimento o come un dop-pio gioco. Bisogna piuttosto analizzarlo come unesempio caratteristico degli effetti non intenzionalidella pratica politica. Senza la prospettiva utopicarivoluzionaria (o il suo equivalente paniale socialde-mocratico, che si può definire <<spirito di scissione>),lalotta di classe non è né abbastanza vasta né abba-stanza duratura per poter cosffingere la borghesia alcompfomesso, e soprattutto la sfera politica non di.venta il luogo di un vero conflitto. Il compromesso, piùo meno vantaggioso per una della parti, è un risultatoaleatorio, non un obiettivo deliberato. Non presup-pone la conveîgenza degli interessi.

In realtà questa idea machiavelliana è stata ripresaperiodicamente dalla filosofia politica, a volte perdescrivere I'essenza delle fasi di transizione, o di in-stabilità, tra regimi e domini eterogenei, a volte pertentare di comprendere la ragione per cui la demo-crazia non è un regirne come gli ahri, sia dal punto divista dei suoi critici sia da quello dei suoi difensori.Ilssa in effetti si trova a confrontarsi con alcuni deidilemmi più profondi interni al concetto di una costi-tuzione di cittadinanza o di una forma repubblicanaclella politica.

Vio lenza e controaiolenza

Va osservato innanzitutto, in continuità con il ca-

lritolo precedente, che tra I'idea di esclusione e quellacli conflitto esiste un rapporto complesso. Molte for-rne di esclusione sono immediatamente o potenzial-rnente conflittuali, nella misura in cui generano dellelesistenze, delle rivendicazioni di uguaglianza e del-lc politiche di repressione. D'alffo canto, I'esclusione.lalla sfera politica, dove si decide la legittimità dellenioni collettive, è un modo molto efficace di neutra-lizzarc il conflitto, o di reprimerne le forme che met-tono in discussione la distribuzione del potere e ilsuo uso. Quanto meno prowisoriamente (ma questaprovvisorietà può durare molto a lungo) I'esclusio-rre riduce all'impotenza coloro che sfidano i deten-rori del potere. Ciò risulta particolarmente evidente,luando le procedure di segregazione o di apartheid,.li emarginazione e di sorveglianza si combinano per

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l12 tr3

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limitare la partecipazione politica ai membri di unaélite o di una comunità dominante, o a livello nazio'nale o in un quadro imperiale o ftansnazionale.Quello che I'antropologa Philomena Essed chiamala<<preferenza per I'identico>> (Racisme et préférencepòur I'identique), spesso legato al nazionalismo e almzzismo postcoloniale, funziona nella pratica nellostesso senso. Non si tratta semplicemente di esclu-

dere dalla patecipazione politica singoli casi o sin-goli sudditi, ma di esercitare :una contrortiolenza pte-uentiaa, e dunque di impedire al conflitto sociale (o

culturale) di raggiungere la forma politica vera e pro-pria, mantenendola al livello di quella che Gramscichiamav a la f orma << corporativa )>.

A questo punto emergono alcune questioni tantocomplesse quanto importanti.

r. La questione di come si configura il rapportotra il conflitto e la uiolenza, nella teoria ma anchenella storia. Non soltanto la repressione preventivadel conflitto il più delle volte è essa stessa estrerna'mente violenta, cioè compo rta l' utilizzazione asim-metrica di tutti gli strumenti (polizieschi, giuridici,ideologici) del potere istituzionale, ma implica anche(in modo più rischioso) la nanipolazione della ttio'lenza che non può essete interamente impedita, esponendola alla prnizione <<legittima>> (come si è vistonella maggiorunza deírecenti avvenimenti di violen'zaurbana).

z. La questione di come si può pensare e organiz-zare I'esclusione in uno spazio senza frontiete, che non

ha un esterno, o meglio è pura esteriorità, come lospazio planetario nell'epoca della globalizzazione del

nrercato, dove gli Stati tendono sempre di più a met-tersi al servizio della circolazione delle merci e degliinteressi Íinanziaú. Forse è proprio in queste .ondi-zioni che I'esclusione interna è destinata a trasformar-:;i di nuovo nella produzione di <<uomini usa e getta>(Bertrand Ogilvie, L'Honznze ietable) o di <<non-per-sone > (Alessandro Dal Lago, N on -pers one), espàstirrostantemente al pericolo dell'eliminazione in unalorma o in un'altra. Comunque sia, si tratti della ma-nipolazione della violenza degli esclusi o della elimi-nazione di questi ultimi attraverso un processo di..lepersonaliz zazione, è la possibilità stessa dell'azioneirolitica che viene neuftalizzata o distrutta, in un per-.'crrso che va dal livello collettivo al livello individua-le . Situazioni del genere corrispondofio indubbiamen,te a un limite estremo della democra,zia, rnarivelano;rnche, in negativo, che l'essenza della democrazia è,irassimizzarela capacità di azione politica dei citta-,.lini. <Cittadinanza attiva>> è l'espressione tautolo-.:ica che designa questa capacità.

Sullo sfondo di questa condizione negativa, pos-.iamo dunque esaminare le tre aporie insite nell'idea.ii una democraziaconflittuale: r) l'aporia del rappor-ro ta conflitto e legittinzità dell'istituzione; z) lapo-ria dei dffirenti tipi di conflitti politici in grado dirirolgere una funzione costituente, a seconda che siltesentino come simmetrici o asimmetrici in termini,li potere e di interessi; 3) l'aporia delle forme stori-, lre di regolazione o di neutralizzazionedel conflitto,,' del rapporto che queste forme hanno con le figure,rntitetiche della servitù volontaria e della disobbe-,lienza civile.

rt4 II5

Page 59: Balibar - Cittadinanza

5

Liberalisrno, pluralismo, rappresentanza ,

del conflitto 1i

l

Anche se il suo esame non potrà che essere incom' toleto. è necessario ,itorrr"r. sulla questione di prin' {

iipio'rott.ta all'apotia di una istituzionalizzazione .

dél conflitto, in qìranto in tale questione si trova la '

chiave delle ragioni per cui in un certo senso la demo'

,iuiiu - se è uriregióe nel senso proprio del termine - '

deve apparire come un regime <impossibile>>, ma '

anche,'faradossalmente) come un regime inelimina' :

bil.. 5i pottebbe sicuramente affermare che la derno' '

cîazia, in generale, è il regime che rende,il col'flittg \y

iig'its;*o, à'n.he se con moiivazioni e gra.di molto di "-'.i;;ii.

îor,o dip."d;,-;-hiii^^ryyi, dalle forme, I

daíI. caus., dalle modalità del conflitto, e dai mezzi ii

.À. p.rr."o essere il;i;;r;ip;; iiÀiru'ro o neutra' ;f

lizzirlo. Si è dunque tentati di pensare che la dtTg' jcrazia possa diventare un regime politico solo nella 11

misurain cui riesce a legittimare il conflitto entro cer''

ti limiti, in modo da evitare che il conflitto stesso por'

ti all'autodistruzione della comunità, nella formaorivilesiata. reale o metaforica, della guerra civile' In

i.r"rto"qn"dro I'antitesi tta pólis e sttísis diventa ilmodello ricorrente.

Ma a sua volta questa dinamica nella sua concre'

tizzazione è apertà a notevoli variazioni, che rive'stono una evidente impofianza teorica' Queste va'

riazioni non riguardano soltanto l'ampiezza delle

possibilità "p.tt.

al conflitto, ma soprattuttolafina,'tità della sua regolazione, a seconda che si ratti di

fuuorirne l'espràssione come realtà costitutiva della

vita democratica o, al contrario, di comprimerla quan-[o necessario per arrivare all'imposizione di una re-gola (in particolare una regola di diritto) e a17a mani-festazione di un'autorità. In altri termini, lademocrazia si presenta come la macchina istituzio-nale che trasfurna i conflitti senza abolirli puramentee semplicemente, facendoli passare da una funzionedistruttiva a una costruttiva, o semplicemente darrna forma selvaggia a una civilizz^ta o civile, con-trollabile dall'interno o dall'esterno (il conflitto ciailedi Machiavelli, contrapposto alla guema civile).

Va osservato che le due formulazioni non espri-rnono esattamente lo stesso concetto: la prima è piùf orte logicamente, in quanto evoca un conflitto re-lativo a interessi e ideologie che può essere definitocome un contributo all'esistenza della democrazia,di cui è in ultima istanza il momento propriamentepolitico, mentre la seconda è più debole in quantosi limita all'idea negativ^ che delle regole democra-tiche (in opposizione a regole autoritarie, o totalita-lie) sono le più adatte a garantire a lungo termine larnoderazione delle lotte sociali (il che tende a corri-spondere logicamente e politicamente a un circolo:le lotte democratiche sono per I'appunto quelle chesi prestano a una moderazione istituzionale, ovve-losia che hanno già neutralizzato i loro eccessi).()ui chiaramente diventa decisivo distinguere tra,.liversi tipi di conflitti (come fanno storici e socio-logi quali Charles Tilly o Ralf Dahrendorf, e filosoficome Chantal Mouffe, senza dimenticare le analisil'ondamentali di Georg Simmel), in base non sol-tanto al loro carattere più o meno violento, ma an-

rx6 f17

Page 60: Balibar - Cittadinanza

F

che al tipo di forze e di attori che introducono inpolitica.' A qrl"rto punto è essenziale rammentare che úna

simile nozione - debole o forte che sia - del conflitto I

non è assolutamente estranea alla ttadizione liberale' '

Al contrario, questa ffadizione ne sviluppa al proprio

interno una molteplicità di interpretazioni' Inouanto dottrina politica (come ha sottolineato in par'

ticolare Raymoni Aron, Teoria dei regimi politici),1'\liberalismo si canttetizza per la propria insistenze ,

sull'importa nza de! pluralisrno in politica: ma se non

si vuolÉ che il pluralismo sia un concetto vuoto, privo ;ài realtà, e diificile pensarlo indipendentemente de !una certo grado di antagonismo' o meglio di ago.ni"i

srno, che sia nella forma di una concortenza tra ldeo''logie rivali o in quella di un conflitto di interetti t9','t

ciíli. g,t.sto principio non coincide con quello dells irappresentafiza, ma non ne è estraneo. Storicamente t,

I'i'rrsirtenra sul pluralismo è legata alle figure antite"tiche del dispotismo (anche illuminato), dell'assoluti'

smo e del to^talitarismo, ai quali nella realtà, nell'im'maginario o nel mito, il liberalismo m€tte fine' Si

.ro"ir.. così perché il liberalismo oscilla ra l'ider

.,&timistao secottdo la quale il pluralismo contienc

un valore positivo, o una virtù espansiva, che fa del

conflitto (ìn particolare del confútto di opinioni) ilmezzo della éreazione della libertà politica, e I'ides<pessimistar> secondo la quale il pluralismo va pfo'tetto costantemente contro i pericoli che 1o minac'

ciano dall'interno o dall'esterno (che corrisponde

sostanzialmente alla visione di Karl Poppet, La socie'

tà aperta e i suoi nemici). Sarebbe fondamentale a

(lLlesto proposito mostrafe come, da Spinoza fino a

lìawls e Habermas, il discorso politico liberale in uncerto senso ha costantemente ristîetto la portata e ilcampo dei conflitti che possono entrare nel gioco delpluralismo e del suo intrinseco agonismo, finché(lllest'ultimo non è diventato molto più incerto a se-quito dell'irruzione sulla scena delle questioni legate,rl <<multiculturalismo>> Nlill Kymlicka, La cittadi-ttdnza muhicuhurale).

N el T rattat o te o lo gic o -p o litic o del r 6 7 o, Spinozal)ropone una strategia democratica che implica chetLltte le convinzioni religiose possano essere conce-lrite come altrettanti metodi di cui si servono gli in-,lividui per disporsi all'<obbedienza>>, cioè al ricono-.cimento del primato degli interessi comuni, così('ome enunciati dalla repubblica, sulle ambizioni par-ticolari o private. Si tratta chiaramente di una regolalimitativa, che però non prescrive nulla riguardo allarìatura delle ideologie che si combattono reciproca-rrrente e degli interessi che esprimono (e in questo lat'oncezione di Spinoza si distingue nettamente,lalf idea ditollerunzasostenuta da Locke nello stesso

lrcriodo). InJohn Rawls (Liberalisrno politico) tro-viamo l'idea che la comunità dei cittadini presup-l)one un <<accordo per sovrapposizione>> (oaerlapping,'onsensus), che istituisce delle regole intese alla mo-,ierazione dei conflitti derivanti dall'opposizione tra('oncezioni sostanziali del bene (in altre parole cor-rcnti di opinione, laiche o religiose, che non si limir ano a ricercare il bene o la virtù seguendo dei criterilormali, come la possibilità di trasformare una mas-sima personale in legge universale dell'umanità, alla

rr8 t19

Page 61: Balibar - Cittadinanza

tFrirr

maniera di Kant, ma intendono attribuirgli un con' '

,.ttoro determinato, in particolare nella forma di un ;

modo di vita <<buonoo J*gi"t,oo). Per Rawls qu9slo I

".."ta" a itq"i"ut.nte mJral. di una certa idea della I

,Jniit"a, ó d.[u giustizia come realiziazione di I

una tazionalità colleitiv^i ma a sua volta ha bisogno '

Ji.tt.t. garantito o riprodotto, il che corrisponde

ullu fnnrótte della legge e soprattutto dell'educa' '

zione. Infine, in Habermas troviamo una descrizione i;;ú-1t"1ú; anch'essa di natura normativa: il.plu' t

ralismo ha come condizione della propria rcalizza' ''

,io". il fatto che i partiti del conflitto sociale e ideo' r

logico accettino tut;i-di sottomettersi alle rtgole $

à.ii*go-.ntazione politica, in quanto è questa ar' *]

gomeniazione nello spazio puh.blico.chepermette di ',9

óurrur. da un antagonismo irriducibile, che porta alla fsoualificazione di una delle posizioni in gioco (e pos' $

;ibih*";; ail'eliminazione di coloro che la sosten' i

gono), a un regime di dibattito e di comunicazione, -tl

!,ri ideul" etióo è l'accordo di tutti i cittadini sulla

iegittimità di questa o quella politica.(eventualmente

it!"rri.di comprom.rri u.i.ttuti da questo o quel '

parrito).' In Rutl, come in Habermas, e forse già nello stesso

Spirroru, tutti razionalisti malgrado la distanza che

,Éouru le loro concezioni di <iagione>, troviamo ilpr.rupporto implicito che il consenso (o quanto meno

i" tuu possibitiìà sempre preservata) deve finire per

^r.t. t" meglio ,rrllu -uttif.stazione della contraddi"

zione, o d.ie trasformare, sormontare, questa mani'

f.rtarione. Di qui l'espressione di cui si serve Spinoza

nelTrauato poiitito (fII, z): in una libera repubblica

il potere in ultima analisi appartiene a una <liberamoltitudine>>, che agisce <(come se guidata da unasola anima>>. Il <<come se>> (ueluti) è chiaramente fon-damentale: è quello che segna la distanza tîa vna;unanimità imposta o immaginata senza conflitto e

una comunità risultante dalla regolazione del con-flitto sotto la guida della ragione. Ma la conseguenzadi ciò è la riproposizione all'infinito di un'aporia pro-pria del liberalismo: nel punto critico, quando il con-ilitto eccede le forme di espressione puramente sim-boliche, le convenzioni del dibattito collettivo, icanali istituzionali esistenti di rappresentanza degliinteressi contraddittori, e dunque le possibilità digoverno e di obbedienza,lanzionalità,politica non èpiù sostenibile, e si ritorna all'alternativa della neu-rralizzazione o della repressione del conflitto. Unconflitto che minaccia I'ordine costituzionale, perquanto flessibile e aperto questo sia, non rientra piùnelle <regole del gioco>> pluralistiche: di conseguenzaè incompatibile con il liberalismo. Questa contraddi-zione è indipendente dalla questione se I'origine delconflitto stia nei rapporti di classe, negli antagonismireligiosi, nelle differenze di cultura o di <<razza>> o inLrna combinazione sovradeterminata di questi fat-tori, come awiene nella maggiorafrza dei casi. Ma,all'opposto, si può dire che un conflitto canalizzatoattraverso regole che gli impongono di contribuire alconsenso, o di ffadursi in uno scambio di argomenta-zioni, continui a essere un conflitto reale, e non sitrasformi in una finzione giuridica? Il conflitto limi-tato, o anche autolimitato, non esclude a priori tuttocluello che, in una società data, corrisponde alle vere

Í20

Page 62: Balibar - Cittadinanza

;q

poste in gioco politiche: le lotte di liberazione, le ri-

u.rrdicaÀni eÀancipatrici, le rivolte con*o le ingiu- I

stizie o le disuguaglianze, cioè le ftasformazioni sto' I'

ricamente signi{icative? ':

Tale argom entazíone deve però €ssere precisata'

in quanto rischia di trascurare la differenza tta so'

cialà e politico. In realtà questa díff.ercnza nell'epoca

moderàa è sempre sottintesa nei diversi modelli diirtitrrziorr. del conflitto. Il liberalismo, che da tale

punto di vista ^ppaîe

come una forma estrema, sug'

gerisce che gli àlèmenti di conflittualità - tîa inte'iessi o, sopràttutto, tra opinioni - provengono d4l1

",

societi civile: sono cioè radicati nelle attività sociali jdeeli individui, e dunque devono essere espressi e ;

,uipr.r.rrtuti nel linguàcgio I nelle forme della so- ;

.iàia politi.a per permettere la loro soluzione, cioè irendeie compàtibili tendenze inízialmente incompa' itibili. La funzione principale dello Stato è dunque fesattamente quella di sovrintendere a questa-trastor' ''i

mazione. Ma, anche qui, si può obiettare che desfi ,

attori collettivi impegnati in un conflitto sono stori' i

.u*.nt. decisivi q"undo hanno ridotto al minimo la

di"run u tra i loro interessi sociali e i loro obiettivipolitici (o quando hanno tlovato una espressione po'

iitica diretia dei loro interessi sociali), e non danno

più per scontato che lo Stato esistente svolgerà una

iunjio". di arbitrato tra opínioni o interessi sociali

antagonisti. N on appena I' antagonis m o políticizza

il soiiale, e I'invetso, come avviene chiaramente

nella lotta di classe, lo Stato non è più imparuíale, ma

emerge come parte in causa del conflitto' o quanto

meno come soggetto predisposto ad alcune soluzioni

piuttosto che ad altre (per I'appunto quelle che pre-servano la sua forma e le sue istituzioni): fa dunqueparte del rapporto di forua. Più esplicitamente, glirrttori storici sono quelli che cambiano il rapporto trail sociale e il politico, impongono il riconoscimentorli interessi e bisogni non solo in quanto interessiparticolari ma come interessi generali della societàpotenzialmente universalizzabili, e in questo modotrasformano le procedure di determinazione del con-scnso, i criteri di nzionalità politica, la funzionesressa dello Stato. L'emergere della cittadin^nza so-ciale al termine di una lunga fase storica di lotta di,:lasse e di scontro tra il movimento operaio e loStato borghese (o anche liberale) ne è un esempio il-lirminante. Un conflitto che si vuole reale o effettivorron si limita mai al rispetto delle regole stabilite, in(luanto il suo bersaglio non può che essete per l'ap-1-runto la costituzione e il contenuto stesso dellrluralismo.

D e m o crazia c om e dorninio i I le gittirn oe p lura lisrno agonistico

Ma allora bisogna ammettere che ogni conflitto po-litico effettivo contiene un elemento di illegittimità.Ir se la democrazia e il conflitto si trovano in un rap-

lrorto costitutivo, si deve affermare che la democraziai', per quanto in un senso ben delimitato, un <<regime

,li potere illegittimo> (il che equivale a sostenere cheron è un regime nello stesso senso di altri). Questa( ra per I'appunto la tesi delineata da Max \X/eber in

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Page 63: Balibar - Cittadinanza

rK

diversi passaggi della sua opera postuma incompiutaEconomia e società (che di fatto è un trattato generale

di anropologia e di teoria politica)'Da una parte lX/eber definisce la <legittimità>

(Geltung) di un dominio o di un potere quale che sia

come la uprobabilità> (Chance) di farsi obbedire, o divedere i suoi comandamenti eseguiti o la sua autori'tà rispettata (il che vale in particolare per I'autoritadella legge). Questa definizione è già di per sé di na'tura conflittuale o agonistica, in quanto suggerisce

"

che la legittimità deriva da un equilibrio instabile ra :,

tendenze all'obbedienza e tendenze alla disobbe'dienzao, più in generale, è composta da una determi' ,ì

nutu propotzioÀe di casi di obbedienza e di disob'l,bediénza. Perché Ia parola <legittimità> abbia unsenso, è necessario chiaramente che i primi siano pre:',valenti (o normali) e i secondi residuali (o eccezio' '

nali). Ma la specificità di una rclazione di questo tipo iè che in determinate circostanze può ffovarsi a essere ':

úbaltata, quando l'eccezione diventa la regola. Pet i

questo una simile definizione appartiene a una tradi'zione realist

^ o pr^gm^tica, di cui fanno parte anchc '

pensatori come Spinoza (del quale scopriamo quiI'altra faccia, e per il quale l'obbedienza è un obiet'tivo pragmatico dello Stato indifferente ai motiviche ú pioducono tra i sudditi, il che corrispondcanche, ii" d.tto per inciso, a un modo di ampliare ilcampo della libertà di coscienza) o, in tempi più vi'cini a noi, come Foucault, per il quale ogni poterecorrisponde a un rapporto instabile con dei contro'poteri o delle tesistenze, di cui il potere stesso si

ierue p.r rafÍ.oruarsi, ma che possono in determinate

circostanze prevalere su di esso e produrre una nuovaf igura istituzionale.

Ma non è tutto, perché rMeber - come si sa - in-scrive la sua definizione formale in una tipologia sto-rica delle forme di dominio che rientra anch'essa nella;rroblematica della modernizzazione delle società po-Iitiche. Va sottolineata in proposito l'importanza delLipo di dominio che \X/eber chiama <<burocratico>>,non soltanto perché viene associato allo sviluppo deldiritto e dell'economia capitalistica (che genenlizzarlcalcolo nzionale dei costi e dei benefici delle azioniindividuali e collettive), ma perché il suo presuppostoò specificamente l'ignoranza del popolo, il quale - ilpiù delle volte senza esserne consapevole - delega aglicsperti la sua capacità di valutare la realtà (salvo even-tualmente rivoltarsi contro le conseguenze delle lorodecisioni). Anche se, come si è visto in precedenza,(luesta fratfiua è compensata da sistemi di isffuzionee di selezione meritocratica degli esperti, o anche.lalla pubblicità delle loro decisioni (raramente com-pleta nelle nostre democrazie borghesi e sempre piùlidotta nel quadro della governance globalizzata),permane sempre un elemento di contraddizione tra ilsenso egualitario dell'idea di democrazia e le caratte-listiche <oligarchiche> dell'esperto: ciò permette dicomprendere il fatto che se per un verso i cittadinirrormalmente si sottomettono alla burocrazia delloSrato, per un alro in condizioni di crisi, di sfiduciapopolare e di delegittimazione dei poteri costituiri..luegli stessi cittadini creano nuovamente il conflitto,rconfessando <<itrazionalmente>> gli esperti che pre-tendono di incarnare la nzionalità..

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Page 64: Balibar - Cittadinanza

Soprattutto, bisogna aggiungere alle nozioni esami'

nat. Íin qui la descrizione - in parte storica, in pa-rte

allegorica - di una democrazia come <<dominio ille'gittlmo, del popolo (o della massa del popolo), che

\X/eber propon. nella sua descrizione delle città-Stato,dalle ciìtààntiche (greche e romane) fino alle cittaitaliane del Medioevo e del Rinascimento. Questa de'

scrizione si basa implicitamente sull'interpretazioneche Machiavelli aveva proposto nei suoi Discorci sopra

Ia printa Deca di Tito Liuio circa il ruolo e le azioni

deila plebe o del popolo minuto: al tempo-stesso mi'nacciareale per ilmònopolio del potere politico dete'

nuto dall'oligarchia o daipatrizi (una minaccia che si

trasforma occasionalmente in veîe e proprie insurre'zioni) e, in positivo, costruzione di un contropotereche'fa ortu.àlo a\la tirannia di una minoranza. In ef'fetti, per Machiavelli il popolo minuto non aspira a

eserciiare esso stesso il potere, ma soltanto a non es'

sere dominato o oppresso' Dal punto di vista di \X/e'

ber, questa storia illustra a contrario le implicazionidel súo concetto di legittimità: un dominio che, inquanto tale, non può escludere la disobbedienza (o le

cui leggi hanno ulttettuttt. possibilità di essere obbe'

dite ctre sfidate, discusse, trasformate) è per definizione illegittimo. Il che equivale, sia pure in modo

arrischiató, a introdurre nelf idea stessa di democra'

zia un elemento di cittadinanza <<anarchica>>, che è

tattaviala condizione della possíbilità della sua istitu'zione. Un tale elemento è ihiaramente quello che ilcostituzionalismo moderno tenta costantemente diescludere o di ignorare: la mani{estazione periodica o

permanente , apeîtao latente, di una conflittualità che

rron si riduce alle regole della rappresentaîza o della,,omunicazione, ma che si pone sempre in eccesso ri-spetto a qualsiasi consenso, o spinge I'agonismo al dili dei limiti di un pluralismo coerente. Tale eccessorron controllabile apriori è però la condizione dell'isti-luzione della democtazia, in quanto permette ai con-rlitti di entrare in un ciclo di legittimazione e delegit-rimazione del potere. E evidente dunque che si trattaili una formulazione notevolmente realista, ma anchecstremamente ambivalente: in lil/eber, la cui antropo-logia politica è peraltro fondata sull'idea di una lottaio <<guerra>) permanente ttai valori, essa traduce alrempo stesso un'ammirazione per le rivoluzioni o leiusurrezioni e una messa in guardia contro i pericoli diclestabiTizzazione dello Stato insiti in una democratiz-,'.trzione radicale che libera le forze antagoniste. Sap-piamo che Weber derivava la sua preoccupazione non,,oltanto dall'analisi della storia antica, ma dalla crisipolitica contemporanea che si esprimeva nella guerrarnondiale e nelle rivoluzioni socialiste. Ritroviamo.lunque I'idea proposta da Chantal Mouffe: la demo-e razia è una forrna paradossab della politica, in quantorrn agonismo puro in un certo senso è impossibile, oinsostenibile. Quello che I'agonismo cerca disperata-nrente di inscrivere nella cittadinanza stessa non ètna cornplenentarità del conflitto (o della lotta) e

'lelf istituzione (o dell'ordine), ma piuttosto una im-/ìÌanenza di ciascun terrnine nell'altro, il che costringe a

.tefinire ciascuno dei termini con il suo conttario:,rgni conflitto può essere sussunto in una istituzione,t' ogni istituzione è al tempo stesso il luogo potenziale, I i un'insurrezione futura.

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Page 65: Balibar - Cittadinanza

Mouffe a questo proposito si riferisce a Schmitt eal suo .,cottcètto del politicor> fondato sulla distin'zione permanente tra amico e nemico. Ma in realtà è

piùr vièina a rff/eber, e di conseguenza -aFoucault, là

àove quest'ultimo (in Bisogna diftndere -la società)

,,rgg"rir.. di rovesciare la famosa formula di Clau-

r.últ, (<<la guerra è la continuazione della politicacon altri mezzi>>) e di vedere nella politica la <<conti-

nuazione della guerra con altri mezzi>>.I1 criterioschmittiano è un criterio dipoliticizzazione delle at'tività umane, che in linea di principio può essere ap'plicata in tutti i campi (compresi quelli della religione

è dell'arte). Schmitt parte dall'antagonismo per trac-

ciare una linea di demarcazione tra i campi, in modo

che risultino massimi tanto la solidarietà o I'effettodi comunità interna per ciascuno di essi, quantol'ostilità o l'incompatibilità tra di essi. Ovviamente,questa concezione del conflitto (fondata su un con"

frorrto tralalottadi classe e i, nazionalismo) ha anche

un significato istituzionale' Essa postula che la fun'zione-dello Stato sia quella di intemalizzare tutte Ie

solidarietà (nella forma privilegiata di un popolo omo'geneo, che il fascismo cercherà addirittura di creare)

é di estemalizzare tutte le forrne di ostilità: il che im'plica in primo luogo la subordinazione di ogni con'

ilitto "ll'imperativó

dell'unità nazionale e in secondo

luogo l'istituzione, ogni volta che si riveli necessario,

di ùno stato di eccezione grazie al quale i nemici in'terni possono essere identificati, eliminati o quanto

meno ricondotti nei ranghi dell'unanimità. Lo schema

schmittiano comincia dunque con I'affermare un pri'mato o un'autonomia del politico che mette il con'

f'litto al di sopra dello Stato e del suo potere sepa-rato) ma si rovescia rapidamente nel suo contrario,per fare dello Stato l'attore sovrano incaricato di di-stribuire la gluelra o I'ostilità tra i suoi due teatri in-rerconnessi: quello della guerra interna e quello dellaguerra esterna. In questo rovesciamento, che assumela forma di un processo infinito se si rivela che lal'rontiera tra I'interno e l'esterno non è definibile unavolta per tutte, il pluralismo in quanto tale evidente-rnente non ha posto. Mouffe vorrebbe evitare questaconseguenza, e perciò tenta di proporre una interpre-tazione temperata di Schmitt, nella quale l'idea dirrgonismo serve a rettificare una concezione liberaledella politica come regno dell'argomentazione e dellarìorma giuridica seîza veî^ altetnativa politica, e

viene relegato al margine il momento decisionista ineui 1o Stato si appropria del conflitto, per definirnel'esito nel senso di un determinato ordine politico,conservatore o conttorivoluzionario.

In Foucault le cose sono pir) complesse. Negli annisettanta era partito da una nffigvazione puramenterrgonistica, che applicava f idea della politica comernetamorfosi della guerra a tutte le sfere del potere (o.[e1 potere-sapere), ugualmente plasmate dallo scon-rro tra il potere e le resistenze, le legalità e le illega-lità, le istanze di autorità e trasgressione, ma che nonrinviavano a nessun potere arbitrale ultimo. Tutta-via, probabilmente non a caso, il pensiero di Fou-eault successivamente è evoluto nel senso di una pro-lrlematica più generale della <(governamentalità>>:(luesta, significativamente, si esercita al tempo stesso,rl livello dell'individuo e al livello collettivo di un

rz8 r29

Page 66: Balibar - Cittadinanza

1

sociale che include lo Stato, ma non può essere mai

assorbito nel suo monopolio del potere. In tale nuove

concezione, sembra che la conflittualità pura non

trovi più spazio. Ciò corrisponde anche all'idea che

la forma nella quale identiiichíamo un elemento diconflitto costituìivo della politica è sempre indirettalè attraverso I'analisi della trasformazione dei rap'porti di potere indotti dalle resistenze, necessarie

peraltro à[a costituzione di quei rapporti, che iden'iifi.hiu-o quello che Foucault ha chiamato <<il ru'more della battaglia>> (Soraegliare e punire). Si può

dire che la sostanza della posizione di Foucault è

questa: il conflitto è irriducibile, ma non è maipuroo

^rroluto, estÍaneo a qualsiasi regola o a qualsiasi

gioco. E neppure rimane entro i limiti di unag,ón.Pa

[u.rto, tanló i soggetti quanto le società oscillano trlÀomenti di pluralismo, ó di riconoscimento delle dif i

f.etenze, e momenti di normalizzazione, che impon'gono modelli di condotta omogenei, costrittivi.

lstituzione del conflitto cotne rapporto asintmetrico

La nostra analisi non ci permette dunque di uscirtda17'apoúa. Ma ci fornisce un risultato filosoficamentlsignifìcativo: non abbiamo scoperto nessuna possibi'

liià miracolosa di identi{icare I'istituzione e il conr

flitto, o di ricondurre I'uno sotto I'impero dell'altrosenza privarlo di fatto del suo contenuto. Bisognldunquè rimanere all'idea di una democrazia conflitl'tuale, che si presenta come un otizzonte che indic't rggiiu.ottuttt.rn.nte davanti alla propria determl'

nazione. Ma ciò comporta anche alcuni insegna-rnenti positivi.

r. Lo schema politico-metafisico della sussun-zione d.i una materia in una forrna politica (ancoratttllizzato da Machiavelli) è inoperante. Il soloschema di cui ci si può servire è quello dell'unità d.eicontrari, o dell'equilibrio aleatorio, che oscilla ra iclue poli astratti di una cittadínanza senza conflittocivile e di un conflitto senza istituzione (che corri-sponde, in tutte le epoche, ai messianismi rivoluzio-nari o apocalittici).

z. Considerando questa oscillazione interminabileche deriva dall'unità dei contrari, siamo condotti ariformulare e a comprendere meglio il significato.lelle polarità inerential concetto di politica: insurre-zione e costituzione, potere costituente e costituito,Itrtte sociali spontanee e otganizzate ecc. Nessuna di(lueste formulazioni si identifica esa;ttameÍtte con le,rltre, in particolare perché provengono da storie filo-

',rfiche diverse (la tradizione rivoluzionaúa,le anti-nomie della cosffuzione statuale che intende incar-rrare la sovranità del popolo, le vicissitudini dellerivolte antiautoritarie ecc.). Ciò non impedisce però,. he abbiano in comune un rapporto caratteristico trarl possibile e i7 reale (o, come direbbe Hegel, l'effet-riuo).In ogni caso, passare dai possibile al reale signi-I ica anche passare da una cittadinanzadispersa a una;ittadinanza intensificata o attiv^ta, modificare lernodalità del conflitto per dargli una forma politica otlamutarlo in una formazione sociale storica.

E in questo senso che il conflitto è costitutivo,lclla politica: non esiste una forma unica e neppure

f30 r3r

Page 67: Balibar - Cittadinanza

tipica della conflittualità sociale e della SUa espr€s'

sióne politica. Per questo i modelli proposti da Ma'chiavélli (idea di potestà tribunizia del popolo mi''nuto o dei governati), da Hegel (idea di una lotta pefil riconoscimento da cui si fa derivare tutta una prùblematica sulla giustizia), daMarx (idea della lotta dlclasse come principio di sovversione dell'ordine sta'

tuale da parte dell'antagonismo sociale), da tX/eber

(idea di un dominio illegittimo che sottende i dominÍlegittimi), da Foucault (idea di una resistenza inttin's."ca ul pót.t., del quale deve ogni volta governare hpotenziàlità diautonomia) e anche da Schmitt (idea diun effetto di ritorno della distinzione amico-nemico,

sulla costituzione stessa della comunità politica) of'frono tutti qualche elemento per pensafe questa traisformazione incessante, che impedisce al politico ditrovare una forma de{initiva. L'impossibilità dell'istii 1'

tuzione del conflitto come soluzione del problemr,della cittadinanza democratica non impedisce cot'

munque che la storia della cittadinanzasia una storildi coÀflitto delle istituzioni, che evolve da una rego'

lazione a un'altra, a volte in modo progressivo (am*

pliando I'uguale libertà), a volte in modo-regressivo

iriducendo o eliminando le proprie possibilità, e duil"que la cittadínanza stessa).

Si può poi aggiungere che tutte quest€-figure- frc'qrr.nirt. dai filosofi hanno in comune il fatto di in'ùrivere nel conflitto che teoúzzano una fondamen'tale asirnrnetria: non c'è conflitto politico uguale, 0questo vale soprattutto per il conflitto per I'uguan

gliun u. La sinr-metria, sia essa degli awersari o dellc

lstanze dello spazio politico (la società, lo Stato),

contiene al suo interno un pericolo mortale di neu-tralizzazione della politica e della cittadinanza attivasressa. Lo si è visto nella storia del socialismo con-temporaneo , che inizia con lo sforzo del movimentooperaio (e della classe operaia) di uscire dalla sua po-sizione subalterna e dall'esclusione (rispetto ai dirittisociali elementari o alla rappreseîtanza politica) periìpprodare alla simmetria della lotta <<classe controclasse>> e soprattutto degli <<Stati borghesi> conrosli < Stati proletari> costituiti in campi simmetrici suscala internazionale. Buona parte delf interesse cherrlcuni teorici contemporanei che si richiamano allatlemocrazia radicale mostrano per Machiavelli, de-riva evidentemente dagli strumenti sia concettualisia simbolici che egli fornisce per pensare un diveniretlemocratico nel quale la simmetria è indefinitamente.lifferita.

Dobbiamo ora considerare, prendendo spunto dallatesi di \X/endy Brown sulla de-democr^tizzazioneoperata dal neoliberalismo, la costante difficoltà chetrggi incontra la cittadinanza a mantenere apertala,.lialettica ra istituzione e conflitto.

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Page 68: Balibar - Cittadinanza

IU'qj

Ricordiamo innanzitutto la tesi di Wendy Brown'(Neoliberalisrn and the End of Democracy): ra il libe'ralismo e il neoliberalismo c'è una diff.etenza fonda'mentale. L'autonomi a relativa della sfera economica

. ai q.ff"poliri.", insormontabile per il liberalismo'classi-co in quanto {.ondavaa sua volta la tesi dell'este',

riorità relativadello Stato - <<guardiano notturnot) o<<gendarme>> - rispetto all'economia, è ormai chiarr.m"ente obsoleta. bi .ottt.guenza, diventa possibilc

combinare la deregolazione del meîcato con perfiÍ'nenti interventi dello Stato o di altre agenzie del po'

tere nel campo della società civile e anche nelf intin

mità dei soggetti, interventi che tendono a creare un

cittadino completamente nuovo, unicamente govef'

nato dalla logica del calcolo economico. Lo Stato si

disimpegna dalla produzione, dalla manutenzioncdelle infiastruttur;, dai servizi sociali e dalla ricerca

scientifica, ma è più che mai impegnato in una <<an'

troponomia>> che tende a normalizzarcla societa,

*liizzandoa questo scopo la mediazione di tutta unrserie di organlzzazioni della società civile'

7.

Neoliberalismo e de-dem octatizzazione

L'argomentazione di V/endy Broun

Brown ci propone un ritratto delle combi nazionitli discorso libertario e programmi di moralizzazionec di sottomissione della vita privata ai dettami reli-riosi applicati più o meno brutalmente in Occidenterr partire dalla úvoluzione thatcheriana e reagarianadegli anni ottanta. Questa parte dell'analisi di Brown

lruò essere completata da altri conributi alla critica..lel paradigma neoliberale, provenienti da orizzontimolto diversi. Tutte le critiche si fondano comunquesullo studio del modo in cui vengono genemlizzatiicriteri di redditività ad attività private o anche pub-lrliche che, nel modello capitalistico classico, e amag-g,ior ragione nello Stato nazional-sociale, si presuppo-rreva che dovessero rimanere estranee al calcolocconomico: per esempio I'istruzione, la ricerca scien-tifica,la qualità dei servizi pubblici o le prestazioniJell'amminisrazione, il livello della salute pubblicac della sicurezza,la funzione gi:udiziaria (e l'elencopotrebbe continuare).

Ma non basta accordarsi su questa descrizione, biso-qna discutere la tesi filosofica a cui si accompagna, e

cioè: il neoliberalismo non è soltanto una ideologia,e una mutazione della î^t:ura stessa della politica,r,eicolata da attori che si collocano ín tutti i compartidella società. In realtà si tratta della nascita di unalorma altamente paradossale dell'attività politica,qrerché non soltanto tende a neutralizzare quanto piùpossibile l'elemento di conflittualità insito nella sua

ligura classica, ma vuole privarla preventivamente di,rgni significato, e creare le condizioni di una società

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Page 69: Balibar - Cittadinanza

in cui le azioni degli individui e dei gruppi (anchcquando sono violente) rientrano ormai in un unicocriterio: quello dell'utilità quantificabile. Non sitratta dunque tanto di politica quanto di antipolitica,di nettralizzazione o di abolizione preventiva dell'an.tagonismo sociopolitico. Per descrivere questa situa.zione, Brown propone di genenlizzare la categoria digovernamentalità, così come elaborata da Foucaultnel quadro di una genealogia del potere nell'epocamoderna, e di portarla alle estreme conseguenze:<<Questa {orma di governamentalità ... istituisce unsoggetto "libero" che decide razionalmente tra di.verse linee diazione, opera scelte e porta la respon.sabilità delle conseguenze di queste scelte. In talmodo ... "lo Stato dirige e controlla i soggetti senzlessere responsabile per essi"; in quanto "imprendi.tori" individuali in ogni aspetto della vita, i soggettidiventano interamente responsabili del loro benes.sere e la cittadinanzaviene ridotta al successo in que.sta attività imprenditoriale. I soggetti neoliberalisono controllati attraaerso la loro libertà, non sempli.cemente ... perché la libertà nel quadro di un regimedi dominio può essere uno strumento del dominiostesso, ma in virtù della moralizzazione delle conse.guenze della libertà. Ciò significa che il ritiro delloStato da alcune aree e lapúvatizzazione di certe fun-zioni statuali non corrispondono a un annullamentodel governo, ma piuttosto costituiscono una tecnictdi governo, anzí il sigillo tecnico della governanceneoliberale, nella quale l'azione economica nzionale,kradiata nell'intera società, sostituisce l'azione sta-tuale diretta di governo o normativa. Il neoliberali.

smo sposta "la competenza regolatoria dello Statoverso individui'respons abrli',' r azionali', fallo scopotlil incoraggiare gli individui stessi a dare alle lorovite una specifica forma imprenditoriale"> (\X/endylìrown, Neoliberalisrn and. the End of Demouacy).

Va rammentato cosa bisogna intendere per <(go-vernamentalità> in senso foucaultiano: si tratta ditutto I'insieme delle pratiche attraverso le quali uncomportamento spontaneo degli individui può esserenrodificato, il che corrisponde all'esercizio di un po-tcre sul loro potere di resistenza e diazione, o con ilricorso a metodi disciplinari (e dunque inevitabil-rìrente tanto costrittivi quanto produttivi), o con la,liffusione di modelli di comportamento etici, e dun-..1ue culturali. Perché sostenere che a tale riguardo ilrreoliberalismo sfida le definizioni tradizionali dellapolitica? Come giustificare questa idea di un supera-rìrento della politica di classe, nonché del liberalismostesso, superamento che Brown definisce <<de-demo-cratizzazione>>, e che costituisce una minaccia di mor-te anche per I'idea di cittadinanza attiva del repub-lrlicanesimo classico? La risposta è che il neolibe-lalismo, secondo Brown, non si è accontentato di:rgire nel senso di una itkata del politico, ma si èirnpegnato a ridefinire il politico stesso tanto sul suoversante soggettivo quanto su quello oggettivo. Poi,'hé le condizioni di possibilità dell'esperienza poli-tica collettiva, i condizionamenti economici che pe-sano su un numero crescente di individui di tutte le, lassi sociali, e il sistema di valori o le concezioni dellrene e del male in base alle quali gli individui giudi-r ano le proprie azionivengono chiamati in causa con-

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Page 70: Balibar - Cittadinanza

temporaneamente, Brown può padare di una <<nuova

ruzionalità>> nel senso filosofico del termine.Una simile genemlizzazione solleva tuttavia di'

versi problemi.In primo luogo, bisogna guardare da vicino la dia'

gnosi della crisi che investe i sistemi politici tradizio'nali, liberali o autoritari. L'analisi di Brown implicrche questa crisi non sia un semplice episodio di ma'lessere in un processo ciclico, come già se ne sono

visti numeroii, -a un fatto irreversibile, dopo ilquale non sarà più possibile ritornare a modalità diazione precedenti. Anche concordando su questopunto, ci sono però almeno due modi di interpretarele figure della soggettività che ne derivano.

In una prima ipotesi, si ratterebbe di un sintomonegativo, corispondente alla decomposizione di sffut'ture tradizionali di dominio e di resistenza al dominio(anche se la tradizione di cui parliamo di fatto è dlorigine recente, cioè un prodotto della modernizze'zione delle società industriali). Di per sé, questa de'

composizione non porta a nessuna forma di vita insocietà che sia sostenibile, porta piuttosto a una situe'zione instabile (che si potrebbe definire <<anomicar

secondo la scuola durkheimiana, o descrivere in ter'mini di <(stato di eccezione>> in una prospettiva sch'

mittiana), nella quale diventano possibili, in modo

imprevedibile, gli sviluppi più contraddittori.-Btort, in accordo con l'idea foucaultiana dellr

produttività o della posítività del potere, propendcpiuttosto per un'altra interptetazione: non si trattatanto di una dissoluzione quanto di una inaenzionc,quella cioè di un'altra soluzione storica ai probleml

dell'adattamento dei sogge tti ù capitalismo, owero del-1' a deguamento del comportamento indivi daale allapolitica del capitale. L'ipotesi che desuivevamo piùsopra, quella di una crisi della cíttadinanza sociale inquanto modello di configurazione del politico - crisiche non deriva soltanto dalla rivincita dei capitalisti,o dal deterioramento del rapporto di f.orza tra il so-

cialismo e i suoi avversari, ma anche dallo sviluppodelle contraddizioni interne alla cittadinanza socia-le -, rivela in questo quadro tutto il suo significato.Una simile ipotesi può indurci a concepire la possibi-lità di regimi politici che non sono soltanto ntediocre-rnente demo*atici (nei limiti compatibili con una ri-produzione delle strutture di disuguaglianza: ciò chelloaventura de Sousa Santos chiama <<democrazia a

bassa intensità>), o antidemouatici (sulmodello delledittature, dei regimi autoritari o del fascismo sto-rico), ma, inrealtà, aderuocraticl, nel senso che i va-lori inerenti alle rivendicazioni di diritti universaliz-zabili (che abbiamo riunito sotto il nome di egalibertà)non svolgono pir) nessun ruolo nel loro funziona-mento e nel loro sviluppo (neppure in quanto f.orue diresistenza o di contestazione).

È per questo motivo che il discorso sui valori de-rnocratici e la diffusione della democrazia (o della sua

csportazione) è diventato così invasivo ai giorni no-stri? Ufficializzato ebanalizzato, questo discorso nonira più nessuna funzione discriminante, ed è partei ntegrante della decomposizione della cittadinanza.Se un simile cambiamento è effettivamente in corso,bisognerebbe parlare dell'ingresso in una poststoriac al tempo stesso in una postpolitica, da prendere

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Page 71: Balibar - Cittadinanza

molto più seriamente delle visioni di fine della storiapopolaúzzate da Francis Fukuyama al momento delcrollo del sistema sovietico in Europa, che si fonda-vano al contrario sull'idea di un trionfo del liberalismo nella sua forma classica.

Ma non è affatto certo che la discussione possa li.mitarsi a questa diagnosi. Per un verso si pone laquestione se I'interpretazione del fenomeno di de-democratizzazione non rifletta una particolarità del-la società e della storia americana che non è gene-ralizzabile: Brown stessa indica che la sua analisi sifonda sul valore pandigmatico del caso ameticano.Si è tentati per I'appunto di ricondurre il tipo di ana-lisi sviluppata da Brown al,fatto che gli Stati Uniti - perragioni geopolitiche (l'egemonia che hanno eserci-tato nel mondo capitalistico durante attala secondametà del xx secolo) nonché culturali (che risalgonoalle origini della loro ideologia della frontiera, e dun-que al loro carattere di società individualistica colo.niaie) - non sono stati il luogo tipico di formazionedella cittadinanza sociale e dello Stato nazional-so.ciale (malgrado I'importanza delle tendenze egualita.rie sottolineate da Tocqueville e I'intensità dellelotte di classe nel periodo del New Deal, che oggi sitendono a dimenticare). In particolare, negli StatiUniti il principio dell'universalità dei diritti socialinon è mai stato riconosciuto. Al contrario (come in-dica tra gli altri Margaret Somers, Genealogies of Cit-izenship), le oscillazioni tra fasi di regolazione e dideregolazione sono state straordinariamente brutali.Owiamente non si può rimproveîare

^ Brown di non

aver tenuto conto in anticipo della crisi finanziaia

che, a partire dal zoo8, rivela I'esistenzadifattori diinstabilità e di contraddizioni radicali nel cuore delmodello neoliberale thatcheria n o -r eaganiano (adot -

tato più o meno integralmente dalle politiche di<<tel:,avia>> che gli sono succedute). In realtà oggi consta-tiamo non una stabilizzazione del capitalismo con-temporaneo, bensì una crisi perffianente o una crisicome stato normale. Cosa che ci riporta tendenzial-mente all'altra ipotesi di interpretazione: quella diun sintomo di dissoluzione.

Il saggio di Brown, va ricordato, nella sua forma ori-ginale è del zoo3. Precede dunque le riflessioni piùrecenti di economisti critici sulla costituzione di unasocietà interamente fondata sull'indebitamentocome pure le reazioni politiche provocate dai primisviluppi della crisi. Per esempio, Fréderic Lordon mo-

stra come si intrecciano, a partire dagli Stati Uniti, lapolitica dititolaúzzazione dei crediti insolvibili, chepermette di ottenere le superendite degli investi-menti finanziari, e la liberalizzazione completa delcredito al consumo, che permette di trasformare indebitrici avitale famiglie senza redditi stabili. Conlo sviluppo delle crisi dei debiti sovrani in Europa, e

in particolare in Grecia, questa esposizione al rischiofinanziaúo viene a colpire gli Stati e la loro capacitàdi governo. Il che ci poît^ a esaminare un'altra diffi-coltà che incontrano le critiche della novità neolibe-rale in quanto origine dell'antipolitica, nella misurain cui assegnano all'idea di de-democratizzazioneuna dimensione apocalittica.

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Escatologie positiue e negatiae

Quello che colpisce sono le analogie percettibili, a

circa un secolo e mezzo di distanza, tra le tesi diWendy Brown e quello che potremmo chiamarel'<<incubo di Marx>. Sappiamo che nel sesto capitoloinedito del Capitale, poi non incluso al momentodella pubblicazione (r8ó7) nel libro I dove dovevafigurare, Marx aveva abbozzato la definizione di<<sussunzione reale> (o <<sottomissione teale>>, reale

Subsuntion) della f.orua lavoro al rapporto capitali'stico. Perché Marx decise di mettere da parte questaanalisi, dal momento che portava alle estreme conse- ,

guenze una ipotesi centrale della sua analisi del capi.tale in quanto îapporto sociale? Probabilmente perragioni sia politiche sia scientifiche. Ne sarebberoinfatti derivate implicazioni disastrose per I'idea di 'una politica proletaria. Abbandonando qualsiasi pro-spettiva di oryanizzazione rivoluzionaria e di co.scienza collettiva della classe operaia, Marx avrebbedovuto ripiegare sull'alternativa tr^ un deperimentodella politica e una soluzione messianica prodottadall'annientamento delle condizioni della politica, da

cui si era andato viavia allontanando a partire dallesue consideruzioni giovanili sulla decomposizionedella società civile-borghese. La <<sottomissione re'ale> prospettata da Marx nel sesto capitolo ineditosignifica che il capitalismo non è soltanto un sistema

di consumo della forza lavoto, il cui obiettivo è mas'simizzarc la produttività attraverso lo sviluppo divari metodi di sfruttamento degli operai o di estor'sione di pluslavoro, ma diventa un sistema di (rùpro-

tluzione delk foua laooro stessa in quanto rnerce, chetende a plasmarne le qualità per renderle utúizzabilie gestibili in un sistema di produzione determinato,condizionando le capacità, i bisogni e i desideri degliindividui. Sappiamo che Marcuse, in L'uorno 4 uflttcliruensione, ha tentato di fornire il corrispettivo psi-cosociologico di questa tesi marxiana, sostenendoche la previsione molto generale di Marx era ormaientrata nella realtà quotidiana, in particolare nellaciviltà dei consumi di tipo americano.

In questo caso, la visione di Marx è indubbia-mente apocalittica: I'estinzione della politica, dimen-sione costitutiva della storia passata, è il prodotto diuna logica economica spinta all'estremo. In modoanalogo, il discorso sulla de-democîatizzazione, oggiispirato a Foucault, considera lo stesso fenomeno co-

me il risultato di una determinata logica di potere e

<lell'invenzione di una nuova mzionalità culturale.Chiaramente entrambe le rappresentazioni sono os-

sessionate dalla questione di come le società moderneproducano la seruitù uolontaria: non - secondo la de-?iniriorr. classica di Étienne de La Boétie (Discorco

sulla seruitù uohntaria) - in quanto effetto del fascinoesercitato da una figura sovrana dell'autorità (l'Unoo il Monarca), ma in quanto effetto ruzíonale o razio'nalizzabiledi tecnologie anonime, di micropoteri e dicomportamenti quotidiani sia dei dominanti sia deidominati, collocati all'interno di una determinatanormalità. Di qui il cortocircuito che si viene a pîo-durre tra le analisi della quotidianità e le analisidell'eccezione (o dello stato di eccezione).

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Page 73: Balibar - Cittadinanza

Per questo vediamo nella teoria critica contempo,ranea un generale ritorno ai temi apocalittici, ispiratida una cefia tradizione marxiana o anche da riferi.menti del tutto diversi: dall'idea che la storia ormaisi^ entîata nel regno del simulacro ontologico o delvirtuale, all'idea che la politica, uasformata in bio-politica, abbia assunto una dimensione autodistrut-tiva che fa della nuda vita l'orizzonte di ogni assogget-tamento al potere. Sono le tematiche, rispettiva-mente, diJean Baudrillard e di Giorgio Agamben. Inun certo senso, Michael Hardt e Toni Negri (lrnperoe poi Mohitudine e Cornune) rappresentano il tenta-tivo più interessante di rovesciare in positivo questitemi apocalittici, a partire da un'interpretazione delvirtuale come immaterialità del lavoro, ma al prezzodi una estensione illimitata della categoria del biopo-litico. L'analisi dei processi storico-politici in corso siffova dunque a essete intrappolata tra due escatolo-gie, una nichilistica el'alúaredentrice. Si è reticentia richiamarsi ancora alle lezioni analitiche di Machia-velli, di Marx o di Weber.

Ma la questione dei processi contemporanei di de-democratizzazíone rende necessarie altre conside-mzioni che appaiono cruciali nella prospettiva cheabbiamo assunto di una decomposizione dello Statonazional-sociale, che la si veda come un fenomenoindividualizzabile o come una situazione di crisiemergente sfruttata a proprio vantaggio da determi-nate fone. E innegabile che esista un legame intrin-seco tra I'inversione del corso della rivendicazionedemocratica e I'intensificazione delle procedure dicontrollo dell'esistenza individuale, della mobilità

geografica, delle opinioni, dei comportamenti sociali,procedure che ricorrono a tecnologie sempre più so-

fisticate, a livello territoriale o comunicativo, nazio-nale o transnazionale. Gilles Deleuze a questo propo-sito ha parlato, nel saggio omonimo, della costituzioqedi una <<società del controllo>>. Pensiamo alle tecni-che di <<marcatura> e di <<schedatura>> degli individuidenunciate in particolare da Agamben. Queste tecni-che si stanno estendendo a una sorta di censimentogeneralizzato, in tempo reale, degli utenti di Internet(anche con la collaborazione dei social network comeFacebook e Twitter, che cominciano a vendere i pro-fili degli utenti alle società commerciali). Ma pen-siamo anche ai metodi di classificazione psicologicaapplicati all'osservazione dei bambini dal punto divista della loro <<pericolosità> futura, che in Franciasi è proposto di generalízzare nelle scuole (non senza

suscitare polemiche), o alle nuove forme di diagno-stica psichiatrica comportamentale adottate a detrimento della diagnostica clinica. Sono tecniche tantopiù distruttive in quanto minacciano la <proprietà dise stessi>>, che costituiva il fondamento della soggetti-vità del cittadino classico.

D a I I' indioidua lisn o a I p opu lisrno

Soprattutto non va dimenticato che esiste unacontropartita positiva allo sviluppo di queste proce-dure di controllo: ma che in un certo senso non è

meno incompatibile con la forma politica della citta'dinanza. Si tratta dello sviluppo di una nuova etica

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rL

individualistica della <<cura di sé>> (self-carò, in base

alla quale i soggetti devono moralizzarc la propria '

condàtta sottomettendosi al criterio della massima I

utilità o del divenire produttivo della loro individua'lità. Non si sottolinea mai abbastanza che Foucaultnei suoi ultimi anni ha sviluppato ironicamente iltema della cura di sé, al tempo stesso in un ultimogesto di rottura con la sua formazione filosofica gio-

vanile e in una prospettiva critica rispetto alla proli-ferazione che vedeva delle <tecnologie del sé>>. Non '

tenendo presente questo elemento, si rischia di asse' r

gnare abusivamente I'opera di Foucault all'eticaneoliberale, postpolitica. E la posta in gioco di unabattaglia tra diverse eredità che a lui si richiamano.Foucault non è certo un socialista, ma non per questo

,

il suo individualismo radicale può essere fatto rien'trare in una dimensione di utilitarismo (che d'al' itronde è a suo modo una forma di conformismo, se

non di collettivismo, in quanto la sua molla è il com' ,

portamento imitativo dei consumatori e deglispeculatori).

Il riconoscimento del lato oscuto di questa eticamette in evidenza quello che Castel ha definito <<in-

dividualismo negativo>>, associato secondo lui allosmantellamento e alla rovina delle istituzioni di sicu-

rezza sociale e delle forme di solidarietà o di socializ'zazione che rendevano possibile l'affiliazione degliindividui, attraverso le generazioni, a una comunitàdi cittadini. L'individuo < disaffiliato >> (o << disincor-porato>>) - per esempio un giovane proletario senza

lavoro né prospettive di un lavoro stabile, migranteo meno - è un soggetto a cui vengono indirizzate

continuamente delle ingiunzioni contraddittorie:deve comportarsi come un imprenditore di se stesso

secondo il nuovo codice dei valori neoliberali, dimo-strando così un'autonomia di cui tutte le condizionidi possibilità gli sono contemporaneamente negate o

inaccessibili. Suzanne de Brunhoff ha ricordato che

si deve a Friedrich Hayek la riformulazione del prin-cipio dell'óonto oeconomicus nella forma: ogni indi-viduo deve comportarsi come una piccola banca.Wendy Brown da pane sua riprende I'idea di unarazionalità neoliberale che incoraggia gli individui a

<,dare alla propria vita una forma imprenditoriale>.E lecito chiedersi se lo sviluppo della cittadinanzaetica e del volontariato che, per esempio in Italia,tende a compensare, a livello locale, lo smantella-mento della sicurez za sociale rifacendosi in molti casi

alle tradizioni di carità e di solidarietà cattoliche e

anche comuniste, basterà a invertire le tendenze incorso, soprattutto se aggravate da un peggioramentodella congiuntura economica e uno spostamentodelle attívità produttive verso altre regioni dell'eco-nomia-mondo.

Da tutto ciò nasce la disperazione, ma anche unae strema violenza contro se stessi e contro gli altti: laviolenza della sualorizzazione. E nasce anche una ri-cerca di comunità compensatorie, spesso fondatesull'immaginario dell'onnipoteîza collettiva (o,

come direbberoJacques Derrida e Roberto Esposito,de11'<<autoimmunità>). Comunità del genere sono a|-

trettanto negative e impossibili delle individualitàprodotte dallo smantellamento della cittadinaîza so-

ciale e di quello che sono diventate tendenzialmente

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le comunità statuali. Possono essere costruite su baselocale, nella forma di <bande> etnoculturali o micro.tenitoriali. Oppure possono proiettarsi in uno spaziomondiale, attraverso le reti di comunicazione che lecontrollano mentre vengono utilizzate, globaliz-zando I'immaginario religioso o razziale (postcolo.niale). A meno che a dialettizzarc le loro forme diopposizione non intervengano rivolte locali sponta-nee (ma che comunicaîo tîa loro nella rete di Inter-net e fanno tesoro dell'esperienza delle generazioniprecedenti di militanti).

Si ripropone qui anche la questione delle formeche assume e deila funzione che svolge il populismonello spazio politico contemporaneo. Ernesto Laclau(La ragione populista) ha ragione a sostenere che ilpopulismo in generale non va stigmatizzato o assimi-lato al fascismo: non soltanto perché ricorrendo a

questo termine tipicamente proiettivo in genere sivuole ostacolare la panecipazione delle masse allapolitica, ma perché in un certo senso, bisogna am-metterlo, non ci sarebbe popolo in politica senza unpopulismo, così come non può esserci nazione senzanazionalismo o comune senza comunismo. In tuttiquesti casi, è l'ambivalenza di questi nomi assegnatialf'azione collettiva che costituisce un problema. Al-cune forme di populismo, malgrado la loro equivo-cità o forse grazie a essa, appaiono come la condi-zione di una generalizzazione del discorso politicoche supera (o integra) la particolarità delle rivendica-zioni proprie a diversi movimenti di emancipazioneche mettono in discussione una molteplicità eteroge-nea di forme di dominio. Questa è la tesi di Laclau,

che tenta di riformulare così quello che Gramsci ave-

va chiamato <<egemonia>>. Laclatt ne fa il concettostesso della politica democratica, e se ha ragione suquesto punto bisognerà ammetteîe che lo spettro delpopulismo ha sempre abitato la dialettica tra insurre-zi6ne e costituzione, per il meglio e per il peggio. Èpiùr che possibile. E forse è, a ben vedete, una delleragioni che portanoJacques Rancière a diffidare dialcune conseguenze o impieghi della sua formula che

definisce la democrazia come <<rivendicazione daparte dei senza-parte>>.

Ma ci si deve porre anche la questione opposta,alla quale non esiste una risposta universalmente va-

lida al di fuori delle congiunture: a quali condizioniuna modalità populista di identific azione con la co-

munità assente, o comunità immaginaria, diventa(e rimane) un quadro di mobilitazione a favore diobiettivi democratici? Cosa distingue I'uguaglianza(o l'egalibertà), anche utopica, da una logica di equi-valenza ra i discorsi e le immagini di cui si servonodifferenti gruppi per identificarsi in uno stesso

blocco di potere? Quando ci si dirà, al contrario, che

il populismo in quanto <finzione di comunità> è

semplicemente lo schermo su cui vengono proiettatele compens azioni o le rivincite immaginarie figliedella pauperizzazione o della desocializzazione, dellaproduzione di <individui negativi>, della stigmatiz-zazione e dell'esclusione dei portatori di alterità o diestraneità? Ma si può dire che i due termini dell'al-ternativa si presentino mai veramente separati, dimodo che la pratica politica collettiva non si rovi a

doverli dissociare praticamente, dando prova di una

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capacità di mobilitazione e una capacità dí civilizza.zione grazie a un immaginario determinato dallacittadinanza?

Cri s i d e I la rapp re s e n tan z a e << c o n tro d.en o c ru zi a >>

Non è possibile separare una discussione sugli ef-fetti ambivalenti dell'intreccio tra afÍiliazione e di.saffiliazione, inclusione comunitaria ed esclusioneinterna, individualismo negativo e positivo, da quellasulla crisi della rappresentanza nei sistemi politici con-temporanei. Incontriamo qui un altro aspetto delletrasformazioni del politico che si possono attribuireal neoliberalismo. Sono state scritte miglíaia di pa.gine a proposito di quello che probabilmente è diven.tato il luogo comune privilegiato della scienza politicacontemporanea. Non tutte le àîgomentazioni sonotrascurabili, anzitutt'altro, dal punto di vista di unacritica della politica nell'era della <fine della poli-tica>>. Sarebbe infatti affrettato, e riduttivo, come inuna certa vulgata marxista (o roussoviana), confon.dere la questione della rappresentanza in generalecon quella del parlamentarismo, che ne costituiscesoltanto un aspetto e una forma storica possibile.

E in quanto garanzia dei sistemi politici pluralistiche la rappfesentanza patlamentare è stata pfesen.tata dalla scienza politica liberale come pietra ango-lare della democrazia, in opposizione alle diversevaúanti di totalitarismo che cercano di incarnareI'unità organica della comunità in un mitico <<popolodel popolo>: la nazione o la razza o la classe. A que-

sto proposito possiamo tentare di completare e diattialiizarc le argoment azioni avanzate nei capitoliprecedenti. L'interesse del lavoro di Pierre Rosan-vallon (La Contre-d.ernocratie), per esempio, sta nellostudio sistematico dei presupposti e dei limiti dell'ap-plicazione della rappresentaîz parlamentare, in par-

ticolare nel caso francese. La sua ricerca porta Ro-

sanvallon a tentaîe di incorporare nella democtaziaparlamentare, sostanzialmente incompiuta, tutte leforme di <<controdemocrazia>> fondate sulla parteci-pazione diretta dei cittadini all'amministrazione o

alla decisione, in quanto meccanismi correttori, com-pensatori della sfiducia dei cittadini (o della perditadi legittimità della rappresenta nza parlamentare).Esattamente opposta è la posizione di teorici comeYves Sintomet (II potere al popolo) o James Holston(Insurgent Citizenship), i quali, a p^îtiîe da esempiprovenienti sia dal Sud sia dal Nord (i <giurì di citta-dini> di Berlino, i <bilanci partecipativi> di PortoAlegre, le <<municipalità di squatter>> di San Paolo),t".riano di esplorare le vie concrete di una <<cittadi-

nanza insorgente>> (insurgent citizenship), di cui I'isti-tuzione rappresentativa è soltanto un polo, anche se

indispensabile. D'altra p^rte, è proprio in quantomeccanismo di espropriazione della capacità politicadiretta dei cittadini (la loro competenza generale, illoro diritto allaparola,la loro capacità di decisione:tutto ciò che Aristotele chiamava la <<magistratura

illimitata>), che la rappresentafiz^ è stata criticata inquanto tale dal comunismo e dall'anarchismo.

La crisi del parlamentarismo comunque non ha

niente di nuovo, e alcuni dei suoi sintomi sono anti-

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Page 77: Balibar - Cittadinanza

chi quanto la sua nascita (in particolarela corruzionedei iappresentanti del popolo che si trovano nellaposiziòne di intermediaù tra i loro rnandatari, igruppi di interesse economico, le amministnzioni e iéetèntori del potere statuale, e le reazioni antipatla'mentari, cosiddette per I'appunto populiste, che la

corruzione genera). Viene da pensare ai rotten bor'ougbs della storia parlamentare inglese del xvrrr se-

colo quando si leggono gli sviluppi della vicenda delle

appr opúazioni indebite di parlamentari brit annici.O all'aÍf.aredi Panama (r8gz) quando si scopre che ipartiti politici francesi di destra e di sinistra sono

itati fiianziati dalle <( retrocommissioni >> sul traf f icod'armi o sullo sfruttamento petrolifero in Africa onel Sud-est asiatico.

Ben più interessante, dal punto di vista di una ri-flessioni sulle antinomie della cittadinanza, sarebbe

una discussione sulla crisi d'ella rappresentanza inquanto tale, al di là del meccanismo parlamentare, e

èioè come capacità collettiva dei cittadini di delegare

il loro poterè a dei rappresentanti ai diversi livelliistituziònali in cui si concretizza il bisogno di una

funzione pubblica (quello che gli antichi chiamavogiustamente una <<magistratura> o un <ufficio>), e dicontrollare i risultati di questa delega. Perché talecapacità di delega fa palte dei diritti fondamentalidel cittadini <liberi e uguali> inventati o generaliz-zati dalla modernità attravetso le rivoluzioni bor-ghesi (Nadia Urbinati, Dernocrazia rappresentatioa).

in altri termini, bisogna ritotnare, in una prospettivademocratica , cioè dal basso, allaquestione fondamen-

tale che Hobbes, aLl'alba della filosofia politica mo-

derna, poneva in una prospettiva dallaho, dal puntodi vista cioè di una completa identificazione trala<,sfera pubblica> (comnonweabh) e la potenza so-vîanai la questione cioè di una procedura collettivadi acquisizione della potenza nella forma del suo tra-sferimento, o della sua comunicazione.Il che cori-sponde a ritrovare la dialettica tra potere costituentee potere costituito, tra insurrezione e costituzione,ma questa volta al di là dello Stato, o meglio per sot-trazione al suo monopolio politico piuttosto che conil riconoscimento della sua posizione di fondamento.Non è possibile fissare a priori nessun limite e nes-suna {rontiera interna a questa dialettica che rimettefondamentalmente in discussione il postulatodell'<ignoranza delpopolo>. Il popolo che non si ac-contenti di eleggere i propri rappresentanti, ma licontrolli effettivamente, è necessariamente il deposi-tario di una competenza, e non soltanto di un'opi-nione. Non dimentichiamo che nella tradizione re-pubblicana un insegnante, un poliziotto o un giudice,che siano o meno funzionari dello Stato, sono deirappresentanti del popolo quanto un deputato, postoche le modalità della loro selezione e gli effetti dellaloro azione possano essere sottoposti a un conffollodemocratico (il che, va riconosciuto, si realizza inmodo molto disuguale). Ma una simile rappresen-tanza eîtîa a far pafte di una costituzione di cittadi-n nz^ soltanto se, da parte loro, i cittadini in quantomassa hanno una reale capacità di discussione e digiudizio sull'azione dei << magistrati>>.

La crisi dell'istituzione politica definita con il ter-mine generale di <de-democratizzazione>> non consi-

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ste dunque soltanto nella svalorizzazione di questa oquella forma di rappresentanza, ma nella squalifica-zione del principio stesso della rappresentanza. Per-ché da un lato si presuppone che la ruppresentanzasia diventata inutile, ktazionale, a fronte dell'emerge-re di forme di governance che dovrebbero consentiredi ottimizzare i programmi sociali e le procedure diriduzione dei conflitti, sempre che si considerino utili,e dall'altro lato si proclama più che mai che la rappre-seflt^nza è una forma politica impraticabile, perico-losa, nella misura in cui la responsabilità del citta-dino soggetto si definisce innanzitutto in termini diconformità rispetto alla norma sociale o di devianzada controllare, ma in nessun modo come qualcosa chesi deve esprimere o lasciar esprimere dandole voce (ilche equivale a dire che l'<<odio della rappresenta'nza>è anche una forma di <odio della democnzia>>). Lagovernance neoliberale non si interessa alla riduzionedel conflitto in quanto tale: al contratio, tende a re-legarlo in zone marginali perché (momentaneamente)

non sfruttabili, dove sono stipati gli <<uomini usa egetta>> (Bertrand Ogilvie, L'Honzrne ietable). Piutto-sto che a riduffe il conflitto, questa governancetende a strumentalizzatlo, e dunque a esacerbarlo, inalcune zone, e a cúminalizzarlo, e dunque a reprimer-lo, in alre. In tal modo il conflitto in ultima istanzaviene al tempo stesso individualizzato e rimosso, e inogni caso spogliato a forua del suo ruolo costituente,che implica I'accesso di tutti gli antagonismi e deiloro portatoi alla sfera pubblica.

B.

Democratiz zarc la democt azia

Nelle pagine precedenti abbiamo utilizzato piùvolte 1'espressione <<democratizzazione della de-mocrazia>>. E un'espressione che oggi viene adottatada teorici molto diversi tra 1oro, dai sostenitori della<<terza via>> tra liberalismo e socialismo (AnthonyGiddens, Ulrich Beck) ai poîtavoce dell'altermondi-smo (Boaventura de Sousa Santos). Ma I'espressioneha origini più lontane, e può indicare il movimentoche, ricollegandosi alla genesi insurrezionale dellacittadinanza (la magistt^tuta illimitata del popolo,la proposta dell'egalibertà, la rivendicazione del <diritto ai diritti> contro I'esclusione in tutte le sueforme, la <<funzione tribunizia> dei conflitti e dellelotte), le conferisce la forma di un divenire istituzio-nale. Un'espressione che si presenta anche come ilnome generico di una resistenza attiva ai processi dide-democratizzazione in corso, che costituiscono unrnodo di richiudere la storia della cittadinanza e delconcetto della politica che essa designa. Dunque èarrivato il momento, in conclusione di questo saggio,di tentare di sintetízzare tale prospettiva.

Per cominciare, ritorniamo alla questione di par-tenzai perché associare strettamente le nozioni di

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cittadinanza e di democrazia, in un momento in cuila loro rclazione sembra portare soltanto a problemisenza soluzione? E il paradosso non si amplifica ul-teriormente nella misura in cui il termine <<democra-

zia>> si è completamente banalizzato, arrivando a

coprire praticamente tutte le politiche interne edesterne (e tutte le <polizie>), e coincide in partico-lare con I'esaurimento delle capacità e delle virtùtradizionalmente associate con la figva storica delcittadino? Bisogna allinearsi con questo consensoverbale in nome di una democrazia vera, o di unaessenza della democrazia che va titrovata, contro lesue perversioni e le sue versioni rattrappite? Sotto lacopeîtura di una terminologia dominante che ha fi-nito per soppiantare tutti i nomi dell'emancipazioneo della resistenza all'ordine costituito, si tratta dicontrabbandare qualche altra categoria (come socia-lismo, o addirittura comunismo, ma anche populi-smo o nazionalismo)? Oppure, al contrario, si devetentare di ribaltare il significato dominante? Bisognariconoscere che sono tutte domande legittime, e leproposte

^v^nzate in questa conclusione vanno viste

come delle sperimentazioni sul senso delle parole e

la libertà del loro uso. La situazione si complica ul-teriormente se si ammette, come abbiamo fatto inprecedenza, che alcuni dei problemi cruciali dellademocrazia (in particolare quello della distanzaflut-tuante tra pluralismo e conflitto) riguardano an-che la tradizione liberale, e che di conseguenzanon è possibile tracciare una linea di demarcazionenetta tîa i due atteggiamenti civici democratico e

liberale.

È ,r.to che oggi una critica dell'ordine costituito,diretta in particolare contro la concentrazione delpotere nelle mani di una oligarchia finanziaria, puòavere ottime ragioni di di{endere il liberalismo, o disostenere che il riferimento dominante alliberalismosi è ormai rivolto contro gli obiettivi indicati dai suoiteorici classici (si tratti di Tocqueville, di StuartMill, o anche di Montesquieu o di \X/eber). Per unverso, si può constatare una svolta autoritatia o sicu-ritaria nel funzionamento dei regimi che si presen-tano come democrazie liberali, svolta che colpisce altempo stesso I'esercizio dei diritti civili e il plurali-smo, che aveva costituito il punto d'onote del libera-lismo come società apeîta (Karl Popper, La societàaperta e i suoi nemici): basti pensare alle leggi e alleprocedure di eccezione negli Stati Uniti dopo I'rrsettembre 2 oo r , o alle restrizioni generaliz zate al di-ritto di libera circolazione e alla invenzione di popo-lazioni <illegali> di fronte ai flussi migratori (Ales-sandro DalLago, Non-persone). Per un altro verso,all'interno del liberalismo ufficiale si ricostituisconole tematiche del conservatorismo sociale e politico(come quella dell'< individuo pericol oso >> analizza-ta da Foucault), in nome della di{esa della società e

della moltiplicazione dei rischi, il che porta a con-fondere di nuovo le categorie del delinquente e delribelle o dell'indignato. Allo stesso modo, il pluralismo viene messo in discussione in nome della sua

difesa, in particolare in campo culturale e religioso,spesso riattivando la vecchia idea secondo cui la li-bertà non deve favorire i nemici della libertà. Buonaparte delle ideologie critiche storiche (in particolare

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il marxismo) è criminalizzata. Ma soprattutto, a par-tire dalla tesi di Samuel Huntington (Lo scontro d.ellc

ciaihà e il nuouo ord.ine mondiale), secondo cui la pa-

rola d'ordine apparentemente conciliante del multiculturalismo nascondeva in realtà uno scontro di ci-viltà potenzialmente distruttivo per i valori occi-dentali e la libertà individuale, una buona parte dellereligioni universali (e in primo luogo I'islam) si ri-trova esclusa apriori dalla molteplicità delle opinionitollerabili nello spazio pubblico (e a maggior ragionedalle fonti legittime della partecipazione politíca).L'ondata di intolleranza è chiarumente mondiale, e

anche se su questo terreno I'Occidente non è sicura-mente in prima fila, è lui che pretende di diffondereil modello di una società democratica.

La crisi del liberalismo (che come abbiamo vistoviene presentata da molti nella forma dell'awento diun neoliberalismo) non è estranea dunque alle rifles-sioni sui rapporti tra cittadinanza e democrazia, anzici riporta direttamente a essi; ma ci suggerisce di in-serirli in una prospettiva strategica, piuttosto che inu na pro spet tiva co s titu zionale e s s enzializzant e, pro-pria della vecchia tradizíone della tipologia dei re-gimi politici, che risale a Platone e Aristotele e cheoggi si è spostata sull'opposizione tra democrazia e

totalitarismo. La pada <<strategia> non vuole essere

un espediente, un gioco retorico o un semplice rove-sciamento dell'uso delle categorie contro il loro im-piego dominante (come avveniva, in una certa mi-sura, nella tradizione marxista quando si parlava diconquista della democrazia), ma piuttosto un tenta-tivo di comprendere il senso dello spostarnento pet-

rnanente dei riferimenti istituzionali del termine de-mocrazia. Si tratta dunque di un tentativo di farevolvere I'uso dominante del termine, prendendo sulserio le alternative storiche che indica. E più che le-cito non credere a una essenz^ etetna della cittadi-nanza, la cui forma sarebbe stata <<invetrtata>> unavolta per tutte dalla rivoluzione dei diritti dell'uomo,e sostenere che esiste un filo conduttore tra un uso e

l'altro della cittadirlanza, come pure un legame tra imovimenti di democratizzazione della democraziache si mani{estano oggi (per esempio il movimentodegli indignados spagnoli, o quello deila <<primaveraaraba>>, o di occupy \Y/all Street) ela <<ffaccia> lasciatadalle insurrezioni del passato, comprese quelledell'antichità. Le insurrezioni del passato costitui-scono in un certo senso dei condizionamenti simbo-lici che sovradeterminano i condizionamenti ma-teriali delle situazioni attuali (in particolare lesituazioni sociali). Per questo, I'abbandono dei ter-mini di <<democrazia>> e di <<cittadinanza>> non corri-sponderebbe tanto a un rinnovamento della politicaquanto a un ripiegamento di fronte ai compiti a cuila politica si trova di fronte oggi per individuare leforme di autonomia collettiva adeguate alle condi-zioni della globalizzazione. Su questo punto si puòessere d'accordo conJacques Rancière, che dimostraf indissolubilità del rapporto tra concetto di politicae concetto di democrazia. Ma da Rancière ci si deveseparare (o inserire le sue intuizioni radicalmenteegualitarie in un quadro più dialettico) affermandoche l'antipolitica (a cui Rancière, giocando abilmentecon l'etimologia, riserva il nome di <polizia>) non è

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una realtà estranea alla politica (e dunque alla demo-crazia), ma una sua controtendenzainterna, da cui lademocrazia tenta continuamente di dissociarsi e dif-ferenziarsi. È la realtà del conflitto interno, le cuiforme evolvono in continuazione, che giustifica ainostri occhi il ricorso alla cittadinanza, in sovrappiùdella democrazia, o meglio in stretta correlazionecon questa.

Sotto molti aspetti, il problema terminologico chesi pone qui è simile a quello che si poneva a Marx (e

lo faceva esitare) nel periodo chiave della sua criticadella politic a (trala Critica delk filosofia hegeliana d'el

diriuo pubblico del r 843 e il Manifesto del Partito co-rnunista del r8+8): il nesso tra I'idea di un conflittopolitico (o lotta di classe), teso alla conquista dellademocrazia, e I'idea di un movimento sociale essen-

zialmente apolitico che avrebbe messo fine allo Statopolitico in quanto potere sepaîato dalle attività e

dalle rivendicazioni della popolazione o démos. Ri-troviamo qui, ci sembra, qualcosa di analogo all'asim-metria del conflitto, che riguarda al tempo stessoI'esercizio del potere e la forma delle istituzioni, dicui abbiamo sottolineato I'importanza in Machiavellie nei suoi interpreti contemporanei.

Tutto ciò ci porta a incorporare sffategicamentenell' idea di democrat izzazione della democ razia unadimensione di cittadinanza riflessiva, rcIativa allelotte della propria storia. L'idea in questo modo ac-quista la validità di un concetto della politica in po-tenza, ma a condizione di distinguersi chiaramenteda altri usi contemporanei dell'espressione, che nefanno piuttosto una <<teîza via>> o una formulazione

di compromesso tra I'ordine costituito in fatto diproprietà e di rappresefttaîza e la trasformazionerivoluzionaria. In questo senso, tenteremo ora di de'finire una concezione critica della cittadinanza fon-data sulla formula della <democî^tizzazione dellademocrazia> delineando sette tesi o proposizioniteoriche.

Proposizione t. La democratizzazione della de-mocrazia non indica né un processo di perfeziona-mento del regime democratico esistente, né unostato che trascende virtualmente qualsiasi regimepossibile (nel modo, per esempio, in cui il Derridadi Stati canaglia suggerisce che la democrazia è sem-pre da venite, il che ne fa un sinonimo della giusti-zia incondizionata la cui attesa eccede ogni possibi-lità giuridica o istituzionale); essa indica invece unadiffercnza rispetto alle pratiche attuali della poli-tica, o meglio ancora: un differenziale che disloca lepratiche politiche in modo da af.kontare

^perta-mente la carenza di democrazia delle istituzioni esi-

stenti e da trasformarle più o meno radicalmente. Ilcittadino attivo è I'agente di questa trasformazione.Per questo egli mantiene sempre un legame con lenozioni di insurezione e di rivoluzione, non sol-tanto nel senso di un avvenimento, violento o paci-fico, che interrompe la continuità istituzionale, ma

anche in quello di un processo che ricomincia con-tinuamente e le cui forme e i cui obiettivi dipen-dono da condizioni storiche anch'esse in costantemutamento.

Proposizione z. Senza una simile trasformazionepermanente, non può esserci una veîa democtazia

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tout court, tranne come ricordo, come mito o comestrumento di propaganda. Ma una simile Úasforma.zione deve, a sua volta, trasgredire i limiti e le formeistituzionali riconosciute. Deve, secondo l'espres-sione di Claude Lefort, contenere una <<invenzionedemocratica>>. Sul terreno della cittadinanza nonesiste dunque nulla che possa assomigliare a unostatu quo: o la cittadinanza avaîza, nel senso cheenuncia nuovi diritti fondamentali, al tempo stessodiritti dell'uomo e diritti del cittadino, e li fa en-trare più o meno rapidamente nella sfera delle istitu-zioni (come la sicurezza sociale, il diritto al lavoro,la cittadinanza degli stranieri ecc.), oppure regredi.sce) owerosia perde dei diritti acquisiti (compresi idiritti dell'uomo), o questi si trasformano nel lorocontrario, con diverse modalità antipoiitiche autori-tarie, burocratiche, discriminatode, assistenziali. Siftatta di una realtà tanto materiale quanto ideolo-gica, che interessa il rapporto segreto tra i disposi-tivi di potere e le ideologie di massa (che vanno dalpopuiismo alla servitù volontaria), così come le al-tefi:rar;ze di pohticizzazione e di depoliticizzazionedella cittadinanza. Questo significa, in terminichiari, che un dispositivo costituzionale nuovo haun contenuto civico soltanto nella misura in cuipoît^ più diritti e più partecipazione o rappresentanzddegli interessi e delle opinioni dei cittadini di quelloche sostituisce: oggi in Europa si vede in mododrammatico la pofiata di questo bisogno. Ma signi-fica anche che la democrazia, nella misura in cui siidentifica con la propria continua democratizza-zione, esige una decostruzione delle separazioni e

delle esclusioni che erano state istituzionalizzate insuo nome (di nuovo, l'esempio delle donne e deglistranieri è il primo che va menzionato).

E questo il problema che si trovano ad affrontarein ogni epoca i nuovi movimenti sociali ancora nonriconosciuti o che fluttuano tra la sfera privata equella pubblica. Ed è anche il problema con il qualesi devono misurate i vecchi movimenti sociali (aigiorni nostri il sindacalismo e, più in generale, le or-ganizzazioni del movimento operaio) che si battonoper difendere una forma di cittadinanza democraticaminacciata (la cittadinanza sociale e le sue ricadute intermini di protezione sociale universale o di diritto allavoro, che <politicizzano>> il sociale e <<socializzano>>

il politico). Più fondamentale ancora è il problemache riguarda la ffas{ormazione delle frontiere nazio-nali in un senso anch'esso democratico (cioè in parti-colare nel senso di una circolazione dei programmi e

degli attori tra i diversi territori), e dunque il supera-mento della sovranità puramente nazionale non sol-tanto come sovranità statuale ma come sovranità delpopolo. È inutile insistere di nuovo lungamentesulf importanza che riveste questa trasgressione dellasegmentazione territoriale e comunitaúa pet Íat en-trare veramente sul terreno della politica (e non sol-tanto della governance) questioni planetarie ugenticome quelle dell'ambiente, delle migrazioni, dell'uti-lizzazione delle risorse o dei beni comuni, della pre-venzione dei conflitti etnici ecc.

Proposizione j. La lezione comune delle due pro-posizioni precedenti può essere riassunta ripren-dendo una {ormula nata dai dibattiti della socialde-

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mocîzrzi^ nel xrx secolo e poi screditata dalle critichesia dei sostenitori del liberalismo sia dei marxisti rivoluzionari. La formula fu coniata da EduardBernstein (il padre del revisionismo marxista), nel suo

libro del 1899 I presupposti del socialismo e i conpitid.ella socialdcnouazia, in questi termini: <Lo scopo fi-nale ÍEnd.zie4 è nulla, il movimento lBewegungl ètutto>. Questa tesi non era molto dissimile da quelladella <<rivoluzione permanente> fugacemente soste-nuta da Marx negli anni immediatamente successivialle Rivoluzioni democratiche (nazionah e socialiste)del 1848 e al loro fallimento, dal quale Marx speravache i popoli europei si risollevassero rapidamente.

A ben vedete, Bernstein non eta un riformista nelsenso che cercava un compromesso con il capitalismo(e comunque non più di quanto lo sarà Lenin nel pe-

riodo della Nuova politica economica), ma piuttostoun teorico della trasformazione dei rapporti di Í.onatra le classi. La sua formula per noi è interessante inquanto stabilisce un legame tra la questione della so-glia di trasformazione e{fettiva di un determinatoregime sociale e politico e quella dell'articolazionedelle lotte per la democrazia e contro il capitalismo(questione che Gramsci, più tardi e a livello ideolo-gico, doveva definire in termini di egemonia). Laformula di Bernstein propone cioè di prendere inconsiderazione il rapporto storicamente ambivalenteche esiste tra lo sviluppo del capitalismo e quello del-la cittadinanza in alcune specifiche parti del mondo(e forse progressivamente in tutte, tenendo conto dellesituazioni concrete: Partha Chatterjee, OIne k cittadi-nanza), tna avaîza anche, più radicalmente, l'idea che

il capitalismo possa essere costîetto a incorporare deidiritti che contraddicono la sua logica. La difficoltàsta comunque nello stabilire se una simile ffasforma-zione dei îapporti diÍ.orza può spingersi fino a darluogo a rapporti non mercantili non residuali o com-pensatori (come la nuova beneficenza neoliberale),ma espansivi: se non addirittura a delie isole di co-munismo nel senso classico di un modo di produ-zione che organizza la totalità della società (e aboli-sce la politica), o quanto meno a ciò che Hardt e

Negri in particolare chiamano <<comuni>> (che noncorrispondono semplicemente a dei beni comuni maa pratiche della società). Il che equivale a inserirenella problematica della cittadiîanz^un elemento dicritica del capitalismo che proviene dalla tradizionemarxista, ma rovesciando il suo modo di inserimentonel corso delle trasformazioni storiche, facendolopassare dalla condizione di <<risultato>> a quella di<<mezzo>>, o meglio di <<Íona motrice>>. In questoquadro, si potrebbe essere tentati di rifarsi all'idea diuna <<rivoluzione nella rivoluzione>>, di cui Régis De-bray si è servito per caratterizzarc la Rivoluzionecubana all'epoca in cui sembrava promettere unnuovo inizio delle lotte di liberazione dei popolilatinoamericani.

Proposizione 4. La democratizzazione della de-mocrazia implica dunque, in senso stretto, che si diapriorità all'obiettivo positivo di trasformazione delconcetto e delle pratiche della cittadiÍr ttza, di inven-zione democratica, rispetto all'obiettivo negativo diresistenza e di opposizione ai regimi e alle legislazio-ni non democratici. Ma questo chiaramente non vuol

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dire che la democratizzazione della democnzia debbaessere indifferente a cambiamenti di regime o di rap-poîti di forza che facciano aîterare la de-democra-tizzazione. Con più precisione: paradossalmente, èsempre l'elemento inventivo, affermativo (una nuovaconcezione della cittadi ttanza, un cambiamento delleforme di lotta individuali e collettive che costitui-scono I'attività politica) che condiziona I'elementonegativo, o la capacità di resistenza alle politiche an-

tidemocratiche e agli attacchi istituzionali control'uguaglianza dei diritti e delle libertà. Riroviamoqui una delle lezioni fondamentali dei movimenti in-surrezionali del 1968 in tutto il mondo (spesso occul-tata tanto dai critici quanto dai protagonisti), che sipuò tentare di riprendere in questo modo:

a) La democtazia non si importa dall'esterno innessuna società, in nessuno Stato, ma si crea o ricrease stessa a paîtire da pratiche politiche o - secondoI'espressione proposta da Engin Isin e Greg Nielsen(Acts of Citizenship) - da <<atti di cittadinanza> che lafanno esistere materialmente. Tuttavia, citcostanzestoriche eccezionali (guerre, crisi economiche, scon-

fitte, rovesciamenti di una dittatura o di un regimetotalitario ecc.) costituiscono condizioni negativenelle quali l'urgenza degli atti di cittadinanza sifasentire con maggiorc f.orza, e il loro contrasto con lacittadinanza passiva, o la passività senza cittadi'naîa , diventa più evidente.

b) La trasf.ormazione democratica di una societào di un sistema economico (come il capitalismo) at'traverso mezzi o procedure non democratiche o.an'tidemocratiche è assolutamente impossibile. È h

lezione delle tragedie della storia del comunismo e

del socialismo del xx secolo (e dei dibattiti sulladittatura del proletariato, nei quali il conflitto poli-tico è stato proiettato in una dimensione di simme-tria, facendo emergere una teoria e una pratica cheistituiva un contro-Stato contrapposto allo Stato),così come dei movimenti di liberazione nazionaleantimperialisti. Si ripropone dunque l'idea che unaforza o un movimento politico possano democratiz-zare \a società soltanto se sono, tendenzialmente,pir) democratici del sistema al quale si oppongono,dal punto di vista sia dei loro obiettivi sia del lorofunzionamento interno.

c) Sebbene quest'ultima formulazione possa sem-

brare puramente negativa, in particolare riguardo aisuoi riferimenti storici, in realtà è fondamentalmentepositiva o affermativa, in quanto indica che una lottaper la democtaziaè al tempo stesso una esperienza dicittadinanza democratica e un tentativo di allargaregli spazi di libertà e uguaglianza. Questa è una di-mensione essenziale dei movimenti insurrezionali odei processi rivoluzionari del passato, che si riffovanelle lotte di oggi di diversi gruppi subalterni: la loro<capacità di agire> (enzpowernzent) non è soltanto ilrovesciamento di un rapporto dif.orua estetno, è an-

che la capacità interna di liberarsi dei vincoli delladisciplina e di prefigurate tîa i (le) militanti I'eguali-tarismo di una comunità di cittadini che discute, de-

cide e agisce.Proposizione 5. Una democratizzazione della de-

mocrazia dunque non vuol dire soltanto una trasfor-mazione delle istituzioni, delle strutture o dei rap-

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porti di potere, ma anche ufl laaoro dei cittadini su se

itessi in una situazione storica data. Tende a elimi'nare gli ostacoli esterni, oggettivi, ma anche interni,soggettivi, all'azione e alla partecipazione politica.Anche Marx si dimostrava sensibile a questa dimen'sione dell'emancipazíone quando, dopo la sconfittadelle Rivoluzioni del 1848, nella sua conispondenzascriveva che gli operai avrebbero avuto bisogno ditempo per <<educarsi alla rivoluzione> che intende'vano fare. Questo processo può sembrare circolare, e

comunque problematico nella sua realizzazione.Nella terminologia di Foucault (II soggetto e ilpotere),corrisponde al passaggio dall'<< assoggettamento > alla<soggettivazione>> in quanto modalità del governo dise stessi, che nulla dice debba rimanere puramenteindividualistico. E in ultima analisi implica un supe-

ramento della <<servitù volontaria>>, descritta daÉtienne de La Boétie.rispetto al governo repubbli'cano, ribaltando conro il suo obiettivo iniziale lacritica platonica della tirannia. La servitù volontariapuò essere causata dallapaura, che costituisce sicuta'mente uno degli srumenti più potenti: si pensi alladescrizione che fa Hobbes del terrore e del timorereligioso (aue) ispkati dal potere sproporzionato delsovîano. Mala paura rischia sempre di trasformarsiin rivolta. La servitù volontaria può anche essere ori-gínata dall' ideo logia, a partire dall'influenza dell'edu'cazione fino a quella degli apparati di propaganda e

dei media che condizionano I'opinione pubblica. Einfine può derivare dalla libertà stessa, o piuttosto da

ceîti uii della libertà che separano l'individuo dallecondizioni della propriaazione, sul modello della de-

scrizione di Marx della libertà del lavoratore sala-

riato, che si può pensare di estendere a tutti gli effet-ti dell'individualismo nella politica contempo îartea,moltiplicati dal f.atto che sono a loro volta indisso-ciabilì da un conformismo di massa, coltivato dalmondo del consumo e dei media commerciali (come

avevano sostenuto già prestissimo i teorici dellaScuola di Francoforte).

E questo rapporto intrinsecamente conflittuale trademocrazia e servitù volontaria che spiega perchétanti teorici della cittadin^nza democratica abbianofatto della disobbedienza civile uno degli elementifondamentali della virtù del cittadino - salvo natu-ralmente distinguere tra diverse circostanze: la di-sobbedienza civile infatti contiene contemporanea-mente la capacità, di rigenerare la libertà politica equella di annientarla, in modo antinomico, in parti-colare quando passa (come indica Hannah Arendt,La disobbedienza ci.uile) dall'esercizio di un dirittoindividuale a una strategia collettiva di resistenzaalla tirannia.

Proposizione 6. Una democratizzazione dellademocrazia è dunque essenzialmente una lotta su

due fronti o, in una terminologia meno bellicosa, è

un'attività che si svolge contempoîaneamente su

diverse scene. L'interesse di un'analisi della citta-dinanza come quella che abbiamo proposto, che faintervenire in successione l'insurrezione, la con-quista della cittadinanza sociale e le aporie dell'isti-tuzione del conflitto, sta nel fatto che suggerisceuna compresenza di diversi movimenti la cui con-vergenza non è automatica: i movimenti per la cit-

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{

tadinanza attiva, la partecipazione politica ela tt,mozione delle esclusioni, quelle dei poveri o quelle jche sfruttano le differenze antropologiche; i movi. jmenti per la <<controdemocîazia>> (Rosanvallon), o i:

meglio aîcoîa contro gli effetti antidemocratici del 'i,

monopolio delle conoscenze e della rappresen- j-;,

tanza; infine i movimenti che tendono a rasfor. -q

mare in conflitto aperto (e di conse guenza in ri- !chiesta di riconoscimento) le resistenze e le riven- Idicazionidi giustizia dei gruppi sociali esclusi daila jdistribuzione del potere dal canttere monopoli- ?

stico di quest'ultimo. Tutti questi movimenti, che lisiano basati su una condizione di classe o sulla con- |testazione di altri rappoîti di dominio, diventano 1;

<<costituenti>> soltanto se sono al tempo stesso <<in- ,,

sorgenti>>. Agiscono in qualche sott; in modo op- .

posto alle garanzíe costituzionali sulle quali insiste .

continuamente il liberalismo, in quanto puntano a 1

scongiurare il rischio inerente a una sovranità po-polare troppo limitata e non eccessiva. i

Di qui ú proposizione di sintesi: iProposizione 7. L'insurrezione, nelle sue diverse i,

forme, è la modalità attiva della cittadinaflz^: quella *

che la inscrive negli atti. Si può dire dunque che il ;1

<<risultato finale> è una funzione del <<movimento>, i.che è la vera modalità di esistenza dellapolitica. E d Itempo stesso non si può pensare che esista un giusto I

mezzo tra I'insurrezione e la de-democtatizzazione, :':,

o la degenerazione della politica. Insurrezione vuol Idire conquista della democrazia o diritto ad avere ,'i

dei diritti, ma ha sempre come contenuto la ricerca 1,,

(e il rischio) dell'emancipazione collettiva e della po- :

tenza che questa conferisce ai suoi partecipanti, incontrapposizione all'ordine costituito che tende a re-

primeià questa potenz^.Il momento che oggi vi-iir-o della storià delle istituzioni della cittadinanzaillustra alla per{ezione la radicalità di questa alterna-

tiva e l'inceîtezza che comPorta.

r70 17r

Page 87: Balibar - Cittadinanza

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