Assemblea e amministratori - Cavalli Gino - Libri - Utet ... · Colombo, Portale, IV, Torino, 1991;...
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Capitolo Primo
Le competenzedi Angelo Bertolotti
Sommario: 1. Premessa. – 2. La distinzione tra assemblea ordinaria e assemblea straor di-naria. – 3. Le assemblee speciali. – 4. Le competenze dell’assemblea ordinaria nelle società prive di consiglio di sorveglianza. Con qualche cenno alle quotate. – 4.1. L’inter-vento dell’assemblea ordinaria in relazione ad atti degli amministratori. La disciplina vigente prima della riforma del 2003. – 4.2. La disciplina introdotta dalla riforma del 2003. La concessione di autorizzazioni per il compimento di atti degli ammini stra-tori. – 4.2.1. I caratteri dell’autorizzazione e l’incidenza del provvedimento sull’operato degli amministratori. – 4.2.2. Le decisioni “d’interesse primordiale” per i soci. Le com-petenze “implicite” dell’assemblea. – 4.3. L’approvazione dell’eventuale regolamento dei lavori assembleari. – 5. Le competenze dell’assemblea ordinaria nelle società dotate di consiglio di sorveglianza. – 6. Le competenze dell’assemblea straordinaria.
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1. Premessa
«L’assemblea, si diceva un tempo, è l’organo sovrano della società, il suo
supremo presidio deliberativo. In realtà è l’organo cui sono attribuiti alcuni, e non tutti, i poteri deliberativi»1.
In sede ordinaria, se la società sia priva di consiglio di sorveglianza (nel
qual caso quei poteri subiscono un ulteriore “dimagrimento”), l’assemblea è
competente per la nomina, la revoca delle cariche sociali e la deliberazione
1 Cottino, Diritto societario, Padova, 2011, 337; Abriani, L’assemblea, in Abriani, Ambrosini, Cagnasso, Montalenti, Le società per azioni, in Tratt. Cottino, Padova, 2010, 433 ss.
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Capitolo Primo – Le competenze 5
sulla responsabilità di chi le ricopre, nonché per l’approvazione del bilancio
e l’eventuale distribuzione degli utili; in sede straordinaria spicca l’attribu-
zione in tema di modifiche dello statuto: tutte facoltà che, nel loro insieme,
le conferiscono una posizione eminente, per alcuni aspetti determinante,
all’interno dell’ente2. In particolare, proprio il poter incidere sulle cariche
sociali e la possibilità di modificare lo statuto consente di affermare che essa
conservi ancor’oggi il ruolo di decisore d’ultima istanza quale organo rap-
presentativo degli azionisti, almeno quando sia caratterizzata da salde mag-
gioranze di riferimento, tali cioè da consentire di fatto ai soci di condizionare
in modo netto la gestione3, mentre la competenza in tema di distribuzione
degli utili permette loro di stabilire la misura dell’autofinanziamento.
Il tutto, però, è lungi dall’accreditare l’idea di una sorta di sua onnipoten-
za4. Ciò va detto, in primis, per le società ad azionariato diffuso, nelle quali
più evidente e frequente è un quadro caratterizzato dal voto per procura,
dalle manovre sui riporti, dal dilagare dei sindacati azionari, dalla presenza
di solidi vincoli di gruppo, dall’affievolimento dello stesso principio di col-
legialità con l’apertura legislativa al voto per corrispondenza. Ma si può
ripetere anche nelle società medie o medio-grandi, nelle quali è normale
che, rimanendo ai margini eventuali azionisti minori e minimi, il capitale
sia in maggioranza diviso tra pochi soci; rispetto ai quali l’assemblea finisce
con l’essere la cassa di risonanza di combinazioni ed intese che si svolgono
fuori di essa e che si traducono in accordi parasociali ed in patti di sindacato.
Pure nelle società di dimensioni minime o piccole, comunque, si pro-
duce un fenomeno di smagliatura dello strumento e del metodo collegiale,
sebbene diverso, ma non dissimile nei risultati, da quello che caratterizza le
maggiori. Esse, talora, rappresentano l’inserimento di un’impresa collettiva
personalizzata – che avrebbe potuto adeguatamente utilizzare il modello
di una società di persone – in un organismo a struttura fondamentalmente
rigida, quale la società per azioni, scelto per ragioni fiscali o comunque di
limitazione di responsabilità; è quasi inevitabile, allora, che l’ossequio alle
2 Abbadessa, L’assemblea: competenza, in Tratt. Colombo, Portale, III, 1, Torino, 1994, 3.
3 Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, in Cagnasso, Panzani (a cura di), Le nuove s.p.a., Bologna, 2010, 565 ss.; ed anche Libertini, Scelte fondamentali di politica legislativa e indicazioni di principio nella riforma del diritto societario del 2003. Appunti per un corso di diritto commerciale, in Riv. dir. soc., 2008, 221.
4 Cottino, Diritto societario, cit., 337.
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regole di funzionamento risulti protocollare, quasi esteriore, in quanto qui
gli schemi dell’assemblea e della sua sovranità peccano per eccesso rispetto
alle reali esigenze perseguite dai soci: gli organi esistono come semplice eti-
chetta e funzionano per lo più solo simbolicamente5.
Neppure si può dimenticare che la gestione dell’impresa – lo afferma
il testo novellato dell’art. 2380 bis, 1° co., c.c. – spetta esclusivamente agli
amministratori. Vi è bensì l’eccezione (art. 2364, 1° co., n. 5), poiché l’assem-
blea può essere chiamata a deliberare «sulle autorizzazioni eventualmente
richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma
in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti», ma si tratta
di una deminutio rispetto alla previgente facoltà degli amministratori di
sottoporre alla deliberazione dell’assemblea oggetti attinenti alla gestione
sociale (art. 2364, n. 4, vecchio testo).
Esiste tuttora la riserva d’interloquire su temi cruciali della vita societaria,
quali (ma non sono certo delle novità) l’approvazione dell’acquisto di azioni
proprie (art. 2357 c.c.) e la transazione dell’azione di responsabilità (art. 2393,
5° co., c.c.); peraltro alcuni nuovi istituti, frutto della novella del 2003, pre-
vedono un ruolo significativo in capo ai gestori: è il caso dell’istituzione di
patrimoni separati (art. 2447 ter, 2° co.) e dell’emissione di strumenti finan-
ziari partecipativi (art. 2346, 6° co.). Un ulteriore depotenziamento delle pre-
rogative dell’assemblea è inoltre riscontrabile, a seguito delle riforme che si
sono succedute negli ultimi anni, in relazione ad alcune particolari decisioni,
per le quali il potere deliberativo è ora rimesso agli amministratori, salva
diversa disposizione dello statuto: l’emissione delle obbligazioni (art. 2410
c.c.)6 e le proposte di concordato fallimentare e preventivo (artt. 152, 2° co., e
161, 4° co., come modificati dal d.lgs. 9.1.2006, n. 5)7. Ed ancor più quando la
società adotti, in luogo di quello tradizionale, i sistemi dualistico o monistico
di governance: il primo le sottrae la nomina dei gestori e l’approvazione del
5 L’analisi a tutto campo è di Cottino, Diritto societario, cit., 339 ss.; come pure di Abriani, L’assemblea, cit., 433.
6 Sull’interpretazione della norma nel senso che l’inciso «salva diversa disposizione dello statuto» vada riferito non alla sola possibilità di derogare al quorum deliberativo rafforzato che vi è previsto, ma anche di riservare la relativa competenza all’organo assem-bleare, Abbadessa, Mirone, L’assemblea, cit., 591 ed ivi, in nt. 85, le posizioni della dot-trina, favorevoli e contrarie.
7 Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 566 s. e 591.
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Capitolo Primo – Le competenze 7
bilancio, il secondo riserva di regola agli amministratori la designazione di
quelli, tra gli stessi, cui sono demandate le funzioni di controllo.
In questa prospettiva si può continuare ad affermare che anche dopo
la riforma del 2003 risultano rispettati i principi c.d. corporativi, in partico-
lare quello della competenza, in ossequio alla fondamentale esigenza che
ciascun organo abbia uno specifico settore di intervento ed una correla-
tiva responsabilità, in relazione ai propri effettivi poteri8 (che, per l’assem-
blea, risultano ora maggiormente compressi). Ed allora, riprendendo una
risalente definizione della dottrina9, l’assemblea può definirsi come la riu-
nione dei soci svolta nei modi di legge al fine di deliberare sugli argomenti
(che possono essere) sottoposti al suo esame: essa ha, dunque, la funzione
di manifestare la volontà sociale nelle materie riservate alla sua compe-
tenza dalla legge o dall’atto costitutivo, secondo il principio maggioritario
che assoggetta il singolo socio, anche se assente o dissenziente, alla volontà
espressa dalla maggioranza (di capitale)10. Si tratta di un principio sottratto
all’autonomia negoziale11, al pari della possibilità di adottare procedimenti
decisionali non coerenti con il metodo assembleare, neppure di fronte a
decisioni che incontrino il consenso unanime.
Più in generale è possibile affermare, in sintesi, che l’art. 2363 ha natura
costitutiva dell’organo assembleare, è caratterizzato da principi di ordine
pubblico e, come tale, è inderogabile: nel senso che, ancora a seguito del
d.lgs. n. 6/2003, è sottratta all’autonomia dei soci la possibilità di creare una
società per azioni priva di assemblea12. Se ne ha conferma in giurisprudenza,
ove, decidendo in tema di unico azionista, in tempi non recenti (dunque in
relazione al previgente art. 2362), tra i giudici di merito l’organo assembleare
è stato comunque ritenuto operativo13 (una decisione di legittimità, sia pure
8 Santosuosso, La riforma del diritto societario. Autonomia privata e norme imperative nei dd.lg. 17 gennaio 2003, nn. 5 e 6, Milano, 2003, 101.
9 Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1963, 315.
10 Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2003, 310.
11 Turelli, Assemblea di società per azioni e nuove tecnologie, in Riv. società, 2004, I, 150, nt. 108.
12 Fiorio, sub art. 2363, in Comm. Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Bologna, 2004, 464 ss.; Meloncelli, in Comm. Sandulli, Santoro, Torino, 2003, 247 ss.; Pasquariello, in Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società. Commento sistematico al d. lg. 28 dicembre 2004, n. 310, Padova, 2005, I, 441.
13 App. Napoli, 23.4.1982, in Vita notarile, 1982, 1299; Id. Firenze, 24.1.1955, ivi, 1956, 271.
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in un obiter, nell’ammettere la sopravvivenza della struttura organizzativa
sociale, ha però precisato che «l’organo assembleare è evidentemente non
funzionante per la mancanza di pluralità dei soci»14); e, nel contesto di una
società a responsabilità limitata (cui l’art. 2363 si applicava prima della
riforma), si è negato che la mancanza di pluralità dei soci renda superfluo il
metodo collegiale, proprio delle assemblee, aggiungendo, tuttavia, «almeno
nei casi in cui vi siano anche aventi diritto a titolo diverso (usufruttuari,
custodi, creditori pignoratizi) legittimati ad intervenire»15.
Da tempo, del resto, si è ritenuto che le norme che definiscono la strut-
tura delle società aventi personalità giuridica e quelle che disciplinano le
relative attribuzioni, il funzionamento ed i reciproci rapporti rispondano ad
un interesse pubblico, in quanto espressione di principi assiomatici e perciò
dotati di cogenza superiore16. Per quanto concerne l’art. 2363, la sua natura
di norma di ordine pubblico deriva, in particolare, dal collegamento con gli
artt. 2379 (nella parte in cui si prevede, inserendo un’ipotesi non contem-
plata prima del 2003, che la mancanza assoluta di convocazione sia causa di
nullità delle deliberazioni prese) e 2366 c.c.17
Già da queste brevi premesse emerge con chiarezza come l’argomento
“assemblea” si riveli complesso e ricco di possibili sfaccettature: ne sono
eloquente dimostrazione sia le indagini, accurate, della dottrina, che ha
spaziato (e spazia) a tutto campo nel valutarne ogni possibile aspetto, sia
i numerosi interventi della giurisprudenza, più facilmente rivolti alle que-
stioni suscettibili di determinare difficoltà interpretative, e dunque applica-
tive, nella concretezza dei rapporti sociali.
2. La distinzione tra assemblea ordinaria e assemblea straordinaria.
L’assemblea – recita il 2° co. dell’art. 2363 – è ordinaria o straordinaria.
La distinzione non incide sull’unitarietà dell’organo, ma concerne la
diversa competenza in ragione delle materie cui di volta in volta esso è
14 Cass. civ., 9.3.1984, n. 1636, in Giur. comm., 1984, II, 694.
15 App. Roma, 12.11.1998 (decr,), in Giur. it., 1999, 1251.
16 App. Roma, 24.1.1991, in Giur. it., 1991, I, 2, 241.
17 Abriani, Stella Richter M., Codice commentato delle società, Banca dati iperte-stuale, sub art. 2363, Torino, 2010.
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chiamato a deliberare e, correlativamente, i differenti quorum costitutivi e
deliberativi previsti dagli artt. 2368 e 2369, mentre sul piano formale essa si
limita al fatto che il verbale dell’assemblea straordinaria deve essere redatto
dal notaio18.
Con maggiore esattezza, dunque, si potrebbe semmai parlare da un lato
di assemblea (deliberante) in sede ordinaria e, dall’altro, di assemblea (deli-
berante) in sede straordinaria19. Ne consegue – la giurisprudenza di legitti-
mità lo ha da tempo sottolineato – che, se più deliberazioni vengono adottate
nel corso di un’unica adunanza e verbalizzate in un unico atto, esse conser-
vano la loro autonomia e danno luogo a distinti provvedimenti, ciascuno
dei quali esige, per la sua validità, il concorso dei soci e le maggioranze che
sono rispettivamente richieste per le assemblee ordinarie e straordinarie
(nel rispetto pure dei relativi requisiti di forma), a seconda che riguardino
materie riservate all’una od all’altra20.
Le principali competenze dell’assemblea ordinaria sono menzionate
nell’art. 2364, mentre quelle della straordinaria trovano espressione nel
successivo art. 2365, anche se ulteriori indicazioni compaiono in altre parti
del codice civile e nelle leggi speciali21. Vi è, comunque, una norma di chiu-
sura nell’art. 2364, 1° co., n. 5: affermare, dopo aver indicato talune speci-
fiche attribuzioni di carattere ordinario, che «l’assemblea ordinaria (…)
delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell’assem-
blea» significa, infatti, che, ogniqualvolta una disposizione assegni gene-
ricamente una determinata materia “all’assemblea”, senza ulteriormente
specificare, è quella “ordinaria” a dover deliberare22. In questa prospettiva
non pare condivisibile un orientamento della giurisprudenza, a dire il vero
18 Ferrara, Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2006, 535; in giurisprudenza già Trib. Torino, 6.10.1980, in Giur. comm., 1981, II, 635.
19 Associazione Preite, Il nuovo diritto delle società, a cura di Olivieri, Presti, Vella, Bologna, 2003, 112.
20 Cass. civ., 18.4.1961, n. 853, in Giur. it., 1961, I, 1, 788.
21 Una specifica elencazione delle une e delle altre in Abbadessa, Mirone, L’assem-blea. Le competenze, cit., 570 s.
22 Sarale, Il nuovo volto dell’assemblea sociale, in Ambrosini (a cura di), La riforma delle società. Profili della nuova disciplina, Torino, 2003, 170 s. Nello stesso senso Graziani, Minervini, Belviso, Manuale di diritto commerciale, Padova, 2004; Pasquariello, sub artt. 2364-2366, in Maffei Alberti (a cura di), cit., 442 s.
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risalente23, secondo cui lo statuto potrebbe prescrivere una deliberazione
di assemblea straordinaria in materie riservate dalla legge all’ordinaria, tesi
che, come ha rilevato la dottrina24, sembra ora puntualmente contraddetta
dal 4° co. dell’art. 2369, con l’inibire l’introduzione di quorum più elevati
per l’assunzione delle deliberazioni concernenti la nomina e la revoca delle
cariche sociali e l’approvazione del bilancio.
A questo punto s’impone, però, una precisazione. Si è appena detto che
l’assemblea, pur nella distinzione tra ordinaria e straordinaria, è, in linea
di principio, unica. Ma ciò è vero soltanto quando la società abbia emesso
esclusivamente azioni ordinarie. Qualora, invece, le categorie azionarie
siano più d’una, oppure esistano strumenti finanziari che conferiscano
diritti amministrativi, all’assemblea (generale) dei soci si affiancano, paral-
lelamente, quelle speciali, disciplinate, in mancanza di diverse disposizioni,
dalle norme dettate per le assemblee straordinarie. L’argomento forma
oggetto del paragrafo che segue.
3. Le assemblee speciali.
La possibile esistenza di assemblee speciali era già presente nell’origi-
naria stesura del codice (art. 2376), in quanto collegata alla creazione di
«diverse categorie di azioni» (art. 2348); la riforma del 2003, nel prevedere
la possibilità di emettere strumenti finanziari forniti anche di diritti ammi-
nistrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti (art. 2346,
6° co.), ha determinato l’estensione ai loro titolari del diritto di avere pro-
prie assemblee di categoria, attuata con la modifica del 1° co. dell’art. 237625.
23 Cass. civ., 30.11.1959, n. 3486, in Giur. it., 1960, I, 1, 527; Id., 14.10.1988, n. 5595, ivi, 1989, I, 1, 672.
24 Abriani, L’assemblea, cit., 452 s.
25 Un’ampia disamina delle assemblee speciali compare in Sarale, Cottino (a cura di), Società per azioni. Costituzione e finanziamento, in Nuova giurisprudenza di diritto civile e commerciale, 2013, più precisamente nella Parte II, Cap. I, Caratteri fondamentali delle azioni, ad opera di Grosso P., § 11 ss.: in particolare il § 11.7., avente ad oggetto l’art. 2376, il pregiudizio alle categorie di azioni e agli strumenti finanziari e la natura dell’assemblea speciale, il § 11.8., che tratta dei rapporti con le delibere dell’assemblea generale, ed il § 11.9., ove si prendono in esame le regole di funzionamento della riunione, a partire dalla sua convocazione. Tra gli altri Autori, per tutti, recentemente, Lener, Tucci, Società per azioni. L’assemblea, Torino, 2012, 54 ss. Qualche cenno anche alle quotate, settore nel quale l’argo-
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Esse – si tocca però una questione riconducibile a un problema più ampio –
paiono rappresentare la sede deliberativa nei casi in cui lo statuto attribuisca
agli strumenti finanziari o a loro determinate categorie il voto su «argomenti
specificamente indicati» o la competenza alla nomina di un componente
dell’organo di amministrazione o di controllo, ex art. 2351, 5° co.; norma,
quest’ultima, ove però non viene specificato in quale contesto il diritto possa
essere esercitato26, il che determina, come si vedrà (Cap. III, § 1), non poche
incertezze.
Tornando alle azioni, è evidente – anzi, è espressamente stabilito
dall’art. 2376 – che vi possono essere assemblee speciali soltanto in presenza
di almeno due categorie, o di una categoria di azioni speciali che si affian-
chi alle ordinarie27. Ci s’interroga, poi, sulla possibilità che, per configurare
una categoria, sia sufficiente un’unica azione, o ne sia invece necessaria una
pluralità. Nel primo senso – che sembra oggi trovare conforto anche dalla
possibile esistenza di una società per azioni unipersonale, nella quale sfuma
la funzione dell’azione (ordinaria) come misura della partecipazione – si è
espressa parte della dottrina già prima della riforma28, ma non senza con-
trasti29. Né lumi provengono dalla giurisprudenza, per la quale l’argomento
rappresenta un terreno inesplorato.
Va però precisato che la nozione di «categoria di azioni» non deve
essere confusa con quella di «tipo di azioni». I tipi, infatti, a differenza delle
mento è stato in origine disciplinato a proposito delle azioni di risparmio. Già la l. 7.6.1974, n. 216, all’art. 16, n. 2, prevedeva la competenza dell’assemblea speciale dei loro possessori a deliberare sull’approvazione delle decisioni dell’assemblea della società pregiudizievoli dei diritti della categoria. Il t.u.f. ha ripreso la disposizione nell’art. 146, 1° co., lett. b), ove si pre-cisa che l’approvazione è subordinata al voto favorevole di tante azioni che rappresentino almeno il 20% delle azioni della categoria (in deroga alle maggioranze previste nel succes-sivo 3° co.); l’art 147 bis, introdotto dall’art. 3 del d.lgs. 6.2.2004, n. 37, ha completato il quadro normativo (altrimenti limitato alle sole azioni di risparmio) con lo statuire che gli artt. 146 e 147 (quest’ultimo disciplina il rappresentante comune) si applichino alle assemblee speciali previste dall’art. 2376, 1° co., qualora le azioni siano quotate in mercati regolamentati italiani o di altri Paesi dell’Unione europea. In argomento Cerrato, sub art. 2376, in Comm. Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, cit, 600 ss.
26 Cerrato, sub art. 2376, cit., 598.
27 Blandini, sub art. 2376, in Fauceglia, Schiano di Pepe (diretto da), Codice commen-tato delle s.p.a., Torino 2007, 496.
28 Costa, Le assemblee speciali, in Tratt. Colombo, Portale, III, 2, Torino, 1993, 523, nt. 83; concorda, oggi, Blandini, sub art. 2376, cit., 496.
29 Bione, Le azioni, in Tratt. Colombo, Portale, II, 1, Torino, 1991, 45, nt. 4.
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12 Parte Prima – Assemblea
categorie, si differenziano tra loro non per la diversità del diritto incorpo-
rato, ma per caratteristiche esteriori (in genere, del documento). Così, sono
tipi diversi, e non categorie, le azioni nominative e quelle al portatore, le
azioni liberate in denaro e quelle liberate in natura, le azioni interamente e
quelle solo parzialmente liberate; come pure, secondo l’opinione dottrinale
più persuasiva, le azioni la cui alienazione sia sottoposta dall’atto costitu-
tivo a particolari condizioni, sul riflesso che «non ogni disuguaglianza fra le
azioni fonda una categoria, ma solo la disuguaglianza che attenga al diritto
ad esse collegato»30.
La presenza di categorie speciali di azioni comporta una modifica
nell’organizzazione interna della società, per la presenza di diversi gruppi
di azionisti dotati di diritti, e portatori d’interessi, non totalmente coinci-
denti. In questa prospettiva, l’art. 2376 dispone che in tal caso (ed altret-
tanto è a dirsi, come si è visto, per gli strumenti finanziari partecipativi)
«le deliberazioni dell’assemblea, che pregiudicano i diritti di una di esse,
devono essere approvate anche dall’assemblea speciale degli appartenenti
alla categoria interessata». Il potere in tal modo attribuito a quest’ultima
non consiste tanto nel paralizzare col dissenso l’efficacia di deliberazioni
della prima (esito comunque ineludibile quando dissenso vi sia), quanto
piuttosto nel collaborare con la stessa al fine d’individuare con maggiore
rapidità quali deliberazioni siano effettivamente pregiudizievoli per i diritti
speciali attribuiti, opponendosi legittimamente a tale pregiudizio (o accet-
tandolo, eventualmente, in nome dell’interesse superiore della società). Lo
strumento predisposto dal legislatore, dunque, se costituisce una delle sva-
riate forme di controllo sulla gestione sociale accordate a gruppi di soci o
perché rappresentanti una minoranza o perché titolari di uguali diritti spe-
ciali31, al tempo stesso consente alla società di avere un unico interlocutore,
l’assemblea speciale appunto, che delibera a maggioranza, condizione ben
più favorevole rispetto alla necessità, altrimenti insuperabile, di ottenere il
consenso unanime dei singoli interessati32.
30 Cottino, Diritto societario, cit., 296; Abriani, Le azioni e gli altri strumenti finanziari, cit., 268 s.; la citazione riportata tra virgolette è di Mignoli, Le assemblee speciali, Milano, 1960, 63.
31 In tal senso Grosso P., Osservazioni in tema di categorie di azioni e assemblee spe-ciali, nota a Trib. Milano, 26.5.1990, in Giur. it., 1991, I, 2, 590.
32 In argomento Costa, Le assemblee speciali, cit., 503.
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Capitolo Primo – Le competenze 13
Alle assemblee speciali disciplinate dal codice civile – recita il 2° co. – si
applicano le disposizioni relative alle assemblee straordinarie33. Il pregiudi-
zio sul quale esse sono chiamate a deliberare, dopo averne valutata la sussi-
stenza, deve esistere – la giurisprudenza di merito è chiara al riguardo – non
in fatto (come nel caso di lesione di un’aspettativa), bensì in diritto, quando
cioè la delibera dell’assemblea generale, avendo ad oggetto un diritto spe-
ciale fra quelli che sono propri delle singole categorie, ne determini una
compressione od una limitazione, alterando il rapporto esistente tra di esse
e menomando la posizione di vantaggio precedentemente attribuita collet-
tivamente alla singola categoria interessata34.
Forma oggetto di discussione l’esistenza, in capo agli azionisti di catego-
ria, di un “diritto al rango”, cioè a mantenere la stessa incidenza percentuale
sul capitale rispetto agli azionisti ordinari: argomento sul quale dottrina e
giurisprudenza appaiono divise. In proposito un Tribunale ha affermato che
l’alterazione del rapporto non troverebbe riscontro nel testo dell’art. 237635,
sebbene quest’ultimo derivi dal modello tedesco, ove quel presupposto
è presente; nel nostro ordinamento, invece – la puntualizzazione è di un
Autore – la norma sarebbe applicabile solo se venisse menomato un diritto,
e tale non potrebbe essere qualificato il “rango”36. In dottrina l’assolutezza
della tesi è stata in seguito messa in forse di fronte al dubbio che il pregiu-
dizio tutelato sia non solo quello “diretto”, ma anche quello “indiretto”37;
l’“apertura” al secondo potrebbe infatti portare ad ammettere una prote-
zione del “diritto” al “rango”. Protezione che, invece, viene senz’altro accor-
data da chi sostiene che la legge riconosce alle diverse categorie il diritto di
mantenere il rapporto reciprocamente intercorrente, diritto che l’assemblea
33 Altra la regola del t.u.f., come si è già visto in nt. 25.
34 Trib. Milano, 9.10.2002, in Soc., 2003, 863, con nota di Civerra; Id. Milano, 26.5.1990, in Giur. it., 1991, I, 2, 590, con la già citata nota di Grosso P. E v. anche Trib. Roma, 20.3.1995, in Riv. dir. fall., 1995, II, 910.
35 Trib. Milano, 8.7.2004, in Giur. it., 2005, 307.
36 Grosso P., Categorie di azioni ed assemblee speciali, Milano, 1999, 193 ss.
37 Grosso P., Le categorie di azioni e gli strumenti finanziari non azionari, in Ambrosini (a cura di), La riforma delle società. Profili della nuova disciplina, Torino, 2003, 129 s., ove si ipotizza di sostituire all’alternativa tra pregiudizio “diretto” e pregiudizio “indiretto” la distinzione, mutuata dal diritto della concorrenza, tra delibere che hanno per “oggetto” il pregiudizio e delibere che lo hanno per “effetto”: con la conseguenza di porre sullo stesso piano, ai fini della tutela, le due eventualità.
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14 Parte Prima – Assemblea
non potrebbe, con le proprie deliberazioni, pregiudicare senza l’approva-
zione delle categorie interessate38.
Il tema è stato approfondito in modo particolare a proposito delle azioni
di risparmio (si entra nel campo delle società quotate, ove l’argomento trova
la sua completa trattazione) e la discussione si è incentrata sulla possibilità
di una conversione forzata di una categoria di azioni o di una percentuale
di azioni in azioni di risparmio o viceversa39, ipotesi sulle quali i Tribunali
hanno avuto occasione di intervenire.
E così, il rischio che, in caso di una conversione di azioni ordinarie in
azioni di risparmio, l’aumento di queste ultime possa determinare la futura
insufficienza dell’utile ai fini della distribuzione del dividendo privilegiato ai
soci di risparmio è stato ritenuto integrare un nocumento eventuale di mero
fatto, come tale inidoneo a radicare la competenza dell’assemblea speciale di
categoria40. Per contro, in precedenza (ci si ricollega, infatti, all’art. 16, 1° co.,
n. 2, l. n. 216/1974) si era deciso che il pregiudizio di cui all’art. 2376 sarebbe
ravvisabile tutte le volte in cui la delibera dell’assemblea straordinaria apporti
modifiche alla struttura dell’azionariato tali da alterare in maniera qualita-
tiva oppure (ecco il punto) quantitativa il rapporto tra le categorie esistenti41.
In linea con la seconda posizione, si è ammessa (questa volta in dottrina) la
possibilità di aumentare il capitale con emissione di sole azioni ordinarie,
e/o di altre privilegiate, e/o di altre azioni di risparmio, purché sia garan-
tita ai possessori delle azioni di risparmio esistenti la facoltà di esercitare il
diritto di opzione anche su altre categorie di azioni42; o si è ritenuta legittima
(da parte del Tribunale di Torino) la conversione di azioni di risparmio in
azioni ordinarie, purché non imposta, ma solo quale (eventuale) effetto di
un’apposita manifestazione di volontà degli azionisti di risparmio interessati
a divenire azionisti ordinari: in tal caso, infatti, conseguenze di carattere pre-
giudizievole che avessero a prodursi sarebbero imputabili esclusivamente ad
una loro libera ed autonoma determinazione, avendo essi deciso di avvalersi
del diritto loro concesso dalla delibera degli azionisti ordinari43.
38 Galgano, Il nuovo diritto societario, cit., 133.
39 Un giro d’orizzonte sull’argomento in Blandini, sub art. 2376, cit., 498 s.
40 Trib. Vicenza, 10.2.2003, in Banca borsa, 2004, II, 574, con nota di Purpura.
41 Trib. Roma, 20.3.1995, in Dir. fall., 1995, II, 910.
42 Grosso P., Categorie di azioni ed assemblee speciali, cit., 198.
43 Trib. Torino, 24.11.2000, in Soc., 2001, 991, con nota di Funari.
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Capitolo Primo – Le competenze 15
4. Le competenze dell’assemblea ordinaria nelle società prive di consiglio
di sorveglianza. Con qualche cenno alle quotate.
Il presente volume – come ben sa il lettore – non ha ad oggetto le società
quotate; di conseguenza, la trattazione delle competenze dell’assemblea
ordinaria nelle società per azioni prive del consiglio di sorveglianza (al pari
di ogni altro argomento) viene sviluppata nella prospettiva, tendenzial-
mente esclusiva, dell’art. 2364.
Con questa necessaria premessa, va sottolineato che, con la riforma del
2003, la rubrica dell’articolo appena citato è stata adattata all’introduzione
dei due sistemi alternativi, dualistico e monistico: si è infatti passati da un
semplice “Assemblea ordinaria”, necessario punto di riferimento per ogni
società che avesse adottato il tipo azionario, al più articolato “Assemblea
ordinaria nelle società prive di consiglio di sorveglianza”. Il che impone di
anticipare sin d’ora quanto meglio si dirà più oltre, e cioè che quelle che
adottano il sistema dualistico sono invece disciplinate dall’art. 2364 bis, il
quale richiama il precedente nel solo suo 2° co.; ed aggiungere, per com-
pletezza, che le società regolamentate dal d.lgs. 24.2.1998, n. 58 (t.u.f.) si
rifanno, almeno in parte, all’uno ed all’altro dei due articoli, integrati dalle
specifiche disposizioni contenute nel testo unico.
L’elencazione dei poteri conferiti all’assemblea ordinaria dall’art. 2364
non è – non occorrerebbe neppure precisarlo – esaustiva, come ha pun-
tualmente confermato il Tribunale di Milano44. Recentemente la dottrina
ha inteso darne una sintesi, ribadendo che ad essa spettano in primo luogo
le decisioni relative al concreto funzionamento dell’organizzazione socie-
taria45, quali la determinazione del numero degli amministratori, se lo sta-
tuto si limita ad indicare il massimo ed il minimo (art. 2380 bis, 4° co.), la
nomina e la revoca degli stessi (artt. 2364, n. 2, e 2383, 1° e 3° co.), dei sindaci
(artt. 2364, n. 2, e 2400, 1° e 2° co.) e del direttore generale.
44 Trib. Milano, 5.11.2005, in Soc., 2006, 1412, con nota di Fontana.
45 Lener, Tucci, Società per azioni. L’assemblea, cit., 21 ss.; Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 570, ed ivi il richiamo a Pavone La Rosa, Le attribuzioni dell’assemblea della società per azioni in ordine al compimento di atti inerenti alla gestione sociale, in Riv. società, 1997, 1 ss., sul collegamento tra la competenza assembleare in mate-ria di distribuzione di utili ed altre competenze dell’assemblea ordinaria, fra cui l’autoriz-zazione all’acquisto di azioni proprie.
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Ci si deve soffermare, sia pur brevemente, sulla nomina degli ammini-
stratori e dei sindaci. Infatti il richiamo, testé fatto, agli artt. 2383, 1° e 3° co.
e 2400, 1° e 2° co. rispettivamente, rivela che non si tratta di un potere esclu-
sivo. Esso cede, infatti, di fronte alla designazione dei primi componenti di
entrambi gli organi contenuta nell’atto costitutivo; all’eventuale esistenza
di «portatori degli strumenti finanziari» di cui agli artt. 2346, 6° co., e 2349,
2° co., cui può essere statutariamente riservata «la nomina di un compo-
nente indipendente del consiglio di amministrazione (o del consiglio di sor-
veglianza) o di un sindaco», secondo quanto dispone l’art. 2351, 5° co.; come
pure alla presenza nella compagine sociale (di una società che non faccia
ricorso al mercato del capitale di rischio) dello Stato o di enti pubblici: eve-
nienza cui l’art. 2449 ricollega la facoltà, quando prevista statutariamente,
di designare un numero di amministratori e sindaci, ovvero componenti del
consiglio di sorveglianza, proporzionale alla partecipazione al capitale socia-
le46. A queste deroghe può ancora aggiungersi quella presente nell’art. 2386,
1° co.: se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più amministra-
tori, gli altri provvedono a sostituirli con deliberazione approvata dal colle-
gio sindacale, purché la maggioranza (l’inciso è stato inserito dalla riforma)
sia sempre costituita da amministratori nominati dall’assemblea. Tolte que-
ste pur numerose eccezioni, la competenza in questione è esclusiva e persi-
ste anche quando – come ha avuto cura di precisare la giurisprudenza – la
deroga negoziale fosse diretta a realizzare un fine meritevole di tutela da
parte dell’ordinamento, per cui non si potrebbe dubitare della nullità di una
clausola statutaria che sottraesse alla competenza dell’assemblea la nomina
degli amministratori che le competa per legge47.
A proposito del direttore generale, va poi ricordato che il tenore
dell’art. 2396 (“Direttori generali nominati dall’assemblea o per disposizione
dell’atto costitutivo”) pare consentire – come si è già osservato da tempo –
«che trovino cittadinanza nel nostro sistema normativo anche direttori gene-
rali diversamente nominati»48, dunque anche dall’organo amministrativo;
laddove può essere controverso se un analogo potere sia configurabile nel
46 L’art. 2383, 1° co., richiama, in realtà, anche l’art. 2450, però abrogato dall’art. 3.1, d.lgs. 15.1.2007, n. 10, convertito nella l. 6.4.2007, n. 46.
47 Trib. Monza, 29.1.1982, in Giur. comm., 1983, II, 125.
48 Borgioli, I direttori generali di società per azioni, Milano, 1975, 165. La dottrina pre-valente è in tal senso.
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Capitolo Primo – Le competenze 17
silenzio dello statuto e, di fronte ad una risposta positiva, come si atteggi la
responsabilità di chi sia in tal modo designato49.
Spetta all’assemblea anche la nomina del soggetto incaricato di effet-
tuare la revisione legale dei conti (art. 2364, n. 2, come riformato dall’art. 37,
d.lgs. n. 39/2010: la formulazione previgente faceva riferimento al «soggetto
al quale è demandato il controllo contabile»), del presidente del consiglio di
amministrazione (art. 2380 bis, 5° co.) e del presidente del collegio sindacale
(art. 2398).
Ci si è chiesti se l’assembla abbia anche il potere di revocare i presidenti
dei due organi collegiali appena citati. La risposta positiva è certa – si è
detto50 – per quello del collegio sindacale (che potrebbe, a certe condizioni,
mantenere la carica di sindaco51), se non altro per mancanza di alternative.
Alle stesse conclusioni potrebbe giungersi, però, anche per il presidente
del consiglio di amministrazione, a prescindere da chi lo abbia nominato
(potrebbe essere stato anche il consiglio di amministrazione); e non solo in
forza di un’estensione analogica sufficientemente piana dell’art. 2380 bis,
4° co., ma anche in considerazione del fatto che l’assemblea ha certamente
il potere di revocare il presidente dall’ufficio di amministratore, facendolo
con ciò cessare automaticamente dalla carica. Dunque, la revoca assem-
bleare dalla sola carica presidenziale – si è concluso – non potrebbe essere
considerata una soluzione d’irragionevole frattura nell’equilibrio dei poteri
fra gli organi societari52, restando ovviamente salva la facoltà del consi-
glio di amministrazione di revocare il proprio presidente, quando lo abbia
nominato.
Sono inoltre di competenza dell’assemblea ordinaria la fissazione del
compenso degli amministratori, dei sindaci (artt. 2364, n. 3, 2389, 1° co.,
2402), se non è stabilita dallo statuto, e dei liquidatori (art. 2448); in rela-
zione ai primi, un arresto di legittimità ha precisato che, se è determinato
statutariamente, l’assemblea non ha la competenza per modificarlo o inte-
grarlo, quand’anche consista in una partecipazione agli utili ed abbia quindi
49 Questioni su cui si rimanda il lettore alla trattazione concernente il direttore generale.
50 Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 571, nt. 22.
51 Cavalli, I sindaci, in Tratt. Colombo, Portale, V, Torino, 1988, 80.
52 In argomento Sanfilippo, Il presidente del consiglio di amministrazione nelle società per azioni, in Abbadessa, Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amico-rum Gian Franco Campobasso, II, Torino, 2007, 479, nt. 148.
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18 Parte Prima – Assemblea
natura aleatoria53. Ancora a proposito degli amministratori, l’assemblea è
chiamata ad autorizzarli a svolgere attività concorrenziali (art. 2390, 1° co.)
e a delegare le proprie attribuzioni. In relazione a quest’ultima ipotesi, pre-
vista dall’art. 2381, 2° co., si discute in dottrina sulla validità di clausole sta-
tutarie che prevedano una maggiore incidenza dell’assemblea nella materia
della delega amministrativa, che si concretizzi, cioè, in forme diverse e più
penetranti della semplice autorizzazione; si controverte, ad esempio, se lo
statuto possa riservarle la nomina dell’amministratore delegato o asse-
gnarle il potere d’imporre al consiglio il rilascio delle deleghe: l’incertezza
è strettamente connessa al dubbio se la materia della delega di funzioni
amministrative attenga alla sfera gestionale od a quella organizzativa54.
Di particolare rilievo, ancora tra le competenze dell’assemblea ordi-
naria, è l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro gli ammini-
stratori (art. 2393, 1° co.), i sindaci (art. 2407, ult. co.), il direttore generale
(art. 2396) e i liquidatori (art. 2489, 2° co.), nonché la rinuncia e la transa-
zione delle medesime azioni (art. 2393, ult. co.): tutti argomenti ampiamente
trattati in altre parti dell’opera. Basti qui ricordare, da un lato, che la com-
petenza assembleare non sussiste se il comportamento lesivo sia estraneo
(o si trovi in rapporto meramente occasionale) rispetto all’esercizio delle
funzioni societarie del soggetto agente55; e, dall’altro, che il riconoscimento
53 Cass. civ., 7.4.2006, n. 8230, in Foro it., 2007, I, 207.
54 Cagnasso, Nomina dei delegati e «interferenze» di organi o soggetti esterni al consiglio, in Riv. società, 2007, 1071 ss., nega la liceità di clausole di tal genere: l’art. 2364, n. 5, consente solo autorizzazioni statutarie, non decisioni, in materia di atti degli amministratori. Liberale è la posizione di Sanfilippo, Riforma della società e interpreti in controtendenza: il caso della delega amministrativa “obbligatoria”, in Banca borsa, 2007, I, 349, ad avviso del quale «gli interessi in gioco corrono invero sullo stesso piano della scelta fra i diversi modelli di amministrazione e controllo ora offerti dai soci e, all’interno di quello tradizionale, dell’alternativa tra amministrazione unipersonale e collegiale». I dubbi, che non paiono sciolti nella visuale sistematica ora riportata, trovano ulteriore linfa in Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 608, nt. 123: la materia è indubbiamente al confine tra le due sfere, organizzativa e gestionale e, in un simile contesto, pare legata principalmente alla possibilità che clausole del genere possano precludere al consiglio di amministrazione la facoltà di revocare il delegato e la delega e che una simile evenienza contrasti in modo determinante con la funzionalità dello strumento. E proprio alla luce delle incertezze di fondo e dei rischi connessi ad un’interpretazione che privilegi l’assemblea pare di poter affermare che miglior soluzione sia quella che non forzi la lettera della norma.
55 V. Scognamiglio, Osservazioni in tema di illecito dell’amministratore ed azione sociale di responsabilità, in Giur. comm., 1989, II, 208.
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Capitolo Primo – Le competenze 19
del potere di transigere costituisce una conferma alla tesi, espressa anche
in giurisprudenza, che attribuisce all’assemblea ordinaria la competenza di
compromettere in arbitri l’azione di responsabilità56.
Determinano conseguenze rilevanti sulla stessa gestione della società
l’approvazione del bilancio di esercizio (art. 2364, 1° co., n. 1) e di liqui-
dazione (art. 2490, norma introdotta dalla riforma; anche in precedenza,
tuttavia, si riteneva che i liquidatori fossero tenuti a predisporre il bilan-
cio annuale da sottoporre all’approvazione dell’assemblea) e le determina-
zioni circa la destinazione degli utili (art. 2433, 1° co.), argomento sul quale
l’assemblea mantiene la propria sovranità pure nell’ipotesi di adozione
del sistema dualistico. Ed ancora: l’acquisto e la vendita di azioni proprie
(art. 2357, 2° e 4° co.) o della società controllante (artt. 2359 bis, 2° co., e
2359 ter, 1° co.); l’acquisto di beni o di crediti dei promotori, fondatori, soci
ed amministratori nei due anni dall’iscrizione della società nel registro delle
imprese (i c.d. «acquisti pericolosi»: art. 2343 bis, 1° co.); la riduzione obbli-
gatoria del capitale sociale per perdite superiori ad un terzo, che non ne
determinino però la diminuzione al di sotto del minimo legale (art. 2446,
2° co.)57; l’assunzione di partecipazioni in altra società comportante una
responsabilità illimitata per le sue obbligazioni (arg. ex artt. 2361, 2° co., e
2364, n. 5).
L’assemblea ordinaria, al pari di quella straordinaria, è competente ad
eleggere il presidente ed il segretario che non siano già indicati nello statuto
(art. 2371, 1° co.) ed a revocarli per giusta causa, sempre, anche qui, che la
carica non sia stata loro attribuita in via statutaria58. La soluzione della revo-
cabilità non appare contraddetta dall’avvenuto rafforzamento dei poteri del
presidente, circostanza che esige, anzi, di trovare un efficace contrappeso
56 Frè, Sbisà, Della società per azioni, cit., 856; App. Milano, 14.1.1992, in Soc., 1992, 655.
57 La deliberazione è «verbalizzata ed iscritta nel registro delle imprese a norma dell’art. 2436 del codice», dunque è soggetta al controllo notarile, in quanto ha per oggetto una modificazione statutaria (art. 111 terdecies disp. att. trans. c.c.). È sostanzialmente priva di rilievo pratico la questione se essa debba ritenersi una delibera dell’assemblea ordina-ria, soggetta al controllo notarile in virtù del suo contenuto, oppure una deliberazione straordinaria, eccezionalmente adottata con le maggioranze dell’assemblea ordinaria (in argomento Montagnani, sub artt. 2364-2364/II, in Comm. Niccolini, Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 448).
58 Montagnani, sub artt. 2364-2364/II, cit., 501; propende per una generale revocabilità del presidente, Massa Felsani, Il ruolo del presidente nell’assemblea della s.p.a., Milano, 2004, 157.
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20 Parte Prima – Assemblea
in caso di esercizio abusivo e scorretto delle prerogative legali. La delibera
assunta sotto la presidenza di un soggetto revocato dalla carica, il quale non
abbia materialmente consentito la propria sostituzione con la persona desi-
gnata dall’assemblea, deve considerarsi annullabile.
Si discute, infine, su quale tipo di assemblea sia competente ad autoriz-
zare l’esercizio del diritto di opzione spettante alle azioni proprie detenute
dalla società (art. 2537 ter, 2° co.): in assenza di ogni indicazione, non rinve-
nibile neppure nella Relazione, si è ritenuto essere la straordinaria, doven-
dosi ragionevolmente reputare che l’autorizzazione venga data in occasione
della delibera di aumento di capitale59.
Prima di passare alle disposizioni contenute nei nn. 5 e 6 dell’art. 2364,
1° co. (che rappresentano altrettante novità introdotte dalla riforma del
2003), esigenze di completezza consigliano un rapido cenno alle società
quotate, settore nel quale le competenze dell’organo assembleare risultano
arricchite. Spettano infatti all’assemblea ordinaria, se ciò previsto dallo sta-
tuto, l’autorizzazione per gli atti o le operazioni che possono contrastare il
conseguimento degli obiettivi di un’offerta pubblica d’acquisto delle azioni
(art. 104, t.u.f., come recentemente modificato dall’art. 13, d.l. 29.11.2008,
n. 185, convertito con l. 28.1.2009, n. 2, in forza del quale il regime in que-
stione non è più regola legale inderogabile, bensì eventuale, di tipo statu-
tario, appunto), salvo si tratti di delibere per cui è competente l’assemblea
straordinaria; l’elevazione al 5% della soglia legale del 2%, a proposito del
divieto di partecipazioni reciproche (art. 121, 2° co., t.u.f.); e ancora l’appro-
vazione dei piani di compensi basati su strumenti finanziari ad amministra-
tori, dipendenti e collaboratori della società e delle società controllate o
controllanti (art. 114 bis, 1° co., t.u.f., norma applicabile anche alle società
con strumenti finanziari diffusi fra il pubblico).
4.1. L’intervento dell’assemblea ordinaria in relazione ad atti degli ammini-
stratori. La disciplina vigente prima della riforma del 2003.
La riforma del 2003 ha inciso sull’art. 2364 con il prevedere la compe-
tenza dell’assemblea ordinaria ad autorizzare, nei casi previsti dallo statuto,
59 Sarale, Il nuovo volto dell’assemblea sociale, in Ambrosini (a cura di), Il nuovo diritto societario. Profili civilistici, processuali, concorsuali, fiscali e penali, I, Torino, 2005, 165.
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Capitolo Primo – Le competenze 21
il compimento di atti degli amministratori (n. 5) e ad approvare il regola-
mento dei lavori assembleari (n. 6).
Più precisamente, la prima delle due disposizioni si riferisce alle «auto-
rizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti
degli amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli
atti compiuti». La trascrizione letterale ne consente un più facile raffronto
con la norma previgente (art. 2364, 1° co., n. 4), frutto dell’originaria codi-
ficazione del 1942, ai sensi della quale l’assemblea ordinaria era chiamata
a deliberare, tra l’altro, su quegli oggetti attinenti alla gestione della società
che fossero «sottoposti al suo esame dagli amministratori».
Le differenze sono evidenti ed emergono in modo anche più netto se ci
si sofferma sulla disposizione abrogata.
In dottrina si era affermato come quest’ultima, nell’individuare a favore
dell’assemblea una facoltà deliberativa su atti di gestione (che, proprio
in quanto tali, sarebbero stati di competenza degli amministratori), non
potesse comunque legittimare clausole dell’atto costitutivo che le attri-
buissero in toto la gestione dell’ente, da reputare inammissibili perché in
contrasto con il sistema di organizzazione della società per azioni; ma, nel
contempo, si era sostenuto che essa consentisse agli amministratori, «a sca-
rico della propria responsabilità», di sottoporre all’organo assembleare atti
di loro spettanza, sui quali, per le possibili conseguenze, o anche in presenza
di opposte posizioni delineatesi all’interno del consiglio di amministrazione,
i gestori avessero ritenuto opportuno conoscere preventivamente l’avviso
dei soci: le deliberazioni assunte si sarebbero dunque tradotte, di volta in
volta, nell’anticipata approvazione del loro operato, oppure nello strumento
di risoluzione di contrasti insorti tra di essi60.
Affermazioni nette, come si vede, a proposito di profili sui quali, però, le
posizioni degli studiosi erano tutt’altro che univoche; anche perché le solu-
zioni offerte parevano muovere da presupposti (quale la vincolatività delle
delibere assembleari) sui quali non vi era parimenti unanimità di vedute.
I dubbi sussistevano già a proposito dell’ampiezza dei poteri attribuiti
all’assemblea. La tesi che la riserva a suo favore non potesse essere totale
godeva, in effetti, di largo credito: in proposito si sottolineava come la “riabi-
litazione” dell’organo, attuata dall’allora vigente art. 2364, n. 4, non potesse
spingersi sino a scardinare la distribuzione istituzionale di compiti su cui si
60 Frè, Sbisà, Della società per azioni, cit., 592 s.
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22 Parte Prima – Assemblea
basava (e si basa) l’organizzazione della società per azioni; e, nel richiamo
agli esiti delle indagini di Calandra Buonaura e di Corsi in particolare, si
concludeva per l’estrapolabilità dalla gestione sia ordinaria che straordina-
ria, altrimenti spettante agli amministratori, solo di operazioni determinate
(individuate in relazione alla realtà dinamica della singola impresa), non di
un insieme preordinato e finalizzato di atti gestori, comunque catalogati61.
La giurisprudenza di merito si era posta su questa linea di pensiero allor-
ché, decidendo a proposito di una società a responsabilità limitata uniper-
sonale (si era prima della riforma, con l’art. 2364 richiamato dall’art. 2486),
aveva giudicato illegittima una clausola statutaria che prevedeva la generica
necessità di autorizzazione dell’assemblea rispetto alla conclusione di con-
tratti da parte dell’organo amministrativo concernenti l’oggetto principale
della società (nella specie, la costruzione e la compravendita di immobili)62;
mentre aveva mostrato di largheggiare maggiormente quando, anche in que-
sto caso in relazione ad una società a responsabilità limitata, aveva invece
reputato legittima la clausola con cui l’atto costitutivo riservava all’assem-
blea l’approvazione degli atti di disposizione del patrimonio superiori a
dieci milioni di lire (importo pari nella specie alla metà del capitale sociale,
corrispondente al minimo legale di venti milioni di lire)63. Di incerta lettura
un’altra decisione, ancora di merito, che aveva ritenuto omologabile l’atto
costitutivo di una società a responsabilità limitata che consentiva all’assem-
blea di assumere decisioni sulla gestione sociale ai sensi e nei limiti di cui
all’art. 2364, n. 4, in quanto esse non avrebbero mai potuto incidere sull’ope-
rato dell’organo amministrativo64.
In dottrina non era mancato, tuttavia, chi contrastava le tesi restrittive,
ammettendo, all’opposto, una massima possibile apertura65; in tale prospet-
tiva si affermava che, anche qualora l’atto costitutivo avesse statuito che ogni
61 Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1994, 443 ss.; Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1992, 424 s.; ed anche Ferrara jr., Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1999, 559.
62 App. Roma, 2.9.1999, in Soc., 2000, 585.
63 App. Roma, 6.6.1997, in Giur. it., 1998, 293: la Corte ha richiamato l’allora vigente art. 2475 (cui oggi corrisponde l’art. 2463), senza però far menzione alcuna del rinvio operato dall’art. 2486 (anch’esso nella formulazione precedente la riforma), tra gli altri, all’art. 2364.
64 App. Bologna, 13.5.1997, in Riv. notariato, 1998, 327.
65 Minervini, Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1956, 224.
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Capitolo Primo – Le competenze 23
atto di gestione dovesse essere preventivamente deliberato dall’assemblea,
nessun pregiudizio ne sarebbe potuto derivare ai creditori sociali, nei con-
fronti dei quali non sarebbe comunque venuta meno la responsabilità degli
amministratori per l’esecuzione data a delibere assembleari lesive dell’inte-
grità del patrimonio sociale66. O, in modo analogo, si sosteneva che gli statuti
sarebbero stati liberi di riservare all’assemblea qualsiasi oggetto attinente
alla gestione dell’impresa, con le sole eccezioni rappresentate dall’attività
esecutiva e dalla gestione corrente, e le delibere così assunte sarebbero state
vincolanti per gli amministratori, tenuti dunque a darvi esecuzione, salvo
che da ciò potesse scaturire una loro responsabilità verso l’esterno67.
Le tesi liberali ora citate rivelano che la questione si poneva (e si pone)
inevitabilmente in stretta correlazione con il valore e l’efficacia delle deli-
bere assembleari in tema di gestione, cioè sulla loro vincolatività; tema sul
quale altra parte della dottrina poneva l’accento, in qualche misura “neutra-
lizzando” i dubbi sull’ampiezza del trasferimento di poteri deliberativi, con
il risolverlo nel senso che l’asserita inidoneità dell’assemblea a partecipare
al processo decisorio dell’impresa – argomento che stava (e sta) alla base
di ogni discussione concernente le sue “intrusioni” in tale ambito – avrebbe
fatto sì che le deliberazioni assunte in materia, pur se consentite dell’atto
costitutivo, sarebbero state prive di efficacia vincolante, dovendo essere
intese alla stregua di semplici pareri68. In sostanza, l’organo assembleare
avrebbe esplicato una “funzione ponderatoria” su materie attinenti alla
gestione normalmente sottratte alla sua competenza, ma nulla di più, senza,
cioè, che le conseguenti deliberazioni potessero rappresentare altrettanti
ordini cui gli amministratori non avrebbero potuto sottrarsi69. Questi ultimi,
dunque, avrebbero comunque mantenuto la libertà di decidere se dar corso
66 Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 1995, 326.
67 È la posizione di Abbadessa, L’assemblea: competenza, cit., 43.
68 V. Galgano, La società per azioni, in Tratt. Galgano, VII, Padova, 1998, 200 ss.; Bonelli, Le direttive dell’assemblea agli amministratori di società per azioni (art. 2364, n. 4, c.c.), in Giur. comm, 1984, 1, 5 ss.; Id., Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1985, 5 ss.; Partesotti, Recensione a Weigmann, in Riv. dir. civ., 1976, I, 318.
69 Grippo, L’assemblea nella società per azioni, in Tratt. Rescigno, 16, Torino, 1985, 362. In questa prospettiva il Tribunale di Torino, con sentenza 10.8.1988, in Giust. civ., 1989, I, 703, aveva ritenuto che un’apposita clausola statutaria potesse prevedere che le decisioni aventi ad oggetto atti amministrativi (quali il trasferimento della sede sociale) dovessero essere prese a seguito di un parere, comunque non vincolante, dell’assemblea.
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24 Parte Prima – Assemblea
o meno a un certo atto di gestione, assumendosene la responsabilità (in ogni
caso verso l’esterno). In altre parole – come anche recentemente è stato
affermato dal Tribunale di Milano, con riferimento alle disposizioni ante-
riori alla riforma70 – il consenso assembleare, pur suscettibile di escludere
una responsabilità verso la società, non sarebbe stato comunque preclusivo
di un’azione ai sensi degli artt. 2394 e 2395, essendo gli amministratori tenuti
ad agire, in particolare sotto il profilo della conservazione del patrimonio
sociale, a tutela non dei soli soci, ma anche dei creditori, all’uopo adottando
comportamenti coerenti quali la non esecuzione di delibere illegittime o
lesive degli interessi ora ricordati, la segnalazione delle conseguenze deri-
vanti dalla decisione dell’assemblea, la sollecitazione ad una nuova valuta-
zione da parte della stessa e quant’altro inerente ai poteri ed agli obblighi
propri della carica sociale rivestita.
Si tratta di affermazioni condivisibili, alle quali va tuttavia accompagnata
un’avvertenza: un comportamento contrario al “parere” dell’assemblea, se
ingiustificato (quando, ad esempio, non accompagnato dalla constatazione
di possibili profili di illegittimità della deliberazione, talora di non facile
percezione, o di mutate situazioni di merito, anch’esse talvolta opinabili),
avrebbe significato disattendere la volontà dei soci, in ultima analisi incri-
nare il rapporto fiduciario tra soci e gestori, rendendo questi ultimi suscetti-
bili di un’eventuale revoca, se non di un’azione di responsabilità, quando ne
fossero esistiti i presupposti.
L’ampiezza dei poteri statutariamente concessi riprendeva rilievo per chi
riteneva che le deliberazioni in questione si traducessero in altrettante autoriz-
zazioni71. Ciò in quanto si opinasse che almeno la mancanza di autorizzazione
dovesse ritenersi vincolante; mentre la sua concessione avrebbe potuto essere
intesa come semplice rimozione di un ostacolo alla fattibilità dell’atto, ferma
restando la doverosa valutazione degli amministratori e la loro decisione finale.
Ma – sembra possibile aggiungere – ogni loro responsabilità verso la società
avrebbe potuto considerarsi scriminata quando il loro agire fosse stato in linea
con la volontà espressa dall’assemblea. Non però, neppure in questo caso, nei
confronti dei creditori e dei terzi in generale: l’essere stati autorizzati, infatti,
70 Trib. Milano, 2.10.2006, in Giur. it., 2007, 382, con nota di Iozzo.
71 Corapi, Gli statuti delle società per azioni, Milano, 1971, 321, nt. 103; Weigmann, Responsabilità e potere legittimo degli amministratori, Torino, 1974, 86 ss. Nel senso dell’autorizzazione anche Ferrara jr., Corsi, Gli imprenditori e le società, cit., 561, nt. (3).
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Capitolo Primo – Le competenze 25
non avrebbe potuto escludere il loro potere-dovere di decidere diversamente
ogniqualvolta seguire le determinazioni dei soci avrebbe comportato pregiu-
dizi all’integrità patrimoniale.
Sin qui sugli «oggetti attinenti alla gestione della società riservati» alla
competenza dell’assemblea «dall’atto costitutivo»; ma che dire di quelli «sot-
toposti al suo esame dagli amministratori»? Era la prospettiva di partenza
a cambiare: non più una specifica previsione contenuta nell’atto genetico,
bensì valutazioni di volta in volta maturate dall’organo di gestione. Si tratta
di un profilo – occorre ricordarlo – espunto dalla vigente formulazione della
norma, ma sul quale qualche riflessione appare opportuna.
Esso coinvolgeva, infatti, anche l’ipotesi limite dell’atto estraneo
all’oggetto sociale, su cui la giurisprudenza di merito si divideva. Da un
lato, il superamento dei limiti posti dall’oggetto era ritenuto possibile solo
a seguito della modifica dello statuto, cosicché un’eventuale autorizzazione
assembleare non avrebbe potuto in ogni caso sanare il vizio72; o, con mag-
giore apertura, l’approvazione unanime da parte dell’assemblea totalitaria
non avrebbe impedito alla società di opporre al terzo di mala fede l’estra-
neità, potendo al più la volontà dei soci porre l’amministratore al riparo
da una eventuale azione di responsabilità73. Dall’altro, si affermava l’inci-
denza dell’oggetto sociale sui poteri di rappresentanza degli amministratori,
non sulla capacità giuridica e di agire della società: dal che si deduceva la
ratificabilità di un atto che vi fosse estraneo e, a maggior ragione, la possi-
bilità di una sua preventiva autorizzazione ad opera di una deliberazione
dell’assemblea ordinaria (nella specie decisa, l’atto consisteva nell’iscri-
zione di un’ipoteca sugli immobili appartenenti ad una società per azioni,
a favore di un banca creditrice di una terza società, ed era stato autorizzato
da un’assemblea totalitaria)74.
Più in generale, ci si poteva domandare a quali parametri si sareb-
bero dovute attenere le valutazioni cui si è fatto cenno poco sopra; ed
in particolare se la previgente normativa attribuisse agli amministra-
tori una totale discrezionalità nel coinvolgere l’assemblea, ovvero se, di
fronte a talune fattispecie, la loro stessa competenza potesse considerarsi
72 Trib. Treviso, 20.6.2002, in Giur. it., 2003, 2118: non è consentito ai soci vanificare il limite posto dall’oggetto alla legittimità dell’attività.
73 Trib. Roma, 10.1.2001, in Giur. it., 2001, 1431, con nota di Weigmann.
74 App. Milano, 20.2.2001, anch’essa in Giur. it., 2001, 1431, con nota di Weigmann.
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26 Parte Prima – Assemblea
intaccata. Ritenere corretto il secondo termine del dilemma (al quale
si sarebbe dovuta ricondurre l’ipotesi concernente l’oggetto) avrebbe
posto il diverso problema della distinzione tra atti di ordinaria ed atti
di straordinaria amministrazione, intesa non nel senso tradizionale della
ripartizione tra atti conservativi ed atti dispositivi del patrimonio, bensì in
quello, più aderente alla realtà dinamica dell’impresa, della separazione
tra gli atti che non modificano e quelli che, al contrario, cambiano le strut-
ture organizzative dell’impresa e ne coinvolgono, sul piano del mercato,
finanziario o produttivo, le scelte strategiche di fondo; e, in ultima analisi,
avrebbe condotto a riconoscere implicitamente all’assemblea la preroga-
tiva dell’esercizio di una vera e propria attività gestoria, sia pure ad un
livello elevato75. Prospettiva resa ancor più delicata nel constatare che
tale attività si sarebbe esplicata non su specifici oggetti riservati alla sua
competenza dall’atto costitutivo, ma su tutto quanto fosse riconducibile a
quell’ambito. S’incrociava così la posizione espressa da quella parte della
dottrina che ravvisava la possibilità d’individuare ipotesi di necessario
coinvolgimento dei soci, pur in assenza di previsione legislativa, di fronte
a decisioni gestionali «d’interesse primordiale», tali, cioè, da poter inci-
dere sulle stesse caratteristiche strutturali dell’iniziativa imprenditoriale.
L’argomento, sostanzialmente coincidente, almeno nel suo concreto
estrinsecarsi, con la tesi che l’assemblea sia dotata (anche) di «competenze
implicite», forma oggetto di un breve, successivo paragrafo.
4.2. La disciplina introdotta dalla riforma del 2003. La concessione di auto-
rizzazioni per il compimento di atti degli amministratori.
Come si è avvertito, il vigente art. 2364, 1° co., n. 5 statuisce che l’assem-
blea ordinaria delibera non solo sugli oggetti attribuiti dalla legge alla
sua competenza, ma anche «sulle autorizzazioni eventualmente richie-
ste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori»; salvo
subito precisare – lo si è già sottolineato – che resta «ferma in ogni caso la
responsabilità di questi per gli atti compiuti».
La nuova disposizione (in relazione alla quale non parrebbero ancora
edite decisioni giurisprudenziali) ha inteso delineare in modo netto il
75 Come ha osservato Cottino, Le società. Diritto commerciale, Padova, 1999, 336 s.
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Capitolo Primo – Le competenze 27
riparto di competenze tra assemblea ed amministratori, riducendo le pos-
sibilità d’intervento della prima, col definire quali mere autorizzazioni le
sue delibere sugli oggetti statutariamente indicati e nel non far più cenno
alla possibilità per i secondi di ottenerne una pronuncia su altre questioni.
Il carattere autorizzativo delle delibere, nell’escluderne implicitamente la
vincolatività – almeno nel caso di concessione – ha contribuito a chiarire la
posizione dei gestori che ne sono destinatari, non a caso dichiarati «in ogni
caso» responsabili.
Il tenore letterale della norma, anche in quanto confrontato con il testo
precedente, pare poi consentire la soluzione di un altro problema, poiché
l’avverbio «eventualmente» e la preposizione semplice «di» sembrano eli-
minare, in effetti, la possibilità di una clausola statutaria che preveda l’inter-
vento assembleare (nei limiti dell’autorizzazione, ovviamente) su ogni atto
altrimenti di competenza degli amministratori76: ipotesi che, invece, era
ammessa da una parte, minoritaria ma autorevole, della dottrina sulla base
della previgente normativa; e che, non sconosciuta alla pratica77, era però
tale da poter determinare, anche nelle società di piccole dimensioni, un
serio ostacolo allo svolgimento di una normale gestione.
A questo proposito può tornare utile ricordare quanto si è scritto nel
paragrafo che precede sulle decisioni suscettibili d’incidere sugli stessi carat-
teri strutturali dell’ente, non per rinvenirvi un limite sostanziale alla sfera
decisionale degli amministratori (che, alla luce della riforma, non parrebbe
comunque più ipotizzabile), bensì per individuare in tale ambito gli specifici
atti sui quali l’assemblea può avere un naturale interesse ad interloquire,
interesse che si traduce in un diritto-dovere se ed in quanto essi trovino
specificazione nello statuto.
76 In tal senso Sarale, Il nuovo volto dell’assemblea sociale, cit., 167, che osserva come la scelta restrittiva del legislatore riveli la volontà di porre fine agli abusi che la pre-cedente formulazione aveva prodotto nella prassi, dove l’ampiezza della riserva finiva spesso per svuotare completamente la funzione degli amministratori, relegati al rango di meri esecutori.
77 Galgano, Il nuovo diritto societario, in Tratt. Galgano, cit., 201, ricorda come, prima della riforma, ampie deleghe non fossero inusuali, se non nelle grandi o medio-grandi società per azioni, in quelle di piccole o medio-piccole dimensioni (oltre che nelle società a responsabilità limitata): e come fosse frequente, in queste, la previsione di clausole che richiedevano una deliberazione dell’assemblea per le operazioni che superassero un certo ammontare o per gli acquisti e le vendite immobiliari o, addirittura, per tutti gli atti ecce-denti l’ordinaria amministrazione.
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28 Parte Prima – Assemblea
La norma – si è detto78 – ha introdotto una «disposizione assai rigida
e rigidamente limitativa», che determina un chiaro depotenziamento delle
prerogative assembleari: i soci, in altri termini, hanno minor voce in capitolo
sulle decisioni dei gestori79. E, in effetti, il suo tenore da un lato ribadisce il
principio della riserva di competenza in tema di gestione in capo agli ammi-
nistratori, sulla scorta di quanto disposto dall’art. 2380 bis, 1° co. (e, per i
sistemi alternativi, dagli artt. 2409 novies, 1° co., e 2409 septiesdecies, 1° co.),
e, dall’altro lato, sancisce anche la loro esclusiva responsabilità rispetto ad
ogni atto compiuto80. I due aspetti si rivelano reciprocamente condizionanti
in quanto, di regola, si è soli responsabili nella misura in cui si sia gli unici
soggetti cui sia possibile riferire talune funzioni ed i corrispondenti atti, in
merito ai quali sia possibile decidere indipendentemente da un’autorizza-
zione ricevuta, anche se non vincolante.
Si tratta però di una soluzione che – si è obiettato81 – non sembra cogliere
il giusto punto di equilibrio tra autonomia statutaria e responsabilità degli
amministratori: meglio sarebbe stato non escludere la possibilità di riser-
vare all’assemblea la decisione su determinati atti di gestione, ma prevedere
il diritto-dovere degli amministratori di disapplicarne le delibere contrarie
alle regole imposte a tutela della società, dei creditori e dei terzi.
Il riferimento alle sole «autorizzazioni eventualmente richieste dallo sta-
tuto» parrebbe inoltre escludere la possibilità per l’organo gestorio d’investire
l’assemblea di problemi diversi e ulteriori, come del resto conferma la peren-
torietà della Relazione: «Gli amministratori non possono, di propria iniziativa,
sottoporre all’assemblea operazioni attinenti alla gestione sociale». Per altro
verso, venuta ormai meno la funzione di consentire loro il “discarico” dalla
78 Cottino, Diritto societario, cit., 322.
79 La riforma ha tuttavia ammesso una loro impugnativa delle deliberazioni del con-siglio di amministrazione «lesive dei loro diritti» (art. 2388, 4° co.), ed in tal modo ha dato dignità legislativa ad un orientamento giurisprudenziale risalente al 1988, più pre-cisamente a Cass. civ., 21.5.1988, n. 3544, in Giust. civ., 1988, I, 1979, ma definendone i confini; così realizzando una qualche ingerenza dei soci che travalica la distinzione di competenze. In argomento Irrera, sub art. 2388, in Comm. Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, cit., 730 ss.
80 Petrazzini, sub artt. 2364-2364 bis, in Comm. Cottino, Bonfante, Cagnasso, Monta-lenti, cit., 474.
81 Come ha rilevato Abbadessa, L’assemblea nella s.p.a.: competenza e procedimento nella legge di riforma, in Giur. comm., supplemento al n. 3/2004, Contributo alla riforma delle società di capitali, 542 s.
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Capitolo Primo – Le competenze 29
responsabilità (verso la società) riconducibile, almeno sulla base di taluna
interpretazione, al previgente sistema di approvazione assembleare, si è soste-
nuto che, anzi, sarebbe priva di utilità ogni ricerca di supporto presso i soci82.
La tesi, tuttavia, è stata oggetto di critiche: da un lato, l’invalicabile cri-
stallizzazione di competenze che ne sarebbe conseguenza concretizzerebbe
una soluzione difficile da comprendere in un regime normativo impron-
tato ad un’ampia autonomia contrattuale83; dall’altro, specie nelle società
di ridotte dimensioni, la discussione in assemblea di certe operazioni sociali
parrebbe strumento atto a garantire agli azionisti una corretta informazione
ed offrire loro, anche indirettamente, un’occasione per valutare il compor-
tamento dei soggetti chiamati ad amministrare, non sulla base dei soli conti,
ma anche della professionalità che emerge dai loro comportamenti: non
si può dimenticare, in altri termini, che tra amministratori e soci vi è pur
sempre un legame fiduciario che dovrebbe indurre i primi a cercare di sol-
lecitare il consenso dei secondi, interpretandone il più possibile interessi
ed inclinazioni84. Quanto, poi, alla giustificazione presente nella Relazio-ne85, essa è stata ritenuta non del tutto coerente con quanto stabilisce pro-
prio il n. 5, che elimina ogni dubbio in punto responsabilità: cosicché non
vi sarebbe ragione per precludere agli amministratori la facoltà di richie-
dere il parere dei soci su determinati argomenti o su di una certa opera-
zione, quando essi lo ritengano utile o necessario, indipendentemente da
ogni previsione statutaria86. Si tratterebbe dell’espressione di quel più gene-
rale principio dell’autonomia che la riforma ha inteso sottolineare, da non
intendere, però, nel senso di un’apertura ulteriore ad un intervento gestorio
82 In questo senso Galgano, Il nuovo diritto societario, cit., 203; Campobasso, Manuale di Diritto Commerciale, Torino, 2003, 227, ove si pone l’accento in particolare sul tenore dell’art. 2380 bis, 1° co.
83 Petrazzini, sub artt. 2364-2364 bis, in Il nuovo diritto societario, cit., 474.
84 Sarale, Il nuovo volto dell’assemblea sociale, cit., 166; sulla stessa linea Pasqua-riello, sub artt. 2364-2366, in Maffei Alberti (a cura di), cit., 446.
85 Si è voluto evitare che «come in passato poteva accadere, nessuno risponda di una data operazione, né l’assemblea che è per definizione irresponsabile, né gli amministratori che a discarico di responsabilità abbiano sottoposto l’operazione» al suo vaglio.
86 La tesi è sostenuta anche da Abbadessa, in Parere dei componenti del Collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in Diritto commerciale interno ed internazionale, Università Cattolica di Milano, in Riv. società, 2002, 1472; e da Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 580 s., come già anticipato in Id., Le competenze dell’assemblea nelle s.p.a., in Riv. società, 2010, 288 s.
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dell’assemblea (ipotesi che sarebbe semmai prospettabile nel contesto della
società a responsabilità limitata, per la sua più accentuata natura “persona-
listica”87). Né, d’altra parte, per superare il problema si potrebbe pretendere
che chi si accinge a scrivere uno statuto abbia presenti tutti i futuri punti
critici dell’attività dell’impresa societaria, sì da essere in grado d’individuare
a priori i momenti nei quali potrebbe rivelarsi opportuno un intervento
autorizzativo assembleare: per quanto scrupolosi e professionalmente pre-
parati, i redattori non potrebbero mai prevedere tutto, sì che, prima o poi,
gli amministratori rischierebbero di trovarsi nella ragionevole condizione
d’interpellare l’assemblea, ma di non trovare, nelle pieghe dello statuto, una
clausola che lo consenta.
Di fronte a questo irrisolto dibattito, si può tentare di porre a raffronto il
testo previgente e quello attuale, per le parti che qui interessano.
Il primo, al n. 4 dell’art. 2364, 1° co., individuava un vero e proprio potere
deliberativo dell’assemblea su oggetti attinenti alla gestione dell’impresa
indicati nell’atto costitutivo o sottoposti al suo esame dagli amministra-
tori; laddove il secondo ammette un intervento di tale natura sotto il solo
profilo dell’autorizzazione per il compimento di (determinati) atti degli
amministratori e, nel contempo, fa venir meno, su tutta la linea (se non per
quanto previsto dalla legge) ogni possibilità d’incidere sulla responsabilità
dei gestori: infatti l’autorizzazione – come meglio si dirà infra – rimuove
semplicemente un ostacolo al compimento di un atto, ma non determina, di
per sé, la loro irresponsabilità, neppure sul versante interno della società. Le
reciproche competenze sono in tal modo fatte salve.
In tale contesto, ci si deve allora domandare se sia incompatibile un
intervento assembleare che si limiti ad esprimere un parere: che, cioè, indi-
chi quale sia l’atteggiamento (della maggioranza) dei soci su di un certo
argomento. Non si tratterebbe di una «deliberazione» (come invece recitava
la norma anteriore alla riforma), bensì, molto più semplicemente, di un’opi-
nione, priva di qualsiasi effetto se non quello di esteriorizzare il pensiero dei
soci. Il codice non la prevede, è vero: ma perché individua soltanto ciò su cui
87 Cottino, Diritto societario, cit., 338. Dalla mancata riproposizione della relativa facoltà, in connessione con quanto disposto dall’art. 2380 bis sull’esclusività dei compiti gestori degli amministratori, Meloncelli, in Comm. Sandulli, Santoro, cit., 255, esclude che questi ultimi abbiano comunque conservato la facoltà di investire l’assemblea della gestione societaria di investire l’assemblea della gestione societaria.
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l’assemblea “delibera”, senza però escludere, forse, ciò che delibera non è88;
il che, nonostante il silenzio del legislatore, potrebbe consentire di configu-
rare in capo agli azionisti l’esistenza di una funzione meramente consultiva.
La risposta positiva sembra preferibile, proprio in virtù di quel rap-
porto fiduciario che – come la dottrina ha avuto modo di rilevare –
intercorre necessariamente tra assemblea e gestori, che di quella sono
espressione; rapporto che dovrebbe avere in sé la possibilità di un dialogo
al di fuori di ogni «deliberazione», dunque senza incidere in alcun modo
sul riparto di competenze. Con effetti in nessun caso vincolanti, neppure
se il parere espresso a proposito di un atto di gestione fosse di segno
negativo: il che non esclude, ovviamente, che un comportamento degli
amministratori non in linea con l’opinione espressa dall’assemblea possa
assumere qualche rilievo allorché si debba accertare la diligenza della
loro condotta, almeno sul piano dei principi che disciplinano la prova in
un contesto processuale.
Di fronte ad un parere che si traducesse, invece, in una formale delibe-
razione, ci si è del resto domandati89 quale tipo d’invalidità affetterebbe il
decisum che, su iniziativa degli amministratori, fornisse loro istruzioni e
quale specifica censura potrebbe loro essere mossa per il fatto di esservisi
conformati, dal momento che ciò sarebbe comunque avvenuto sotto la loro
responsabilità: domanda sostanzialmente retorica in un sistema nel quale
«ci si picca di aver formulato il principio di tassatività delle ipotesi di inva-
lidità delle deliberazioni assembleari previste dalla legge». Se ne è concluso
che nella fattispecie sarebbero carenti le sanzioni, e questo farebbe venir
meno ogni discussione. Ma, a voler distinguere, si potrebbe forse eccepire
che una simile «deliberazione» potrebbe essere impugnata sotto il profilo
della non conformità alla legge (che, appunto, non prevede deliberazioni
se non autorizzative): comunque senza concrete ricadute risarcitorie, atteso
il suo carattere sicuramente non vincolante e – si tratta dell’elemento diri-
mente – l’esclusiva responsabilità degli amministratori che ne avessero
seguito i suggerimenti.
88 In proposito v., tra gli altri, Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 581; Calandra Buonaura, I modelli di amministrazione e controllo nella riforma del diritto societario, in Giur comm., 2003, I, 541.
89 Montagnani, sub artt. 2364-2364/II, cit., 455.
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4.2.1. I caratteri dell’autorizzazione e l’incidenza del provvedimento
sull’operato degli amministratori.
L’autorizzazione, si diceva, rimuove un ostacolo al compimento di un
atto, ma non è vincolante, al contrario della deliberazione assembleare di un
atto di amministrazione assunta in conformità ad una delle ipotesi previste
dalla legge, che obbliga gli amministratori alla sua esecuzione, salvo che essi
la impugnino o rifiutino di eseguirla dimettendosi. L’autorizzazione, in altre
parole, li lascia liberi di rispettarne o meno il contenuto e di valutare in con-
creto il da farsi90; tuttavia, se decidono di disattendere la volontà espressa dai
soci, devono motivare adeguatamente la loro scelta, a meno che l’assemblea
abbia concesso preventivamente la facoltà di effettuare o meno l’operazione.
Possono essere intervenute, nel frattempo, circostanze nuove, tali da imporre
una modifica nel merito della decisione che si era chiesto di autorizzare;
oppure un più approfondito esame della fattispecie può far emergere rischi
di pregiudizio per la società prima non colti. Non a caso si è detto che «la
valenza del principio di esclusiva responsabilità consiste proprio nell’amplia-
mento dell’area dei doveri e delle responsabilità degli amministratori “indi-
sponibile” per i soci», dunque «nella maggiore estensione del potere-dovere
di rifiuto» dei primi. Ciò è coerente con una responsabilità che è, in base
alla riforma, «ferma in ogni caso» anche verso la società (non essendosi
comunque mai dubitato che l’aver eseguito una delibera assembleare fosse
inidoneo ad esonerarne l’organo amministrativo nei confronti dei creditori
sociali)91. Il meccanismo autorizzativo contempla, infatti, nel disegno del
codice, una terza fase, successiva alla proposta ed all’autorizzazione, in cui gli
amministratori valutano in via definitiva il compimento dell’operazione, per
ponderare ancora una volta la sua conformità all’interesse sociale92.
Diversa è la situazione nell’ipotesi in cui l’assemblea non autorizzi.
La dottrina, sul punto, è divisa. Da un lato si è affermato che il diniego non
costituisce un vincolo al comportamento degli amministratori, comunque
90 Tra i tanti, Galgano, Il nuovo diritto societario, cit., 203; Petrazzini, sub artt. 2364-2364 bis, in Il nuovo diritto societario, cit., 474; Salafia, L’assemblea della società per azioni secondo la recente riforma societaria, in Soc., 2003, 1054; Santosuosso, La riforma del diritto societario…, cit., 102 s.
91 Pinto V., Brevi osservazioni in tema di deliberazioni assembleari e gestione dell’impresa nella società per azioni, in Riv. dir. impresa, 2004, 443.
92 Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 588.
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liberi di compiere le operazioni sottoposte ai soci e da questi non gradite93;
dall’altro si è invece sostenuto che essi sarebbero carenti di legittimazione
a darvi corso: dunque, l’aver agito in difformità sarebbe circostanza idonea
ad integrare una giusta causa di revoca o il presupposto per una denuncia
al collegio sindacale o al Tribunale (artt. 2408 e 2409) o ancora, qualora ne
derivasse un danno per la società, un’ipotesi di responsabilità94.
In effetti, pare corretto affermare, anche prescindendo dal significato
lessicale della norma (di per sé sufficientemente chiaro), che se i patti
sociali prevedono la preventiva autorizzazione dell’assemblea per certe
operazioni, il porle in essere quando i soci si siano espressi in senso negativo
rappresenta, per un verso, violare una norma statutaria e, per altro verso,
dar esecuzione ad atti che non possono definirsi il risultato di un corretto
procedimento formativo.
A identiche conclusioni si deve pervenire qualora l’autorizzazione
non sia nemmeno chiesta. Ma con un’eccezione, perché quando ragioni di
urgenza non consentano di rispettare il percorso imposto dallo statuto, si
può fondatamente ritenere che gli amministratori siano legittimati ad ese-
guire immediatamente l’atto che dovrebbe essere previamente sottoposto
al vaglio assembleare. Questa conclusione è giustificata non solo da ragioni
logiche, ma appare corretta anche sotto il profilo normativo, dovendosi rite-
nere che l’art. 2258, 3° co., pur se dettato per le società di persone, esprima
in realtà un principio generale nell’intero diritto societario95. È tuttavia
legittimo chiedersi se l’organo di gestione debba comunque sottoporre ai
soci la decisione presa ed attuata, per riceverne l’approvazione o, se si vuole,
la ratifica. La risposta positiva pare trovar conforto in una constatazione
di fondo: se lo statuto prevede che determinati «atti degli amministratori»
93 Libonati, Assemblea e patti parasociali, in AA.VV., La riforma del diritto societario (atti del convegno: Courmayeur, 27-28 settembre 2002), Milano, 2003, 468; Maffezzoni, sub art. 2364, in Picciau (a cura di), Assemblea, Milano, 2008, 205.
94 Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 583 s.; Galgano, Il nuovo diritto societario, cit., 203; Petrazzini, sub artt. 2364-2364 bis, in Il nuovo diritto societario, cit., 474; categorico Portale, Rapporti tra assemblea e organo gestorio nei sistemi di ammi-nistrazione, cit., 26: la negazione dell’autorizzazione «corrisponde, in realtà, ad un Vetore-cht (come dicono gli scrittori svizzeri e tedeschi) che comporta una penetrante ingerenza in senso ostativo al potere gestorio dell’organo amministrativo: (…) la negazione equivale ad un divieto».
95 Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 587; Petrazzini, sub artt. 2364-2364 bis, in Il nuovo diritto societario, cit.
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debbano essere autorizzati prima di essere posti in esecuzione, ne conse-
gue che l’assemblea abbia il potere di controllarli anche quando ragioni di
urgenza ne abbiano imposto, invece, l’immediata attuazione96. Il controllo,
in tal caso, sarà duplice, poiché avrà ad oggetto sia l’atto in sé, sia la deroga
all’obbligo statutario, che dovrà essere motivato in modo adeguato; ovvia-
mente, il rischio di non veder approvato il proprio comportamento renderà
gli amministratori particolarmente cauti nel deliberare e nell’attuare senza
indugio la decisione presa, senza che ciò possa essere considerato un aggra-
vio ai loro doveri.
In tutti i casi in cui l’autorizzazione sia negata e l’atto venga tuttavia
eseguito, al pari di quelli (appena accennati) di mancata approvazione
o ratifica, la posizione dei terzi che siano stati coinvolti è fatta salva ai
sensi del novellato art. 2384, 2° co., esclusa soltanto l’ipotesi dell’excep-tio doli. Una diversa soluzione risulterebbe in contrasto non solo con la
Prima Direttiva, che ha imposto regole volte a salvaguardare la certezza
del traffico giuridico e dei rapporti societari, ma anche con l’elaborazione
giurisprudenziale e dottrinale successiva, che ha sempre letto nella neces-
sità dell’assenso assembleare un limite al potere degli amministratori; se
così è – si è detto97 –, le operazioni in questione rientrano inevitabilmente
nell’ambito della disposizione citata, che concerne in modo espresso «le
limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto». La
conclusione è che nei rapporti esterni gli atti compiuti restano validi ed
impegnativi, salvo che si provi che i terzi abbiano agito intenzionalmente
a danno della società; ben diversa – come si è già detto – è la prospettiva
nei rapporti interni.
Un recente intervento giurisprudenziale98 consente ulteriori considera-
zioni sulla norma, in una visuale in qualche misura diversa.
96 Come forse si potrebbe dedurre anche da Meloncelli, sub art. 2364, in Comm. San-dulli, Santoro cit., 255, nt. 7, ove si nega la possibilità di ratifica da parte dell’assemblea, ma con espresso riferimento ad un atto estraneo all’oggetto sociale posto in essere dagli amministratori (e si dà conto delle posizioni espresse in giurisprudenza al riguardo).
97 Sarale, Il nuovo volto dell’assemblea sociale, cit., 167, ove anche si commenta che tutto ciò avviene «con buona pace di chi ha creduto che la scelta di partecipare al rischio d’impresa, sottoscrivendo azioni e subordinando così il suo investimento alle istanze dei creditori e dei meri finanziatori, potesse assicurargli qualche prerogativa in più, almeno al livello di partecipazione ai processi decisionali in ordine alle scelte più rilevanti».
98 Trib. Milano, 19.9.2007, in Giur. it., 2008, 371, con nota di Spiotta.
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Capitolo Primo – Le competenze 35
Nella fattispecie decisa dal Tribunale, si discuteva della validità di una
clausola statutaria che imponeva di demandare all’assemblea le decisioni
non approvate all’unanimità dai consiglieri in carica: dunque, ogniqualvolta
il consiglio di amministrazione si fosse espresso in un certo senso, ma senza
raggiungere l’unanimità dei consensi, la palla sarebbe passata all’assemblea
per l’“autorizzazione”. Il Tribunale ha ritenuto il patto perfettamente legit-
timo, trattandosi «comunque di una competenza decisionale che per sta-
tuto è ripartita tra organo amministrativo e assembleare, sulla scorta della
facoltà indicata nell’art. 2364.5 c.c.»; nel caso, la competenza dell’assem-
blea non sostituiva quella del consiglio, la cui deliberazione era pur sempre
destinata a rimanere sua propria, quale unico responsabile nonostante il
placet assembleare, semplicemente volto, quest’ultimo, ad introdurre una
garanzia di vaglio ulteriore di una decisione consiliare. La sentenza – si è
osservato nella nota che l’accompagna – ha (anche) risolto il problema,
dibattuto in dottrina, della legittimità di una clausola che impone il voto
unanime dei componenti il consiglio di amministrazione per l’approva-
zione di una delibera99 (che, nella specie, concerneva un piano industriale),
utilizzando però il possibile intervento dell’assemblea e così evitando di
prendere posizione sull’aspetto più discutibile della questione, il vulnus al
principio maggioritario.
Il percorso logico seguito potrebbe rivelare una qualche forzatura del
riparto di competenze tra i due organi, riparto che la riforma ha fissato in
modo ben più netto di prima, in quanto nella fattispecie decisa l’ “autoriz-
zazione” parrebbe non già espressione della volontà non vincolante dei
soci, bensì condizione al cui verificarsi la decisione consiliare acquisterebbe
senz’altro efficacia, sì da dover essere eseguita. In sostanza a dire l’ultima
parola sarebbe l’assemblea, travalicando la semplice funzione autorizza-
tiva, dunque non definitiva, che il codice le assegna. L’obbiezione, tuttavia,
potrebbe essere ritenuta eccessivamente formalistica: si potrebbe dire, cioè,
99 Lasciando ad altra parte dell’opera la più analitica disamina della questione, basti qui ricordare che parte della dottrina ritiene inammissibili clausole di tal genere,che potreb-bero paralizzare l’attività della società e risulterebbero contrarie al principio maggiorita-rio: cosí Bianchi, Gli amministratori di società di capitali, Padova, 2006, 560; Ventoruzzo, sub art. 2388, in Ghezzi (a cura di), Amministratori. Artt. 2380-2396 c.c., in Comm. Mar-chetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2005, 306. Un’opinione parzialmente permissiva per i quorum deliberativi all’unanimità è espressa da Sanfilippo, Funzione amministrativa e autonomia statutaria nelle società per azioni, Torino, 2000, 193 ss.
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che, di fronte alla delibera assunta dal consiglio di amministrazione a mag-
gioranza, l’intervento successivo dei soci rimuove semplicemente un osta-
colo alla perfezione dell’atto, realizzando una pura e semplice inversione
nell’ordine temporale indicato dal codice (prima l’autorizzazione, poi la
delibera). La situazione, oltre tutto, è ben diversa – nel senso di meno diver-
gente dalle regole – da quella, esaminata poco sopra, dell’assenso assem-
bleare successivo allo stesso compimento dell’atto deciso dal consiglio di
amministrazione, che si è ritenuto legittimo (e doveroso). D’altra parte, in
dottrina si è anche affermato che il modello codicistico non pare escludere
che l’operazione sia approvata in tutti i suoi aspetti dall’organo ammini-
strativo e venga nel contempo espressamente subordinata alla sola auto-
rizzazione assembleare, «senza necessità di ulteriori passaggi in consiglio di
amministrazione» e con immediato potere-dovere di esecuzione da parte
dei titolari del potere rappresentativo, una volta autorizzata100.
4.2.2. Le decisioni “d’interesse primordiale” per i soci. Le competenze
“implicite” dell’assemblea.
L’aver esaminato il tenore del previgente art. 2364, 1° co., n. 4 e
dell’attuale art. 2364, 1° co., n. 5 consente ora di dedicare qualche cenno
alla tesi, espressa in dottrina già prima della riforma ma priva – per quanto
risulta – di riscontri giurisprudenziali, secondo cui, indipendentemente da
ogni espressa previsione statutaria, l’assemblea dovrebbe essere chiamata
a pronunciarsi ogni qual volta gli amministratori si trovino di fronte a deci-
sioni definite “d’interesse primordiale”, perché suscettibili d’incidere sulle
caratteristiche strutturali, dunque essenziali, dell’impresa; impostazione cui
è possibile accostare quella che individua nell’organo ipotesi di competenza
“implicita”101.
Si sosteneva che l’interpretazione della norma in vigore prima del d.lgs.
17.1.2003, n. 6 – secondo la quale la facoltà degli amministratori di sottoporre
all’assemblea oggetti attinenti alla gestione della società non poteva tradursi
in un loro dovere – dovesse cedere di fronte a decisioni che, pur ricadendo
formalmente nella categoria degli atti di gestione, incidessero gravemente su
100 Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 588 e s.
101 Per una più ampia trattazione, Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 592 ss.
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interessi e situazioni giuridiche riferibili alla collettività dei soci, in quanto
volte ad alterare radicalmente la struttura patrimoniale ed organizzativa della
società o ad esporne il patrimonio a rischi atipici o difformi da quelli assunti
in origine; cosicché il comportamento degli amministratori che avessero
adottato le relative decisioni in totale autonomia, senza consultare l’assem-
blea, non avrebbe potuto trovare giustificazione102. «Potrebbero gli ammini-
stratori – ci si chiedeva103 – alienare l’unico stabilimento sociale, sia pure per
acquistarne un altro, senza l’autorizzazione dell’assemblea? Potrebbero, se
la società ha un oggetto composito, dimettere un’attività ed intraprenderne
un’altra?»104. Nel dare risposta negativa, si concludeva che, se era vero che la
competenza esclusiva dei gestori poteva non avere limiti formali (in assenza,
cioè, di deroghe dell’atto costitutivo), era altrettanto vero che essa ne incon-
trava uno sostanziale, non predefinibile in astratto, consistente «nel fatto che
ad essi è demandata la gestione non di un’impresa, ma della specifica impresa
di cui la società è titolare, onde essi non possono intaccarne l’identità sostan-
ziale ed i caratteri essenziali». Il fondamento giuridico della tesi era indivi-
duato nel previgente art. 2364, n. 4: non si trattava di una sorta di competenza
“naturale” dell’assemblea di fronte a certe decisioni, bensì dell’implicita esi-
stenza di una regola di comportamento in capo agli amministratori, tale da
far ritenere doverosa sul piano dei loro doveri la rimessione della decisione
ai soci, interpretando in termini di “obbligo” quella che la legge prevedeva
come semplice “facoltà”. Come conseguenza, essi sarebbero stati al riparo da
un’eventuale azione di responsabilità; non, però, quando il comportamento
102 Situazione destinata a verificarsi più facilmente nelle imprese medio-piccole, meno in quelle di grandi dimensioni.
103 Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1992, 423 s.; la tesi era propugnata anche da Calandra Buonaura, Gestione dell’impresa e competenze dell’assemblea nella società per azioni, Milano, 1985, 129 ss.; Id., Potere di gestione e potere di rappresentanza degli amministratori, in Tratt. Colombo, Portale, IV, Torino, 1991, 116; Abbadessa, L’assemblea: competenza, cit., 20.
104 Altre ipotesi, ricordate da Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 594, sono il conferimento dell’intera azienda o di sue parti essenziali in altra società; la cessione dell’intera azienda, se finalizzata alla messa “in sonno” della società od alla liquidazione del patrimonio sociale; la dismissione del controllo delle società operative che rappresentino la totalità o quasi del patrimonio sociale; le operazioni d’investimento delle disponibilità societarie in iniziative atipiche; il radicale e brusco abbandono di mer-cati consolidati.
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tenuto, benché approvato preventivamente dai soci, si fosse tradotto in abusi
e distrazioni, come ha puntualmente deciso la Corte di appello di Milano105.
La riforma del diritto societario ha abrogato la disposizione in parola,
cosicché la teoria delle «decisioni d’interesse primordiale» si è vista privata
del suo asserito, specifico fondamento normativo. Tuttavia, se è vero che,
nonostante la nuova disciplina, nulla può impedire agli amministratori di
sottoporre comunque all’assemblea operazioni per le quali lo statuto non
ne imponga la preventiva autorizzazione (ma con il più blando risultato
di raccogliere solo opinioni non vincolanti)106, sarebbe allora la necessaria
osservanza dei principi di correttezza e buona fede – si è sottolineato107 – a
rendere “imprescindibile” il mantenimento di un dovere formale di raccordo,
solo così potendo essere garantito il rispetto delle posizioni d’interesse che
si appuntano naturalmente sui soci, destinatari ultimi dei risultati gestionali.
Non ne sortirebbe, si badi, un’autorizzazione o un suo dirimente diniego, ma
l’assemblea avrebbe comunque modo di esprimere i propri convincimenti.
Una certa qual fragilità della tesi appena esposta, unita ai limiti intrin-
seci alla pronuncia dei soci, ha dato impulso ad un’impostazione più radi-
cale, che individua competenze legali implicite proprie dell’assemblea.
Essa muove da alcune norme (artt. 2361, 2° co., 2446, 1° co., e 2409, 4° co.)
che, nel riconoscere più o meno espressamente un sua competenza gestio-
nale in fattispecie di particolare importanza, dovrebbero essere intese non
come eccezionali ma, al contrario, quali espressioni di un principio generale
o, almeno, essere suscettibili di applicazione analogica in casi simili108.
L’art. 2361, 2° co., riserva all’assemblea, escludendo gli amministratori,
l’assunzione di partecipazioni in altre imprese tale da determinare una
105 App. Milano, 20.1.1998, in Giur. it., 1998, 1431: pur in presenza del divieto di venire contra factum proprium, il principio che ne risulta espresso non è applicabile quando il factum proprium sia un atto invalido (Abbadessa, L’assemblea: competenza, cit., 39).
106 V., in proposito, il § 4.2. di questo capitolo.
107 Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 597.
108 Angelici, La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale, Padova, 2003, 93 ss.; Portale, Rapporti tra assemblea e organo gestorio nei sistemi di amministra-zione, in Abbadessa, Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum G.F. Campobasso, Torino, 2006, 27 ss.; Calandra Buonaura, I modelli di amministrazione e controllo nella riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2003, I, 543; Cerrato, Le deleghe di competenze assembleari nelle società per azioni, Milano, 2009, 157 ss. Ed anche le considerazioni di Lener, Tucci, Società per azioni. L’assemblea, cit., 37 ss.
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Capitolo Primo – Le competenze 39
responsabilità illimitata per le loro obbligazioni; l’art. 2446, 1° co., statuisce
l’obbligo della convocazione, «per gli opportuni provvedimenti», quando
consta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite;
e l’art. 2409, 4° co., prevede la facoltà di sostituire amministratori e sindaci
quando sia stata presentata denunzia per il sospetto di gravi irregolarità e
si voglia evitare il rischio dell’ispezione giudiziale109. Emergerebbe, dunque,
una competenza gestoria non scritta, e tuttavia presente in ogni operazione
in grado d’incidere in profondità sulla struttura organizzativa dell’impresa,
o tale da presentare un rischio non controllabile o potenzialmente suscetti-
bile di esporre a perdite pressoché l’intero patrimonio sociale.
Si è tuttavia obbiettato che le norme in questione hanno tutte una por-
tata circoscritta e, soprattutto, contemplano fattispecie caratterizzate da
elementi certi e ben definiti sul piano formale, sicché predicare una loro
valenza sintomatica del principio generale indicato significherebbe ricono-
scere in capo all’assemblea un ruolo che mai è stato ipotizzato, neanche
dalle posizioni dottrinali anteriori la riforma più sensibili alle esigenze di
coinvolgimento decisionale dei soci110.
Può forse essere utile osservare, a ulteriore conforto, che solo una speci-
fica disposizione di legge, integrativa dell’art. 2409 terdecies111, ha attribuito
al consiglio di sorveglianza, nell’ambito del sistema dualistico, la compe-
tenza, purché prevista dallo statuto, di deliberare in ordine alle “operazioni
strategiche” (assimilabili, tutto sommato, alle decisioni “d’interesse pri-
mordiale”) ed ai piani, industriali e finanziari predisposti dal consiglio di
gestione (anch’essi, talora, di decisiva importanza per la società, con le ine-
vitabili conseguenze per i soci), ferma restando in ogni caso la responsabi-
lità di questo per gli atti compiuti (formula che riprende, alla lettera, quella
presente nell’art. 2364, 5° co.). Che al consiglio di sorveglianza (il quale, non
va dimenticato, è espressione dell’assemblea) potessero essere riconosciuti
anche interventi di “alta amministrazione”, era stato sostenuto anche prima
dell’integrazione in sede di “correttivi”, ma solo un espresso intervento del
109 Sono gli organi rinnovati ad eliminare le violazioni, se esistenti: dunque, in questo caso l’intervento dei soci sulla gestione si rivela, a tutto concedere, indiretto.
110 Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 600 ss.
111 Si tratta della norma di cui alla lett. f bis, introdotta dall’art. 5, d.lgs. 6.2.2004, n. 37 (“Correttivo riforma delle società”), poi modificata dall’art. 14, d.lgs. 28.12.2004, n. 310 (“Nuovo correttivo riforma società”).
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40 Parte Prima – Assemblea
legislatore ha consentito di ritenerli sicuramente ammissibili; il che non è
invece avvenuto a proposito delle deliberazioni “d’interesse primordiale”,
nonostante la contiguità concettuale. Anche queste ultime considerazioni
paiono confermare come il sistema delineato dal legislatore non presenti
alcuna lacuna in tema di competenza nella gestione e non necessiti, dunque,
di essere completato con l’ausilio d’ipotesi implicite. Sì da poter ribadire la
convinzione che, in ultima analisi, la riforma si sia mossa nel senso del depo-
tenziamento delle funzioni dell’assemblea.
4.3. L’approvazione dell’eventuale regolamento dei lavori assembleari.
Rappresenta una novità della riforma anche la disposizione contenuta
nel n. 6 dell’art. 2364, 1° co., il quale affida all’assemblea ordinaria il com-
pito di approvare l’eventuale regolamento dei lavori assembleari. Novità
normativa, però, trattandosi di una prassi non ignota sotto il vigore della
previgente disciplina, soprattutto presso alcune grandi società quotate e non
a caso da tempo raccomandata dal codice di autodisciplina approvato da
Borsa s.p.a. Nella versione oggi vigente112, il codice, trattando (artt. 9.P.1 e
9.P.2) dei rapporti con gli azionisti con lo scopo di favorirne la partecipazione
alle assemblee, rendere agevole l’esercizio dei loro diritti e la comprensione
dei loro ruoli, ribadisce il suggerimento (art. 9.C.3) che il consiglio di ammi-
nistrazione proponga all’approvazione dell’assemblea un regolamento che
ne disciplini l’ordinato e funzionale svolgimento in sede sia ordinaria che
straordinaria, garantendo il diritto di ciascun socio di prendere la parola
sugli argomenti posti in discussione113. Specifica inoltre che vi potranno
essere precisati, tra l’altro, «la durata massima dei singoli interventi, il loro
ordine, (…) le modalità di votazione, gli interventi degli amministratori e
dei sindaci, nonché i poteri del presidente anche per comporre o impedire il
verificarsi di situazioni di conflitto all’interno dell’assemblea».
In ogni caso, già prima dell’entrata in vigore della riforma nulla impe-
diva alle società per azioni di diritto comune di dotarsi di un regolamento.
112 Ci si riferisce all’ultima edizione del codice, del marzo 2006, modificata nel marzo 2010 ed aggiornata nel dicembre 2011.
113 Per favorire l’applicazione del suggerimento, Assonime ed Abi hanno predisposto uno schema di regolamento al fine di fornire una traccia utilizzabile dalle società tutte, anche non quotate.
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Capitolo Primo – Le competenze 41
Si tratta di una facoltà di cui esiste traccia anche nella giurisprudenza di
legittimità, allorché, con riferimento all’art. 2518 nel testo anteriore al d.lgs.
n. 6/2003, si è deciso che, sebbene lo statuto delle società di capitali rechi
le norme relative al funzionamento della società e formi parte integrante
dell’atto costitutivo, non per questo possono ritenersi in contrasto con la
disciplina statutaria disposizioni organizzative interne che l’ente si sia dato,
purché non confliggenti con norme di legge o pattizie114.
All’epoca, nell’interrogarsi sulla natura e sull’efficacia del regolamen-
to115, la dottrina distingueva a seconda che esso fosse stato approvato
dall’assemblea straordinaria o da quella ordinaria.
Nel primo caso esso sarebbe assurto, ad avviso di alcuni, al rango di norma
statutaria, con la conseguenza, tra l’altro, di rendere potenzialmente illegit-
time tutte le deliberazioni assembleari che si fossero discostate dalle sue
disposizioni116; questa tesi era però contrastata da chi sosteneva che la pecu-
liare identità dell’atto in questione portava ad escludere che un simile rango
potesse essergli attribuito per effetto della sua semplice adozione ad opera
dell’assemblea straordinaria117. Ed in proposito è possibile osservare che la
soluzione si sarebbe potuta e dovuta trovare, forse, nella volontà espressa dai
soci, nell’averlo cioè deliberato quale parte integrante o meno dello statuto.
Nel secondo caso, il regolamento era dotato di una maggiore “elasti-
cità”, sia per la possibilità di modificarlo più agevolmente od anche di
discostarsene occasionalmente (essendo a tal fine sufficiente una delibe-
razione adottata a maggioranza, preceduta però da una specifica indica-
zione nell’ordine del giorno), sia per le conseguenze di una sua eventuale
violazione che, concernendo norme procedimentali interne, non avrebbe
potuto dar luogo a illegittimità della delibera118.
114 Cass. civ., 26.6.2007, n. 14791, in Giust. civ., 2008, I, 2923.
115 In argomento Marchetti, In tema di funzionamento dell’assemblea: problemi e pro-spettive, in Riv. società, 2001, 126 ss.
116 Petrazzini, sub artt. 2364-2364 bis, in Il nuovo diritto societario, cit., 476; ed anche Rescio, L’assemblea nel progetto di riforma delle società di capitali, in Verso il nuovo diritto societario. Dubbi ed attese, in Atti del Convegno, Firenze, 16.11.2002, in www.associazionepreite.it.
117 Di Amato, in Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario. Società per azioni. Azioni, società collegate e controllate, assemblee (artt. 236-2379 ter c.c.), Milano, 2003, 275.
118 Così Petrazzini, sub artt. 2364-2364 bis, in Il nuovo diritto societario, cit., 476; ed in precedenza, sull’argomento, Serra, L’assemblea: procedimento. Costituzione e svolgimento dell’assemblea, in Tratt. Colombo, Portale, III, 1, Torino, 1994, 148, nt. 52.
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42 Parte Prima – Assemblea
Quello delle conseguenze scaturenti dalla violazione del regolamento
è, in realtà, un problema tuttora aperto (su cui si tornerà subito dopo) di
fronte alla scelta del legislatore della riforma di affidare all’assemblea ordi-
naria l’adozione, eventuale, del regolamento stesso quale «norma interna»,
espressione del potere di autorganizzazione che è tipico di ogni organo
collegiale. Il che comporta l’inesistenza di una forma di pubblicità legale
dell’atto, in quanto per le società quotate la trasparenza viene garantita
dalle istruzioni Consob sulle comunicazioni da dare al pubblico ai sensi
dell’art. 114 t.u.f., laddove per le non quotate essa resta affidata al principio
di buona fede, che obbliga la società ad assicurarne la conoscibilità con
mezzi idonei119.
La lettera della legge parrebbe non escludere, però, una soluzione più
rigorosa, ancora indipendentemente dal sistema di governance adottato, e
cioè che la volontà delle parti, nel costituire la società, possa demandare
allo statuto e alle successive deliberazioni dell’assemblea straordinaria che
eventualmente lo modifichino, la definizione e la conseguente pubblicità
delle regole procedimentali. Oppure che esse siano adottate successiva-
mente, ma quali parti integranti o meno dello statuto, dall’assemblea straor-
dinaria, con le medesime conseguenze quanto a pubblicità e modificabilità.
Né potrebbe escludersi una soluzione intermedia, nella quale l’obbligo di
dotarsi di un regolamento sia sancito dallo statuto, ma la sua approvazione
sia demandata all’assemblea ordinaria120.
Vi è dunque, di fondo, un problema di rapporto tra regolamento e sta-
tuto: che non va tuttavia assimilato alla (e condizionato dalla) individua-
zione dell’organo destinato ad adottarlo e modificarlo, cioè l’assemblea
straordinaria anziché l’ordinaria.
In una visuale che tendenzialmente abbraccia ogni possibile ipotesi,
ancora in dottrina si è rilevato121 che appare determinante “dove” le regole di
funzionamento dell’organo deliberativo vengano collocate per decisione dei
soci. Essi, in fase di costituzione o di modifica statutaria, possono disciplinare
l’intero svolgimento dei lavori assembleari in quella sede (direttamente od
attraverso il rinvio ad un atto, allegato però allo statuto per formarne parte
119 Di Amato, in Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, cit., 276.
120 Carbonetti, Il regolamento di assemblea, in Riv. società, 2001, 157, con cui concorda Petrazzini, sub artt. 2364-2364 bis, in Il nuovo diritto societario, cit., 476.
121 Montagnani, sub artt. 2364-2364/II, in Comm. Niccolini, Stagno d’Alcontres, cit., 459.
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Capitolo Primo – Le competenze 43
integrante, dunque soggetto alla stessa disciplina), oppure graduare l’impor-
tanza di quelle regole, inserendole parte nello statuto e parte in un regola-
mento formalmente separato, queste ultime da approvarsi e modificarsi in
sede ordinaria. I soci potrebbero certo optare, anche in quest’ultimo caso, per
tutte od alcune delle formalità dell’assemblea straordinaria, ma ciò non attri-
buirebbe al regolamento natura statutaria, né comporterebbe l’applicazione
dell’art. 2436. Unica procedura che parrebbe non ammissibile sarebbe quella
che ne rimettesse la predisposizione agli amministratori, secondo una prassi
ritenuta legittima prima della riforma, ma ora non prevista da un impianto
normativo che pure consente di delegare competenze ben più delicate.
La stessa dottrina si è anche interrogata sulla possibilità che trovino col-
locazione nel regolamento (e non solo conferma ai meri fini di completezza
dell’articolato, come spesso accade) quelle “porzioni” di disciplina procedi-
mentale che il legislatore rimette allo statuto: come l’indicazione del presi-
dente dell’assemblea (art. 2371, 1° co.) o delle formalità che legittimano ad
intervenire alla riunione l’azionista dotato del diritto di voto (art. 2370). Ma
la risposta è stata negativa: ed è proprio la collocazione, con le conseguenze
in termini di pubblicità che ne derivano, a convincere in tal senso122.
Si è fatto cenno poco sopra alle conseguenze che scaturiscono dalla viola-
zione delle norme regolamentari, rilevando che, nonostante l’indicazione del
legislatore, la società non sembra avere vincoli nel decidere le modalità con-
cernenti la sua adozione e, quindi, indirettamente, la valenza delle disposizioni
che lo compongono. Il problema di quale sia la sorte di una deliberazione
assunta violandone le regole si ripresenta, dunque, nel suo spettro più ampio.
Muovendo dall’attribuzione all’assemblea ordinaria della competenza
sul punto, non è parsa dubbia123, pur nel silenzio della legge, l’irrilevanza
di un’eventuale inosservanza del regolamento sotto il profilo della validità
122 Spagnuolo, sub art. 2371, in Comm. Sandulli, Santoro, cit., 315, esclude espressa-mente la legittimità della designazione del presidente espressa nel regolamento adottato dall’assemblea ordinaria. Soluzione che, all’evidenza, lascia aperta l’eventualità che essa avvenga in un regolamento che l’assemblea straordinaria configuri quale parte integrante dello statuto.
123 Abbadessa, L’assemblea nella s.p.a.: competenza e procedimento nella legge di riforma, in Giur. comm., supplemento al n. 3/2004, Contributo alla riforma delle società di capitali, 545. Conforme Pasquariello, sub artt. 2364-2366, in Maffei Alberti (a cura di), cit., 444. Si riferisce al concetto di autoregolamentazione interna dell’organo anche Rescio, Assemblea dei soci e patti parasociali, in AA.VV., Diritto delle società. Manuale breve, Milano, 2006, 183, nel qualificare l’intervento dell’assemblea ordinaria.
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44 Parte Prima – Assemblea
delle deliberazioni, trattandosi di una disciplina interna di carattere substa-
tutario. La soluzione, già certa per il diritto vigente prima della riforma, lo
sarebbe a maggior ragione nel nuovo sistema, che è ispirato al contenimento
delle sanzioni invalidative, anche se in taluni casi la violazione potrebbe
assumere rilievo sotto il diverso profilo della contrarietà a correttezza e
buona fede, sì da condurre all’annullabilità della deliberazione per abuso
del diritto ed all’insorgere di una tutela risarcitoria. Al contrario, quando le
norme regolamentari abbiano rango statutario, la loro violazione determina
fatalmente l’applicabilità dell’art. 2377.
Curiosamente – si è osservato124 – la facoltà contemplata dall’art. 2364
non è riprodotta nell’art. 2364 bis, quasi che nelle società che scelgono il
modello dualistico (che potrebbe invece risultare appetibile soprattutto
quando vi sia un azionariato diffuso) il regolamento assembleare non possa
essere adottato. Una simile soluzione, basata semplicemente sulla lettera
della legge o, meglio, sul silenzio del legislatore, sarebbe però palesemente
illogica e non può essere condivisa. Pure le società dotate di consiglio di sor-
veglianza, dunque, possono adottare un regolamento assembleare, anch’esse
con deliberazione dell’assemblea ordinaria o straordinaria, con le diverse
conseguenze in tema di modificabilità o possibilità di disattenderne il con-
tenuto appena viste per le società che ne sono prive125.
5. Le competenze dell’assemblea ordinaria nelle società dotate di consi-
glio di sorveglianza.
Le regole dettate nei paragrafi che precedono trovano applicazione nel
sistema tradizionale e nel monistico; ma non per le società che adottano il
sistema dualistico, nelle quali l’art. 2409 terdecies devolve alcune competenze
altrimenti appartenenti all’assemblea ordinaria al consiglio di sorveglianza,
che si frappone, per un verso, con funzione di collegamento e, per l’altro, di
diaframma tra l’assemblea e il consiglio di gestione: l’assemblea ha il potere
di nominare i componenti del consiglio di sorveglianza che, a sua volta, desi-
gna i membri del consiglio di gestione (fatta eccezione per i primi, individuati
nell’atto costitutivo). Il consiglio di sorveglianza esercita non solo il controllo
124 Sarale, Il nuovo diritto societario, cit., 165.
125 Petrazzini, sub artt. 2364-2364 bis, in Il nuovo diritto societario, cit., 476.
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Capitolo Primo – Le competenze 45
di legalità sostanziale e di corretta amministrazione, tipico del collegio sin-
dacale, ma anche quello di merito, che si esprime, appunto, nella scelta dei
gestori e nella verifica dei loro risultati (tramite l’approvazione del bilancio,
la revoca e l’esercizio dell’azione di responsabilità); lo statuto può ulterior-
mente incrementarne le funzioni sino a coinvolgerlo nella c.d. alta ammini-
strazione, prevedendo (art. 2409 terdecies, 1° co., lett. f bis) che esso deliberi
anche «in ordine alle operazioni strategiche e ai piani industriali e finanziari
della società predisposti dal consiglio di gestione»126.
È dunque facile constatare un vero e proprio “dimagrimento” delle attri-
buzioni dell’organo assembleare delineate dall’art. 2364 bis127, poiché esse si
riducono alla già ricordata nomina dei consiglieri di sorveglianza, alla loro
revoca, alla determinazione del loro compenso (quando non sia stabilito
nello statuto) e alla proposizione dell’azione di responsabilità; ad esse si
aggiungono la delibera sulla distribuzione degli utili, prerogativa che il legi-
slatore ha comunque mantenuto in suo capo, e la nomina del soggetto inca-
ricato di effettuare la revisione legale dei conti.
L’analisi del sistema dualistico esorbita dal presente lavoro; tuttavia non
è possibile prescindere da alcune pur rapide osservazioni su quanto si è
appena esposto.
Occorre allora precisare subito che l’elencazione contenuta nell’art.
2364 bis (terra nondum cognita nei repertori giurisprudenziali) non può
ritenersi esaustiva e va dunque integrata indagando tra le norme del codice
civile, nel costante confronto con l’art. 2409 terdecies, che individua le attri-
buzioni del consiglio di sorveglianza; avendo chiaro, nel contempo, che né
l’art. 2364 bis, né l’art. 2409 terdecies contengono una disposizione “di chiu-
sura” che chiarisca la sorte di tutte quelle competenze che, assegnate dal
codice all’assemblea, non sono però richiamate né dall’uno né dall’altro.
Ma andiamo con ordine, cominciando dalle attribuzioni espressamente
indicate qua e là128.
126 La lett. f bis è stata introdotta dall’art. 5, d.lgs. 6.2.2004, n. 37 (“Correttivo riforma delle società”), quindi modificata nel testo attuale dall’art. 14, d.lgs. 28.12.2004, n. 310 (“Nuovo correttivo riforma società”).
127 Ne dà conto la Relazione, nel § 5: «Si è ristretta la competenza dell’assemblea ordina-ria nelle società che optino per il sistema dualistico, interponendo fra assemblea e organo amministrativo un consiglio di sorveglianza (art. 4, 8° comma, lett. d, della legge delega)».
128 Petrazzini, sub artt. 2364-2364 bis, in Il nuovo diritto societario, cit., 479 s.; Sarale, Il nuovo diritto societario, cit., 169.
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46 Parte Prima – Assemblea
Alcune attengono al soggetto incaricato della revisione legale dei conti:
l’assemblea ordinaria delibera il suo compenso (ora in forza dell’art. 13,
1° co., d.lgs. 23.1.2010, n. 39, che ha sostituito la disposizione in precedenza
contenuta nell’art. 2409 quater, 1° co.), la sua revoca in presenza di giusta
causa, previo parere, non vincolante, dell’organo di controllo (art. 13, 3° co.,
d.lgs. n. 39/2010: si tratta di una decisione che, a differenza del previgente
art. 2409 quater, 3° co., non è più sottoposta all’approvazione del Tribu-
nale) e l’azione di responsabilità nei suoi confronti (art. 15, 1° co., d.lgs.
n. 39/2010, essendo stato abrogato l’art. 2409 sexies, 1° co.). Altre compe-
tenze consistono nel determinare il numero dei consiglieri di sorveglianza,
nei limiti fissati dallo statuto (art. 2409 duodecies, 2° co.) e, in concorrenza
con il consiglio di sorveglianza stesso, nel deliberare l’azione di responsa-
bilità a carico dei consiglieri di gestione (art. 2409 decies)129. La “concor-
renza” di cui si è appena detto richiede però una spiegazione: la delibera
dell’azione è sì attribuita al consiglio di sorveglianza dall’art. 2409 terdecies,
ma può tuttavia essere assunta dall’assemblea in quanto l’art. 2409 decies
ribadisce che essa è «promossa dalla società (…) ai sensi dell’art. 2393»130.
129 L’azione del consiglio di sorveglianza avrebbe natura lato sensu surrogatoria rispetto a quella della società ad avviso di Abbadessa, Assemblea, Amministrazione e con-trollo, in Parere dei Componenti del Collegio dei Docenti…, cit., 1478; ed anche Breida, sub art. 2409 decies, in Comm. Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, cit., 1145 s.; tesi contestata da Rufini, sub art. 2409 decies, in Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, cit., 1143 s.
130 È stata ipotizzata la possibilità che il consiglio di sorveglianza deliberi l’esercizio dell’azione e l’assemblea lo neghi, o viceversa (Rescio, L’assemblea nel progetto di riforma delle società di capitali, in Verso il nuovo diritto societario. Dubbi ed attese, Atti del Con-vegno, Firenze, 16.11.2002, in www.associazionepreite.it), rischio ritenuto superabile da una scelta di attribuzione in sede statutaria [Pasquariello, sub artt. 2364-2366, in Maffei Alberti (a cura di), cit., 450], scelta che – va forse aggiunto – parrebbe poter consistere solo nel senso di escludere la competenza del consiglio di sorveglianza, alla luce della disposizione contenuta nel 2° co. dell’art. 2409 decies: «L’azione di responsabilità può anche essere proposta a seguito di deliberazione del consiglio di sorveglianza». Ma, prima ancora, è la stessa possibilità di compiere una scelta nell’ambito dello statuto a destare perplessità. Nella prospettiva di evitarla, l’ultimo comma dell’art. 2409 decies – nello stabi-lire che la rinuncia all’azione da parte della società, cioè dell’assemblea, o del consiglio di sorveglianza non impedisce l’esercizio delle azioni previste dagli artt. 2393 bis, 2394 e 2394 bis, dunque nell’affermare, implicitamente, un effetto preclusivo all’esercizio dell’azione sociale a seguito della conforme decisione assunta da uno solo dei due organi (per quanto concerne il consiglio di sorveglianza, nel rispetto delle condizioni poste dall’art. 2409 decies, 4° co.) – potrebbe forse esprimere un principio generale, applicabile anche quando uno di essi, autonomamente, decida di promuoverla; cosicché all’altro non sarebbe con-
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Capitolo Primo – Le competenze 47
Analogamente l’assemblea dovrebbe condividere con il consiglio di sorve-
glianza l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei liquidatori,
che in base all’art. 2489 è «disciplinata secondo le norme in tema di respon-
sabilità degli amministratori».
Ancora, se lo statuto lo prevede (la facoltà è dunque lasciata all’auto-
nomia privata), è riconosciuta all’assemblea l’approvazione del bilancio (in
deroga a quanto stabilito dall’art. 2409, 1° co., lett. b) qualora non vi prov-
veda il consiglio di gestione, oppure quando essa sia richiesta da almeno un
terzo dei componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza (art. 2409
terdecies, 2° co.).
Per quanto concerne la determinazione del compenso dei consiglieri di
gestione, la relativa competenza è di regola attribuita al consiglio di sorve-
glianza, ai sensi dell’art. 2409 terdecies, 1° co., lett. a), salvo, anche qui, che lo
statuto ritenga legittimata l’assemblea.
A questo proposito in dottrina si è affermato che, pur in mancanza della
riserva statutaria, sia l’assemblea a dover fissare la remunerazione quando
questa sia rappresentata in tutto od in parte da partecipazione agli utili o
dall’attribuzione di opzioni di sottoscrizione di azioni della società131. Una
simile ipotesi parrebbe da escludere in radice, nel senso, cioè, che nel sistema
dualistico i gestori non potrebbero essere compensati secondo tali modalità: a
ciò condurrebbe, in effetti, la lettura dell’art. 2409 undecies, che (a differenza
dell’art. 2409 noviesdecies, dettato per il sistema monistico) non richiama
l’art. 2389 nella sua interezza, dunque anche nel suo 2° co. (che le prevede).
Ma – si è eccepito – ciò sarebbe irragionevole, pur nella condivisa preoccu-
pazione di non lasciare al consiglio di sorveglianza una decisione che influi-
sce sulla destinazione degli utili. Ritenere invece che, nonostante il silenzio
della legge, le società che adottano il modello dualistico possano comunque
compensare i loro gestori sulla base del 2° co. dell’art. 2389 (via che sarebbe
sentito deliberare, nel contempo, di non darvi corso. È ovvio che non ne sarebbe impedita una rinuncia successiva, che potrebbe essere deliberata dall’assemblea o, in alternativa, dal consiglio di sorveglianza, in conformità al disposto dell’art. 2393, 6° co., e – per quanto qui rileva – dell’art. 2409 decies, 4° co., norma, quest’ultima, che, nel far salva l’opposi-zione della «percentuale di soci indicata nell’ultimo comma dell’art. 2393», pare, a sua volta, strumento idoneo ad evitare posizioni contrastanti, essendo evidente che l’opposi-zione sarebbe inevitabile qualora l’assemblea avesse appena deliberato la proposizione dell’azione o comunque la maggioranza dei soci non condividesse l’idea di abbandonarla.
131 Sarale, Il nuovo diritto societario, cit., 169 s.
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48 Parte Prima – Assemblea
altrimenti preclusa), da un lato darebbe risposta positiva ad un’esigenza
ampiamente conosciuta nella prassi e anzi espressamente raccomandata da
Borsa s.p.a. nel codice di autodisciplina delle quotate (ambito nel quale il
modello dualistico ha maggiori possibilità di applicazione) e, dall’altro, par-
rebbe coerente con il considerare il mancato richiamo del comma in que-
stione quale semplice effetto di una troppo affrettata e radicale correzione
apportata al testo dell’art. 2409 undecies, il quale in un primo tempo richia-
mava l’intero art. 2389, determinando così incertezze sulla stessa definizione
della competenza. Se così è – se, in altri termini, anche nel contesto dualistico
gli amministratori possono essere compensati in tutto od in parte con par-
tecipazioni agli utili o con l’attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo
predeterminato azioni di futura emissione – e se, sotto altro profilo, si deve
escludere che una simile decisione possa essere assunta dal consiglio di sor-
veglianza, non resta che concludere nel senso di riconoscere la relativa com-
petenza all’assemblea ordinaria.
Si diceva poco sopra che sia nell’art. 2364 bis che nell’art. 2409 terdecies
manca una norma “di chiusura”. Il dilemma che si pone attiene alla sorte di
tutte quelle competenze che la legge affida all’assemblea ordinaria senza
operare distinzioni tra i possibili modelli di amministrazione; si tratta, in
altri termini, delle delibere «sugli altri oggetti» di cui all’art. 2364, 1° co.,
n. 5), prima parte, argomento sul quale la disciplina dettata per il modello
dualistico tace completamente.
Al riguardo, assenti indicazioni giurisprudenziali, si è affermato che
dovrebbe riconoscersi in capo al consiglio di sorveglianza una competenza
residuale: l’organo, quindi, accentrerebbe su di sé tutte le attribuzioni che
nel sistema tradizionale spettano all’assemblea ordinaria, salvo quelle ad
essa espressamente attribuite132; o, al più, quest’ultima conserverebbe le
decisioni che impingono sulle regole strutturali dell’organo di sorveglianza
o sulla distribuzione di utili. Altra dottrina133, forse più condivisibilmente,
ha però osservato come dal sistema delineato dal legislatore non possano
trarsi elementi utili a sostenere che nel modello dualistico siano trasferite
al consiglio di sorveglianza attribuzioni ulteriori rispetto a quelle indicate
132 Rescio, L’assemblea nel progetto di riforma delle società di capitali, cit.
133 Petrazzini, sub artt. 2364-2364 bis, in Il nuovo diritto societario, cit., 480; Sarale, Il nuovo diritto societario, cit., 171; Abbadessa, L’assemblea nella s.p.a.: competenza e proce-dimento nella legge di riforma, cit., 547.
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Capitolo Primo – Le competenze 49
nell’art. 2409 terdecies, il cui tenore sembrerebbe tassativo: a titolo di esem-
pio, competenze quali «l’autorizzazione all’acquisto di azioni proprie e di
azioni della controllante, al compimento di “acquisti pericolosi”, all’assun-
zione di partecipazioni in altre imprese che comporti una responsabilità
illimitata per le obbligazioni delle medesime» dovrebbero rimanere in
capo all’assemblea ordinaria, non essendovi alcuna contraria disposizione
nell’articolo del codice da ultimo citato; né le menzionate competenze par-
rebbero riferibili al consiglio di sorveglianza per volontà statutaria, posto
che nessun elemento consente di ritenere che le disposizioni ora citate siano
disponibili dalle parti134.
Com’è noto, l’art. 2364, 1° co., n. 5 attiene anche alle autorizzazioni, che
in base allo statuto, siano eventualmente richieste all’assemblea per il com-
pimento di atti degli amministratori, sulle quali pure l’art. 2364 bis tace.
Anche su questo argomento la dottrina è divisa. Per un verso si è sotto-
lineato il tenore della Relazione al d.lgs. n. 37/2004 (cioè il primo decreto
correttivo della riforma, introduttivo della disposizione contenuta nella lett.
f bis dell’art. 2409 terdecies, 1° co.), nella parte in cui afferma essere stata
«riconosciuta, da un lato, al consiglio di sorveglianza una competenza che
anche nel sistema tradizionale può essere attribuita all’assemblea, (…)»:
da questo passaggio si è ritenuta emergere, in modo abbastanza esplicito,
l’applicabilità della riserva autorizzativa a favore dell’assemblea anche al
sistema dualistico, almeno «per il caso di mancata approvazione dei piani»
strategici di cui alla appena citata lett. f bis, «in analogia con quanto è pre-
visto per l’approvazione del bilancio ex art. 2409 terdecies, 2° comma»135.
Si tratterebbe di una soluzione di maggior tutela delle minoranze: infatti,
per quanto il consiglio di sorveglianza costituisca formalmente espressione
dell’intera base sociale, è indiscutibile che esso, almeno nel modello legale,
promani dalla sola maggioranza.
Per altro verso si è rilevato, a ragione, che la riserva statutaria di cui
all’art. 2364, 1° co., n. 5 ha un ambito più vasto rispetto alle operazioni stra-
tegiche e ai piani, potendo riguardare qualunque atto degli amministratori:
134 Anzi, in tema di competenze assembleari, l’autonomia statutaria va semmai nell’opposta direzione a proposito della stessa approvazione del bilancio, come dimostra l’art. 2409 terdecies, 2° co. (Sarale, Il nuovo diritto societario, cit., 172).
135 Portale, Rapporti fra assemblea e organo gestorio nei sistemi di amministrazione, in Abbadessa, Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum G.F. Campobasso, II, Torino, 2007, 28 s.
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50 Parte Prima – Assemblea
applicarla al modello dualistico porterebbe a possibili conflitti con la facoltà
concessa dalla lett. f bis. Il silenzio del legislatore, pertanto, dovrebbe essere
interpretato quale volontà di evitare il prodursi di assetti statutari ibridi e
confusi, nei quali possano convivere un potere deliberativo del consiglio
di sorveglianza per determinate operazioni strategiche e un contempora-
neo potere autorizzatorio dell’assemblea per una sfera, almeno in parte
sovrapponibile, di atti amministrativi. In sostanza, escludere la possibilità
di prevedere statutariamente autorizzazioni assembleari per atti dei gestori
significherebbe evitare «il rischio di una confusione di ruoli, di possibili
incertezze in merito all’organo competente a rendere l’autorizzazione qua-
lora l’atto possa rientrare in entrambe le riserve statutarie e perfino della
necessità di una doppia autorizzazione da parte del consiglio di sorveglianza
e dell’assemblea dei soci»136.
L’argomento della tutela delle minoranze rappresenta però – ad avviso
di chi scrive – un dato che non può essere trascurato. E se è vero che esse,
in quanto organizzate, possono anche ottenere che lo statuto preveda una
loro necessaria rappresentanza nel consiglio di sorveglianza, è altrettanto
vero che potrebbe forse riuscire più facile, nel contesto delle trattative per
la costituzione della società, soprattutto quando le minoranze non fossero
strutturate, giungere semmai all’introduzione di entrambe le riserve, ex
art. 2409 terdecies, 1° co., lett. f bis, ed ex art. 2364, 1° co., n. 5, distinguendo
nel modo più preciso l’ambito della seconda, cioè gli specifici atti di gestione
che necessitino dell’autorizzazione assembleare, e stabilendo altresì, con
una norma di chiusura, quale sia l’organo competente a dirimere eventuali
conflitti di competenza, sì da evitare il rischio di una doppia delibera, con
possibili esiti non convergenti. Organo che potrebbe essere, sulla base del
principio di terzietà, il consiglio di gestione, con una scelta di fatto suscetti-
bile di essere sindacata dal solo consiglio di sorveglianza.
In dottrina si è posto anche il problema della legittimità di una clausola
statutaria che, ancora in ossequio al principio di terzietà, assegni all’assem-
blea un ruolo arbitrale in caso di contrasto fra consiglio di gestione e consi-
glio di sorveglianza; contrasto che potrebbe tipicamente prodursi allorché
il secondo si esprimesse negativamente su di un’operazione strategica od
un piano industriale o finanziario predisposto dal primo. Si tratterebbe – si
136 Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 633.
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Capitolo Primo – Le competenze 51
è detto137– di un patto che finirebbe per realizzare l’attribuzione all’assem-
blea di una competenza a carattere gestorio; al che si è però obbiettato (con
osservazioni che paiono condivisibili) che, a parte l’eccezionalità dell’inter-
vento, vi troverebbe semmai espressione una logica tutt’altro che estranea
al sistema di organizzazione delle competenze organiche, che si tradurrebbe
in un elemento di equilibrio e di rifinitura del modello in questione, come
tale sicuramente definibile in termini di “meritevolezza”138.
Qualche considerazione ancora a proposito di un’ultima lacuna. L’art.
2364 bis, infatti, non detta disposizioni analoghe a quelle espresse nel n. 6
dell’art. 2364, 1° co. Tuttavia – si veda anche la parte conclusiva del § 4.3. –
la mancata attribuzione del potere di approvare un eventuale regolamento
dei lavori assembleari è stata ritenuta più che altro una mera dimenticanza,
non essendovi ragione apprezzabile, né alcun impatto nella caratterizza-
zione del modello organizzativo, tale da impedire all’assemblea ordinaria di
una società che ha scelto il sistema dualistico di autoregolamentare i propri
lavori139.
6. Le competenze dell’assemblea straordinaria.
Come si è efficacemente osservato in dottrina140, il filo conduttore che
segna la riforma delle competenze dell’assemblea, ordinaria e straordinaria,
è rappresentato dalla volontà del legislatore di ridisegnare i rapporti tra
questa e l’organo gestorio. Finalità peraltro perseguita in modo differente
nei due tipi di assemblea: mentre in relazione alla prima la riforma ha inciso
soprattutto sotto il profilo della responsabilità dell’organo amministrativo
col determinare un rafforzamento dell’autonomia decisionale dei suoi com-
ponenti ed un irrigidimento della divisione dei poteri tra gli organi, per la
seconda è intervenuta direttamente sulle materie tradizionalmente riservate
137 Cariello, Il sistema dualistico. Vincoli tipologici e autonomia statutaria, Milano, 2009, 129.
138 Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 628 ss., e in particolare 630, nt. 192.
139 Ancora Abbadessa, Mirone, L’assemblea. Le competenze, cit., 632.
140 Petrazzini, sub art. 2365, in Il nuovo diritto societario, cit., 483 ss.
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52 Parte Prima – Assemblea
ai soci, consentendo all’autonomia statutaria di ampliare l’area d’intervento
dei gestori con riferimento alle modifiche dello statuto.
L’art. 2365, nel testo precedente la riforma, aveva una formulazione
quanto mai sintetica: esso attribuiva all’assemblea straordinaria il potere di
deliberare sulle modificazioni dell’atto costitutivo (dunque su tutte, come
pacificamente registrato in giurisprudenza141, con la possibile deroga con-
sentita dall’art. 2443142), sull’emissione delle obbligazioni (salvo il disposto
dell’art. 2420 ter) e sulla nomina e sui poteri dei liquidatori, ai sensi degli
allora vigenti artt. 2450 e 2452.
Ben più articolato è il testo introdotto dal d.lgs. n. 6/2003143. Dopo un
1° co. che in parte ricalca la norma sostituita, il 2°, fermo quanto disposto
dagli artt. 2420 ter e 2443 (che hanno a loro volta subito modifiche), consente
che lo statuto attribuisca alla competenza dell’organo amministrativo o del
consiglio di sorveglianza o del consiglio di gestione – qui stanno le novità –
le deliberazioni concernenti la fusione nei casi previsti dagli artt. 2505 e 2505
bis (incorporazione di società possedute interamente od almeno al 90%),
l’istituzione o la soppressione di sedi secondarie, l’indicazione di quali tra
gli amministratori hanno la rappresentanza della società, la riduzione del
capitale in caso di recesso del socio, gli adeguamenti dello statuto a disposi-
zioni normative e il trasferimento della sede sociale nel territorio nazionale.
Il comma si chiude richiamando «in ogni caso» l’art. 2436, che disciplina il
deposito, l’iscrizione e la pubblicazione delle modificazioni. Così facendo,
il legislatore ha inteso dare attuazione ad un’indicazione contenuta nella
legge delega, secondo cui l’autonomia statutaria avrebbe dovuto poter
«demandare alla competenza dell’organo amministrativo modifiche statu-
tarie attinenti alla struttura gestionale della società», a condizione che esse
non incidessero «sulle posizioni soggettive dei soci» (art. 4, 9° co., lett. a,
l. n. 366/2001).
141 Cass. civ., 26.11.1998, n. 12012, in Giur. it., 1999, 1436, con nota di Irrera; Id., 27.4.1982, n. 2622, in Rep. Foro It., 1982, voce “Società”, n. 222; Trib. Genova, 1.3.2001, in Foro it., 2001, I, 3000; Id. Napoli, 13.10.1994, in Soc., 1995, 814, con nota di Montesano; Id. Milano, 9.11.1992, in Giur. It., 1993, I, 2, 568, con nota di Ntuk; Id. Torino, 8.6.1990, ivi, 1990, I, 2, 560; Id. Milano, 4.5.1990, ibidem, 555; Id. Ascoli Piceno, 9.1.1990, in Soc., 1990, 523, con nota di Ambrosini; Id. Cassino, 26.6.1989, in Nuovo dir., 1990, 491, con nota di Giannitti; Id. Lucera, 11.1.1989, in Nuova giur. comm., 1989, I, 910, con nota di Antonucci.
142 Ma v. Trib. Padova, 24.11.2005, in Soc., 2007, con nota di Platania.
143 Lener, Tucci, Società per azioni. L’assemblea, cit., 25 ss.
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Capitolo Primo – Le competenze 53
L’analisi delle nuove disposizioni rivela ancor più le differenze rispetto
alle precedenti, già quando ci si sofferma (1° co.) sull’espressione «ogni altra
materia attribuita dalla legge alla competenza» dell’assemblea straordinaria
(avendo ben chiaro che il potere di deliberare le modificazioni dello statuto
può subire tutte le compressioni consentite dal 2° co.).
Così è per la revoca dello stato di liquidazione che, ai sensi dell’art. 2487
ter (introdotto dalla riforma del 2003), può essere deliberata dall’assemblea
(necessariamente straordinaria) «in ogni momento», inciso con il quale si è
posto fine alle discussioni nate a proposito alla disponibilità da parte della
maggioranza del diritto alla quota di liquidazione. Un’applicazione della
norma si è avuta con una sentenza del Tribunale di Napoli144, la quale ha
negato, nella fattispecie, l’esistenza dell’abuso di potere che era stato invo-
cato da un socio di minoranza.
Ci si è chiesti, invece, quale assemblea sia competente ad autorizzare
l’esercizio del diritto di opzione spettante alle azioni proprie detenute dalla
società (art. 2537 ter, 2° co.): mancando ogni indicazione, assente anche nella
Relazione, si è ritenuto corretto individuarla nella straordinaria, essendo
ragionevole che l’autorizzazione sia data in occasione della delibera di
aumento di capitale145.
Passando alle leggi speciali, si constata, invece, il venir meno delle com-
petenze in materia fallimentare, per effetto delle modifiche apportate
all’art. 152 del r.d. n. 267/1942, il cui testo anteriore alla riforma imponeva
che proposta e condizioni del concordato fallimentare di una società per
azioni fossero approvate dall’assemblea straordinaria, salvo che tali poteri
fossero stati delegati agli amministratori; laddove, sulla base del testo
vigente la delibera è senz’altro rimessa a questi ultimi. La norma era ed
è richiamata dall’art. 161, 4° co., a proposito del concordato preventivo:
anche in questo caso, dunque, l’assemblea si è vista esautorata delle sue
prerogative. Per quanto concerne la liquidazione coatta amministrativa, poi,
l’autorità che vigila sulla procedura – recita l’art. 214 l. fall. – su parere del
commissario liquidatore e sentito il comitato di sorveglianza, può autoriz-
zare la presentazione di un concordato, ma quando l’impresa abbia forma
144 Trib. Napoli, 16.6.2006, in Foro it., 2007, I, 2951.
145 Sarale, Il nuovo volto dell’assemblea sociale, in Ambrosini (a cura di), Il nuovo diritto societario. Profili civilistici, processuali, concorsuali, fiscali e penali, Torino, 2005, I, 165.
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societaria si osservano le disposizioni dell’art. 152, cosicché l’assemblea è,
ancora una volta, fuori gioco.
Tornando alle “altre materie”, vanno ricordate le disposizioni contenute
nel “nuovo” art. 2349, che attribuiscono all’assemblea la competenza a deli-
berare l’assegnazione di utili, a favore di dipendenti della società o di sue
controllate (1° co.), mediante l’emissione di speciali categorie di azioni o
(2° co.) di strumenti finanziari diversi dalle azioni, forniti di diritti patri-
moniali o anche amministrativi, in entrambi i casi con una specifica rego-
lamentazione. L’odierna formulazione ha non soltanto arricchito il testo
previgente (sotto il profilo degli strumenti finanziari, prima non previsti),
ma ha anche reso indiscutibile e inderogabile la competenza dell’assem-
blea straordinaria, codificando una soluzione alla quale si perveniva, in
precedenza, solo in via interpretativa, alla luce dell’allora vigente 2° co.,
che imponeva l’aumento del capitale sociale in misura corrispondente alle
azioni emesse a favore dei dipendenti.
Può rientrare ora tra le “altre materie”, ma con limiti ben precisi, l’emis-
sione delle obbligazioni che, invece, prima della riforma, era di sua esclusiva
competenza. Infatti l’art. 2410, 1° co., fissa una regola generale che indi-
vidua negli amministratori (e quindi, nel sistema dualistico, nel consiglio
di gestione) i soggetti legittimati a deliberarla, salva diversa disposizione
di legge o di statuto: nell’ultimo caso è dunque la volontà dei soci a poter
“reintegrare” l’assemblea, in favore della quale residua, tuttavia, una com-
petenza legale primaria (residuale, se confrontata con la previgente disci-
plina), ai sensi dell’art. 2420 bis, che le attribuisce il potere di deliberare
l’emissione di obbligazioni convertibili in azioni, determinando il rapporto
di cambio ed il periodo e le modalità della conversione.
A questa ipotesi la dottrina ha accostato quella concernente obbligazioni
cum warrant in azioni della società stessa, trattandosi pur sempre di una
decisione che impegna ad un eventuale aumento di capitale o a disporre di
azioni proprie146. Non va però dimenticato l’art. 2420 ter, ai sensi del quale
lo statuto può attribuire agli amministratori la facoltà di emettere in una
o più volte obbligazioni convertibili, fino ad un ammontare determinato e
per il periodo massimo di cinque anni dalla data di iscrizione della società
nel registro delle imprese. In tal caso – aggiunge la norma – la delega com-
prende anche quella relativa al corrispondente aumento del capitale sociale.
146 Sarale, Il nuovo diritto societario, cit., 172.
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Capitolo Primo – Le competenze 55
La facoltà può essere originaria, scritta, cioè, con la redazione dello statuto,
ovvero effetto di una sua successiva modificazione: nella seconda ipotesi il
periodo quinquennale, che è e rimane invalicabile, decorre dalla data della
deliberazione.
Resta da dire, per concludere il tema “obbligazioni”, che la delega agli
amministratori può avere ad oggetto anche l’emissione delle ordinarie,
qualora per volontà statutaria i soci abbiano inteso conformarsi all’assetto
disciplinare precedente la riforma147.
Su tutte queste ipotesi non consta che la giurisprudenza abbia ancora
avuto occasione di pronunciarsi.
Prima di passare al 2° co. dell’art. 2365, è il caso di ricordare che, come
già accadeva prima della riforma, continuano a sussistere ipotesi nelle quali
la modificazione dello statuto – la relativa competenza di massima appar-
tiene, come si è detto, all’assemblea straordinaria – è affidata ad un sog-
getto diverso. È il caso, ad esempio148, della riduzione di capitale, che può
essere disposta dal Tribunale qualora la società non abbia provveduto ad
alienare le azioni proprie o della controllante, acquistate in violazione dei
limiti di legge (artt. 2357, 4° co., e 2359 ter, 2° co.); oppure quando si sia
verificata una perdita superiore al terzo del capitale (non sceso, però, al di
sotto del minimo legale), non riassorbita nell’esercizio successivo, e l’assem-
blea abbia omesso di ridurlo in proporzione alle perdite accertate (art. 2446,
2° co.)149. A quest’ultimo proposito, la riforma ha chiarito che la competenza
per la riduzione appartiene, in deroga all’art. 2365, all’assemblea ordinaria
che approva il bilancio [e, nel sistema dualistico, al consiglio di sorveglianza
(ancora il 2° co. dell’art. 2446)], nei termini, cioè, enunciati dalla Cassazione
in anni recenti, ma in relazione ad una fattispecie verificatasi prima della
riforma150.
Il 2° co. dell’art. 2365 – lo si è già anticipato – consente che, fatto salvo
il disposto dagli artt. 2420 ter e 2443 (modificati a seguito della riforma), lo
147 Una rapida incursione nel campo delle quotate: ai sensi dell’art. 133, d.lgs. n. 58/1998, spetta all’assemblea straordinaria la delibera di esclusione su richiesta dalla negoziazione dei propri strumenti finanziari in un mercato regolamentato nazionale, quando la società ottenga l’ammissione dei propri strumenti finanziari in un altro mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione Europea.
148 Come annota Petrazzini, sub art. 2365, in Il nuovo diritto societario, cit., 485 s.
149 In argomento App. Milano, 23.12.1993, in Gius, 1994, 5, 107.
150 Cass. civ., 8.6.2007, n. 13503, in Foro it., 2008, I, 206.
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56 Parte Prima – Assemblea
statuto attribuisca alcune deliberazioni alla competenza dell’organo ammi-
nistrativo o del consiglio di sorveglianza o di gestione.
È immediato chiedersi se l’autonomia statutaria possa ampliare la rosa
delle competenze delegabili.
Occorre aver chiaro, in proposito, che con la norma di cui si sta trattando
il legislatore ha inteso semplificare la vita societaria, affidando un ruolo più
importante agli organi di amministrazione (o di controllo, nel sistema dua-
listico) e, dunque, implicitamente, alla maggioranza: essi vengono a rappre-
sentare il vero e proprio momento propulsivo dell’iniziativa societaria, ben
al di là dello scenario per così dire classico che, forse un po’ ipocritamente,
definiva l’assemblea «organo sovrano», e rivelano semmai una visuale assai
più vicina al considerare la riunione assembleare un puro e semplice peso,
attesi gli inevitabili rapporti tra management e soci di controllo151.
Sulla base di queste considerazioni, la risposta al quesito non può che
essere negativa: la disposizione, in quanto suscettibile di modificare l’equi-
librio delle competenze presente nel modello legale e per le evidenti, possi-
bili ricadute nei confronti dei soci di minoranza, deve ritenersi eccezionale
e l’elencazione in essa contenuta va considerata tassativa, secondo quanto
sostiene la dottrina prevalente152. Anzi, come si vedrà poco più avanti, alcune
facoltà da essa consentite destano già, di per sé sole, non lievi perplessità.
Si deve tuttavia segnalare che una tesi minoritaria, muovendo dal principio
che la delega realizzerebbe una riallocazione temporanea, non definitiva,
non esclusiva e sempre revocabile di competenze deliberative, ne ammette
un uso anche al di fuori delle materie espressamente indicate nell’articolo
in commento, nella prospettiva di un rafforzamento della funzionalità ed
efficienza decisionale, attraverso una riduzione dei costi, dei tempi e delle
formalità altrimenti necessari per il passaggio in assemblea: sarebbe dunque
legittimo ipotizzare fattispecie atipiche153.
Quanto si è appena osservato solleva un ulteriore interrogativo, con-
cernente il possibile perdurare in capo all’assemblea straordinaria di una
151 In argomento Libonati, Assemblea e patti parasociali, in Riv. dir. comm., 2002, I, 468; ed anche Meloncelli sub art. 2363, in Comm. Sandulli, Santoro, cit., 268.
152 Santosuosso, La riforma del diritto societario…, cit., 105; Pasquariello, sub artt. 2364-2366, in Maffei Alberti (a cura di), cit., 451; Petrazzini, sub art. 2365, in Il nuovo diritto societario, cit., 487.
153 Cerrato, Le deleghe di competenze assembleari nelle società per azioni, cit., 86.
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Capitolo Primo – Le competenze 57
competenza concorrente sulle materie che fossero statutariamente attri-
buite all’organo amministrativo o al consiglio di sorveglianza o di gestione
ai sensi del 2° co. dell’art. 2365: ammettendo ciò, l’assemblea straordinaria,
pur in mancanza di precisazioni in tal senso, potrebbe legittimamente deci-
dere su di esse, ostandovi soltanto un’espressa disposizione statutaria154. In
questa prospettiva un giudice di merito, nel riferirsi all’art. 2443, ha deciso
che la delibera di aumento del capitale assunta dall’organo amministrativo
in forza della delega prevista dalla norma può essere legittimamente revo-
cata anche dall’assemblea straordinaria della società155. Sembra però pre-
feribile la posizione negativa: non solo perché troppo evidenti sarebbero i
rischi di deliberazioni contraddittorie, ma anche perché, su un piano mera-
mente logico, l’attribuire ad un organo competenze deliberative altrimenti
appartenenti ad un altro sembra, senza necessità di alcuna precisazione al
riguardo, riconoscergli un potere esclusivo di esprimersi in materia: cosicché
solo una successiva modifica dello statuto parrebbe consentire al secondo di
potersene riappropriare156. Se queste considerazioni sono corrette, forse non
sarebbe ipotizzabile neppure una clausola che, nel configurare una compe-
tenza concorrente, si facesse carico di fornire un criterio per dirimere even-
tuali situazioni di conflitto.
Prima di passare all’esame delle singole ipotesi consentite dal legisla-
tore, occorre volgere lo sguardo ancora una volta al modello dualistico: se,
infatti, il riferimento all’“organo amministrativo” è chiaro ed univoco sia
per il sistema tradizionale che per quello monistico, il richiamo, alternativo,
al consiglio di sorveglianza e al consiglio di gestione, riferito appunto al
dualistico, suscita inevitabili perplessità, in quanto i due organi non appa-
iono fungibili, né svolgono funzioni analoghe157. Ma tant’è, il tenore della
154 Oltre all’appena ricordato Cerrato, Le deleghe di competenze assembleari nelle società per azioni, cit., 86, anche Pasquariello, sub artt. 2364-2366, in Maffei Alberti (a cura di), cit., 451; e Maffezzoni, sub art. 2365, in Picciau (a cura di), in Comm. Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2008, 56; ed inoltre la massima n. 47 del Consiglio notarile di Milano, pubblicata in data 19.11.2004.
155 Trib. Padova, 24.11.2005, in Soc., 2007, 325, con nota di Platania, ed in Riv. dir. comm., 2008, II, 83, con nota di Cerrato.
156 Petrazzini, sub art. 2365, in Il nuovo diritto societario, cit., 487, nt. 14; Sarale, Il nuovo diritto societario, cit., 174.
157 Salafia, L’assemblea della società per azioni secondo la recente riforma societaria, in Soc., 2003, 1054, è invece dell’avviso che la disposizione non sia così paradossale, non
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norma è inequivoco e non pare offrire spunti per una (parziale) interpreta-tio abrogans; non resta dunque che «evitare i rischi di appannamento e di
sovrapposizione dei ruoli dei due organi» ed all’uopo gli statuti delle società
che intendono avvalersi in tutto od in parte delle facoltà concesse dal 2° co.
dovranno alternativamente compiere una scelta univoca in favore di uno
solo dei due, oppure stabilire caso per caso quali tra le competenze in que-
stione siano delegate al consiglio di sorveglianza e quali, invece, al consiglio
di gestione158.
Come si è già ricordato, la facoltà concessa dal 2° co. dell’art. 2365 è la
risposta del legislatore ad una spinta di semplificazione, non priva, però, nei
suoi risultati, di risvolti potenzialmente inquietanti per la maggior facilità
che deriva alle maggioranze di sottrarsi al controllo dei soci di minoranza,
né sempre condivisibile all’esame delle singole fattispecie. Ben maggiori,
comunque, sarebbero stati i pericoli se, in aggiunta alle facoltà indicate nella
norma di cui si tratta, fosse stato concesso d’inserire negli statuti clausole
che genericamente permettessero di delegare agli amministratori modifiche
statutarie attinenti alla struttura gestionale, con il solo limite – come posto
dall’art. 4, 9° co., della legge delega – di non incidere sulle posizioni sogget-
tive dei soci: sia per l’ampio spettro di modificazioni statutarie che possono
attenere direttamente od indirettamente alla gestione della società, sia per
la difficoltà di individuare un criterio atto a stabilire quali modifiche sareb-
bero suscettibili di violare il limite159.
Venendo ora alle singole ipotesi delineate nella norma, nulla vi è da dire,
di massima, per la facoltà che sia l’organo amministrativo a deliberare la
esistendo una rigorosa distinzione fra funzione amministrativa e funzione di controllo tra i due organi, in quanto i sorveglianti hanno anche il controllo del merito della gestione.
158 Petrazzini, sub art. 2365, in Il nuovo diritto societario, cit., 487.
159 Petrazzini, sub art. 2365, in Il nuovo diritto societario, cit., 489: di conseguenza, la possibilità che lo statuto rimetta all’organo amministrativo la competenza in tema di riduzione di capitale a seguito del recesso dovrebbe di fatto essere limitata ai casi in cui tale decisione sia obbligata ovvero, ad esempio, in quello disciplinato dall’art. 2343, 4° co. Altra dottrina (Bracciodieta, La nuova società per azioni, Milano, 2006, 250, nt. 54) ha eccepito che una simile deroga statutaria potrebbe essere intesa quale espressione di una scelta “a monte”, cioè di non accedere, presentandosene la possibilità, allo scioglimento; ma con la via d’uscita rappresentata dalla facoltà, per gli amministratori che comunque ne constatassero la necessità, di convocare l’assemblea straordinaria, chiamandola a delibe-rare sul punto specifico. Sull’argomento, si vedano le considerazioni formulate nel testo immediatamente seguente.
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Capitolo Primo – Le competenze 59
riduzione del capitale a seguito del recesso; anche se, si è avvertito, qualche
cautela non parrebbe fuori luogo se si considera che la riduzione potrebbe
rendere preferibile lo scioglimento anticipato della società (v. l’art. 2437
quater, 6° co.): si sarebbe in presenza, in tal caso, di un’incongruenza legisla-
tiva, consistente nella prospettiva di due strade fra loro alternative, affidate
una ad un organo sociale e l’altra, per effetto di una previsione statutaria,
ad un altro160.
Impingono sulla struttura decisionale le deliberazioni sull’istituzione o
la soppressione di sedi secondarie. Si discuteva, prima della riforma, se la
relativa competenza spettasse all’assemblea straordinaria o agli ammini-
stratori e, nel primo caso, se fosse legittima una delega statutaria ai secondi.
Il d.lgs. n. 6/2003 ha dunque chiarito161 (e la riprova sta nell’assenza, ad oggi,
di sentenze in argomento) che istituzione e soppressione di sedi secondarie
costituiscono modifiche dello statuto (l’art. 2328, infatti, esige l’indicazione
del Comune ove esse sono situate): ne consegue in prima battuta la com-
petenza dell’assemblea straordinaria, anche per l’indirizzo (via e numero
civico), salva la delega all’organo amministrativo (che parrebbe comunque
competente per la variazione di quest’ultimo, applicando analogicamente
l’art. 111, disp. att. c.c.). Altra cosa è il trasferimento di una sede secondaria,
cioè la variazione del Comune ove essa opera; ma, a ben vedere, la vicenda
può trovare la propria soluzione, più condivisibile sul piano razionale ed
implicita nell’art. 2365, in una soppressione seguita immediatamente da
un’istituzione, come la dottrina ha avuto modo di osservare162, dunque senza
necessità di un’esplicita delega in tal senso (delega che, in quanto atipica,
sarebbe almeno discutibile).
Non parrebbe priva di pericoli163, soprattutto nelle società di ridotte
dimensioni, la libertà di spostare la sede sociale, sia pure all’interno del
territorio nazionale. Infatti nel caso in cui non fosse consentito il voto per
corrispondenza o l’intervento mediante mezzi di telecomunicazione, il tra-
sferimento potrebbe rendere anche molto difficoltoso per il socio, soprat-
tutto se di minoranza, l’esercizio dei suoi diritti, in particolare quello di
160 Sarale, Il nuovo diritto societario, cit., 173.
161 Cerrato, Le deleghe di competenze assembleari nelle società per azioni, cit., 406.
162 Ancora Cerrato, Le deleghe di competenze assembleari nelle società per azioni, cit., 406 s.
163 Afferma Sarale, Il nuovo diritto societario, cit., 174.
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partecipare alle assemblee: la clausola finirebbe per fornire agli ammini-
stratori (e, dunque, ai soci di maggioranza) uno strumento per “obbligare”
il socio all’assenteismo e, sotto diverso profilo, potrebbe agevolare il cosid-
detto forum shopping, radicando la competenza presso sedi giudiziarie
più benevole. Queste preoccupazioni sono state talora ritenute eccessive
e, dunque, da ridimensionare, anche perché la protezione della minoranza
pare comunque assicurata, quando si possa dimostrare l’esclusiva volontà
di recarle danno, dalla facoltà d’impugnare per abuso la deliberazione di
trasferimento della sede assunta dall’organo amministrativo164. È noto, tut-
tavia, come la prova, in casi del genere, sia tutt’altro che agevole: e questa
constatazione rafforza le perplessità.
Per quanto attiene alle scelte in ordine al potere rappresentativo, ci si
chiede se la locuzione si riferisca all’individuazione della sola funzione (ad
esempio: il presidente del consiglio di amministrazione o l’amministratore
delegato) o anche a quella della persona fisica cui spetta la rappresentanza165;
chi, pur con qualche incertezza, propende per l’interpretazione estensiva,
rileva come sia facile prevedere che nella pratica la frequenza di un’indica-
zione nominativa sia destinata ad essere piuttosto modesta166. In ogni caso,
la competenza dell’organo amministrativo sembrerebbe limitata alle ipotesi
in cui il potere di rappresentanza sia attribuito dallo statuto e non dall’atto
di nomina (art. 2384, 1° co.), visto che nel secondo caso la decisione è di
competenza dell’assemblea ordinaria (artt. 2364, 1° co., n. 2, e 2383)167. Alla
luce della nuova normativa, perciò, sarebbe tuttora invalida una clausola
statutaria ai sensi della quale un amministratore, cui lo statuto riconosca
i poteri di rappresentanza della società, possa delegarli ad un altro, come
deciso, in epoca ormai risalente, dal Tribunale di Cassino168: sarebbe infatti
l’organo, nella sua collegialità, a poter semmai disporre in proposito.
Indubbiamente rilevante è la facoltà di attribuire all’organo di gestione
la competenza ad adeguare lo statuto a “disposizioni normative” che
abbiano natura inderogabile: pur nella delicatezza dell’argomento, si tratta
164 Cerrato, Le deleghe di competenze assembleari nelle società per azioni, cit., 404.
165 Il dubbio è espresso da Sarale, Il nuovo diritto societario, cit., 173; e da Petrazzini, sub art. 2365, in Il nuovo diritto societario, cit., 488.
166 Cerrato, Le deleghe di competenze assembleari nelle società per azioni, cit., 410.
167 Petrazzini, sub art. 2365, in Il nuovo diritto societario, cit., 488.
168 Trib. Cassino, 21.1.1988, in Giur. di Merito, 1989, 573.
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Capitolo Primo – Le competenze 61
di un’apprezzabile risposta del legislatore di fronte ad oggettive esigenze di
semplificazione169. Sennonché la formulazione adottata, per la sua indub-
bia genericità, lascia spazio ad un possibile spostamento di competenze
in relazione ad adeguamenti statutari non imposti da norme inderogabili.
Certo, non ci si trova in presenza dei rischi lucidamente espressi in dottri-
na170 di fronte alla prima stesura dell’art. 223 bis disp. att. (dei quali si è dato
conto in nota), non a caso riscritto all’inizio del 2004; ma resta comunque
l’inopportunità d’interpretazioni che troppo disinvoltamente si concretiz-
zino nel sottrarre all’assemblea deliberazioni non obbligate, suscettibili,
purché assunte nella loro sede naturale, di formare oggetto d’impugnazione
da parte di chi vi dissenta; dunque ad opera di quelle minoranze che, nel
rispetto della condizione posta dall’art. 2377, 3° co., ritengano illegittima la
decisione, indipendentemente dalla diretta lesione di diritti loro spettanti
(come invece richiesto dall’art. 2388, 4° co.).
Resta da dire delle due ipotesi di fusione semplificata disciplinate dagli
artt. 2505 e 2505 bis, oggetto, nel loro insieme, di ampio interesse della dot-
trina ma prive, sul punto oggetto di esame, di applicazioni giurisprudenziali.
169 Notari, Stella Richter jr., Adeguamenti statutari e voto a scrutinio segreto nella legge sul risparmio, in Soc., 2006, 533; Spada, Riflessioni sul regime transitorio del nuovo diritto delle società di capitali, in Riv. notariato, 2003, 638; Abriani, Gli adeguamenti obbli-gatori degli statuti delle società di capitali alla riforma del diritto societario, in Soc., 2003, 1301. Numerosi dubbi interpretativi e problemi di coordinamento sono però insorti in relazione all’art. 223 bis disp. att. c.c., che, nella sua prima versione, consentiva di attribuire all’assemblea straordinaria il potere di assumere, a maggioranza semplice, indipendente-mente dalla parte di capitale rappresentata dai soci partecipanti, le deliberazioni necessa-rie sia ad adeguare l’atto costitutivo e lo statuto alle disposizioni introdotte dalla riforma del diritto societario, anche non inderogabili, sia ad adottare le modifiche statutarie ai sensi dell’art. 2365, 2° co. Rischiavano in tal modo di venir stravolti gli equilibri dei rap-porti tra soci di maggioranza e azionisti estranei al gruppo di comando. Il d.lgs. 6.2.2004, n. 37, ha riscritto il 2° co. dell’art. 223 bis, prevedendo che entro il 30.9.2004 l’assemblea straordinaria avrebbe potuto, a maggioranza semplice e qualunque fosse la parte di capi-tale rappresentata in assemblea, sia adottare deliberazioni di mero adattamento dell’atto costitutivo e dello statuto a nuove disposizioni inderogabili, sia introdurre nello statuto clausole che avrebbero escluso l’applicazione di nuove disposizioni di legge previste dalla riforma, derogabili però con specifica clausola quante volte i soci avessero preferito conti-nuare a regolare la fattispecie sulla base della disciplina previgente. In argomento, diffusa-mente, Petrazzini, sub art. 2365, in Il nuovo diritto societario, cit., 490 ss.
170 Ci si riferisce in particolare a Petrazzini, sub art. 2365, in Il nuovo diritto societario, cit., 491, ed a Sarale, Il nuovo diritto societario, cit., 174.
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62 Parte Prima – Assemblea
È condivisibile la scelta che la decisione (di regola soggetta all’art. 2502)
venga delegata ai rispettivi organi amministrativi171 nel caso d’incorpora-
zione di società totalmente posseduta, proprio perché nell’incorporata non
esistono soci di minoranza; e, d’altra parte, quelli che siano tali nell’incor-
porante e detengano almeno il 5% del capitale hanno pur sempre facoltà di
richiedere la decisione assembleare.
Qualche perplessità sorge, invece, nell’ipotesi d’incorporazione di
società posseduta non totalitariamente, pur se in percentuale non inferiore
al 90%. Ferma restando, per l’incorporante, la facoltà da ultimo citata, la
presenza, per quanto ridotta, di soci di minoranza dell’incorporata com-
porta, infatti, la necessità di valutare e determinare il rapporto di cambio
e la sua incidenza sull’assetto proprietario dell’incorporante. È ben vero
che, in questo caso, la possibilità per l’organo amministrativo di sostituirsi
all’assemblea straordinaria è concessa soltanto all’incorporante; ma non
per questo è meno discutibile il fatto che questo tipo di previsione statuta-
ria possa ritenersi rispettoso delle indicazioni contenute nella legge delega
e possa rientrare tra le «decisioni attinenti alla struttura gestionale della
società che non incidono sulle posizioni soggettive dei soci»172. Certo, resta
pur sempre la possibilità d’impugnare le delibere consiliari lesive dei diritti
di questi ultimi: ma, considerando le limitazioni all’impugnazione (prima
tra tutte, in difetto di diversa disposizione nei patti sociali, la necessità, per
i soci impugnanti di società che non fanno ricorso al capitale di rischio, di
detenere una percentuale del 5% del capitale sociale) e, aspetto tutt’altro
che secondario, le probabili difficoltà a dimostrare in concreto la lesione del
diritto, il rimedio pare di scarsa efficacia.
171 Fermo restando che la circostanza che una delle società partecipanti all’operazione sia nelle condizioni statutarie di avvalersi della delega di competenza all’organo ammini-strativo non potrebbe produrre conseguenza alcuna nei confronti di un’altra che invece non lo sia: Cerrato, Le deleghe di competenze assembleari nelle società per azioni, cit., 388.
172 Ancora Petrazzini, sub art. 2365, in Il nuovo diritto societario, cit., 488, e Sarale, Il nuovo diritto societario, cit., 173 s.
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