Aspasia n. 1
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Aspasia RivistaRivistaRivistaRivista online gratuitaonline gratuitaonline gratuitaonline gratuita Ottobre Ottobre Ottobre Ottobre 2011 2011 2011 2011 N.1N.1N.1N.1
IndiceIndiceIndiceIndice: : : : FABRIZIO FRATINI, “Nel ghetto da sempre” – SILVIA CERRI, “L’omocausto fuori dai
campi” – PIERO MATTEI, “Una sfida allo Stato” – EMILIANO LIUTINA MARRONI, “Una
maggioranza minoritaria” – DANIELE D’ORAZI, “Il coraggio dell’inattualità” – ALESSIO
INNOCENTI, “L’eretico guerriero” – SOFIA CIMINO, “Il rifiuto di Coco” – DIEGO DENORA,
“Charlot è nascosto in un bidone!” – MARTINA ANGELETTI, “Schizofrenia e psicosi: Extra-
Ordinaria Arte” – ROLANDO INNOCENTI, “Demone all’uomo l’indole” – JULIA LATTANZI,
“Poeta, in muta solitudine vivi, sogna e muori” – MATTIA GALATI, “Le nostre fragilità, la
nostra prigione”
Per qualsiasi informazione, consiglio, o per inviare gli articoli: [email protected]
““““Con le tue finestre aperte sulla stradaCon le tue finestre aperte sulla stradaCon le tue finestre aperte sulla stradaCon le tue finestre aperte sulla strada
e gli occhi chiusi sulla gentee gli occhi chiusi sulla gentee gli occhi chiusi sulla gentee gli occhi chiusi sulla gente””””
Escludere, essere esclusi, o Escludere, essere esclusi, o Escludere, essere esclusi, o Escludere, essere esclusi, o volersivolersivolersivolersi escludere. Isolare un individuo, escludere. Isolare un individuo, escludere. Isolare un individuo, escludere. Isolare un individuo, metterlo in minoranza, farlo sentire emarginato vuol dire metterlo in minoranza, farlo sentire emarginato vuol dire metterlo in minoranza, farlo sentire emarginato vuol dire metterlo in minoranza, farlo sentire emarginato vuol dire
indindindindebolirlo, renderlo vulnerabile; ebolirlo, renderlo vulnerabile; ebolirlo, renderlo vulnerabile; ebolirlo, renderlo vulnerabile; una preda facile, una voce da una preda facile, una voce da una preda facile, una voce da una preda facile, una voce da soffocare senza fatica. Dopo essere statosoffocare senza fatica. Dopo essere statosoffocare senza fatica. Dopo essere statosoffocare senza fatica. Dopo essere stato messo in dispartemesso in dispartemesso in dispartemesso in disparte o,o,o,o, peggio, essere additato come peggio, essere additato come peggio, essere additato come peggio, essere additato come pericoloso per la sopravvivenza altrui, l’emarginato diventa una persona completamente sola. pericoloso per la sopravvivenza altrui, l’emarginato diventa una persona completamente sola. pericoloso per la sopravvivenza altrui, l’emarginato diventa una persona completamente sola. pericoloso per la sopravvivenza altrui, l’emarginato diventa una persona completamente sola.
Al contrario, scegliere l’esclusione, ribellarsi ad una istituzione, alla società in cui si vive, Al contrario, scegliere l’esclusione, ribellarsi ad una istituzione, alla società in cui si vive, Al contrario, scegliere l’esclusione, ribellarsi ad una istituzione, alla società in cui si vive, Al contrario, scegliere l’esclusione, ribellarsi ad una istituzione, alla società in cui si vive, ad una maggioranza di persone con ad una maggioranza di persone con ad una maggioranza di persone con ad una maggioranza di persone con cui non si condivide nulla, può essere un cui non si condivide nulla, può essere un cui non si condivide nulla, può essere un cui non si condivide nulla, può essere un
modo per cercare di trasformare la realtà, oppure per fuggirla modo per cercare di trasformare la realtà, oppure per fuggirla modo per cercare di trasformare la realtà, oppure per fuggirla modo per cercare di trasformare la realtà, oppure per fuggirla definitivamente. Il concetto di “ghetto” è sempre esistito. Forse non definitivamente. Il concetto di “ghetto” è sempre esistito. Forse non definitivamente. Il concetto di “ghetto” è sempre esistito. Forse non definitivamente. Il concetto di “ghetto” è sempre esistito. Forse non
è possibile guardare l’è possibile guardare l’è possibile guardare l’è possibile guardare l’altro altro altro altro senza rinchiuderlo in qualche senza rinchiuderlo in qualche senza rinchiuderlo in qualche senza rinchiuderlo in qualche gabbia mentale dovutagabbia mentale dovutagabbia mentale dovutagabbia mentale dovuta al pregiudizio, all’ignoranza, al pregiudizio, all’ignoranza, al pregiudizio, all’ignoranza, al pregiudizio, all’ignoranza,
alla superficialità con cui si è soliti giudicare. alla superficialità con cui si è soliti giudicare. alla superficialità con cui si è soliti giudicare. alla superficialità con cui si è soliti giudicare. L’emarginazione è anche strumento di L’emarginazione è anche strumento di L’emarginazione è anche strumento di L’emarginazione è anche strumento di
poterepoterepoterepotere, di qualunque natura esso sia. , di qualunque natura esso sia. , di qualunque natura esso sia. , di qualunque natura esso sia. La storia La storia La storia La storia dell’uomo è dell’uomo è dell’uomo è dell’uomo è anche questo: è storia di individui anche questo: è storia di individui anche questo: è storia di individui anche questo: è storia di individui
scacciati, perseguitati,scacciati, perseguitati,scacciati, perseguitati,scacciati, perseguitati, sterminati. sterminati. sterminati. sterminati. L’L’L’L’esclusioneesclusioneesclusioneesclusione è un’arma è un’arma è un’arma è un’arma troppo efficace perché alla fine sitroppo efficace perché alla fine sitroppo efficace perché alla fine sitroppo efficace perché alla fine si possa possa possa possa decidere di rinunciarvidecidere di rinunciarvidecidere di rinunciarvidecidere di rinunciarvi
definitivamente.definitivamente.definitivamente.definitivamente.
AspasiaAspasiaAspasiaAspasia N.1N.1N.1N.1 OttobreOttobreOttobreOttobre 2011201120112011
“LLLLe accuse rivolte e accuse rivolte e accuse rivolte e accuse rivolte
agli ebrei non agli ebrei non agli ebrei non agli ebrei non
nacquero con la nacquero con la nacquero con la nacquero con la
Germania Nazista Germania Nazista Germania Nazista Germania Nazista
e purtroppo non e purtroppo non e purtroppo non e purtroppo non
si estinsero nesi estinsero nesi estinsero nesi estinsero nem-m-m-m-
meno con la fine meno con la fine meno con la fine meno con la fine
del Terzo Reichdel Terzo Reichdel Terzo Reichdel Terzo Reich”
NNNNel ghettoel ghettoel ghettoel ghetto da sempreda sempreda sempreda sempre
Di Fabrizio Fratini
E’ nella Germania Nazista a partire dal 1940, pre-
cisamente nella Polonia occupata, che gli ebrei
furono costretti alla vita nei ghetti: vi si viveva in
condizioni di sovraffollamento e di denutrizioni
ed ingenti furono le perdite al loro interno. Era
una preparazione alla “soluzione finale”. Dal
1942 iniziarono le deportazioni nei campi di
sterminio. Da sottolineare che non mancarono le
rivolte all’interno dei ghetti, la più famosa è sicu-
ramente la rivolta di quello di Varsavia del
1943. Non sarebbe stato possibile ridur-
re in tali condizioni di vita gli ebrei se
non ci fosse stata una campagna di
odio che si basava su accuse pre-
cise; come è stato possibile un ta-
le successo di questa campagna di
odio? Un ruolo fondamentale lo
ebbe la propaganda messa in atto
dal Terzo Reich e la famosa tesi della
superiorità della razza ariana, ma le ac-
cuse rivolte agli ebrei non nacquero con la
Germania Nazista e purtroppo non si estinsero
nemmeno con la fine del Terzo Reich. Cerchiamo
ora di vedere quali sono queste accuse e di capire
come sono nate. I ghetti non nacquero certamen-
te nella Germania Nazista, anzi è proprio in Italia,
precisamente a Venezia, che per la prima volta le
persone di religione ebraica furono costrette a
vivere nel ghetto ed è proprio a Venezia che nac-
que uno degli stereotipi riguardanti gli ebrei:
quello dell’ebreo usuraio. Ai cristiani era infatti
fatto divieto di lucrare sui prestiti ed è per questo
che i crediti erano forniti principalmente dagli e-
brei. Una testimonianza interessante di come fos-
sero percepiti gli ebrei a Venezia è fornita da “Il
mercante di Venezia”: Shylock incarna perfetta-
mente lo stereotipo dell’ebreo corrotto moral-
mente dall’uso e dal commercio di denaro, e per
questo fatto oggetto dell’odio degli altri abitanti
della Repubblica Veneta. Una sfera nella quale
l’antisemitismo trova terreno fertile è sicuramen-
te quella religiosa; gli Ebrei vengono considerati
gli uccisori di Cristo o comunque colpevoli di non
riconoscere la divinità del messia. Non stupisce
dunque che nel film “La Passione” di Mel Gibson
gli ebrei che “mettono a morte” Gesù siano rap-
presentati nel pieno dello stereotipo, di bassa
statura e con naso adunco. Non a caso il film creò
grandi polemiche e fu duramente criticato dalla
comunità ebraica italiana. Tuttavia
l’antisemitismo non si esaurisce in moti-
vi religiosi, altrimenti non si spieghe-
rebbe il perdurare di questo senti-
mento anche nelle società secola-
rizzate. E’ l’ascesa del sentimento
nazionalista tedesco negli anni
Trenta a creare una nuova accusa
contro gli ebrei. Questi ultimi, con-
traddistinti da un forte particolari-
smo linguistico e dal fatto di essere una
comunità caratterizzata in virtù del senso di
appartenenza ad una radice comune- testimonia-
ta dal legame di sangue- erano infatti accusati,
proprio sulla base dei due elementi cui si è appe-
na fatto riferimento, di minare la stabilità e
l’unità della Nazione. Si alimentò così un mito ne-
gativo sul popolo ebraico che, secondo la propa-
ganda Nazista, cospirava per conquistare il mon-
do attraverso il controllo della finanza. C’è da di-
re che neanche questa idea del popolo ebraico
nasce nel Terzo Reich; è infatti nella Russia Zari-
sta che fu prodotto un falso documento chiamato
“Protocollo dei Savi di Sion”, nel quale veniva
tramandata l’organizzazione della cospirazione
che doveva passare attraverso la conquista del
mercato finanziario con la promozione del siste-
ma liberale. Colpisce che ancora oggi, negli am-
bienti anti-sionisti, questo documento venga ri-
proposto come prova della cospirazione ebraica.
AspasiaAspasiaAspasiaAspasia N.1N.1N.1N.1 OttobreOttobreOttobreOttobre 2011201120112011
“L'amore che L'amore che L'amore che L'amore che non osa non osa non osa non osa
pronunciare il suo pronunciare il suo pronunciare il suo pronunciare il suo
nomenomenomenome”
Alfred DouglasAlfred DouglasAlfred DouglasAlfred Douglas
L’omocausto fuori dai campiL’omocausto fuori dai campiL’omocausto fuori dai campiL’omocausto fuori dai campi
Di Silvia Cerri
Omofobia e omofobia interiorizzata: due sintomi
della stessa causa che portano ad un disagio
sociale permanente che a sua volta determina
l’emarginazione e l’auto esclusione degli esseri
umani con tendenze omosessuali dalla sfera della
vita comune. Se per “omofobia” si intende
l’insieme di sensazioni di disagio, disgusto, paura
che si provano nell’avere a che fare, o per
semplice vicinanza con un omosessuale allora si
parlerà di “omofobia interiorizzata”
quando si avrà la medesima percezione,
ma questa volta di sé stessi.
L’omofobia interiorizzata nasce
quindi da una pressione emotiva
suscitata dall'esterno, dalla
consapevolezza di essere un
diverso. Amare un individuo
dello stesso sesso mette ancor
prima che si possano avere dei
riscontri reali per esperienza nella
condizione di doversi salvaguardare
da un mondo che non è stato e non è
ancora in grado di capire. E’ così nel
romanzo “Ernesto” di Umberto Saba,
dove l'amore tra un giovane piccolo borghese e
un bracciante più anziano viene consumato
clandestinamente mentre si sviluppa e si acuisce
il senso di colpa e tra i due in maniera più intensa
nell'uomo adulto, che potremmo definire un caso
di omofobia interiorizzata, in un certo qual modo.
Molti sono anche gli scrittori che hanno avuto
relazioni con individui dello stesso sesso e che,
nella maggior parte dei casi (anche a prescindere
dall'epoca storica che stavano vivendo), sono
andati incontro ad una esistenza difficile e
ingiustamente complicata. Basti pensare a Wilde,
additato come sodomita, incarcerato e costretto
a due anni di lavori forzati a causa della sua
relazione con Alfred Douglas o a Pasolini, il quale
fu espulso dal Partito Comunista Italiano e
insieme privato della sua cattedra
d'insegnamento dopo che gli era stata addossata
la colpa del suo crimine: l'omosessualità. Diversi
sono i pretesti volti a spiegarne l’imputazione:
sovversione del presunto ordine naturale voluto
da Dio, perversione, problematiche di natura
psicologiche… Tra le due facce di una realtà che è
la stessa per tutti, da una parte sfila la
manifestazione di ottuse convenzioni
sociali e dall’altra la schiera dei
tolleranti. In mezzo ai due flussi, i
pochi cervelli e animi liberi.
Parafrasando Pasolini <la
tolleranza è solo e sempre
nominale>, si tratta di un
concetto ampio, una <forma
di condanna più raffinata>,
quando alla richiesta di
compassione viene sbandierata
una pseudo accettazione del
diverso nella forma di una chiara
segnalazione dell’individuo sociale in
questione tramite un marchio adatto,
ma che non a causa di questo dovrà essere
pericoloso per la comunità: ricordarsi che si parla
di un omosessuale, ma non per questo di un
mostro. «Io sono come un negro in una società
razzista che ha voluto gratificarsi di uno spirito
tollerante. Sono, cioè, un “tollerato” (…). Le vite
sessuali private (come la mia) hanno subito il
trauma sia della falsa tolleranza che della
degradazione corporea, e ciò che nelle fantasie
sessuali era dolore e gioia, è divenuto suicida
delusione, informe accidia.» Pier Paolo Pasolini.
Eppure, infine, nessuna delle nostre menti
occidentali ed evolute forse riuscirà mai a
comprendere il dolore degli uomini costretti a far
divenire il loro amore, la loro stessa condanna.
AspasiaAspasiaAspasiaAspasia N.1N.1N.1N.1 OttobreOttobreOttobreOttobre 2011201120112011
“ IIIIl brl brl brl briiiiggggaaaattttiiiista si sta si sta si sta si
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nel nel nel nel ccccoooovo sia vo sia vo sia vo sia
memememennnntatatatallllmente che mente che mente che mente che
mmmmaaaatttteeeeriariariariallllmentementementemente”
Una sfida allo StatoUna sfida allo StatoUna sfida allo StatoUna sfida allo Stato
Di Piero Mattei
Le Brigate Rosse nascono nel 1970, anno in cui
avvengono le loro prime azioni dimostrative. Si
tratta di un movimento terroristico che trova la
sua linfa nel clima rivoluzionario diffusosi con le
rivolte studentesche del 68 e nel retroterra cultu-
rale della sinistra anni 50’ (stalinismo,avversione
nei confronti dell’imperialismo e dei suoi “ser-
vi”). Molti adepti dell’organizzazione gravitano,
prima del passaggio alla guerriglia, nel PCI e si
avvalgono per molto tempo della benevolenza
dei militanti del maggior partito
d’opposizione. Obiettivo dei brigatisti
è il totale rovesciamento dei rap-
porti di forza nella società italia-
na,in particolar modo nelle fabbri-
che, al fine d’instaurare una ditta-
tura del proletariato. Un proposito
cosi dirompente comporta la loro
inevitabile uscita dalla vita civile, a
favore della clandestinità. Si tratta di
un’autoemarginazione dal tessuto connettivo na-
zionale. Il brigatista si rinchiude nel “covo” sia
mentalmente che materialmente. La sua vita si
svolge in anonimi appartamenti borghesi insieme
ai propri compagni, al riparo da sguardi indiscreti,
in una continua ubriacatura di ideologie fanati-
che, inapplicabili in uno stato ormai saldamente
basato su un’economia di mercato. Va sottolinea-
to, in particolare, un totale distacco dalla vita rea-
le, che porta ad atti aberranti, fuori da qualsiasi
logica e spiegazione. Si agisce su basi totalmente
teoriche, prescindendo dalle ripercussioni prati-
che. Dal buio dei nascondigli i terroristi escono
per svolgere la loro opera di propaganda, attra-
verso ferimenti e sequestri, in un primo momen-
to, con le uccisioni poi. Ciò esprime perfettamen-
te la loro incomunicabilità e marginalità. Si deve
ricorrere necessariamente alle armi per trasmet-
tere il proprio messaggio. In tale modo non viene
costruito un canale di collegamento con la collet-
tività e soprattutto con i militanti della sinistra,
ma si ottiene il risultato contrario: si scava un fos-
sato incolmabile. Le Br ritengono di esprimere
con la violenza le istanze del proletariato urbano,
degli sfruttati alla ricerca di una qualche rivincita,
ritenendo ormai superate le tradizionali istituzio-
ni democratiche. Viene proposto un “diverso”
modo di fare politica, che naturalmente risulta
inaccettabile per la maggior parte dei cittadini. La
consacrazione dell’esclusione delle Br dalla socie-
tà civile si ha con il sequestro del presi-
dente della Dc Aldo Moro e il massa-
cro della sua scorta, verificatosi il 16
marzo 1978, in occasione del voto
di fiducia al governo Andreotti (per
la prima volta appoggiato dai co-
munisti). Questo tragico evento ri-
sulta interessante ai fini della nostra
trattazione da due punti di vista. In
primo luogo testimonia la volontà dei
terroristi di imporre, nell’area della sinistra, una
linea “programmatica” totalmente diversa da
quella ufficiale del Pci, nella convinzione di avere
l’appoggio di gran parte dei militanti del partito di
Berlinguer. La realtà è diversa. Immediatamente i
simpatizzanti comunisti si schierano dalla parte
della legalità,isolando i brigatisti. Quest’ultimi, in
secondo luogo, cercano con il clamoroso seque-
stro una legittimazione politica, che fatalmente
non può arrivare. Durante le trattative per il rila-
scio del prigioniero, le Br vogliono ottenere un
canale di comunicazione con la Dc, ponendosi
come unico interlocutore della forza di maggio-
ranza relativa. Ogni proposta è respinta, giusta-
mente, e la vicenda finisce con la morte del pre-
sidente democristiano. Tralasciando i pur dolorosi
colpi di coda degli anni successivi, tale evento se-
gna la definitiva sconfitta morale dei brigatisti, i
quali sono presto condannati a una nuova emar-
ginazione: quella del carcere.
AspasiaAspasiaAspasiaAspasia N.1N.1N.1N.1 OttobreOttobreOttobreOttobre 2011201120112011
“LLLLe donne divee donne divee donne divee donne diven-n-n-n-
nero una magginero una magginero una magginero una maggio-o-o-o-
ranza minoritaria ranza minoritaria ranza minoritaria ranza minoritaria
dando luogo dando luogo dando luogo dando luogo
all'unico caso in all'unico caso in all'unico caso in all'unico caso in
cui cui cui cui un gruppo un gruppo un gruppo un gruppo
più piccolo emapiù piccolo emapiù piccolo emapiù piccolo emar-r-r-r-
gina un gruppo gina un gruppo gina un gruppo gina un gruppo
più granpiù granpiù granpiù grandededede”
Una maggioranza minoritariaUna maggioranza minoritariaUna maggioranza minoritariaUna maggioranza minoritaria
Di Emiliano Liutina Marroni
Honorè De Balzac scrisse che vi sono due storie,
quella ufficiale che ci viene insegnata, e quella
segreta, dove si trovano i veri fatti degli avveni-
menti: questo articolo vuole raccontarvi una di
queste storie segrete , quella delle donne
dell'URSS, poste ai margini della società nono-
stante il profondo squilibrio demografico a loro
favore, avviatosi con il primo conflitto mondiale e
terminato, almeno nella sua prima fase, con la
fine della seconda guerra mondiale: basti pensare
che solo nel '46 vi erano 96 milioni di donne con-
tro i 74 rappresentati dagli uomini, ma il fatto
più importante è che tale squilibrio si con-
centrava nella fascia d'età compresa tra
i 20 e i 44 anni, dove le donne erano
circa 10 milioni in più. Con questa
situazione demografica e ri-
pensando al messaggio di
uguaglianza di cui l'URSS si
faceva portatrice, è lecito ipo-
tizzare che le donne avessero
raggiunto sul piano dei diritti civili
gli uomini, tuttavia le cose non sono
andate così: tale uguaglianza rimase sulla
carta, e le donne, pur rappresentando il 47%
della forza lavorativa, divennero una maggio-
ranza minoritaria, dando luogo all'unico caso in
cui un gruppo più piccolo emargina un gruppo più
grande. Le basi di questo processo, che dimostra
tra l'altro l'inesistenza di una società nuova sorta
con il comunismo, derivano non solo dalla miso-
ginia tipica delle società patriarcali, ma anche dal
bisogno dello Stato di neutralizzare in breve tem-
po lo squilibrio demografico puntando sui matri-
moni regolari, favorendo al tempo stesso un at-
teggiamento ipocrita e sprezzante nei confronti di
milioni di donne sole (spesso con figli illegittimi),
e sono state poste principalmente nell'educazio-
ne scolastica e nella letteratura di consumo. Per
quanto riguarda l'Istruzione negli istituti superiori
femminili lo standard dell'insegnamento scientifi-
co era nettamente più basso rispetto a quello
maschile, e ciò non è trascurabile in un paese do-
ve un ingegnere era più pagato rispetto a un in-
segnante umanista o a un medico. Questa discri-
minazione costituiva, ovviamente, un grave han-
dicap di partenza per tutte quelle ragazze le cui
notevoli doti naturali avrebbero potuto metterle
in grado di accedere a una prestigiosa università
tecnica, se adeguatamente sviluppate. Di conse-
guenza per le donne divenne davvero difficile ac-
cedere ai lavori tecnici. E se lo Stato concepiva
poi la funzione naturale della donna come
quella di madre dalla numerosa prole,
come poteva permettersi di creare
istituti di buon livello per ragazze?
Era decisamente uno spreco.
Così una volta che la donna
veniva considerata come
madre e l'uomo come garante
del reddito familiare, era inevita-
bile che la posizione di quest'ultimo
diventasse quella dominante. Infine nei
romanzi dell'immediato dopoguerra que-
sto processo di emarginazione diviene pale-
se: la donna trasmuta in un simbolo astratto del-
le virtù femminili, è una madre e una moglie forte
e devota, che si annulla al servizio dei corpi muti-
lati dei figli e dei mariti, sui quali la letteratura si
concentra, descrivendone la rinascita e il reinse-
rimento attivo nella società. L'esperienza di quasi
600000 donne combattenti, di milioni di lavora-
trici sole e spesso occupate negli scalini profes-
sionali più bassi, sulle quali si concentrava il dop-
pio carico di lavoro a casa e in fabbrica (o peggio
ancora nelle campagne) fu accantonata a favore
di questo modello femminile, tanto tradizionale
quanto irrealizzabile: in milioni avevano perso fi-
gli e mariti, e non avevano più alcuna speranza di
risposarsi, visto lo squilibrio tra i sessi.
AspasiaAspasiaAspasiaAspasia N.1N.1N.1N.1 OttobreOttobreOttobreOttobre 2011201120112011
“Qui mQui mQui mQui miiiira e qui ti ra e qui ti ra e qui ti ra e qui ti
specchia,specchia,specchia,specchia,
Secol superbo e Secol superbo e Secol superbo e Secol superbo e
sciosciosciosciocccccocococo”
Il coraggio dell’inattualitàIl coraggio dell’inattualitàIl coraggio dell’inattualitàIl coraggio dell’inattualità
Di Daniele D’Orazi
“Quel continuo biasimare e derider che fate la specie
umana, primieramente è fuori di moda”. “Anche il mio
cervello è fuori di moda, e non è nuovo che i figliuoli
vengano simili al padre”. In questo modo Eleandro,
l’alter ego di Giacomo Leopardi in una delle Operette
morali, risponde a Timandro, il quale incarna
l’ottimismo filantropico del XIX secolo. E’ proprio que-
sta operetta, il Dialogo di Timandro ed Eleandro, a
manifestare chiaramente il rapporto conflittuale tra il
poeta recanatese e il pensiero egemone del
suo tempo, l’Ottocento, a più riprese ber-
saglio di attacchi di natura satirica e
speculativa lungo l’intera sua produ-
zione poetica e prosastica. Nelle ope-
re di Leopardi, nella sua fiera opposi-
zione, originalità e autonomia dagli
idoli del suo secolo, dagli ingenui e ot-
timistici slanci rivoluzionari, dalla cieca
convinzione nella infinita perfettibilità
dell’essere umano e soprattutto nel progresso
tecnologico e morale, si riflette l’emarginazione e
l’isolamento vissuto dal poeta nella sua vicenda esi-
stenziale, nella sua quotidianità: l’essere alieno da au-
tentici affetti, il continuo non essere corrisposto dalle
donne da lui amate, il deserto e il silenzio del suo “na-
tio borgo selvaggio”. Il suo vivere ai margini nella quo-
tidianità e la sua “auto-esclusione” dalla cultura otti-
mistica ottocentesca vanno di pari passo nella sua
biografia, dialogano continuamente nelle sue opere.
L’esordio di questo contrasto può essere riportato
convenzionalmente alla pubblicazione del “Discorso di
un italiano intorno alla poesia romantica” del 1818,
opera che riprende, approfondendole, le tesi già e-
sposte due anni prima nella Lettera alla Biblioteca Ita-
liana in risposta a Madame De Staël. Nel Discorso Le-
opardi oppone all’allora dilagante poesia romantica e
ai suoi canoni una poesia che deve rifarsi allo spirito
dell’antichità classica, che deve ispirarsi alla grandezza
della natura, traendo da essa semplicità e spontanei-
tà, in contrasto appunto con “l’astrusa e metafisica”
poesia dei romantici. Nonostante il seguente allonta-
namento da Recanati e i suoi soggiorni a Roma, Mila-
no, Bologna, Firenze, Pisa e Napoli la condizione di e-
straneità del poeta non muterà. Infatti è proprio negli
ultimi anni della sua vita che viene ad acuirsi il con-
fronto e lo scontro, sempre meno velato, con la cultu-
ra del suo tempo. Particolarmente significativa in que-
sto senso è, durante il suo secondo soggiorno fioren-
tino, l’esperienza fallimentare della creazione di un
giornale, “Lo spettatore fiorentino”, che non riuscirà a
vedere la luce a causa della censura governativa. Per
chiarire il significato di questa esperienza è necessa-
rio, seguendo l’ottima monografia di Gino Tel-
lini su Leopardi, citare un passo dal Pream-
bolo al giornale: “Se la natura del nostro
Giornale è difficile a definire, non così
lo scopo. In questo non v’è misteri…
Confessiamo schiettamente che il no-
stro Giornale non avrà nessuna utili-
tà… Il nostro scopo dunque non è gio-
vare al mondo, ma dilettare quei pochi
che leggeranno”. In queste poche righe è
riassunta l’opposizione del poeta al culto
dell’utile, un altro dei miti ottocenteschi, un utilitari-
smo intellettuale che non riconosce alcuna legittimità
al piacere procurato dalle illusioni poetiche, capaci di
alleviare per qualche momento il peso dell’esistenza,
un pensiero reso schiavo delle logiche imprenditoriali
ed economiche della società borghese. Anche nel suo
ultimo soggiorno, quello napoletano, Leopardi troverà
l’ostilità dei seguaci della cultura ottimistica borghese,
in questo caso quello degli intellettuali della rivista Il
Progresso, orientati verso un cattolicesimo tradiziona-
le e un pensiero ottimistico e provvidenzialistico, i
quali non perdoneranno mai a Leopardi le sue posi-
zioni sensistiche e materialistiche e che saranno il suo
bersaglio nella satira I nuovi credenti. Il filosofo Frie-
drich Nietzsche nella seconda delle sue Inattuali parla
di un agire “contro il tempo”, “sul tempo”, ed è pro-
prio questa inattualità a mio avviso a contraddistin-
guere l’opera e il pensiero di Leopardi, una inattualità
orgogliosa e consapevole che non poteva non incon-
trare l’ostilità di un conformismo intellettuale che pur-
troppo caratterizza da sempre l’Italia nella sua vita
culturale, una inattualità che reca con sé la sua pe-
renne contemporaneità.
AspasiaAspasiaAspasiaAspasia N.1N.1N.1N.1 Ottobre Ottobre Ottobre Ottobre 2011201120112011
“LLLL’eretico è il eretico è il eretico è il eretico è il
più indifeso più indifeso più indifeso più indifeso
degli degli degli degli
emargemargemargemargiiiinati: nati: nati: nati:
ha il marchio ha il marchio ha il marchio ha il marchio
infamante del infamante del infamante del infamante del
rinnegato da rinnegato da rinnegato da rinnegato da
DioDioDioDio”
L’eretico guerrieroL’eretico guerrieroL’eretico guerrieroL’eretico guerriero
Di Alessio Innocenti
Il 18 luglio del 1300 ardeva sul rogo Gherardo Segarel-
li, eretico. La sua è una delle tante tristi vicende che
caratterizzano la storia della chiesa e del cattolicesimo
romano; a partire dal 1189, con la bolla papale Ver-
gentis in senium, Innocenzo III stabiliva
l’equiparazione tra eresia e crimine di lesa maestà, in
modo che l’eretico potesse essere punito o con la con-
fisca dei beni o, soprattutto, con la condanna a morte
sul rogo. La chiesa cattolica cominciò infatti a temere
il formarsi di una serie di confraternite, ordini, grup-
pi di preghiera formati perlopiù da laici forte-
mente ostili alle gerarchie ecclesiastiche; il
fine ultimo di questi individui era seguire
gli insegnamenti evangelici senza
l’intermediazione di un clero ormai cor-
rotto. La monarchia papale però non po-
teva accettare il dissenso: uno era Dio,
una la chiesa, una l’ortodossia. Ebbe ini-
zio la caccia agli eretici. Questi ultimi fu-
rono costretti a fuggire e nascondersi, furo-
no espulsi dalle città, costretti a veder indette
contro se stessi delle vere e proprie crociate. Nes-
sun emarginato è più indifeso dell’eretico: ha il mar-
chio infamante del rinnegato da Dio. Gherardo, fon-
datore dell’ordine degli “apostolici”, il cui scopo era
quello di vivere in povertà seguendo alla lettera gli in-
segnamenti evangelici, aveva pagato con la vita la
mancata obbedienza alle decisioni conciliari e ai pro-
nunciamenti papali, volti ad imporre la soppressione
dell’ordine; il suo posto fu preso da Dolcino da Nova-
ra. Quest’ultimo impresse una svolta nella storia del
movimento, dando un’interpretazione apocalittica
degli ultimi eventi accaduti; con Gherardo era iniziata
la quarta età della salvezza, durante la quale lo Spirito
Santo sarebbe sceso nuovamente sugli apostoli, la
chiesa sarebbe stata rigenerata, mentre tutti coloro
che facevano parte o avevano sostenuto la vecchia
chiesa corrotta sarebbero stati puniti e sterminati.
L’evento finale profetizzato da Dolcino era la sconfitta
di papa Bonifacio VIII per mano del re di Trinacria Fe-
derico III; gli apostolici dovevano dunque solo atten-
dere. Già in una lettera del 1300 Dolcino giustificava la
clandestinità, il nascondersi dei suoi seguaci con la ne-
cessità di difendersi dagli attacchi della chiesa corrot-
ta; distrutta quest’ultima, la predicazione sarebbe po-
tuta ricominciare. Il luogo scelto per l’attesa del com-
piersi della profezia furono le montagne della Valse-
sia, nel Piemonte settentrionale; Il numero di seguaci
aumentava, era stata organizzata una sorta di “comu-
ne” ante litteram, gli abitanti del posto solidarizzava-
no con gli eretici, ma, al tempo stesso, la repressio-
ne nei loro confronti si stava trasformando in
guerra aperta: fu radunato un esercito con-
tro i dolciniani, i quali dovettero conti-
nuamente spostarsi per evitare lo ster-
minio, cominciando anche a compiere
scorrerie nei paesi circostanti per cerca-
re del cibo. Il tempo passava e le profe-
zie di Dolcino non si avveravano: fu presa
la decisione di cominciare a combattere.
Quel gruppo di più di mille persone ormai
ai margini della società e del mondo, braccato
da inquisitori e soldati, prese le armi sotto la guida
di Dolcino, ormai divenuto capo militare. L’ultimo an-
no di lotta fu caratterizzato da imboscate e scorrerie,
con la popolazione locale ormai ostile a causa dei con-
tinui saccheggi; i dolciniani vennero stretti d’assedio
sul monte Rubello, impossibilitati a resistere al freddo
delle montagne e costretti dalla fame a mangiare i
corpi dei caduti. Nella settimana di pasqua del 1307 fu
sferrato l’attacco definitivo; i combattimenti furono
cruenti, i dolciniani si difesero fino all’ultimo, ma alla
fine capitolarono; molti eretici vennero trucidati sul
posto. Margherita, la donna più cara a Dolcino e se-
condo alcune fonti sua compagna di vita, e Longino, il
collaboratore più fidato, furono processati e bruciati
sul rogo. Dolcino fu condotto a Vercelli, fatto sfilare
per le vie della città su di un carro mentre con delle
tenaglie arroventate gli venivano strappati brandelli di
carne; l’eretico guerriero non emise un fiato,né quan-
do gli strapparono il naso né quando lo evirarono.
Dolcino morì arso vivo sul rogo nell’estate del 1307.
AspasiaAspasiaAspasiaAspasia N.1N.1N.1N.1 OttobreOttobreOttobreOttobre 2011201120112011
“Per essere Per essere Per essere Per essere
insostituibili bisogna insostituibili bisogna insostituibili bisogna insostituibili bisogna
essere diversiessere diversiessere diversiessere diversi”
Coco ChanelCoco ChanelCoco ChanelCoco Chanel
Il rifiuto di CocoIl rifiuto di CocoIl rifiuto di CocoIl rifiuto di Coco
Di Sofia Cimino
“Per essere insostituibili bisogna essere diversi”
diceva Gabrielle Bonheur Chanel, meglio
conosciuta come Coco Chanel, nata a Saumur il
19 agosto del 1883. Pronunciata con forza
proprio da quella stilista francese che rivoluzionò
il modello femminile del ‘900, completamente
estranea alle dinamiche che furono della Moda.
La Moda stessa troppo spesso considerata
sinonimo di standardizzazione e omologazione a
preconcetti sociali e stereotipi estetici
dei quali si discutono perfino il
fondamento e l’origine. Fu proprio la
diversità e la ventata di avanguardia
di Coco a farle guadagnare la
storia, a far sì che oggi sia un
modello. Gabrielle, infatti,
sperimentò una nuova figura
della donna. Si toccava con
mano il principio che l’aveva da
sempre ispirata: quello di
indipendenza ed emancipazione.
Tutto doveva lasciare il posto alla
praticità, alla donna pragmatica, libera
anche nei movimenti. Ed ecco che
nascono i rivoluzionari tailleur, con gonna a
tubino o pantaloni (appartenuti fino a quel
momento all’abbigliamento maschile), il taglio
corto di capelli, gli accessori che diventano
gioielli, il tutto per creare un’aura di comodità ed
eleganza insieme. Ma la stessa rivoluzione che
sconvolse i canoni estetici e le scelte più ardite ed
innovative, altrettanto rese gli esordi di Gabrielle
incerti e traballanti in confronto alle sue immense
potenzialità. La sua non era di certo una Moda
facile da imporre poiché scardinava i principi
della creatività fino ad allora conosciuti. La
praticità tradotta in estetica, la libertà svincolata
da tradizioni e costumi secolari per la nuova
donna, la donna di Coco. Chanel tracciava così un
sentiero mai battuto prima, una nuova
concezione dell’arte e della bellezza. L’inizio fu
traballante, difficile e soprattutto incerto, come è
incerto ogni passo per chi crea. La sua Moda
s’impose grazie a quell’innato spirito creativo, alla
voglia di cambiare quell’emarginazione forzata
cui la sua forte personalità, portatrice di idee
nuove e intramontabili, era costretta.
Quell’energia che ha saputo abbattere i pregiudizi
senza farsi travolgere e inghiottire. Ciò che
dobbiamo ancora ricordare, a
prescindere dall’affermarsi del suo
stile in tutto il mondo, è Gabrielle.
Lei, la donna. Anticonformista,
pragmatica e votata alla pura e
semplice essenzialità dello stile,
pagò il prezzo di essere
diversa, di voler inserire in un
mondo tanto dinamico quanto
selettivo come quello della
Moda un’impronta insolita. Coco,
consapevole che le sue innovazioni
non riguardassero solo la Moda, ma
che contenessero un vero e proprio
messaggio sociale (si parlava della
libertà della donna, di svincolarla dalla sofferta
etichetta di “sesso debole” attribuitale, di
partecipare alla lotta di emancipazione
femminile, di riscattare tale figura da secoli di
emarginazione sociale!); non si lasciò abbattere e
combatté finché il suo marchio non divenne
mondiale, finché le donne cominciarono a sentirsi
tali anche senza una gonna, magari indossando
quanto di più distante da esse si potesse pensare
per l’epoca: un paio di pantaloni. La lotta di una
grande donna per grandi donne, capaci di
valorizzare il loro ruolo nella società, di estirpare
l’opinione comune che le confina e le riduce ad
immagini obsolete ed ingiuste. Il messaggio di
una Moda solidale e sempre al passo con i tempi.
La Moda di Chanel.
AspasiaAspasiaAspasiaAspasia N.1N.1N.1N.1 OttobreOttobreOttobreOttobre 2011201120112011
“Mezzo secolo di Mezzo secolo di Mezzo secolo di Mezzo secolo di
miseria col miseria col miseria col miseria col
sorrisosorrisosorrisosorriso… e un e un e un e un
bidone!bidone!bidone!bidone!”
“Charlot è nascosto in un bidone!”“Charlot è nascosto in un bidone!”“Charlot è nascosto in un bidone!”“Charlot è nascosto in un bidone!”
di Diego Denora
Baffetti: taglio a spazzola dei denti rasati ai lati di
qualche centimetro. Alla moda nei primi del
Novecento. Non era imitazione, per quella
bisognerà aspettare Il Grande Dittatore del ’40;
ora siamo nel ’15, è vanità. Trucco: necessario alla
pellicola. La Keystone, in California, applaudirà
quel “buffo ubriacone” vestito d’impaccio per
trentacinque cortometraggi: pantaloni larghi e
scarpe due misure più lunghe. La giacca, invece, è
da uomo. Si chiama Charles e nasce nella
Londra suburbana di Walworth poco
più che vent’anni prima. Charlie per
gli Stati Uniti, Charlot per l’Europa
latina. Ma è Tramp (cioè
Vagabondo) che ricordiamo:
armato di bastone di bambù,
ottimo strumento per parapiglia
comici. Utile per afferrare caviglie
e far ruzzolare i personaggi
fastidiosi o cappelli come il suo:
una bombetta nera impolverata e
sempre scomposta. L’abbigliamento lo
conosciamo. Fu in quei corti senza sonoro
che la macchina attoriale prese il via: la mimica
corporea e facciale era pura maestria, sembrava
avesse il controllo di tutto il viso. In poche
settimane passò da comico a capocomico ma il
genio esplose dopo la Grande Guerra: da Monello
(1920) al capolavoro di Tempi Moderni (1936)
Tramp\Charlot visse le vite nascoste degli
emarginati, dei poveri, degli operai alienati del
taylorismo. La grandezza fu la costruzione di un
personaggio così polivalente da narrare mezzo
secolo di miserie e disperazione col sorriso… e un
bidone. Già. Il bidone c’è sempre, dove può lo
inserisce, è il suo rifugio. Tramp può nascondersi,
dormire, trovare oggetti utili o gettarne di inutili,
come i fiori per la fioraia cieca (nel film Virginia
Cherrill). Riacquisita la vista, riconquistata la
percezione del reale, non può che rifiutare l’umile
e sconfortato Charlot di Luci della Città (1931),
ricacciandolo nella mancanza di tutto, anche
dell’amore. L’emarginazione di Tramp passerà
dalla cinepresa alla vita reale di Chaplin nel 1952,
in piena caccia alle streghe. Joseph McCharty,
senatore avventuriero della politica repubblicana,
trasfigurerà Chaplin nell’idolo della “red score”,
spia del socialismo, attentatore del sogno
americano. Spalleggiato da E. Hoover, allora capo
del Federal Bureau Investigation, riuscirà
ad occultare il visto di ritorno di Chaplin
incriminandolo di attività anti-
americana. La carriera di Tramp in
Usa terminò proprio lì. Due anni
dopo, una mozione del Senato
propose la censura del
maccartismo, ormai dilagato e via
via più isterico, per le troppe
accusatorie senza prove, per la
troppa tensione generata. La
domanda è cosa c’entra Charlot con
il terrore rosso? L’uomo niente, non si
pronunciò mai nella politica. Tramp e il
suo vagabondare, invece, evocava quel mondo
schiacciato e oscurato dal sogno americano: il
sobborgo, la miseria e il riso ironico di chi non
conosce un’ora senza fame, di chi non conosce un
letto comodo ma claudica qua e là cercando
qualcosa che sia respiro per la speranza. Tramp è
improduttivo e spesso racconta una solidarietà
tra gli indigenti che il governo Eisenhower non
può permettere. Odora di fantasma, quel
fantasma invisibile che vagava per l’Europa ai
tempi delle lunghe barbe, lo stesso che scelse
Mosca, lo stesso che minaccia da Pechino. Ringhia
con un bastone di bambù, pantaloni larghi e
scarpe da pagliaccio. E quei baffetti a spazzola dei
denti? Pericolosi anche quelli, sono
contraddittori.
AspasiaAspasiaAspasiaAspasia N.1N.1N.1N.1 OttobreOttobreOttobreOttobre 2011201120112011
“è un peè un peè un peè un pennnnsiero dai siero dai siero dai siero dai
prprprpreeeesusususuppppppppoooosti 'altri', è sti 'altri', è sti 'altri', è sti 'altri', è
una riuna riuna riuna rinnnnuuuunnnncia a cia a cia a cia a
comprecomprecomprecomprennnndere con dere con dere con dere con
semplsemplsemplsempliiiicità il mondo cità il mondo cità il mondo cità il mondo
con il cocon il cocon il cocon il connnnseguente seguente seguente seguente
aaaannnnnulnulnulnulllllaaaamento delle mento delle mento delle mento delle
appappappappaaaarerererennnnze esteriorize esteriorize esteriorize esteriori”
Schizofrenia e pSchizofrenia e pSchizofrenia e pSchizofrenia e psicosi: Extrasicosi: Extrasicosi: Extrasicosi: Extra----Ordinaria ArteOrdinaria ArteOrdinaria ArteOrdinaria Arte
Di Martina Angeletti
Prendete un bisogno. Disegnatelo. Ricopiatelo.
Fatene un simbolo. Ecco, ora fatelo vedere ad un
vostro amico e chiedetegli cosa ne pensi. Sarà
riuscito a comprendere il vostro bisogno d'E-
spressione? Oppure sarà rimasto un mistero inso-
luto? Siete pittori, siete artisti, oppure volete solo
sfuggire alla Normalità? A quella Normalità dise-
gnata da sbarre, che intrappola, che schiaccia,
che succhia e che pretende sempre un prezzo
troppo alto da pagare per rientrare nei suoi ca-
noni. E allora interviene l'Artista. L'Artista, il
genio per eccellenza è sempre stato con-
siderato colui che era in grado di
rompere con gli schemi, con l'or-
dine imposto dalla tradizione,
dalla società, dai costumi
vigenti in quel determi-
nato periodo umano e
storico. Dare un proprio or-
dine al Mondo e guardarlo “so-
lo” attraverso il filtro dei propri oc-
chi, scevri da qualunque condiziona-
mento. Chi è quindi l'Artista? Colui che
nella solitudine della sua ombra, sceglie e
tenta di guardare il mondo da un'angolazione di-
versa, decidendo di autoescludersi. Dov'è l'Arti-
sta? Potete trovarlo ai bordi di quella Strada, traf-
ficata di anime che inseguono una salvezza illuso-
ria; potete trovarlo dipinto di rughe che nascon-
dono un cuore ed uno spirito giovane; potete
trovarlo al di là del bene e del male; potete tro-
varlo anche fuori tempo massimo. Ma lo trovere-
te sempre, seguendo la traccia lasciata da ciò da
cui si allontana. Lo troverete alla “fine...” perchè
c'è un Fine. Dicevamo della Normalità. E dell'Arti-
sta. E la follia dove si inserisce? Ma anzi no, non
parleremo di quella Follia così ampiamente infla-
zionata di questi tempi. Schizofrenia e psicosi. E
di un confronto ed incontro tra l'Arte (come vo-
gliamo dire..canonica?) degli Artisti e le produ-
zioni di opere plastiche da parte di malati schizo-
frenici. Risultati di uno studio condotto a cavallo
tra il 1800 e il 1900 sull'analisi di opere prodotte
in cliniche psichiatriche da persone/artisti più o
meno esperti. Poniamo subito una distinzione : lo
schizofrenico non ha più contatti con l'umanità e
non è sostanzialmente incline né capace di rista-
bilirli. Se potesse farlo, sarebbe guarito; nelle o-
pere percepiamo il riflesso di un isolamento auti-
stico e di un solipsismo atroce che va ben oltre i
tratti patologici dell'alienazione. Differen-
temente, il più solitario tra gli indivi-
dui/artisti (sani?!) vive sulla base del
suo sentimento del mondo, a con-
tatto con l'umanità anche se
solo tramite il desiderio e la
nostalgia. Altra distinzio-
ne: gli autori di questo
materiale si distinguono
maggiormente per il fatto di
produrre più o meno autonoma-
mente e che né la tradizione né l'edu-
cazione nutrono le loro forze. Come dire è
un pensiero dai presupposti 'altri', è una ri-
nuncia a comprendere con semplicità il mondo
con il conseguente annullamento delle apparenze
esteriori alla quali invece l'arte occidentale è in-
trinsecamente legata. Arte e vita, bisogno d'e-
spressione e raccontare qualcosa. Nello schizo-
frenico la vita nient'altro è che destino: non è lui
a scegliere di estraniarsi dal mondo esteriore e
codificato, l'ha avuto in sorte e combatterà prima
che, vinto, si rassegnerà a questo mondo colorato
dal delirio. Nell'Artista questo allontanamento
resta comunque malgrado tutto, un atto conosci-
tivo e fortemente decisionale. Da una parte sce-
gliere come voler guardare il mondo, dall'altra
non avere altri occhi che questi.
AspasiaAspasiaAspasiaAspasia N.1N.1N.1N.1 OttobreOttobreOttobreOttobre 2011201120112011
“ IIIInfante è l'uomo nfante è l'uomo nfante è l'uomo nfante è l'uomo
ddddiiiinanananannnnzi al Nzi al Nzi al Nzi al Nuuuume, me, me, me,
come il fanciullo come il fanciullo come il fanciullo come il fanciullo
ddddiiiinanzi all'unanzi all'unanzi all'unanzi all'uoooomomomomo”
Demone all'uomo l'indoleDemone all'uomo l'indoleDemone all'uomo l'indoleDemone all'uomo l'indole
Di Rolando Innocenti
E' noto il modo in cui la moltitudine mortifichi
l'autenticità individuale e vanifichi la ricerca di sé
offrendo valori prefabbricati; qualcuno però,
nauseato, cerca di scendere da una giostra che
follemente impazza attorno al proprio asse. Nel
riappropriarsi di sé fu straordinario Eraclito di E-
feso. Diogene Laerzio ci tramanda, nelle "Vite Dei
Filosofi", che dopo essersi scagliato contro i suoi
concittadini per aver esiliato il valoroso Ermodo-
ro, suo amico, si ritirò nel tempio di Artemide,
dove trascorse il tempo giocando agli a-
stragali con dei bambini; curioso ed
affascinante che ne abbia tratto la
massima cosmologica: "l'eternità è
un fanciullo che gioca muovendo i
pezzi sulla scacchiera, di un fan-
ciullo è il regno". Ma nemmeno
l'innocenza dei fanciulli placò le sue
inquietudini: "la Natura ama nascon-
dersi", scrisse ed egli la cercò nel silenzio
solenne, inaccessibile delle montagne, nutrendosi
d'erba e piante selvatiche. Un'emarginazione
dionisiaca, eroica, tragica! Una solitudine tanto
estrema partorì divinazioni altrettanto folgoranti,
eccessive, disumane. Egli vide la natura ciclica del
cosmo, la "splendida armonia" degli opposti, la
folgore che tutto domina, Dike che sorprenderà
artefici e testimoni di menzogne. Indagò se stesso
e colse l'identità universale, poiché "conoscenza
dell'immediato è unione per tutte le cose". Per
quanto il percorso di Eraclito sia sovrumano, non
mancano nella storia della filosofia personaggi
dall'esperienza mistica affine, se non sorprenden-
temente parallela a quella dell'Efesio. Ma un e-
lemento preso in esame dal brillante Giorgio Colli
determina la singolarità dell'esperienza di
quest'ultimo, ovvero la politicità greca. Eraclito
infatti è certamente un mistico, ma greco. E no-
nostante il distacco prepotente dalla società, la
natura di cittadino è qualcosa di connaturato in
un uomo di cultura greca e l'intento politico sot-
tintende ogni forma di estrinsecazione all'interno
della comunità. Non saranno gli altri "politai", ma
l'indole del “polites” insito nell' Efesio a farlo tor-
nare tra gli uomini, sebbene scostante ed altero,
tanto che la sua condotta gli valse il soprannome
di Oscuro. Ed altrettanto oscuri e frammentari fu-
rono i suoi testi, che testimoniano, nondimeno,
una natura inevitabilmente politica. Eraclito deci-
se di consegnare alla comunità le rivelazioni pro-
vocate da un'ascesi misantropica, indiriz-
zando però i suoi vaticini ad una cer-
chia intellettualmente e cultural-
mente elitaria: gli "svegli", con-
trapposti ai "dormienti" che "pre-
stano fede agli aedi delle moltitu-
dini e prendono a maestro il vol-
go". Se dunque il mistico vive un'in-
dividualità (auto)esclusa dalla società,
tanto più tremenda risulta l'emarginazio-
ne delle masse, estraniate dalla realtà, causata da
una fede sterile e venefica nell'apparenza ed au-
toalimentata dai vizi e dalla vanità. Infatti, "per i
risvegliati c'è un cosmo unico e comune, ma cia-
scuno dei dormienti si involge in un mondo pro-
prio". Sarà sempre Colli a sostenere che dall'in-
contro tra l'elemento dionisiaco, dunque misteri-
co, e l'originale e preponderante politicità del mi-
crocosmo ellenico nasce la filosofia occidentale,
come espressione politica della propria interiorità
indagata tramite l'ascesi mistica. E' affascinante il
magnetismo esercitato dalla società sull'individuo
che seppur ne aggredisca i fondamenti non riesce
mai ad acquisirne una totale, definitiva indipen-
denza. Pur non considerando il valore imperante
della socialità nella Grecia delle poleis, è possibile
un concetto di individuo che, radicalmente e de-
finitivamente isolato da ogni forma di partecipa-
zione sociale, trascenda i confini dell' “animale
politico”?
AspasiaAspasiaAspasiaAspasia N.1N.1N.1N.1 OttobreOttobreOttobreOttobre 2011201120112011
“Morire non è Morire non è Morire non è Morire non è
nuovo sotto il nuovo sotto il nuovo sotto il nuovo sotto il
sole,sole,sole,sole, ma più ma più ma più ma più
nuovo non è nuovo non è nuovo non è nuovo non è
nemmeno nemmeno nemmeno nemmeno
viverevivereviverevivere”
“Poeta, “Poeta, “Poeta, “Poeta, in muta solitudine vivi, sogna e muoriin muta solitudine vivi, sogna e muoriin muta solitudine vivi, sogna e muoriin muta solitudine vivi, sogna e muori””””
Di Julia Lattanzi
“Son l'ultimo poeta contadino, rozzo è il ponte di
legno dei miei canti. Già mi dicono il viatico divino
le betulle, turiboli oscillanti”. Questa è
l'autodescrizione di Sergej Aleksandrovich Esenin,
il cosiddetto poeta contadino. Nato in un villaggio
nella provincia di Rjazan da una famiglia di poveri
agricoltori. S. Esenin ispirato da Puskin, iniziò a
comporre versi all'età di 14 anni. Veniva da una
realtà campagnola all'insegna della morale
cristiana e semplicità “popolare”. Il nostro
poeta, però, sentì il richiamo della città
e, proprio come suo padre, partì
inizialmente per Mosca e poi per S.
Pietroburgo. Questa città era il
centro dell'arte, il cervello della
Russia ed il cuore della Rivoluzione.
Ed è proprio in quel ribollire di
passioni che il poeta contadino,
sfoggiò il suo genio. Esenin girava con
la tunica e gli stivali da popolano, per
celebrare l'immagine dell'uomo semplice e
cristiano. Il poeta contadino aveva tutte le
intenzioni di riportare il popolo russo alle origini.
L'unica religione possibile, quindi, era nelle
leggende dei nostri avi. Esiste solo una realtà, ed
è quella che si basa sull'osservazione empirica
della vita. Nessuna struttura artificiale poteva
superare le immagini naturali del vivere umano.
Proprio per questo, Esenin, fondò l'Immaginismo,
un movimento artistico che ha come concezione:
“rievocare la vita mediante le immagini”.
Purtroppo l'esperimento non ebbe fortuna, il
successo di Esenin crebbe, ma egli non aveva
l'intenzione di condividerlo. L'immagine del
contadino-poeta si tramutò, così, ben presto
nell'immagine dell'intellettuale dandy “ora invece
in scarpe verniciate e col cilindro in testa egli
cammina...”. Il richiamo verso la terra natia non si
elimina, cambiandosi d'abito. Esenin farà ritorno
a Rjazan spesse volte per sfuggire dalla vita
mondana. Così da una parte le orge e gli scandali,
dall'altra seduto sulle ali della poesia, una
dicotomia pericolosa. Era un disilluso ma un
disilluso con il cuore che vola. Anche se
inizialmente Esenin accolse l'idea del
cambiamento comunista, ovvero di poter
migliorare la vita dei contadini. Dovette ben
presto scontrarsi con l'applicazione dell'ideologia
alla vita reale. Le illusioni di un poeta di
campagna di poter cambiare il “mondo”,
sono sopraffate da una società che non
coglie più il frutto dei suoi scritti.
L'ultimo Esenin è un poeta sconfitto,
un uomo solo e perso nelle
inibizioni della sua debolezza. Ne è
un chiaro esempio una delle sue
ultime poesie “L'uomo nero”:“Amico
mio, amico mio,/ Sono molto molto
malato./ Io stesso non so da dove mi
venga questo male./ Se sia il vento che
sibila/ Sul campo vuoto e deserto,/ forse,
come a settembre al boschetto,/ È l’alcool che
sgretola il cervello.” La poesia colpisce per il
parallelo delle immagini forti, che rispecchiano il
malessere del poeta, con le raffigurazioni della
natura, quasi a fondersi con essa. “L’uomo nero/
Scorre il dito su un libro schifoso/ E, con canto
nasale sopra di me,/ Come un monaco su un
morto,/ Mi legge la vita/ Di un certo mascalzone e
furfante,/ Cacciando nell’anima angoscia e
paura./ L’uomo nero/ Nero, nero...”. Il poeta si
racconta in terza persona al passato, suona quasi
come un racconto del terrore, come un macabro
testamento. Ogni uomo ha un demone dentro:
quello di Esenin era la parte dell'uomo disilluso
ed incompreso che si è preso tutto, anche la sua
vita.
AspasiaAspasiaAspasiaAspasia N.1N.1N.1N.1 OttobreOttobreOttobreOttobre 2011201120112011
“ Il difficile non è Il difficile non è Il difficile non è Il difficile non è
raggiungere raggiungere raggiungere raggiungere
qualcosa; è liberarsi qualcosa; è liberarsi qualcosa; è liberarsi qualcosa; è liberarsi
dalla condizione in dalla condizione in dalla condizione in dalla condizione in
cui sicui sicui sicui si èèèè”
Marguerite DurasMarguerite DurasMarguerite DurasMarguerite Duras
“Le nostre fragilità, la nostra prigione”“Le nostre fragilità, la nostra prigione”“Le nostre fragilità, la nostra prigione”“Le nostre fragilità, la nostra prigione”
Di Mattia Galati
Ho imparato che a volte l’emarginazione è
un’esperienza che si ricerca. Tutti noi ci siamo
sentiti prima o poi e per i più svariati motivi,
emarginati, incompresi, soli. Non era per
vittimismo pretestuoso o per velleità eremitica;
ma per una sorta di malattia. Davanti ad essa c’è
chi sa trovare rapidamente un medicinale e chi
invece si sente irrimediabilmente contagiato.
Questi ultimi, rassegnati al loro destino di
emarginati, si preparano, quasi come i
vecchi elefanti, ad andare a soffrire le
loro pene lontano dal branco.
L’emarginazione spinge ad agire in
virtù di stimoli altri rispetto al
nostro essere; spinge a vivere
con passività rassegnata. Senti
quasi di essere ancora vivo solo
per colpa della tua attività
biologica, che ti sorregge come
un’inerzia. Senti dentro di non avere
le forze per comprendere come stare
al mondo e cercare la tua felicità, di
non esserne mai stato capace.
Emarginato, in una terra immune e indifferente al
tuo malessere, ti rintani in un cantuccio, l’unico
dove hai potuto raccogliere un piccolo mondo di
calore umano e decidi di farne la tua tana. Ma
intanto, senza cure a contrastarla, la tua malattia
si acuisce, ti pervade, penetra nel tuo equilibrio
psico-fisico e altera così la tua stessa sostanza
umana. Finisci per sentirti sempre più diverso e
inferiore rispetto agli altri; l’emarginazione finisce
per convincerti di non meritare altro che la tua
condizione reietta, anche perché il tuo mutato
equilibrio non può mantenersi che nel piccolo
mondo dove ti sei recluso. Altrove, nel mondo
reale, ti renderebbe inadatto alla vita, finendo
per farti perdere la poca felicità che pur puoi
trovare ancora nella tua tana. Tuttavia sai che
rompere quell’equilibrio significherebbe iniziare a
rifuggire la malattia, a combatterla. Per riuscirci il
segreto è confidare in sé, nelle proprie forze; ma
la condizione di inferiorità in cui sei nega con ogni
forza che tu possa mai avere questo coraggio;
d’altronde attraversare una fase incerta, un lungo
tragitto di scombinamento emotivo che solo a
fatica troverà un rinnovato e saldo equilibrio,
richiede uno sforzo davvero ardito (“Il difficile
non è raggiungere qualcosa; è liberarsi dalla
condizione in cui si è” disse una volta
Marguerite Duras). La volontà di
guarire può insomma non può
bastare. È facile infatti
ripiombare al punto di partenza
per disperazione o per inedia,
per l’arrendevole comodità
di dire: “Ma chi me lo fa
fare?” o anche “Non ho
speranza di farcela, meglio
sigillarmi in questo angolo sicuro
che mi sono creato”. Il mondo che
ci si è ritagliati infatti è pervaso di
una quotidianità rassicurante, ma
anche perversamente anonima e senza spiragli;
essa si ripete in ritmi costanti, senza volontà di
mutamento e senza sbalzi, nell’impassibilità di un
vivere monotono che diventa pian piano
abitudine e normalità. Nella vita la normalità non
è un ordine perpetrato e infrangibile. Il vero
senso della vita è sentirsi partecipi di un tutto,
che, benché conchiuso in un ordine naturale,
resta sempre pieno e fluido, continuo e
incostante nel suo sorprendente realizzarsi.
Negare questa incostanza, non farsene avvolgere
con spontaneità, è stato il mio grande errore.
Non partecipare al flusso naturale della vita
significa avvizzirsi nella malattia,
nell’emarginazione. A volte, per i più ammalati,
persino morire.
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