Artigo

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Tale movo for nnu eleaá ha radiá πuts anche: prima che nella lani sana, essa e à ampiamen ats in quella dassi, sia in opere in versi, sia all' ino di s in prosa 107• ln le ambi culturale, pero, l' ubi sunt si nfigura come un ido di rimpian verso quel che l'azione m sappa e disue, in un ragionare che si esplica ataverso elenchi, spesso anche rposi, di uomini valorosi e anche át la cui gloria e ormai perdu per sempre. Esaneo mune pensare delle oפre della lani dassi e, inve, quel moto di soffer riflessione sulla vani e sulla morte che cosi spicuo peso ripre nella sussiva letteratura sana dei rdo-an e del primo medioevo, nella quale l' ubi sunt diviene il veilo privilegiam per l'estemarone di quel disprezzo פr le se dei mondo si caro all'escatologia di ma isana. La disione e il progressivo vasto sucsso di ques ma in le ambi nos nelle oפre di Efrem Siro101, prima, e di Isidoro di Siviglia109, i, due p פfondamenli: il grande influsso di li פrsonai sulla isani altomedievale, e in modo lare sulla cresnte real monasca, ha infat da modo all' ubi sunt di divenire uno dei nudei armenvi di maior פso all'intemo della letteratura isana di genere rene ed escatologi. ln le ns, il susso di questo richiamo alia riflessione sulla duá delle umane glorie e delle vani terrene deve avere t lin vile anche in alcuni verset delle Sitture, sia vero sia neosmenri, che in maniera inequivocabile invino l'uomo a rre attenzione all'insignificanza delle se rrene: "Ubi sunt príncs gtium, ? qui dominantur sup q st sup terra Qui avibus cli ludunt, qui gtum ant, ? aum, in quo confidunt min, ? non t finis acquisitionis rum; qui argtumicant, ? solliciti sunt, est i nventio oum illorum?' (Bar. 16-1 "Homo, natus de mulie, vivs temre, rl?ur mul misiis. Qui quasi fios ritur ? conterit, ? git ua, ? nunquam in d statu . [ . . ] Homo ve cum uus it, et nudatus, @que consu, ubi, qo, t? Quomodo nt aq de ? uvius vacuctus arescat; homo, cum dormit, non rurg?, don @tatur um, non evigilabit, consurg? de soo suo" (job. 1-2 e 10-1 "Scriptum t im: 'Pdam sam sapitium, ? prud prudtium babo. sapis? s conquisiror hrgus Nonne stultam Deus sapitiam hujus mundi!' (I Cor. 19-2110 dei nonima di Isidoro di Siviglia corru ms. Cton Tiberius A.iii, le omelie Blickling Blickling Blickling Assmann lrvine I e rcrll i Soli due testi in versi, i poemetti mkrer e arer, ci inflne smorúano una rilenura i n chiave poerica della tematica delTa canza lle ce terrene. Come avremo oasione di valutare nel corso dell'analisi dei passo vercellese, alia base di gran parte delle formulaziorú anglosassoni dell' ubi sunt vi e commisone di varie rradizioni di asndenza latina, riassumibili (seppure in maniera for troppo rígida) nei quato filorú remarici rappresentati da alettanti testi della cristiarú latina: i nonima di Isidoro di Siviglia, lo pseudo-agosrúano rmo ad atres in eremo :, ii Sermo elemosinis di Cesario di Arles e, infine, lonitio ad ſtlium spiritualem dello eudo-Basilio. Una schiacan maggioraa dei tredi testi anglosassorú ha fra le sue fonti, in maniera piu o meno esclusiva, !'opera dei Vesvo di Siviglia: ole all'omelista di Vercelli X e ovviame al adutre dell'escerro dei nonima, da tale testo latino prendono iirazione anche gli auri dell' e/ ia di Maca rio, dei rmo Augustini (testo edi in Fadda 1977, pp. 144-157), della glossa al Liber ntillarum (pubblicara in Rochais 1957, pp. 228-230) e !'anonimo poe dei Seafam (edito in Muir 1994, I, pp. 232-236). Due delle rimanei omelie, Blicklin,t X (edi in Morris 1967, pp. 1&-115) e lrvine I (pubblicata in Irvine 1993, pp. 197-20, aff ondano !e !oro radiei nel sermone sull'elemosina di Cesario di Arles; le omelie Blickling e Assmann (edi te rispetvamente in Morris 1967, pp. 97-105 e in Assmann 1889, pp. 163-169), di ro, sembrano derivare da que! Sermo 58 per lungo tempo erroneamee a ttribuito ad Agosno di Ippona. La sola omelia Blickling V (edita in Morris 1967, pp. 54-65) appare rifarsi ai menuri di un secondo sto dalla coroversa attribuzione, l'Aonitio ad ſtlium iritualem. Non e sraro a oggi possibile, inflne, individuare alcuna fonte rta per le rimanei due aneszioni anglosassoni dell�!bi sunt, quelle enute nel nderer (edito in Muir 1994, I, pp. 218- 62) e in una seconda ome lia dei codice verllese, Vercei ( omelia edita in Scragg 1992, pp. 9o-104). r maggiori informaziorú bibliografiche in meriro a ciascuno dei res qui elenca veda la ricca bibliografia forrúta in Di Sciacca 20#, pp. 23o-234 e note 22-34. r una analisi dei conuti della breve versione dell'ubi sunt enura all'imerno della quarta omelia vercellese si veda supra, cap. , p. 125-126. 107 r quao concerne gli autori di testi in prosa latina che fanno u di tale movo, Liborio richiama l'attenzione nello specifi tre grandi personaggi quali Cirone, Seneca e, in ultimo, Marco Aurelio. r qua concerne il grande retore e avvocato, formulaziorú ricondubili all'ubi sunt sono rilevabili nell'tava Filippica (M. Antonium Oratium iliica, 8, e nell'orazione in difesa di Planeio (Oratio p Cn. ancio, II, , oltre che nella famosa epísla nsolatoria indi�ata a Cicerone e vergara da Servio Sulpicio in occasione della mor di Tullia (Eptul ad familiares, , 5, 2: quesr'ultima, seppure non presei la reiterazione anaforica delle proposiziorú ierrogave introdotte da ubi sunubi , desta un ragionevole inresse in quanto rappresenta la prima atszione di quella varian de! motivo che, ai nomi dei grandi uomirú dei passato, sosriruisce quelli delle gloriose ci. Meno ricche sono !e tesmorúanze di quesra remarica all'iemo delle opere di Sene: esse limitano a soli due passi, rispetvame delle Lettere a Lucílio (Epistuf ad Lucilium, C e della Consatio ad Helviam matrem (X . Un disrso a parte merirano, inve, i Ricor di Mar Aurelio, nei quali i i motivo dell'ubi sunt sembra occupare una posizione di rilievo all'ierno peneri redat dall'imperatore-filosofo ( !; :; , 25; I, 2: un ruolo fondamele in questo caso deve avere eserci la profonda conosnza della cultura greca da parte di Marco Aurelio, una formazione di impiao sroi che deve avere certamente influenzaro in modo spicuo la sua visione spesso cupa della mor e delle vanità umane. E opinione mune, perõ, che tale opera filosofica abbia avu un impatto presché nullo sulla genesi della formulazione cristiana dell'ubi sunt. Fra i poe della latiniti pagana, invece, tale temaca ha trova coicua esplicazione nelle opere di personaggi quali Tibullo, Ovidio e Szio. Mere per quanto corne il primo e a noi giunta una singela attesrazione dei motivo in oggeno (in Carmina, II, 3, 2, nei resn due essa trova uno spazio cermente piu ampio: in Ovidio passi ricondubili all'ubi sunt sono attesta in numerosi passi delle Metam (Metames, , 592- 593; 4c-; 4 , 92 e 340-34 e in un gruppo di ver degli Amor 9, 38, nei quali, perõ, non compare il classi schema argomentivo basato sulla reirerazione delle espressioni ubi estlubi sunt; nel coo delle opere di Szio, degni di aenzione no l'Ecla I dei Libro II dell e SiiE (in modo parricolare i vv. 41-55, seppure l'iero mponimento desti nell'insieme un rto iresse) e due passi della Tebaide ( 613-616 e 311-31. Liborio richiama, in ultimo, l'anenzione su ulteriori due aurori classici, uno di ambito latino e l'altro di cultura greca: Orazio e Plurarco. hi dei movo qui discusso sono riscomrabili, infatti, sia nel compianto per la mor di Archita (Carmina, I, , dove perõ non mpare in marúera esplici la formula retorica dell'ubi sunt, sia, per quanto ne Plur, in Consolatio ad Apollonium 110 D. Cfr. Liborio 1960, pp. 143-148. r un quadro imrodurvo completo ed esaustivo sulla mplessa figura di rem Siro (oltre che sulla molto vasta produzione in língua siriaca, greca e latina a !ui piu o meno rrettameme atibuita) si veda la voce a !ui dedicara N volume ctionnaire de spiritualité astique et mystique. Fra le piu ache e influen atstazioni ma dell'ubi sunt di ambito Crisano vi e, appunto, quella tramandaci all'interno di una raccol di inrú funebri attribui a rem, i Necrosima (in particolare si veda: Necrima Assemani 1742-1743, III, p. 308-311). r quanto concerne il roverso grado di diff usione e i i sucsso in ambo insulare delle opere (originali e a !ui ascritte erroneamen) dre della Crisarú orieale si vedano, fra gli altri: Besrul 1981, pp. 1-24; Sims-Williams 1985, pp. 205-226; Svenson 1998; Ga 1999; Wright 2", pp. 228-256 (coibuto in merito alia probabile derizione della sione iniziale di rcelli e deli'e / ia di Macario da un sermone anribuibile a rem); Sciaa 20#, pp. 226-227; Di Sciacca 26, pp. 381-387; Sciacca 2È, pp. 107-1. 1) Come detto, la versione isidoriana dell'ubi sunt e ntenuta all'iemo di rre brevi capitoli dei condo Libro dei nonima, a oggi ritenura la fome d'ispirazione príncipe alia base della capillare diff usione della matica in oggeno, cosi me sosterru e argomero fra gli altri da Gilson, prima, e successivame da Liborio e da Cross; cfr. Giln 1932, pp. 14-15 e 33; Liborio1960, p. 155 e Cross 1956. merito alla diffusio di le opera neli'Inghierra anglosassone di vedano, come deno, Sciaa 21, pp. 235-257 e Sciaa 2&, pp. 383-387. 110 ssi di enuto asmilabile a quello proposto sono inole risconabili, poi, in al. X 7 ("rumtamen in imagine peransit mo; sed ? frustra conturbatur: thesaurizat, ? norat cui cobit ea., al. 6 e 9-10 ("Mane herba transeat; mane floreat, et transeat; vespere decit, iduret, ? arest. [..] oniam omnes dies nostri dmt; ? in ira tua cimus. Anni ntri sicut aranea meditabuntur; dies annorum nostrorum in i seuaginta anni. Si autem in pentatibus octinta anni, ? amplius eorum labor ? or, quoniam servenit mansuetudo, ? corripiemur."), e in . , 18 ("Cor tuum metabitur timorem: ubi est literatus? Ubi legis verba ponderans? Ubi parvuforum!'). 111 Tale for mponee bíblica e, infat, facilme risntrabile non solo nella strurrura argomentativa e ntenutisca dei nonima nella !oro irza, ma anche nella densità di passi Scritturali che caratte�a nello spefi i e brevi capitoli dei Libro che, me abbiamo visto,

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Tale motivo dai forti contenuti elegiaá ha radiá piuttosto antiche: prima che

nella latinità cristiana, essa e già ampiamente attestata in quella dassica, sia in opere in

versi, sia all' interno di testi in prosa 107• ln tale am bito cultural e, pero, l' ubi sunt si

configura come un grido di rimpianto verso quel che l'azione del tempo strappa e

distrugge, in un ragionare che si esplica attraverso elenchi, spesso anche corposi, di

uomini valorosi e antiche áttà la cui gloria e ormai perduta per sempre. Estraneo ai

comune pensare delle opere della latinità dassica e, invece, quel moto di sofferta

riflessione sulla vanità e sulla morte che cosi cospicuo peso ricopre nella successiva

letteratura cristiana dei tardo-antico e del primo medioevo, nella quale l' ubi sunt diviene

il veicolo privilegiam per l'estemar.ione di quel disprezzo per le cose dei mondo cosi caro

all'escatologia di matrice cristiana. La diffusione e il progressivo vasto successo di questa

rematica in tale ambito conosce nelle opere di Efrem Siro101, prima, e di Isidoro di

Siviglia109, poi, due tappe fondamentali: il grande influsso di tali personaggi sulla

cristianità altomedievale, e in modo particolare sulla crescente realtà monastica, ha

infatti dato modo all' ubi sunt di divenire uno dei nudei argomentativi di maggior peso

all'intemo della letteratura cristiana di genere parenetico ed escatologico.

ln tale contesto, il successo di questo richiamo alia riflessione sulla caduátà delle

umane glorie e delle vanità terrene deve avere tratto linfa vitale anche in alcuni versetti

delle Scritture, sia vetero sia neotestamentari, che in maniera inequivocabile invitano

l'uomo a porre attenzione all'insignificanza delle cose rerrene:

"Ubi sunt príncipes gentium, et qui dominantur super bestias qUtE sunt super terramJ Qui in

avibus ctEli ludunt, qui argentum tbesaurizant, et aurum, in quo confidunt homines, et non

est finis acquisitionis eorum; qui argentum fobricant, et solliciti sunt, ner est inventio operum

illorum?' (Bar. III, 16-18)

"Homo, natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis. Qui quasi fios

egreditur et conteritur, et fogit velut umbra, et nunquam in eodem statu permanet. [. .. ]

Homo vero cum mortuus foerit, et nudatus, atque consumptus, ubi, qU�ESo, est? Quomodo si

recedant aqUtE de mari, et jluvius vacuefoctus arescat; sic homo, cum dormierit, non resurget, donec atteratur ce/um, non evigilabit, nec consurget de somno suo" (job. XIv, 1-2 e 10-12)

"Scriptum est enim: 'Perdam sapientiam sapientium, et prudentiam prudentium reprobabo.

Ubi sapiens? Ubi scriba! Ubi conquisiror hrgus stEculi! Nonne stultam frcit Deus sapientiam

hujus mundi!' (I Cor. I, 19-2{})110

dei Synonima di Isidoro di Siviglia conrerruto nel ms. Cotton Tiberius A.iii, le omelie Blickling V, Blickling VIII, Blickling X, Assmann XW, lrvine VII e Vercrlli Jv. Soli due testi in versi, i poemetti

\Vamkrer e Seafarer, ci inflne testimorúano una rilenura in chiave poerica della tematica delTa

tkcatknza tklle cose terrene. Come avremo occasione di valutare nel corso dell'analisi dei passo

vercellese, alia base di gran parte delle formulaziorú anglosassoni dell'ubi sunt vi e una commistione

di varie rradizioni di ascendenza latina, riassumibili (seppure in maniera forse troppo rígida) nei

quatrro filorú remarici rappresentati da alrrettanti testi della cristiarúri latina: i Synonima di Isidoro

di Siviglia, lo pseudo-agostirúano Sermo ad Jratres in eremo 58, ii Sermo tk elemosinis di Cesario di

Arles e, infine, l'Admonitio ad ftlium spiritualem dello Fseudo-Basilio. Una schiacciante maggioranza

dei tredici testi anglosassorú ha fra le sue fonti, in maniera piu o meno esclusiva, !'opera dei Vescovo

di Siviglia: olrre all'omelista di Vercelli X e ovviamenre al rraduttore dell'escerro dei Synonima, da

tale testo latino prendono ispirazione anche gli aurori dell'Ome/ia di Maca rio, dei Sermo Augustini

(testo edito in Fadda 1977, pp. 144-157), della glossa al Liber Scintillarum (pubblicara in Rochais

1957, pp. 228-230) e !'anonimo poeta dei Seafam (edito in Muir 1994, I, pp. 232-236). Due delle

rimanenti omelie, Blicklin,t X (edita in Morris 1967, pp. 106-115) e lrvine VII (pubblicata in Irvine

1993, pp. 197-202), affondano !e !oro radiei nel sermone sull'elemosina di Cesario di Arles; le

omelie Blickling VIII e Assmann XIV (edi te rispettivamente in Morris 1967, pp. 97-105 e in

Assmann 1889, pp. 163-169), di contro, sembrano derivare da que! Sermo 58 per lungo tempo

erroneamente a ttribuito ad Agostino di Ippona. La sola omelia Blickling V (edita in Morris 1967,

pp. 54-65) appare rifarsi ai comenuri di un secondo resto dalla controversa attribuzione, l'Admonitio

ad ftlium spiritualem. Non e sraro a oggi possibile, inflne, individuare alcuna fonte certa per le

rimanenti due anestazioni anglosassoni dell�!bi sunt, quelle contenute nel \Vanderer (edito in Muir

1994, I, pp. 218-222) e in una seconda o me lia dei codice vercellese, Vercelli IV ( omelia edita in

Scragg 1992, pp. 9o-104). Per maggiori informaziorú bibliografiche in meriro a ciascuno dei resti

qui elencati si veda la ricca bibliografia forrúta in Di Sciacca 2003, pp. 23o-234 e note 22-34. Per

una analisi dei conrenuti della breve versione dell'ubi sunt contenura all'imerno della quarta omelia

vercellese si veda supra, cap. II, p. 125-126.

107 Per quanto concerne gli autori di testi in prosa latina che fanno uso di tale motivo, Liborio richiama

l'attenzione nello specifico su tre grandi personaggi quali Cicerone, Seneca e, in ultimo, Marco

Aurelio. Per quanro concerne il grande retore e avvocato, formulaziorú riconducibili all'ubi sunt sono

rilevabili nell'Ottava Filippica (M. Antonium Oratium Philippica, VIII, 8, 23) e nell'orazione in

difesa di Planeio (Oratio pro Cn. PTancio, XIII, 33), oltre che nella famosa epístola consolatoria

indi�ata a Cicerone e vergara da Servio Sulpicio in occasione della morre di Tullia (Epistulte ad

familiares, Iv, 5, 2-4): quesr'ultima, seppure non presenti la reiterazione anaforica delle proposiziorú

interroga tive introdotte da ubi suntlubi est, desta un ragionevole interesse in quanto rappresenta la

prima attestazione di quella variante de! motivo che, ai nomi dei grandi uomirú dei passato,

sosriruisce quelli delle gloriose cinà. Meno ricche sono !e testimorúanze di quesra remarica all'intemo delle opere di Seneca: esse si limitano a soli due passi, rispettivamente delle Lettere a

Lucílio (Epistufte ad Lucilium, CVII, 1) e della Consolatio ad Helviam matrem (XV, 1). Un discorso a

parte merirano, invece, i Ricordi di Marco Aurelio, nei quali ii motivo dell'ubi sunt sembra occupare

una posizione di rilievo all'interno dei pensieri redatti dall'imperatore-filosofo (V, 33; VII, 58; VIII, 25; XII, 21): un ruolo fondamentale in questo caso deve avere esercitato la profonda conoscenza

della cultura greca da parte di Marco Aurelio, una formazione di impianto sroico che deve avere

certamente influenzaro in modo cospicuo la sua visione spesso cupa della morte e delle vanità

umane. E opinione comune, perõ, che tale opera filosofica abbia avuro un impatto pressoché nullo

sulla genesi della formulazione cristiana dell'ubi sunt. Fra i poeti della latiniti pagana, invece, tale

tematica ha trovaro cospicua esplicazione nelle opere di personaggi quali Tibullo, Ovidio e Stazio.

Mentre per quanto concerne il primo e a noi giunta una singela attesrazione dei motivo in oggeno

(in Carmina, II, 3, 21), nei restanti due essa trova uno spazio certamente piu ampio: in Ovidio passi

riconducibili all'ubi sunt sono attestati in numerosi passi delle Metamorfosi (Metamorphoses, Iv, 592-593; VII, 499-5()(}; XI, 422; XIII, 92 e 340-341) e in un gruppo di versi degli Amores (IJJ, 9, 38-42}, nei quali, perõ, non compare il classico schema argomentativo basato sulla reirerazione delle

espressioni ubi estlubi sunt; nel corpo delle opere di Stazio, degni di attenzione sono l'Ecloga I dei

Libro II delle SiiVtE (in modo parricolare i vv. 41-55, seppure l'intero componimento desti

nell'insieme un certo interesse) e due passi della Tebaide (V, 613-616 e XII, 311-312}. Liborio

richiama, in ultimo, l'anenzione su ulteriori due aurori classici, uno di ambito latino e l'altro di

cultura greca: Orazio e Plurarco. Echi dei motivo qui discusso sono riscomrabili, infatti, sia nel

compianto per la morre di Archita (Carmina, I, .2$), dove perõ non compare in marúera esplicita la

formula retorica dell'ubi sunt, sia, per quanto concerne Plutarco, in Consolatio ad Apollonium XV, 110 D. Cfr. Liborio 1960, pp. 143-148.

1C8 Per un quadro imrodurtivo completo ed esaustivo sulla complessa figura di Efrem Siro (oltre che

sulla molto vasta produzione in língua siriaca, greca e latina a !ui piu o meno correttameme

atrribuita) si veda la voce a !ui dedicara nel N volume dei Dictionnaire de spiritualité ascétique et

mystique. Fra le piu antiche e influenti attestazioni dei tema dell'ubi sunt di ambito Cristiano vi e,

appunto, quella tramandaraci all'interno di una raccolta di inrú funebri attribuita a Efrem, i

Necrosima (in particolare si veda: Necrosima XLIII, Assemani 1742-1743, III, p. 308-311). Per

quanto concerne il controverso grado di diffusione e ii successo in ambito insulare delle opere

(originali e a !ui ascritte erroneamente) dei Padre della Cristiarúri orientale si vedano, fra gli altri:

Besrul 1981, pp. 1-24; Sims-Williams 1985, pp. 205-226; Srevenson 1998; Ganz 1999; Wright

2002, pp. 228-256 (contributo in merito alia probabile derivazione della sezione iniziale di Vercelli

IV e deli'Ome/ia di Maca rio da un sermone anribuibile a Efrem); Di Sciacca 2003, pp. 226-227; Di Sciacca 2006, pp. 381-387; Di Sciacca 20C8, pp. 107-1<:8.

109 Come detto, la versione isidoriana dell'ubi sunt e contenuta all'intemo di rre brevi capitoli dei

Secondo Libro dei Synonima, a oggi ritenura la fome d'ispirazione príncipe alia base della capillare diffusione della rematica in oggeno, cosi come sosterruro e argomentaro fra gli altri da Gilson,

prima, e successivamenre da Liborio e da Cross; cfr. Gilson 1932, pp. 14-15 e 33; Liborio1960, p.

155 e Cross 1956. ln merito alla diffusione di tale opera neli'Inghilterra anglosassone di vedano,

come deno, Di Sciacca 2001, pp. 235-257 e Di Sciacca 2006, pp. 383-387.

110 Passi di contenuto assimilabile a quello proposto sono inoltre risconrrabili, poi, in Psal. XXXVIII, 7

("Verumtamen in imagine pertransit homo; sed et frustra conturbatur: thesaurizat, et ignorat cui

congregabit ea."), Psal. LXXXIX, 6 e 9-10 ("Mane sicut herba transeat; mane floreat, et transeat;

vespere decidat, iduret, et aresCIJt. [..] Quoniam omnes dies nostri defocmmt; et in ira tua deftcimus.

Anni nostri sicut aranea meditabuntur; dies annorum nostrorum in ipsis septuaginta anni. Si autem in

potentatibus octoginta anni, et amplius eorum labor et dolor, quoniam supervenit mansuetudo, et

corripiemur."), e in Is. XXXIII, 18 ("Cor tuum meditabitur timorem: ubi est literatus? Ubi legis verba

ponderans? Ubi doctor parvuforum!').

111 Tale forre componente bíblica e, infatti, facilmente riscontrabile non solo nella strurrura

argomentativa e contenutistica dei Synonima nella !oro interezza, ma anche nella densità di passi

Scritturali che caratte�a nello specifico i rre brevi capitoli dei Libro II che, come abbiamo visto,

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