Aprile - caicsvfg.it · Roma una contrazione demografica che porta ad allentare la pressione...

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Tetto in legno di un pagliaio sull'Etna (interno) (Ph R.B.S.) Esbosco dei gioni nostri Cadore (Ph U.S.) Preghiera dei boscaioli e taglialegna Queste piante che Voi crea- ste a rendere l’aria sana, ricca d’acqua la terra, bello l’aspetto delle valli e dei monti; queste che noi tagliamo, seghiamo, lavoriamo, bru- ciamo, agli usi nostri; quest’erbe selvatiche di cui vivono le nostre greggi, di cui verdeggiano selve e campagne; tutte queste vite, dalla gra- migna alla quercia, dall’edera al cipresso, dicono al mio cuore le vostre lodi, gran Dio. Date, o Signore, forza al braccio e al ferro di chi queste piante coltiva o recide; fate che tutte siano adoperate ad usi buoni e con buoni pensieri. Nicolò Tommaseo Deposito di legna nello sfondo le Marmarole (Ph D.B.)

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Tetto in legno di unpagliaio sull'Etna (interno)(Ph R.B.S.)

Esbosco dei gioni nostriCadore(Ph U.S.)

PPrreegghhiieerraa ddeeii bboossccaaiioollii eettaagglliiaalleeggnnaa

Queste piante che Voi crea-ste a rendere l’aria sana, ricca d’acqua la terra,bello l’aspettodelle valli e dei monti; questeche noi tagliamo, seghiamo, lavoriamo, bru-ciamo, agli usi nostri; quest’erbe selvatiche di cuivivono le nostre greggi, di cui verdeggianoselve e campagne;tutte queste vite, dalla gra-migna alla quercia, dall’edera al cipresso, diconoal mio cuore levostre lodi, gran Dio. Date,

o Signore, forza al braccio e al ferro di chiqueste piante coltivao recide; fate che tutte siano

adoperate ad usi buoni e con buoni pensieri. Nicolò Tommaseo

Deposito di legna nellosfondo le Marmarole(Ph D.B.)

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L’uomo e le piante

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Scultura su ceppaiaPadola (Ph D.B.)

Le prime superfici coperte di foreste si possono datare a circa350 milioni d’anni fa, lentamente iniziarono il lungo camminoche le porterà a coprire ampi spazi di territorio. Molteplici fu-rono le difficoltà nella colonizzazione e nella successiva per-manenza dovendo lottare contro incendi, inondazioni maanche glaciazioni.Circa 13.000 anni fa anche a livello nord europeo era in attouna grande glaciazione che copriva ampi spazi, la situazionemigliorava nell’Europa centrale e meridionale in quanto eranopresenti formazioni forestali riconducibili alla tundra ed allasteppa. Al termine di ogni singola glaciazione il territorio libe-rato dai ghiacci subiva una nuova colonizzazione da parte delregno vegetale. Ad ogni inizio e fine glaciazione si assistevaad un continuo ritiro ed espansione dei territori boscati.

Il bosco, le foreste: storia e problematiche

Larici in veste autunnale (Ph U.S.)

A livello storico alla fine della glaciazione del Würm è iniziatal’ultima grande espansione forestale con un nuovo fattore di di-sturbo: la presenza dell’uomo.Questo fattore di disturbo si concretizza in azioni dirette ed in-dirette allo sfruttamento della risorsa legno per garantirsi unaprospettiva di vita migliore. Sommando tutte le azioni intra-prese dall’uomo a carico del soprassuolo forestale questo hacominciato ad essere ridimensionato sia in quantità che qua-lità per assecondare l’uomo nella ricerca di spazi per crearecoltivazioni, insediamenti, caccia, pascoli…Inevitabilmente l’uomo instaura un preciso e delicato rapportocon le foreste; è consapevole che la qualità della civiltà in cuivive è inversamente proporzionale a quanto la risorsa forestaleè sfruttata, in altre parole il suo benessere aumenta di parigrado all’aumento degli spazi tolti alla foresta per le sue mol-teplici attività che hanno come denominatore comune lo sfrut-tamento del bosco.La conseguenza è che dal Neolitico si assiste ad un cambia-mento dell’approccio dell’uomo alla foresta, termina l’evolu-zione naturale delle foreste e comincia l’intensa interazione conil fattore antropico che alla lunga porta alla modificazione deiparametri strutturali ed ecologici del bosco che corrisponde allanascita delle modificazioni del paesaggio. Man mano che le ci-viltà si consolidano demograficamente assieme alle nuove tec-niche delle lavorazioni dei materiali (bronzo, ferro ecc..) siimpenna lo sfruttamento della risorsa legno per assecondarevolumi sempre maggiori di risorse alimentari derivate da colti-vazioni di terra e materiale combustibile per scopi alimentari,edilizi e produttivi.Nel bacino mediterraneo l’arrivo dei greci nel meridione italianoe l’attività etrusca per la parte centro settentrionale determi-nano in buona parte la nascita dell’attuale paesaggio agrariofatto di ampi diboscamenti a scopi agricoli. Con i romani la si-tuazione dei dissodamenti aumenta ulteriormente, anche perl’ingente richiesta di materie prime legnose per l’utilizzo bellico.Già in epoca romana si verifica sul territorio controllato daRoma una contrazione demografica che porta ad allentare lapressione antropica sulla risorsa foresta; in questa fase assi-stiamo alla ripresa dei territori occupati dal bosco, prospettivadestinata ad aumentare in virtù delle devastazioni barbarichesempre più frequenti.Nell’Alto Medioevo il bosco subisce pressioni antropiche mode-rate, il disordine politico, economico e sociale causato dalla ca-duta dell’Impero Romano è tale da generare effetti positivi sullaforesta, che recupera ancora spazio su quanto fu in precedenzatolto.In questa fase iniziano ad affacciarsi nuove realtà spinte sullabase del Cristianesimo dove si fondano i primi ordini monasticiche avranno un ruolo fondamentale nella creazione di sistemidi gestione forestali che porteranno ad un saggio sfruttamentodella risorsa forestale. Nascono i monasteri in ambienti isolati

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e dentro le foreste più fitte, dove per il sostentamento e la tu-tela della risorsa bosco si programmano interventi di dissoda-mento e coltivazione dei futuri boschi artificiali.Nel Basso Medioevo si verifica una nuova espansione dell’atti-vità agricola che corre di pari passo con la ripresa demogra-fica, si affaccia la necessità di aggressione delle foreste che,dalle invasioni barbariche, erano destinate principalmente allacaccia in quanto importante fonte alimentare assieme ed altriprodotti forestali che comunque partecipavano all’economia ur-bana.I diversi organi amministrativi (Comuni) sentono la necessità diideare un approccio diverso per lo sfruttamento e gestione dellaforesta che doveva svolgere sia il compito di fornire materieprime ed allo stesso tempo far si che la risorsa bosco fosse ca-pace di perpetuarsi nel tempo. In altre parole per evitare la di-struzione, si doveva calibrare lo sfruttamento alle realipotenzialità produttive della foresta e dove questa non fossesufficiente predisporre ampie aree di rimboschimenti una voltautilizzato il bosco in modo tale da accorciare il tempo necessa-rio in termini di anni per poter ritornare a tagliare il bosco sullostesso luogo.È grazie al Basso Medioevo che assistiamo ad importanti tra-sformazioni a carico del soprassuolo forestale: se da un lato lenuove potenze marinare della penisola italiana richiedono sem-pre più ampi quantitativi di legname per lo sforzo bellico che nedetermina una nuova contrazione in termini di ettari, dall’altraabbiamo una modificazione a livello qualitativo del soprassuoloforestale, la castanicoltura ad uso alimentare e per uso ediliziova a soppiantare la coltivazione delle querce, la produzione dellacastagna per le genti di montagna è fondamentale in quanto alivello alimentare rappresenta il corrispettivo dei cereali per lagente di pianura.Non solo, ma si assiste anche alla trasformazione dei boschi intermini di essenze forestali presenti, ad esempio si passa da po-polamenti misti e cedui di latifoglie a popolamenti puri di coni-fere (per assortimenti navali ed edilizi) come ad esempio leabetine di Vallombrosa e Camaldoli, fatti dai diversi ordini mo-nastici guidati dai loro precetti di fede che li portarono a gestirein modo oculato il bosco per rispondere alle esigenze commer-ciali dell’epoca.Di pari passo nel nord Italia in particolare nel settore Trentino eCadore, nascono le prime forme di autonomia istituzionale ter-ritoriale in virtù della caduta delle signorie locali ad esempio i Ca-minesi (1337) che nel giro di pochi anni (grazie anche albenestare dei patriarchi di Aquileia) si organizzarono in Regolee Centenari.Nel 1420 la Repubblica di Venezia conferma l’autonomia di que-ste forme istituzionali. Tale atto fu strategico per Venezia inquanto interessata allo sfruttamento della risorsa legno di vastearee tra Cadore, Trentino - Alto Adige e Tarvisiano. La presenzadelle Regole fu d’importanza fondamentale per applicare in

Uso del legno per costruire Cadore (Ph M.Z.)

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modo concreto i principi di una buona gestione del patrimonioarboreo che oltre a fornire materia prima era di strategica im-portanza per l’equilibrio idrogeologico della laguna veneta. Inquesti secoli a Venezia si legifera con più leggi a tal riguardo.Già nel decennio che corre tra il 1270 e 1282 si trovano alcunedeliberazione del Maggior Consiglio veneziano che assumevanoun preciso connotato di indicazioni di protezione e tutela dellarisorsa boschiva attraverso disposizioni tecnico – ammini-strativo sulla gestione del bosco. Ma è dal XV sec. che si puòaffermare in modo chiaro la volontà della Serenissima di in-trodurre una politica del governo forestale che volesse rego-lamentare l’uso delle foreste con l’ottica di ricavarne beneficisenza compromettere l’auto sussistenza del patrimonio fore-stale strategico.Nel corso dei tre secoli che terminarono con la caduta della Re-pubblica da parte di Napoleone (1797) vennero promulgate leggiad hoc per le foreste non solo di montagna ma anche per quelledi pianura al fine di garantire regolare fornitura di materia primaper l’uso navale ma non solo. Fra queste strategie per il con-trollo e la gestione del bosco fu l’attuazione dei catasti (voluti dal1489 ma iniziati solo nel 1536 circa), che permetteva di cono-scere quanto territorio era boscato e quanta materia prima po-teva essere fornita attraverso precise operazioni di confinazionee censimento degli alberi. Una volta confinati, il soprassuolo fo-restale definito fu diviso in tre pertinenze, pubblica (detti Bo-schi di San Marco), comunale e privato.Tali catasti ebbero però anche la funzione di conoscere a fondoil territorio forestale montano e di pianura, tanto da proporreveri e propri interventi di sistemazioni idraulico-forestali sempreper tutelare la risorsa bosco.Tale strumento, così come concepito, non è poi così tanto dissi-mile dagli odierni strumenti di gestione forestale che oggi pren-dono il nome di Piani Economici (di Riassetto o di Riordino deltipo di proprietà che vanno a considerare).Nel XIV sec. le diffuse carestie e pestilenze portano ad una fortecontrazione della popolazione europea con la conseguente ri-duzione dello sfruttamento forestale, ma dopo la metà del XV lapopolazione ricomincia ad aumentare e la pressione antropicasulla foresta riprende con ritmi sempre maggiori fino alla metàdel XX sec..Con il progresso e l’intelletto umano si vanno a perfezionaresempre più le tecniche produttive tali da portare a richiederesempre più materiali combustibili, alla risorsa legna si affiancalo sfruttamento dei giacimenti minerari che inevitabilmenteportano a distruggere ampie zone boscate. Il Settecento si ca-ratterizza per essere il secolo della rivoluzione industriale chesfrutta nuove tecnologie produttive che utilizzano volumi di le-gname ancor più elevati tanto da assistere alla nascita di di-stretti industriali inseriti in zone con ampie disponibilità dilegname per ridurre i costi di trasporto del legname dalla zonadi produzione alla zona di utilizzo. Tale richiesta non diminuisce

Nulla è superfluo, anche il legname di piccola pezzaturaFriuli(Ph U.S.)

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alla comparsa ed utilizzo del carbon fossile, unico effetto fu lospostamento dei distretti industriali verso i bacini di estrazionedel nuovo combustibile.Verso la fine del XVIII sec. le tecniche produttive in campo agra-rio migliorano, ma non bastano a soddisfare una sempre mag-giore richiesta data dalla ripresa demografica italiana. Per farfronte a questa maggiore esigenza si comincia a dissodare fo-reste per scopi agricoli, sia in collina che in montagna per crearesempre più ampi pascoli, che abbinate alle scarse tecniche digestione ed utilizzo portavano a richiederne territori semprepiù vasti. Questo secolo accusa fenomeni così spinti di defore-stazione e cattivo sfruttamento agricolo che in breve tempo sicominciano a manifestare preoccupanti fenomeni di dissestoidrogeologico ed impoverimento quantitativo e qualitativo deisoprassuoli forestali che ancora resistono in piedi.La situazione non accenna a migliorare nell’Ottocento, anzi que-sta tendenza negativa tende ad acutizzarsi a causa della vo-lontà delle nuove classi sociali borghesi che gestiscono laproduzione agraria in modo capitalistico. La mancanza di unostato unitario e di specifiche leggi a tutela della foresta portanoa livelli di disboscamento tali da non essere più toccati in futuro.Si passa dalla selvicoltura intensiva a quella estensiva. In questa

Uso del legname per costruire(Ph U.S.)

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situazione in quasi tutta la penisola italiana si assiste alla di-struzione di boschi, gran parte di quelli meridionali spariscono,come quelli dell’Italia settentrionale e centrale che vengono tra-sformati in assortimenti da costruzione per trasporti su rotaiao in carbone. Unica situazione positiva risiede nella parte delTrentino e del Cadore dove la presenza di secolari statuti im-pongono lo sfruttamento del bosco con l’ottica della sua tutela.Per i Veneziani i boschi delle Prealpi, del Cadore e Carnia eranofonte primaria per l’approvvigionamento di querce, abeti, la-rici, faggi ecc. Dal Tirolo arrivavano legnami di conifera di ot-tima qualità che scendevano a valle e di qui in laguna tramitela fluitazione lungo il Brenta, Piave, Tagliamento ed Isonzo. L’im-portanza della tutela dei boschi fu tale da istituire tra il Cin-quecento ed il Settecento veri e propri censimenti boschivi,strumenti validi per conoscere l’ammontare della risorsa legnoa disposizione e valutare l’efficacia degli effetti legislativi ema-nati in merito. Tali censimenti costituiscono i primi validi esempia livello europeo di tutela del patrimonio forestale che hannointeressato le nostre zone boschive. Nel 1770 a Venezia si fondala prima scuola di Architettura navale e Gestione boschiva. Conla caduta della Repubblica di Venezia per mano napoleonicaanche il relativo controllo sui boschi viene a cadere.

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Dopo l’epopea risorgimentale nasce lo stato unitario italianosotto la corona dei Savoia. Tra i vari obiettivi del nuovo regnoviene data priorità alla strutturazione e riorganizzazione degliapparati statali assecondati da adeguate leggi, ed è proprio inquesto contesto che per rallentare il disboscamento ancora inatto che viene varata la legge che istituisce il Vincolo Idrogeo-logico che interessa tutti i boschi oltre il limite di crescita del ca-stagno. L’obiettivo di tale vincolo è la tutela dei territori montanidagli effetti catastrofici delle frane, valanghe e giusta regima-zione delle acque. L’effetto di tale vincolo non era applicato aldi sotto del limite vegetazionale del castagno, in altre parole losfruttamento dei boschi poteva ancora avvenire portando cosìa concentrare le utilizzazioni in foresta su spazi territoriali ri-dotti con effetti preoccupanti.Il periodo tra fine Ottocento e primi anni del Novecento la de-pauperazione delle foreste tende a rallentare lentamente, manon si arriva alla controtendenza della ripresa del bosco, i mo-tivi di utilizzazione però non sono più tanto legati ai bisogni pri-mari ma per soddisfare l’approvvigionamento di materia primaper lo sviluppo delle diverse economie di mercato. Nel periodosopra scritto la qualità delle foreste diminuisce in quanto si for-mano popolamenti forestali governati a ceduo a discapito dellefustaie. In sostanza lo stato italiano non riesce a raggiungere ilproprio fabbisogno di legname da utilizzare e nel contempo ga-rantire la difesa idrogeologico del territorio.Anche sotto le grandi devastazioni del patrimonio forestalenelle regioni colpite dalla Prima Guerra Mondiale tra il 1920 eprimi anni del 1940 si attuano intense campagne di riforesta-zione, ma comunque non sufficienti per far incrementare inmodo sensibile la superficie forestale nazionale. Dalla secondametà del XX sec. la ricerca di nuovi spazi agricoli non avvienepiù a scapito della foresta bensì con grandi opere di bonificafatte in pianura. Questo unito al boom economico post bellicoche ha innescato un processo di abbandono delle zone ruralimarginali a favore delle città e dei nuovi combustibili, porta adallentare la pressione antropica sulle foreste tanto che questedagli anni ’60 incrementano la loro superficie. Tali foreste peròsono comunque relegate per circa i due terzi della superficietotale in montagna ed un terzo in collina; in pianura le forma-zioni boscate sono ridotte a piccoli lembi che hanno importanzaper gli aspetti di “archeoforestazione” di pianura.Tra gli anni ’70 ed ’80 si assiste ad un cambiamento di approc-cio alla foresta, dapprima si spinge per incrementare la produ-zione sia a livello qualitativo che quantitativo per poi passare aduna valorizzazione e difesa delle foreste per beneficiare dellamultifunzionalità che il bosco sa esprimere. A tal riguardo im-portante è la nuova funzione che le foreste possono dare, lalegge Galasso estende di fatto a tutti i boschi il vincolo pae-saggistico. L’effetto di tale nuovo vicolo porta a ridurre le uti-lizzazioni in foresta a favore di nuovi impianti agevolati daspecifici regolamenti europei (es. il CEE 2080).

117In conclusione oggi il patrimonio boschivo italiano si caratte-rizza per un aumento della superficie occupata in relazione afattori congiunturali che hanno fatto diminuire in modo sensi-bile le utilizzazioni forestali dettate da fattori puramente eco-nomici. Se l’intervento di utilizzazione ha un adeguato marginedi ricavo lo si attua, ma spesso per fattori strutturali (mezzispecifici costosi, viabilità silvo pastorale assente, assortimentidi media qualità) il soprassuolo resta inutilizzato. L’effetto ditale mancanza di utilizzo dei boschi fino a pochi anni fa utiliz-zati e quindi antropizzati nella qualità e struttura del boscoporta al verificarsi di fenomeni di rinaturalizzazione ad operadelle specie indigene, che alla lunga porta al ritorno di specieforestali spontanee e/o ricolonizzazione di ex coltivi e pascoli.Tale fenomeno però non è completo in quanto alla lunga non siarriva mai ad una condizione di soprassuolo forestale che è si-mile a quello che c’era prima dell’effetto di antropizzazione,quindi in altre parole il ritorno alla naturalizzazione vera e pro-pria non è completo.Le storiche abetine di Camaldoli o quelle che in passato in Ca-dore erano le fonti di approvvigionamento dell’Arsenale di Ve-nezia stanno lentamente perdendo la loro secolare struttura ecomposizione per la comparsa di essenze forestali che all’epocadella Repubblica di Venezia non erano presenti in quanto nonapprezzate per uso edilizio o navale.Alla luce di quanto scritto, l’abbandono dei territori montani edelle attività lavorative fin’ora svolte implica la ripresa dei ter-ritori occupati dalle foreste.

Alberto Burbello(CAI Bassano del Grappa)

Tetto in legno Pordoi (Ph U.S.)

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Carbonaie e forestazione

Le carbonaie erano strutture deputate alla produzione di car-bone di legna, elemento indispensabile per ogni attività umana(dalle incombenze domestiche di cucine e camini, alle attività la-vorative) fino agli inizi del secolo scorso. Storicamente parlandole prime tracce di carbonaie, sono molto antiche, arrivano finoal periodo romano e se ne trova traccia nelle descrizioni del Bi-ringuccio (Vannoccio Vincenzio Austino Luca Biringuccio notosemplicemente come Vannoccio Biringuccio, (maestro artigianonella fusione e nella metallurgia del XV e XVI secolo).Le carbo-naie a pozzo erano delle buche poco profonde (usate per la pro-duzione di piccole quantità di carbone soprattutto per usodomestico) nelle quali si metteva della legna non completa-mente combusta a finire di trasformarsi in carbone.Si passa però piuttosto velocemente alle più note carbonaie acono: già Plinio il Vecchio le descrive e sono riportate in schemanella famosa Encyclopedie di Diderot e D’Alambert.Fare il carbone era una vera e propria arte che esigeva prepa-razione e doveva sottostare a regole ben precise: prima di tuttosi doveva preparare il legname, che proveniva da piante tagliatein periodo di luna calante e da parti di bosco che erano sog-gette ad dirado e non al taglio raso.Il legname così ottenuto veniva tagliato in pezzi di circa unmetro e dopo un paio di settimane di essiccazione veniva tra-sportato nella piazza da carbone.Questa doveva essere realizzata lontana da correnti ed esseresu un terreno sabbioso e permeabile. Spesso, visto il terrenoscosceso dei boschi, erano sostenute da muri a secco in pietra.

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Di solito tre pali di legno, alti un paio di metri, venivano piantatisaldamente nel terreno e tenuti insieme da due cerchi formaticon legna di piccola pezzatura: proprio da questo centro ini-ziava la cottura della legna.Sistemando interno ai 3 pali prima la legna più grossa (inquanto richiedeva più cottura), poi quella più sottile, in modo dalasciare il foro centrale libero per sistemare poi le braci, la legnaveniva ben stipata, per evitare interstizi areati che potevanocompromettere la riuscita della cottura. Una volta conclusa laposa, la carbonaia assumeva la tipica forma conica arrotondatacon un raggio di base di 2-3 metri; poi altri giorni di lavoro perla copertura con foglie a loro volta ricoperte di terriccio ripulitodai sassi per isolare la legna dall'aria. La carbonaia venivaquindi accesa: ai suoi piedi si aprivano dei fori di sfogo ad unmetro di distanza l'uno dall'altro, che dovevano rimanere apertiper tutti i 13-14 giorni di cottura. Quando il fumo usciva abbon-dante, si alimentava il fuoco con nuova legna: ai chiudeva “labocca” ed il fumo doveva uscire dai fori bassi.La carbonaia veniva alimentata giorno e notte finché il terric-cio di copertura diventava nero e le dimensioni si riducevano(nel corso della carbonizzazione la legna diminuiva del suo vo-lume del 40% e del suo peso dell'80%): in base al colore delfumo che fuoriusciva dai fori laterali, il carbonaio poteva ve-dere l'andamento della combustione: solo quando il fumo eraturchino e trasparente il carbone era pronto.

Erika Carlotti(CAI Massa)

SITOGRAFIAhttp://www.valcavargna-beb.it/doc/Carbonaie.pdhttp://it.wikipedia.org/wiki/Vannoccio_Biringucciohttp://it.wikipedia.org/wiki/CarbonaiaCarbonaia a pozzo descritta da Biringuccio

Carbonaia conica a catasta verticale descritta nell’Encyclopedie di Diderot eD’Alambert

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Col termine esbosco si intendela conduzione del legname dalpunto di abbattimento dellepiante all’imposto, cioè al luogoin cui lo stesso può venir cari-cato sui mezzi di trasporto: carria trazione animale anticamente,camion o rimorchi al giornod’oggi.Quello che adesso - grazie al-l’utilizzo di mezzi quali trattoriforestali, funi pescanti a verri-cello e harvester con bracciomeccanico - ha visto la quasicompleta sostituzione del la-voro, umano o animale, da partedelle macchine ha invece rap-presentato nel corso del tempouna delle attività in cui più sisono manifestati la tenacia, il co-raggio e la genialità della gentedi montagna; gente costretta asupplire con l’intelligenza e conla cooperazione alle difficoltà diutilizzo delle risorse che la na-tura del territorio in cui era in-sediata metteva a disposizione.Dopo aver allestito il materiale

legnoso (abbattuto le piante,asportato i rami, tagliato i tron-chi secondo le misure necessa-rie e arrotondato le estremitàdelle borre) lo stesso veniva con-dotto fuori dal bosco con duedifferenti modalità, in relazionealla pendenza della superficieforestale utilizzata: se ci si tro-vava in presenza di boschi inpiano o su pendii poco accen-tuati si ricorreva al trascina-mento dei tronchi da parte dianimali (cavalli o buoi) con l’usodi catene, slittoni, sistemi aruote ad uno o due assi, addirit-tura piccole ferrovie a “decau-ville”; se invece la pendenzaaumentava, si volgeva in van-taggio uno dei principali fattoridi difficoltà e cioè il peso stessodei tronchi, costruendo risine oteleferiche: le risine erano ca-nali, lungo i quali i tronchi eranofatti scivolare verso il bassodalla gravità, ottenuti scavandoil suolo secondo linee di pen-denza tali da non far mai acqui-

sire agli stessi velocità ecces-sive, spesso armate con travi esostegni nelle curve, e sfrut-tando il più possibile le concavitàdel terreno; le più economicheed efficaci erano quelle costruitecon neve e ghiaccio nel corso deimesi invernali, che avevano peròproprio nelle basse temperaturenecessarie al loro funziona-mento il limite principale.le teleferiche erano invece im-pianti fissi a una o più funi me-talliche che, unendo la sommitàdei versanti con la base deglistessi, permettevano la discesafrenata del materiale legnosoanche in presenza di scarpaterocciose o con pareti verticali.Certo ai nostri giorni risulta dif-ficile intuire la fatica, la forza edil coraggio che queste opera-zioni richiedevano, ma l’alto nu-mero di ex voto “per graziaricevuta” sparsi per i nostri bo-schi sono testimonianza di un’at-tività che ha dato si di che vivereper secoli a generazioni di mon-

21. L’esbosco e il taglio del legname

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Boscaioli di ieri(Archivio Ph U.S.)

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1 Le Palme� 13 . 92 - 274 �5,52 - 18,36

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tanari ma ha anche causato inci-denti che spesso portavano al-cuni di loro a gravi menomazioniquando non alla morte.

Perché, come dicevano i vecchi,<Il peso non dorme mai>.

Gianni Frigo (CAI Bassano del Grappa)

Boscaioli di oggiValtellina(Ph U.S.)

Attrezzi per il boscaiolo(Ph U.S.)

3 S. Riccardo v.� 14 . 94 - 272 �5,49 - 18,38

MARTEDÌ2 S. Francesco di Paola� 14 . 93 - 273 �5,51 - 18,37

LUNEDÌ 4 S. Isidoro� 14 . 95 - 271 �5,47 - 18,39

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Per fluitazione si intende la tec-nica di trasporto del legname chesi avvale della forza della cor-rente di fiumi e torrenti, diffusasin dal Medioevo e in uso inten-sivo sino al XIX secolo.Nell’area del nord-est, soprattuttodurante il governo della Repub-blica di Venezia, tale tipo di atti-vità fu estremamente praticata. Imotivi furono diversi: la grandeesigenza di materia prima pervari utilizzi (fondamenta dellastessa Venezia, costruzione di im-barcazioni, utilizzo del legnamecome combustibile per produrreil fuoco per le varie fornaci“vetro” e “ferro”); la naturalegeografia del territorio ricco dicorsi d’acqua (Adige, Brenta,Piave e Tagliamento per ricordarei principali fiumi alpini) e lagrande disponibilità di materiaprima (basti pensare ai grandi bo-schi del Cadore e della Carnia). Il legname veniva marcato con ilsimbolo del produttore “segne deciasa” e fatto scendere a valle,quasi sempre sotto forma di zat-

tere, lungo il corso d’acqua peressere fermato e raccolto a desti-nazione. In epoche passate la di-scesa del materiale veniva aiutatadagli zattieri, che ne controlla-vano il percorso. Si trattava di unlavoro piuttosto pericoloso, chemetteva a repentaglio la vita eche è sparito con l’avvento deltrasporto del legname su ruotagommata o ferrata.Tale attività, andata in uso finoagli anni trenta/quaranta del‘900, ha lasciato parecchi segni etestimonianze in questo territo-rio; tutto questo è ricordato at-traverso musei specifici e ilrecupero di alcune strutture cheper parecchi anni erano state la-sciate in un ingiustificato abban-dono. Ancora oggi, se prendiamo inconsiderazione il fiume Piave,dalle sorgenti alla foce, lungo ilsuo percorso attualmente inter-rotto da un numero sconsideratodi sbarramenti artificiali, come ledighe per fini idroelettrici, si in-contrano i segni della fluitazione

del legname. Per fare alcuniesempi: a Padola (Comelico) ab-biamo una bellissima “stua”(sbarramento) fatta di materialelapideo, oggi recuperato, amonte della quale veniva accu-mulato il legname, appositamentetagliato e segnato, per poi farlofluire in modo ordinato e control-lato verso valle. A Perarolo esisteva un altro sbar-ramento, chiamato “cidolo”, fattodi materiale ligneo, che aveva lostesso scopo di quello di Padola,solo che raccoglieva legname pro-veniente dal Cadore. Abbiamo poi vari musei tra i qualiricordiamo quello del “cidolo” aPerarolo (già richiamato) e quello“dei zattieri di Castellavazzo”(poco prima di Longarone). Cisono inoltre molte manifestazioniche rievocano tale tipo di attività.

Ugo Scortegagna(CAI Mirano)

22. La fluitazione del legname

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16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30L M M G V S D L M M G V S D L

7 S. Ermanno� 14 . 98 - 268 �5,42 - 18,42

SABATO5 S. Vincenzo Ferreri� 14 . 96 - 270 �5,46 - 18,40

GIOVEDÌ 6 S. Celestino e S. Diogene� 14 . 97 - 269 �5,44 - 18,41

VENERDÌ

8 Pasqua di Risurrezione� 14 . 99 - 267 �5,41 - 18,44

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10 S. Terenzio m. � 15 . 101 - 265 �5,37 - 18,46

MARTEDÌ 11 S. Stanislao vescovo� 15 . 102 - 264 �5,36 - 18,47

MERCOLEDÌ

L’economia agricolo – pastorale al-pina, in cui la maggior parte dellefamiglie possedeva campi da colti-vare e capi di bestiame da allevare,comportava il fatto che il singolomontanaro si trovasse quotidiana-mente a contatto con attività ri-chiedenti manualità e perizia, svoltecon appositi attrezzi da lavoro. Erainevitabile, quindi, che l’attivitàdegli artigiani del legno risultasseessere strettamente connessa alleimmediate esigenze quotidiane.Tale attività dell’artigianato ligneoera paragonabile ad una filosofiadel quotidiano, in quanto erano ne-cessari e venivano prodotti oggettidi uso comune: attrezzi per il lavoronei campi, per la lavorazione dellafarina e la panificazione, per la con-servazione del latte e dei prodottiofferti dalla natura. L’integrazionetra legno e vita quotidiana era tal-mente elevata che ciascun conta-dino poteva essere considerato unartigiano del legno, seppure con pe-rizia e abilità diverse. Da sempre, in-fatti, il montanaro era stato anchefalegname per necessità: il legnoera parte del suo ambiente di vita,tutto ciò che lo circondava era co-

struito con questo materiale. La maggior parte degli attrezzi diutilizzo quotidiano venivano ideatie costruiti durante le veglie comu-nitarie: fattori come necessità, de-strezza, tempo a disposizione,permettevano di tentare la sculturadell’oggetto di cui si sentiva la man-canza, ottenendo come risultato,più o meno riuscito, una scultura. Lacostruzione di piccoli oggetti soddi-sfaceva due necessità: da una partequelle elementari della convivenzafamiliare, dall’altra la concretizza-zione di una gioia, di un augurio inparticolari ricorrenze, tramite larealizzazione di un dono: si pensi,ad esempio, alle varie scatole-cofa-netti, funzionanti come portagioie,costruiti ed intagliati abilmente inlegni teneri, quali il pino cembro.Oggetti in legno erano prodotti inqualsiasi settore dell’economia do-mestica montana, dall’aratura deicampi alla produzione del formag-gio, dall’arredamento della casa allalavorazione dei cereali e alla panifi-cazione, dalla lavorazione dellevarie fibre tessili (prime fra tutte lacanapa), il lino e la lana, al tempo li-bero, con la produzione di stru-

menti musicali e giochi d’intratteni-mento per i ragazzi. Sarebbe lungoe laborioso stilare un elenco degliinnumerevoli oggetti prodotti, in re-lazione al tipo di legno utilizzato:basti ricordare che, in genere, pergli attrezzi agricoli venivano utiliz-zati legni duri, come il frassino, peroggetti d’arredamento legni più te-neri quali il pino e l’abete, l’aceroper gli strumenti musicali…

Testo e foto Serena Maccari (CAI Pinasca)

23. Gli strumenti in legno:

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15D L M M G V S D L M M G V S D

9 Lunedì dell’Angelo� 15 . 100 - 266 �5,39 - 18,45

LUNEDÌA

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elementi di arredo, attrezzi agricoli ed oggetti di utilizzo quotidiano

Vaglio

127

16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30L M M G V S D L M M G V S D L

14 S. Abbondio� 15 . 105- 261 �5,31 - 18,50

SABATO12 GIOVEDÌ 13 S. Ermenegildo e S. Martino I P.� ,

VENERDÌ

15 S. Annibale m.� 15 . 106 - 260 �5,29 - 18,51

DOMENICA

AP

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012

S. Zenone e S. Giulio Papa� 15 . 103 - 263 �5,34 - 18,48

Arcolaio

Oggetti da cucina

Sedia del sale

16 S. Bernadetta e S. Lamberto� 16 . 107 - 259 �5,28 - 18,52

LUNEDÌ 17 MARTEDÌ 18 S. Galdino vescovo� 16 . 109 - 257 �5,25 - 18,55

MERCOLEDÌA

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128

Le forme e le caratteristiche pe-culiari delle abitazioni montaneportano l’impronta delle tradi-zioni culturali: completamente inlegno dove questo è abbondante,come nelle Alpi austriache e sviz-zere, interamente in pietra nellezone di pianura o di bassa valle,dove sono abbondanti le roccescistose, facilmente sfaldabili inlastroni e blocchi. I materiali di-ventano misti in quelle aree dovela quantità dell’uno e dell’altronon permette la costruzione diun’intera abitazione con un solomateriale. La casa alpina, oltre aservire come abitazione umana,era generalmente sede delle atti-vità produttive derivanti dal la-voro agricolo e dall’allevamento.Le due funzioni non erano chia-ramente separabili in locali appo-siti e, spesso, venivano adibiti allaconservazione dei prodotti ali-mentari, al ricovero degli attrezzie al deposito della legna e delfieno anche locali la cui funzioneprimaria era comunque quellaabitativa. In legno, generalmente

larice, erano generalmente i pianialti della casa, con un’ intelaiaturache permetteva di lasciare ampiezone aperte, utili al fine dell’es-siccamento del fieno. La strutturadel tetto in legno consiste gene-ralmente in un’orditura a capriata,sostenuta da una trave di colmoal vertice superiore, all’incontrotra le due falde di tetto e da duetravi di gronda, una per ciascunafalda, poggianti sui muri perime-trali. Vi sono, inoltre, tante traviintermedie, sostenute da ca-priate. Altre travi sono ancora col-locate perpendicolarmente sopradi queste, sormontate a loro voltada travetti più piccoli ai quali è fis-sato il manto di copertura. Esso,se in legno, può essere costituitoda scandole di larice, lunghe circa2 metri, in genere sovrapposte su3 strati. Dove l’abbondanza dellamateria prima lo permetteva,anche la maggior parte dell’arre-damento della casa era costituitoda mobilio in legno. Per la realiz-zazione di mobili solidi e massicci,costruiti con lo scopo di durare

nel tempo, veniva usato general-mente legno di larice, in grado diassicurare una lunga durata, maanche troppo fibroso e facile ascheggiarsi e rompersi nelle ner-vature per essere utilizzato in pic-coli oggetti. I pannelli scolpiti,invece, erano generalmente inPino cembro, preferito per l’inta-glio perché più duttile e mallea-bile, tenero e robustocontemporaneamente, resistentealle deformazioni dovute al ca-lore. Le decorazioni risultavanoun elemento di secondo piano ri-spetto alla praticità degli oggetti:se non erano dovute alla neces-sità, come negli stampi per ilburro, dominavano nettamente imotivi geometrici ripetuti e li-neari, probabilmente per la faci-lità di esecuzione e riproduzione.Fra i tanti motivi ricorrenti si puòricordare il rosone, presente intutto l’arco alpino e ricco di signi-ficati: il richiamo del simbolo so-lare, già presente nell’artefigurativa rupestre risalente alperiodo preistorico, richiami di

24. L’uso del legno nell’architettura di montagna

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15D L M M G V S D L M M G V S D

S. Aniceto Papa e S. Roberto� 16 . 108 - 258 �5,26 - 18,53

16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30L M M G V S D L M M G V S D L

21 S. Anselmo� 16 . 112 - 254 �5,20 - 18,58

SABATO19 S. Emma e S. Timone� 16 . 110 - 256 �5,23 - 18,56

GIOVEDÌ 20 S. Adalgisa e S.Teotimo� 16 . 111 - 255 �5,22 - 18,57

VENERDÌ

22 S. Sotero e S. Caio� 16 . 113 - 253 �5,19 - 18,59

DOMENICA

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129

fede e superstizione al tempostesso, trasportando la rappre-sentazione decorativa ad unaforma di preghiera e comunica-zione. In generale poche sono ledecorazioni floreali, general-

mente stilizzate, ancor meno fau-nistiche, soprattutto uccelli suschienali di sedie o sui dorsi delleculle.

Serena Maccari (CAI Pinasca)

Capitello(Ph S.M.)

23 S. Adalberto e S. Giorgio m.� 17 . 114 - 252 �5,17 - 19,00

LUNEDÌ 24 S. Fedele da Sgmaringa� 17 . 115 - 251 �5,16 - 19,01

MARTEDÌ 25 S. Marco/Festa di Liberazione� 17 . 116 - 250 �5,14 - 19,02

MERCOLEDÌA

PR

IL

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012

130

Le carbonaie, ormai sempre piùintegrate nel paesaggio, sono mo-numenti a tutti gli effetti, testi-monianze di quella che comu-nemente è definita cultura imma-teriale.La Sardegna, ancora boscosa nel-l’Ottocento, subì in quel secolo unassalto alle sue foreste senza pre-cedenti. Ginepri, castagni e rovere furonotagliati per fornire il legname ne-cessario alla costruzione dellegallerie minerarie e ai moli deiporti; ma soprattutto leccio e cor-bezzolo, utilizzati nella produ-zione del carbone per le ferrovieche cominciavano a percorrere lapenisola, dopo l’Unità d’Italia, su-birono un’importante decima-zione. I resti delle carbonaie sono pre-senti in tutti i boschi dell’Isola el’attività dei carbonai, prevalente-mente di origine toscana, si pro-trasse sino agli anni cinquanta delNovecento. Dal mese di ottobre a primaverainoltrata era un gran fermento nei

boschi per le innumerevoli atti-vità la costruzione dei ripari pergli uomini addetti al taglio dei bo-schi, la scelta e il taglio dellepiante secondo criteri che varia-vano da zona a zona, e la produ-zione del carbone.Scelta la legna, si allestiva la piat-taforma dell’aia carbonile, spessorinforzata da blocchi di pietra epossibilmente non troppo di-stante da mulattiere o carrareccenecessarie per il passaggio deicarri addetti al trasporto. I rami, ripuliti dalle fronde, eranosistemati regolarmente in mododa formare un cumulo di formasemisferica, con un’apertura cen-trale, il camino.I tronchi erano ricoperti di terraumida, fronde e nuovamenteterra. Sulla calotta del cumulo icarbonai praticavano dei fori, i fu-maroli, che avrebbero permessoal fuoco di ardere lentamente inatmosfera povera di ossigeno esenza fiamma e secondo la dire-zione del vento. Il processo do-veva essere lento, cinque - sette

giorni. Terminata la cottura della legna,la carbonaia “cotta” veniva “pet-tinata “con un rastrello e il car-bone, raccolto in sacchi, eraportato a valle con i muli o gliasini o, in casi non rari, dalledonne con il caratteristico copri-capo fatto con uno straccio arro-tolato a spirale. Le carbonaie fumanti caratteriz-zavano il paesaggio montano pertutto l’autunno. Oggi assai numerose rimangonole tracce nelle piazzole abbando-nate a margini di sentieri e anti-che strade che percorrono le vallie i canaloni. A volerle censire tutte si avrebbeuna misura di quanto è andato, èproprio il caso di dirlo, in fumo.

Michela Grimal(O.N.C. CAI Cagliari)

25. Le Carbonaie in Sardegna

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15D L M M G V S D L M M G V S D

16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30L M M G V S D L M M G V S D L

28 S. Valeria� 17 . 119 - 247 �5,10 - 19,06

SABATO26 S. Cleto e S. Marcellino� 17 . 117 - 249 �5,13 - 19,03

GIOVEDÌ 27 S. Ida e S. Zita� 17 . 118 - 248 �5,11 - 19,05

VENERDÌ

29 S. Caterina da Siena� 17 . 120 - 246 �5,09 - 19,07

DOMENICA

AP

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012

131Forni gennaio 2011Rifugio Giaf(Ph D.G.)

30 S. Pio V Papa� 18 . 121 - 245 �5,07 - 19,08

LUNEDÌA

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132

Le seghe idrauliche, finalizzatealla produzione di tavoli e travi datronchi, si suddividono nei tipi aruota verticale, preferita laddovela portata del corso d’acqua èmaggiore e costante nell’arco del-l’anno, e a ruota orizzontale, cheinvece necessita di piccoli volumid’acqua a corrente rapida pre-senti principalmente negli ambitimontani. Quest’ultima aveva unoscarso rendimento che permet-teva un lavoro di nicchia riservatoalle famiglie rurali locali.In entrambi i casi è sempre pre-sente un lungo canale di addu-zione, o roggia, con il qualel’acqua necessaria viene captatapiù a monte, in modo da avere unsalto utile di altezza variabile. Da qui il liquido è convogliato o insuperficie o in sotterraneo, a pelolibero o in pressione (attraversoun ugello in legno o metallo dettodoccia) fino alla ruota, per poi ri-mettersi nel torrente dal quale èstato prelevato.L’albero ad essa collegato mettein moto una biella che aziona la

sega posta in verticale su un te-laio ligneo. I tronchi vengono si-stemati su di uno speciale carroche si sposta su rulli, mentre unaltro meccanismo consente il suoavanzamento.Il taglio viene quindi eseguito in“automatico” sia per quanto ri-guarda il movimento della segache per l’avanzamento del tronco.Con questo sistema, nello stessotempo di lavoro un solo operatorepuò tagliare una quantità di le-gname dieci volte superiore aquella segata da due uomini con iltradizionale segone a mano. In tutte le segherie idrauliche,

viene usato il sistema alternatodel movimento della lama: tra-mite un sistema d’avanzamento iltronco vi viene spinto contro equindi tagliato. Le prime macchine idrauliche peril taglio del legname risalgono al-l’epoca romana e si diffondononelle “alte terre” a partire dal IXSecolo. Non si conosce il tipo dimeccanismo utilizzato per azio-nare queste segherie, ma è moltoprobabile che fosse simile aquello descritto dall’architettofrancese Villard De Honnecourt,nel suo “Libro di cantiere” nel1245.Le segherie ad acqua si distin-guono in due soluzioni tecnologi-che: le “Augustane” e le “Vene-ziane”. Le “Augustane” o “Tedesche”hanno una grande ruota idraulicaverticale a cassette o a pale, unmoltiplicatore di giri a ruote den-tate, cinghie di trasmissione e ilsistema d’avanzamento postosopra il telaio.Questo sistema aveva il pregio di

26. La lavorazione del legname: le segherie

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15D L M M G V S D L M M G V S D

16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30L M M G V S D L M M G V S D L

133

poter funzionare anche con ri-dotti apporti d’acqua. Le “Veneziane” hanno la ruotaidraulica verticale, larga ma condiametro molto ridotto, collegatadirettamente al sistema biella emanovella e con il meccanismod’avanzamento del carro allog-giato sotto il pavimento. Tale si-stema viene descritto per laprima volta da Francesco di Gior-gio Martini e da Leonardo DaVinci del XV secolo. L’origine e ladiffusione delle segherie Vene-ziane appare legata alla Repub-blica di Venezia e al suo bisognodi grandi quantitativi di legnameper la propria flotta: fu infatti unarchitetto militare della Serenis-sima a brevettare questo mecca-nismo. Il più importante nucleoindustriale legato al taglio deitronchi con tale sistema si svi-luppò nell’alto Bellunese, sullerive del Fiume Piave attorno alXIV secolo. Questi sistemi si diffusero in tuttala Repubblica di Venezia, verso laSlovenia, l’Austria e le Alpi Occi-dentali. Dopo qualche secolo il si-stema biella e manovellasoppiantò quasi del tutto le se-gherie a camme Tedesche, le fa-mose “Klopfsagen”; nei paesi dimadrelingua tedesca la sega Ve-neziana era conosciuta con ilnome di “Venezianer Gatter” o“Venetianische Sagemulhe” conriferimento evidente dal luogo diprovenienza. La produttività giornaliera di unasegheria veneziana poteva va-riare soprattutto in base alle ca-ratteristiche di costruzione e deldiametro dei tronchi. Di massima una segheria di que-sto tipo, molto efficiente, tagliavacirca 2 metri cubi di legname in24 ore. Bisogna però tener contoche non si giudicava la produtti-vità in base alla cubatura, mapiuttosto in base al numero di ta-vole o ai metri lineari segati. Lesegherie più veloci, in dodici orepotevano tagliare circa 70-80 ta-vole.

Luca De Bortoli (CAI Belluno)

Potevano essere lunghe circa 20metri e larghe 4. Per costruire una zattera, occor-reva prima forare manualmentealle estremità con grosse trivellee poi legare con rametti di noc-ciolo ritorto (le sache e i sacolét)tutto il legname da spedire (tron-chi, travi, tavolame, ecc.) . Le zate (zattere) venivano as-semblate all’esterno delle seghe-rie in una depressione provvistadi porta che dava su un canalecon buona pendenza verso il tor-rente o fiume. Quando il natante era pronto, siimmetteva l’acqua nella depres-sione fino a farlo galleggiare; aquel punto si apriva a libro laporta che dava sul torrente a la

zattera partiva velocemente.La manovravano i zatér (zattieri)uomini coraggiosi che sfidavanole insidie delle accque: talora lazattera naufragava con gravi con-seguenze (anche la morte) deiconduttori. Quando giungeva a destinazione,si tagliavano i legami e tutto il le-gname veniva utilizzato, mentregli zattieri tornavano a casa apiedi. Il loro patrono era San Nicolò e,non a caso, ci sono chiese a lui de-dicate a Bribanét, Borgo Piave eCodissago, paesi di zatér.

Luca De Bortoli(CAI Belluno)

26b. La zattere lungo il piave ei suoi affluenti

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