Appunti darwiniani_1.2.

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//Appunti darwiniani// PARTE PRIMA Di Rosso Malpelo http://rosso-malpelo0.blog.kataweb.it/ Febbraio, 2014

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//Appunti darwiniani//

PARTE PRIMA

Di Rosso Malpelo http://rosso-malpelo0.blog.kataweb.it/ Febbraio, 2014

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//Appunti darwiniani// 1. //Un ignorante prova a nuotare: alla maniera di J. Ellroy// Si sa che Darwin ha posto l’uomo in una posizione di eguaglianza rispetto agli altri esseri viventi. Ha stabilito, cioè, che l’uomo appartiene alla famiglia molto vasta del regno animale. Non è dunque il re che per diritto divino è destinato a regnare sulla natura, ossia sugli altri animali, sulle piante e sugli altri esseri animati e inanimati che vivono sulla terra. Darwin è un “riunificatore” . Tutte le specie e le varietà degli esseri viventi vengono ricondotte ad unicum. Una forma di egualitarismo universale la cui base è l’origine comune della vita. La vita, non in senso esistenziale, ma in senso biologico, è accomunante, si diversifica, si trasforma, si riunisce, è unita, è collaborativa, è organizzata, esplode nel caos, è inafferrabile, si ripete e poi no, non si ripete. Che l’uomo da millenni spadroneggi sulla terra, però, è un fatto e ciò, come sembra, perché si è contraddistinto per un particolare processo evolutivo. Ed è da lì che parte Darwin dal concetto di evoluzione attraverso la selezione naturale. Un concetto che riguarda tutti gli esseri viventi, uomo incluso. Il concetto di evoluzione è un concetto base della vita: ciò che prima era qualcosa si trasforma in qualcos’altro. Un concetto antico come la terra, molto somigliante, se vogliamo, al Panta rei eracliteo (“Tutto scorre”). Un concetto molto rivoluzionario che diventò moneta corrente dopo la presa della Bastiglia. Progresso ed evoluzione: Diderot/Buffon procedevano e precedevano la rivoluzione illuminando il cammino con les ideés des philosophes. Tuttavia, ancora nel XIX secolo, il concetto di evoluzione, non era per niente un dato scontato per la comunità scientifica. Darwin ne dà conto nella parte introduttiva del suo “Origine della specie”1 facendo il punto sulle varie teorie e sugli studi che avevano affrontato l’argomento, fino a quelle che arrivavano a conclusioni simili alle sue (J.B. Lamarck, per citarne uno, il più noto, di orientamento giacobino, a quanto pare).2 Tutti hanno studiato Darwin a scuola. Io no. La scuola mi dava una noooiaaaaaa incredibile. Darwin ha un’intuizione. Darwin ha un metodo. Darwin è un naturalista. Darwin fa un luuungo viaggio su un brigantino inglese : “The Beagle”. Darwin ha trent’anni, ha una passione e si sbatte per cinque anni tra l’America meridionale e l’Australia (dal 1831 al 1836). Stop. Darwin si ferma per tutto il resto della vita in un villaggio di 500 abitanti del Kent. Lì si sposa. Lì concepisce la sua opera. Lì muore. Darwin ha le corna dure (di che segno era ? No, non lo voglio sapere). Lo immagino mentre mangia il brodo. In una mano ha una posata di legno e con l’altra si tiene la fronte mentre dice a se stesso: “Io sono pienamente convinto che le specie non sono immutabili; ma che tutte quelle che appartengono a ciò che chiamasi lo stesso genere, sono la posterità diretta di qualche altra specie generalmente estinta: nella stessa

1 C. DARWIN, Sulla origine delle specie per elezione naturale, ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l'esistenza, edizioni «A. Barion» della Casa per edizioni popolari - s. a.Sesto San Giovanni (Milano), 1933, Sunto Storico pg.4-8 (http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/). 2 Cfr. P. OMODEO, Introduzione a L’origine della specie per selezione naturale, Newton Compton Editore, e book 2011, pg. 3 .

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maniera che le varietà riconosciute di una specie qualunque discendono in linea retta da questa specie. Finalmente io sono convinto che l'elezione naturale sia, se non l'unico, almeno il principale mezzo di modificazione.” 3 E mentre lo dice il brodo gli cola lungo la barba da naturalista. Alcune note sparse a margine da:

- P. OMODEO, Introduzione a L’origine della specie per selezione naturale, Newton Compton Editore, e book 2011

- parte 8. Punto 1°: rifiuto del creazionismo. Ipotesi dibattuta, suffragata da volumi fantasiosi, acredine contro ogni accenno di evoluzionismo Punto 2° : Malthus : “la popolazione tende ad accrescersi più rapidamente di quanto si accrescano le sussistenze, sicché ogni generazione deve pagare un grosso contributo di morti per carestie ed epidemie.” Punto 3° : Allevamenti : conoscenza del modo in cui venivano migliorate le razze di pecore e cavalli. - parte 9. D. decise a pubblicare una versione del suo lavoro già in bozza nel 1842 e poi in una prima versione definitiva nel 1844, dopo che fu diffusa “Vestiges of the natural history of creation” R. Chambers (opera dilettantesca – solo tono evoluzionistico). Aveva un pregio: dati geologici e paleontologici venivano usati in modo razionale per dimostrare che di certi gruppi zoologici si poteva seguire la trasformazione nel tempo, il che documentava la loro evoluzione. D. capiva che il dilettantismo sfavoriva la causa dell’evoluzionismo. Si diede da fare con l’approfondimento degli studi zoologici (crostacei e fossili). 1854 D. si è impadronito di molte nozioni di bioologiiaaa: è pronto per affrontare sviluppi intorno all’evoluzione della specie. Si improvvisa agricoltore e allevatore: scopo: verificare lotta per esistenza allo scopo di vagliare idee su variabilità organismi ed origine. Percezione : la chiave dei fenomeni evolutivi stava nella corretta comprensione di come la variabilità ereditaria si genera e si perpetua all’interno di una popolazione. Molto giusto. In anticipo. - parte 11. - Herbert Spencer (1802 – 1903) “The development Hypothesis”, 1852 Le teorie spenceriane possono essere ascritte alla galassia dell’evoluzionismo pre-darwiniano (Buffon, Lamarck). Ciò che lega indissolubilmente Spencer a Darwin è il prestito dell’espressione “struggle for life” (lotta per la vita), coniata da Spencer ed adottata da Darwin nelle ultime edizioni dell’Origine, oppure della correlata espressione “survival of the fittest” (sopravvivenza del più adatto). Il pensiero di Spencer venne, in seguito adottato, ma per alcuni distorto, al fine di sostenere quella corrente di pensiero nota come “darwinismo sociale”, utilizzata a scopi politici e ben poco attinente con il vero lascito darwiniano.

3 Ibidem, pg. 11

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- Alfred Russel Wallace (1823 – 1913) nel 1852 compie una campagna in Indonesia (Società geografica Londra) prima: foresta amazzonica. Stesse conseguenze di Darwin. Terre dalle complesse vicende geologiche nelle quali la distribuzione delle specie viventi non era comprensibile se non su basi storiche. Anche lui riflette sugli studi di Malthus e sui risultati degli allevatori di bestiame. Giunge con un decennio di ritardo alle stesse conclusioni di D. Espose la teoria a D. e gli chiese di presentarla alla Linnean Society. Allora D. si decise a presentare anche la sua ricerca, unitamente a quella di Wallace: 1858 Ecco il titolo della ricerca (per intero): SULLA TENDENZA DELLE SPECIE A FORMARE VARIETA’ E SUL PERPETUARSI DELLE VARIETA’ E DELLE SPECIE MEDIANTE SELEZIONE NATURALE. (Darwin insieme a Wallace) Nel 1859 (cioè un anno dopo ed in seguito ad un frettoloso lavoro di revisione e completamento) pubblicò la prima edizione del suo lavoro. Ebbe successoooooo. 2.//Cercare la boa// Al di là di questi appunti un po’ burleschi proviamo ad andare al nocciolo della rivoluzione darwiniana. Bisognerebbe cominciare col dire che la questione religiosa che, spesso, viene agitata nel riprendere le teorie darwiniane, non è nient’altro che un mulinello di sabbia. La contrapposizione delle cosiddette “teorie creazioniste” alle teorie di Darwin, su cui si basa la biologia in generale e la genetica in particolare, non hanno ragion d’essere perché, semplicemente, non c’è alcuna contraddizione tra la fede - ma forse sarebbe meglio parlare di atteggiamento religioso nei confronti dell’esistenza - e l’evoluzione o teorie evoluzioniste. I principi dell’evoluzionismo, erano già riconosciuti, come si è accennato, dalla filosofia greca, correnti di pensiero, vale la pena sottolinearlo, che scorrono come fiumi ad alimentare la ricerca della conoscenza, in ogni campo: “ (…) dai filosofi della natura dell’antica Grecia (da Talete in poi), che ricercarono un principio naturale unificatore della realtà, (…) Basti ricordare che un abbozzo della teoria dell’evoluzione si trova già in Anassimandro; che Leucippo e Democrito svilupparono per primi una teoria atomica e che Epicuro, facendola sua, indicò regole di comportamento pratico dell’uomo a partire dalla vera conoscenza della realtà e dalla liberazione dalla paura degli dei; Eraclito descrisse un mondo in continua e incessante trasformazione e — così come Empedocle — abbozzò una teoria di dialettica degli opposti;(…).4 Le dinamiche di trasformazione della natura, dell’uomo, come parte dell’intero sistema biologico, i suoi processi, alla cui comprensione Darwin ci ha avvicinato, non stridono in ultima istanza, (se non con ottuse convinzioni, al limite della patologia del pensiero) con i rovelli di chi pensa che l’origine della vita sia e resti un mistero. Come giustamente è stato osservato: “Oggi non è più in discussione la nostra parentela con le scimmie, che è provata al di là di ogni ragionevole dubbio, e incontra ancora fortissime resistenze solo nelle frange ultraconservatrici dei cristiani battisti (forza politica potentissima nel sud degli Stati Uniti) come fra gli ebrei ultraortodossi, mentre non sembra creare difficoltà né al cattolicesimo né all’islam.” 5 4 Comitato Scientifico G.A.MA.DI., F. Engels nella Dialettica della Natura di Vincenzo Brandi in

Materialismo dialettico e conoscenza della natura, ARACNE editrice S.r.l., Roma, 2004, pg.9 5 C. Darwin, L’Origine della specie, Prefazione di L. e F. Cavalli Sforza, Bollati Boringheri, 2012, pg. 11

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Eppure la questione della negazione dell’evoluzione della natura ebbe, in origine, un rilievo enorme e non fu soltanto dettata da un presunto dogma religioso ma anche dall’atteggiamento rigido degli ambienti scientifici ed accademici con cui Darwin ebbe a scontrarsi. E’ lo stesso Darwin ad affermare nel “Compendio storico” posto all’inizio della sua “Origine della specie”: “ Fino a poco tempo fa, la grande maggioranza dei naturalisti credeva che le specie fossero immutabili e che fossero state create l’una indipendentemente dall’altra”. 6 Ora che ci siamo buttati, e cerchiamo di nuotare nel mare della nostra ignoranza, vediamo di aggrapparci ad una boa e di capire, in estrema sintesi, in che cosa consisteva questa “rivoluzione darwiniana”. Una cosa da chiarire subito è che non tutto è chiaro! Nel procedere dell’indagine scientifica ad ogni nuova scoperta si aprono mille frontiere dell’incognito. Anche su questo versante Darwin era un maestro perché sapeva che per poggiare un piede bisogna conoscere il terreno: la innumerevole quantità di esempi, le comparazioni, le ipotesi e, infine, sapere dire di non sapere. L’elemento principale di quella “rivoluzione”, che poi è il capolavoro darwiniano, è il trattato su “L’origine della specie” il cui titolo originario, meno stringato, contiene anche un’utile precisazione: “Sulla origine delle specie per elezione naturale, ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l'esistenza” . Nell’antica traduzione dall’inglese all’italiano “elezione” sta per “selezione”. Ad ogni buon conto il titolo originale è: “On the Origin of Species by Means of Natural Selection, or the Preservation of Favoured Races in the Struggle for Life”. Nella nostra ‘prova di galleggiamento’ possiamo provare ad esporre una sintesi, in modo più definito, dei primi cinque capitoli de “L'origine” e dei restanti capitoli in modo ancora più generico. Massì, proviamoci. Il Cap.I Nel Cap. I Darwin inizia a dare corpo alle sue riflessioni attraverso l’osservazione delle “variabilità allo stato domestico”. Variazioni che riguardano le piante coltivate e gli animali allevati dall'uomo. E' opportuno, al fine di iniziarci alla comprensione, riportare una osservazione posta all'inizio del cap. : “Mi sembra evidente che gli esseri organici debbano essere esposti per diverse generazioni a nuove condizioni di vita perché si manifesti in essi una somma apprezzabile di variazioni; e non appena l'organizzazione abbia incominciato a variare, essa rimane generalmente variabile per molte generazioni. Noi non abbiamo alcun esempio di forme variabili che abbiano cessato di modificarsi nello stato di domesticità; anche le più antiche fra le nostre piante coltivate,ad esempio il frumento, producono tuttora delle nuove varietà: e i nostri più antichi animali domestici sono pure suscettibili di modificazioni e miglioramenti rapidi.” 7 Darwin collega a quel concetto di trasformazione la constatazione dell’attuazione di questo processo per mezzo della selezione naturale. I due termini, nella concezione darwiniana, sono collegati.

� Le condizioni ambientali influenzano gli esseri viventi. � L’interazione tra esseri viventi e ambiente quando è costante (per generazioni)

causa variazioni alla struttura di tali esseri viventi. � Tale trasformazione una volta stabilizzata si mantiene nel tempo

6 Ibidem, Compendio storico del progresso delle idee sull’origine della specie, (C. Darwin), pg. 76 7 Ibidem, pg. 89

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Darwin rileva che LE CONDIZIONI DELLA VITA ossia L’AMBIENTE agiscono in due modi: - sull’intero organismo o su parti di esso; - oppure indirettamente attraverso ereditabilità (a mezzo degli organi di riproduzione) Dunque dice Darwin, due fattori sono preminenti: - la natura dell’organismo - la natura delle condizioni Il primo fattore (la natura dell’organismo) è più importante perché è stato riscontrato che: - avvengono variazioni simili in condizioni diverse - avvengono variazioni dissimili in condizioni che sembrano quasi uguali Tuttavia, nella conclusione, egli ammette che “la variabilità è regolata da molte leggi sconosciute, la più importante è forse quella dello sviluppo correlato”. Può essere utile, in chiusura di questa sintesi del Cap.I, osservare che cosa sia lo “sviluppo correlato”. - Correlazione di sviluppo Molte leggi governano la variabilità. Alcune sono vagamente note, e io ne farò menzione brevemente in altro luogo. Qui voglio soltanto parlare di ciò che può chiamarsi correlazione di sviluppo. Un cangiamento importante nell'embrione o nella larva induce sempre un mangiamento corrispondente nell'animale adulto. Esempi di correlazione di sviluppo I cani calvi hanno i denti imperfetti. I ruminanti aventi un pelo lungo e ruvido sono molto disposti a portare corna lunghe e numerose. I colombi calzati hanno una membrana fra le loro dita esterne; quelli che hanno il becco corto hanno piedi piccoli; se invece hanno un becco lungo, i piedi sono grandi. Per conseguenza, ove si scelgano individui modificati e si aumenti costantemente per accumulazione una particolarità qualsiasi dell'organismo, ne avverrà che, anche senza averne l'intenzione, si modificheranno altre parti dell'organismo in virtù delle misteriose leggi della correlazione di sviluppo. 8 - Una conclusione sintetica del Cap. I sulla “variabilità allo stato domestico”: La selezione operata dall’uomo (l’agente selettivo) scegliendo genitori con specifiche caratteristiche (i target della selezione), modifica razze/varietà e può anche creare nuove razze/varietà. Il Cap.II Il secondo capitolo, prende in esame la "Variazione allo stato di natura". Dopo aver visto che l’uomo (ossia allevatori di animali domestici ed agricoltori) mette in atto, ed ha messo in atto nel corso dei secoli, una vera e propria selezione artificiale continua che tende a favorire gli individui portatori di variazioni positive, la prima questione che pone Darwin è: “gli organismi che vivono nello stato di natura sono soggetti anch’essi a variazioni?” Sulla scorta di tale domanda si chiede se sia corretto parlare di “specie”. La domanda, ovviamente, non è oziosa. L’idea di specie potrebbe recare in sé il principio creazionista : specie distinte sono state create. Mentre Darwin sembra preferire il concetto di “varietà”:

8 Ibidem, pg. 93 e segg.

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“ Il termine <<varietà>> è quasi altrettanto difficile a definirsi ma in esso è generalmente implicita l’idea di una discendenza comune, a anche se è raramente dimostrabile “ 9 Il punto focale diviene l’ereditarietà (la trasmissibilità) delle variazioni. Il primo elemento di osservazione sono le differenze individuali: “Queste differenze individuali assumono per noi la massima importanza perché sono spesso ereditarie, come tutti sapranno, e perché forniscono il materiale su cui la selezione può agire, accumulandole; proprio allo stesso modo con cui l’uomo accumula, in una determinata direzione, le differenze individuali delle sue produzioni domestiche.”10 L’accumulo delle differenze individuali, allorquando divenga stabilizzato, dà origine alle varietà. Si osservi a tale proposito che: - Le varietà si distinguono dalle specie perché possono essere ricollegate tra loro da forme intermedie che le riconducano l’una alle altre. Tuttavia “il complesso di differenze ritenuto necessario per attribuire a due forme il rango di specie non può essere stabilito.” 11 Le specie, se ne deduce, sono quell’insieme di individui che possiedono caratteristiche analoghe non riconducibili, per convenzione, ad altri individui. Le specie più fiorenti o dominanti dei generi più grandi di ogni classe sono quelle che producono in media più varietà (quest’ultime tendono a diventare specie distinte). Inoltre: i generi più grandi hanno la tendenza ad accrescersi ed a dominare ed anche a suddividersi in generi minori.12 Il Cap.III La lotta per l’esistenza. Darwin ha osservato che allo stato domestico piante ed animali, con l’apporto dell’uomo, subiscono delle variazioni e che tali variazioni costituiscono una selezione di ciò che l’uomo, per i suoi usi, ritiene più adatto. Quindi, come si è visto, l’agente selettivo è l’uomo.

Darwin ha osservato che anche allo stato di natura si rilevano differenze tra individui, varietà e specie (per la verità Darwin sottolinea il fatto che si tratta di differenze individuali e che “poco importa che una moltitudine di forme dubbie sia chiamata con i nomi di specie, sottospecie, o varietà (…)” 13. Ma mentre nel primo caso l’agente selettivo è l’uomo (“selezione dell’uomo”) nel caso dello stato di natura come può avvenire che possano formarsi le differenziazioni di specie ? Come si sono perfezionati gli adattamenti di una parte dell’organismo a un’altra e alle condizioni di vita ? Qual è l’agente selettivo? La risposta è: la lotta per la vita ovvero il processo di adattamento alle condizioni di vita da parte degli organismi viventi. Diciamolo meglio con le parole di Darwin:

“In virtù di questa lotta le variazioni, per lievi che siano e da qualunque causa provengano, purché siano utili in qualche modo agli individui di una specie nei loro

9 Ibidem, pg. 120 10 Ibidem, pg. 121 11 Ibidem, pg. 135 12 Che cosa è una “specie”? Il grande naturalista svedese Linneo (Råshult 1707 - Uppsala 1778), che credeva nell’ordine intelligente, stabile e originario del creato, classificava gli esseri viventi della terra su tre livelli:

1. Individui es: Abele 2. Specie es: uomo, scimmia, cavallo, castagno, etc. 3. Generi es: animale, pianta Darwin ritiene che solo gli individui esistano. La specie è quel “limite” che permette a due individui di accoppiarsi e procreare. Individui che appartengono a due specie diverse non possono procreare.

13 Ibidem pg. 137

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rapporti infinitamente complessi con gli altri organismi e con le condizioni fisiche della vita, tendono alla conservazione di tali individui, e a trasmettersi ai loro discendenti.” 14 Questo principio è la “selezione naturale”, operata, cioè, dalla natura e non dall’uomo. Darwin associa il suo principio, ossia la lotta per la vita, a quello di Herbert Spencer: “sopravvivenza del più adatto”. Darwin specifica che l’uso di questa espressione è da intendersi in modo ampio: “(…) in un senso lato e metaforico”. E’ una chiave, o meglio un passpartout, da utilizzare per aprire nuovi sviluppi. Darwin intende infatti tale concetto non solo come la lotta del singolo individuo ma anche come necessità della reciproca dipendenza degli esseri viventi che, insieme, provano a sopravvivere e, ancora più importante, a lasciare una discendenza. La lotta per l’esistenza è lotta collettiva, la lotta per la sopravvivenza quotidiana però, in casi estremi, è anche lotta fra singoli. L’eredità di questa teoria che, come si può vedere, è ambivalente lascerà spazio al cosiddetto “darwinismo sociale” ed alle derivazioni perlopiù aberranti di talune teorie politiche. Perché si verificherebbe questo fenomeno della “lotta per l’esistenza”? A questa domanda che si insinua all’interno del principio della selezione naturale Darwin risponde basandosi su una constatazione : “la rapida progressione con cui tutti gli esseri viventi tendono a moltiplicarsi” . Una progressione geometrica legata alla capacità riproduttiva che cozzerebbe con la disponibilità di risorse quindi, sostiene Darwin: “ poiché nascono più individui di quanti ne possano sopravvivere, deve necessariamente esistere una lotta per l’esistenza, fra individui della stessa specie, fra quelli di specie diverse, e di tutti gli individui contro le condizioni fisiche della vita” 15

Una constatazione che Darwin deriva, dichiarandolo esplicitamente, dalle teorie

socio economiche di Thomas Malthus (Saggio sul principio della popolazione , 1838) : “La

tesi sostenuta da Malthus in questa sua opera è che, per quanto rapidamente crescano i

mezzi di produzione e di sostentamento, le popolazioni umane crescono più in fretta;

quindi, a meno di non intervenire per controllarne lo sviluppo, è inevitabile che i mezzi

per sopravvivere finiscano per scarseggiare. Infatti, secondo Malthus i mezzi di

sostentamento crescono in progressione aritmetica (1, 2, 3, 4…), mentre la popolazione

cresce in progressione geometrica (1, 2, 4, 8…) e, dunque, molto più rapidamente.” 16 Teoria questa che secondo Darwin può essere “applicata con molta maggior forza all’intero regno animale e vegetale, perché in questo caso non può esservi alcun aumento artificiale di cibo, né alcuna astensione prudenziale dal matrimonio” 17 Nel prosieguo dell’analisi darwiniana contenuta nel cap. si riscontra, come spesso accade, una dichiarazione di ignoranza dello stesso Darwin: “(…) le cause che ostacolano la tendenza naturale di ciascuna specie all’aumento sono oscure (…)” 18 Vengono infatti riportati esempi contrastanti: - uova e animali giovani sembra siano i più colpiti per svariate ragioni ma non sempre è così che accade; - la quantità di nutrimento determina per ogni specie il limite massimo del suo sviluppo ma spesso la limitazione allo sviluppo non è la difficoltà a procurarsi il cibo bensì l’essere preda di altri animali. Tra le altre cause che vengono addotte come determinanti sulla crescita o diminuzione del numero medio degli individui c’è il clima laddove l’elemento climatico determini il venir meno di risorse primarie per la sussistenza. Le epidemie, ovviamente. 14 Ibidem pg. 138 15 Ibidem pg. 140 16 AA.VV. La biologia scienza della vita, 2014, Zanichelli 17 C. Darwin, L’Origine della specie, Bollati Boringheri, op. cit. pg. 140 18 Ibidem pg. 142

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Darwin sostiene infine che la lotta per l’esistenza è più aspra fra individui e varietà di una stessa specie mentre può darsi cooperazione tra specie e/o individui molto lontani fra loro nella scala naturale. Le forme affini occupano quasi lo steso posto nell’economia della natura. Il Cap.IV Selezione naturale o sopravvivenza del più adatto. A questo punto si cercherà di comprendere “in quale modo agisce sulla variazione la lotta per l’esistenza”, come si intrecciano, cioè, i due capisaldi della teoria evoluzionista. Il cardine rimane quello della selezione naturale, ossia quello che, anche attraverso le variazioni “di struttura o di costituzione può rovesciare la ben equilibrata bilancia della lotta per l’esistenza”. Si può dire, continua Darwin, “che la selezione naturale sottoponga a scrutinio, giorno per giorno e ora per ora, le più lievi variazioni in tutto il mondo, scartando ciò che è cattivo, conservando e sommando tutto ciò che è buono” 19 Darwin ritiene inoltre che, negli animali sociali, le variazioni nella struttura del singolo potranno essere selezionate qualora arrechino un vantaggio all’intera comunità. Un altro fenomeno si aggiunge a quelli già osservati : la selezione sessuale. Questo tipo di selezione riguarda un particolare aspetto ossia la lotta degli individui di un sesso, generalmente maschi, per il possesso delle femmine. Potere prevalere sugli altri maschi di un gruppo conferisce una maggiore possibilità di riprodursi. Il fine di questa lotta è pur sempre la sopravvivenza collettiva: la riproduzione della specie. Non in tutte le specie questa competizione avviene per mezzo di ‘armi’ (gli speroni del gallo o le corna del cervo) ma anche con mezzi legati a messaggi estetici: Darwin cita gli uccelli del paradiso (rupicole della Guaiana) che mettono in mostra penne e piume multicolore e vengono scelti dalle femmine sulla base della loro capacità attrattiva. Darwin si sofferma poi sull’isolamento geografico e sull’influenza di questo fenomeno nella modificazione della specie mediante la selezione naturale. L’isolamento è strettamente collegato alla lentezza con cui si verificano le variazioni per la mancanza (o la rarità) di contaminazioni. Tuttavia Darwin ritiene che l’ampiezza di un territorio, come habitat di sopravvivenza delle specie, è un elemento basilare per “per la produzione di specie capaci di perpetuarsi per un lungo periodo e diffondersi ampiamente”. Aggiunge che le nuove specie formatesi in territori ampi, quelle cioè che già hanno mostrato di avere caratteristiche prevalenti nei confronti di altre forme, “sono quelle che si diffonderanno più ampiamente, e daranno origine al più gran numero di nuove varietà e specie.” 20 Altra peculiarità riscontrata da Darwin nel processo di variazione, ossia di evoluzione delle specie, è la “divergenza dei caratteri”. Le varietà sono, in accordo alla visione darwiniana, “specie incipienti”, come accade che le differenze che distinguono un gruppo dall’altro si accentino fino a produrre un gruppo tale da potere essere classificato come una specie distinta? Ogni lieve differenza, purché utile ad incrementare le possibilità di sopravvivenza, sarà selezionata nel tempo fino a pervenire ad uno sviluppo progressivo di tale differenza che la renderà ragguardevole sino a raggiungere dei caratteri distintivi: “Quanto più differenziati per abitudini e struttura divengono i discendenti del nostro animale

19 Ibidem pg. 156 - 157 20 Ibidem pg. 176

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carnivoro, [il rif. nell’esempio è ad “animale carnivoro” ma è estensibile ad altri organismi viventi] tanti più posti essi saranno in grado di occupare.” 21 Ne consegue che la selezione naturale agisce per mezzo della conservazione e accumulazione delle variazioni. Queste ultime in relazione alla loro utilità rispetto all’ambiente. Darwin sostiene che questa evoluzione reca un consequenziale mutamento di “organizzazione” della struttura degli esseri viventi (pg.193). Qui Darwin compie una serie di riflessioni circa la relatività delle variazioni in ordine ad una considerazione qualitativa, in senso progressivo o meno, che varia a seconda delle specie. Ad esempio, in alcune specie si verificano, rispetto ad un parametro ipotetico di sviluppo, delle regressioni che rappresentano comunque un’evoluzione relativa. Se si ritiene di adottare, comunque, un criterio al fine di compiere una valutazione qualitativa, in senso progressivo dell’evoluzione, esso può essere il grado di differenziazione e di specializzazione dei vari organi in ciascun essere adulto. Si tenga presente che sarebbe possibile il caso che, per la selezione naturale, si verifichi un adattamento in un ambiente in cui uno o più organi potrebbero essere superflui; “in tal caso vi sarebbe una retrocessione nella scala dell’organizzazione”. (cfr. pg. 194). Afferma, inoltre, Darwin che non è sostenibile il principio secondo cui “tutti gli esseri viventi tendono ad elevarsi nella scala naturale” e, una volta selezionata, questa specie “eletta” avrebbe dovuto procedere alla soppressione di tutte le specie “inferiori”. Anzitutto: questa condizione non si è verificata in natura. Le specie, ad un differente grado di “evoluzione”, convivono. E ciò perché “la selezione naturale, o la sopravvivenza del più adatto, non include necessariamente uno sviluppo progressivo –essa unicamente si avvantaggia delle variazioni che sorgono e che sono utili a ciascuna creatura nelle sue complesse relazioni di vita”. (v. pg. 194-195) Il Cap. 5 Le leggi della variazione Darwin affronta in questo capitolo il nodo che solo con l’aiuto di Mendel si sarebbe iniziato ad allentare nei decenni successivi. Mendel che, per ironia della sorte, negli stessi anni in cui Darwin sviluppava la sua teoria sull’origine della specie metteva a fuoco le sue leggi dell’ereditarietà, teoria che poneva le basi per la futura genetica. Infatti, quando Darwin si interrogava sulle leggi della variazione affermava di non sapere quale fosse la causa di ogni variazione, o meglio: quale fosse il processo attraverso cui si verificavano le variazioni e come venivano trasmesse. Processo che poi troverà alcune risposte fondamentali nella scienza genetica che ha avuto, appunto, tortuosamente avvio dalle ricerche di Mendel.22 Non si sa, in effetti, se Darwin avesse avuto modo di conoscere tali teorie, sebbene contemporanee: “Non ci sono prove né a favore né contro: la rivista sulla quale furono pubblicati i risultati di Mendel era piuttosto diffusa, e Darwin avrebbe potuto benirne a conoscenza. Forse l’articolo non lo colpì: in fin dei conti, Mendel non era un evoluzionista, anzi il contrario”. 23 Infatti la sua teoria sull’ereditarietà (e i connessi esperimenti di botanica) che, sia detto per inciso, non ebbe alcun successo mentre lui era in vita, non era lo sviluppo necessario di una teoria più ampia, come quella darwiniana, quest’ultima, in modo particolare, era probabilmente molto lontana dalla visione di un monaco agostiniano.

21 Ibidem pg. 181 22 Gregor Johann Mendel (Hynčice, 22 luglio 1822 – Brno, 6 gennaio 1884) naturalista, matematico e monaco agostiniano ceco. 23 Juan L. Arsuaga, Luce si farà sull’origine dell’uomo, Feltrinelli, 2006, pg. 34

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Darwin si trovava di fronte ad un insieme sistematico di osservazioni rilevate dalla natura e non riusciva a capire in che misura “le mutate condizioni, come quelle del clima, cibo, etc., abbiano agito in maniera definita” sulla stabilizzazione delle variazioni, indi sull’evoluzione delle specie. Si era trovato di fronte a fenomeni contraddittori: “esempi di varietà simili che sono prodotte dalla stessa specie, in condizioni di vita tanto differenti quanto si possa immaginare; e d’altra parte di varietà differenti che sono prodotte in condizioni esterne di vita apparentemente identiche.” Conclude Darwin: “Considerazioni come queste mi inducono ad attribuire minor peso all’azione diretta delle condizioni ambientali, che a una tendenza a variare che ignoriamo completamente”. 24 Tuttavia la teoria Darwniana, sebbene rimasta ‘aperta’ su una soluzione definitiva che dia ragione di una legge fondamentale delle trasmissione delle variazioni, sostiene che “il cambiamento delle condizioni produce generalmente una semplice variabilità fluttuante, ma talvolta provoca effetti diretti e definiti” . Si osservi, a tale proposito, che una certa influenza su Darwin era effettivamente esercitata dalle teorie di Lamarck “(…) è chiaro che, nella ignoranza da lui denunciata, come si è detto, delle cause della variabilità, Darwin abbia ammesso la possibilità che cause ambientali ed effetti dell’uso e non uso degli organi determinino variazioni ereditarie. Il suo pensiero fu oscillante a questo riguardo: si sente spesso l’ombra del dubbio su questo assunto. Tuttavia egli non scartò mai decisamente questa possibilità. “ 25 Nella sintesi che propone Odifreddi, in un agile libretto dalla meritoria impostazione divulgativa, la teoria evoluzionista che Darwin propone nei primi cinque capitoli del suo L’origine della specie è basata su un meccanismo che combina casualità e determinismo. E qui entriamo nella questione delle leggi della variazione: “La casualità interviene nelle variazioni ereditarie che producono i cambiamenti generazionali degli individui di una data specie. Su queste variazioni Darwin non si azzarda a fingere ipotesi (…), e la loro natura sarà spiegata soltanto dalla genetica mendeliana”. Mentre il determinismo interviene sulla selezione di queste variazioni. Selezione che, come si è visto, è di tre tipi: selezione artificiale, selezione naturale (“… che agisce in base ad un criterio utilitaristico di conservazione delle variazioni utili ed eliminazione di quelle inutili (…) <<la sopravvivenza del più adatto nella lotta per la vita>>”) e selezione sessuale che è un particolare risvolto della lotta per la vita : il modo, o meglio le caratteristiche fisiche, con cui i/le viventi selezionano i/le proprie/i partner per l’accoppiamento. La maggiore o minore capacità attrattiva darà, o meno, una chance di trasmettere i propri geni e di perpetuare, in ultima analisi, la specie, secondo una ulteriore modalità selettiva.26 Tornando per un momento alla questione della ereditarietà dei caratteri acquisiti , che per Lamarck era un tratto fondamentale, Odifreddi osserva che Darwin era andato anche al di là di Lamarck stesso non escludendo anche l’ereditarietà delle mutilazioni accidentali. Abbiamo verificato il passaggio cui Odifreddi si riferisce, proprio nell’edizione citata del 1872, e , come costantemente praticato da Darwin, si riferiscono osservazioni sperimentali aggiungendo soltanto: “Le prove che le mutilazioni accidentali possano essere ereditate non sono attualmente decisive; ma gli interessanti casi osservati da Brown-Séquard nelle cavie relativi agli effetti ereditari di operazioni, dovrebbero renderci più cauti nel negare questa tendenza” 27

24 C. Darwin, L’Origine della specie, Bollati Boringheri, op. cit. pg. 203 25 C. Darwin, L'origine della specie, l'origine dell'uomo e altri scritti sull'evoluzione, Newton Compton, Introduzione di Pino Cacucci, G. Montalenti, P. Omodeo e L Pavolini. In G. Montalenti , Introduzione, 2. L’evoluzione del pensiero di Darwin 26 P.Odifreddi, In principio era Darwin, Tea, 2010, pg. 50-52 27 C. Darwin, L’Origine della specie, Bollati Boringheri, op. cit. pg. 205

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Il punto distintivo tra Lamarck e Darwin su tale questione era dunque il “(…) rifiuto di quel principio della tendenza interna al perfezionamento che Lamarck credeva esistere negli organismi , e che rappresenta una delle forze metafisiche da cui Darwin aborriva.” 28 . Tuttavia, Darwin che per sua esplicita ammissione non conosceva le leggi dell’ereditarietà, laddove riscontrava, da studi ed esperimenti compiuti, elementi di riflessione li annotava enucleandoli insieme ad altri. Gli sviluppi successivi, al fine di chiarire l’esito di questa vicenda, cercheremo di riportarli in seguito. I restanti capitoli. Assodato che la teoria darwiniana è contenuta principalmente nei primi cinque capitoli dell’opera, Darwin, nel prosieguo, si occupa (VI e VII capitolo) di anticipare le eventuali obiezioni che potranno essere avanzate alla sua teoria. Le domande che si autopropone Darwin non sono da poco: Visto che le specie derivano da altre specie, perché in mezzo a noi non riscontriamo l’esistenza di forme transitorie? Insomma, come mai non siamo circondati da ibridi e, invece, le specie sembrano ben definite? E poi: un pipistrello, da quale altro animale dotato di struttura e di abitudini diverse potrebbe provenire? Oppure: come è arrivata la selezione a produrre “una struttura tanto portentosa, come l'occhio, del quale noi possiamo appena conoscere la perfezione meravigliosa”? Ancora: e gli istinti? Vengono a modificarsi, o ad essere acquisiti, attraverso la selezione naturale? “Quale istinto possiamo noi addurre più meraviglioso di quello che conduce le api a fabbricarsi le loro celle, che praticamente hanno preceduto le scoperte di profondi matematici?” Perché gli incroci tra specie diverse sono improduttive, o producono prole sterile, mentre gli incroci tra varietà risultano fecondi?29 Alla prima domanda Darwin risponde con un ragionamento legato al processo della selezione naturale: la nuova specie selezionata (modificata) tenderà a prendere lo spazio occupato dalla specie progenitrice la quale finirà per estinguersi. Alla seconda domanda, in riferimento ai ‘passaggi’ (transizioni) da una specie ad un’altra, nel corso del processo di selezione/evoluzione, con differenze sostanziali tra l’una e l’altra (come ad esempio: da animale carnivoro terrestre ad animale acquatico), Darwin risponde citando l’esistenza di animali che sembrano appartenere a specie di transizione (gradi intermedi) in cui ci sono presenti sia abitudini acquatiche che terrestri (Mustela vison). Alla terza domanda, intorno alla difficoltà di ritenere possibile, attraverso la selezione naturale, lo sviluppo di organi di estrema perfezione e complessità, come l’occhio, Darwin sostiene che già nella natura stessa è possibile osservare che esistono individui, di diverse specie e rango, che presentano gradi diversi di sviluppo e complessità dell’organo della vista, il che ci fa presupporre che sia anche possibile un’evoluzione da organi semplici ad organi più complessi che rispondano ad esigenze di adattamento e miglioramento in relazione alla capacità di sopravvivere. Beninteso: tali trasformazioni avverrebbero, in prima istanza, in modo casuale e verrebbero selezionate per il grado di rispondenza alla capacità di sopravvivere in un determinato habitat.30

28 C. Darwin, L'origine della specie, l'origine dell'uomo e altri scritti sull'evoluzione, Newton Compton, op. cit. 29 Cfr. C. Darwin, L’Origine della specie, Bollati Boringheri, op. cit. pg. 231 30 Cfr. C. Darwin, L’Origine della specie, Bollati Boringheri, Cap. VI, pg. 231-268

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Alla domanda sull’istinto, se cioè ci possa essere evoluzione e/o trasformazione, attraverso la selezione naturale, Darwin dedica il cap. VIII. Darwin afferma, nel trattare l’argomento, che non è sua intenzione indagare l’origine delle facoltà mentali più di quanto non abbia quella di indagare l’origine della vita. E non è male ribadirlo. Non tenta di dare una definizione di ‘istinto’ ma suggerisce che “numerosi e distinti atti mentali sono comunemente designati con questo termine”. Un animale giovane che compie un’azione che per noi richiederebbe riflessione e pratica è considerata istintiva. Darwin osserva che, a proposito di azioni di tal genere, alcuni studiosi hanno parlato di ‘abitudini’ associandole all’istinto. Se un’azione abituale diviene ereditaria (e sembra che talvolta accada) allora istinto e abitudine sembrano assimilabili. Tuttavia esclude che tale considerazione valga per gli istinti più complessi come quello delle api. In questo caso Darwin attua un parallelismo tra ciò che avviene nell’evoluzione/trasformazione della conformazione fisica degli organismi viventi e l’istinto, nel senso che al variare delle condizioni ambientali, attraverso la selezione naturale, anche gli istinti possono variare, perfezionarsi o a anche modificarsi, magari anche in senso regressivo, come quegli organi che cadendo in disuso perdono la loro funzione e si atrofizzano. La selezione naturale, nel caso degli istinti, potrà avvenire attraverso l’accumulazione di “numerose ma utili piccole variazioni”. Circa la trasmissibilità ereditaria delle variazioni dell’istinto Darwin sostiene che bisogna ricorrere all’esame di tale fenomeno riscontrandolo negli animali allo stato domestico (gatti, cani, uccelli). Tratta poi, in modo diffuso, dell’istinto della schiavitù nelle formiche e dell’istinto dell’ape domestica a costruire celle. 31 Il cap. IX (Ibridismo) dedicato alla questione della sterilità negli incroci tra razze diverse è la risposta all’ultima domanda posta nell’incipit al VI cap. La barriera della sterilità “impedisce a due serie di forme che siano alquanto differenziate tra di loro di riunirsi nuovamente, mescolandosi e fondendosi in una forma unica, nella quale si avrebbe la perdita totale del differenziamento iniziale.” 32 Aggiunge Montalenti : “Lo studio di questi processi d’isolamento è attualmente oggetto d’indagine dei genetisti che ne riconoscono l’importanza come uno dei fattori essenziali dell’evoluzione” 33 Il resto dell’opera magna darwiniana, dal X al XIV capitolo, è dedicata a provare l’evoluzione come ‘evento storico’ che si è svolto sulla faccia della terra. Infatti il X e l’XI capitolo sono dedicati ad indagare l’aspetto geologico. In particolare per rispondere alla più ovvia e seria obiezione che si possa muovere alla teoria: il fatto che la geologia non sveli una catena organica perfettamente graduata. A questo proposito Darwin osservò che la verifica della documentazione geologica dà necessariamente risultati imperfetti, rispetto ad una ricerca che si ponga come obiettivo quello di recuperare una conoscenza completa che testimoni di tutte le fasi evolutive della Terra. Intervengono, infatti, processi di ogni tipo : “Tra due strati geologici sovrapposti possono esserci lacune più o meno lunghe. Uno strato geologico di natura sedimentaria contenente le forme di vita dell’epoca fossilizzate può essere stato interamento distrutto

31 Cfr. C. Darwin, L’Origine della specie, Bollati Boringheri, op. cit. Cap. VIII, pg. 308-340 32 C. Darwin, L’Origine della specie, Bollati Boringheri, Introduzione di G.Montalenti, pg. 35 33 Ibidem

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dai processi di erosione oppure un lungo periodo di tempo oggi può essere rappresentato, a causa delle enormi pressioni esercitate, da un sottile strato di pochi millimetri.” 34 Aggiunge Darwin, dopo avere elencato le ragioni dell’incompletezza della documentazione geologica atte a dimostrare le connessioni tra le varie specie lungo l’arco delle ere che hanno segnato l’evoluzione, che “(…) - pur trovandosi numerosi legami – non incontriamo un numero infinito di varietà, che colleghino tra di loro con gradazione perfetta tutte le forme estinte e viventi.” 35 La prudente ed onesta conclusione di Darwin è una concessione al pregiudizio, resa, tuttavia, ineffabile perché laddove manca l’evidenza scientifica, si potrebbe supplire con ragionamenti stringenti da ancorare ai molteplici indizi raccolti nelle numerose pagine dell’opera darwiniana, ma chiunque volesse potrebbe anche ignorare l’evidenza e, se vogliamo, la necessità dell’imperfezione delle prove fornite dall’osservazione degli strati geologici e dei ritrovamenti di fossili: “Chiunque si rifiuti di ammettere l’imperfezione dei documenti geologici, dovrà respingere tutta la mia teoria.” 36 Circa le differenze tra organismi viventi, sulle diverse realtà geografiche del paese, quella che Darwin definisce “Distribuzione geografica” (cap. XII-XIII), l’assunto principale è che non è possibile spiegare somiglianza e dissomiglianza degli esseri organici, in diverse parti del mondo, in base al clima o ad altre condizioni fisiche. L’osservazione parte dal fatto che in varie aree del pianeta (es.Vecchio e Nuovo Mondo) si riscontrano parallelismi di climi e di habitat a fronte di una grande diversità tra gli organismi che vi abitano. Darwin riscontra, inoltre, che le barriere che si frappongono alla libera migrazione sono in stretta correlazione con le differenze che si possono riscontrare tra le epoche. Quindi le differenze tra le varie specie, piccole o grandi, nelle diverse aree geografiche, non dipendono in misura prevalente dalle condizioni fisiche ma dalla possibilità di contatto tra viventi. Darwin nell’analizzare le differenze nelle varie aree geografiche percorre anche ipotetici corridoi ecologici, nel tempo e nello spazio. Il punto di partenza è duplice: le differenze tra le specie sottintendono altrettante analogie. Queste analogie, variamente osservate, presuppongono una comune origine. Le differenze, per le specie che si evolvono e non si sono estinte, sono legate agli spostamenti, alle migrazioni, quando le condizioni fisiche, succedutesi nelle varie ere, lo hanno consentito (es.: glaciazioni) ed alle possibilità o impossibilità di incroci, nonché alle modificazioni che si sono accumulate per opera della selezione naturale. Nel penultimo capitolo (XIV) Darwin tratta l’argomento delle “affinità reciproche” tra gli esseri viventi in relazione ai problemi di classificazione in gruppi, sottogruppi, etc. riscontrati dai naturalisti. Problemi legati a differenze ed analogie che rendono incerta la classificazione di talune specie o varietà. A tale proposito Darwin sostiene che “(…) tutte queste cose sono conseguenze naturali, se ammettiamo la comune parentela delle forme affini, nonché le loro modificazioni attraverso la variazione e la selezione naturale (…)”37 L’elemento della comune origine altro non è che l’elemento della discendenza, partendo dal quale Darwin ipotizza un sistema naturale di classificazione genealogica”in

34 Raffaele Carlo de Marinis, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI M ILANO , Dipartimento di Scienze dell’Antichità

Sezione di Archeologia, Origine ed evoluzione dell’Uomo, Dispensa del corso di Preistoria – modulo A –

a.a. 2008-2009, pg.. 42

35 C. Darwin, L’Origine della specie, Bollati Boringheri, op. cit., pg. 427 36 Ibidem 37 Ibidem pg. 523

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cui i gradi delle differenze acquisite sono espressi con i termini di varietà, specie, generi, famiglie, ordini e classi.”38 Nell’ultimo capitolo (XV) Darwin traccia una ricapitolazione della sua esposizione, ponendo l’accento sul contrasto tra evoluzionismo e creazionismo ribadendo, in tal modo, come la comune origine della vita, attraverso l’esame della documentazione geologica e la distribuzione geografica, sia stata dimostrata da argomenti ed osservazioni che confutano le difficoltà e le obiezioni che Darwin si autoproponeva nel VI e VII capitolo. La maggiore difficoltà che Darwin pone ad ostacolo della sua teoria può essere sintetizzata nel fatto che “A prima vista niente può sembrare più difficile del credere che i più complessi organi e istinti si siano perfezionati non con mezzi superiori, sebbene analoghi, alla ragione umana, ma per l’accumulazione di innumerevoli variazioni, ciascuna utile al loro possessore individuale.” 39 Variazione ed evoluzione, differenze ed analogie, stanno lì a spiegare la continua trasformazione del processo della vita anche nella sua storicità. Habitat e condizioni climatiche determinano movimenti e spostamenti alla base delle trasformazioni, degli incroci, delle varietà che si riscontrano in natura. Processi, secondo il convincimento darwiniano, che sono avvenuti lungo secoli e millenni: “Natura non facit saltum”. Insomma, non è così come siamo che siamo stati creati. C’è stata evoluzione e si è basata su un duplice meccanismo, casuale e deterministico. Causale laddove si riferisce alle variazioni ereditarie che producono modifiche nelle specie e di cui Darwin non è nelle condizioni di dare una spiegazione ignorando le leggi della genetica, e deterministico laddove si produce una selezione di tali variazioni attraverso la selezione artificiale, la selezione naturale e la selezione sessuale. Questa visione ricorda, infine, saggiamente Darwin non è in contrasto con nessuna fede religiosa : “Non vedo nessuna ragione per pensare che le opinioni esposte in questo volume debbano turbare la fede religiosa di chicchessia. E’ soddisfacente, come prova per dimostrare quanto transeunti siano queste impressioni, ricordare che la più grande scoperta che l’uomo abbia mai fatto, cioè la legge della forza di gravità, fu altresì attaccata da Leibniz <<come sovversiva della religione naturale e conseguentemente della religione rivelata>>.”40

38 Ibidem pg. 524 39 Ibidem pg. 525 40 Ibidem pg. 544