Appunti dal Corso di Filosofia teoretica (si parva licet componere magnis) in lingua volgare tratti...
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Appunti dal Corso di Filosofia teoretica
(si parva licet componere magnis)
in lingua volgare tratti dallo studente di filosofia
Lapo Piccionis
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Questo corso è cominciatocon un tale sulle scale:
«Se di chiudere ho scordato?»– questo è il dubbio che lo assale.
Guarda in tasca ed ha le chiavie ricorda chiaramente(forse tu ne dubitavi?)che abitudinariamente
chiude l’uscio a due mandatee le chiavi poi ripone.
Nella tasca le ha trovate:dunque ha chiuso anche il portone!
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Fatti solo ha pochi passied il dubbio lo riassale:«E se male ricordassi?»E già corre per le scale
perché vuol verificarese la porta sua ha serrato:
guarda e tocca per saggiare- vista e tatto hanno il primato
sui fantasmi del passatoche il ricordo ripropone.
Ora è certo, ha controllato: era chiuso il suo portone.
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Ora sa quello che ha fatto:di sapere è ben sicuro!
Poi rammenta che è distrattoe il suo volto si fa scuro.
Era chiuso quel portone,ma seduto sui gradinipensa con agitazione:«E se fosse dei vicini
il porton che ho controllato?Gente dedita ai quattrini
che il porton certo ha serrato».Se tu guardi sui gradini
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vedi un uomo un po’ perplesso:il suo treno è già partito,
ma non questo è ciò che adessorende il suo sguardo smarrito.
Nella testa si fa stradaun pensier nuovo ed arcano:
è possibile che accadache il saggiar sia sempre invano,
che ogni nuova conoscenzasia dal dubbio indebolita,che la più salda evidenza
si dissolva tra le dita,
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che il sapere non esista,che sia solo una parola,
che non sia certa la vistané che di una cosa sola
non si possa dubitare.Dubitare puoi del mondo,della terra e del suo mare,se sia piatto o se sia tondo,
ma il tuo dubbio può arrivarea dir «forse …» anche del fatto
che si possa mai affermareche quel mondo vi sia affatto.
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Il parlare di esistenzaforse è cosa pretenziosa,forse c’è solo apparenza
e chi giudicare osa
che vi sia un mondo realelo fa sol perché confondela certezza sua animale
con un dire che ha un suo donde
e un perché e una ragionee vuol porre come scienza quegli asserti che propone.
Pensa poi che l’evidenza
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forse è un fatto soggettivo;tu sei certo, e sei sicuro,
ma un asserto introspettivoin un punto resta oscuro:
se a te sembra questo veroforse è solo per natura
per un fatto crudo e meroperché sei questa creatura
che potrebbe esser diversae pensar diversamente.
Lui ci pensa, e gli par persal’evidenza nella mente.
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Pensa infine che si diaqualche vera conoscenza
che sia certa e che sua sia,di cui non si può far senza;
un sapere che sia datosenza giustificazione,
un saper che sia immediato:un saper senza ragione.
Un saper dal dubbio immuneche sia prima della scienza:
forse del senso comune non si può giammai far senza.
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Pensa questo e intanto dice:un saper senza ragione,è una cosa che non lice.
Oddio mio, che confusione.
Lì, seduto sulle scalepensa che sia la pazzia
e gli sembra di star male:in realtà è filosofia.
Nella borsa trova un testo– pensa tu che caso strano! – il suo autore è un tale Sesto,
che si vanta pirroniano.
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Ha quel libro questo scopo:vuol sospendere il giudizio.
E per questo inventa un tropoche ti dice che è fittizio
il parlare degli oggettiperché ogni percezioneha il colore dei soggetti:
in sé è una relazione.
Se esperisci quello o questoin diverse condizioni,
ma un oggetto – dice Sesto – sottostà alle percezioni,
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devi dir che l’esperienzanon accede mai agli oggetti:
data è solo l’apparenza,non c’è il vero nei tuoi detti.
Vi è un assenso naturaleche alla tua vita ti lega,
ma un assenso razionale la ragione te lo nega.
S’udì cupo un dì un latratoche fuggir fece Pirrone,
che di sé si è vergognatoperché contro alla ragione
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ha ceduto all’apparenza. Non lo devi biasimare,
ché la vita non è scienzae non si lascia guidare
dalla luce del pensiero,da una prassi razionale
che soltanto mira al vero.Cieco è il palpito vitale
che alla vita ci consegna.È la voce di natura,
cui Pirron non si rassegna,scritta in ogni creatura.
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Il filosofo Zenone(il maestro di Cleante)
sosteneva con passioneil pensiero obiettivante:
«Se di oggetti puoi parlareè perché si dà un criterioche sei certo di trovare
proprio in seno al verbo experio.
Per potere dire «è» con sicura garanzia: serve una phantasia che sia kataleptiké!»
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Ma se no, non vi è un criteriood un segno razionale
che garante sia sul serioche il percetto sia reale,
riconoscere tu deviche Parmenide ha sbagliatoche non può, come credevi,
dir quell’ «è» che ha pronunciato.
Di Cirene lo scolarcal’ha spiegato a sufficienza:sia di «è» la lingua parca,e dia voce all’esperienza
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che si muove nel plausibilee che lega la credenzaalla legge del visibile
a ciò di cui si ha parvenza.
Da una parte c’è il reale:ciò che propriamente esiste;da quell’altra l’apparenza,l’ombra di ciò che sussiste.
Ma non è paradossaleche di ombra tu discuta
se la causa sua realeper te resta sconosciuta?
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Il criterio che dà un sensoal linguaggio che tu usi,
tu non l’hai – questo io penso,e per questo tu ne abusi.
Guardi fisso la tua manoche è l’oggetto d’esperienza,
ma quel nome resta vanose non hai che un’apparenza.
Dici «mano», e con quel suononon denomini un oggetto:ma gli oggetti cosa sono?
Questo tu non me l’hai detto…
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Nella vasca c’è un cervelloche ragiona di se stessoio su questo mi arrovello:
pensa quel ch’io penso adesso
quando penso a quella vascae al cervello che vi nuota?L’attenzione mia qui cascasu una cosa che ci è nota:
le parole mie hanno un sensose agli oggetti son legato.Nelle immagini che pensoquesto nesso non è dato.
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Il cervello nel guazzettoche riflette sul suo stato
non ha sé come suo oggetto,ma il qualcosa che ha causato
il vissuto che ha esperito.Di qui segue: se davveroè un cervello inumiditoil suo dirlo non è vero.
Il cervello in una vascache il suo triste stato dicecome un asino qui casca
perché il dirlo ahimè non lice.
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Non può dirlo, e questo valecome un nitido argomento
di sapor trascendentalevolto a tacitar l’accento
dello scettico che credein un dubbio radicale;
che ci crede, e non si avvedeche nel dubbio ci si avvale
di un sicuro fondamentoche conceda alle paroledi aver un riferimento
come certo ciascun vuole.
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Se i cervelli in confettura,e lo dico con dispetto,
sono una finzione oscura,non da meno è il diavoletto
che sussiste solamente(questo, almeno, io ho capito)
per traviare la mia mentee ingannarmi all’infinito.
Tu dirai: ben strano è il giocoche Cartesio vuol giocare,
ma seduto in fronte al fuoco,ha ragion di dubitare.
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Lui di questo mi ha persuaso:«E se son figlio del caso? se nessuno m’ha creato
o è garante del mio stato?»
Se il criterio di evidenza non provasse a sufficienza
e dicesse solamente che costìtutivamente
a me sembra vero questo, perché così sono e resto,
non saprei dir per davvero cosa è falso e cosa vero.
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Di qui innanzi i miei appuntisi fan scarni e poco chiari:pochi fogli un po’ bisunti
scritti con colori vari.
Ho capito che ho una mano,che non posso dubitarne,
Che la Terra ha un dì lontano– ma non so che cosa farne!
Ho capito che se sognonon lo posso proprio dire.
Ma ce n’è proprio bisogno?Ma lasciatemi dormire!
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Quella cosa della vitache sta lì e che è trovata
sai?, non l’ho proprio capita. Ma perché se l’è inventata?
Per l’esame son sereno:se mi chiede di Pirrone,
me la sbrigo in un balenocon la storia del cagnone.
Anche questo lo so bene:se ti viene l’itterizia
par che il vino di Cirenesappia un po’ di liquerizia.
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E se poi Cartesio chiedela risposta ce l’ho già.
Gli rispondo: «Lei ci crede?Ma davvero non lo sa
che Cartesio accanto al fuoconon ha affatto meditato?Ha vegliato per un poco:tutto il resto l’ha sognato.
Per il resto, dammi retta:per gli esami è sufficiente
il parlare senza fretta, far la faccia intelligente.
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Asseconda i suoi capricci
- tu di’ spesso “banalmente” –e vedrai che lo Spinicci
si accontenta facilmente.
Per l’esame si può fare,ma c’è un dubbio che mi assale:
se tu vuoi filosofarenon ha senso farlo male.
Devi farne un’ossessione,io ci provo, almeno penso,
devi rendere ragione:il barare non ha senso.
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Ma se poi ti senti incertoe ti chiedi: posso farlo?
non sarò troppo inesperto?Tu non ascoltar quel tarlo.
È l’errore più risibileil timore di sbagliare.
Tu ti fermi, ed è visibileche il tuo sbaglio è nel non fare.
Ne sarò io mai capace?Dammi retta: datti pace.
Io, per me, mi sono assoltoe il problema l’ho risolto.
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Auguri, ragazzi
Lapo Piccionis