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1 in “Scríbthair a ainm n-ogaim. Scritti in memoria di Enrico Campanile” (a cura di Riccardo Ambrosini, Maria Patrizia Bologna, Filippo Motta, Chatia Orlandi), Pisa1997: Pacini Editore, 929- 986 DOMENICO SILVESTRI Tíèñùðïò Un' etimologia (im)possibile? ïšäcí Pêéäíüôåñïí ãásá ôñÝöåé Píèñþðïéï ðÜíôùí ”óóá ôå ãásáí hðé ðíåßåé ôå êár fñðåé (Od. ó 130-131) Sommario: 0. Un'etimologia (im)possibile? 1. Le spiegazioni tradizionali e la prospettiva "androcentrica". 2. Altre prospettive (alternative o più o meno connesse). 3. La prospettiva "antropocentrica" e il gradiente designativo del greco antico. 3.1. Alcune denominazioni dell'uomo in lingue del vicino oriente antico. 3.2. Un confronto vicino (e inevitabile): itt. antuhsas, antuhhas. 3.3. Un confronto lontano (e sorprendente): lat. atrōx e la dialettica clarus/obscurus. 4. Una istanza di designazione possibile: la prospettiva cromonimica. 5. Una istanza di significazione plausibile: l'esigenza morfologica. 6. Una istanza di comunicazione ineludibile: le testimonianze omeriche (e le altre). 7. La deriva iperonimica e i limiti dell'etimologia. 0. Un'etimologia (im)possibile? Negare, ammettere e insieme dubitare: queste tre condizioni cognitive, riassunte nel sottotitolo e riferite al presente topic etimologico, hanno accompagnato quasi duecento anni di tentativi intorno alla più importante parola tra le molte trasmesse dal greco al vocabolario intellettuale dell'uomo moderno. Esse per altro vengono qui assunte come viatico e monito e, allo stesso tempo, come sintesi preliminare ed estrema di una ricerca che non vuole (e non può) essere risolutiva, data l'estrema difficoltà dell'assunto. E' appena il caso di ricordare che le etimologie sicure sono anche quelle evidenti e ipso facto meno interessanti; la spiegazione etimologica di Tíèñùðïò invece è tutt'altro che evidente ed è pertanto sommamente interessante. 1 Questo (ennesimo) tentativo muove pertanto dalla fragile base di una giustificazione soggettiva, ma rivendica anche una piena e meditata consapevolezza al riguardo. Esso si considererà più che riuscito se farà sorgere in altri la sensazione che il più famoso nome dell'"uomo" è fortissimamente collegato alla crescita esponenziale della cultura a partire dalla cosiddetta "rivoluzione neolitica", tuttavia non in quanto orgoglioso emblema di essa ma piuttosto in quanto eloquente ed allusivo indizio e, in definitiva, specifico segno di disparità e di contrasto in seno a quella mai risolta condizione di disuguaglianza che da allora accompagna le magnifiche sorti e progressive di chi si crede (ma non è) al centro di tutti gli universi possibili. Quello che qui si propone è, in questa prospettiva, un viaggio a ritroso lungo un periglioso arco temporale per poter 1 Sul carattere "possibilistico" delle agnizioni etimologiche cfr. C. Vallini, Mondi etimologici in "La semantica in prospettiva sincronica e diacronica". Atti del Convegno della Società Italiana di Glottologia, Macerata 1992, a cura di Mario Negri e Diego Poli, Pisa: Giardini, 1994, pp.97-125.

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L'etimologia della parola greca antropos

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in “Scríbthair a ainm n-ogaim. Scritti in memoria di Enrico Campanile” (a cura di Riccardo Ambrosini, Maria Patrizia Bologna, Filippo Motta, Chatia Orlandi), Pisa1997: Pacini Editore, 929-986

DOMENICO SILVESTRI

Tíèñùðïò Un' etimologia (im)possibile?

ïšäcí Pêéäíüôåñïí ãásá ôñÝöåé Píèñþðïéï

ðÜíôùí ”óóá ôå ãásáí hðé ðíåßåé ôå êár fñðåé (Od. ó 130-131)

Sommario: 0. Un'etimologia (im)possibile? 1. Le spiegazioni tradizionali e la prospettiva

"androcentrica". 2. Altre prospettive (alternative o più o meno connesse). 3. La prospettiva "antropocentrica" e il gradiente designativo del greco antico. 3.1. Alcune denominazioni dell'uomo in lingue del vicino oriente antico. 3.2. Un confronto vicino (e inevitabile): itt. antuhsas, antuhhas. 3.3. Un confronto lontano (e sorprendente): lat. atrōx e la dialettica clarus/obscurus. 4. Una istanza di designazione possibile: la prospettiva cromonimica. 5. Una istanza di significazione plausibile: l'esigenza morfologica. 6. Una istanza di comunicazione ineludibile: le testimonianze omeriche (e le altre). 7. La deriva iperonimica e i limiti dell'etimologia.

0. Un'etimologia (im)possibile? Negare, ammettere e insieme dubitare: queste tre condizioni cognitive, riassunte nel

sottotitolo e riferite al presente topic etimologico, hanno accompagnato quasi duecento anni di tentativi intorno alla più importante parola tra le molte trasmesse dal greco al vocabolario intellettuale dell'uomo moderno. Esse per altro vengono qui assunte come viatico e monito e, allo stesso tempo, come sintesi preliminare ed estrema di una ricerca che non vuole (e non può) essere risolutiva, data l'estrema difficoltà dell'assunto.

E' appena il caso di ricordare che le etimologie sicure sono anche quelle evidenti e ipso facto meno interessanti; la spiegazione etimologica di Tíèñùðïò invece è tutt'altro che evidente ed è pertanto sommamente interessante.1 Questo (ennesimo) tentativo muove pertanto dalla fragile base di una giustificazione soggettiva, ma rivendica anche una piena e meditata consapevolezza al riguardo. Esso si considererà più che riuscito se farà sorgere in altri la sensazione che il più famoso nome dell'"uomo" è fortissimamente collegato alla crescita esponenziale della cultura a partire dalla cosiddetta "rivoluzione neolitica", tuttavia non in quanto orgoglioso emblema di essa ma piuttosto in quanto eloquente ed allusivo indizio e, in definitiva, specifico segno di disparità e di contrasto in seno a quella mai risolta condizione di disuguaglianza che da allora accompagna le magnifiche sorti e progressive di chi si crede (ma non è) al centro di tutti gli universi possibili. Quello che qui si propone è, in questa prospettiva, un viaggio a ritroso lungo un periglioso arco temporale per poter

1 Sul carattere "possibilistico" delle agnizioni etimologiche cfr. C. Vallini, Mondi etimologici in "La semantica in prospettiva sincronica e diacronica". Atti del Convegno della Società Italiana di Glottologia, Macerata 1992, a cura di Mario Negri e Diego Poli, Pisa: Giardini, 1994, pp.97-125.

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attingere (forse) "una maglia rotta nella rete" e, balzando attraverso essa, muovere verso nuove (e più remunerative) prospettive di ricerca.

1. Le spiegazioni tradizionali e la prospettiva “androcentrica” I tentativi di spiegazione etimologica di Tíèñùðïò sono stati dominati sin dagli inizi della

linguistica scientifica da una pregiudiziale "androcentrica", che si è perpetuata fino alle loro manifestazioni più recenti e che consiste nella volontà di riconoscere a tutti i costi nella prima parte della parola un morfo designativo (Píèñ-) che coincide con PíÞñ ( Píäñ-) o, più esattamente, si manifesta (non senza palesi difficoltà fonetiche, anche queste da superare a tutti i costi) come sua replica allotropica. Tale volontà, come vedremo meglio più avanti, si esercita non solo contro ogni evidenza testuale, ma anche contro il fatto a tutti noto che Tíèñùðïò designa l'essere umano indistinto e indifferenziato (anche da un punto di vista sessuale!) e non -come appunto PíÞñ- il "vir", visto nell'esercizio di peculiari attività belliche o civili dentro ben precisi contesti istituzionali. Si esercita -ed anche su questo torneremo più avanti- contro il fatto altrettanto evidente che nel greco antico (a partire da Erodoto) Tíèñùðïò può essere sia di genere maschile sia di genere femminile; e ciò non deve sorprendere, se appunto tale parola o -come preferiamo subito dire- tale presumibile sintagma lessicale si riferisce a tutti gli esseri umani, sia maschi sia femmine. E si potrebbe agevolmente continuare, se non fosse più importante dire subito, senza mezzi termini, che la pregiudiziale "androcentrica" è una palese (e banale) pregiudiziale ideologica, che consiste nell'assumere l'PíÞñ, cioè l'essere umano di sesso maschile, a (bari)centro ed a fulcro etimologico di una categoria prototipica in cui l'essere umano generico (ma pur sempre maschio!) o altrimenti detto l'Tíèñùðïò, si palesa (-ùð-!) soltanto un gradino più sotto, mentre la donna -in questa prospettiva- non si paleserebbe affatto. In realtà -come abbiamo già anticipato e come vedremo in modo circostanziato più avanti- Tíèñùðïò non è affatto denominazione "ingenua" e, in tal senso, nulla autorizza a riconoscere nei suoi fondamenti etimologici presunti o reali privilegi sessuali, sussunti invece acriticamente nella prospettiva androcentrica.

L’Tíèñùðïò o, come ci capiterà di chiamarlo -in base a indizi eloquenti- l’”uomo qualunque”, difficilmente potrà essere stato allora uguale a sanscr. nripa (= nrpah) “Männerfürst”, come crede F.Bopp, il primo etimologo di questa cursoria e sommaria rassegna (e probabilmente il primo etimologo moderno di Tíèñùðïò). 2 Al riguardo basterà osservare, a parte l’impossibilità fonetica del confronto, che sanscr. nrpah “Fürst, König/ prince, king” è (presunto) parente troppo illustre per un termine che, come si vedrà più avanti, rappresenta in greco il gradino più basso di una scala designativa riservata agli esseri umani. Del resto esso si collega in vedico ad espressioni come nr-payya- "Männer schützend" e nr-piti- f. "Männerschutz"3, che fanno pensare piuttosto ad epiteti riferibili ad eroi omerici, a loro volta mai qualificati con il termine Tíèñùðïò, che designa invece (al plurale e non casualmente, v. avanti, par.3!) gli uomini comuni e senza fama e si applica talvolta (al singolare e non casualmente!) per rivolgersi, in una prassi allocutiva, a servi e a schiavi.

Di ciò non sembra essere cosciente il fondatore riconosciuto dell'etimologia "androcentrica", J.A. Hartung (1832, p.52), per il quale Píèñ-ùðï-ò si deve analizzare con esplicito riferimento al nome eroico e civile dell'uomo (maschio) PíÞñ (Píäñ-), mentre l'elemento derivativo -ùð- con il suo valore di "Gesicht, Bild" ne assicura, per così dire, i connotati e gli essenziali segni di riconoscimento e insieme fa di un "Mannsgesicht, Mannsbild" un'ipostasi significativa in cui il

2Come tale appare registrato in Ebeling (1885, v. avanti), che è una preziosa fonte informativa sui primi tentativi etimologici. 3 Cfr. M. Mayrhofer, Kurzgefaßtes etymologisches Wörterbuch des Altindischen / A Concise Etymological Sanskrit Dictionary, Band II: D-M, Heidelberg 1963, p.178 (s.v. nrpah).

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maschio guerriero e cittadino rivendica un indiscusso primato onomasiologico. Sulla sua scia (è il caso di dirlo) troviamo e troveremo linguisti illustri, fermamente convinti di questa istanza designativa primaria (una sorta di postulato acriticamente assunto), preoccupati semmai di risolvere -spesso in modi apodittici- il problema fonetico del è in luogo dell'atteso e preteso ä (un *Tíäñùðïò sarebbe stato in tutto e per tutto "perfetto", ma il greco non ce lo consegna e -come capiremo più avanti- una forma primaria siffatta è un vero e proprio adynaton semantico!).4

Il primo nome della lunga lista è quello di Th. Benfey (1839, p.122), per il quale "aus der Form áíäñï, componirt mit ¦ð von ¬ø , bildete sich Tíèñùðï, Mannsgesicht habend: Tíèñùðïò ,¿, Mensch...". Per lui "ä ward durch Einfluss des ñ in è verwandelt". E' appena il caso di dire che ñ non realizza, in situazioni fonotattiche identiche, questo preteso influsso e che anche dopo vari tentativi di risolvere questa incongruenza (v., ad esempio, A. Meillet 1892, p.166, discusso più avanti) permane immutata la difficoltà fonetica.

Emblematico è poi il caso del fondatore dell'etimologia indeuropea, F. Pott (18592 ,18612), che, partito da un'etimologia non androcentrica nella prima edizione delle sue Etymologische Forschungen (v. par.2), si converte nella seconda edizione alla spiegazione di Hartung e, a conferma, cita il parallelo di a.a.t. mennisco "Mensch" < mann- "Mann", con trapasso semantico dalla marcatezza sessuale della designazione di base alla genericità asessuata della designazione iperonimica (ma un controesempio potrebbe essere proprio il trapasso di lat. homo da designazione generica dell'essere umano a designazione specifica e antonomastica degli individui di sesso maschile in fase neolatina).5

Molto reciso, in senso androcentrico, ma piuttosto sbrigativo sul piano fonetico, è G.Curtius (18734, p.308): "Tíèñ-ùðï-ò scheint mir am natürlichsten als 'Mannsgesicht' gefasst zu werden..., mit è statt des üblicheren (!) Hülfsconsonanten ä...". Egli è il primo, per quanto mi consta, a chiamare in causa (e a sostegno dell'etimologia androcentrica) la glossa esichiana äñþø ("Dafür spricht äñþø Tíèñùðïò"), per la quale tuttavia respinge la pertinenza diatopica macedone (ä per è), sostenuta da M. Schmidt e assai più tardi ripresa da G. Devoto (1949[1952], v. avanti), in quanto crede di poter riconoscere in essa l'allotropo con sincope della vocale di sillaba iniziale (?) di un non attestato íåñ-ùø (con ä in funzione di consonante epentetica), senza tuttavia spiegare l'assenza (!), nella forma attestata ed in quella presunta, della canonica á- protetica di PíÞñ.

La spiegazione di Hartung viene accettata (e consacrata) nella grammatica comparata del greco e del latino di L. Meyer (1882-1884, pp. 467 e 517, vol.I, seconda edizione) e subito dopo entra anche nel Lexicon Homericum di H. Ebeling (1885, p.129), il quale, oltre a citare come suoi sectatores Curtius, Benfey, L. Meyer ("atque etiam Pott", nella sua seconda agnizione etimologica), fa opportunamente notare che essa era stata accolta anche da L. Döderlein (1850-1858) nel suo Homerisches Glossarium con riferimento a áíäñ e a ùðïò = "isch", e pertanto con il riconoscimento del valore primario di "männisch, Mensch".

A. Meillet (1892, p.166), preoccupato di fornire puntelli fonetici a questa etimologia, di più e meglio di come era stato fatto nei tentativi precedenti (v. dietro!), in base alle leggi fonetiche da lui, in questa sede, stabilite per il greco (in particolare: I.l'aspirata persiste quando segue la sillaba tonica e III. quando l'accento si trova una mora dopo l'aspirata, questa persiste) ritiene anche lui che si possa spiegare Tíèñùðïò, ricostruito come *nrōk2os a partire dalla glossa esichiana äñþø · Tíèñùðïò . M. sostiene che nel caso specifico si è sviluppata una "sourde (sc. aspirata) après

4 Alla proposta etimologica di H. si rifanno esplicitamente Curtius (1873), Brugmann (1901) e Devoto (1949[1952]), secondo un notevole arco temporale di riferimenti. 5 Questo termine torna poi ad avere funzione iperonimica secondo una pendolarità che tuttavia trova il suo momento assiale nell'istanza androcentrica!

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syllabe accentuée dans Tíèñùðïò (cf. Tã÷é) et dans les conditions de la loi III dans Üíèñþðïõ ,etc. comme il est développé une sonore après syllabe atone dans Üíäñüò (cf. dããýò)".6

In ciò egli fu seguito (con interessata prontezza) soltanto da R. Gauthiot (1899, p.194), che, sulla base di Wackernagel (KZ 29,127 e contributi seguenti), secondo il quale in greco il gruppo ñò converte il ó in sonora, eccetto quando l'accento indeuropeo lo precede immediatamente ( ma di parere contrario erano stati Brugmann e Fick!), dichiara che a questo trattamento conviene forse affiancare quello delle aspirate sorde dopo nasale, secondo l'interpretazione di Meillet; e aggiunge: "En effet,le parallelisme des deux alternances ïšñÜ : –ññïò et Píäñüò : Tíèñùðïò est absolument rigoureux". Ma queste spiegazioni fonetiche non risultarono convincenti e non rafforzarono, sul finire del primo secolo di tentativi, quella che abbiamo definito etimologia "androcentrica".7

Di ciò è pienamente consapevole, all'inizio del nostro secolo, K. Brugmann (1901, pp.25-32), che dopo aver negato gli assunti fonetici di Meillet e Gauthiot (p.25 n.1), si rifà ancora una volta a Hartung ("Von diesem schwierigen Punkte abgesehen, ist im übrigen diese Etymologie höchst ansprechend", p.26), ma - per risolvere il problema fonetico di -th- - tenta, in modo originale, di riconoscere nella seconda parte del composto una radice *sekw-/*sokw- "vedere, parlare" (pp.28-31), la cui s- iniziale si aspira e provoca l'assordimento e l'aspirazione della -d- della prima parte (andr- > anthr-). Per B. la "Grundbedeutung von Tíèñùðïò wäre... von der Grundbedeutung von äñþø nicht wesentlich verschieden gewesen. Man mag 'Mannsgesicht habend' oder "Manneserscheinung, Mannesaussehen habend' übersetzen" (p.32). In tal modo egli paradossalmente stacca il termine da tutti gli altri derivati greci in -ùø/-ùðïò (per incombenti e presunte ragioni fonetiche) e poi lo riaccosta ad uno di essi (per altrettanto urgenti e presunte ragioni semantiche)! Del resto un lessema *hùðï-ò “faccia, aspetto" non è altrimenti attestato (neanche in forme derivate!) in greco ed ha pertanto il carattere dell'induzione ad hoc tipica di una non ammissibile prassi etimologica.

Circa ventanni dopo P. Kretschmer (1918, pp.231-232), contrario ad una recente proposta etimologica di Güntert (1915, v. par.2) fa notare che un originario valore "der Bärtige", sostenuto da questo studioso (di fatto fiancheggiatore dell'etimologia androcentrica), avrebbe ristretto in greco la designazione solo al "Mann" e non l'avrebbe estesa al "Mensch", come invece accade, secondo l'evidenza testuale. K. difende, proprio dopo queste giuste considerazioni e con sintomatica incoerenza, la vecchia connessione (Üíäñ- + ¬ø con riferimento a äñþø) e cerca di puntellarla sul piano fonetico, tuttavia con assai poco persuasivi riferimenti ad una "sekundäre Aspiration" davanti a "in hellenistischer Zeit" (p.231). Inoltre è forse il primo a citare, come denominazione parallela, itt. antuhsas "uomo", che analizza con riferimento a Píôß, Tíôá, skr. anta + skr. aksi "Auge" (in ciò influenzato -senza citazione!- dall'Etymologicum Magnum e dal Gudianum!).8

Oltre ventanni dopo (e dopo numerosi tentativi etimologici diversamente orientati, v. avanti), lo stesso P. Kretschmer (1939, pp.245-256), dopo aver criticato in particolare quelli di V.Pisani (1935 e 1938, v. avanti), ribadisce la spiegazione di Tíèñùðïò come "mit menschlichem Antlitz, menschengesichtig" (< Üíäñ-©ðüò) e la sostiene, sul piano fonetico, con un'ipotesi (debole e strumentale) di ripartizione dialettale (" Tíèñùðïò aus einem die Aspiration liebenden Dialekt wie dem attischen stammt") e con una considerazione semantica che chiama in causa nuovamente (cfr. Pott 1859!) l'etimologia di ted. Mensch.9

6 L'interpretazione fonetica di M. viene citata da Brugmann (1901, p.25 n.1) con netto diniego. 7 G. viene citato da Brugmann (v. n.5) come l'unico che segue Meillet in queste specifiche leggi fonetiche. 8 L'impostazione etimologica di K. è poi ripresa da F. Ribezzo (1920), ma senza citazione. 9 Fuorviante ("*Píäñ-©ðïò mit Spir. asper nach ¿ñÜù") è il rinvio a Kretschmer (1939) di Frisk (1954), che si riferisce erroneamente al vol.28 di "Glotta" (mentre, in realtà, si tratta del vol.27!). In realtà questa spiegazione è stata perseguita da Georgacas (1958, v. avanti).

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Un forte, deciso e motivato apporto all'indirizzo androcentrico è dato, non molto tempo dopo, da G.Devoto (1949 [1952], pp.63-71), che innanzi tutto tenta un primo bilancio organico della "lunga marcia" etimologica su Tíèñùðïò. Dopo aver citato, come punti di riferimento essenziali, Hartung (1832) e Brugmann (1901), egli passa in rassegna, con riserve ma anche con apprezzamenti, quelle che ritiene le etimologie di diverso indirizzo più importanti (Aufrecht 1854, G.Meyer 18963, Bezzenberger 1881, Fick 1894, Güntert 1915, Holthausen 1916, Pisani 1928, Ribezzo 1932). Per D. ci sono due punti consolidati: il significato "Aussehen" e l'originaria forma aggettivale. Sulla base di (?) egli arriva (p.68) a confermare l'originario riferimento al "Mann" e a definire tre stadi designativi: "a) PíÞñ 'Mann' b) 'Wie ein Mann aussehend 'zusammengesetztes' Adjektiv c) Mensch, 'abgeleitetes' Substantiv". Secondo D. il termine, sia per la ritrazione dell'accento sia per il suffisso derivativo, si palesa come un composto di origine occidentale (p.70). Anche l'aspirazione per lui si può spiegare come reazione greca ad una pronuncia con -d- che era sentita come straniera (cfr. Curtius 18734!). In tal modo per D. si ritorna alla vecchia spiegazione di Hartung e la si conferma, ma -a parte l'eleganza ed il nitore del ragionamento- non si può far a meno di notare che anche in questo caso il recupero di una specifica pertinenza diatopica (per risolvere l'insuperato problema fonetico di ) non si fonda su dati testuali e contestuali, ma è solo funzionale all'assunto.

Circa dieci anni dopo D.J. Georgacas (1958, pp.112-113) respinge le etimologie "illiriche" e pelasgiche di Devoto (1949 [1952] e van Windekens (1954, v. avanti) rispettivamente "for they explain the unknow by the unknow" (p.112). Secondo G. la parola è frutto della sostantivizzazione del corrispondente aggettivo ossitono con il valore di "man-faced, man-like". L'aggettivo a sua volta è analizzabile come Píäñ-hùðüò (Píäñ- e suff. -ùðüò) con -h- dovuta all'influsso di ¿ñ§ "to see". La glossa esichiana äñþø deriva probabilmente da Píäñþø (?, cfr. Kuiper 1956,225, che non viene citato!). Infine: "Once Píäñhùðüò became Píähñùðüò by transposition of the h, the latter form yielded anthropós, written Tíèñùðïò, since Greek had no dh but th (= è-)". Al che si può facilmente obbiettare -a parte il forzato accostamento del suffisso - ùðüò a ¿ñ§, verificabile solo in questo caso!- che un ipotizzato -dh- in seno al greco protostorico (?) avrebbe dovuto agevolmente essere risolto in -d- proprio con riferimento all'etimo presunto e non in -th- in nome di una improbabile, anzi incredibile esigenza scrittoria!

Assai poco persuasivo, proprio in quanto viziato da una pregiudiziale sostratistica non accettabile (il cosiddetto "psi-Griechisch"), è anche W. Merlingen (1963, pp.57-58). Per lui il termine: "Es erklärt sich als psigr., und zwar aus an-r-ōus, dessen erste Hälfte zunächst andr- ergeben mußte; das so entstandene d hat in Psigr. regelrecht zu dem geführt, das bisher die größten Schwierigkeiten gemacht hat. Und dieses an(d)r- ist nicht anderes als die längst gesuchte Entsprechung zu Píäñ- (PíÞñ, Gen. Píäñüò) 'Mann'" (p.57). Secondo M. il suffisso -ùðï- deriverebbe da psigr. -ous . Vengono citati Seiler 1953 ("Zusammenfassung"), Devoto 1952 ("unbefriedigend"), Kuiper 1956, van Windekens 1954 (con citazione dell'etimologia). Infine (p.58) si sostiene che la documentazione della lingua della lineare B porta "zu einer unvermuteten Erkenntnis: das erste Produkt aus diesem u war nicht einfach p sondern offenbar wieder kp"(?). E' appena il caso di dire che l'etimologia androcentrica -da sempre in cerca di una legittimazione fonetica- non guadagna molto da questo atteggiamento ermeneutico e da altri analoghi.10

Qualche anno dopo E.P. Hamp, in un lavoro di notevole impegno (1968, pp.786-790), ritiene di poter riconoscere (p.786) "five types of explanation previously offered" desumendole da Frisk (1954, p.111); passa poi (pp.786-787) all'esame del lavoro di Seiler (1953, v. avanti), facendo notare che l'attestazione micenea atoroqo, da poco emersa, contraddice, in quanto singolare e non 10 cfr. le giuste riserve di Georgacas (1958) contro Devoto (1949 [1952]) e van Windekens (1954); per una nostra critica al massimalismo sostratistico di Kuiper (1956 e 1968), v. avanti.

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calata in un contesto religioso, la tesi di Seiler sulla pluralità e sulla religiosità originaria del termine. Per H. il termine ha avuto il senso originario di "human being as opposed to other living creatures" (p.788) ed è "a relatively colourless, generic noun", per cui il primo tipo desunto da Frisk (v.sopra) gli sembra "to be on the right path, but yet suffering from the implication of an unnecessarily vivid compound" (l.c.). Da un punto di vista formale H. riconosce nel vocalismo della seconda sillaba l'esito (-ñù-) di una erre sonante lunga o di una erre seguita da laringale con timbro o. Egli poi ricostruisce un *anThrkwo- e sulla base della vocale protetica di PíÞñ, Píäñ- riscrive la sua ricostruzione secondo lo schema *HnThrHokwo-, fornendo poi (p.789) un'ulteriore spiegazione fonetica per Th (molto faticosa, complicata e basata sul parallelismo con “öèáëìüò, a sua volta bisognoso di spiegazione)11. Da un punto di vista morfologico (pp.789-790) H. propone la segmentazione *Hnr-Hokwo- in cui il primo morfo è il grado zero di PíÞñ, il secondo è il grado zero tematizzato di *Hookw- "eye,face". Egli infine stabilisce un collegamento con le formazioni sanscrite tipo pratyañc- pratīc- etc.,12 sostenendo che il secondo morfo è divenuto già in epoca i.e. "a suffix of weakened semantic force" che "seems to mean simply appurtenance (sic) or orientation"(in nota critiche alla ricostruzione formale di Devoto 1949 [1952]). Conclusione: "ánthrōkwo- < *Hnr-Hokwo- therefore meant something like 'man-ish'". In definitiva H., partendo dall'accettazione acritica della prospettiva "androcentrica", veste dei sofisticati panni formali della prassi ricostruttiva attuale un'immagine protostorica che -per le ragioni già dette e per altre che si diranno- appare assai poco plausibile.

Lo stesso Hamp (1973, pp.77-92) continua l'indagine sul morfo *-(Ho)kw-, già identificato in Hamp 1968 (v. sopra) e lo riconosce (p.83) in ðñüóùðïí e in forme comparabili; poi affronta il problema della presenza di questo morfo in greco (pp.83-85) e la possibilità di spiegare il vocalismo con o lunga. Inoltre ribadisce (p.85) per Tíèñùðïò che il vocalismo con o lunga è "le résultat fortuit de r vocalisé + laryngale de couleur o". Inoltre (ivi) "Une fois ceci survenu dans un mot commun, et central dans le lexique, le sentiment, maintenu, de la relation de Píèñ- à PíÞñ a rendu un -ùð- suffixal, ainsi isolé, disponible pour un transfert productif dans d'autres formations". A p.87 si definiscono gli aspetti formali di "face" e "regard" in greco e in armeno intesi come pluralia tantum. A p.90 viene toccato il problema di lat. fer-ōx, atr-ōx che presenterebbero lo stesso morfo qui esaminato. Infine (p.90) si afferma: "On a déjà mentionné plus haut lat. atrōx, ferōx. L'explication traditionnelle 'à face noire', 'à face sauvage' est raisonnable à condition que nous voyons dans ces gloses des hypertraductions étymologiques; car en i.e. déjà le suffixe était en voie de se vider da sa force ancienne. Indiquons que l'analyse phonologique correcte, pour ferōx p.ex. est *ghwero-Hok(w)-s". Torneremo ancora sui risultati di questo importante lavoro di H. che, mentre è inteso a confermare e a rafforzare la prospettiva androcentrica, apre involontariamente (attraverso il confronto puramente formale con lat. atrōx13) una prospettiva cromonimica che risulterà assai interessante.

Infine sempre Hamp (1981, pp.133-134) conferma le sue analisi etimologiche del 1968 e del 1973 e rigetta l'ipotesi nostratistica di Gluhak (1979), che per altro -nella sua prospettiva ipercomparatistica- è utile solo a dissolvere in una indistinta preistoria un problema che è invece assai allettante se viene collocato nel suo giusto contesto protostorico (v. avanti).

La lunga teoria delle etimologie androcentriche sembra chiusa (ma non conclusa!) nello stesso anno da H.B. Rosén (1986, pp.243-244) e da J. van Windekens (1986, p.12). Il primo ritiene di poter far risalire Tíèñùðïò a *XNDP-XOÓ-OÓ (sic!) "das Antlitz eines Mannes habend" attraverso un complicato gioco di aspirazioni assimilatorie (pp.243-244), per cui egli dichiara alla 11 cfr. lo stesso Hamp su "Word" 9,1953, p.139. 12 Senza citare tuttavia i precedenti tentativi in tal senso di W. Prellwitz (1927 e 1928, v. avanti!). 13 Già istituito, per la verità, da W. Prellwitz nei "Bezzenbergers Beiträge" 23, p.70, cfr. W. Aly (1914, p.69 n.3).

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fine con sua (ma non nostra) soddisfazione "Somit scheint das Problem des è einer Lösung zugeführt worden zu sein" (p.244). R. contesta Chantraine (1968) per i suoi dubbi semantici (in realtà ben fondati!), facendo notare che il greco prevede epiteti teonimici quali "Kuhgesicht" e "Eulengesicht", per cui non ci sarebbe niente di strano se l'"uomo" fosse "Mannsgesicht", in pratica -con richiamo a Seiler (1954)- una "Gegensatzbildung", senza per altro accorgersi che le ipostasi zoologiche rientrano in una Namengebung teonimica ben ristretta e con riferimenti a certi attributi divini (occhi, sguardo), mentre una nozione di "Mannsgesicht" si applicherebbe semmai bene -in questo quadro- proprio ad entità (dei, animali) diverse dall'uomo. In ogni caso il contributo di R. appare macchinoso nel ragionamento fonetico e sommario in quello semantico.

Infine A.J. van Windekens (1986, p.12) rappresenta il trionfo ed insieme il grottesco fallimento della lunghissima teoria delle etimologie "androcentriche". Egli, dopo una breve rassegna delle posizioni "negative" di Frisk e Chantraine e la citazione di tentativi più recenti, afferma "comme le mycénien atoroqo 'rend quasi-certaine l'existence d'un second terme -okwo-' (Chantraine: cf. supra), l'analyse de Tíèñùðïò en Píèñ- et -ùðïò ne peut être mise en doute" e aggiunge "mais, d'autre part, il faut reconnaître que la présence de -ùðïò dans ce composé ne peut se comprendre qu'à la lumière du sens exact du premier terme". Secondo v. W. bisogna partire da una antica forma composta *Píäñïèñï- in cui il morfo -èñï- rappresenta la radice di èñþóêù "sauter,saillir,féconder", cfr. èïñüò "semence, sperme", più esattamente "qui féconde" (per via dell'ossitonia). "L'ancien *Píäñïèñï-", prima di subire l'aplologia della sillaba -èñï- , "avait donc le sens de 'à la semence, au sperme d'homme' ou 'homme-qui féconde', c.-à-d. 'mâle'". Grazie al suffisso -ùðïò si arriva al concetto di "ayant l'aspect, l'apparence de..." con allusione ai genitali maschili (cfr. avanti, par.2, Muller Jzn 1920, per un' analoga "agnizione" di profilo piuttosto... basso!) e poi si passa dal valore di "mâle, vir" a quello più generale di "uomo". Naturalmente ogni ulteriore commento sembra superfluo dinanzi a simili contorcimenti morfosemantici...

2. Altre prospettive (alternative o più o meno connesse) Le difficoltà dell'etimologia androcentrica (a parer nostro di pari grado sia sul piano fonetico

sia su quello semantico) hanno indotto precocemente altri studiosi a cercare vie esplicative alternative, ma non meno criticabili, soprattutto perché tendenzialmente fondate su istanze di designazione astratte e aprioristiche. Tra queste merita una particolare attenzione quella (inaugurata da Ribezzo 1932 e perseguita soprattutto da Seiler 1953) che vuole riconoscere negli Tíèñùðïé gli opposti dei èåïß secondo un ovvio arco di tensione designativa e non si cura invece di indagare il gradiente designativo (v. avanti, par.3) su cui (in Omero e in Esiodo, particolare) si collocano altre designazioni per così dire "intermedie" , ma -come vedremo- non dello stesso livello (Tíäñåò/{ñùåò, ö§ôåò), capaci -queste sì- di ricondurci al valore primario del termine. Queste etimologie, di cui tenteremo ora un'altrettanto sommaria e cursoria rassegna, si caratterizzano anche per il fatto di essere spesso riprese (senza richiami espliciti!) di quelle contenute negli etymologica antichi (Magnum e Gudianum), "ingenuamente" preoccupati quest'ultimi di riconoscere nell'ormai iperonimico Tíèñùðïò certe caratteristiche salienti dell'homo sapiens secondo motivazioni indubbiamente comprensibili, ma fondamentalmente sganciate da (quelle che per noi sono) imprescindibili evidenze testuali (v. avanti, parr. 3 e 6).

Il capostipite dei "non androcentrici" (anche se poi... "pentito" e convertito alla spiegazione

più prestigiosa, v. dietro) sembra essere stato F. Pott (1833, p.158) che, appena un anno dopo il tentativo di Hartung (1832) pensa a Píèñü (non attestato!), forma ridotta di un Píèåñü- (ugualmente non attestato!) ed allotropo di Píèçñüò "fiorito, fiorente" + ¬ø, per cui il termine varrebbe qualcosa

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come "dal volto fiorito o fiorente". Si tratterebbe di una denominazione suggestiva e poetica (per altro già presente nell'Etymologicon Magnum!), ma l'interpretazione appare assai debole sul piano formale e non altrimenti motivata su quello semantico.

Molto più argomentato è il ragionamento di Th. Aufrecht (1854, p.240), che, tra le "bunten etymologien" della parola, considera come la più persuasiva quella in cui l'uomo è concepito come "der emporschauende" (¿ Tíù Pèñ§í) e in tal modo opposto agli animali "zu boden stierenden" (in realtà questa spiegazione risale all'Etymologicon Magnum, non citato!). Da un punto di vista etimologico corretto (e, a suo giudizio, non fantasioso) A. fa notare che sarebbe strano se in greco non fosse rappresentato il "gewöhnlich affix" tra (sic!). In effetti una traccia di esso è per lui riconoscibile proprio in Tíèñùðïò, che egli divide in Tíèñù - ùðïò, per poi riconoscere in Tíèñù (non attestato!) un derivato, mediante questo suffisso, di PíÜ con caduta di a mediana ed aspirazione di t per influsso di r (cfr. Benfey 1839!). In conclusione: "Tíèñùðïò der emporsehende ist entgegengesetzt dem êáôùðüò". A parte il fatto che quest'ultimo termine (con carattere aggettivale e senza ritrazione d'accento, come avviene invece nelle ipostasi sostantivali!) è di documentazione decisamente tarda in testi di medicina veterinaria e non designa l'"animale", ma vale soltanto "con gli occhi bassi", sembra opportuno far notare che Ribezzo (1932, v. avanti) ricostruisce anche lui per il greco un non attestato áíèñï- (senza citare Aufrecht 1854!) ma non con valore di "davanti" bensì con valore di "sotto", ovviamente sotto la spinta di una diversa esigenza etimologica.

Naturalmente questa spiegazione non ebbe vita facile e lo stesso Aufrecht (1856, p.365), soltanto due anni dopo, dichiarò che essa non aveva riscosso l'approvazione di Ewald (senza ulteriore citazione), che aderiva invece a quella di Hartung (1832, in questo caso non citato affatto). A rinforzo della sua ipotesi A. dice di aver trovato l'"adverbialaffix" tra (sic!) in due formazioni greche ( Pëëüôñéïò, cfr. scr. anyatra e Pôñïüò < Pèñï, cfr. ved. sa-trâ), ma in realtà questi due termini sono suscettibili di diversi inquadramenti morfosemantici su cui qui non è ovviamente il caso di soffermarsi.

Vari anni dopo A. Bezzenberger (1880, p.168), in margine ad articolo di A. Fick, Zum schwâ im Griechischen, "BB" 5,1880,166-168 propone questa (in verità, ardita) "Zusammenstellung": “Tíèñùðïò : ìåíèÞñç · öñïíôßò (Hes.), ahd. muntar 'expeditus, vigil', céch. mudrák (vgl.ksl. madrÏ) 'ein verständiger' (slav. -akÏ = gr.-ùðï-ò ). Vgl. weiter skr. mánu, mánus, mánusha, got. manna, ksl. ma&i" Basterà qui ricordarsi lo spazio designativo di Tíèñùðïò (piuttosto basso e "servile") per rendersi conto della manifesta infondatezza di questo tentativo di nobilitazione (almeno a livello di... "homo abilis"!)14

Di esso per altro non fa cenno H. Ebeling (1885, p.129, v. dietro), che nella sua rassegna rammenta, oltre alle posizioni androcentriche, Aufrecht (1854) con corretto rinvio all' Etimologicon Magnum, ma menziona pure il tentativo di A.Goebel, Homerica 6 AN di connessione con Tíèñïí (non attestato!), per cui Píèñï-ùø sarebbe "luminoso vultu praeditus", basandosi sul fatto che ä (supposto nell'etimologia androcentrica!) non si può mutare in è. A parer nostro questa ipotesi di Goebel, motivata in prima istanza dalla ben nota difficoltà fonetica in cui da sempre ha urtato l'etimologia androcentrica, apre un'interessante prospettiva (quella cromonimica, v. avanti, par.4), anche se poi si fonda su un lessema non attestato e presumibilmente ricavato da altri che assai difficilmente possono essere connessi con la "luce" (v., in tal senso, F. Ribezzo 1927 e soprattutto C.J. Ruijgh 1970).

Qualche anno dopo A. Fick (1892, p.138), per altro senza apporti personali, anzi in forma più ridotta, riprende, sulla stessa rivista, l'etimologia di Bezzenberger (1880): “Tíèñùðïò vgl. ìåíèÞñç 14 Decisamente contrari a questa etimologia sono Brugmann (1901, p.27, con riserve) e Devoto (1949[1952], p.65, con diniego).

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'das sinnen, sorgen' und cechisch mudrák 'sinnig'; s. oben V.168." e consacra in questo modo il nostro Tíèñùðïò come "homo sapiens".

Diversa strada batte G. Meyer (18963), che a p.210 della seconda edizione della sua Griechische Grammatik parte dalla constatazione dell'esistenza di alcune varianti dialettali greche (gort. Tíôñùðïò L.G. X 25. XI 23 e pamph. Pôñüðïéóé = Píèñþðïéóé GDI. 1257,7) e, sulla base di un suggerimento dell' Etymologicon Magnum, tenta una connessione con PíN ôñÝðù (cfr. pure ôñïðÝù), da cui sorgerebbe l'idea di "eretto". Come si vede, in questo gioco di "etimologie da tavolino",15 l'homo -già abilis e, infine, sapiens- può ben essere, in fase intermedia, anche... erectus, giacché Tíèñùðïò si presta ad essere formalmente e semanticamente (e astrattamente!) tutte queste cose.

L'etimologia di Bezzenberger (1880), dopo aver trovato quello di Fick (1892), sembra riscuotere, secondo la testimonianza di Brugmann (1901, p.27), il provvisorio consenso (v. avanti) di W. Prellwitz (19052, p.25) nel suo Etymologisches Wörterbuch der griechischen Sprache, ma a questa testimonianza si oppongono quelle di W. Aly (1914, p.69) e, più tardi, di G. Devoto (1949 [1952], p.66), che imputano concordemente a Prellwitz l'etimo "das Gesicht aufrecht haltend". Tuttavia ci sembra più significativo il fatto che Aly definisca il nostro termine come "das unerklärte Tíèñùðïò", proprio nel quadro di una rassegna sistematica delle formazioni greche in ùðïò.

Non androcentrico, ma di fatto deciso "fiancheggiatore" -sul piano della motivazione onomasiologica- della già discussa prospettiva etimologica, è H. Güntert (1915), che riscosse un certo successo16 con una monografia dedicata a Tíèñùðïò, da lui inteso come "bärtiges, stachliches Gesicht" da un non attestato *Píèñï- "Bartstoppel" sulla base di PíèÝñéî "Halmspitze", Píèñßóêïò "Kerbel", Píèåñåþí "Kinn", il cui valore autentico sarebbe "stachlige Stelle, Bartstelle" (quest'ultima spiegazione risale a L. Meyer). Ma all'idea che gli Tíèñùðïé siano dei "barbuti" si può opporre, oltre alle considerazioni già svolte sulla possibile referenza femminile del termine, il fatto che nell'iconografia greca anche gli dei sono rappresentati con la barba e che questa, in fin dei conti, non può essere nemmeno assunta a segno di demarcazione tra l'uomo e tutti gli altri esseri viventi (mammiferi, in particolare).

Quanto poi a F. Holthausen (1916, p.312), che divide la parola in *Tíèñï-ùðïò, in cui la prima parte corrisponde a Píèçñüò "blühend" senza la vocale intermedia, la seconda ad una forma affine ad -ùðïí di ðñüó-ùðïí "Antlitz", ìÝô-ùðïí "Stirn", etc.e, in questo modo, ricostruisce il valore semantico: "von blühendem Gesicht", originariamente un epiteto poetico dell'uomo, ci limiteremo a far notare che egli assai stranamente non cita F. Pott (1833, p.158), che pure -in un lavoro assai noto- aveva proposto un'etimologia in tutto identica (v. dietro).

Un androcentrico "ideologico", anche se -come Güntert 1915- non sul piano formale dell'etimo, è F. Muller Jzn (1920), che arriva a pensare ad una connessione della seconda parte della nostra parola con lat. prosapia, sopio "penis". Si tratta di una opzione decisamente bizzarra (ma che non resterà isolata: cfr., per un analogo tentativo J. van Windekens 1986, p.12, v. avanti). L'aspetto più significativo di questo tentativo, su cui (dato il ...risultato) è senz'altro meglio stendere un... velo

15 Per l'espressione cfr. V. Pisani (1969, p.158), che -a dire il vero- a proposito di Tíèñùðïò gioca a diversi... "tavolini" etimologici (v. avanti). 16 Cfr. ad es. Walde,A.-Pokorny,J. (1930) s.v. ados- n. "Getreideart, Spelt". Viene ripreso Fick I4 351 che connette lat. ador "eine Art Getreide, Spelt" e PèÞñ "Hachel an der Ähre, Lanzenspitze" e forme affini ed è ritenuta "wahrscheinlich" l'etimologia di Güntert (1915), mentre sono respinte quelle di Holthausen (1916, v. avanti) e di Brugmann della "Festgabe Kaegi" (v. dietro).

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(pietoso), è il fatto che esso è motivato, come nel caso di Brugmann (1901), dall'esigenza di dare uno spiegazione fonotattica al è mediante l'aspirazione di una presunta s- iniziale.17

Ma è solo un'illusione, propria di chi crede di poter trovare nella forma (isolata!) delle parola la stessa (illusoria!) trasparenza che l'indovino pretende di riconoscere nella sua sfera di cristallo. E di questa stessa illusione si alimenta (l'espressione non è casuale!) un illustre transfuga dell'etimologia androcentrica, K. Brugmann (1919, pp.29ss.) che, fa derivare la parola -con nuove peripezie fonetiche e morfologiche e con il valore di "Aufzögling"- da Píá-ôñÝöù “alimento, nutro, allevo", senza spiegare, ad esempio, la mancanza della seconda -a-.

Solo un anno dopo esce il primo dei tre tentativi etimologici di F. Ribezzo (1920, pp.127-128; v. pure, avanti, 1927 e 1932), che è interessante perché in esso lo studioso si occupa di itt. antuhsas "uomo" e del suo collettivo antuhsatar "popolo" (a cui fa corrispondere correttamente accadico nisu, nesu "popolo", v. avanti, par.3.2.) e lo analizza come anta+uhsa-s, recuperando più avanti (senza citarli!) Brugmann (1901) e Kretschmer (1918) (v. dietro, par.1) e proponendo (anche per Tíèñùðïò!) un valore "colui che guarda come un altro, come un diverso". Naturalmente la spiegazione della voce ittita (e della sua corrispondente greca) è inaccettabile, ma il fatto che in essa sia adombrata una componente etnica di alterità costituisce uno spunto notevole, che R. riprenderà nel suo terzo tentativo (1932), ma da un'angolatura diversa.

Banale invece (e non originale!) è la spiegazione di O. Hoffmann (1921, pp.78-79), che fa derivare la parola da sm- "zusammen" (con nasale sonante), dalla radice dhere "halten" e da ï/ùð- "Auge" e la spiega come "mit beiden Augen vereint auf ein Ziel blickend" con rinvii a ai. sadhryàñc- e a Üèñüïò. Secondo H. "das Wort muss also einen charakteristischen Unterschied zwischen dem Auge, dem Blicke des Menschen und dem des Tieres hervorheben". Inoltre, sempre per lui, PèñÝù rappresenterebbe "das scharfe Einstellen beider Augen auf einen Gegenstand... beim Menschen stehen die beiden Augen so neben einander, dass sie zusammen auf dasselbe Ziel eingestellt werden, während bei den meisten Tieren... die Sehaxen der an den Seiten des Kopfes stehenden Augen nicht konvergieren können". Questa interpretazione, rimessa in onore in tempi recentissimi, da J. Knobloch (1991, pp.157 e 158, v.avanti!), ne riprende in realtà una altrettanto astratta e macchinosa dell'Etymologicon Magnum.

Molto più impegnativo, soprattutto sul piano della spiegazione formale, è il contributo di W. Prellwitz (1927, pp.128-138). Secondo questo studioso, l'uomo è anticamente visto in opposizione agli animali, che in antico indiano sono definiti con tiryañc- "in die Quere gehend, waagerecht", per cui il termine greco -che appartiene allo stesso schema derivativo (-añc- = -ùðüò!) significa "der aufrecht gehende". Per P. il suffisso -ùðüò significa "gerichtet nach" (come in åkóùðüò di Il. Ï 653) e si deve tradurre "aufwärts gerichtet". In sanscrito il suffisso -añc- appare originariamente come un derivativo da preposizioni (p.129), rianalizzato successivamente come -rañc- (cfr. sadhryañc-). Per Tíèñùðïò si suppone un allargamento in -dh- a partire da un grado ridotto della preposizione dí, ulteriormente espanso con -r- (analisi: Tí-èñ-ùðïò "aufrecht", con ossitonia aggettivale, poi sostantivato, mediante ritrazione dell'accento, con il valore di "uomo"). A conferma si dà un'analoga interpretazione di Píèåñåþí "Kinn" e forme simili (cfr. Güntert 1915).18

17 Non mi è stato possibile reperire il contributo di Daric'in "Prilozi" 16,1936, pp.78-93, citato da Devoto (1949[1952], p.64, che a sua volta lo desume da dall'"Indogermanisches Jahrbuch" 22, 218. Secondo questo studioso -ùðïò di Tíèñùðïò sarebbe in rapporto con lat. sucus, quindi nuovamente con un termine destinato con la sua s- iniziale a giustificare un'aspirazione protogreca, a sua volta capace di motivare il è di Tíèñùðïò! 18 L'analisi morfologica di Prellwitz sarà ripresa, oltre quarantanni dopo, da E.P. Hamp (1968, 1973) senza citazione ed in un quadro di possibile interferenza tra due procedimenti derivativi formalmente e semanticamente contigui (v. avanti).

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In tutt'altra prospettiva si muove invece F. Ribezzo (1927, p.54), che dal punto di vista fonetico (problema di -th-!) richiama Brugmann (1901) e Muller Jzn (1920), ma ne sottolinea le carenze etimologiche (anche riguardo al Brugmann della "Festgabe Kaegi", pp.29-30). Secondo R. la -o- lunga della parola si spiega con la trafila -ùðïò con -o- breve > -ùø con -o- lunga > ùðüò con -o- lunga. In modo originale (cioè non androcentrico) R. dà una diversa spiegazione etimologica di äñ§ø (!), che non riconnette a PíÞñ ma a í§ñïø con il valore di "brunito, bruno" (un i.e. nr- è da lui scorto in Tíèñáî "carbone", Píèñçäþí "calabrone"...). In conclusione: Tíèñùðïò vale "occhi-nero" e non "faccia lucente" (si ricordi il tentativo di Goebel, citato in Ebeling 1885, p.129!) con influsso fonetico di Tíèñáî. Questo secondo tentativo etimologico di R. (v., dietro, Ribezzo 1920) troverà un precisa ripresa (senza citazione!) in C.J. Ruijgh (1970) ed è, a parer nostro, importante per quella che abbiamo già chiamato "prospettiva cromonimica" (v. avanti, par.4)19.

Intanto va registrato il primo dei numerosi (e contraddittori) tentativi etimologici di V. Pisani (1928, pp.361ss.), che cerca di riconoscere in “maced.” äñþø la parola *èñþø, gen. *ôñùöüò e giustificare così l'etimologia di Brugmann in Kaegi-Festgabe 29ss., senza per altro trovare "accoglienza favorevole"20 nei Literaturberichte di Glotta. A questo proposito basterà dire che non occorre soffermarsi ulteriormente su riserve già fatte al riguardo (v. dietro).

Nello stesso anno W. Prellwitz (1928, pp.151-154), in un breve contributo, tenta di rafforzare dal punto di vista formale (p.151) la sua etimologia (cfr. Prellwitz 1927) e fa notare che certe forme anticobattriane con perdita della nasale anteconsonantica di a.i.-añc- si accordano perfettamente con il tipo formale -ùø,-ùðï-.

Una complicata ipotesi pregreca viene presentata subito dopo da K. Ostir (1929, p.293), che è tuttavia originale nel tentativo di connettere Tíèñùðïò con un presunto pregreco *ìå-(è)ñïð-"Menschen", attestato in ìÝñïðåò, che tra l'altro è un epiteto omerico di Tíèñùðïé (v. avanti, par. 5 ) e, a detta di O., presenterebbe il prefisso pregreco * ìå-. La protoforma viene così ricostruita: *á-ì [å]- èñùð- = Tíèñùðïò con giustificazioni fonetiche e morfologiche: cfr. per t(h), che alterna con 0, n-èõìâïò e n-áìâïò (con ulteriore alternanza u/a) e il morfema di plurale -ïð- presente, ad es., in Äüëïðåò.

Il terzo tentativo etimologico di F. Ribezzo (1932, pp.72-74) è anche quello più noto. Si tratta di un lavoro importante, almeno in quanto motivatamente alternativo all'etimologia androcentrica, ma anche criticabile a fondo, a cominciare dalla sua eccessiva sottolineatura della contrapposizione omerica tra Tíèñùðïé e èåïß (v. dietro!).21 In ogni caso per R. l'analisi formale del termine consente di riconoscere "l'esistenza protoellenica di un formante local-qualitativo -ðï" (pp.73-74), presente in etnici e toponimi (v. dietro!), che si unisce ad un possibile derivato greco dell'avverbio i.e. ndhr- "sotto" (forme derivate a p.74), per cui gli uomini, in quanto Píèñù-ðïß, sarebbero "quelli di giù" in contrapposizione a "quelli di su", cioè gli dei. Ma qui è opportuno far notare che nel mondo antico il concetto di inferi non si applica agli uomini come "quelli di giù", bensì agli dei del mondo sotterraneo e che inoltre il greco non ha altri derivati del supposto i.e. *andh(e)ro- e che, infine, l'attestazione micenea atoroqo esclude la possibilità di una derivazione in -po.

A che punto fosse il bilancio etimologico intorno agli inizi degli anni trenta ce lo dice P. Chantraine (1933, p.259) in un celebre libro sulla formazione dei nomi nel greco antico, in cui, dopo aver trattato le formazioni a cui appartiene il nostro termine (pp.257-260), cita Prellwitz (1927) e Ribezzo (1932) nel quadro dell'ipotesi di "un suffixe d'origine différente qui s'est

19 L'etimologia di Ribezzo fu rigettata -in verità con una critica frettolosa ("Lauter unwahrscheinliche Annahmen") - da P. Kretschmer (1931, p.220). 20 Cfr. F. Ribezzo (1932, p.72) per la notizia al riguardo. 21 Che viene invece particolarmente apprezzata da Seiler (1953, v. avanti).

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morphologiquement confondu avec la finale -ùð-", ma conclude drasticamente: "Tíèñùðïò reste énigmatique".

La situazione, ovviamente, non si sblocca nemmeno con W. Krogmann (1935, pp.220-224), che si richiama a Güntert (1915) e a Holthausen (1916) e, dopo aver eliminato alcuni confronti del primo, fa notare che le due etimologie si ricoprono, ma sono entrambe insoddisfacenti dal punto di vista semantico. Per lui dietro Tíèñùðïò c'è la radice i.e. *andh-, che ha come Grundbedeutung "hervorstechen" ed è comparabile con i.e. *gher- di uguale significato (esempi di derivati a pp.222-223). Un significato secondario sarebbe da una parte "Haar", dall'altra "hervorragend". Per lui Tíèñùðïò "bezeichnet das Wesen, dessen Gesicht hervorragt, und unterscheidet so den Menschen vom Tier nach dem Hauptsächlichsten Merkmal" (p.224). Non si può fare a meno di notare che, da un punto di vista localistico, l'interpretazione di K. è il rovesciamento dell'etimologia di Ribezzo (1932), per altro nel quadro di una polarità "uomo-animale" che non trova riscontro nell'evidenza dei testi e fa da pendant metalinguistico all'altra presunta polarità "uomo-dio" invocata nell'opposta agnizione etimologica.

Nello stesso anno V. Pisani (1935, p.300; poi ripreso in Pisani 1938), al suo secondo tentativo etimologico, rovescia la posizione di Krogmann e, forse condizionato dall'agnizione brugmanniana da lui difesa qualche anno prima (Pisani 1928, v. dietro), ritiene che alla base ci sia una parola pregreca, ma indeuropea (*teues- "schwellend, Groß") presente anche in itt.antuhsa-; tale parola per lui si opporrebbe, sempre a livello pregreco, ma, in ogni caso, indeuropeo, ad un termine continuato da lit. dvasià ed espresso pure in èåüò "Geist" - arm. dik' "dei", per cui avremmo in Tíèñùðïò "il corporeo" in opposizione ai valori teonimici sopra riportati.

Dieci anni dopo lo stesso Pisani (1948, pp.272-273), con una significativa oscillazione, riprende la spiegazione etimologica dei due lavori precedenti, che nella coppia Tíèñùðïò- èåüò riconosce la polarità "corpo-spirito", ma insiste nuovamente sul rapporto di Tíèñùðïò (e presunto macedone äñþø) con ôñÝöù "nutrisco". Egli ritiene inoltre che itt. antuhsas/antuhhas "uomo" sia "una parola indicante in origine 'grosso, forte' analogamente ad Tíèñùðïò e calcata anch'essa su un termine preindeuropeo e così abbandona di fatto l'ipotesi della connessione anche formale tra i due termini (cfr. Pisani 1935, 1938).

In questa situazione si può facilmente comprendere perché H. Frisk (1954, pp.110-111), dopo un'ampia rassegna delle etimologie, arrivi, ventanni dopo Chantraine (1933), alla stessa conclusione negativa: "Trotz wiederholter Anstrengungen nicht aufgeklärt".

Non androcentrico, ma fiancheggiatore nel senso già detto (v. dietro) è, nello stesso anno, A.J. van Windekens (1954, pp.521-523) che, dopo alcune riserve e riconoscimenti sull'etimologia di Devoto (1949 [1952]), sostiene l'origine "pelasgica" (dove, a sua scienza, i.e. *t > th...) e la dipendenza da i.e. *ant-, tema nominale di *an- "respirare". Allo stesso tema è riportato itt. antuhhas "homo". Alla radice *an- con identico allargamento secondario in -r- appartiene anche PíÞñ. Per v.W. la terminazione -ùðïò si spiegherebbe per l'influsso di äñþø. Il valore originario greco -parallelo a quello di PíÞñ- sarebbe stato "munito di forza vitale" (p.523). In questo modo il richiamo al "respiro alias forza vitale" aggiunge un'altra istanza di designazione al già ricco dossier... di tratti umani (in questo caso non solo umani!) salienti, di volta in volta attinti per giustificare le diverse (e ugualmente infondate) speculazioni etimologiche, alcune delle quali vengono poggiate -come in questo caso- sul comodo, ma illusorio strumento agnitivo dell'ipotesi sostratistica.

Alla sirena del sostrato (ma non alla stessa di van Windekens!) non resiste neppure F.B.J. Kuiper (1956, pp.211-226). Secondo lui nessuna spiegazione etimologica è riuscita a giustificare sia è sia Pí- (di fronte a äñþø!), per cui è quasi inevitabile pensare ad un'origine pregreca e, in tal senso, bisogna rifarsi ad una serie di fenomeni fonetici pregreci (consistenti in nasalizzazioni e

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prenasalizzazioni e presenti in varianze tra consonanti e gruppi consonantici), nonché invocare il fenomeno della vocale protetica e il confronto tra PíèñÞíç e èñþíáî, per collocare in un corretto contesto formale pregreco il rapporto Tíèñùðïò e äñþø. In effetti la spiegazione brugmanniana "though generally accepted, is rather improbable on semantic grounds, and encounters phonological difficulties" (p.225). La conclusione è che "for the present, and perhaps for ever, the 'etymology' of Tíèñùðïò would thus narrow down to the analysis á-íèñùð- : äñùð-"; una conclusione, a dire il vero, di sconcertante sicurezza, in parte contraddetta dallo stesso Kuiper (1968, v. avanti), costretto pochi anni dopo ad aggiustarne il tiro.

Ma anche un ritorno alla solida e collaudata "casa" indeuropeistica può essere addirittura più pernicioso. E' il caso di J. Otrebski (1967, pp.220-222). Nel suo lavoro, dopo alcune corrette premesse semantiche intorno a certe referenze servili del termine (p.220) ed un'affermazione tanto recisa quanto immotivata ("In der Vorzeit bezeichnete Tíèñùðïò wohl ein Mitglied der uralten Großfamilie"), il termine viene comparato "mit dem bedeutungsverwandten griechischen Wort èÝñáø , Pl. èÝñáðåò M. 'Diener; Gefährte' bzw. mit èåñÜðùí, -ïíôïò dss., F. èåñÜðáéíá, böot.-çíá und èåñÜðíç 'Dienerin' (aber auch 'Wohnung')" e, dopo l'ammissione che anche l'etimologia di èÝñáø è incerta, si conclude: "Von èÝñáø unterscheidet sich Tíèñùðïò im Grunde nur dadurch, daß es noch die Vorsilbe enthält". Per risolvere questo... piccolo dettaglio, O. si impegna in ulteriori (e ancor meno plausibili) confronti in area celtica, che agganciano un'ulteriore area semantica dell'essere "giovane" sia umano sia animale, ed arriva a dire che il morfema -p(o)- (!) presente nei termini a confronto è "eine Variante von pu- in aind. pu-man M. 'männliches Wesen, Mann, Mensch'"(!). Dopo ulteriori peripezie morfologiche (p.221), egli approda ad una comune radice *dher-, di cui dichiara con assoluta sicurezza: "Es ist wohl die stimmhafte und aspirierte Variante der Wurzel *ter- in lit. tarnas M. 'Diener' und aind. tarna-h, tarnaka-h 'Kalb'(!)". Da questi brevi cenni si può comprendere perché Frisk (1972, p.33) giudichi il tentativo "Unsinn". Ma per il nostro assunto più generale sono sintomatiche proprio le ultime battute di un discorso così inaccettabile: "Auffällig ist die Bedeutung von Tíèñùðïò 'Mensch', früher wohl Mann." (E' proprio il caso di dire che gli "atti di fede" in linguistica sono perniciosissimi!) E ancora, in nome della sempre risorgente prospettiva androcentrica: "In der Entstehung dieser Bedeutung spielte eine Rolle vielleicht das Wort PíÞñ M. 'Mann'. Im Sprachbewußtsein der Griechen mögen Tí-èñùðïò und Pí-Þñ zwei Formen des gleichen Wortes gewesen sein - ähnlich wie im Sprachbewußtsein unserer Sprachforscher." Ma proprio su questo opinabile "Sprachbewußtsein" metalinguistico abbiamo a più riprese avanzato fondate e motivate riserve.

Un anno dopo esce il Dictionnaire étymologique di P. Chantraine (1968), che contiene sulla nostra parola un'importante rassegna etimologica ed un corretto bilancio. Secondo C. essa si oppone in prima istanza a èåüò e si impiega soprattutto al plurale presso Omero, designando l'uomo come specie. Altri impieghi sono al vocativo ("avec ton de mépris") e al femminile (attico) "parfois avec ton de mépris". L'etimologia è definita "ignorée" con rinvii a Frisk (1954) per l'elenco dei tentativi e a Seiler (1953) per l'opposizione tra classe degli uomini e classe degli dei. Di Devoto (1949 [1952]) si dice "explication compliquée par l'hypothèse d'une origine illyrienne", di äñþø si dice che la glossa "ne peut être évoquée qu'avec réserve" e si cita senza commenti Kretschmer (1939) e Georgacas (1958). Dopo aver detto che il miceneo atoroqo rende "quasi-certaine l'existence d'un second terme -okwo-" e sembra portare "un petit appui par ex. à l'explication par Píäñ-ùðïò". C. conclude così: "On hésitera aussi à admettre que les Grecs aient désigné les humaines par un terme signifiant 'au visage d'homme'. Les données du problème sont donc précisées sur un point, mais il n'est pas résolu".

Nello stesso anno F.B.J. Kuiper (1968, pp.275-276), costretto a prendere atto dell'attestazione micenea del termine, sostiene tuttavia l'esistenza di labiovelari "pre-elleniche" nel quadro di un

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"non-Indo-European substratum language" (p.269); ribadisce che "it can be stated without any exaggeration that none of the numerous Indo-European etymologies that have been proposed in the last 140 years or so is either phonetically possible or semantically probable" (p.275); conclude che "the idea of a pre-Hellenic origin can be fully maintened with the only correction that it represents *a-nthroku-. As such it deserves to be mentioned among the evidence for pre-Hellenic /ku/" (p.276). In questo modo egli si conferma (cfr. Kuiper 1956) come uno dei più convinti sostenitori dell'etimologia orientata su fatti di sostrato (p.es. Merlingen, Van Windekens, etc.) o di adstrato (p.es. Devoto), sul cui reale potere esplicativo abbiamo già avanzato ed avanziamo non poche riserve.

Le stesse riserve valgono per un ulteriore tentativo di V. Pisani (1969, pp.157-159) che, partendo dalla "parola mesopotamica" antahsum "zafferano = bulbo virile" (la tentazione androcentrica!) e dalle presunte sue connessioni con itt. antuhsa- ritiene erroneamente che anche in "hatti" esista una parola antu- con il valore di "homo" e, su questa base, avanza l'ipotesi di un'origine anatolica preindeuropea per Tíèñùðïò, äñþø, negando sue vecchie spiegazioni etimologiche (p.157). Ritiene a ragione che "semanticamente 'faccia d'uomo' divenuto 'uomo'... pare un po' troppo etimologia da tavolino" (p.158). Conclude che il termine greco potrebbe essere la contaminazione di un termine di origine micrasiatica (proponendo l'equazione tra Micenei e Ahhijawa) ed un altro (cfr. äñþø!) che "consta di elementi indeuropei antichi", per cui difende l'autenticità di questa ultima voce (v. specialmente pp.158-159).

Molto interessante, nel quadro dell'analisi che svolgeremo più avanti, appare invece l'inconsapevole ritorno di C.J. Ruijgh (1970, p.312) alla vecchia ipotesi cromonimica di F.Ribezzo (1927, v. dietro!). Nell'ambito di una recensione a P. Chantraine (1968) egli accetta l'idea che la forma micenea con labiovelare legittimi l'analisi del secondo membro con riferimento a "viso, occhio", mentre "Le premier membre reste obscur. Avec beaucoup d'ésitation, nous proposons de l'identifier au nom *Tíèñïò, qui est à la base du dérivé Tíèñáî 'charbon de bois' (cf. ëßôáî : ëßôïò). En pensant à des composés comme ðõñ-ùðüò "aux yeux semblables au feu", on pourrait supposer que les sens original de Tíèñ-ùêWïò a été 'aux yeux noirs comme le charbon'. Il s'agirait donc d'un sobriquet, qui a fini par devenir un appellatif de sens plus général et dépourvu de valeur affective". Per ora ci limitiamo a far notare che il riferimento agli "occhi neri" non appare in nessun modo motivato sul piano documentario e che tutta la problematica dell'istanza cromonimica merita tuttavia un adeguato approfondimento (v. avanti).

Molto sintomatica -a questo punto del nostro discorso- è anche la recensione alla stessa opera di O. Szemerényi (1971, pp.641-675, sp. pp.655-656). S. si esprime decisamente contro l'etimologia "androcentrica" sia per difficoltà fonetiche ("Hamp's latest combinations... merely confirm this", p.655) sia per ragioni semantiche: "it would be odd if the Greeks had described the humans as 'au visage d'homme'". E continua così (in modo piuttosto apodittico): "But it might be advisable to conclude from this that the morpheme-cut is not *anthr-okwo-, as has been automatically assumed so far, but rather (1) *andr-hokwo- (modello brugmanniano!) or even (2) *ant-hrokwo- (ma non si dice secondo quale sintagma lessicale!). Semantically, German 'Menschen(s)kind' or Mensch from *mannisko should be born in mind (un ritorno al Pott androcentrico!), etymologically the Hittite forms antu(wa)hhas, antuhsas (ma non si forniscono le giustificazioni formali; su ciò v. avanti, par.3.2.!)".

Intanto, sul finire degli anni settanta, A.J. van Windekens (1978, p.94) riprende e tenta di rafforzare la sua etimologia del 1954 (v. dietro!), aggiungendovi Tíôñïí, arm. ayr "caverne", nel senso primario di "lieu d'où sortent des émanations" (Chantraine, DELG I 93), "wo es dunstet" (Frisk, GEW I 115), etc., nel quadro di i.e. *an- "respirare". Presume che sia esistito un i.e. *antro-, che al neutro avrà significato più o meno "lieu, endroit du souffle", mentre al maschile avrà

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espresso più o meno la nozione di "celui qui muni du souffle, celui qui respire". Conclusione: "Les grecs ont emprunté aux Pélasges le terme masculin *anthr(a)- 'être vivant' et en ont formé le composé Tíèñùðïò signifiant littéralement 'au visage de, à l'aspect d'un être vivant > 'homme'".22

Uno studioso che, invece, è sempre pronto a tentare vie nuove è V. Pisani (1981, pp.515-517), che, al suo quinto tentativo etimologico (v. dietro) su Tíèñùðïò, realizza l'agnizione dell'homo loquens, interpretandolo come *áñèñï-�ï/ùð-ï-ò "articulata praeditus voce". Su questa spiegazione valgano le riserve dello stesso Pisani (1969, p.158) sull' "etimologia da tavolino" e le considerazioni generali svolte all'inizio di questo paragrafo.

Il più recente tentativo etimologico su Tíèñùðïò è, per quanto ne so, quello di J. Knobloch (1991, pp.155-159) che, nel quadro di termini di una presumibile "Jägersprache" indeuropea, riprende l'etimologia del termine dopo aver citato le posizioni negative di Chantraine (1968) sugli etimi proposti e di Kuiper (1968) sulla sua origine indeuropea. Si aggancia poi alla posizione di Hoffmann (1921) e di Prellwitz (1927) (v. dietro), secondo le quali Tíèñùðïò si deve spiegare a partire da una contrapposizione tra "uomo" e "animali", cosa ancor più rilevante -secondo K.- nella lingua dei cacciatori. K. cita a questo proposito ancora O.Hoffmann per la sua etimologia da "PèñÝù: das scharfe..." (v. dietro!), citando altresì Devoto (1949 [1952]), che ammette una possibile connessione del termine con con "einer alten Jägerkultur". K. riconosce in itt. antuhsas (come aveva già fatto Kretschmer 1918,231, da lui citato a p.158 n.13) l'antecedente i.e. di Píôß, Tíôá con il valore di "Stirn", ma ritiene che nella seconda parte del termine non sia più possibile riconoscere il corrispettivo di sanscr. áksi- "Auge", mentre è possibile cercarvi l'esito di una radice *au- continuata in itt.auszi "er sieht". Per questa strada egli arriva a supporre per il greco una "innere Wortform *Stirnseher ...in Analogie zum Hethitischen" (p.159). Per risolvere la difficoltà dell'aspirazione di è, egli (a somiglianza di Brugmann 1901, non citato!) va poi in cerca di una sorta di incrocio di epoca i.e. di due radici *ser- "sorgend Obacht geben, schützen, bewahren" (IEW 910) e *wer- "Gewahren, Acht geben" (IEW 1164), che sarebbe documentato "in der Weiterbildung *swer-gh- "sorgen, sich worum kümmern". Conclusione: "Die Deutung von Tíèñùðïò als *ant-swr-(o)qwo-s hätte die Übereinstimmung mit den Regeln der Lautlehre und die morphologische Begründung (exozentrisches Kompositum) für sich" (p.159). A parte il ragionamento complessivo -faticoso e complicato a livello di ricostruzione indeuropea- e la pregiudiziale referenziale della "Jägerkultur" (che è pregiudiziale androcentrica!), vorrei far notare che l'analisi della forma ittita, su cui si fonda tutta la (ri)costruzione etimologica, è sbagliata sul piano fonetico e non giustifica pertanto l'assunzione semantica. Anche la spiegazione all'interno del greco appare macchinosa. Infine: è vero che... "l'uomo è cacciatore", ma Tíèñùðïò in tal modo viene ancora una volta trascinato, sia pure per vie traverse (ma niente affatto nuove, v. dietro!) dentro la pregiudiziale "androcentrica"...

3. La prospettiva "antropocentrica" e il gradiente designativo del greco antico Giunti a questo punto sembra opportuno, anzi necessario -per (tentare di) uscire da una

situazione senza sbocchi apparenti- assumere una corretta prospettiva "antropocentrica" e chiedersi quale posto occupi la nostra parola in un gradiente designativo su cui il greco antico colloca le più importanti designazioni degli esseri umani. Un fatto colpisce ed ancor più sconcertante è che esso non sia stato mai posto nella dovuta evidenza: Tíèñùðïò, più spesso Tíèñùðïé, è designazione 22 Un cenno appena dedicheremo al tentativo non androcentrico e ipercomparativo di A. Gluhak (1979, pp.233ss.), che propone un'origine nostratica (* anda), senza render conto della porzione finale della parola greca, che invece costituisce il centro della problematica di questa parola (in ciò giustamente criticato da Hamp 1981, v. avanti)

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generica di entità umane (maschili e/o femminili, più esattamente: con una netta tendenza alla neutralizzazione dell'opposizione di sesso), spesso lontane nello spazio e nel tempo, mai identificate con nomi, semmai accompagnate da epiteti generalizzanti ("terrestri, mortali, etc."). Il nucleo semantico forte di questa designazione è allora il riferimento a quello che abbiamo già definito un "uomo qualunque", mentre il suo impiego può facilmente slittare verso connotazioni di disprezzo (Lisia, Eschine, Senofonte, Platone) o di ironico rovesciamento (come, nello stesso Platone, Phd. 116d la qualifica di Póôåsïò "cittadino > colto, elegante,etc."). In modo altrettanto significativo Erodoto (3.63, 8.125), poi seguito soprattutto da Platone, attesta l'uso del termine al vocativo (e al singolare!) per rivolgersi a schiavi; e non si può trascurare il fatto che esso, in fasi più tarde, tenderà ad essere sinonimo di "schiavo" o di "servo" per approdare (o per tornare ad essere?) nel greco dei Settanta o dell'Epistola ai Corinzi quasi un pronome indefinito e impersonale. Al femminile, infine, il termine appare attestato in Erodoto, Pindaro, Isocrate, Aristotele, spesso con senso di disprezzo o di pietà (e con riferimento a schiave).23

Date queste premesse appare troppo unilaterale (anche se per vari aspetti eccellente) l'interpretazione semantica di H. Seiler (1953, pp.225-236), che insiste sulla polarità "uomini-dei" e si rifà -con varie riserve- a precedenti tentativi etimologici (Devoto 1949[1952], Holthusen [sic! Cfr. F. Holthausen 1916!], Fick 1894, Brugmann 1919, G. Meyer 18963, Ribezzo 1932), facendo correttamente notare che tutte queste etimologie, fatta eccezione per quella di Ribezzo (p.232, n.3), spiegano l'uomo come "Einzelerscheinung" con riferimento ai suoi modi di apparire e con implicita contrapposizione agli animali, mentre in realtà la parola (Omero, Esiodo, etc.) si usa tendenzialmente al plurale. Contro questa generalizzazione acronica S. pone (ma poi sviluppa in una sola direzione!) il problema dell'effettiva spinta onomasiologica originaria in situazioni di denominazione affatto diverse dalle nostre. Una spinta riguarda la sede terrestre degli uomini come contrapposta a quella celeste degli dei (p.228); un'altra il carattere di "mortali", anche questo contrapposto agli dei che sono "immortali". Conseguenza fondamentale: i termini analizzabili sono contrapposizioni alle espressioni che designano gli dei e in particolare Tíèñùðïé è opposto a èåïß (pp.230ss.).24 In conclusione (p.233): "Das Wort Tíèñùðïé ist aus dem festen und präzisen, eng umschriebenen Korrelationsverhältnis mit èåïß herausgetreten" e (affermazione interessante, già anticipata in Ribezzo 1932) "Die Bezeichnung Tíèñùðïé verhält sich wirklich ganz ähnlich wie ein Ethnikon..." (tuttavia, vorremmo aggiungere noi, di un'etnicità significativamente generica e onnicomprensiva25). In questo quadro S. fa notare che più tardi anche il termine Tíäñåò finisce per designare l'umanità contrapposta agli dei, ma -come si è già accennato- manca di collocare quest'ultimo termine (ed altri possibili) su un gradiente designativo rispetto a Tíèñùðïò, privilegiando, soprattutto nel testo omerico, la polarizzazione Tíèñùðïé - èåïß.26

Questo gradiente designativo invece esiste senza ombra di dubbio nel greco antico e per ora ci limiteremo a tratteggiarne gli aspetti essenziali per poi chiarirne le modalità nella sede opportuna (v. avanti, par.6). Lo possiamo immaginare (a partire da Omero e da Esiodo, ma importanti verifiche sono possibili anche nella letteratura seriore) come una struttura piramidale, alla cui base

23 Notevole in Erodoto 1.60 il fatto che ½ Tíèñùðïò compaia in un brano in cui si contrappone a ½ èåüò. 24 Nel caso di Tíèñùðïò S. sottolinea l'incertezza sulle sue origini indeuropee, nel quadro di una sottaciuta (ma evidente) "disperazione etimologica". 25 Basterà, a questo proposito, ricordarsi che Omero qualifica con Tíäñåò e non con Tíèñùðïé quei popoli che godono di una precisa identità e di una più o meno larga fama (cfr. Iliade Á 594 Óßíôéåò Tíäñåò ,  611 EÁñêÜäåò Tíäñåò , Ã6 PíäñÜóé Ðõãìáßïéóé, etc.; e Odissea á 23-24 hó÷áôïé Píäñ§í, cioè gli Ákèßïðåò, etc.). 26 Per i rapporti semantici tra PíÞñ e Tíèñùðïò rinviamo a Sr. M. Matthäa Vock (1928), segnalato da P. Kretschmer in "Glotta" 19,1931, p.213 con un poco gratificante "nicht viel Neues", appena temperato da un "sehr willkommen" di circostanza.

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collocheremo gli Tíèñùðïé, tendenzialmente al plurale e con minima individuazione; nel cui corpo intermedio riconosceremo l' PíÞñ e gli Tíäñåò, con equa distribuzione tra singolare e plurale e media individuazione; al cui vertice, infine, scopriremo il öþò (e i più rari ö§ôåò) tendenzialmente al singolare e con massima individuazione. Siamo in presenza, sia dal punto di vista quantitativo sia da quello qualitativo, di una gerarchia di forte marcatezza sociale, che pone al livello più alto il öþò, cioè un essere umano che è cittadino o guerriero "illustre", che considera intermedi tutti coloro che per meriti civili e militari in qualche modo eccellono (sia presi singolarmente sia visti collettivamente), che relega in una sorta di anonima oscurità l'enorme massa degli altri. Gli dei, invocati da Seiler, Ribezzo (e da altri ancora) per spiegare gli Tíèñùðïé, non fanno parte di questa piramide, ma, sovrastandola, sono ovviamente più vicini (e spesso assai implicati) con il suo vertice e con il suo livello intermedio. Del resto un PíÞñ può ben essere, in determinate circostanze, anche un öþò, mentre questa condizione è assolutamente preclusa per gli Tíèñùðïé.

Ma, allora, qual è l'esatto valore designativo di Tíèñùðïò e, soprattutto (dato il riconosciuto valore del morfema derivativo "che ha l'aspetto di, che appare come,etc."), qual è l'autentica istanza onomasiologica contenuta nella prima parte del termine?

3.1. Alcune denominazioni dell'uomo in lingue del vicino oriente antico Per (tentare di) rispondere a questa domanda cruciale bisogna andare oltre Omero e oltre il

greco, in direzione dei due più grandi nodi di cultura del vicino oriente antico, quello mesopotamico (sumero-accadico) e quello egiziano protodinastico e dinastico; e qui apriamo questa nuova prospettiva non certo per un malinteso gusto dell'esotismo o perché il greco non ci può dare motivazioni adeguate, giacché -come vedremo più avanti- i fondamenti etimologici del termine sono greci e, più alla lontana, indeuropei (e non preindeuropei, come vorrebbero certi sostratisti ad oltranza, v. dietro, par.2). Lo facciamo invece nella convinzione, già espressa nelle prime battute del nostro discorso, che la nozione di Tíèñùðïò (non il termine, bensì l'idea ispiratrice!) trovi il suo fondamento nel progressivo verticalizzarsi delle società umane del vicino oriente a partire dalla cosiddetta "rivoluzione neolitica" e nel costituirsi di strutture prima protostatali poi decisamente statali di tipo piramidale nel senso appena ora detto. Le designazioni dell'uomo, nelle antichissime tradizioni linguistiche corrispondenti, non sono affatto neutrali al riguardo, anzi accompagnano e sottolineano i diversi statuti sociali. Ci sono insomma Tíèñùðïé, Tíäñåò e ö§ôåò anche in Mesopotamia e in Egitto e sono proprio i corrispettivi dati linguistici che ce ne danno una netta conferma.

Le denominazioni sumeriche degli esseri umani sono, in tal senso, assai illuminanti.27 Se prescindiamo dalla base della piramide (ma l'agnizione si imporrà naturalmente più avanti) e da alcune designazioni di alta valenza iperonimica (ad es. azalulu "creature (anche animali), esseri viventi, gente, uomini, umanità" e t in "uomo (maschio), condizione virile, maritino(!)", che in realtà è ipostasi antonomastica del verbo corrispondente che designa il concetto generico di "vivere"), i termini a nostra disposizione sono assai eloquenti.

Innanzi tutto troviamo la sfera designativa (livello intermedio della piramide) dell'"essere umano (soprattutto maschio) giovane e forte" (PíÞñ, ma anche {ñùò!): tanto per cominciare il lúkal.tur "giovane maschio" (in cui kal si riferisce alla "forza virile" e tur alla "giovane età", cfr.

27 La lessicografia sumerica non dispone ancora di opere complessive (e complete) che siano sintesi adeguate dei notevolissimi risultati conseguiti dai singoli studi. Ci siamo avvalsi pertanto, in prima approssimazione, dei materiali desumibili dalla volenterosa raccolta di Barbara Hübner e Albert Reizammer, inim kiengi (lett. "parola/e di Sumer"), Sumerisch-deutsches Glossar in zwei Bänden, pubblicata tra il 1985 e il 1986 (cfr. pure il Deutsh-sumerisches Glossar del 1984).

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pure lúba.tul di identico significato), poi ĝuruš che vale "giovane maschio, uomo (maschio)", ma anche "uomo nobile, eroe, capo" e, con un rovesciamento solo apparentemente paradossale (cfr. l'espressione ĝuruš.á.tuku.bi, lett. "giovani, che hanno la forza"), "lavoratore, servo, schiavo" (in quanto dotato di forza"). Altre designazioni dello stesso livello sono: mu "uomo (maschio)", soprattutto "giovane", ma anche "re, condottiero" e persino "dio, divinità"; mu.lu "uomo (maschio), ma anche "cittadino, essere umano" e, ancora, "signore"; nita, specialmente "uomo (maschio), virile", ma poi anche "essere umano, cittadino, marito" (e cfr. nítah "uomo (maschio)", nítah "guerriero"); mèš "giovinetto, eroe, uomo (maschio) giovane) e mez "uomo (maschio), eroe", ma anche "essere umano". Dentro questa sfera della forza vitale si comprende facilmente come possa rientrare anche dam con il doppio valore di "moglie" e "marito" (cfr. dam.nu.tuku "non sposato/a", lett. "che non ha moglie/marito").

Se saliamo (quasi) al vertice della piramide troviamo, oltre il poco caratterizzato na "cittadino, essere umano, uomo (maschio), il più importante nome sumerico dell'uomo, cioè lú con i valori di "essere umano, cittadino, proprietario di qualcosa, signore" e, talvolta, in virtù di un facile traslato, anche "uomo (maschio)". Interessanti, per un corretto inquadramento sociale del termine, sono i numerosissimi composti (tra gli altri: lú.àr.àr "mugnaio", lú.bad "portinaio", lú.bala "filatore", lú.bappir "birraio", lú.bar (anche lú.bar.bar) "straniero", lú.da "vicino", cfr. pure lú.di.tuku "un uomo che ha un processo (in corso)", lú.eme.sigg.a "un uomo calunniatore, lett. un uomo di lingua vibrante", lú.inimm.a "un uomo della parola > un testimone", lú.kurr.a "un uomo della montagna > un nemico"). In questo quadro appaiono di straordinaria eloquenza i composti negativi: lú.nu "nessuno, lett. uomo-non", lú.nu.lú "plebaglia, lett. uomo-non-uomo", lú.nu.zu "ignorante, lett. uomo-non-sapere"; e quelli positivi: lú.ú.la e lú.ùlu "cittadino, essere umano" (cfr. nam. lú.a "natura umana", nam. lú.ùlu "umanità, popolazione (con pienezza di diritti!); e, infine, quello iperpositivo, il composto sintematico lugal "signore/a, condottiero, re" (cfr. sum. gal "grande") ma anche, in modo molto significativo, "proprietario (di qualcosa)".

Al vertice (forse) si collocano l 'ur.mah "condottiero, re, lett. uomo possente" e soprattutto l 'ur.saĝ "l'eroe per eccellenza, il molto bellicoso, il forte e valente uomo, lett. uomo-testa" (si noti che ur designa, tra gli uomini, chi è "cittadino, maschio, etc." e, in quanto tale, eccelle; tra gli animali il "cane" e il "leone", che sovrastano nell'ambito del domestico e del selvatico rispettivamente; tra le opere umane il "tetto" di una casa, che è la parte più alta !).

Se guardiamo ora proprio dall'alto, verso la base della piramide, vediamo o, meglio, scorgiamo la ùĝ .saĝ .ĝ igg.a (in trascrizione sillabografica: ùĝ-saĝ-ĝ i6-ga), lett. "la folla delle teste (o delle facce) nere", altrimenti detto "gli uomini dalla nera testa", cioè tutti i Sumeri senza più distinzione di nome o di grado. Questa denominazione, sia con la sua forte sottolineatura della pluralità sia con la sua quasi emblematica istanza cromonimica ("obscuri homines"!), in prima istanza probabilmente collegata con un colorito effettivo della pelle (v. avanti, par.4), si colloca in parallelismo strutturale con quella degli Tíèñùðïé, le cui implicazioni cromonimiche (già per altro intravviste) subiscono una rivalutazione (imprevista) in una direzione imprevista. In ogni caso in sumerico ùĝ si riferisce agli uomini nel loro insieme, con forte accentuazione della pluralità (cfr. ùĝ .lu.a "folta popolazione, uomini numerosi" e persino della totalità; e il fatto è, a questo punto, per noi assai significativo: cfr. ùĝ .sárr.a "tutti gli uomini", ùĝ .ki .ta.gan "tutto, totalità (come collettività!). Quanto a saĝ basterà, ai fini della complessiva detection etimologica, far notare che vale "testa", ma anche "faccia, viso, aspetto" (cfr. saĝ .ki "tratti del viso"), mentre per gíg i valori registrabili sono "macchia, macchia nera", inoltre "nero, annerire", infine -indizio preziosissimo per la scoperta delle istanze onomasiologiche primarie- "cambiamento di colore > assunzione di un

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certo colorito (sc.bruno, cfr. a conferma gli ulteriori valori di "notte", "pupilla" e, soprattutto, "tramonto (del sole e successivo), oscuramento".

L'accadico, l'altra grande lingua di cultura della Mesopotamia antica, recepisce nel suo lessico questa espressione sumerica e la rende, con il suo caratteristico status constructus, come salmāt qaqqadi(m) "Schwarzköpfige, Menschen" (von Soden, s.v.), "the 'dark-headed' (a poetic expression for 'mankind'" (CAD, s.v.), accentuando la valenza generalizzante del sintagma. Si noti che in accadico il termine iperonimico per "essere umano" è amīlu (femminile: amīltu), che ricopre una latitudine referenziale vastissima e traduce quasi tutti i termini sumerici sopra discussi (cfr. pure amīlūtu "umanità, gente, qualcuno"), mentre salmāt qaqqadi(m) è spesso glossato con nišu (niši) "popolazione" con un insistito richiamo ad una sorta di "grado zero" della scala sociale. Inoltre vale la pena di far notare che secondo il CAD "the expression (niši) salmāt qaqqadi is a poetic term referring to mankind as a totality" (cfr. l'analoga referenza degli Tíèñùðïé omerici!), ma "the literal mng. ... poses a problem because the ref. to black hair is without any parallel in Akk. (non però se si assume un valore metaforico, v. dietro e v. avanti per l'analoga situazione degli Tíèñùðïé omerici!). Ma c'è di più: secondo W. von Soden 28 nelle "Status Rectus-Formen vor dem Genitiv im Akkadischen" (tale è quella che qui ci interessa) "plural- oder Dualformen als erstes Glied kommen nicht vor", mentre proprio "der seit Hammurabi bekannte Ausdruck salmāt qaqqadi(m) "die Schwarzköpfigen", wohl eine Lehnübersetzung von sum. saĝ .ĝ iga, zeigt... den St. constr. des Plurals als Regens". L'illustre assiriologo non propone alcuna spiegazione per questa anomalia, che invece secondo noi trova la sua motivazione interlinguistica nella forte dimensione di pluralità (v. dietro!) dell'espressione sumerica! Un'ulteriore connessione con il modello sumerico è -sempre a parer nostro- il valore di acc. salāmu(m) (cfr. ug. zlmt, ebr. salmaut "Finsternis", et. slm "dunkel sein"), che non è solo "schwarz, schwärzlich, dunkel sein" ma anche "werden" (cfr. i valori di sum. gíg discussi sopra).29

Poteva espandersi questa icona designativa dell'"uomo qualunque" (tanto per recuperare un termine già usato più volte) oltre la terra dei due fiumi? Poteva, se si tiene conto della forza di espansione culturale del modello sumero-accadico, sia verso l'Anatolia currita e ittita e anche oltre,30 sia verso la penisola arabica e l'Egitto (v. avanti). In quest'ultima direzione è stata segnalato da D. H. Müller, agli inizi del secolo31, in testi di Soqotri che traducono Ez. 37,3 e 37,9, il termine hóriš "uomini", che risale sicuramente all'espressione harér-eréš "schwarzköpfig" (cfr. in soqotri háher, fem. haúroh "schwarz", mentre da un diminutivo di rey "testa", cioè rú'es, composto con har "nero" deriverebbe appunto hóriš "uomini"). Naturalmente a Müller non sfugge il confronto con il termine accadico (mentre è ovviamente ignorato quello sumerico), ma è del tutto infondata la sua conclusione che questa designazione fosse "ursprünglich wohl für die Schwarzhaarige Rasse angewendet", giacché nel mondo sumero-accadico è in gioco -come abbiamo visto- un discrimine sociale e non un improbabile (e non attestato: si ricordi che il termine designa tutti i Sumeri!)

28 Cfr. W. von Soden, Status Rectus-Formen vor dem Genitiv im Akkadischen und die sogenannte uneigentliche Annexion im Arabischen, "JNES" 19,1960, pp.163-171, sp. p.167. 29 Questo verbo si applica, tra le molte altre cose, ai capelli, al viso e al corpo umano in generale, in un quadro referenziale perfettamente congruente con i dati sumerici. 30 Cfr. i miei vecchi contributi Currito hiiaruhhi- "aureo" e termini affini, "AION" 35 (n.s. 25), 1975, pp.248-253; Greco í§ñïø "splendente" < accadico nū ru , íùñ "splendore", "AION" 36 (n.s. 26), 1976, pp.116-122; Ittito NA4hékur come riflesso dell'espansione culturale sumero-accadica, "ÁÉÙÍ" 5,1983, pp.291-305. V. pure Riflessi onomastici indomediterranei "ASGM" 27, 1986 (1987), pp.138-158. 31 Cfr. D.H. Müller, Mehri- und Soqotri-Glossen, "ZDMG" 58,1904, pp.780-781.

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discrimine etnico. In ogni caso la vecchia intuizione di Müller è stata più tardi ripresa da W. Leslau32, che tuttavia non aggiunge niente di significativo al riguardo.

Non meno variegata, infine, è la situazione designativa dell'Egitto antico, che non condivide verbum de verbo, l'isoida sumero-accadica-(sudarabica) su cui ci siamo soffermati, ma -come vedremo tra breve- non si discosta radicalmente dalla sua idea ispiratrice.33 Sotto la solarità del Faraone, che la sovrasta, la piramide designativa dell'egiziano antico si palesa secondo modalità ampiamente riscontrate. Se prescindiamo, come prima, da un pulviscolo di designazioni generiche (ad es. 'nhw "i viventi", cfr. 'nh "il vivente, il vivo", prima usato in contrapposizione ai morti, poi generalizzato per gli "esseri umani"; wnnjw "quelli che sono", cfr. wn (wnn) "essere, esistere", poi gli "esseri umani" a partire dalla 18a dinastia; ntj.w "lett. i quali sono", cfr. nt.t "ciò che è", usato per gli uomini in genere, cfr. pure ntj.w ‘im "quelli che sono là", come designazione eufemistica dei morti) e da quelle (assai significative per la nostra agnizione!) che costituiscono la base -vorrei dire "antropica"- della piramide, troviamo numerose designazioni di un livello piuttosto basso, ma ancora dotato di una qualche fisionomia, quello dei "sottoposti".

Consideriamo in primo luogo p'.t, che designa gli "uomini" o, piuttosto, in modo collettivo, l'"umanità", in quanto contrapposta agli dei e agli animali (cfr. hr n p'.t "un volto d'uomo, una testa d'uomo"), ma anche il "popolo" rispetto alla "corte reale" e, più in generale, "chi è sottoposto a qualcuno". Un'analoga condizione designativa troviamo in rhj.t "sottoposti, popolo" (a partire dai Testi delle Piramidi), poi "uomini", negli stessi rapporti oppositivi del precedente, e in hnmm.t. "umanità" (Piramidi e analoghi testi arcaici), usata, ad esempio, dal Faraone nell'espressione possessiva "la mia umanità = il mio popolo". A questa serie aggiungeremo hrj.w "quelli che si trovano sotto = gli uomini" (cfr. hrj.w "gli esseri celesti", soprattutto "le stelle"!) e, infine, il molto sintomatico kjwj (a partire dal Nuovo Regno) "gli altri", nel senso di "popolo, massa" e, in definitiva, di "uomini".

Nel punto apicale della piramide designativa ecco, infine, due parole importanti: ci soffermeremo non tanto sulla prima, cioè w3s.t "uomini" (Testi delle Piramidi), il cui significato non è del tutto certo (ma cfr. w3s "potente, rispettato", detto di persone qualificate in modi analoghi), quanto sulla seconda, cioè rmt (a partire dai Testi delle Piramidi e continuata in copto), che è la più importante designazione egiziana dell'"uomo".34 Questo termine si riferisce -non casualmente- all' "uomo (maschio)", in particolare a quello "maturo" e si generalizza poi per indicare gli "esseri umani" (cfr. pure rmt.t "umanità, gente" a partire dal Medio Regno), in quanto contrapposti agli animali e agli dei, ma -fatto assai significativo- può anche designare gli "Egiziani" in quanto contrapposti alle altre entità etniche di Asiatici, Libici e Negri, e pertanto concepiti quasi come "uomini" per eccellenza.

Possiamo guardare ora nuovamente verso la base della piramide e quello che scorgeremo sarà ancora una volta assai interessante. In primo luogo colpisce il termine hr "faccia", ma anche "testa" (a partire dai Testi delle Piramidi"), che con il valore di "volto umano" viene impiegato anche nella descrizione dei cosiddetti "Mischwesen" o esseri ibridi di cui è così ricca l'iconologia divina dell'Egitto antico.35 Questo termine compare altresì nel sintagma hr-nb (a partire dal Medio Regno), 32 Cfr. W. Leslau, Vocabulary common to Akkadian and South-East Semitic (Ethiopic and South-Arabic), "JAOS" 64,1944, pp.53-58, sp. p.56. 33 I materiali sono desunti dal Wörterbuch der Aegyptischen Sprache di Adolf Erman e Hermann Grapow, Berlin: Akademie-Verlag, 1971. 34 Questa parola viene scritta per lo più senza la m intermedia, ma che questa fosse pronunciata è mostrato non solo dalle seriori forme copte, ma anche dal gioco paretimologico tra rmt "uomo" e rmj.t "lacrima" contenuto nella leggenda egiziana dell'origine degli uomini dalle lacrime del dio creatore. 35 Naturalmente hr è più spesso usato per designare la situazione opposta (corpo umano e testa di animale), che è poi quella canonica in Egitto. Per questa tipologia iconica e per le sue implicazioni linguistiche rimando al mio La selva e il

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forma singolare ma con valore di plurale e significato di "ogni faccia = ognuno, tutta la gente" ma, a partire dalla 18a dinastia, viene addirittura impiegato nella forma plurale hr.w (lett. le facce) per indicare "gli uomini", cioè un'umanità generica e indistinta. Siamo così tornati alla situazione designativa sumero-accadica, sia pure senza la marcatezza della qualificazione cromonimica. Ma c'è di più: esiste la designazione coeva tp "testa = persona", spesso accompagnata da una specificazione numerica, che si riferisce a prigioneri di guerra e schiavi (dimensione di alterità, v. dietro!), ma può generalizzarsi per designare uomini e donne di qualsiasi origine (cfr. il valore "tutta la gente possibile" della 20a dinastia!) ed arriva ad indicare, senza specificazione numerica, "esseri umani, gente qualunque" (dimensione di pluralità, v. dietro). Le dimensioni di alterità e di pluralità costituiscono (lo stiamo imparando!) le due coordinate fondamentali della tassonomia "antropica" ed il riferimento alla "testa" o alla "faccia", cioè all'"aspetto" generico ( Tíèñùðïé!) ne è manifestazione (sempre più) evidente. Ad esse possiamo ora aggiungere quella complementare di totalità, se è vero -come è vero- che in egiziano tm.w vale (a partire dal Libro dei Morti) "totalità" e "umanità" simultanemente (si riveda, in tal senso, quanto abbiamo detto a proposito di sum. ùĝ , che è apposizione di sum. saĝ .ĝ igg.a "le teste nere"!).

3.2. Un confronto vicino (e inevitabile): itt. antuhsas, antuhhas

L'Anatolia ittita ci riporta assai vicini (ma, a ben guardare, non ci eravamo mai veramente allontanati) ad Tíèñùðïò. Sugli Ittiti regna in ogni caso un re che si definisce "Sole" (come il faraone egiziano) e gli Ittiti chiamano l'essere umano comune antuhsas o antuhhas (qualcosa che rispetto al "Sole" rappresenta la polarità opposta), usando un termine che è straordinariamente vicino ad Tíèñùðïò (anche se i rapporti formali non sono mai stati chiariti in modo veramente soddisfacente).36 La parola, attestata solo nell'ittito cuneiforme (al luvio cuneiforme e geroglifico e al palaico mancano sia corrispondenze di questo termine sia altri termini per esprimere lo stesso concetto), non copre il valore di "mortale" (cfr. in tal senso itt. danduki- "passeggero, effimero > mortale, essere umano" e il problematico dandukesna-) come, del resto, Tíèñùðïò non coincide con âñïôüò. Ai fini del nostro discorso è in ogni caso assai interessante la testimonianza antico-ittita (testi delle "Origini"!) in cui la parola compare al gen. plur. nel sintagma frastico an-du-uh-sa-as harsarr-a "lett. teste di uomini" (cfr. StBoT 8 [KBo XVII 1] I 23 // 3 I 18) che, dopo quanto abbiamo appurato tra Mesopotamia ed Egitto, ha quasi il sapore di una glossa (di traduzione!). Ugualmente importante, per il conguaglio con Tíèñùðïò, è l'attestazione coeva (frammenti delle Leggi Ittite) takku LU.ULULU-as LU-as nasma SAL-za "se un essere umano (sc. un antuhsas/antuhhas!), uomo o donna", che ha lo stesso statuto referenziale dell'omerico (gen. plur.) Píèñþðùí...Píäñ§í zäc ãõíáéê§í (Iliade É 134). Naturalmente anche itt. antuhsas/antuhhas ha, come il suo corrispondente greco Tíèñùðïé, una valenza latamente etnica, più esplicitamente espressa nei derivati antuhsannant- e antuhsatar, che valgono entrambi "popolazione" e che sono ortografati con il sumerogramma UNMEŠ (v. dietro, par.3.1.!). E' importante altresì constatare che antuhsatar traduce accadico nišu e sum. lú-ùlu (v. dietro, par.3.1.!), inoltre accadico tenīšu (in luogo del corretto plurale tenēšetum "esseri viventi, esseri umani"), come si desume chiaramente da testi lessicali (cfr. KBo I 45 Rs. 19ss. = MSL III 60). Ma la parola ittita di base è, a giudizio di Johann Tischler (1977, p.36) "Trotz zahlreicher Versuche ohne überzeugende Etymologie", anche

labirinto (per un progetto di indagine su lingue e linguaggi non verbali in area indomediterranea) in "Miscellanea di studi linguistici in onore di Walter Belardi" (a cura di P. Cipriano, P. Di Giovine, M. Mancini), Il Calamo,Roma 1994,495-527. 36 In tal senso si rinvia alla rassegna etimologica dei paragrafi precedenti (v. dietro) e alla discussione che faremo ora (v. avanti, nel testo).

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in questo accomunata alla sorte di Tíèñùðïò.37 Tale giudizio è per altro ribadito da Jaan Puhvel (1984, p.81): "No clear etymology" ed entrambi coinvolgono anche tutti i tentativi di connessione con Tíèñùðïò. Tuttavia, giunti a questo punto, ritengo che nel caso della parola ittita si possa procedere secondo la seguente trafila, se si ammette la possibilità, anzi la plausibilità, che anche per essa sussista la stessa motivazione onomasiologica dell'area sumero-accadica ("faccia/testa nera" > "dall'aspetto oscuro" = "uomo"): i.e. *ai- "bruciare, risplendere" > itt. ant- "bruciante, bruciato" (cfr. Szemerényi 1971, p.655!) + Hokw-s "che ha l'aspetto"-s > itt. ant-uh(k)-s- (+ -as di tematizzazione), dove -u- si sviluppa come glide tra -t- e -h[k]s-, che rappresenta un nesso triconsonantico fonotatticamente impossibile e pertanto viene semplificato con omissione dell'esito ittito della labiovelare indeuropea in posizione anteconsonantica, per cui si perviene ad un esito finale -hs- fonotatticamente accettabile.38 Si noti che con questa analisi la (proto)forma ittita antuh(k)s- diventa morfologicamente l'esatto parallelo di un non attestato, ma morfologicamente plausibile *Píèñï/ùø ed è di fatto parallela dell'attestato lat. atr-ōx < i.e. *a(i)dh(r)-Hokw-s "di faccia nera > orribile" (v. avanti!). La variante antuhhas < ant-uh(k)-a-s (con -h[k]- semplificato perché fonotatticamente impossibile) si ricopre invece esattamente per la parte finale con Tíèñ-ùð-ï-ò in quanto entrambi derivati indeuropei in -Hokw-, ma questa volta con tematizzazione in -o- (secondo lo stesso rapporto che intercorre tra -ùø- e -ùðüò).39 Per quanto riguarda il nucleo designativo *anthr- di Tíèñùðïò (cfr. Tíèñáî "carbone" [!], PíèñÞíç "calabrone" [!] e simili) non si sbaglierà, a questo punto, nello scorgervi un sintema di un più antico *Handh+r- (con -r- tipico suffisso i.e. di cromonimi), che nel mondo dell'Anatolia achea potrebbe essere entrato in contatto (non in conflitto!) con itt. ant- "bruciante, bruciato", pur avendo probabilmente diversa origine (v. avanti, par.4!). 3.3. Un confronto lontano (e sorprendente): lat. atrōx e la dialettica clarus/obscurus Per questa via ater di lat. atrōx (cfr. atrium "luogo annerito dal fumo" e Aternus "il fiume nero"!) apparirà, per note ragioni fonetiche, come (proto)latino e Afer "l'Africano" ( cioè "lo Scuro"!), sempre per ragioni fonetiche, come italico, in quanto entrambi si possono far risalire (con il noto suffisso cromonimico -r-) a *a(i)dh- (presente in lat. aedes "casa, in quanto sede del focolare", cfr. i.e. *ai- sopra citato, che è l'antefatto di itt. ant- "bruciante, bruciato" e, per un possibile raccostamento fonotattico in sede iniziale, lat. adolere "far bruciare, consumare dal fuoco" con corrispondenze italiche). Ma in questa sede molto più importante mi sembra il conguaglio tra formazioni greche in -ï/ùø e -ùðüò e formazioni latine in -ōx, riproposto in Hamp (1973), ma in realtà già intravvisto da W. Prellwitz nel volume ventitreesimo dei "Bezzenberger Beiträge" (velōx, atrōx, ferōx).40

37 Per una ricca rassegna dei tentativi si rimanda a J. Tischler (1977, pp.36-37). Cfr. pure J. Puhvel (1984, pp.82-83). 38 Mi rendo conto che può apparire forzato supporre anche per l'ittito l'esistenza del noto suffisso greco dell'"aspetto esteriore" (-ï/ùø e -ùðüò), ma faccio notare intanto che esso potrebbe essere contenuto (in modo residuale!) anche nei numerosi antroponimi maschili in -ahsu- della Cappadocia e che forse ricompare nel termine palahsa-, che sicuramente è un derivato di palhi- "ampio" (area referenziale dell'"aspetto esteriore"!). D'altra parte anche il suo corrispettivo latino -ōx (v. avanti, par.3.3.) è piuttosto residuale in questa lingua. Infine, supposta un'analoga situazione di residualità in ittito, non ci sarebbe niente di strano se questo suffisso sopravvivesse proprio nell'ipostasi designativa dell'"uomo"! Cfr. per l'aspetto morfologico H. Kronasser (1962,p.167). 39 Si noti en passant che la -u- di glide nelle forme ittite mostra che la laringale si realizza in questo caso con un coefficiente di procheilia (cfr. i.e. *Ho!) in accordo con fenomeni analoghi riscontrabili nelle laringali currite (ad es. asti "donna", ma astuhhi "femminile"). 40 Cfr. W. Aly (1914, p.69 n.3).

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In particolare atrōx, con tutto il suo carico di valenze negative41, sembra voler offrire -rispetto ai suoi remoti parenti indeuropei antuhsas/antuhhas e Tíèñùðïò, anch'essi negativi, ma latamente ed implicitamente- "une expression du mal qui est, chez les Romains, volontiers paroxystique" (A. Debru, o.c., p.283) e far quasi da controcanto a lat. ferōx "dall'aspetto di belva", che non è certo un suo contrapposto. In effetti atrōx marca l'aspetto ("antropico"!) ripugnante e spaventoso, soprattutto nella lingua della tragedia e della poesia epica (atrōx Medea) e qualifica personaggi, entità, sentimenti, eventi umani e, talvolta, persino fenomeni metereologici, il cui aspetto suscita orrore (cfr. A. Debru, o.c., pp.271-272). E',in definitiva, un momento di esasperazione designativa che va ben oltre la dimensione "antropica" delineata nelle righe precedenti. Ma il latino conserva, sia pure facendo ricorso ad altro materiale lessicale, proprio la dimensione "antropica" su cui ci stiamo soffermando. Mi riferisco alla ben nota dialettica tra clarus (e suoi sinonimi) e obscurus, con riferimento ad un individuo illustre o ad uno sconosciuto rispettivamente (come dire ad un öþò e ad un Tíèñùðïò rispettivamente). Gli esempi sono innumerevoli: qui basterà citare Cicerone (Verr. II 3,60): equitibus Romanis non obscuris neque ignotis, sed honestis et inlustribus o Marziale (5, 13, 2): pauper, sed non obscurus nec male notus o ancora i ben delineati duetti di Cicerone (ac. 2,92): dives pauper, clarus obscurus e (div. 1,88): Amphiaraus et Tiresias non humiles et obscuri..., sed clari et praestantes viri (cfr. pure Quint. inst. 5,10,26: clarus an obscurus, magistratus an privatus) per finire con Cassiodoro (var. praef. 9): noli... in obscurum silentii revocare, qui te dicente meruerunt illustres dignitates accipere.42

Ma ora è giunto il momento di tornare -fatti edotti dal lungo viaggio e (se non ci illudiamo) dalle molte "scoperte" concettuali e formali- alla documentazione greca, per sottoporla ad un nuovo esame alla luce della presente detection etimologica.

4. Una istanza di designazione possibile: la prospettiva cromonimica La prospettiva cromonimica, come istanza di designazione possibile dell'"uomo qualunque" e,

in particolare, come responsabile etimologica di Tíèñùðïò, è stata presa in considerazione da Ribezzo (1927) e da Ruijgh (1970) con un'"ingenuo" riferimento agli "occhi neri", quasi che questo fosse il contrassegno saliente degli Tíèñùðïé, capace di funzionare come sufficiente spinta onomasiologica. In realtà, in una tassonomia delle designazioni dell'uomo, che è -come abbiamo visto- assai antica e insieme articolata e complessa, non è certo il colore di capelli e occhi o di altro contrassegno fisico quello che può ispirare la costituzione di un termine di così vasta latitudine iperonimica. D'altra parte le "teste nere" sumero-accadiche, le "teste/facce" egiziane, le "teste (d') uomini" ittite ci invitano a considerare attentamente la possibilità che in Tíèñùðïò si celi, con riferimento all'aspetto o, più esattamente, alla facies (-ùðüò, v. avanti, par.5!), una nozione di "(o)scuro", su cui si innalza l'identità degli Tíäñåò e "risplende" la notorietà dei ö§ôåò (v. avanti, par.6!).

Il greco, in realtà, ci offre una serie di termini, che presentano il vantaggio di inscriversi nell'area del "nero" e del "bruciato", cioè di un "nero acquisito", qual è quello del volto colorito (bruciato) dal sole (condizione antica degli uomini comuni, sia maschi sia femmine!)43. Del resto

41 Cfr. A. Debru, La masque de l'atrocité: sens et emplois du mot "atrox" en latin, "Revue de Philologie, de litterature et d'histoire anciennes", Troisième Série 57, 1983, pp.271-283. 42 Un valore analogo a quello "antropico" di lat. obscurus è riscontrabile nell'espressione greca ïj óêüôéïé "i giovani ancora residenti in casa, sc. gli 'obscuri'", attestata dagli scolii a Euripide, Alc. 989 come in uso a Creta. Cfr. pure il luogo citato di Euripide óêüôéïé öèßíïõóéí, che non tradurrei "vanno all'Ades", ma "oscuri periscono". 43 Cfr. in tal senso l'epiteto omerico ëåõêþëåíïò "dalle bianche braccia", che si applica a donne nobili e a dee, e la mia interpretazione del nome dell'eroe greco ÐÝëïø "dalla spalla d'avorio", secondo me originariamente sineddoche per la

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proprio questa condizione sembra richiamata in sum. gíg e in acc. salāmu (v. dietro, par.3.1.!). Il più noto ed importante è proprio Tíèñáî "carbone (spento o acceso)" una formazione facilmente analizzabile, che con l'altrettanto agevoli (e cromonimiche!) Píèñçäþí, PíèñÞíç, che designano il "calabrone" (un insetto notoriamente nerissimo!)44, permette di ricavare un lessema Píèñ- che, secondo Szemerényi (1971, p.655) sarebbe addirittura prestito di itt. ant- 45, participio di un verbo a- (cfr. i.e. ai- "bruciare, risplendere"), che abbiamo appena considerato come possibile fondamento etimologico di antuhsas/antuhhas!

In realtà -al di là di questa agnizione, per noi di straordinaria importanza, relativamente a Tíèñáî- , quale che sia la sua etimologia (e quella di Szemerényi è certamente plausibile), resta il fatto che il lessema di base Píèñ- presenta la formante -r-, tipica dei cromonimi (cfr. proprio dentro la stessa famiglia etimologica il già discusso lat. ater!). In fondo il termine Tíèñùðïò potrebbe essere sorto dalla stessa spinta onomasiologica che -con ben diversa fortuna- ha prodotto l'antroponimo Ánóùðïò, formalmente identico, in cui, seguendo Devoto46, è possibile riconoscere il lessema "mediterraneo" AIS- "nero, scuro". Del resto per Devoto (o.c., p.306) Ánóùðïò è "l'uomo dal colorito scuro", il quale, più tardi, viene identificato, nel quadro di una sua origine esotica, con Ákèßïø "dal volto bruciato dal sole" (secondo l'interpretazione dell'Etymologicon Magnum: ma v. avanti, par.6. per un possibile raffinamento dell'analisi!). Proprio quest'ultimo termine costituisce anch'esso un ulteriore apporto all'etimologia cromonimica di Tíèñùðïò, in quanto come (forse) questo -ma (in ogni caso) in forma più diretta- dipende dal verbo i.e. *ai- "bruciare, risplendere" (stesso ampliamento in -dh- riscontrato in lat. aedes, nei (proto)latini ater, atrium, atrōx e nell'italico Afer "lo Scuro"), il quale ultimo ci riporta agli Ákèßïðåò in piena contiguità diatopica!). In realtà il conguaglio Ánóùðïò (stessa formazione e - a quanto pare- stesso significato di Tíèñùðïò!) e Ákèßïø non solo ripropone, per ragioni evidenti, l'originaria alterità e marginalità della dimensione "antropica", ma sembra esaltarne l'istanza onomasiologica primaria: si tratta di uomini remoti (prima etnicamente, poi socialmente), che il sole scurisce, per cui non sono neri ma diventano neri (v. dietro, a proposito delle "teste/facce nere" sumero-accadiche!) e, infine, confusi nell'ignoto, sono solo (e definitivamente) obscuri o Tíèñùðïé.47

complessiva bianchezza della pelle dell'eroe in un contesto "antropico" asianico, v. Riflessi onomastici indomediterranei, cit. alla nota 30. 44 Il nome greco del "calabrone" presente un assai interessante doppione formale (ôåíèñçäþí, ôåíèñÞíç) su cui si è esercitata l'acribia sostratistica di Kuiper (1956, pp.221-224) con accostamenti piuttosto opinabili. Qui invece vorrei far notare che esiste probabilmente un parallelismo formale tra lat. ater (< a[i]ter, v. dietro!) e taeter "spaventoso, disgustoso, ripugnante" (cfr. atrōx!) ed i termini greci qui discussi. 45 "Compared with Hittite (and IE) -nt-, Greek -íè- shows that the word is an Asianic loan" (l.c.). Per S. "the so far unknow antecedent may have been *a(ya)nt(u)rahhi or *a(ya)nt(i)rahhi" (ibidem). 46 Cfr. G. Devoto, AIS- etrusco e AIS- mediterraneo, "SE" 5,1931, pp.299-316, sp. p.303. 47 Vorrei far notare che sia la serie (molto ristretta, il che confermerebbe l'ipotesi del prestito) di Tíèñáî (ma cfr. pure la glossa esichiana Píèñås · êñýðôåé, che rappresenta una conferma semantica, in quanto l'"oscurare" può essere inteso come "nascondere"!) sia quella (molto più ampia, ed ereditaria) di áqèïò (cfr.Ákèßïø) rimandano ai due momenti della fenomenologia della combustione: lo splendore della fiamma o dei carboni accesi ed il nero fuligginoso del materiale combusto (cfr. ákèÞñ "etere, cielo", ma ákèáëåüò "affumicato, annerito dal fumo, nero" e, infine, ákèáëüåéò "fuligginoso, affumicato, fumoso, abbronzato(!)", ma anche "bruciante, ardente, splendente"). Per quanto concerne il preteso "mediterraneo" AIS- di Devoto (cfr. Ánóùðïò e formazioni affini) mi chiedo se -per usare la terminologia dell'illustre studioso- non lo si debba considerare piuttosto "perindeuropeo", non tanto per le sue connessioni celto-germaniche (in verità piuttosto evanescenti), ma proprio per la sua grande prossimità a i.e. aidh- che, a questo punto, non è solo formale (quasi identica fonotassi), ma anche semantica: l'AIS- etrusco, legato agli dei, rappresenterebbe la polarità dello splendore (in prima istanza, del fuoco); quello "mediterraneo", legato ad entità di colore oscuro, rappresenterebbe la polarità del nero di ciò che è combusto (o è simile a cose combuste).

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5. Una istanza di significazione plausibile: l'esigenza morfologica La scoperta della forma micenea atoroqo (Py Ta 722), posta come didascalia di una figura

umana che compare , su uno sgabello lavorato in avorio, in contiguità di un cavallo, di un polipo e di una palma (cfr. Hamp 1968, p.787 e relativa bibliografia), è garanzia della presenza di una labiovelare -kw- nell'ultima sillaba della nostra parola e ci dà la certezza (quasi) assoluta che essa faccia parte del noto elemento derivativo i.e. -okw-, che in versione laringalistica, cioè -Hokw-, abbiamo creduto di poter riconoscere nelle corrispondenti forme ittite (antuhsas, antuhhas, v. dietro, par.3.2.).48 Del resto il sintagma lessicale Tíèñùðïò si inscrive in una serie di derivati aggettivali ossitoni in -ùðüò, da cui si stacca per altro per la ritrazione dell'accento propria (ma non esclusiva: cfr. ðåñßùðïò, ïí "visibile, cospicuo" e Pìößóùðïò, ïí "visibile attorno") delle ipostasi sostantivali (cfr., nell'ambito della corporeità, ìÝôùðïí "fronte" e ðñüóùðïí "faccia"; in quello antroponomastico, oltre ad Ánóùðïò, già discusso, il ÌåëÜíùðïò "di nero o bruno aspetto" (!) di Tucidide 3,86, Senofonte, Hell. 6,3,2, Demostene 703, etc.), etc. Tra i numerosissimi aggettivi derivati in questo modo vorrei attirare l'attenzione su Pññåíùðüò "di aspetto maschio, virile" (ad es. Platone, Leg. 802), se non altro in memoria dell'illusoria (e ormai lontana) etimologia "androcentrica" (v. dietro, par.1).

Ma più importante mi sembra il fatto che Tíèñùðïò spicchi, per la sua peculiarità significativa, in un gruppo di forme così ristretto (due riferite a parti anatomiche importantissime e formate a partire da preposizioni localistiche e due nomi propri, quasi uno "Scuro" o un "Nero" per eccellenza!): in questa prospettiva Tíèñùðïò / antuhsas, antuhhas sembra nascere tra gli EÁ÷áéïß /Ahhiyawa (cfr. gli dëßêùðåò EÁ÷áéïß) dell'Anatolia indeuropea , cioè in bocca a uomini che sono Tíäñåò e, ancor più, ö§ôåò (v. avanti, par.6!) e che nell'oscura massa degli ignoti senza nome scorgono l'istanza emblematica (almeno nell'Asia occidentale antica!) degli antuhsas, antuhhas "di aspetto oscuro" e, insomma, degli Tíèñùðïé.

Alla luce di questa istanza di significazione, che si va sempre più consolidando, vorrei ora brevemente riprendere due problemi: quello dell'enigmatico epiteto di Tíèñùðïé, cioè ìÝñïðåò (ben documentato nell'Iliade), ma anche nome di un uccello, il merops apiaster o "gruccione", la cui esatta significazione permane oscura anche dopo i tentativi esplicativi rammentati nella sintesi di A. Moreschini Quattordio49; e quello del molto citato äñþø a sostegno dell'etimologia androcentrica (v. dietro, par.1). In realtà il greco conosce vari ornitonimi in -ïø, che sono primari e riguardo ad 48 Per questa derivazione cfr. P. Chantraine (1933, pp.257-264) e la più recente messa a punto di A. Moreschini Quattordio, Le formazioni greche suffissate in -op-, -ōp-: ìÝñïðåò Tíèñùðïé e dëßêùðåò EÁ÷áéïß, "SSL" 21, 1981, pp.41-77 (l'autrice non si sofferma su Tíèñùðïé o su EÁ÷áéïß, ma sui loro attributi riportati nel titolo, citando -nel caso di ìÝñïðåò- lavori di Chantraine, Pisani, Ramat e Arena, le cui conclusioni non mi sento di condividere, v. avanti, nel testo). Con riferimento ai sintagmi designativi del titolo faccio notare che essi -per ragioni che diventeranno più esplicite tra poco- dovrebbero essere tradotti "oscuri uomini" e "splendenti Achei" rispettivamente, in omaggio ad una Weltanschauung che definirei "greco-asianica". 49 Cfr. P. Chantraine, Homérique ÌÅÑÏÐÙÍ ÁÍÈÑÙÐÙÍ, Mélanges Cumont, Bruxelles 1936, pp.121-128 ("il nome dell'uccello ìÝñïø sarebbe secondario rispetto all'etnico e all'antroponimo", cfr. A. Moreschini Quattordio, o.c., p.57 n.41) e per un assenso R. Arena, Per un'interpretazione di "Meropes" e "Chaoi", "RIL" 108,1974, pp.417-437; inoltre Ulteriori ricerche sui termini "Meropes" e "Chaoi", ibid., pp.438-458. V. Pisani, ÌÅÑÏÐÅÓ ÁÍÈÑÙÐÏÉ, "Acme" 29, 1976, pp.5ss. ritiene che “ìÝñïðåò potrebbe risalire ad una radice *ghdhm- + un suffisso -ero- da cui ÷èìåñï- con la caduta del gruppo iniziale ÷è-" (cfr. A. Moreschini Quattordio, o.c., p.55 n.38), dando un esagerato credito alla leggenda che i Meropes di Cos fossero nati dalla terra (e considerando l'ornitonimo come secondario). Anche P. Ramat, Nuove prospettive per la soluzione del problema dei ÌÅÑÏÐÅÓ di Cos, "Atti e Memorie dell'Accademia Toscana di Scienze e Lettere, La Colombaria", 24 (n.s. 10), 1959-1960, pp.131-157 segue Chantraine, ma partendo dalla constatazione che l'uccello ìÝñïø si chiama anche PÝñïø in greco, ritiene che l'ornitonimo si sia successivamente modellato sull'etnico, mentre l'antroponimo avrebbe una funzione ancora più tarda di aition.

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etnici omofoni (come ÌÝñïðåò ) possono aver funzionato come nomi totemici50. Questo è proprio il caso del doppio nome del merops apiaster (PÝñïø, ìÝñïø, cfr. gli EÁÝñïðåò e i ÌÝñïðåò!) o, come si è detto, del gruccione, un uccello che tra le altre caratteristiche presenta quella di un piumaggio in parte nero in parte castagno (cioè "scuro") sulla testa (!), fatto non sottovalutabile, se si abbandonano le eleganti, ma astratte speculazioni etimologiche, e se si dà il giusto e dovuto rilievo al fatto che il lessema di base di PÝñïø, cioè dell'altro nome di questo uccello, vale qualcosa come "nebuloso, oscuro, tetro" (Omero, Esiodo, etc.). Ma c'è di più: il sintagma omerico ìåñüðùí Píèñþðùí (gen. plur.) non può rimandare, in prima istanza, ad un etnico, perché in Omero gli etnici sono sempre accompagnati da Tíäñåò e mai da Tíèñùðïé (v. avanti; e, del resto, gli Tíèñùðïé sono a un livello minimo di identificazione designativa e in quanto tali sono praticamente incompatibili con un etnico!). Dobbiamo allora chiederci se ìÝñïø (cfr., ad esempio, lat. merula "merlo, merula nigra", un uccello dal colore inequivocabile!) non sia legato anch'esso ad un'istanza di designazione cromonimica e se i ÌÝñïðåò di Cos non siano in prima istanza una designazione generica e perfettamente sinonimica degli Tíèñùðïé (cfr. il valore "uomini" in Eschilo, Ch.1018 e in Euripide, It.1263; ma in Omero il sintagma suonerebbe ancora quasi come una glossa di traduzione, in definitiva "uomini oscuri cioè ìÝñïðåò)").51

Ancora più brevemente ci occuperemo di äñþø, termine glossato con Tíèñùðïò (!), per il quale già Ribezzo (1927) aveva tentato un inquadramento cromonimico con riferimento a omerico í§ñïø , epiteto del bronzo, che a -a suo dire- è, sì, "lucente"52 ma anche "nero", ma facendo in verità un discorso piuttosto debole e affrettato sia sul piano fonetico sia su quello semantico. Secondo noi anche questo termine potrebbe essere sorto -in quanto sinonimo di Tíèñùðïò!- da un riferimento cromatico ("nero, scuro"), forse come contrappunto ironico (è attestato infatti anche in Clemente Alessandrino, Strom.5,8, par.48, 5 e 9, proprio in una sorta di litania dove appaiono parole di simile fonotassi!) dell'esichiano öþø · öÜïò "luce", a sua volta morfologicamente ricondotto (öþø, più pregnante di ö§ò!) al paradigma derivativo -ùø (-ïø ) della percezione visiva.53 E', a mio giudizio, tuttavia impresa (quasi) disperata voler ritrovare il fondamento etimologico del äñ- costituente il nucleo designativo di base (ma, in prima ipotesi, cfr. forse äñ-™-ò "quercia", se alla base di questo termine indeuropeo si può ritrovare l'allusione omerica (Iliade, × 14) "al color nero del legno interno alla quercia".54

6. Una istanza di comunicazione ineludibile: le testimonianze omeriche (e le altre) La tripartizione nei testi omerici (ma anche in Esiodo e ben oltre) tra Tíèñùðïé (e correlati

âñïôïß), numerosi ed anonimi, Tíäñåò (e correlati {ñùåò), più ristretti e distinti, infine ö§ôåò (senza correlati!), tendenzialmente singoli e -in ogni caso- ben noti o, almeno, nettamente distinti (v.

50 Cfr. in tal senso P. Ramat, Su alcune tracce del totemismo nell'onomastica greca: gli etnici in -ÏÐÅÓ", "RFIC" 40, 1962, pp.150-179. 51 Cfr. forse, nel quadro di una valenza negativa del "nero" (lat. atrÒx e atrocitas!) ìÝñìåñïò "affannoso, dannoso, terribile". 52 Per la valenza, decisamente preponderante della "luminosità" cfr. il mio lavoro sul possibile antecedente accadico di í§ñïø (nūru) citato alla nota 30. 53 Non è necessario supporre una corruzione della glossa, come fa Chantraine (1964, s.v.), cfr. in tal senso Pisani (1969, p.159). 54 Cfr. G. Devoto, AIS- etrusco e AIS- mediterraneo, cit., pp.306-307, che rinvia alla testimonianza estremamente precisa di Teofrasto, I,6,2 sul ìåëÜíäñõïí "quercia nera" (ma cfr. pure ô’ ìÝëáí äñõüò "(legno) nero di quercia" di Od. î 12!), ma si lascia sfuggire la possibilità di far entrare nella serie (e a conferma) anche lat. aesculus, formazione - a parer mio- decisamente cromonimica! Vale la pena di notare che äñþø è molto vicino all'ornitonimo äñýïø, che designa il "picchio nero" e il "picchio maggiore", entrambi interamente "neri"!

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avanti!), ci consentirà ora, in conclusione, di porre quest'ultimi, per i quali proponiamo il valore originario di "illustri", nel polo etimologico della "luce" (cfr. öÜïò, ö§ò e, più da lontano, sanscr. bhās- n. "luce, splendore, signoria, potenza"),55 mentre collocheremo, avvalorando la nostra proposta etimologica, gli Tíèñùðïé nel polo opposto, quello dell'"oscurità" o delle "teste/facce nere".

Per compiere questa operazione dovremo prendere in considerazione la terza istanza di rappresentazione linguistica, quella di una comunicazione, per così dire, ineludibile, giacché in essa parla l'evidenza dei testi. Saremo pour cause più dettagliati su öþò, al quale abbiamo dedicato una speciale attenzione nei testi di Omero (ma anche Esiodo, in particolare Le opere e i giorni, e le testimonianze seriori possono essere portate a conferma). Per quanto concerne PíÞñ e Tíèñùðïò la documentazione omerica può essere riassunta nel modo seguente.

L'PíÞñ omerico, fondamentalmente l'"uomo (maschio)", poi con facile estensione tutti gli esseri umani dotati di una qualche identità pubblica (civile o, soprattutto, militare) entra in varie polarità (più generali: dei-uomini, animali-uomini; più particolari: femmine-maschi, mogli-mariti), ma -in modo più specifico- designa i cittadini sotto il dominio di un re o i soldati al comando di un condottiero e -in modo ancora più specifico- tutti coloro che (ovviamente maschi) sono in possesso di abilità tecniche particolari(ad es. falegnami, mietitori, pastori, etc.). In più gli Tíäñåò hanno una riconosciuta identità etnica (cfr. ad es. Iliade Á 594 Óßíôéåò Tíäñåò ,  611 EÁñêÜäåò Tíäñåò e persino PíäñÜóé Ðõãìáßïéóé dat. pl. di Ã6, etc.; cfr. pure Odissea ë 14 Êéììåñßùí Píäñ§í äyìïò,etc.!). Infine PíÞñ può avere una specifica identità personale (unito ad antroponimi).

Ben diversa è la situazione designativa di Tíèñùðïò, su cui ci soffermeremo più a lungo. Innanzi tutto vale la pena di citare la sintesi di Ebeling (1885, p.129): "Homo plerumque de genere toto, multo rarius de singulis"; poi sempre con parole di Ebeling sottolineeremo gli "opera hominum", le "eorum variae sedes", l'"universus terrarum orbis" e, infine, "quae sentant homines agantve" (è assai sintomatico che Tíèñùðïò sia più raro nell'Iliade, luogo testuale di forti identità umane e sede elettiva degli Tíäñåò, ed invece assai più frequente nell'Odissea, dove all'PíÞñ protagonista fanno da sfondo paesaggi e passioni di non meglio precisati Tíèñùðïé!). Ma guardiamo più da vicino: nell'Iliade la prima occorrenza del termine è solo al v.250 del primo canto (ãåíåár ìåñüðùí Píèñþðùí), dopo che PíÞñ/Tíäñåò (ed {ñùò/{ñùåò ) sono comparsi per ben sette volte (che salgono a nove con i derivati e i composti). Ma vediamo un altro aspetto: sono Tíäñåò coloro che risultano competenti nella cosiddetta "lingua degli uomini" che si oppone alla "lingua degli dei" (Il. Á 403,  813, × 291, etc.), mentre nella stessa opera (cfr. Il.  804) -per descrivere il variegato e spesso anonimo esercito degli alleati di Priamo proprio dal punto di vista linguistico- si dice: Tëëç ä'Tëëùí ãë§óóá ðïëõóðåñÝùí Píèñþðùí (cfr. "il chiasso di uomini" ”ìáäüí ô'Píèñþðùí , sempre con riferimento a questa indefinita massa di uomini, in Il. Ê 13; v. pure l'espressione di Achille ôüóóïõóä' Píèñþðïõò sempre con lo stesso riferimento, Il. Õ 357; per un'espressione più generica, riferita a "esseri umani parlanti", cfr. Píèñþðùí ... PõäçÝíôùí di Od. æ 125). Sono invece Tíèñùðïé "qualunque" quelli a cui le fiere devastano le stalle fino a che non intervengono Tíäñåò, armati del bronzo acuto, ad ucciderle (cfr. Il. Å 357-358; cfr. pure Il. Æ 350-351, Ô 93-94). Agli Tíèñùðïé per altro si conviene la valenza indeterminata del futuro (cfr. Il. à 287, 460 dóóïìÝíïéóé ìåô' Píèñþðïéóé , cfr. pure Il. Æ 358; Il. à 353, Ç 87 “øéãüíùí Píèñþðùí) o quella, altrettanto indeterminata, di un remoto passato (cfr. Il. Å 637, Ø 332 dðr ðñïôÝñùí Píèñþðùí) o, infine, quella di una sconosciuta e quasi mitica lontananza (Zeus, all'inizio, del tredicesimo libro dell'Iliade distoglie gli occhi da Troia e guarda lontano, verso le terre dei Traci, dei Misi, degli Ippemolghi, degli Abii, definiti äéêáéïôÜôùí Píèñþðùí, cfr. Il. Í 6; v. pure Od. á 177; è 29). Al singolo 55 Cfr. Frisk (1954, s.v.), Chantraine (1968, s.v.), che avanzano dubbi sulla connessione di questo peculiarissimo termine con la radice indeuropea della "luce" (che invece a me pare anche formalmente motivata).

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Tíèñùðïò, invece, spetta di essere un ignoto (e sfortunato) viandante (cfr. Il. Ð 263 Tíèñùðïò “äßôçò) assalito da un nugolo di vespe (è proprio il caso di dire: un "viandante qualunque"! Cfr. Od. í 123: ôéò ¿äéôÜùí Píèñþðùí) o, ancor meno, "un qualunque essere umano" (cfr. l'uso di Tíèñùðïò in Od. í 400!). Alla stessa dimensione appartiene infine, a ben guardare, il riferimento pluralizzante (cfr. Il. Í 733 ðïëëïr ... Tíèñùðïé ; inoltre Il. Î 233, Ó 467; Od. á 3, ô 173-174) o totalizzante (cfr. Il. Ê 213 ðÜíôáò dð' Píèñþðïõò ; cfr. pure Il. Î 233, Ï 141, Ó 288-289, Ö 566, Ù 535; Od. á 235-236, 299; è 497; ñ 13-14; ô 334; ù 94), che ci riportano a valenze significative riscontrate nella lingua sumerica (v. dietro, par.3.1.).56

Un controesempio potrebbe essere Il. Î 361, in cui si dice del dio Sonno che se ne andò dðr êëõôN ö™ë' Píèñþðùí "verso le inclite stirpi degli uomini" (tr. di Rosa Calzecchi Onesti), ma qui sarà meglio tradurre "verso le genti famose fra gli uomini", intendendo che il Sonno -come del resto tutti gli dei- non si muove casualmente, ma in base a scelte ed obbiettivi precisi e, in ogni caso, ben degni (cfr. e contrario il ö™ë' Píèñþðùí di Od. ç 307 e 409 con riferimento generico a "stirpi umane").

Un altro controesempio potrebbe essere l'affermazione di Antiloco(Il. Ø 788): PèÜíáôïé ôéì§óé ðáëáéïôÝñïõò Píèñþðïõò "gli immortali fanno onore ai più anziani" (tr. di Rosa Calzecchi Onesti), ma anche in questo caso non è così, perché bisogna piuttosto badare al riferimento generale ed indeterminato della sentenza (e, infatti, subito dopo, v.790, si specifica -dato che Antiloco parla di Odisseo- che ci si riferisce ad una dimensione arcaica (ðñïôÝñçò ãåíåyò ðñïôÝñùí ô' Píèñþðùí), dove i valori (in questo caso, atletici) sono al di sopra di ogni legittimo dubbio (non buona, in tal senso, la resa di ðñïôÝñùí con "vecchi" da parte della Calzecchi Onesti, cfr. sopra, a proposito di ðñüôåñïé Tíèñùðïé, che renderei con "uomini di un tempo").

Un terzo (ed ultimo) controesempio potrebbe, infine, essere l'espressione Píèñþðïéóé äéïôñåöÝåóóé "tra uomini alunni di Zeus" (tr. di Rosa Calzecchi Onesti) di Od. å 378. Ma ogni dubbio è destinato a cadere, quando si scopre che il riferimento è ai Feaci, che sono, sì, estremi, ma anche per moltissimi aspetti Tíèñùðïé che fanno eccezione (cfr. l'espressione äéïôñåöÝáò âáóéëyáò "re alunni di Zeus" (tr. di Rosa Calzecchi Onesti) in Od. ç 49, applicata appunta agli alti dignitari dei Feaci; e, del resto, i Feaci, una volta raggiunti da Odisseo, diventano ÖáéÞêùí Píäñ§í äyìïí , cfr. Od. æ 3, e, più avanti, Od. í 130 la dichiarazione di Poseidone che i Feaci discendono dalla sua stirpe!).57

Ma, allora, che cosa è un Tíèñùðïò? Che cosa è, in definitiva, un uomo che sia solo un "uomo"? Meglio di qualunque ulteriore discorso ce lo dicono le parole poste a epigrafe di questo lavoro e sono parole che Omero pone in bocca ad un PíÞñ, che è topic ed incipit dell'Odissea e che ha conosciuto e, tornato alla sua terra, conosce dolorosamente la condizione dell'Tíèñùðïò (cfr. Od. ó 130-131) che è il più "meschino" fra gli esseri che respirano e "strisciano" sopra la terra!

56 Quando Penelope (Od. ø 209-210) dice ad Odisseo che egli è "il più saggio degli uomini" si deve ugualmente intendere un riferimento alla "totalità"! 57 In questo contesto vorrei riprendere brevemente il problema di Ákèßïø, Ákèßïðåò, che la tarda grecità interpreta come "uomini dal volto bruciato dal sole", ma che nel mondo omerico non hanno affatto uno statuto "antropico" (cfr. Od. á 23: hó÷áôïé Píäñ§í!), anzi sono onorati dai viaggi periodici degli dei, in particolare quelli massimi, Zeus e Poseidone (cfr. Il. Á 423, Ø 206; Od. á 22,23, å 282,287). Gli Etiopi omerici vivono alle estremità del mondo, nei pressi dell'Oceano (cfr. pure Eschilo, Pr. 807-809), in una situazione tuttavia raggiungibile anche per gli uomini (Menelao, ad es., li visita nel suo nostos, cfr. Od. ä 84) e (cfr. Od. á 24) si dividono in due (ïj ìcí äõóïìÝíïõ FÕðåñßïíïò, ïj äAPíéüíôïò, "quelli del sole che cade e quelli del sole che nasce", tr. di Rosa Calzecchi Onesti). A mio parere gli Etiopi omerici, proprio in quanto orientali e occidentali, sono interpretabili come "Quelli dall'aspetto splendente, gli Splendidi" (cfr. l'epiteto Pìýìïíáò , acc.pl., di Il. Á 423, che Omero riserva agli eroi!), proprio in quanto per loro vale il lato designativo -per così dire- "positivo" del morfo ákè- (l'aurora e il tramonto sono i momenti in cui il sole "arde" e "risplende"!).

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Ma, se questo è l' Tíèñùðïò (o, con Primo Levi, "se questo è un uomo"!), cioè un " oscuro uomo qualunque", e se tali sono gli Tíèñùðïé , cioè molteplici e anonimi, in definitiva "obscuri", ben diversa (anche rispetto all' PíÞñ "vir" e agli Tíäñåò ) è la condizione del vertice della piramide designativa, dove brilla la "luce" del öþò o, se si preferisce, del "clarissimus vir", che non si può rendere -se non concedendo troppo ad una possibile e in ogni caso successiva deriva iperonimica (v. avanti, par.7)- con "uomo", come purtroppo invece avviene (e i dizionari, in tal senso, molto passivamente confermano). L'esatto valore designativo di öþò, le sue evidenti implicazioni significative, infine lo spazio comunicativo in cui si realizza, sono invece per noi di primaria importanza, al fine di definire meglio la categoria scalare del greco omerico in cui, a parer nostro, PíÞñ / Tíäñåò occupa il grado intermedio, Tíèñùðïé quello più basso, öþò quello più alto (in sintesi: "[anonima e indifferenziata oscurità di] esseri umani"-"[forza/capacità di] cittadino/i o guerriero/i"-"[splendore di] colui che per qualsiasi motivo si distingue").

Una sommaria rassegna dei luoghi omerici (ma anche quelli esiodei e seriori possono suonare come conferma) ci consentirà di verificare quanto è stato detto finora. Vorrei innanzi tutto attirare l'attenzione sull'espressione ö§ôá fêáóôïí / fêáóôïí ö§ôá acc. sing. o eêÜóôv öùôß / öùôr eêÜóôv dat.sing. che compare tre volte nell'Iliade (  164, 180; Ñ 552) e tre nell'Odissea ( â 384, è 10, é 431, î 514) in situazioni comunicative di particolare interesse. In Il.  180 è Odisseo, su consiglio di Atena ( 164) che trattiene "con blande parole" non generici uomini, ma chi, essendo stato definito öþò da Atena, è poi ridefinito âáóéëyá acc.sing. ed hîï÷ïí Ríäñá acc.sing. ("scelto eroe"); mentre lo stesso Odisseo subito dopo batte con lo scettro e sgrida chiunque risponda alla qualifica di äÞìïõ Ríäñá (ed ecco subito manifestarsi lo stacco contrastivo tra PíÞñ e öþò, che è in questo caso un âáóéëåýò o uno "scelto eroe"!).58 In Il. Ñ 552 è di nuovo Atena che risveglia ogni öþò (e per primo si rivolge a Menelao!); del resto, in Od. â 384 (= è 10!) la stessa Atena, nei panni di Telemaco, si accosta a ciascun öþò, di quanti sono "eroi (pre)scelti" per compiere il viaggio a Sparta (la traduzione della Calzecchi Onesti "s'avvicinava a ciascuno" è sbagliata, perché rende generica una forte specificità designativa!). La stessa interpretazione si può applicare a Od. ä 530 e 778 dove sono Egisto e Antinoo rispettivamente a scegliere dei ö§ôáò Pñßóôïõò per tendere l'agguato ad Agamennone e Telemaco rispettivamente (cfr. per una identica situazione comunicativa Il. Æ 188). Più difficile (e più interessante) è invece Od. é 431, dove l'evasione dalla grotta del Ciclope, mediante i tre montoni collegati (di cui il centrale è destinato a portare sotto di sè un compagno di Odisseo), viene descritta prima sul piano teorico con riferimento a un Ríäñá, ma immediatamente dopo sul piano pratico con riferimento a un ö§ôá, che tradurrei "singolo uomo". Allo stesso modo -sia pure in un contesto più basso e con un leggero slittamento designativo- si deve intendere il riferimento di Od. î 514, in cui il porcaro Eumeo denuncia la sua povertà e dice che possiede una sola veste per ciascun öþò, che anche qui intenderei non "uomo", ma -in modo elativo- "singolo uomo" (stessa interpretazione per Od. ì 67 e 100!).

Un öþò, lungi dall'essere un "uomo generico" è assai più che un PíÞñ: in Il. Ñ 98 Menelao (in altro luogo definito öþò, cfr. Il. Ä 139!) si autodefinisce PíÞñ di fronte ad Ettore, che è öþò perché è sostenuto da un dio; ed anche Patroclo, che è definito öþò, anzi kóüèåïò öþò in altri luoghi (v. avanti) si trova in condizione di coraggiosa inferiorità di fronte ad un öþò, che è il trionfante Ettore

58 Vorrei far notare che esiste l'alternativa Ríäñá fêáóôïí di Il. Ê 68 in cui Agamennone, rivolto a Menelao, lo invita a chiamare "ciascuno col nome del padre, della famiglia,/rendendo onore a tutti" e aggiunge "che tu non sia altero nel cuore" (tr. di Rosa Calzecchi Onesti). Qui siamo evidentemente in presenza di una rosa allargata di interlocutori non "(pre)scelti".A conferma citeremo l'espressione ôÜöïò ä'hëåí Ríäñá fêáóôïí (anche * ö§ôá fêáóôïí era metricamente possibile!) "stupore colse ogni uomo" di Od. ù 441, in cui ancora con ogni evidenza non si tratta di "uomini (pre)scelti".

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(cfr. Ð 36)! Un öþò, anche se non è ancora uno "scelto eroe" (ma non sarebbe meglio dire un "eroe illustre"?), è sicuramente un PíÞñ che in qualche modo eccelle: tale è riferimento di Epeo (Il. Ø 671) prima della gara di pugilato, quando sostiene che non si può essere äáÞìïíá ö§ôá in tutto (cfr. pure Od. è 159); tale è il öþò, non precisato, la cui uccisione provoca la necessità di andare in esilio (cfr. Od. ø 118 e, soprattutto, Il. Ù 481, dove si dice di un PíÞñ che incappa in una "grave colpa", in una Tôç ðõêéíÞ, per aver ucciso un öþò, cioè non un "uomo qualunque"). Ce ne danno conferma, in situazioni ben diverse, da una parte Polifemo, dall'altra Nausicaa e i Feaci: il primo (Od. é 513) fa dell'ironia su Odisseo piccolo e mingherlino e dice che si aspettava ôßíá ö§ôá ìÝãáí êár êáëüí ... (tradurrei: "un uomo particolare, grande e bello"); Nausicaa poi si accorge che Odisseo è un öþò, cioè un "uomo diverso dagli altri" (Od. æ 187 e 199) ancor prima che egli, dopo il naufragio, riacquisti la sua bellezza (ma Odisseo le aveva parlato e la sua eloquenza non era quella di un "uomo qualunque"); i Feaci, infine, restano senza voce non appena vedono entrare nella reggia di Alcinoo il öþò Odisseo (Od. í 144), che -è il caso di dirlo- "brilla di luce propria" (ma non viene mai definito öþò quando in veste di accattone o di "uomo qualunque" rientra nella reggia di Itaca, mentre sono i pretendenti che, dopo che egli ha ucciso Antinoo -dal poeta definito PíÞñ!- ed ancor prima che si sveli la sua identità, lo accusano di aver ucciso un öþò, cfr. Od. ÷ 29! Per questa grave forma di omicidio, v.dietro).

La qualifica di öþò, insomma, non è mai banale ed è tendenzialmente applicata ad un singolo eroe: cfr. Il. Â 239: Achille, Agamennone; Å 24: Diomede, attraverso la previsione di Pandaro; Ë 438, 462, 472: Odisseo; Ë 644: Macaone; Ù 19: Ettore (e v. dietro); Od. ë 621, ö 26: Eracle; î 505, ô 451: Odisseo (e v. dietro). Questo eroe è talvolta definito -in modo assai significativo- kóüèåïò öþò: cfr. Il. Ã 310: Priamo; Ä 212: Macaone; Ë 428: Soco; Ë 472: Aiace Telamonio; Ë 644: Patroclo; Ï 359: Melanippo; Ñ 632: Merione; Ø 677: Eurialo; Od.: á 324, õ 124: Telemaco. Altrimenti il termine si applica ad una coppia di eroi: cfr. Il. Å 572: Antiloco e Menelao; Å 608: Anchialo e Meneste; Ë 749: eroi uccisi da Nestore prima della guerra di Troia; Ñ 377: Trasimede e Antiloco. Infine sono definiti ö§ôáò acc. pl. -e non a caso- i membri dell'ambasceria che Agamennone invia ad Achille(Il. É 195: Fenice, Aiace Telamonio, Odisseo e i due araldi, Odío ed Euribato).

In questa situazione non dovranno trarre in inganno le attestazioni al plurale (in verità, scarse): infatti in tutti i casi esse sono rapportate ad "uomini illustri" o in quanto qualcuno appartiene alla categoria dei ö§ôåò (cfr. Il. Ô 31 con riferimento a Patroclo; Ù 415 con riferimento a Ettore; Od. á 355, ë 216, õ 33 con riferimento a Odisseo; è 218 con riferimento generico) o in quanto il riferimento pluralistico riassume lo scontro bellico in cui compaiono uno o più ö§ôåò (cfr. Il. Ì 430: la battaglia al muro acheo; Ð 566: la battaglia alle navi; Ñ 463: gli inseguimenti di Automedonte) o in quanto alcuni sono vittime (presumibilmente) "illustri" di un öþò (cfr. Il. Í 483: di Enea; Ð 378, Ð 785: di Patroclo; Ð 810: di Euforbo; Ó 230: di Achille).

Insomma, anche in questi casi brilla, al vertice della piramide designativa, la "luce" del öþò, e si staglia sulla distinta pluralità degli Tíäñåò e sulla definita identità dell' PíÞñ, mentre lontana brulica confusa l'"oscurità" irrimediabile degli Tíèñùðïé.59

7. La deriva iperonimica e i limiti dell'etimologia

59 Esiodo (Le opere e i giorni 193 e 792) conferma il carattere di eccellenza del öþò, ovviamente su un piano più pratico. Pindaro usa öþò al plurale elativo riferendosi ai discendenti di Egeo (P. 5,75) o ai Corinzi (N. 2,20). Notevolissimo è l' ïkêôñ¦ ö§ôå riferito ad Elena e Menelao in Euripide, Hel.1094, che tradurrei "i due illustri infelici" (lo "splendore" non è necessariamente androcentrico!).

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E' giunto il tempo di tirare le somme o, forse con tardiva prudenza, tirare più semplicemente la "navicella", che ha corso in perigliose acque, sulla confortevole riva o, almeno, al riparo (di qualche considerazione conclusiva, ovviamente). L'etimologia del più famoso nome dell'uomo e, in generale, tutte le etimologie dedicate ai molteplici nomi dell'uomo in lingue antiche e meno antiche, non possono prescindere da una comune difficoltà, che già ci è capitato di chiamare "deriva iperonimica". Con questo si vuol dire che tutti i nomi dell'uomo sono fatalmente trascinati verso una generalità referenziale (l'uomo prototipico) ed attingono una conseguente genericità semantica (l'"essere umano"), che tende a cancellare o -se si preferisce- a far sprofondare in spazi subliminali, possibili, anzi probabili, valori iniziali o archetipici (il "mortale", il "terrestre", il "pensante" e - perché no?- l'"oscuro" Tíèñùðïò, il "forte" PíÞñ, lo "splendente" öþò della nostra piramide designativa). Da ciò derivano evidenti limiti per l'etimologia, ove non soccorrano testimonianze o, magari, solo indizi, tuttavia capaci di restituirci un'antica fisionomia semantica o, almeno, di farci balenare davanti un suo contrassegno saliente. Su questi limiti sarà sempre assai opportuno riflettere e ricordarsi che i viaggi cognitivi (non solo quelli degli etimologi!) sono sempre ritorni al punto di partenza, dove -se tutto va bene- si arriva più esperti, non certo più saggi. Il nostro discorso allora finisce così come era cominciato, cioè con un rinnovato (e più forte) richiamo al triplice "viatico e monito" della negazione, dell'ammissione e del dubbio, in definitiva con una condizione eminentemente "antropica": un bel contrappasso, in verità, per chi osa (ha osato, oserà) occuparsi di Tíèñùðïò.

D'altra parte quanto ho qui scritto era e non poteva essere altro (insieme alla riconoscenza e al rimpianto) che una minima parte di quanto da parte mia si doveva e si deve ô² Píäñr ìcí öùôß, d㦠äc hó÷áôïò Tíèñùðïò.

Riferimenti bibliografici specifici 60 Hartung, J. A. 1832 Lehre von den Partikeln der griechischen Sprache, Erlangen, vol. I, p.52 Pott, F. 1833 ,1836 Etymologische Forschungen auf dem Gebiete der Indogermanischen Sprachen Lemgo, I, p.158 Benfey, Th. 1839 Griechisches Wurzellexikon Berlin: G.Reimer, Erster Band, p.122 Döderlein, L. 1850-1858 Homerisches Glossarium Erlangen, s.v. Aufrecht, Th. 1854 Tíèñùðïò KZ 3, p.240 Aufrecht, Th. 1856

60 Vengono qui riportati solo quei lavori a cui è fatto esplicito riferimento nel testo.

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