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Anno 1, Numero III - 10 Aprile 2019 ISSN 2612-1638 3 Quadrimestrale d’informazione professionale dell’ANCEP ggi Cerim niale O L’OSPITE IL CERIMONIALE DEL QUIRINALE, UNA SFIDA E UN ONORE di Leonardo Gambo ATTUALITÀ BACKSTAGE DI “MATERA 2019: OPEN FUTURE” di Ernestina Alboresi EDITORIALE IL SIMBOLO: PREZIOSO VEICOLO D’IDENTITÀ CHE PARLA AL CUORE PRIMA CHE ALLA MENTE di Roberto Slaviero IN PRIMO PIANO A CHE COSA SERVE UNA BANDIERA: IDEE, SIMBOLI, COLORI di Roberto Balzani

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Anno 1, Numero III - 10 Aprile 2019 ISSN 2612-1638

3Quadrimestrale d’informazione professionale dell’ANCEP ggiCerim nialeO

L’OSPITE

IL CERIMONIALE DEL QUIRINALE,

UNA SFIDA E UN ONOREdi Leonardo Gambo

ATTUALITÀ

BACKSTAGE DI “MATERA 2019:

OPEN FUTURE” di Ernestina Alboresi

EDITORIALE

IL SIMBOLO: PREZIOSO VEICOLO D’IDENTITÀ CHE PARLA AL CUORE PRIMA CHE ALLA MENTE di Roberto Slaviero

IN PRIMO PIANO

A CHE COSA SERVE UNA BANDIERA: IDEE, SIMBOLI, COLORI di Roberto Balzani

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EDITORIALE

Cerimoniale OGGI | 3

Anno 1, Numero III – 10 Aprile 2019

Registrazione del Tribunale di Bologna n. 8479 del 21 febbraio 2018

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EDITORIALE Il simbolo: prezioso veicolo d’identità che parla al cuore prima che alla mente 3

L’OSPITEIl cerimoniale del Quirinale, una sfida e un onore 4

ATTUALITÀCapitali della Cultura, grandi eventi in primo piano 6 La Capitale Europea e la Capitale Italiana della Cultura 7

ATTUALITÀBackstage di “Matera 2019 Open Future” 8

ATTUALITÀArte, musica e spettacolo per l’inaugurazione di Matera 2019 L’intervento del Capo dello Stato Sergio Mattarella 10

ATTUALITÀPalermo Capitale Italiana della Cultura 2018, bilancio dell’esperienza dall’ottica del cerimoniale 11

ATTUALITÀStrasburgo: delegazione ANCEP in visita al Parlamento Europeo e all’Hôtel de Ville 13

IN PRIMO PIANOA cosa serve una bandiera: idee, simboli, colori 14

IN PRIMO PIANOLa nascita della bandiera europea, una storia d’identità 16

APPROFONDIMENTINascita e sviluppo del “Réseau de Ressources protocollaires” la Rete degli addetti al protocollo in Francia 18

APPROFONDIMENTIL’abito che fa il monaco, ovvero il senso dell’abbigliamento 20

ATTUALITÀAccade quest’anno: il 2019 fra anniversari e grandi eventi 22

APPROFONDIMENTIGDPR 2018, protezione dei dati personali in primo piano 24

APPROFONDIMENTIPrivacy e web: tutelare la propria vita privata è un diritto 25

ETICHETTA IN BIBLIOTECA 26

NOTIZIE IN PILLOLE 27

ggiCerim nialeOQuadrimestrale d’informazione professionale dell’ANCEP

INDICE Il simbolo Prezioso veicolo di identità che parla al cuore prima che alla mentedi Roberto Slaviero

Le parole “simbolo”, symbolum (Latino), symbolon (Greco) de-rivano dal verbo symballo con

radici in sym (insieme) e bole (get-to) che significava mettere insieme due parti separate.Nell’antica Grecia aveva il significa-to di “tessera di riconoscimento” se-condo l’usanza per cui due individui, così come due entità, spezzassero un elemento come un coccio o una moneta per conservarne, ognuno, una parte a suggello di un accordo o di un’alleanza: il successivo per-fetto combaciare delle due parti di essi provava tale accordo.Ma, allora, se il simbolo aveva la fun-zione di riunire, è implicito che un qualcosa fosse stato precedente-mente spezzato! Il simbolo richiama dunque una divisione ma pure, al contempo, quell’intero che esisteva prima che avvenisse la sua separa-zione?!L’accezione odierna di simbolo e simbolico è quella di esprimere

con immediatezza il significato e il valore di ciò la cui descrizione ri-chiederebbe un lungo intervento di tipo discorsivo-esplicativo. Oggi il vocabolario recita: “segno efficace, condensato, solenne, corrispon-dente a contenuti o valori particolari o universali”; tale efficacia consiste nel rendere subito comprensibile l’astratto.Il simbolo è quindi un’espressio-ne culturale, una convenzione; è un’entità che rimanda ad un’altra cosa: è una evocazione che, per sua natura, rimanda sempre a qual-cos’altro, in quanto esprime ciò che non c’è o che è impossibile perce-pire, qualcosa la cui esistenza od il riconoscimento dipendono, in qualche modo, dal simbolo stesso.La grande forza intrinseca del sim-bolo, esprime una efficacia evoca-tiva utile ad essere comunemente inteso, senza esegesi alcuna. Quan-do esso arriva a colpire inconsa-pevolmente l’intrinseco dell’uomo, raggiunge il più profondo valore antropologico assumendo l’entità di archetipo e potendo così essere riconoscibile da qualsivoglia sensi-bilità culturale, ideologica e mistica. Ogni simbolo rappresenta identità, e consente di sentirsi appartenenti ad un gruppo, riconoscendosi ed identificandosi in esso, nei suoi va-lori, nei suoi fini e nei suoi ideali.Le esternazioni simboliche, come le sue relative raffigurazioni, eviden-ziano le più elevate capacità media-tiche rendendosi, così, le più con-sone a rappresentare ciò che di più spirituale c’è nella natura dell’uomo; le espressioni assumono caratteri-stiche valoriali e giungono a fondere,

nel presente, il passato con il futuro.Capace di tradurre in emozioni le suggestioni che sa insinuare nell’a-nimo umano, il simbolo parla al cuo-re prima ancora che alla mente delle persone; attraverso la propria sensi-bilità, raggiunge la loro coscienza e ne pervade l’animo, ponendosi su un piano di elevazione metafisica.Se un tempo, quindi, il simbolo era sostanzialmente elemento di rico-noscimento e appartenenza, col passare dei secoli si è trasformato in entità trascendentale e fortemen-te rappresentativa di un intrinseco valore ideologico: punto di conver-genza di un comune sentire!Nella professione del Cerimonialista il simbolo è elemento ricorrente ed essenziale: non vi è organizzazione che Gli competa in cui non sia, esso, al centro di ogni più attento riguar-do. La forma ne è, poi, sua fedele ed inseparabile compagna, mentre l’approssimazione, sua acerrima av-versaria!Il valore di un simbolo legittima l’at-tenzione con cui deve essere accu-dito: il modo di presentarlo, onorarlo e declamarlo deve essere relaziona-to al prestigio che vi è intrinseco e mai deve essere relegato a margi-nale, sterile e vuota teatralità, ricor-dando, come disse Samuel Taylor Coleridge che “il significato più alto di un ideale si può comunicare sol-tanto con un simbolo”!

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L’OSPITE L’OSPITE

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Il cerimoniale del Quirinale, una sfida e un onore A colloquio con Filippo Romano, per quasi trent’anni a Capo del Servizio del Cerimoniale della Presidenza della Repubblica Italiana

di Leonardo Gambo

L’esperienza di essere Capo del Cerimoniale del Quirinale è sicuramente la più importan-

te che si può fare in Italia in questo settore di attività. Cosa ha significa-to per Lei? Sicuramente ritrovarsi a dirigere l’Ufficio del Cerimoniale della Pre-sidenza della Repubblica è stata per me un’inaspettata e splendida sorpresa. Avevo lavorato in quel settore nei miei primi anni al Quiri-nale ma mi ero poi indirizzato verso ciò che ritenevo più adatto ai miei interessi, vale a dire la tutela e la va-lorizzazione dei beni artistici e sto-rici del Palazzo nonché la fruizione

collettiva della meravigliosa sede istituzionale. Essere stato chiamato direttamente dal Capo dello Stato al vertice del Cerimoniale ha rappresentato per me una sfida importante ed un ono-re. E comunque io avevo sempre ri-tenuto le forme che regolano la vita pubblica un bene storico da preser-vare e far conoscere meglio... quin-di in pratica significava proseguire nella mia attività preferita. Devo dire poi che dirigere il Cerimoniale al Quirinale è la cosa più facile ed insieme più difficile del mondo... fa-cile perché non hai il problema che hanno i colleghi di altri enti: far rico-noscere e rispettare il rango del loro principale in occasione di pubbli-che cerimonie, essendo il Presiden-te della Repubblica il numero uno in assoluto. Inoltre puoi disporre di una situazione logistica unica, ope-

rando in una delle regge più belle del mondo con personale sceltis-simo. È invece difficilissimo perché lavori ogni giorno a fianco del Capo dello Stato ed ogni minimo tuo er-rore può comportare problemi che finiscono sui giornali incidendo sul prestigio dell’Istituzione. Occorre prevedere tutto e percepire imme-diatamente dove si nascondono le insidie in grado di minare il succes-so delle iniziative. Ed occorre molta

“grace under pressure”... un senso di distacco, una calma assoluta in situazioni di criticità.

Sembra che al giorno d’oggi si ten-ga meno alla forma, e anche nelle Istituzioni non sempre questa viene rispettata come ci si aspetterebbe. Significa che certe regole sono su-perate? O che andrebbero recupe-rate, o modificate?

Il rispetto delle forme in ogni aspetto della vita associata oggi sembra un fastidioso retaggio di epoche passate, qualcosa di pol-veroso ed inutile. Lo scadimento del livello dell’educazione in gene-rale e del senso civico è sotto gli oc-chi di tutti. Anche le classi politiche, nell’intento di far sentire la gente meno distante (...siamo come voi, ci comportiamo e parliamo come voi...) hanno contribuito non poco a questo declino. Sono diventate non più esempio, ma specchio di una società. È un errore enorme, specie nel campo delle Istituzioni dove la for-ma è più che mai sostanza. Certo le regole del protocollo debbono continuamente subire modifiche ed adattamenti per restare attuali. Inchinarsi e togliersi il cappello se si passava davanti al trono vuoto del Re Sole impegnato in una battuta di caccia oggi apparirebbe quasi comico... ma molte altre formalità debbono essere assolutamente conservate per tenere alto il livello di dignità dei rappresentanti delle Istituzioni. Il Potere è e deve esse-re sempre un po’ come un astro gelido e remoto per funzionare. Se diventa troppo intimo e colloquiale perde molto in efficacia e rispetto. Qualcuno ha detto: il Cerimoniale è

come la salute... ti accorgi che esi-ste quando viene a mancare!!

Per concludere, ci può raccontare qualche episodio particolarmente significativo dei suoi anni di lavoro presso la Presidenza della Repub-blica?

Difficile scegliere, dopo oltre 30 anni di lavoro al Quirinale, solo qualche episodio particolarmente significativo... ricordo tuttavia con particolare commozione la visita del Santo Padre Giovanni Paolo II già molto sofferente e tutte le mo-difiche apportate al protocollo per evitargli eccessivi affaticamenti. Ricordo la richiesta di non servire vino a tavola in occasione del pran-zo di Stato del primo Presidente dell’Iran dopo Khomeyni e la mia fatica per convincere un po’ tutti ad accoglierla: il nuovo Presidente era un moderato ed andava aiutato a rafforzarsi all’interno, dove sareb-be stato fortemente contestato se si fosse seduto ad una tavola con vino presente. In Francia non ac-colsero tale richiesta ed il pranzo di Stato a Parigi venne rifiutato dagli iraniani. Ricordo il sopralluogo nel Luglio 2001 della delegazione preparato-ria della visita del Presidente Bush.

Nessuno dei componenti riteneva un problema far svolgere la cena in cima al torrino del Palazzo. Una splendida sala da pranzo illuminata e perfettamente visibile da quasi tutta Roma... io scelsi invece di far tenere il convivio in un angolo ap-partato del giardino. Pochi giorni dopo, l’11 settembre, ebbi una terri-bile conferma della bontà della mia scelta... Ricordo la trionfale visita del Colon-nello Gheddafi (poco prima della sua tragica fine) che si presentò al Quirinale in altissima, variopinta uniforme con appesa alla giacca una fotografia a testimonianza del-le atrocità italiane contro il popolo libico... Ricordo, in occasione di una delle innumerevoli consultazioni per la formazione del nuovo Governo, uno dei convocati (di cui, per carità di Patria, non dirò nome e partito...) che, seccato per l’attesa, accese per dispetto con i suoi fiammiferi tutte le candele del salotto poste a pochi centimetri da arazzi francesi preziosissimi del 700... solo un mira-colo salvò gli arredi dalla imbecillità umana.

roibu / Shutterstock.com

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ATTUALITÀ ATTUALITÀ

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La Capitale Europea e la Capitale Italiana della Cultura

La Capitale Europea della Cultura è una città che, su designazione dell’Unione eu-

ropea, per un anno può mettere in luce il proprio panorama culturale ottenendo una visibilità internazio-nale. Nel 2019 si dividono l’impor-tante titolo l’italiana Matera e la bul-gara Plovdiv.L’idea fu lanciata nel 1985 dall’al-lora Ministro della Cultura del Go-verno Greco Melina Merkourī. La prima Città europea della cultura fu proprio Atene, e da allora l’iniziativa ha registrato un successo sempre crescente.Nel 1999 il titolo fu modificato in “Capitale Europea della Cultura”. Il progetto è attualmente finanziato attraverso un Programma dell’Unio-ne, e prevede specifiche procedure

di selezione per garantire l’equa ro-tazione della Capitale fra i vari Stati.All’Italia è toccato 4 volte: Firenze nel 1986, Bologna nel 2000, Geno-va nel 2004 e Matera nel 2019. Ave-re nel proprio territorio la Capitale Europea della Cultura è una possibi-lità molto ambita dai vari Paesi, tanto per la grande valenza dell’evento in termini di immagine quanto per i suoi importanti risvolti economici.L’istituzione della “Capitale Italiana della Cultura” è nata sulla scia del successo straordinario che ha avu-to il processo di selezione della Ca-pitale Europea della Cultura 2019, titolo assegnato fin dal 2006 a una città italiana. Con il conferimento, per un anno, del titolo di Capitale Italiana della Cultura si sono volute promuovere

le capacità progettuali e attuative delle nostre città, grandi e piccole, e diffondere sempre più il valore della cultura come elemento di coesione sociale, integrazione e sviluppo. A partire dal 2015 le vincitrici sono state Ravenna, Mantova, Paler-mo e Pistoia. Nel 2019 non è stato assegnato il titolo perché c’è Mate-ra Capitale Europea mentre, per il 2020, è stata già designata Parma.L’Italia avrà nuovamente la Capitale Europea della Cultura fra quattordi-ci anni, nel 2033. Per questo avere ogni anno una Capitale della Cultu-ra nazionale moltiplica le possibilità di valorizzazione e sviluppo di tutte le città italiane.

Cattedrale di Palermo.

Kiba, Wikimedia Commons 3.0

Capitali della Cultura, grandi eventi in primo pianoNelle città che ottengono l’ambito titolo di Capitale Europea e di Capitale italiana della Cultura si organizzano, sia per le cerimonie inaugurali e conclusive che durante i dodici mesi in cui restano detentrici del titolo, importanti cerimonie e tantissimi eventi. Altrettante occasioni in cui gli Uffici del Cerimoniale e i Cerimonialisti svolgono un essenziale ruolo organizzativo e di coordinamento, come si legge negli articoli che seguono, rispettivamente sull’esperienza di Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, e di Palermo, Capitale Italiana della Cultura 2018.

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ATTUALITÀ ATTUALITÀ

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Una festa grande e bellissima: per la città, per l’Italia, per l’Eu-ropa intera. Questa è stata, il

19 gennaio scorso, “Matera 2019 Open Future!”, l’importante evento che ha aperto ufficialmente l’anno di Matera Capitale Europea della Cultura: una splendida cerimonia che si è svolta alla presenza delle più alte Autorità dello Stato, il Pre-sidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Presidente del Consi-glio Giuseppe Conte, il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto Bonisoli, e di tantissime altre impor-tanti cariche istituzionali nazionali, regionali e locali. L’organizzazione di un evento di questa portata è si-curamente stata complessa, ed ha comportato il coinvolgimento di

moltissime persone. Ne abbiamo parlato con Salvatore Adduce, Pre-sidente della Fondazione Matera Basilicata 2019.

Presidente, la manifestazione, tra-smessa dalla RAI in Eurovisione, ha posto l’evento e la città di Matera al centro dell’attenzione di tutta Euro-pa. Quante persone, circa, hanno lavorato durante la giornata dell’e-vento, fra artisti, operatori, addetti alla sicurezza, trasporti, organi di in-formazione e così via?

“La giornata dell’evento - risponde Salvatore Adduce, ha visto coinvol-ti: 52 bus di cui 39 per le bande pro-venienti da tutta la regione; 14 auto-bus urbani più 3 minivan e 3 auto;

circa 200 giornalisti accreditati di cui 135 accreditati dalla Fondazio-ne e gli altri dal Quirinale e da Palaz-zo Chigi; 41 bande marcianti; 1600 bandisti; 2 cori polifonici; 57 artisti; 5 conduttori; 7 transport manager; 250 volontari; 800 persone coinvol-te; 400 residenti coinvolti (fra case, alberghi, ristoranti);120 addetti alla sicurezza”.

Un evento di tale portata, sia per la presenza delle più elevate Autorità dello Stato che per la grande parte-cipazione di ospiti di altissimo livello e di pubblico, ha sicuramente signi-ficato per gli organizzatori dover affrontare tanto lavoro, e anche un impegno di particolare complessità. Quanto tempo ha richiesto la prepa-razione della cerimonia? In quanti vi hanno lavorato e da chi sono stati coordinati?

“Nel dossier di candidatura del 2014 - spiega il Presidente del-la Fondazione Matera Basilicata 2019 - ci sono già tutti gli elementi salienti della cerimonia inaugura-le: l’importanza di portare in luce la tradizione musicale delle bande marcianti dei piccoli paesi e di im-maginare la cerimonia come una festa di paese dalle dimensioni mai viste, il concetto figurato di portare l’Europa a Matera attraverso le Ca-pitali della Cultura rappresentate dalle proprie bande marcianti, l’im-portanza della luce quale fil rouge di tutta la giornata. Da settembre 2018 le linee guida della cerimonia,

Backstage di “Matera 2019 Open Future” Intervista a Salvatore Adduce, Presidente della Fondazione Matera Basilicata 2019, sull’organizzazione della cerimonia inaugurale

di Ernestina Alboresi

in accordo con le evoluzioni che il percorso della Fondazione Matera Basilicata 2019 ha avuto dal 2014 ad oggi, hanno iniziato a materializ-zarsi in maniera tale da trasformare visioni e parole in un programma dettagliato in cui ogni azione corri-spondesse a un luogo, a un orario, agli attori coinvolti. Da settembre è iniziato un lungo lavoro di piani-ficazione, coordinato da Roberto Tarasco, esperto di teatro e grandi cerimonie, e da un gruppo ristretto e circoscritto della Fondazione, per arrivare a dicembre 2018 ad una grande operazione di produzione cha ha coinvolto tutte le aree della Fondazione, dall’area cultura/pro-duzione all’amministrazione, alla comunicazione/segreteria. Centra-le - prosegue Salvatore Adduce - è stato il ruolo dell’Area Sviluppo e relazioni, coordinata dalla manager Rossella Tarantino, che ha lavorato sul coinvolgimento dei cittadini e che ha consentito di allargare la fe-sta dal centro a tutti i quartieri della città, chiedendo la disponibilità di associazioni, scuole, parrocchie ad accogliere le bande arrivate dai co-muni lucani e dall’Europa. Lo sfor-zo per arrivare a questo traguardo è stato collettivo: dimenticando le lancette degli orologi e credendo collettivamente in questo sogno condiviso, divenuto realtà nel week end del 19 gennaio. Fondamenta-le è stato l’apporto collaborativo di tutti gli uffici del Comune di Matera che hanno sempre raccolto tutte le esigenze della Fondazione”.

All’evento hanno partecipato anche tantissime Autorità. Oltre a quelle ci-tate in premessa, quante sono state complessivamente le Autorità inter-venute?

“Il numero di Autorità intervenute - risponde il Presidente Adduce - non ha visto eguali nella storia della città di Matera. Oltre al Presidente della Repubblica, sono intervenuti il Pre-sidente del Consiglio, il Commissa-rio Europeo per la Cultura, il Ministro dei Beni Culturali, tre Sottosegretari, diversi Parlamentari lucani e nazio-nali, diversi Prefetti da tutta Italia,

circa 140 Sindaci tra la Basilicata e l’intera Nazione. Sono inoltre inter-venute alte cariche delle più impor-tanti organizzazioni pubbliche e pri-vate italiane tra cui la Rai, Telecom, Confindustria, CNR, Istituto centrale del Restauro, i rappresentanti delle Capitali Europee della Cultura pas-sate e future”.

La simultanea presenza di tante Au-torità istituzionali, a partire da quella più importante, il Presidente del-la Repubblica, ha inevitabilmente comportato molteplici adempimen-ti di cerimoniale. Vi sono stati mo-menti particolari da questo punto di vista? E chi si è occupato di questo settore?

“Il cerimoniale - risponde il Presi-dente della Fondazione Matera Basilicata 2019 - è stato curato dal Direttore della Fondazione Matera Basilicata 2019, Paolo Verri, con la sua segreteria e con il supporto di un ristretto gruppo di lavoro che ha gestito gli inviti e l’accoglienza de-gli ospiti internazionali. La presenza straordinaria delle più alte cariche dello Stato italiano e le conferme di tali presenze, che giungevano fino a pochi giorni dall’inaugurazione, ha reso la gestione del cerimoniale particolarmente complessa. Nelle ultime settimane precedenti la Ce-rimonia il Prefetto di Matera, dotto-ressa Bellomo, ha svolto un ruolo fondamentale per supportare lo staff della Fondazione, mettendo a disposizione il proprio tempo oltre che le proprie risorse. Dei cinque momenti in cui era divisa la gior-nata, quelli più delicati sono stati il momento istituzionale della mattina presso la Cava del Sole per la pre-senza del Presidente del Consiglio, e quello della serata con la diretta Rai, che è stato chiuso proprio dal Capo dello Stato. Piazza San Pietro Caveoso, che ha ospitato questo momento, si trova nel pieno centro storico di Matera, nel Sasso Cave-oso, gode di una vista panoramica verso il Parco della Murgia Matera-na ed ha delle caratteristiche parti-colari strettamente connesse alle dimensioni, agli accessi e alla sua

conformazione spaziale. Per l’occa-sione l’intero centro storico è stato totalmente pedonalizzato, consen-tendo soltanto alle vetture del Presi-dente di raggiungere la Piazza. Per coordinare i flussi e la sicurezza di questo momento abbiamo lavorato a un tavolo tecnico insieme alla Pre-fettura e alla Questura”.

In un momento storico così delicato, la concentrazione di tante Autorità e di un così folto pubblico ha sicura-mente richiesto un’attenzione par-ticolare ai problemi della sicurezza. Come sono stati affrontati?

“La cerimonia - prosegue il Presi-dente Adduce - è stata immaginata come un evento eterotopico, diffuso, in tutta la città e nel tempo. È iniziata, infatti, alle 10 del mattino e si è conclusa dopo mezzanotte: lo slogan di questo evento è stata la parola Open, e tutta la cerimonia è stata pensata in maniera tale da es-sere accessibile a tutti. Soltanto due i momenti della giornata che per questioni di spazio e di sicurezza hanno avuto delle restrizioni per gli accessi, ovvero quello dei saluti isti-tuzionali presso la Serra di Cava del Sole e quello della diretta Rai pres-so San Pietro Caveoso. Per conce-dere a tutti i cittadini permanenti e temporanei di essere presenti a questi momenti sono stati istallati 3 maxi schermi nei punti nevralgici della città con una diretta televisiva dell’intera giornata, curata dall’emit-tente TRM”. “Inoltre per il momento della diretta Rai - conclude Salvato-re Adduce - è stata data la possibi-lità a 3.000 cittadini di partecipare allo spettacolo, riservando per loro degli appositi spazi che hanno tra-sformato il Sasso Caveoso in un grande teatro all’aperto, suddiviso in palchi e gallerie. Per accedere agli spazi a loro riservati, i cittadi-ni hanno avuto la possibilità nella settimana precedente all’evento di registrarsi presso gli uffici della Pre-fettura e hanno ricevuto dei pass nominali con fotografia che davano il diritto di accesso attraverso varchi controllati”.

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ATTUALITÀ ATTUALITÀ

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“M atera 2019 - Open Fu-ture” è la cerimonia che il 19 gennaio scorso ha

inaugurato l’anno di Matera Capitale Europea della Cultura, e che ha po-sto per un giorno la bella città lucana al centro dell’attenzione di tutta Eu-ropa. La manifestazione, trasmessa dalla Rai in Eurovisione, si è svolta alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, del Ministro per i Beni e le Atti-vità Culturali Alberto Bonisoli e di tan-te altre autorità nazionali, regionali e locali, nonché naturalmente di tanti artisti e di un foltissimo pubblico.Condotto da Gigi Proietti, l’evento si è concluso con il messaggio di sa-luto del Capo dello Stato. “Questo - ha affermato il Presidente Sergio Mattarella - è un giorno importante per Matera, per l’Italia. Per l’Europa, che dimostra di saper riconoscere e valorizzare le sue culture”. “Giorno di orgoglio - ha proseguito - per l’Italia che vede una delle sue eccellenze

all’attenzione dell’intero Continen-te. La cultura costituisce il tessuto connettivo della civiltà europea. Non cultura di pochi, non cultura che marca diseguaglianza dei sa-peri - e dunque delle opportunità - ma cultura che include, che genera solidarietà; e che muove dai luoghi, dalle radici storiche”. “Matera - ha ricordato fra l’altro il Presidente - è un esempio di quan-to l’Europa debba alla preziosa ori-ginalità di luoghi così straordinari e ricchi di fascino. Di quanto la fatica e il genio di una comunità siano riusciti a produrre, e si coglie an-che il legame con un cammino più grande, quello dei popoli europei, orientato da valori comuni; da una cultura che è sempre più feconda e che ha consentito a tutti noi europei di compiere passi decisivi verso la libertà, la pace, il benessere”.“La città dei Sassi - che, nell’imme-diato dopoguerra, teneva insieme la sua struggente bellezza e condi-zioni di estrema povertà - la stessa

Matera è la realtà che l’Italia offre, oggi, all’Europa per mostrare come la propria storia, anche la più antica, possa aiutarci ad aprire le porte di un domani migliore. Matera - già definita dall’Unesco Patrimonio dell’umanità - sarà per quest’anno immagine dell’Euro-pa, perché ha dimostrato di saper ripensare le sue origini, di dar loro nuovo valore”. “Questa Città - ha affermato ancora il Presidente av-viandosi verso la conclusione del suo discorso - è anche un simbolo del Mezzogiorno italiano che vuo-le innovare e crescere, sanando fratture e sollecitando iniziative. Matera è simbolo anche dei vari Sud d’Europa, così importanti per il Continente, perché nel Mediterra-neo si giocheranno partite decisive per il suo destino e per quello del pianeta.”

Arte, musica e spettacolo per l’inaugurazione di Matera 2019 L’intervento del Capo dello Stato Sergio Mattarella

La città di Palermo è stata insi-gnita del riconoscimento di Capitale Italiana della Cultura

2018, un anno vissuto come un mo-mento significativo di crescita intel-lettuale, di promozione del territorio e del patrimonio materiale e intangi-bile, ma anche di stimolo allo sforzo di progettazione e trasformazione.Tanti sono stati gli eventi e le inizia-tive in calendario volti a promuo-vere il valore dell’accoglienza, l’im-portanza del dialogo tra le culture, l’integrazione e la partecipazione attiva della cittadinanza, sempre ponendo al centro la dignità della persona umana e la dimensione comunitaria.Un palinsesto che ha prodotto in partenza 900 manifestazioni che sono diventate oltre 1500 in poco tempo, con importanti eventi, con-ferenze, esposizioni d’arte, appun-tamenti musicali, rappresentazioni teatrali, iniziative internazionali che hanno proiettato la Città nel mondo, interpretando il ruolo di promotrice e simbolo dei valori della pace, le-galità, solidarietà e partecipazione. La produzione culturale si è svilup-pata parallelamente e in collabora-

zione con Manifesta, la più grande biennale di arte contemporanea al mondo, che dopo essersi svolta a Zurigo e San Pietroburgo, ha scelto per la dodicesima edizione Paler-mo.Il fermento intellettuale prodotto si è rivelato essere un’esperienza nuova, impegnativa ed eccitante; infatti la Città proiettata in pochis-simo tempo alle luci della ribalta a livello nazionale ed internazionale, ha attratto sul proprio territorio Per-sone, Istituzioni, Diplomatici, Fon-dazioni, Associazioni interessate ad avere un ruolo nell’anno della pro-grammazione culturale. La comunità intellettuale interna-zionale ha posto la sua attenzione e il suo interesse verso il capoluogo siciliano, con conseguenti proposte di organizzazione di eventi, investi-menti sul territorio, trasferimenti di staff, professionisti del settore, del marketing e della comunicazione.Un capitale umano che ha sostenu-to e prodotto la promozione di una Città, esportandone l’immagine, e che ha consentito di rendere frut-tuose le potenzialità della stessa, sviluppandole ed amplificandole.

Il riconoscimento di Palermo Capita-le Italiana della Cultura è stato sicu-ramente prestigioso, ma al contem-po ha significato che si attivassero i meccanismi utili affinché si creas-sero delle condizioni essenziali a supportare il turbine di avvenimenti che hanno investito la Città, con no-tevoli ripercussioni sulle attività del Cerimoniale. L’Ufficio Protocollare è stato investito di competenze non più meramente o esclusivamen-te legate all’attività specifica dello stesso, ma estese alla sfera delle relazioni, della comunicazione, del supporto logistico - organizzativo nonché del coordinamento di tutti i settori dell’Amministrazione Comu-nale coinvolti da tali eventi, al fine di “rispondere” in modo unitario e co-erente ai soggetti interlocutori. In un contesto globale, internazio-nale e contaminato da influenze culturali differenti, si sono intreccia-te molteplici relazioni istituzionali, incontri, conferenze, conferimenti di cittadinanze onorarie, che hanno avuto quale punto di riferimento il Cerimoniale, ufficio che si è posto all’esterno quale interprete delle esigenze rappresentate, veicolan-

Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018, bilancio dell’esperienza dall’ottica del cerimoniale L’esigenza di una nuova figura professionale in grado di affrontare al meglio la sfida dei sempre più frequenti eventi nazionali e internazionali

di Nicola Fabio Corsini, Capo del Cerimoniale del Comune di Palermo

Il Presidente della Repubblica

Sergio Mattarella saluta la Città di Matera.

Sito ufficiale della Presidenza della Repubblica

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ATTUALITÀ ATTUALITÀ

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dole all’interno e ponendo in essere i procedimenti valutati più efficaci ed utili a soddisfare le stesse.Essenziale è stato altresì il ruolo ri-vestito dal Cerimoniale all’interno dell’Ente, ponendosi quale punto di riferimento e coordinamento di tutti i rami amministrativi coinvolti nel-la definizione di particolari eventi, ruolo assunto come riflesso dell’e-sigenza di un’azione unitaria posta quale garanzia dell’efficienza di un’Amministrazione pubblica e del-la tutela della sua immagine.I momenti più significativi dal pun-to di vista del Cerimoniale, in senso più ristretto, sono stati certamente l’evento inaugurale e l’evento con-clusivo di Palermo Capitale Italiana della Cultura.La cerimonia di apertura, svoltasi nella prestigiosa sede del Teatro

Massimo, ha visto la presenza del Presidente del Consiglio dei Mini-stri, Paolo Gentiloni e del Ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschi-ni, con una platea di 1200 spettatori e di 150 giornalisti accreditati.La cerimonia conclusiva, svoltasi presso la Sala Onu del Teatro Mas-simo, ha visto la presenza della più alta carica dello Stato, il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, con una platea di Auto-rità e di partner di Palermo Capitale Italiana della Cultura.L’esito di questa straordinaria espe-rienza ha sicuramente confermato la necessità del Cerimoniale moder-no di uscire fuori dall’ambito ormai limitato delle classiche competen-ze, ampliandole e rimodulandole in funzione dell’accrescimento del numero di eventi e cerimonie, del

respiro nazionale e internazionale che spesso le stesse assumono, e dei procedimenti e delle azioni da porre in essere per il migliore esito delle stesse.Volendo esprimere una propo-sta costruttiva, in considerazione di quanto rappresentato, emerge dunque la necessità di ridefinire la figura professionale del Cerimo-niere e delle sue competenze, ri-vestendola di un riconoscimento legislativo che preveda l’istituzione di una qualifica definita, alla quale vengano ascritte competenze spe-cifiche e specializzate, capaci di far fronte alle nuove e articolate esi-genze emerse, dalla gestione delle quali deriva l’immagine dell’Ente rappresentato.

Eurometropol de Strasbourg, Parlamento Europeo, XVIII pia-no: “Da quella parte vedete la

Germania. Da questa la Francia. In mezzo c’è l’Europa. Se avete capi-to questo, avete capito tutto.” Con queste poche e semplici parole, l’Ambasciatore Brunagel, già Capo del Servizio del Protocollo “della Casa” descrive il senso della prima istituzione europea. Sono gli ambienti del Parlamento Europeo ad essere oggetto della prima tappa della visita di studio che Ancep ha organizzato lunedì 4 marzo u.s. nella Capitale d’Eu-ropa: dell’Europa unita. Un’area geografica che, sottolinea l’Amba-sciatore, ha quattro caratteristiche fondamentali: “pace, libertà, pro-sperità, benessere”. Qualità e virtù che “prendono forma” in diversi modi grazie all’architettura e al pro-tocollo. Il cortile d’onore del Parlamento eu-ropeo, costruito con la stessa pietra rosa della maestosa cattedrale del-la città, è costituito da un’ellissi (che non ha un unico centro, ma ha due fuochi - a simboleggiare la pluralità) costruita all’interno di una struttura circolare, simbolo di perfezione e prosperità. Le stesse forme sono ri-portate all’interno dell’emiciclo, ove

si riunisce il Parlamento in seduta plenaria. Sotto un luminoso cielo lunare, gli oltre 800 banchi e poltro-ne di colore blu-europa, sembrano onde che si infrangono contro 28 scogli colorati: le bandiere dei Pa-esi dell’Unione, disposte in ordine alfabetico nella lingua d’origine di ciascun Paese. L’intera struttura sembra aperta al Continente e al mondo: vetrate, ponti, fiumi (anche artificiali) sim-boleggiano trasparenza, unità, con-tinuità, operosità. Operosità la cui forma è “rigidamente e allo stesso tempo apertamente” guidata dal Servizio del Protocollo.La delegazione Ancep ha avuto il privilegio di esplorare i percorsi e gli ambienti protocollari più esclusivi dell’Europarlamento di Strasburgo: come Capi di Stato in visita si è pas-sati dal cortile d’onore al tappeto rosso che conduce allo stage per le fotografie ufficiali per poi salire alla “sala protocollare” dove viene fir-mato il libro d’onore e dove si riuni-scono le delegazioni. Dopo i collo-qui, il Presidente del Parlamento e il suo ospite, alle ore 12.00 (12 come le stelle della bandiera, 12 come gli apostoli, le stelle della corona della Vergine, la perfezione simboleggia-ta nella bandiera), fanno ingresso

nell’emiciclo. Dopo l’incontro uffi-ciale e la conferenza stampa, si sale nella sala da pranzo per un incontro conviviale le cui regole e i cui temi sono strettamente - e gustosamen-te - regolati dal Servizio del Proto-collo. Storia, stucchi e ori fanno invece da cornice agli ambienti dell’Hôtel de Ville, dove il Sindaco di Strasburgo riceve Capi di Stato, Ministri, Amba-sciatori e altre personalità in visita con oltre 1500 eventi l’anno. L’ac-coglienza che Monsieur Rohfritsch (Capo del Servizio del Protocollo della città di Strasburgo) ha riserva-to ad Ancep è stata curata in ogni minimo dettaglio. Cultura, arte, po-litica e rappresentanza ad altissimo livello si mescolano qui ad un ce-rimoniale elegante, complesso e ricco di quei particolari (e aneddoti) che devono rimanere entre nous. Gli apprezzamenti dei nostri illustri ospiti e di quanti hanno partecipato a questa visita di studio conferma-no l’interesse culturale e formativo dell’Associazione ad approfondire gli usi protocollari e i cerimoniali internazionali, e incoraggiano a co-noscere la materia guardando sem-pre più a occidente e a oriente.

Ancep a StrasburgoDelegazione in visita al Parlamento Europeo e all’Hôtel De Ville

di Giovanni Battista Borgiani

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A che cosa serve una bandiera: idee, simboli, colori di Roberto Balzani

La conversazione si snoda lungo alcuni temi. Si parte dall’inizio: quando nascono le

bandiere? E a che cosa servono? Il contesto è ovviamente quello militare. Fin dall’antichità, infatti, il ricorso a punti di riferimento visibili e colorati è fondamentale (il rosso, nel caso delle legioni romane, è pa-radigmatico). Ma anche le “bande nere” di Giovanni de’ Medici sono un altro esempio famoso, all’inizio del Cinquecento. Più tardi, con la formalizzazione degli eserciti di Sta-to, il colore si trasferisce alle divise: al tempo di Napoleone, i francesi sono “blu”, gl’inglesi “rossi”, i russi

“verdi”, gli austriaci “bianchi”.Se il nesso fra insegna colorata e milizia è costante fino ad oggi, quando avviene il mutamento che inserisce la bandiera in un contesto civile e pubblico? Nella penisola italiana, con i Comuni e con l’ado-zione della croce all’interno di uno scudo diversamente colorato a seconda dei luoghi. Si tratta di un processo generalizzato, in genere risalente al XII secolo, che si ac-compagna al culto dei santi patro-ni. Come documenta, del resto, lo stesso gonfalone di Reggio Emilia. Spesso la croce cittadina è così re-sistente da attraversare il Medioevo e da finire addirittura nell’emblema delle squadre di calcio (vedi il Milan, fra le altre). Qui si nota la persisten-za del simbolo urbano, nonostante il contesto - rispetto a quello ufficia-le - risulti tutt’altro che “aulico”.Le armi gentilizie, con la stagione delle Signorie, affiancheranno la

croce comunale. Ciò avviene pra-ticamente dappertutto. Nei pochi contesti in cui dalle Signorie si pas-sa agli Stati regionali, l’assunzione dell’emblema del casato “vincente” nello stendardo è pressoché au-tomatica. E così pure nell’ulteriore transito verso la monarchia (i gigli di Francia, i leoni inglesi, l’aquila au-striaca o imperiale, ecc.).La bandiera, indicativa di una co-munità vasta, di uno Stato, emerge in due contesti particolari fra Cin-que e Seicento, ovvero in coinci-denza con le prime articolazioni proto-nazionali: le Province Unite olandesi e i Regni uniti inglesi. In entrambi i casi, occorre un simbolo di fusione: non basta più mettere in-sieme le armi delle dinastie, perché si tratta in realtà di processi com-plessi, che - vedi il caso olandese

- trascendono e travolgono le strut-ture aristocratiche preesistenti. Così come in Gran Bretagna, d’altra par-te, la bandiera indica la comunità e i territori, simbolicamente riconosci-bili attraverso le croci, prima ancora della monarchia. Le bandiere appa-iono sulle navi, visibili da lontano e colorate: e infatti sono due potenze marittime ad esibirle per prime. Le testimonianze in proposito sono eloquenti, e tutte relative alla Mari-na. Nel Regno Unito, i reparti dell’E-sercito provenienti da Inghilterra, Scozia e Irlanda continueranno a combattere ciascuno sotto le pro-prie insegne fino ai primi del Set-tecento, quando si generalizzerà l’uso dell’Union Jack, che assume la forma attuale nel 1801.

Il tema della fusione si ripropone nel contesto rivoluzionario ameri-cano della seconda metà del XVIII secolo (di nuovo col rilievo territo-riale, questa volta in chiave “eguali-taria” - le strisce e le stelle - e non di mera sovrapposizione di croci me-dievali tradizionali, come nelle Isole britanniche) e, in una prospettiva più astratta e ideologica, in Francia nel 1789. L’unità nella diversità, che è alla radice del patto di cittadinan-za, costituisce il cuore del tricolore rivoluzionario: che a Parigi diventa rapidamente “nazionale” (si na-zionalizza nel 1792, con la guerra contro la coalizione antirivoluzio-naria e la Repubblica), ma che nelle Repubbliche “sorelle”, nell’ultimo lustro del XVIII secolo, resta soprat-tutto espressione del nuovo potere

“rovesciato”, radicato nella costitu-zione e nella partecipazione civica.Occorre ancora una volta la guer-ra - in questo caso la lunga epopea napoleonica -, perché i tre colori della Cispadana, fondendosi con la comunità linguistica forzosamente coagulatasi nella Grande Armée multinazionale, finiscano per an-ticipare, sia pure per un numero esiguo di italiani, il senso dell’entità nazionale, ancora in bilico fra nazio-ne culturale e nuove, futuribili pro-spettive unitarie.Rispetto all’Inghilterra o alla Francia, dove la bandiera certifica un nuovo assetto della statualità, raggiunto attraverso una mediazione, un’in-tegrazione fra territori o ceti, in Italia il tricolore preesiste allo Stato-na-zione. Ne diventa il simbolo, infatti,

in modo esplicito e definitivo, già nel 1831, tre decenni prima dell’u-nificazione, grazie all’intuizione di Giuseppe Mazzini, che lo sceglie a bandiera della “Giovine Italia”. L’u-so del tricolore anche in contesti privati e non solo militari, caratte-rizza il Risorgimento e lo rende un caso assai peculiare: il tricolore è fatto proprio dal Piemonte nel ’48, ma è usato dai cittadini patrioti, in tutta la penisola, in modo aperto almeno dal 1846 e occulto da un altro decennio. Esso migra nelle in-segne militari, dell’Esercito regolare o dei reparti volontari, ma nasce in un contesto civile, culturalmente esterno al potere costituito preva-lente nell’età della Restaurazione.Per questo, esso mantiene un fasci-no inalterato. Sebbene abbia finito poi per scandire le fasi della vita col-lettiva, assumendo quel rango uffi-ciale che spetta alle bandiere degli Stati-nazione, esso conserva una

“vita propria”, che è indagabile - al di là delle ritualità e degli usi appro-priati e consentiti dalla legge – nella lunga fase in cui ha rappresentato l’aspirazione all’Italia una, cataliz-zandone i contenuti comunitari, i valori, le speranze.

Roberto Balzani è Professore ordinario di

Storia Contemporanea presso l’Università

degli Studi di Bologna e, sempre presso

l’Alma Mater riveste l’incarico di responsabile

del sistema museale dell’Ateneo. Dal 2016

è Presidente dell’Istituto per i Beni Artistici

Culturali e Naturali. L’articolo trae origine dalla

Lectio Magistralis di Roberto Balzani tenuta a

Reggio Emilia nell’ambito delle celebrazioni

ufficiali del 216° anniversario della nascita del

Tricolore italiano dal titolo “A che cosa serve

una bandiera? Fra idee, simboli e colori”.

Alzabandiera con il tricolore a Torino

il 2 giugno 2007,

in occasione della Festa della Repubblica.

Luigi Bertello / Shutterstock.com

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La nascita della bandiera europea, una storia di identità di Mario Proli

Le vicende che caratterizzaro-no la nascita della bandiera europea offrono uno spaccato

interessante anche per riscoprire i valori originari del grande progetto. Fu un percorso complesso duran-te il quale simboli e ipotesi grafiche fecero i conti con le identità e le differenti ragioni da rappresentare: un percorso che mostra, in filigra-na, il pensiero e gli auspici dei pa-dri fondatori.

La necessità di un vessilloOgni entità necessita di simboli

che fungano da punti di riferimen-to e, da sempre, un ruolo primario spetta alle bandiere. Nel percorso di costruzione dell’Unione Europea iniziato dopo la Seconda guerra mondiale, il vessillo azzurro/blu con, al centro, dodici stelle color oro ha avuto origine con la costi-tuzione del Consiglio d’Europa per essere poi adottato dalla Comunità Economica Europea che lo innal-zò ufficialmente il 29 maggio 1986. La cerimonia si svolse a Bruxelles al cospetto della sede della Com-missione. L’evento fu organizzato in modo solenne ma con una pre-dominante componente giovanile

a testimoniare vitalità e speranza. Tanti studenti, con piccole ban-diere in mano e agitate in modo festoso per richiamare l’attenzione sul senso di responsabilità verso le nuove generazioni. Significativa fu l’esibizione della giovane cantante belga Sandra Kim, figlia di emigrati italiani, con la canzone “J’aime la vie”. Aspetto particolare della ce-rimonia (significativo di una intera vicenda che, in varie circostanze, ha visto attribuire significati simbo-lici a coincidenze) fu che attorno alla bandiera europea figuravano le bandiere dei dodici stati membri dell’epoca. Dodici stelle per dodici

stati? Nient’affatto. Si trattava di una casualità anche perché la bandiera era nata da molto tempo, in un altro contesto e prima ancora che le sei nazioni fondatrici della Comunità Economica Europea (Belgio, Fran-cia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi) firmassero i Trattati, a Roma, nel 1957.

Il Consiglio d’EuropaPer seguire questo percorso storico è necessario dedicare attenzione a una istituzione continentale che, nonostante il nome possa evocare una medesima realtà, è cosa diver-sa dall’Unione Europea. Si tratta del Consiglio d’Europa. Questa orga-nizzazione internazionale era nata nella primavera del 1949 con sede a Strasburgo con la missione prima-ria di promuovere i diritti dell’uomo e la democrazia parlamentare, di valorizzare l’identità europea, di ar-monizzare pratiche sociali e giuridi-che degli stati membri. Oggi il Con-siglio d’Europa è composto da 47 membri ma nel periodo in cui pre-se forma la bandiera riuniva Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bas-si, Regno Unito, Svezia, Grecia, Tur-chia, Islanda e Germania ovest. Ne-gli stessi anni queste e altre nazioni stavano allacciando rapporti anche con altre alleanze, dalla Comunità economica del carbone e dell’ac-ciaio ai patti improntati alle logiche di libero mercato, fino all’Alleanza militare del Nord Atlantico, insieme agli Stati Uniti d’America.

Un lavoro delicatoSgombrando il campo da mistifi-cazioni, la storia della bandiera eu-ropea è desumibile nel suo reale percorso incrociando gli atti ufficiali delle istituzioni e anche grazie a te-stimonianze di persone che ebbero ruoli diretti. In particolare il funzio-nario dell’ufficio per l’Informazione e la Stampa del Consiglio d’Europa, Paul M. G. Lévy (varie interviste e articoli fra i quali quello pubblica-

to sulla rivista “Terre d’Europe” nel 1957 dal titolo “Dodici stelle su cam-po azzurro”) e dalla relazione di Ro-bert Bichet, relatore all’Assemblea del 1955 che approvò la bandiera. La vicenda ebbe inizio nell’agosto di sei anni prima quando i membri del Consiglio d’Europa si riuniro-no per la prima volta a Strasburgo. Dapprincipio comparvero due ipotesi: l’emblema del Movimento Paneuropeo di Coudenhove-Ka-lergi, un cerchio giallo su sfondo azzurro con al centro una croce di colore rosso, e la “E” verde su sfon-do bianco del Movimento Europeo. Questo secondo simbolo sembrò prevalere tanto da essere istintiva-mente esposto in molte sedi fran-cesi e perfino a Strasburgo dove si scatenarono polemiche in seno al Consiglio d’Europa perché non esisteva alcuna decisione. Il tema divenne politico e nell’estate del 1950 il Presidente dell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa, il belga Paul-Henri Spaak, assegnò all’Ufficio per l’Informazione guida-to da Lévy l’incarico di procedere all’individuazione di un simbolo uni-ficante. Prese così avvio una fase di indagine, fu istituita una commis-sione d’esame e vennero individua-ti criteri guida: semplicità, armonia, visibilità, gradevolezza, rigore aral-dico. All’attenzione del funzionario e dei suoi collaboratori arrivarono varie proposte con un’ampia gam-ma di simboli: dalla croce alla “E” di Europa, dal sole alle stelle, dal trian-golo al cerchio. Quanto ai colori, la tavolozza cromatica compendiava il blu, il verde, il giallo, il rosso, il nero e il bianco. Superata la scrematu-ra, sui banchi dei rappresentanti dell’Assemblea approdarono do-dici prototipi ai quali se ne aggiun-sero due. Quello elaborato da Carl Raymon riproduceva una stella d’oro su campo azzurro e, benché apprezzato, venne scartato per-ché simile alla bandiera del Congo Belga. L’altro portava la firma dello spagnolo Salvador de Madariaga e poneva su campo blu sedici stelle d’oro, collocandole nella posizione delle capitali dei membri del Con-siglio (14 stati più il territorio della

Saar) oltre a una più grande sopra Strasburgo. L’esame dei progetti eliminò in prima battuta tutte le boz-ze con le croci in quanto simbolo religioso e non adatto a rappresen-tare una comunità della quale face-vano parte nazioni a maggioranza musulmana, la Turchia, oltre a real-tà multiconfessionali come la Gran Bretagna. Perplessità erano inoltre state espresse da tutti i partiti poli-tici laici. La convergenza portò pre-sto ad accordarsi su due elementi: il colore azzurro/blu dello sfondo e la simbologia delle stelle d’oro.

“Dodici stelle su campo azzurro”D’acchito parve che l’idea di De Ma-dariaga potesse riscuotere pieno consenso ma ciò venne impedito dalla complessità della figura: una costellazione irregolare e disarmo-nica. Maturò quindi l’idea che le stelle andavano bene se disposte in altra foggia. Venne deciso di eli-minare la stella su Strasburgo, le restanti quindici furono organiz-zate in cerchio, sempre su sfondo azzurro/blu, e nel settembre 1953 la proposta approdò all’Assem-blea del Consiglio d’Europa che la approvò a maggioranza. Il parere contrario giunse dai rappresentanti della Repubblica federale tedesca perché dichiaratamente una stella riconosceva l’entità territoriale della Saar. Alle rimostranze seguì il veto posto dal Segretario di Stato tede-sco durante le sedute del Comitato dei Ministri. Per sbloccare la situa-zione venne costituito nel 1954 un

“Comitato ad hoc per un emblema europeo” formato dal presidente Robert Bichet, dai rappresentan-ti dell’Assemblea Fritz Erler e Karl Wistrand e dagli esperti di araldica Gerard Slevin, Ottorino Bertolini e Marie Jacob Hendrik de Bruyn van Melis. Attraverso incontri, bozzetti e passaggi istituzionali, l’accordo venne trovato grazie alla decisione di eliminare qualsiasi corrisponden-za fra numero di stelle e numero di stati. Il numero stesso assumeva un centrale valore simbolico perché

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APPROFONDIMENTI

Cerimoniale OGGI | 19 18 | Cerimoniale OGGI

IN PRIMO PIANO

doveva testimoniare l’unità dei po-poli europei e rappresentare tutte le culture e le sensibilità. Venne scelto il numero dodici, fin dall’an-tichità evocatore di completezza. Inoltre ci si riconoscevano tante e differenti identità, senza doversi confrontare su quale fosse predo-minante. Dodici come gli apostoli e le stelle mariane. Dodici come i figli di Giacobbe e le tribù di Israele. Do-dici sono i mesi dell’anno e i segni dello zodiaco. E poi il pentagram-ma, la stella a cinque punte, che nell’antichità greca era simbolo di perfezione, significativa nel codice linguistico militare tanto quanto nelle simbologie pacifiste. Tecnica-mente, la bandiera fu descritta con questa definizione: “Sullo sfondo

Nascita e sviluppo del “Réseau de Ressources Protocolaires”, la rete degli addetti al protocollo in FranciaTraduzione dell’articolo di Gérard Daems pubblicato nel n. 2 di Cerimoniale Oggi

In qualità di capo del Protocollo del Consiglio Dipartimentale del Nord (Regione Hauts de France), ho

avuto l’opportunità, a partire dal 2005,

di incontrare i colleghi dei 652 co-muni di tale dipartimento, che sono quelli con maggior numero di abitanti in Francia dopo Parigi (2,5 milioni di abitanti), in occasione di cerimonie pubbliche che il Consiglio o essi stes-si organizzavano. È risultato subito chiaro che nessun responsabile di questi Protocolli loca-li aveva relazioni professionali con il collega della collettività vicina, anche se questa distava solo pochi chilome-tri, lo conosceva soltanto! Ognuno re-stava concentrato solo sul territorio del proprio comune e non s’interes-sava al vicino.Pur ammettendo una sensazione di relativo isolamento in occasione del-

le cerimonie in quanto queste aveva-no luogo in giorni e orari in cui le loro amministrazioni e relativi servizi era-no chiusi o in pausa (a mezzogiorno, la sera, i fine settimana, i giorni festivi, ecc.), non potevano ricorrere a loro in caso di problemi che richiedevano aiuti immediati (riconoscimento di personalità non preannunciate, im-piego di mezzi tecnici supplementari per far fronte a circostanze impreviste o imprevedibili, ecc.).Nel 2007 ho cominciato a censirli e nel 2009 a riunirli per dar loro la pos-sibilità di conoscersi e quindi scam-biarsi opinioni su pratiche e specia-lizzazioni. La necessità di ricorrere al telefono cellulare divenne evidente

APPROFONDIMENTI

blu del cielo d’Occidente, le stelle raffiguranti i popoli d’Europa for-mano il cerchio in segno di unione. Esse sono in numero invariabile di dodici, simbolo della perfezione e della completezza”. Il 25 ottobre 1955 la proposta venne approvata all’unanimità dall’Assemblea e, l’8 dicembre seguente, dal Comitato dei Ministri. Il 13 dicembre la ban-diera fu issata a Strasburgo.

Dall’organizzazione fra Stati all’Unione Europea Il Consiglio d’Europa manifestò fin da subito il desiderio di condividere questo simbolo con tutte le realtà

impegnate a unificare e rafforzare il sentimento d’unione europea. Ciò portò ai passaggi seguenti. In seguito alla nascita della Comuni-tà Economica Europea e dopo le prime elezioni del 1979, nell’aprile del 1983 il Parlamento decretò che la sua bandiera sarebbe stata la stessa ideata dal Consiglio d’Euro-pa. Il Consiglio Europeo accettò e nel 1986, con la cerimonia del 29 maggio, la bandiera europea co-minciò a rappresentare il progetto della grande Unione Europea.

già allora al fine di assicurare dal vivo assistenza o consigli reciproci in caso di bisogno.Prese quindi forma il concetto di Rete che risultò d’interesse anche per i colleghi delle altre istituzioni france-si che erano venuti a conoscenza di questa iniziativa. In primo luogo i capi di Protocollo della Città di Parigi, del Consiglio dipartimentale dell’Isère e della Città di Grenoble.L’ho chiamata quindi molto presto

“Rete degli addetti al Protocollo”, con-statando la totale assenza in Francia di un raggruppamento di questo tipo di responsabili del Protocollo della Repubblica.Molto presto fu anche necessario strutturare questo raggruppamento identitario. Tale strutturazione in for-ma associativa fu ideata alla vigilia del primo “seminario della Rete” che ho organizzato al Val Joly (Dipartimento del Nord) il 10 novembre del 2009; il mio collega del Comune di Parigi, Sig. Emmanuel Spiry, accettò una prima formulazione degli statuti e la respon-sabilità della carica di vicepresidente della nascente associazione.Fin dall’origine, considerato che l’ini-ziativa della creazione di questa as-sociazione era nata da un rappresen-tante di un ente territoriale, il capo del protocollo del Dipartimento del Nord, e visto che appartenevano ad enti ter-ritoriali anche i primi colleghi che ad essa aderirono, gli statuti furono ca-ratterizzati da questa situazione, pur accogliendo sia i colleghi dei servizi della funzione pubblica sia quelli del settore privato.L’avventura della Rete degli addetti al protocollo era ormai partita. Si costi-tuirono cinque gruppi di lavoro affida-ti alla conduzione di sei colleghi che forgiarono l’attività dei nostri primi se-minari. I gruppi si concentravano sul-le seguenti tematiche: “Uno statuto per i capi di Protocollo” per cercare di rispondere alla triste assenza di tale statuto in Francia nella nomenclatu-ra territoriale, tematica affidata ad un gruppo di lavoro che organizzò un’in-dagine all’interno della Rete. Si diede autorizzazione agli incontri sia con le strutture accreditate (CSFPT, CN-FPT), sia con il Ministero. Quest’attivi-tà, che punta al riconoscimento delle

caratteristiche specifiche di questa posizione, categoria per categoria, è purtroppo ancora in corso e la defi-nizione delle funzioni del capo del protocollo dipende ancor oggi total-mente dall’istituzione in cui opera, si-tuazione che non dà spazio ad alcun tipo di ricorso.Il secondo gruppo di lavoro si con-centra sull’aspetto relativo alla for-mazione qualificante dei responsabili del protocollo. Il fatto di non poter di-sporre di una definizione ufficiale, nè di caratteristiche specifiche di questa posizione di lavoro, non permette la concezione di un corso di formazio-ne. Vengono organizzate soltanto sessioni di formazione dal CNFPT e da una o due agenzie private che si appoggiano alla Rete per la loro at-tuazione; cosa peraltro piuttosto sin-golare.Esistevano inoltre altri tre gruppi di lavoro che però hanno dovuto so-spendere l’attività a causa degli inca-richi professionali dei colleghi ai quali erano affidati. Tali gruppi si occupa-vano di: “sensibilizzazione dei giova-ni ai fini della loro partecipazione alle cerimonie commemorative, un vero lavoro pedagogico sulla memoria” e di “creazione di un sito e di un forum di dialogo sul Web”. Quest’ultimo viene oggi ripreso in considerazione, come anche quello che tendeva alla creazione di una “borsa dell’impiego protocollare”.Queste sospensioni dell’attività dei gruppi di lavoro, così come di quella di investimento in incarichi di gestio-ne associativa, riflettono la difficoltà, per le professioni di protocollo, di perseguire in modo continuativo una dinamica professionale collettiva, considerata la loro disponibilità rela-tiva dovuta al carico di lavoro legato agli avvenimenti correnti e alle relati-ve cerimonie pubbliche.Nonostante questi fatti imponderabili, la Rete degli addetti al protocollo si è sviluppata grazie alla combattività e alla determinazione dei suoi leader.Il suo sviluppo è stato caratterizzato dall’organizzazione di 10 seminari an-nuali e altrettante distinte assemblee generali, che hanno riunito in ogni occasione da 70 a più di 100 colleghi per tre giorni lavorativi (conferenze,

workshop e tavole rotonde sulle pra-tiche di protocollo).Così è stato per i seminari di Joly (2009), Parigi (2010), Grenoble (2011), Bordeaux (2012), Marsi-glia (2013), Lille (2014), Strasburgo (2015), Carcassonne (2016), Lione (2017), Grenoble (2018).Per le assemblee generali si impone-vano come sedi i siti simbolici della Repubblica francese o delle istitu-zioni europee, il che ha consentito ai colleghi di scoprire queste istituzioni e il loro ambiente di lavoro in locali spesso inaccessibili al pubblico (il Senato, l’Assemblea Nazionale, il Mi-nistero dell’Interno, il Ministero degli Affari Esteri, il Consiglio d’Europa, il Parlamento Europeo, l’OCSE, la Pre-fettura di Polizia di Parigi, il Municipio di Parigi, il Petit Palais).Sono passati dieci anni, dieci anni in cui l’associazione è cresciuta arri-vando a raccogliere più di 150 capi di protocollo dei più diversi enti terri-toriali (comuni, agglomerati di comu-ni, dipartimenti, regioni... ) ma anche delle amministrazioni o ministeri su-periori in Francia e dei più alti orga-nismi europei o internazionali come il Consiglio d’Europa e il Parlamento Europeo, seguiti dall’OCSE, dall’OIF (Organizzazione internazionale della Francofonia), dal Senato, ecc., tutti membri fedeli e assidui.A questi si aggiungono più di tre-cento colleghi simpatizzanti che si presentano ai raduni in base alla loro disponibilità: infatti il carico di lavoro della posizione di capi del Protocollo è, come abbiamo detto, particolar-mente alto. I nostri amici belgi si ag-giunsero molto presto nella persona di Eddy Van Den Bussche e Yassin Chourouhou dello Stato federale, partner molto attivi della Rete. Il 26 giugno 2017, i nostri amici Leonardo Gambo, Presidente di ANCEP (Italia) e Giovanni Borgiani si sono uniti a noi su raccomandazione di Yassin Chou-rouhou (Belgio). Tutti e tre portano oggi alla Rete un chiarimento e una conoscenza approfondita del proto-collo cerimoniale al di fuori dell’Esa-gono. Li ringrazio personalmente per il loro stretto contributo alla costruzio-ne di ciò che per me è una vera cate-na di amicizia e fratellanza.

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APPROFONDIMENTI APPROFONDIMENTI

Cerimoniale OGGI | 21

Oggi questa “Rete degli addetti al protocollo” prende il nome di “Rés-eau du Protocole” (Rete del Proto-collo) e il suo Presidente fondatore passa, dopo dieci anni di esercizio, il testimone della presidenza a due colleghi attivi che hanno dimostrato, oltre alle loro grandi capacità, il loro attaccamento ai valori repubblicani e umanistici che lo caratterizzano: Pa-tricia Detroyat, Capo del Protocollo della città di Grenoble e Emmanuel Spiry, della città di Parigi, ora prossimi Presidenti della nostra associazione, circondati da un team dinamico di eminenti consulenti quali Francois Brunagel, Capo del Protocollo Parla-

mento europeo (E.R.).È stato durante la Assemblea dei 31 maggio 2018 che si è tenuta presso la sede dell’UNESCO a Parigi, che Laurent Stefanini, ambasciatore, rappresentante permanente della Francia presso l’UNESCO, che ci ha ospitato, ha salutato questo nuova co-presidenza alla presenza dei no-stri amici italiani.Con loro, c’è più che mai il desiderio di scambi internazionali di pratiche di protocollo, per far sì che rispetto e valori umanistici possano essere co-niugati armoniosamente e in modo continuativo.Da questa esperienza, tuttavia, ri-

sulta chiaro che la creazione e lo sviluppo di una catena di amicizia in un ambiente professionale come il Protocollo non è facile, ma richiede molti sforzi e persino sacrifici. Con-sentitemi quindi di dare un consiglio: sacrificare il vostro vicino entourage a più nobili ambizioni professionali non è il modo migliore per ottenerlo serenamente. Difficile è il punto di equilibrio, ma noi tutti dobbiamo tro-varlo nell’ambito di questo scambio di pratiche.

L’abito che fa il monaco Ovvero il senso dell’abbigliamento di Rossella Parrinello

L’anno scorso, alle otto del mattino di un’afosa giornata estiva, entrando in ufficio ho

incontrato una collega che indos-sava un abitino scollato laminato in oro. Mentre mi impegnavo a na-scondere lo stupore e mi chiede-vo se fosse già arrivato Natale, mi sono fermata a riflettere sul senso dell’abbigliamento. Vestirsi chiara-mente non risponde soltanto a un bisogno pratico - coprirsi - ma an-che e soprattutto a uno identitario

- il nostro outfit contribuisce a espri-mere tratti della nostra personalità, manifestando ciò che siamo o che vorremmo essere. E anche per que-sto il nostro abbigliamento è vario: non solo perché la moda ci propina sempre nuovi input, ma anche per-ché la nostra indole è mutabile, nel tempo, nello spazio, nelle abitudini, nelle situazioni, negli stati d’animo. L’abito fa dunque il monaco, nel senso che fornisce quanto meno qualche rapida informazione su chi si ha di fronte. Incontrando un

uomo che indossa saio e sandali, mi aspetto di essere di fronte a un monaco, appunto, un soggetto caritatevole e dedito agli altri, seb-bene non potrò avere nessuna ga-ranzia su quella che sarà la sua re-ale condotta etica. La divisa, l’abito ecclesiastico e/o liturgico, la tenuta sportiva sono classici esempi di capi identificativi che creano aspet-tative sulle persone che li indossa-no (un rigido militare, un uomo spi-rituale, un atleta) e/o sulle situazioni cui stiamo per assistere (una parata, una messa, una competizione spor-tiva).I modi di abbigliarsi dipendono dalle culture e sub-culture di riferi-mento, seguono le società e riflet-tono le mentalità dei popoli, sono mutevoli nel tempo e nello spazio. A metà Ottocento le foto del ma-trimonio tra il principe Alberto di Sassonia e la regina Vittoria, che ritraevano una splendida donna in abito bianco, hanno contribuito ad esempio a superare la convinzione diffusa fino a quel momento che il colore bianco fosse associato al lutto (e - ricordiamo - ancora oggi in certe culture il colore del lutto è il bianco). Sempre in occasione di quel matrimonio si diffuse la moda del fiore all’occhiello, perché quan-do la regina Antonietta si avvicinò al principe Alberto per donargli un piccolissimo mazzolino di fiori, lo sposo, noto per la sua grande cor-tesia, tirò fuori il coltellino che tene-va in tasca, incise una piccola parte del bavero della giacca e vi infilò i fiori. Da quel giorno chiese ai suoi sarti di confezionare le giacche con un taglio sul risvolto proprio per po-ter indossare ogni giorno, insieme alla giacca, i fiori freschi. Non meno rivoluzionaria la diffusione della mi-nigonna, inventata da Mary Quant, che riuscì a cogliere quel desiderio di cambiamento che imperversa-va a Londra, contestualmente alla moda dei capelli lunghi e alla musi-ca dei Beatles. Lo stesso dicasi del bikini, creato da Louis Reard e così chiamato in onore dell’atollo del Pacifico dove gli Stati Uniti stavano facendo test nucleari. Non si può poi non citare la storia

del famoso tubino nero creato da Coco Chanel e ispirato dai grem-biuli neri che indossavano le ragaz-ze cresciute nell’orfanotrofio come lei. La nota stilista terminò di realiz-zarlo in crêpe de chine quando le comunicarono la prematura scom-parsa di Étienne Balsanne, l’uomo con cui intrattenne una storica e travagliata relazione, e lo indossò per il suo funerale. Il tubino ritornò alla ribalta con Colazione da Tiffany (Edwards 1961) grazie alla sartoria Givenchy e alla straordinaria figura di Audrey Hepburn. Da allora il tubi-no nero è stato avvolto da un’aura di eleganza, diventando, nelle sue infinite varianti, l’abito-jolly che ri-solve qualunque dubbio su cosa in-dossare in ogni circostanza elegan-te e che per questo non deve mai mancare nell’armadio delle signore.Susanna Agnelli, nel suo Vestiva-mo alla marinara, ricorda che nella sua famiglia i bambini potevano indossare solo due colori: il bian-co e il blu (“Blu d’inverno, bianco e blu mezza stagione, bianco in esta-te”). Oggi, dai cataloghi di moda ai manuali, passando per i pro-grammi televisivi e le arcinote fa-shion blogger, sono in tanti a darci quotidianamente suggerimenti su come è bene vestirsi. È chiaro che accostare gusto ed estro è indice di ricercatezza, assemblare i colori è festosità, saper rispettare i luoghi e le occasioni è eleganza. Poco elegante è invece vedere un uomo che indossa i calzini bianchi (esclu-sivamente adatti per l’abbigliamen-to sportivo), calzini a metà gamba (da cui il dispregiativo “mezzacal-zetta”) o che durante un’occasione elegante abbandona la giacca del suo abito scuro a metà serata (e se proprio è stato eccezionalmente autorizzato a farlo, tolga almeno anche la cravatta). Con l’abbiglia-mento femminile ci si può sbizzar-rire: abiti lunghi o corti, pantaloni o gonne, maglioni o felpe. Di solito la vasta gamma dei colori è preferibi-le di giorno, i toni scuri la sera, uni-tamente ai gioielli rigorosamente montati in oro bianco, come sugge-rito da Wallis Simpson. Prestare at-tenzione alle proporzioni del corpo,

scegliere uno stile garbato e preferi-re la semplicità all’eccesso saranno forse pratiche poco raccomandate dai social influencer, ma potranno rivelarsi preziosi alleati per presen-tarsi al prossimo piacevolmente. Era ancora Coco Chanel a sugge-rire: “Prima di uscire, guardati allo specchio e togliti qualcosa, perché la moda passa lo stile resta”.Da un lato troviamo quindi la le-gittima e più che tutelata libertà di espressione (anche vestimentaria), dall’altro le norme, dettate ora dal-la Moda (con la M maiuscola) ora dalla società, che indicano le rego-le basilari per essere appropriati in ogni occasione. Da un lato il gusto personale, dall’altro i trend istituzio-nali. In mezzo le infinite variazioni possibili e le contaminazioni reci-proche. Non solo infatti, come si può facilmente intuire, seguiamo – volenti o nolenti – delle mode che in un certo senso ci si impongono (di modo che se in quel certo anno “si porta” il giallo, avremo immancabil-mente un outfit dedicato a quel co-lore nell’armadio), ma l’uso che gli individui fanno dell’abbigliamento può, dal basso, influenzare le gran-di case di moda. Si pensi, solo per fare un esempio, ai jeans strappati, sorti con la subcultura punk e pron-tamente assorbiti e rilanciati dalle grandi griffe. Un meccanismo che si ripete nel tempo e già rivelato da Roland Barthes nel suo Sistema del-la moda del 1967. È la dialettica tra estro e normalità, la trasformazio-ne e traduzione dell’eccentricità in mainstream. Un continuum lungo il quale ciascuno di noi si posiziona e dentro cui un giusto equilibrio sa-rebbe opportuno trovare.

Pagina a fianco.

Following the Fashion,

una caricatura di James Gillray

del dicembre 1794.

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ATTUALITÀ ATTUALITÀ

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Per tutto il 2019 in vari Paesi euro-pei si svilupperà un fitto calendario di iniziative, mostre ed eventi lega-ti al nome del celebre inventore e artista. Anche l’Italia naturalmente propone una ricchissima serie di appuntamenti d’arte e di studio, che riporteranno al centro dell’at-tenzione, non solo degli studiosi ma anche di tutti gli appassionati, il la-voro e le opere del grande maestro del Rinascimento.

Dopo 20 anni l’Italia ai Mondiali di Calcio Femminile

La Nazionale italiana maschile fu esclusa dai Campionati Mon-diali di calcio dell’anno scorso,

ma quest’anno potremo rifarci con la Nazionale femminile, in campo ai Mondiali che si svolgeranno nei prossimi mesi di giugno e luglio in Francia. Si tratta dell’ottava edizio-ne ufficiale della manifestazione. Le squadre in competizione saran-no ventiquattro, divise in 6 gironi da quattro ciascuno. L’Italia torna a partecipare ad un Mondiale di calcio femminile dopo 20 anni. L’ul-tima partecipazione delle Azzurre infatti risale al 1999.

30 anni dalla caduta del Muro di Berlino

Nel novembre del 1989 fu abbattuto il muro di Berlino e la Germania orientale aprì le sue frontiere. Cadde così uno dei simboli della “guer-ra fredda” e una linea di confine che divideva l’Europa tra le zone di in-

fluenza statunitense e quelle sotto il controllo sovietico. Il muro che circon-dava Berlino ovest e divideva in due la città era stato costruito nell’agosto 1961, per impedire ai cittadini che risiedevano nelle aree orientali di poter fuggire verso l’Ovest. Era lungo 155 chilometri e alto in media 3,6 metri.

90 anni dalla stipula dei Patti Lateranensi

L’11 febbraio 1929 furono siglati i Patti Lateranensi (dal nome del Pa-lazzo di San Giovanni in Laterano, a Roma, dove avvenne la firma) con i quali per la prima volta dall’Unità d’Italia furono stabilite regolari

relazioni bilaterali tra Italia e Santa Sede. Furono i Patti Lateranensi, riconosciuti dalla Costituzione italiana all’art. 7, a sancire la nascita della Città del Vaticano come Stato autonomo. Si com-pongono di due parti. Nella prima parte la Santa Sede riconosce lo Stato italiano con Roma capitale e si vede riconosciuta la sovranità sullo “Stato della Città del Vaticano). La seconda parte è costituita dal Concordato, che regola i rapporti tra Chiesa e Stato, e prevede anche un’importante serie di misure, come gli effetti civili del matrimonio religioso e l’esenzione del servizio militare per i sacerdoti.

80 anni fa lo scoppio della Seconda guerra mondiale

La Seconda guerra mondiale ebbe inizio il 1° settembre 1939. Durò sei anni e provocò un numero spaventoso di morti, si calcola fra i 55 e i 60 milioni di persone. La guerra vide un coinvolgimento senza precedenti

delle popolazioni civili nel conflitto, con bombardamenti a tappeto sulle cit-tà, rappresaglie e stermini.Si concluse in Europa l’8 maggio 1945 con la vittoria degli alleati dopo la resa della Germania, e in Asia nel settembre successivo con la resa dell’Im-pero giapponese dopo i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Roma fu liberata il 4 giugno 1944, Firenze l’11 agosto, mentre la Linea Go-tica fu superata solo nell’aprile 1945, quando l’offensiva finale alleata per-mise di raggiungere la pianura Padana. Il 25 aprile, una delle festività civili della Repubblica italiana, è il giorno scelto nel nostro Paese per ricordare la fine dell’occupazione tedesca in Italia, del regime fascista e della Seconda guerra mondiale

Pagina a fianco. Tedeschi al confine con la

Polonia, 1° settembre 1939. Foto di Hans Sönnke.

Sopra. Berlino, 1989. Foto di Raphaël Thiémard,

Wikimedia Commons 2.0

Accade quest’anno:

il 2019 fra anniversari e grandi eventiSono molteplici, e alquanto diversi fra loro, gli avvenimenti importanti e le commemorazioni che ricorrono quest’anno. Di uno di questi, Matera Città Europea della Cultura, abbiamo già scritto. Gli avvenimenti e le ricorrenze dell’anno in corso però sono anche molti altri, molto diversi fra loro. Di seguito ne elenchiamo alcuni.

Diciott’anni con Wikipedia

Quest’anno Wikipe-dia ha raggiunto la maggior età. In-

fatti la prima versione dell’enciclopedia online

open-source, quella in inglese, fu lanciata il 15 gennaio 2001. L’e-dizione italiana arrivò pochi mesi dopo, in marzo. Wikipedia ha otte-nuto un successo senza eguali, ha rivoluzionato l’informazione met-tendo per la prima volta rapidamen-

te e gratuitamente a disposizione di tutti nozioni e informazioni che fino ad allora si potevano recuperare solo attraverso lunghe e spesso la-boriose ricerche. Oggi conta più di 47 milioni di voci in 290 lingue di-verse ed è fra i dieci siti più visitati al mondo, con una media di circa 240 mila persone ogni ora. Solo l’edizio-ne italiana contiene 1,5 milioni di voci ed è stata realizzata da oltre 75 mila autori. Con decine di milioni di voci consultabili, Wikipedia offre in-formazioni su un incredibile nume-ro di argomenti. Fra questi, anche il Cerimoniale, su cui si possono tro-vare tantissimi riferimenti e notizie.

Cinquecento anni dalla scomparsa di Leonardo

Il 2 maggio di cinquecento anni fa moriva ad Amboise, in Francia, Leonardo da Vinci, indiscusso e

insuperato genio italiano ammira-to da tutto il mondo, e quest’anno prenderanno ufficialmente il via le celebrazioni dell’importante ricor-renza.

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APPROFONDIMENTI APPROFONDIMENTI

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GDPR 2018 Protezione dei dati personali in primo pianodi Ernestina Alboresi

Chi non ricorda l’infinità di mail e informative di vario genere con cui, la scorsa primavera,

enti, aziende, uffici, comunicavano di avere adeguato il proprio Rego-lamento privacy a quanto richiesto dal “GDPR”? Cosa si intende con tale sigla, e perché ha creato tanto scompiglio? Il General Data Protection Regula-tion (Regolamento generale sulla protezione dei dati, questo il signi-ficato dell’acronimo) è un impor-tante provvedimento adottato dalla Unione europea nell’aprile 2016. Entrato in vigore nel maggio 2018, è stato direttamente applicabile in tutti gli Stati membri. Si occupa della protezione delle persone per quanto riguarda il trattamento e la circolazione dei dati personali. Suo obiettivo è rafforzare e uniformare in questo ambito la protezione dei cittadini europei, garantendo a cia-scuno il controllo delle informazioni che lo riguardano e diffondendo

allo stesso tempo la consapevo-lezza dell’importanza del rispetto della privacy che, oggi come oggi, è sempre più sotto attacco. Con tale Regolamento, il n. 679 del 2016, l’Unione Europea ha cercato di semplificare il proprio contesto sulla materia. Il GDPR ha anche so-stituito i contenuti della precedente Direttiva europea sulla protezione dei dati e, in Italia, ha abrogato gli articoli del Codice per la prote-zione dei dati personali (d. lgs. n. 196/2003) non coerenti con esso.Con i termini “dati personali” si in-tendono tutte quelle informazioni che, direttamente o indirettamente, identificano o rendono identifica-bile una persona e possono fornire indicazioni sulle sue caratteristiche, sui suoi orientamenti e sui suoi gusti. Sono molto importanti e hanno un grande valore economico perché più sono le notizie di cui un’azienda

- o un ente, un’organizzazione e così via - dispone, più potrà creare cam-

pagne pubblicitarie fatte ad hoc, mirate ed efficaci, in grado di col-pire nel segno. Non a caso uno dei principi fondamentali ai quali si ispi-ra il GDPR è quello del consenso: le persone devono esprimere esplici-tamente e chiaramente la propria volontà di cedere informazioni per-sonali. Inoltre, chi tratta i dati deve fornire un’informativa dettagliata e scritta in modo semplice e chiaro sull’uso che ne verrà fatto. I dati che interessano di più, fonda-mentali per le campagne pubblici-tarie, sono indirizzo mail, nome, ses-so ed età. Infatti sono questi, che in genere vengono richiesti dalle va-rie applicazioni che si scaricano su-gli smartphone e sui tablet. Queste applicazioni apparentemente for-niscono servizi gratuiti, ma in realtà gli utilizzatori le pagano fornendo i propri dati, che serviranno per rico-struire il profilo del consumatore e orientare marketing e pubblicità. E’ successo a tutti di iscriversi ad un servizio proposto come “gratuito” o “a costo zero” lasciando il proprio nome, cognome o indirizzo e-mail. Il GDPR chiarisce esplicitamente che in questi casi non si può parla-re di gratuità, perché il pagamento è stato rappresentato proprio dai dati forniti. Quanto sopra descritto riguarda la

“app economy”, che comprende fra l’altro l’industria legata alla realizza-zione delle applicazioni per smar-tphon e tablet, ma non solo. Sono milioni le persone che nel mondo ci lavorano e movimenta ogni anno cifre imponenti e in continua cresci-ta.Il GDPR stabilisce che il Titolare del trattamento (persona fisica o giuridica) deve proteggere i dati personali e attuare misure tecniche

e organizzative idonee a garantire e dimostrare che il trattamento dei dati è effettuato conformemente a quanto prescritto. Trattandosi di un Regolamento europeo però stabili-sce cosa deve essere fatto, ma non come farlo. Infatti nella fase iniziale della sua applicazione il Regolamento ha inevitabilmente comportato dubbi e confusione. Basti pensare che nel

mese di maggio 2018, con l’avvici-narsi della data della sua decorren-za, su Google il termine “GDPR” è stato più ricercato dei nomi di gran-di star quali Beyoncé e Kim Karda-shian. Però oggi, dopo alcuni mesi, si stanno registrando effetti positivi. Per esempio, si è constatato che in seguito alla sua entrata in vigore sono aumentate le aziende che si dotano di dispositivi per monitorare

e rilevare i tentativi di violazione, e questo renderà (almeno si spera) sempre più sicure le procedure di trattamento dei dati.

Privacy e web Tutelare la propria vita privata è un diritto di Tiziana D’Alesio

“Serve una maggiore educazio-ne da parte dei cittadini sui ri-schi che derivano dalla condi-

visione e dalla cessione dei dati alla rete. […] La percezione che si ha del mondo digitale è quella di un luo-go in cui si ricevono servizi gratuiti, invece bisogna capire che conse-gniamo ai gestori delle piattaforme pezzi importanti della nostra vita e quindi dobbiamo avere la capacità di governare quella dimensione.”Inizio citando una dichiarazione del Presidente dell’Autorità Garante della privacy, Antonello Soro (fon-te ANSA, 16/12/2018). In questa dichiarazione breve è racchiuso un concetto d’insieme immediata-

mente comprensibile: proteggersi e gestire i propri dati in modo con-sapevole.Troppe volte ci è accaduto, ed ac-cade, di compilare moduli, format, campi web senza porre la dovuta attenzione, senza porre domande.L’App Economy è il sistema econo-mico con la maggior espansione ed è necessario comprendere le dina-miche e le ricadute delle azioni che poniamo in essere nella quotidiani-tà. Consegniamo pezzi della nostra vita privata a società commerciali che trattano i dati per le profilazioni delle persone. Le applicazioni uti-lizzate da smartphone, tablet, ecc., che scarichiamo “gratuitamente”, sono gestite da queste società che declinano unilateralmente le condi-zioni generali di contratto e che di fatto definiscono i perimetri delle libertà e dei diritti. Consapevoli del fatto che nulla è gratuito nel com-mercio, è bene chiedersi come sia possibile che società che erogano servizi gratuiti abbiano fatturati e bi-lanci annuali di notevole rilievo.I dati personali hanno “valore”, in termini di ricerca commerciale ed in termini di successi sulle conse-guenti vendite di prodotti e servizi risultanti dalle profilazioni. Riflettere su quali siano i dati utili alla nostra

salute, sicurezza, incolumità e tute-la può far comprendere quali non lo siano, e che quindi sono ogget-to d’incremento esclusivo dell’App Economy, con il rischio di invasione di spazi della nostra vita privata.Allora proviamo a capire, mentre siamo sul web, quali siano i con-tenuti delle “informative” e quanto siamo liberi di scegliere. Ciò lo si desume dalla possibilità di attivare o disattivare, in modo opzionale, il trattamento dei nostri dati personali riferiti alle abitudini, preferenze, lo-calizzazione, ecc. Un primo segno di seria gestione dei dati, da parte dei siti internet, sta nel fatto che può esser chiaramente espresso che non sarà fatto uso di cookies (per-manenti o temporali). Ciò non può essere esaustivo e garante di totale correttezza dei trattamenti, ma in qualche modo ci dà indicazione che il sito è sensibile alla tematica ed adotta una best-practice.Il buon senso, l’attenzione e la re-sponsabilità individuale possono essere elementi che ci aiutano ad usare al meglio la tecnologia, senza per questo consegnare pezzi della nostra vita privata: a costo di rinun-ciare ad alcuni benefit erogati “gra-tuitamente” dall’App Economy.

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NOTIZIE IN PILLOLE

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ETICHETTA IN BIBLIOTECA

La cura del particolare. L’evento conviviale con note di galateo e cerimoniale

di Giovanni Battista Borgiani

Matrimonio da sogno. 100 consigli da wedding planner per sposarsi con un tocco di bon ton

di Giorgia Fantini Borghi - Valentina Edizioni

Pillole di bon ton. Essere alla moda applicando il Galateo

di Elisa Volta - Edizioni Effedì

Il libro, pubblicato nel 2013 ma sempre attualissimo, si fonda sul presupposto che, anche se al giorno d’oggi sono frequenti le occasioni in cui ci si trova a dover preparare banchetti o a par-teciparvi come ospiti, non è affatto scontato saperci organizzare in modo adeguato, e neppure

sapere esattamente come ci si deve comportare. Di questo trattano le trecentocinquanta pagine del volume, vero e proprio “manuale del convivio”, che offre regole, consigli e consuetudini validi tanto in ambito privato che in quello istituzionale. Il libro è diviso in due parti. Nella prima vengono presentati i rudimenti dell’event management, perché saper organizzare e gestire un evento in ge-nere è fondamentale anche in quello conviviale. Nella seconda parte, dieci capitoli con immagini, tabelle disegni e schemi accompagnano il lettore nell’individuare - e denominare correttamente - l’evento conviviale più appropriato all’occasione da celebrare e alla sua realizzazione: dalla scelta dell’orario al tipo di abbigliamento, dalla stesura dell’elenco degli ospiti al come fare gli inviti, dalla scelta dell’ambiente più confortevole al saper disporre i convitati intorno al tavolo secondo diversi

ordini di precedenza, dalla scelta del menu per le diverse circostanze e in base alle esigenze particolari (precetti religiosi o in-tolleranze alimentari), a come apparecchiare la tavola. E per evitare imbarazzi in quest’epoca di globalizzazione, non mancano curiosità dal resto del mondo e suggerimenti di galateo sui comportamenti più adatti ad ogni contesto.

“Matrimonio da sogno” è un manuale che, in modo semplice e divertente, accompagna chi decide di sposarsi dalle fasi preliminari come il fidanzamento e la conoscenza con i futuri suoceri, a tutte le successive questioni pratiche e organizzative che ogni matri-

monio, dal più semplice al più fastoso, comporta. Del resto un matrimonio è un evento, e come tale va pianificato e gestito con la necessaria perfetta precisione e l’altrettanto necessaria perfetta ge-stione, senza dimenticare la giusta dose di buona educazione, che è ciò che dovrebbe caratteriz-zare ogni cerimonia, privata o pubblica che sia. Il volume offre anche un’ampia serie di informazioni sul galateo del matrimonio, dall’abbigliamento ai regali, dalla compilazione delle partecipazioni alla disposizione dei posti e così via, sempre con una grande attenzione al bon ton. Perché bon ton è sinonimo di rispetto per l’altro, di gentilezza, di essenzialità: gli ingredienti che garantiscono di fare bella figura, senza necessariamente spendere un capitale.

“Oggigiorno ha senso parlare di Galateo? In una delle epoche più maleducate della storia… certamente sì! Come una grammatica del comportamento, è la traccia da cui partire per edificare buoni rapporti con i nostri simili. In un mondo sempre più privo di regole, di etica

e di giustizia che ha portato alla realtà che noi tutti stiamo vivendo, qualche riflessione sull’impor-tanza del termine ‘rispetto’ andrebbe fatta”. In queste poche righe d’introduzione al libro “Pillole di bon ton” c’è la sintesi dell’importanza del Galateo che, secolo dopo secolo, non abbandona il suo ruolo di guida al comportamento, declinato a ogni epoca. Questo libro è adatto sia ai più giovani che vogliono conoscere le ‘buone maniere’, sia a lettori di ogni età interessati ad approfondire le corrette regole di comportamento. Insomma, una vera e propria guida da portare sempre con sé, in modo da poterla consultare in caso di necessità!

Sono molteplici i libri scritti da soci ANCEP e in questo numero di Cerimoniale Oggi ne segnaliamo tre. Tutti ugualmente utili, interessanti ed attuali, riguardano vari argomenti e sono stati scritti in periodi diversi, ma pon-gono l’accento su alcuni fondamentali denominatori comuni: il valore della buona organizzazione e dei giusti

comportamenti, l’efficacia delle relazioni e il riferimento costante alle regole del Galateo.

NEL MONDOQuanti sono i sovrani nel mondo?

IPaesi del mondo - secondo Wikipe-dia - sono complessivamente 195. Fra questi 43, quasi uno su cinque,

è una Monarchia. Ben 12 Monarchie si trovano in Europa. Fra di esse viene contato anche lo Stato del Vaticano, con la particolarità che si basa su un sistema di elezione del monarca, ossia il Papa. Non tutti i Sovrani governano davvero, alcuni di essi hanno soprattutto ruoli di rappresentanza. Fra i casi di Monarchia più originali vi è quello del Principato di Andorra, una Diarchia in cui a coman-dare sono due persone scelte entram-be al di fuori dei confini del minuscolo Stato sui Pirenei: il Presidente della Re-pubblica francese, per il quale i cittadini di Andorra non possono votare, e l’Ar-civescovo della diocesi di Urgell, che come tutti i Vescovi è scelto dal Papa.

Sito Ancep sempre più letto!

Sono stati migliaia i visitatori che, nel 2018, hanno consultato il sito di Ancep per cercare notizie e infor-

mazioni sull’attività dell’Associazione. Le pagine più visitate, oltre a quelle sul-le opportunità offerte in ambito formati-vo, sono state quelle sui temi del com-portamento e del galateo.

DALL’ITALIA Dipendenti pubblici: troppi o troppo pochi? La percentuale italiana è fra le più basse d’Europa

Quanti sono i dipendenti pubblici in Italia? In totale si parla di circa 3,2 milioni di persone, tante ma relativamente poche se confrontate con la media europea. Sono dati forniti da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, che se-

gnala peraltro come la percentuale italiana, fra le più basse d’Europa, abbia avuto tendenza a diminuire fortemente fra il 2000 e il 2016, l’ultimo anno per cui sono disponibili i dati. Si stima infatti che nel Vecchio Continente la media dei lavoratori che presta servizio presso enti pubblici sia del 16 per cento, mentre il nostro Paese si attesta sul 14. All’interno di questi numeri sono compresi gli impiegati pubblici a livello nazionale, regionale e locale e anche le forze armate. L’Istituto precisa che i confini del settore pubblico possono variare a seconda degli Stati membri, inclu-dendo o meno segmenti importanti come l’Istruzione o la Sanità.Il maggior numero di dipendenti sul totale dei lavoratori si trova in nord Europa, Sve-zia, Danimarca e Finlandia (rispettivamente con il 29, 28 e 25 per cento di addetti). L’Italia è terz’ultima, seguita solo da Olanda, Lussemburgo e Germania. Nel totale dei dipendenti pubblici italiani sono compresi non solo coloro che la-vorano nel settore amministrativo di enti quali ad esempio Comuni, Regioni e così via, ma anche figure professionali specifiche impiegate in vari ambiti, come nella salvaguardia del patrimonio territoriale o dell’ordine pubblico. Se per essere assunti in un’azienda privata si deve in genere presentare il proprio curriculum e superare uno o più colloqui, chi vuole prestare servizio nella pubblica amministrazione deve tutt’ora superare un concorso, così come stabilito dall’art. 97 della Costituzione italiana.

Gli Onorevoli

L’appellativo di “Onorevole” rivolto a Deputati e Senatori non ha origini norma-tive ma storiche. Fu utilizzato per la prima volta nel 1848 quando, alla Camera subalpina, l’allora Deputato Pasquale Tola iniziò un suo discorso con “Onore-

voli deputati”. Il termine venne poi ripreso da altri, e se ne consolidò l’uso. L’appellativo fu soppresso nel 1939 per venire poi ripreso nel 1946 con la nascita della Repubblica. In realtà la prima istituzione a ripristinarlo fu l’Assemblea Regionale Siciliana che, appena istituita, introducendo l’espressione “deputato regionale” die-de modo di chiamare “onorevoli” i suoi eletti. Da allora, se da un lato si sono registrati negli enti locali vari tentativi di emulare l’esempio della Sicilia, dall’altro sono stati presentati diversi disegni di legge per la definitiva soppressione dell’appellativo.

Un originale Buon Anno

Decine di bigliettini, scritti elegantemente e appesi agli alberi, alle porte dei ne-gozi, ai portici: questa la sorpresa che hanno trovato uscendo di casa lunedì 8 gennaio gli abitanti di Vignola. I messaggi di felicità che hanno tappezzato

la cittadina in provincia di Modena, nota fra l’altro per le sue squisite ciliegie, era-no scritti a mano da un anonimo - o da un’anonima - e riportavano pensieri gentili, invitando i lettori a essere di buon umore e a pensare positivo. Questi alcuni dei messaggi: ”Stai sveglio e ti accorgerai di quante cose non avevi mai visto”, “Il cuore è la luce di questo mondo, non coprirlo con la mente”, “Siamo tutti apprendisti in un mestiere, dove non si diventa mai maestri: la vita”, “Trascorri un po’ di tempo da solo ogni giorno”, “Non contare i giorni, ma fa sì che i giorni contino”, “Beati coloro che non rinunciano all’amore per paura”. Non c’è che dire, un modo originale e positivo di augurare buon anno!

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Page 15: Anno 1, Numero III - 10 Aprile 2019 ISSN 2612-1638 Cerim ... · Anno 1, Numero III – 10 Aprile 2019 Registrazione del Tribunale di Bologna n. 8479 del 21 febbraio 2018 ISCRIZIONE

“Non sono gli errori a fare scandalo. Quel che preoccupa è la convinzione, sempre più diffusa, che le buone maniere siano un’anticaglia, e che non valga la pena di impararle”Piero Ottone – Giornalista (3 ottobre 1924 - 16 aprile 2017)

ANCEP Associazione Nazionale Cerimonialisti Enti Pubblici

ANCEP si occupa dello studio e della valorizzazione del Cerimoniale e della rappresentanza istituzionale. Nata nel 2007, riunisce addetti del settore di comprovata esperienza, prove-nienti da tutti gli ambiti della Pubblica Amministrazione – Ministeri, Regioni, Province, Comu-ni, Università, Camere di Commercio e altri Enti – e si rivolge a tutto il sistema delle autonomie locali e funzionali.

Nel 2015 ANCEP è stata la prima Associazione di categoria ad essere inserita nell’elenco delle Associazioni Profes-sionali tenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi della Legge n.4/2013.

Due i principali obiettivi dell’Associazione: • la salvaguardia delle corrette forme di rappresentanza istituzionale attraverso l’ applicazione di quanto previsto

dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16 aprirle 2006 e successive integrazioni• la valorizzazione delle professionalità che operano in questo settore, affermando la funzione dei Cerimonialisti

ed il loro ruolo, quali interpreti della disciplina che governa l’attività di relazione fra le cariche pubbliche.

ggiCerim nialeOQuadrimestrale d’informazione professionale dell’ANCEP

Ritratto di monsignor Giovanni Della Casa,autore del manuale Galateo overo de’ costumi, pubblicato postumo nel 1558.Olio su tavola di Jacopo Carrucci detto il Pontormo, databile al 1540-1543 e conservato nella National Gallery of Art di Washington. Wikimedia Commons

Indirizzo: Via del Timavo, 6/b 40131 BolognaE-mail: [email protected] [email protected] [email protected] Fax: 0418620239Sito web: www.cerimoniale.net