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ANIEM
Rassegna Stampa del 23/03/2015
INDICE
ANIEM
21/03/2015 La Citta di Salerno - Nazionale
Intesa per il mercato immobiliare11
ANIEM WEB
Il capitolo non contiene articoli
SCENARIO EDILIZIA
21/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La lettera di Perotti a Lotti su carta intestata del ministro13
22/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Le rivelazioni di Burchi: così Incalza imponeva Perotti15
22/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Pollari arrivava a cena con l'auto dei servizi I trucchi sui capitolati17
22/03/2015 Corriere della Sera - Milano
«La nostra battaglia per la bellezza»19
21/03/2015 Il Sole 24 Ore
Il peccato di continuità21
21/03/2015 Il Sole 24 Ore
A Pompei riapre la Villa dei Misteri22
21/03/2015 Il Sole 24 Ore
Lupi: «Esco dal governo a testa alta»24
21/03/2015 Il Sole 24 Ore
«Su grandi, medie e piccole opere abbiamo mobilitato 14,2 miliardi»26
21/03/2015 Il Sole 24 Ore
Perotti interrogato: Lupi amico, normale assumere suo figlio27
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
Tre riforme e 3,9 miliardi per ripartire28
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
Sias, non solo il Nord-Ovest: l'opzione-estero per la crescita34
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
L'appalto libico, le foto delle «tangenti», il successore al ministero37
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
Per le opere cura di democrazia, tecnologia e servizi38
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
Palazzo Italia verso il «monitoraggio»40
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
i numeri di un settore in stallo41
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
Made Expo nel segno della fiducia42
23/03/2015 Il Sole 24 Ore
Imprese e Pa verso il D-day della fattura elettronica*43
19/03/2015 La Repubblica - Firenze
"Il sistema appalti alla fine favoriva le imprese dei clan"45
19/03/2015 La Repubblica - Firenze
"Marchette"super e cantieri lumaca47
21/03/2015 La Repubblica - Nazionale
Trovata a casa di Perotti una lettera per Lotti "Sblocca questi lavori"48
22/03/2015 La Repubblica - Genova
Garré: "Facciamo sistema, è una grande opportunità"50
22/03/2015 La Repubblica - Milano
Darsena, corsa al taglio del nastro la Rozza inciampa nell'allungo51
23/03/2015 La Repubblica - Nazionale
Il sistema Incalza anche negli appalti della metropolitana più cara d'Europa52
22/03/2015 La Repubblica - Firenze
"Perotti mandato via perché non ci piaceva la gestione del cantiere"54
21/03/2015 La Stampa - Aosta
Case popolari Dalla Regione cinque milioni55
21/03/2015 La Stampa - Savona
Lunedì si decide il destino degli ex cantieri Baglietto56
22/03/2015 La Stampa - Biella
Da domani è slalom fra i cantieri57
21/03/2015 Il Giornale - Nazionale
I «no Grandi opere»? Solo il 10%58
22/03/2015 Il Fatto Quotidiano
I COLOSSI DEL TAV STRETTI TRA PEROTTI E L ' AMICO FRANK60
22/03/2015 QN - Il Resto del Carlino - Ancona
Uscita a ovest,la cricca puntavaal mega appalto62
22/03/2015 QN - Il Resto del Carlino - Rimini
Edilizia sovvenzionata, nuova leggeMinoranza: «Colpisce i più poveri»63
22/03/2015 QN - Il Giorno - Varese
Commissariati, ma light Così Cantone blinda i lavori di Palazzo Italia64
21/03/2015 Il Manifesto - Nazionale
Chiuso e riaperto il cantiere maledetto65
22/03/2015 Il Mattino - Avellino
Lavoro in nero, i carabinieri denunciano tre imprenditori66
21/03/2015 Il Secolo XIX - Savona
Ex cantieri Baglietto, lunedì (forse) il giorno buono67
22/03/2015 Il Secolo XIX - Nazionale
Uno strumento che ha trovato terreno fertile in Riviera68
22/03/2015 Il Secolo XIX - Nazionale
Piano casa La Liguria dà altri 9 mesi69
22/03/2015 Il Secolo XIX - Levante
Architetti critici: «Microchip inutili senza la prevenzione »71
22/03/2015 Il Secolo XIX - Savona
Unione Industriali: «Scavo-ter "cacciata " un anno fa »72
22/03/2015 Il Secolo XIX - Savona
Edili e Confindustria alle a ti per il sogno di San Giacomo73
23/03/2015 Il Secolo XIX - Genova
Chiaravagna, il Terzo Valico blocca le opere anti-alluvione74
22/03/2015 QN - La Nazione - Pisa Pontedera
Cantieri, tensione alta 'Senza lavoro è la fine'75
23/03/2015 QN - La Nazione - Firenze
Scavi a novembre, forse ci siamoA settembre arriva la nuova talpa76
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
QUEL MANAGER UNO E TRINO CHE DA ANNI COMANDA L'ANAS77
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Woodn, il legno-non-legno che conquista le archistar dalla nautica all'arredo urbano78
23/03/2015 ItaliaOggi Sette
In azienda si punta sull'orario79
21/03/2015 Milano Finanza
Gli edili scendono in piazza81
21/03/2015 Left
ALLA FIERA DELL'IPOCRISIA82
23/03/2015 Edilizia e Territorio
La casa efficiente? Solo sulla carta*85
21/03/2015 RE Real estate
Artelia Italia e Intertecno Un "merge" tra presente e futuro87
21/03/2015 RE Real estate
Chiacchiere e Mattoni89
SCENARIO ECONOMIA
21/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La maxifusione tra le Coop Gruppo da 4 miliardi94
21/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Telecom, la svolta è partita Resteremo leader nella rete»95
21/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
C'è la lista, Montepaschi conferma Profumo e Viola97
22/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
fate prima la legge di stabilità98
22/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Spesa pubblica, il governo ci riprova100
22/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
il nazionalismo (anche dei capitali) che blocca l'europa102
22/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Tassi «zero» Come ottenere fino al 4% (senza rischiare)104
22/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Profumo: «Lascio Montepaschi Dopo l'aumento mi metto in proprio»105
23/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Pirelli, i segreti di una svolta107
21/03/2015 Il Sole 24 Ore
L'anomalia greca e il direttorio di plastica110
21/03/2015 Il Sole 24 Ore
Le Borse europee volano ai massimi storici112
21/03/2015 Il Sole 24 Ore
Ferrero cresce con Asia e Stati Uniti114
21/03/2015 Il Sole 24 Ore
«Carige pronta a crescere, da sola o con altri»116
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
Se Pechino punta 100 miliardi sull'Italia118
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
Opa Pirelli, spunta la clausola salva-Italia120
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
Una nuova Bretton Woods (Cina inclusa)122
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
Prede e predatori nel nuovo capitalismo124
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
Dopo tre riassetti finanziari è arrivata l'intesa industriale126
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
«Il credit crunch si allenta, ma le Pmi ancora in difficoltà»127
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
Poste pronta alle pulizie sui conti in vista dell'Ipo Piano tariffe all'Authority129
23/03/2015 Il Sole 24 Ore
La proroga unica certezza nella Babele delle tasse*130
23/03/2015 Il Sole 24 Ore
«Grandi attese dall'accordo sui dazi tariffari e sulle Igp»132
21/03/2015 La Repubblica - Nazionale
Tra il Dragone e il Cremlino134
21/03/2015 La Repubblica - Nazionale
In pensione più tardi di quattro mesi a partire dal 2016136
21/03/2015 La Repubblica - Nazionale
Troppe tasse pesano sul Tfr ecco perché anticiparlo non conviene137
22/03/2015 La Repubblica - Nazionale
Renzi: "No a dimissioni per gli avvisi di garanzia non caccio gli indagati"138
22/03/2015 La Repubblica - Nazionale
Pirelli alla stretta finale ma la morsa russo-cinese mette all'angolo gli italiani141
22/03/2015 La Repubblica - Nazionale
Malacalza tira il freno, è deciso a non vendere143
22/03/2015 La Repubblica - Nazionale
Pensioni flessibili in uscita il piano entro l'estate reddito minimo agli over 55145
22/03/2015 La Repubblica - Nazionale
Repliche alla tv Marcorè e Golino attori sindacalisti "Tutte le emittenti paghino leroyalty"
146
22/03/2015 La Repubblica - Nazionale
SCENDE L'EURO SALE LA UE147
23/03/2015 La Repubblica - Nazionale
GLI USA TEMONO LA RESA EUROPEA149
23/03/2015 La Repubblica - Nazionale
"Milano senza industria non è più una città-guida"151
21/03/2015 La Stampa - Nazionale
"L'Expo non sarà solo una sfilata di marchi"153
22/03/2015 La Stampa - Nazionale
Orte-Mestre, la Nuova Autosole tra sprechi e affari155
22/03/2015 La Stampa - Nazionale
Da Pechino tre miliardi di investimenti L'Italia è la meta preferita dopo Londra157
23/03/2015 La Stampa - Nazionale
"Atene deve accettare la linea dell'Ue Ma il prezzo degli aiuti è troppo alto"158
23/03/2015 La Stampa - Nazionale
«Lehman, far causa adesso o mai più»160
23/03/2015 La Stampa - Nazionale
"General Electric punta sull'Italia Qui costi bassi e competenze"161
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Così governo e Bankitalia vogliono cambiare le banche163
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Starace: "L'Enel crescerà ancora"165
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Telecom, Patuano accelera "Banda larga senza stranieri"168
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Jacques Granjon "L'outlet a casa con Vente-Privee"171
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
LA RIFORMA DIMENTICATA SULLE CENTRALI DEGLI APPALTI173
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
General Electric il rilancio sul petrolio la scommessa ad alto rischio174
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Da Trenitalia, a Marcegaglia è arrivata la rivoluzione dei big data176
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Spence: "Investire sull'Italia? Certo, purché non disperda l'opportunità che ha difronte"
178
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
"Fondi di credito e Eltif le strade di Bruxelles verso l'economia reale"180
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
"Certificati a rischio contenuto per puntare sull'energetico"182
23/03/2015 Corriere Economia
Alla scuola Sna si impara a non farsi tagliare lo stipendio184
23/03/2015 Corriere Economia
Forse c'è la ripresa? Il Fisco sia generoso: ora tagli le tasse186
23/03/2015 Corriere Economia
Privacy Siamo nelle mani della principessa di Google187
23/03/2015 Corriere Economia
Poche illusioni il greggio resterà mini190
23/03/2015 Corriere Economia
Crescita & Risparmio «Così le famiglie possono essere il motore della ripresa»192
21/03/2015 Milano Finanza
PERCHÉ A PIAZZA AFFARI CI VUOLE UNA SCOSSA194
21/03/2015 Milano Finanza
ORSI & TORI198
21/03/2015 Milano Finanza
La storia ci darà ragione201
21/03/2015 Milano Finanza
Se Pechino fiuta l'affare203
21/03/2015 Milano Finanza
Pirelli parla mandarino205
SCENARIO PMI
22/03/2015 Il Sole 24 Ore
Per crescere prima e meglio ci vuole più «womenomics»208
19/03/2015 La Repubblica - Firenze
Imprese, le magnifiche 813 su cui puntare210
23/03/2015 La Stampa - Nazionale
La piccola impresa meccanica torna ad assumere211
22/03/2015 Avvenire - Nazionale
MUTUI Abi-imprese-consumatori intesa su congelamento212
22/03/2015 Il Manifesto - Nazionale
Il buio a Mezzogiorno213
21/03/2015 ItaliaOggi
Bando Inail, attenti alle collegate: possono asciugare i fondi214
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Seat riparte senza debiti e punta sulla sua rete per portare le Pmi sul web215
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Valvitalia, dopo la comasca Silvani altre due acquisizioni entro l'anno217
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Biolchim fa shopping e diversifica nell'home garden219
23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza
L'indice Ism si raffredda negli Usa mentre l'Eurozona inizia a correre220
21/03/2015 Milano Finanza
Da Prelios al tandem con Rovati: i progetti di Sigieri Diaz221
21/03/2015 Il Sole 24 Ore - PLUS 24
In attesa delle grandi Ipo scalpita il listino delle Pmi222
Intesa per il mercato immobiliare Protocollo tra costruttori e agenti per un'azione sinergica Intesa per il mercato immobiliare Intesa per il mercato immobiliare
Protocollo tra costruttori e agenti per un'azione sinergica
di Carmen Incisivo "Il nuovo mercato immobiliare. Una strategia comune per affrontare il mercato dei
prossimi anni". Se n'è parlato ieri sera al Lunch in music nell'ambito di un convegno organizzato da Aniem
(costruttori) e Fiaip (agenti immobiliari) al quale avrebbe dovuto prendere parte anche Vincenzo De Luca che
- trattenuto a Napoli per impegni elettorali - ha delegato il sindaco facente funzioni Enzo Napoli, che ai
convenuti ha ribadito l'impegno dell'amministrazione comunale in favore della lotta alla troppa burocrazia.
«Abbiamo pensato di mettere a disposizione di tutti un meccanismo virtuoso, attraverso lo sportello unico,
che tenta di risolvere i problemi burocratici. Impieghiamo troppo tempo con le carte, combattiamo per
semplificare e continueremo a farlo. Abbattere questa difficoltà è fondamentale per assecondare la ripresa
del mercato nel rispetto delle nostre reciproche prerogative». Dopo i saluti del presidente Aniem Salerno
Pietro Andreozzi sono intervenuti il presidente Fiaip Campania Fortunato Donnabella, il presidente Aniem
Campania Patrizio Prisco e il presidente Fiaip Salerno Corrado Mirra. Tutti hanno rimarcato l'importanza di
lavorare seguendo una strategia comune tra gli imprenditori di settore e gli agenti immobiliari professionali
«per adeguarsi al nuovo mercato immobiliare con strumenti moderni, flessibili ed atti a consentire
un'adeguata risposta alle nuove domande». Le due associazioni hanno infatti sottoscritto un protocollo
d'intesa attraverso il quale si lavorerà insieme per rilanciare il mercato cercando anche nuovi clienti tra i
giovani, i pensionati, i single e le famiglie numerose. «Una sinergia - ha rimarcato Andreozzi - attraverso la
quale ci si potranno scambiare, analizzandole e migliorandole, informazioni sul mercato immobiliare, ma
anche individuare strumenti innovativi che potranno apportare movimentazioni e vendite precedentemente
non ipotizzabili». ©RIPRODUZIONE RISERVATA
21/03/2015 17Pag. La Citta di Salerno(diffusione:25000)
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ANIEM - Rassegna Stampa 23/03/2015 11
L'INCHIESTA I DOCUMENTI La lettera di Perotti a Lotti su carta intestata del ministro Le pressioni per i fondi. Burchi a Sposetti: a quella nomina ci penso io Pacini Battaglia Nelle intercettazionianche un colloquio con Pacini Battaglia E Incalza vide Signorile All'ex tesoriere L'ex presidente di Italfer:«Cercati un posto in un ministero così ci riposiamo» Fiorenza Sarzanini DALLA NOSTRA INVIATA
FIRENZE Una lettera su carta intestata del ministro Maurizio Lupi indirizzata al sottosegretario alla
presidenza del Consiglio Luca Lotti. I carabinieri del Ros l'hanno trovata nel trolley di Stefano Perotti nella
perquisizione dopo l'arresto dell'imprenditore, in una cartellina della Struttura tecnica di missione. È una
sollecitazione affinché Palazzo Chigi chieda al Cipe lo sblocco dei finanziamenti per la costruzione di
numerose opere. In tutto 9 miliardi di euro per l'apertura di diversi cantieri, indicati in un elenco allegato alla
missiva. «Caro Luca», si legge all'inizio della lettera e poi si elencano i motivi che rendono indispensabile un
intervento per ottenere i soldi necessari all'avvio dei lavori. Quanto basta, secondo l'accusa, per confermare
che erano proprio Perotti e Incalza a gestire tutti gli affari del titolare delle Infrastrutture, occupandosi di
preparare anche le comunicazioni ufficiali con il vertice del governo.
Del resto sono le stesse telefonate intercettate a dimostrare il ruolo chiave di Incalza all'interno del ministero
anche diverse settimane dopo essere andato in pensione. Facendo riemergere personaggi che erano stati
coinvolti in passato in inchieste sull'Alta velocità come il faccendiere Pierfrancesco Pacini Battaglia e l'ex
ministro dei Trasporti Claudio Signorile.
«Che devo fare?»
Il 22 dicembre scorso Lupi «chiede a Incalza che cosa deve fare una volta che è stato approvato nella Legge
di stabilità l'emendamento che conferma i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa: "Cioè
operativamente cosa devo fare? Ma devo spostarla? Devo metterla? Ma voglio dire, come facciamo a dire
che pro tempore il responsabile ...?"». Un aiuto per i rapporti con il Cipe Lupi lo sollecita anche il 24 gennaio,
quando Incalza è ormai fuori dal ministero.
Lupi : non è che puoi stare in vacanza tu... Senti una cosa ma per il Cipe del 27 pare che ci sia... Noi
abbiamo tutto dentro? La 106,tutto?
Incalza : no, abbiamo soltanto le cose che erano andate al pre Cipe il 10 dicembre... un mese fa...
I due continuano ad esaminare tutte le pratiche. Lupi chiede chiarimenti, suggerimenti. Lo stesso accade
qualche giorno dopo quando «Marco Lezzi della segreteria del ministro chiede a Incalza, per conto dei
ministro, di confermargli i nomi dei commissari di 14 Grandi Opere». E incalza risponde: «Se me li leggi tutti
io confermo uno per uno, dai!»
Le nomine di Sposetti
A leggere le intercettazioni si comprende come il ministero sia terra di conquista. Il 14 febbraio 2014 l'ex
presidente Italferr Giulio Burchi dice all'ex tesoriere ds Ugo Sposetti: «Senti magari cercati un posto in un
ministero che ci andiamo a riposare». Annotano i carabinieri: «Parlano di "nomine che dobbiamo fare" e si
riservano di esaminare una lista che deve essere consegnata a Burchi da un avvocato. Burchi rappresenta al
senatore Sposetti i problemi per il conferimento dell'incarico a Massimo Marchignoli specificando di non
poterlo inserire in un collegio sindacale in mancanza della laurea ed aggiunge: "boh, adesso gli trovo un'altra
roba". Il giorno dopo Sposetti dice a Burchi " lì dove ci vuole la laurea perché non ci mettiamo Luciano". E
Burchi: "No, ma a Luciano gli voglio trovare un'altra roba, ma a Marchignoli comunque qualcosa gli trovo"».
Gli amici socialisti
Quanto potere abbia Incalza si comprende anche dalla rete di relazioni che continua a gestire. Scrivono i
carabinieri del Ros: «Dall'attività di indagine è emerso che l'ex ministro Claudio Signorile e il figlio Jacopo
Benedetto, sono tuttora in rapporti, per vicende riguardanti appalti pubblici, sia con Incalza e Pacella (ora ai
21/03/2015 11Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 13
domiciliari) che con Perotti. In particolare sono state rilevate comunicazioni, circa l'interesse di Jacopo
Benedetto Signorile di entrare, insieme a Perotti, nella direzione lavori per la realizzazione dell'autostrada
Roma Latina (opera da 2,8 miliardi di euro, di cui 970 di contributo pubblico, progetto preliminare approvato
dal Cipe nel 2004) su cui l'Anac presieduta dal dottor Raffaele Cantone, nel novembre 2014, ha accolto i
rilievi segnalati da Ance Lazio e Acer (costruttori di Roma) in quanto limitativa per la concorrenza delle
piccole imprese». Non solo. Annotano ancora gli investigatori: «Il 26 gennaio 2015 Pacini Battaglia contatta
Perotti. Dal tenore della conversazione si trae che fra i due interlocutori vi è un rapporto di pregressa
conoscenza se non di amicizia».
Le ville di Perotti
Per i pm il «sistema» prevede che Incalza individui le gare da «pilotare» assegnandole a quelle aziende che
accettano una maggiorazione almeno dell'1% e la nomina di Perotti come direttore dei lavori. Incarichi che
avrebbero fruttato al manager milioni di euro. È la moglie ad elencare in una telefonata con il figlio l'entità dei
beni di famiglia. Annotano i carabinieri: «Christine Mor riferisce al figlio che la loro casa fiorentina non ha
prezzo, "casa nostra non ha prezzo amore, non ha prezzo veramente. È una cosa fuori da (ride). Anche
casetta tua, sai però aspetta, Firenze sente di più la crisi delle altre città quindi casa di Corinne a Roma con
la crisi adesso che c'è puoi chiedere 2, senza crisi si può arrivare a 3 , 2 e mezzo, la tua oggi a Firenze sta a
uno e mezzo, c'è un milione di differenza secondo me"». Al figlio dice poi che «l'altra casa fiorentina a lui
intestata è stata comprata per un milione e 100mila euro cui sono stati aggiunti 200mila euro di lavori, mentre
la casa romana dell'altra figlia Corinne è stata acquistata per un milione e 300 mila euro e che la tenuta di
Montepulciano è costata 2 milioni e 600 mila».
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L'indagineTra i reati contestati dalla Procura di Firenze nell'inchiesta sugli appalti e le grandi opere (51 indagati, di cui 4
arrestati) ci sono corruzione, induzione indebita e turbata libertà degli incanti I 4 arrestati sono Ercole Incalza
(ex capo della struttura tecnica di missione dei Lavori pubblici), gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco
Cavallo, e il collaboratore di Incalza, Sandro Pacella
Foto: Il 27 gennaio scorso a Roma Ercole Incalza incontra in un ristorante,
da sinistra, l'ex ministro Claudio Signorile, il figlio Jacopo e Sandro Pacella (la foto
è negli atti dell'inchiesta)
21/03/2015 11Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 14
Il personaggio Le rivelazioni di Burchi: così Incalza imponeva Perotti Le parole prima degli arresti: già fatte le pressioni per i futuri obiettivi Paolo Mondani G iulio Burchi è il testimone più prezioso della Procura fiorentina per via di quel suo modo di parlare di tutto
con tutti. Una manna per gli investigatori: intercettando le sue telefonate hanno riempito centinaia di fogli.
L'ho incontrato due volte, pochi giorni prima degli arresti del 16 marzo: battute che mordono in un discorrere
serratissimo dove inserirsi è un'impresa. La testimonianza raccolta in questi incontri è stata poi acquisita dai
magistrati della Procura di Firenze.
Dalla lettura di migliaia di carte sulle grandi opere emergeva sempre un nome nella direzione lavori che per
me era un perfetto sconosciuto, ma non per Burchi: «Stefano Perotti è uno dei tre figli di Massimo, ex
presidente della Cassa per il Mezzogiorno ed ex direttore generale dell'Anas. Venne arrestato dalla procura
di Milano nel 1985 e dopo di allora si è ritirato in Svizzera. Quando Massimo era alla Cassa per il
Mezzogiorno, Ercole era un giovane ingegnere e lavorava a stretto gomito con lui, il giro era quello di
Signorile e della sinistra socialista o se vuole della sinistra ferroviaria, tutti pugliesi come Ercole, che è di
Francavilla Fontana».
Burchi adora la politica, viene dalla sinistra lombardiana ma ci tiene a dire che con «quelli di Brindisi, quei
socialisti là» lui non c'entra nulla. Quando è a Roma va a pranzo con Ugo Sposetti «che è sempre a
chiedermi un ghello per le sue iniziative» e parla con Pippo Civati: «Lo sto aiutando a scrivere un libro sulla
corruzione». Torniamo a Incalza: «Ercole ha avuto come mentore il padre di Stefano Perotti, e quando lo
nominarono amministratore delegato della Tav iniziò a restituire a Stefano quel che aveva ricevuto da suo
padre». Stefano è stato a sua volta riconoscente, o no? «Prenda questo mio appunto», sorride sornione
Burchi « l'ho intitolato "Incalza-Lupi-Perotti-Gate", lo legga».
Oggi è amministratore delegato della Brescia-Padova, nel cda di BreBeMi, Autostrade Lombarde,
Autocamionale della Cisa, è stato alla guida di Italferr e Metropolitana Milanese. Burchi la dice così: «Sono
l'uomo di Banca Intesa nelle grandi opere, anzi meglio, sono l'uomo di Giuseppe Guzzetti». Veniamo al suo
appunto.
«Il giro è semplice: Incalza telefona alle imprese e impone Perotti alla direzione dei lavori, e lui assume il figlio
del ministro Lupi che lasciando tutti di stucco si presenta al cantiere della Torre Eni di San Donato Milanese
in rappresentanza di Spm, la società di Perotti». La tecnica è antica: assunzioni e consulenze per ottenere
favori. Ma ci sono tangenti vere e proprie? «Per quel che ne so le consulenze possono diventare quella roba
lì, e il margine le imprese lo fanno perché basta sovrafatturargli il lavoro».
Passiamo ai cantieri dati a Perotti. «Fate attenzione - sottolinea Burchi - non ce n'è uno acquisito per
evidenza pubblica». Elenchiamoli: Pedemontana Veneta, Pedemontana Lombarda, il Nodo ferroviario di
Firenze «dove gli arresti del 2013 hanno provocato il cambiamento di tutti i soggetti imprenditoriali e tecnici,
ma Perotti no, lui è rimasto».
A Perotti viene affidata una tratta della Metro 5 e City Life a Milano, due lotti della Salerno-Reggio Calabria e i
due lotti del Passante del Brennero in Associazione temporanea di imprese (Ati) con Italferr. Qui Burchi si
infiamma: «Sul Brennero Italferr fu obbligata da Incalza a caricare Perotti, ma la più grande società di
ingegneria del paese che necessità aveva di associarsi con lui?». Poi c'è l' alta velocità Milano-Treviglio dove
«Incalza è intervenuto su Saipem e Pizzarotti». Mentre il 50% del Passante ferroviario Milano-Genova «era
stato promesso al figlio di Andrea Monorchio, Giandomenico, che fu costretto a dividere la direzione lavori
con Perotti per pressioni di Incalza su Impregilo».
C'è anche la M4 a Milano, dove «Incalza provò a far ritirare la direzione lavori a Metropolitana Milanese, ma il
direttore del Comune di Milano Filippo Salucci è riuscito a limitare i danni e così a Perotti è andato solo
l'appalto della sicurezza». Poi il cantiere della Metro C a Roma, operazione che Burchi definisce «fantastica»
22/03/2015 11Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)
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perché «su pressione di Incalza verso Astaldi si è arrivati alla sostituzione dell'impresa già in cantiere in
favore di Perotti». E ancora, la direzione lavori del nuovo palazzo Eni a Milano: «Un duetto tra Angelo Caridi,
responsabile Eni per il progetto, e Incalza, buoni conoscenti sin dai tempi della prima Tav». Angelo Caridi, ex
direttore generale della divisione Refining & Marketing di Eni e ora dipendente di Eni servizi è indagato per
associazione a delinquere finalizzata all'evasione fiscale.
L'elenco si conclude con l'autostrada Ras Ejdyer-Emssad in Libia: «Roba da ridere - sbotta Burchi - dopo
aver imposto ad Anas International la famiglia Trocca come partner nell'appalto da 100 milioni di euro, Incalza
aveva già pensato a Perotti per la futura direzione lavori». Tutta colpa della Legge Obiettivo del 2001 che
«rende autoimmune l'impresa dal controllo pubblico». Il testo è chiaro: è il general contractor che nomina i
direttori dei lavori. Il controllato che decide il controllore e lo paga.
Oggi la vecchia anima socialista agita Burchi: «Il ministro Lupi e Incalza hanno già fatto le loro debite
pressioni anche per i prossimi obiettivi di Perotti». Parliamo del tratto della Tav Treviglio-Verona e della
Vicenza-Padova, del progetto Quadrilatero Umbria-Marche, della Orte-Mestre e della Nogara-Mare. Burchi
conosce gli uomini e sa come funziona la macchina al Ministero: «Se si vuol andare da Lupi bisogna
necessariamente passare per Perotti, Cavallo e Girlanda, i tre che presidiano fisicamente il ministro».
Anche Burchi ha i suoi guai, Firenze lo indaga e scopre che con Perotti è in Ati su un lotto della Salerno-
Reggio Calabria: si è preso le briciole per troppo tempo e probabilmente voleva di più. Ci lasciamo con un'
immagine. Incalza? «Un intellettuale della Magna Grecia, ti affascina con le parole e conosce la macchina
alla perfezione ma sul piano tecnico c'è poca sostanza». E lo finisce così: «Se il ministro avesse sottoposto a
Incalza il progetto di una centrale nucleare sul Vesuvio lui l'avrebbe studiato a fondo e alla fine avrebbe
decretato... ma sì, si può fare».
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Chi èGiulio Burchi, 65 anni, è tra
i 51 indagati dalla procura
di Firenze sulle grandi opere.
È stato intervistato dalla redazione di Report per
le inchieste che riprenderanno sulla Rai
dal 12 aprile
Il ruolo e le carte Gli incarichi 1 Giulio Burchi è un manager con molti incarichi. Siede nei consigli di amministrazione
di diverse autostrade del nord Italia: BreBeMi, Brescia-Padova, Autostrade Lombarde, Autocamionale della
Cisa. Dal 2004 al 2007 è stato presidente di Italferr, la società di ingegneria delle Ferrovie dello Stato Le
indagini 2 I pubblici ministeri lo considerano una delle figure chiave dell'inchiesta «Sistema» sulla spartizione
degli appalti: «Soggetto perfettamente inserito nel sistema di illiceità» sostengono. Si indaga su nomine e
favori che avrebbe agevolato, anche per conto di Ugo Sposetti La collaborazione 3 Il manager sta
collaborando con i magistrati. Nei giorni scorsi è stato interrogato per undici ore. Ha ammesso l'esistenza di
una rete guidata da Ercole Incalza: «In alcuni casi non c'era neanche bisogno di parlare, tutti sapevano come
funzionava il ministero delle Infrastrutture »
Foto: Ci sono le consulenze e le aziende fanno il margine sovrafattu-rando
Foto: Sto aiutando Civati a scrivere un libro sulla corruzione
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GRANDI OPERE i verbali Pollari arrivava a cena con l'auto dei servizi I trucchi sui capitolati I meccanismi Incalza organizza la serata con l'ex direttore del Sismi. Nelle carte Perotti appare in grado dicambiare le richieste nelle gare d'appalto Fiorenza Sarzanini DALLA NOSTRA INVIATA
FIRENZE Cene, pranzi, incontri riservati per decidere nomine e appalti. La rete di Ercole Incalza, l'alto
funzionario delle Infrastrutture arrestato nell'inchiesta di Firenze con il manager Stefano Perotti, comprende
numerosi potenti. Tra loro, anche l'ex direttore del Sismi, il generale Niccolò Pollari. I due hanno
frequentazione assidua, condividono lo stesso difensore.
E proprio pedinando Incalza i carabinieri del Ros hanno scoperto che l'ex capo del servizio segreto militare
continua a godere dei privilegi riservati agli alti ranghi dell'intelligence, compresa la macchina con autista.
La lista per il Cipe
Le migliaia di atti processuali ricostruiscono le trattative per la gestione delle Grandi opere negli ultimi anni,
comprese le indicazioni provenienti da politici di destra e sinistra per l'assegnazione di gare e poltrone. Le
indagini si concentrano sui documenti sequestrati nel corso delle perquisizioni, compresa la lettera su carta
intestata del ministro Maurizio Lupi indirizzata al sottosegretario Luca Lotti, per chiedere lo sblocco dei fondi
Cipe per una trentina di Grandi opere, ritrovata a casa di Perotti. La missiva è ritenuta interessante perché
nella lista allegata ci sono anche lavori che non risultano ancora approvati ma sui quali Incalza e Perotti
avevano già puntato la propria attenzione. E forse per questo avevano deciso di prepararla personalmente.
La targa
Il 18 marzo 2014 Incalza parla con un amico dell'organizzazione di una cena: «Siamo Pollari e la moglie,
Murino e la moglie, Tomao, il professor Paolini e De Lise». Il riferimento è a Pasquale De Lise, l'ex presidente
del Consiglio di Stato, già finito nell'inchiesta sulla «cricca» di Balducci e Anemone per una compravendita
immobiliare all'Argentario e perché consultore di Propaganda Fide. Due giorni dopo i carabinieri si appostano
e annotano l'arrivo dei partecipanti: «Giunge in via dei Crociferi un'autovettura marca Audi, di colore blu
scuro, targata EF390HN che si ferma all'altezza del vicolo delle Bollette. Scende l'autista che provvede a far
scendere il passeggero successivamente individuato nel generale Pollari. Da accertamenti esperiti presso la
banca dati Aci la targa risulta inesistente», e questo conferma che si tratta di un'auto dei servizi segreti.
L'assessore di Roma
Giulio Burchi, l'ex presidente Italferr indagato che ha cominciato a parlare con i pubblici ministeri di Firenze,
era stato scelto dall'assessore alla mobilità del Campidoglio Guido Improta, nella giunta di Ignazio Marino,
come amministratore della società Roma Metropolitane. Lo chiama nel gennaio 2014: «È la più grande opera
pubblica che si sta realizzando, ci vuole qualcuno che abbia competenza giuridiche competenza tecnica
sensibilità politica eh, ha fatto già tanti soldi». Burchi avvisa immediatamente l'amico Ugo Sposetti,
parlamentare ed ex tesoriere del Pd secondo il quale «si tratta di un incarico molto importante per cui
consiglia, qualora lo accetti, di lasciare gli altri incarichi professionali ma non quelli con Autostrade».
L'affare immigrati
Nel maggio scorso Davide Vaggi, consulente di Impregilo e cooperative rosse parla con Perotti «della
predisposizione da parte della Selex (gruppo Finmeccanica) di una rete di controllo per l'immigrazione».
L'obiettivo è esplicito: «C'è un grosso appalto ora in Libia, 350 milioni che dovrebbe essere un sistema di
controlli, soprattutto adesso che sta venendo fuori tutto questo casino, gli immigrati che arrivano. Dovrebbe
essere un sistema di controlli nel sud della Libia, tra il Niger la Libia e il Ciad, dove metà di questi 350 milioni
grossomodo dovrebbe essere opere civili. Tu li conosci questi qua della Selenia? Ci sarà anche da fare una
direzione lavori».
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I capitolati su misura
Perotti era evidentemente in grado di far modificare i capitolati d'appalto per essere poi favorito
nell'assegnazione dei lavori. Nel maggio scorso un suo collaboratore lo informa di aver letto il capitolato per
un lavoro legato all'Alta velocità: «Un po' c'hanno accontentati nel senso che le osservazioni sul vecchio
capitolato qualcosa è cambiato altre cose no. Beh certo, noi da quello che ho letto io adesso così in prima
battuta siamo gli unici che abbiamo tutti i requisiti, gli altri bisogna un po' faticare eh». Nel gennaio scorso,
stesse modalità. Annotano i carabinieri del Ros: «Perotti illustra il capitolato speciale per undici prossime gare
di appalto che Anas sta per indire. Si tratta di capitolati che sono stati precostituiti in base alle indicazioni
fornite dallo stesso Perotti ai dirigenti Anas».
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La vicendaSono 51 gli indagati (tra questi sono comprese pure 4 persone arrestate) dell'operazione del Ros dei
carabinieri di lunedì scorso denominata «Sistema» Tra i reati contestati
dai magistrati
della Procura
di Firenze
(che conduce l'indagine)
ci sono la corruzione, l'induzione indebita e turbata libertà degli incanti Al centro delle indagini della Procura
c'è la gestione illecita degli appalti delle Grandi opere «mediante un articolato sistema corruttivo».
I magistrati
di Firenze indagano su «un valore di 25 miliardi di euro di appalti»
Foto: 1
Foto: 2
Foto: 1 L'ex direttore
del Sismi Niccolò Pollari fotografato
di spalle 2 Al suo fianco Ercole Incalza: la cena si è svolta in una trattoria a Roma un anno fa, il 20 marzo
2014
Foto: I passaggi L'arrivo di Niccolò Pollari alla cena con Incalza raccontato nei verbali
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L'intervento DEI RESIDENTI NELL'AREA EX ENEL «La nostra battaglia per la bellezza» Su queste pagine pochi giorni fa è apparso un lungo articolo dedicato al cantiere dell'area ex Enel. Il
Consiglio di Stato ha dichiarato l'intera operazione illegittima bloccando i lavori, dopo il ricorso intentato da
alcuni cittadini. Quei cittadini siamo noi. SEGUE DA PAGINA 1
L'area di fronte al Cimitero Monumentale, ex Enel, e dunque pubblica, molti anni fa fu svenduta a una società
privata. Dopo anni di abbandono, e di occupazione del centro sociale Bulk, durante l'amministrazione Moratti
alcuni imprenditori decisero di costruire degli immobili residenziali. Per fare questo, il Consiglio Comunale di
allora approvò una delibera che modificava le cubature edificabili, triplicandole. In un colpo solo quel terreno,
comprato per 10, valeva 300. Per trasformarla in area residenziale edificabile, e per aumentare le cubature e
concedere le concessioni, l'amministrazione comunale si avvalse del «programma integrato di intervento»,
uno strumento che, nel diritto italiano, è consentito solo in casi di interesse pubblico e strategico per la città.
Succeduta alla Moratti, nell'assolato agosto del 2011 la giunta Pisapia riportò in consiglio comunale la
delibera e la approvò: senza comunicati stampa, e senza che la notizia apparisse su alcun giornale.
Il progetto prevedeva, in tre isolati situati di fronte al Cimitero Monumentale, il luogo più visitato dai turisti
dopo il Duomo, tre palazzoni alti fino a 10 piani, in un quartiere di edifici di 4 piani al massimo: residenze ad
alta densità volumetrica e bassa qualità estetica.
Alla notizia di questo scempio, un gruppo di abitanti del quartiere e alcuni intellettuali, scrittori, architetti,
hanno provato a intervenire. Abbiamo chiesto di incontrare la proprietà e il Comune, cercando il dialogo,
sostenendo che andava bene il profitto dei privati, ma che l'operazione avrebbe potuto essere un po' meno
spregiudicata. In sostanza chiedevamo un'idea per la città che andasse oltre alla mera speculazione. Il
Comune non ci ha voluto dare ascolto. Lo stesso atteggiamento hanno mantenuto i proprietari del terreno.
Entrambi ci hanno liquidato dicendo di intentare pure una causa, che tanto l'avrebbero vinta loro.
Soltanto l'impresa costruttrice di una parte degli edifici si è mostrata disponibile, modificando le facciate di
loro pertinenza in corso d'opera e ridisegnando un piccolo parco (fatto assolutamente apprezzabile). Furono i
nostri unici interlocutori, non si trovò perciò un accordo sull'intero piano.
Il vero soggetto in grado di imporre un interesse pubblico all'area, il Comune, non si prese carico con
lungimiranza del suo naturale ruolo di mediatore. Rimanendo convinti che l'operazione fosse sbagliata sotto il
profilo architettonico, politico, urbanistico e legislativo, e non riuscendo a ottenere altri risultati se non quello,
comunque importante, di far riprogettare gli spazi aperti, fummo costretti a non ritirare il ricorso.
Oggi il Consiglio di Stato ha dichiarato l'intera operazione illegittima, in quanto priva del presupposto di un
interesse strategico e pubblico. Ci ha dato ragione. Una pessima notizia, a ben vedere. Non soltanto perché
ora il progetto è diventato un problema, ma soprattutto perché non eravamo e non dovevamo essere noi i
paladini dell'interesse della città.
Non debbono essere i privati cittadini a vigilare sulla legittimità delle operazioni immobiliari, sulla qualità
architettonica e sul rispetto delle norme urbanistiche. È un ruolo che spetta alle istituzioni. Avere ragione non
ci interessa: ci interessa che si costruisca bene, in modo sensato, intelligente, corretto, restituendo alla città
vivibilità e bellezza.
Ci interessava allora, e ci interessa ancora di più adesso che c'è un «buco», una ferita, nel cuore della città.
Diamo a questa zona importante di Milano una nuova occasione, una soluzione degna della nostra città,
anche alla luce dei numerosi fallimenti urbanistici di questo ultimo decennio. Ripartiamo da una logica
diversa, con un orizzonte progettuale di più ampio respiro. L'orizzonte legittimamente alto e ambizioso di
disegnare e pensare la città per i cittadini.
Si tratta di un compito arduo, che spetta in primo luogo al Comune di Milano. Speriamo che questa volta ci
provi.Marco Belpoliti, Gianni Biondillo, Marco Biraghi, Paola Lenarduzzi, Roberto Marone, Luca Molinari,
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 19
Alberto Saibene
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La vicendaIl progetto edilizio sull'area
ex Enel (30 mila metri quadrati di fronte al cimitero Monumentale) viene approvato dalla giunta Moratti nel
2011 Per due volte il Tar ha bocciato i ricorsi; ma
il Consiglio
di Stato
ha definito «illegittima» l'approvazione del progetto
Foto: Il cantiere Le gru in zona Monumentale
Foto: Cantiere I lavori per le fondamenta del progetto in corso sull'area ex Enel davanti al Monumentale
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 20
L'ANALISI Il peccato di continuità di Giorgio Santilli Se confrontato ai suoi predecessori, Maurizio Lupi è stato un buon ministro delle Infrastrutture, ma ha
scontato il grave limite di aver agito troppo in continuità con la gestione di un ministero che è un gigante
malato e addormentato.
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Una situazione che avrebbe richiesto atti di rottura e rifondazione molto più drastici. Al suo arco Lupi può
mettere alcuni successi politici di tutto rispetto come la partita Alitalia-Etihad, il varo dell'Autorità di
regolazione dei trasporti che giaceva in Parlamento da 15 anni, l'approvazione del fondamentale piano
aeroporti chiuso nei cassetti ministeriali da 5 anni, lo sblocco delle manutenzioni Anas e Fs che erano state
vergognosamente azzerate, un gruzzolo di risorse di tutto rispetto (ha parlato ieri di 14 miliardi) nei quasi due
anni di ministero (prima con Letta, poi con Renzi). Nonostante questi risultati lusinghieri, il giudizio sul
ministero Lupi resta quello di un'occasione mancata: oltre ogni valutazione giudiziaria ed etica, è stata proprio
la conferma della centralità di Ercole Incalza a impedirgli un vero approccio riformatore. Ieri Lupi ha detto di
aver avviato la riforma della legge obiettivo e del piano delle grandi opere che avrebbe trovato conferma nel
prossimo Def Infrastrutture, ad aprile, ma Lupi ha già firmato due Def Infrastrutture (sempre elaborati con
Incalza) senza dare il segno di un cambiamento di rotta. Anche visivamente, quei documenti sono quelli
del passato.
Bisognava agire molto più in fretta e non perdere altri due anni per riformare una legge che ha largamente
fallito (solo l'8% delle opere completate). Il fallimento lo ha confermato in fondo lo stesso Lupi ieri in
Parlamento: non senza retorica ha rivendicato a quella legge il merito della realizzazione dell'Alta velocità
Torino-Napoli quando la dorsale Av non era nel piano della legge obiettivo e non ha goduto delle procedure
straordinarie. Non ci sono altre grandi opere concluse con quella legge che i cittadini possono riconoscere
per i benefici che ne ricevono. Se la difesa di Lupi per tenere la struttura di missione dentro il ministero delle
Infrastrutture, evitando il trasloco a Palazzo Chigi, è questa, la partita è già persa.
Questo restare legati alle grandi opere ha continuato a distogliere attenzione da politiche infrastrutturali
alternative (su cui è saltato Palazzo Chigi) e da riforme fondamentali che sono rimaste a dormire per mesi: il
codice degli appalti e il recepimento delle direttive Ue, vero atto di discontinuità riformatrice per il settore, è
rimasto a dormire sei mesi in Senato senza che Lupi muovesse un dito.
Peggio è andata con la riforma del trasporto pubblico locale, sfida decisiva per i prossimi decenni con le gare
nel trasporto pubblico su gomma e in quello ferroviario pendolari, il rinnovo del parco bus, il rilancio presso i
cittadini con possibili agevolazioni fiscali. Le prime bozze sono di 15-18 mesi fa ma non si è mai considerato
urgente questo provvedimento. Sarebbe arrivato al Consiglio dei ministri forse alla prossima seduta. Tre
riforme mancate (legge obiettivo, codice appalti, trasporto locale) che avrebbero davvero dato il segno di una
discontinuità.
Lupi ha anche promesso una nuova legge urbanistica che non si è vista come non si è visto alcun altro
intervento per le città (anche il mediocre piano città di Mario Ciaccia è stato abbandonato) mentre bisogna
dare atto al ministro di un grande sforzo per riattivare una politica abitativa (fondo emergenza abitativa,
ristrutturazione alloggi Iacp, social housing, accordo mutui con Abi e Ance) anche spostando risorse in
precedenza destinate alle infrastrutture. Qualche segnale si vede in quella direzione ma forse Lupi contava
su tempi più lunghi per raccogliere risultati
più robusti.
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21/03/2015 1Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 21
FRANCESCHINI: «CAMBIO DI PASSO» A Pompei riapre la Villa dei Misteri Francesco Prisco Tormento ed estasi su sfondo rosso. Se c'è un posto che più di ogni altro racchiude l'essenza di Pompei,
area archeologica di incomparabile bellezza e storia tormentata quanto nessun altro nell'Occidente civilizzato,
questo posto è Villa dei Misteri. Non è un caso se ieri mattina, alla cerimonia di riapertura al pubblico dopo
due anni di restauri del complesso suburbano celebre per gli affreschi dionisiaci, il ministro dei Beni culturali
Dario Franceschini ha preteso di intervenire in prima persona, "mettendoci la faccia" come aveva fatto un
anno fa, quando, all'indomani del suo insediamento, nel sito si erano verificati tre crolli in una settimana.
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«Oggi è un giorno davvero importante per Pompei, - ha detto l'inquilino del Collegio Romano - l'Italia
restituisce al mondo altre meraviglie. Abbiamo alle spalle un anno di lavoro straordinario».
Villa dei Misteri, da oggi di nuovo fruibile dopo un intervento da 900mila euro a cura della ditta Atramentum, ci
mette poco a diventare il pretesto per parlare del Grande progetto da 105 milioni che, dopo un avvio
complicato, ha finalmente ingranato la marcia, grazie all'Action plan imposto da Bruxelles a luglio scorso.
«Abbiamo chiuso tre cantieri, - dice Franceschini - altri tredici sono aperti, nove gare sono già avviate e
quest'anno a vario titolo abbiamo assunto 85 persone. I visitatori - prosegue il ministro - nel 2014 sono
aumentati di 200mila unità. Abbiamo in programma moltissime iniziative anche in occasione dell'Expo.
Sappiamo che il mondo guarda con puntigliosa attenzione quel che avviene a Pompei. Oggi l'Italia è
orgogliosa di dire al mondo: a Pompei abbiamo voltato pagina». Nonostante il recupero e l'affidamento diretto
delle gare dell'ultima tranche del Piano delle opere a una shortlist di aziende individuate da Invitalia, non c'è
alcuna certezza che le risorse del Grande progetto verranno completamente spese entro il termine del 2015.
Eppure ai piedi del Vesuvio già si guarda alla programmazione 2014-2020. «Ritengo - dichiara il ministro -
che dopo aver dato alla Comunità europea prova di aver lavorato e speso bene le risorse che ci hanno dato,
faremo nuove richieste all'Ue, che credo verranno gestite sempre dal Grande progetto». Si guarda anche in
direzione dei privati: «ci sono molte attenzioni da sponsor», grazie anche all'introduzione dell'Art Bonus. «Ma
siccome - precisa Franceschini - non sono ancora definitivi gli accordi, non mi sembra il caso di parlarne».
Risorse private che, secondo il ministro, «potranno integrare quelle pubbliche, ma ovviamente non
sostituirle». Il lavoro di tutela e restauro a Pompei sarà «perenne, ma stiamo ragionando anche sui servizi e
sulle strutture di accoglienza, viabilità, trasporti e alberghi» che nell'hinterland vesuviano non sono mai stati
all'altezza degli straordinari attrattori ospitati. Quanto all'ordine pubblico e al problema dei furti di opere d'arte,
«stiamo lavorando per rafforzare il personale di sorveglianza e introdurre nuove tecnologie». Con le risorse
straordinarie di Bruxelles il "brand" Pompei si promuove anche meglio: in arrivo due mostre in concomitanza
con Expo, una al Museo archeologico di Napoli dedicata all'influenza degli scavi sulla cultura europea, l'altra
con i calchi del sito restaurati ed esposti nell'Anfiteatro. Quasi un paradosso perché, da Edward Bulwer-
Lytton a Paul W. S. Anderson, nessun sito archeologico ha esercitato una tale fascinazione sui moderni.
Nelle sue precedenti tappe pompeiane Franceschini non era mai apparso così ottimista. Più che il recupero
del Grande progetto - che a qualcuno appare ancora «virtuale», dal momento che i cantieri chiusi continuano
a essere soltanto tre - ha dalla sua l'ultimo report Unesco che, nonostante qualche critica (in particolare sul
piano di gestione, ancora lacunoso) e un dubbio (che succede dopo il Grande progetto?) ha sostanzialmente
promosso l'Italia parlando di «miglioramenti tangibili e significativi nello stato di conservazione» e
scongiurando il rischio che la città di Lucrezio finisca nella lista dei siti patrimonio dell'umanità in pericolo.
Come i monumenti del Medio Oriente, a protezione dei quali, ieri, lo stesso ministro dei Beni culturali
invocava l'intervento dei caschi blu. I "caschi blu" di Pompei sono gli addetti alla manutenzione ordinaria.
Nessuno, complice il blocco del turnover nella pubblica amministrazione, ha ancora pensato a come
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reclutarli.
.@MrPriscus
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A Pompei. Dopo 5 mesi di chiusura, la Villa dei Misteri riapre in tutto il suo splendore
21/03/2015 1Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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Inchiesta grandi opere LE DIMISSIONI DEL MINISTRO Lupi: «Esco dal governo a testa alta» Il ministro: contro di me nessuna accusa dai pm - Dentro Ncd monta il malumore Barbara Fiammeri L'OPA DELLA lega SU NCD
Salvini: da Alfano squallore politico, molti dei suoi in uscita credono in noi
Già cinque deputati pronti a fare il salto verso il Carroccio
UN MINISTRO PER IL SUD
Renzi ha garantito che la delegazione di Ncd non sarà ridimensionata: ai centristi
gli Affari regionali con
i fondi per il Mezzogiorno
roma
Ha pronunciato la sua arringa difensiva in un'aula semideserta. Appena un centinaio i deputati presenti. Tutto
era già stato detto e il pathos era inevitabilmente scaduto. Le dimissioni, annunciate la sera prima dal salotto
di Porta a porta, sono state consegnate nel pomeriggio a Palazzo Chigi dopo il faccia a faccia al Quirinale
con il Capo dello Stato.
L'avventura al governo di Maurizio Lupi, il ministro delle Infrastrutture coinvolto nello scandalo che ha portato
in carcere Ercole Incalza e alcuni imprenditori, è finita. «Lascio il Governo a testa alta», dice ricordando che
dopo due anni di indagine i pm non hanno fatto alcun rilievo penale nei suoi confronti. Accanto a lui Angelino
Alfano, ministro dell'Interno e leader di Ncd, il suo partito, si lascia fotografare un biglietto con su scritto:
«Onesto, sincero, concreto». I banchi del governo sono quasi pieni. Non c'è Maria Elena Boschi e
ovviamente non c'è Matteo Renzi, assente giustificato, essendo impegnato a Bruxelles, dove interrompe il
silenzio eloquente di questi giorni per manifestare il plauso a «un gesto di grande dignità».
Anche la linea di difesa del ministro è nota. Lupi rivendica il lavoro svolto nei suoi 22 mesi al governo,
compresa la scelta di mantenere in capo al ministero la super struttura guidata fino a dicembre scorso da
Incalza. Ma quel che più gli preme è difendere il suo onore e suo figlio, coinvolto in alcune intercettazioni di
Ercole Incalza e Stefano Perotti. «Non ho mai fatto pressioni con chicchessia per procurare lavoro a mio figlio
- ha detto Lupi - l'intercettazione documenta che ho proposto a mio figlio, come farebbe qualsiasi padre, la
possibilità di fargli incontrare una persona di grande esperienza per consigliarlo sulla scelta da fare». Che poi
Incalza abbia chiamato Perotti «non può essermi addebitato». Anche perché, conferma, «conosco Perotti da
anni, che bisogno avrei avuto di chiedere a Incalza di intercedere per lui? Se avessi voluto, avrei potuto farlo
io. E non l'ho mai fatto». Quanto al Rolex regalato dall'imprenditore al figlio, ripete che è stato un errore, «io
avrei rifiutato un orologio da 10mila euro. I Perotti l'hanno regalato a mio figlio ben prima della mia nomina a
ministro, in un'occasione importante come la laurea. Non gli ho chiesto di restituirlo, se questo è stato un mio
errore me ne assumo la responsabilità». Poi la conferma delle dimissioni «a sole 72 ore dai fatti e non a 72
giorni». In aula la Lega non è presente per protestare contro le dimissioni anticipate dal ministro davanti alle
telecamere di Bruno Vespa.
Lupi ribadisce che la sua è stata una scelta personale e resta convinto che il suo passo indietro «può essere
un modo per rafforzare l'azione del governo e rilanciare il progetto del mio partito». Una dichiarazione che
stride con l'atmosfera che si respira dentro Ncd. Il partito è diviso e lo conferma l'intervento in aula di Fabrizio
Cicchitto, che ha attaccato duramente il Pd denunciando la «clamorosa esistenza di due pesi e due misure»,
con riferimento ai sottosegretari democratici e al candidato Pd in Campania, coinvolti in procedimenti penali e
anche condannati, ai quali però nessuno ha chiesto il passo indietro.
Ad aumentare la tensione anche l'indiscrezione (non smentita) che Lupi sarà candidato a sostituire come
capogruppo a Montecitorio di Ncd Nunzia De Girolamo, la quale sostiene di aver appreso la notizia dalla
lettura dei giornali («Alfano in questi giorni non mi ha fatto una telefonata»).
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 24
Nel caos si inserisce anche Matteo Salvini. Il leader della Lega torna ad attaccare lo «squallore» di Alfano e
dice di essere pronto ad accogliere a braccia aperte eventuali transfughi centristi. Parole minacciose. Voci di
Transatlantico sostengono che ci sarebbero già cinque deputati (due romani, oltre la Saltamartini che ha fatto
da apripista, due siciliani e un calabrese).
Certo molto dipenderà da come si concluderà il rimpasto di governo. Renzi vuole ricomporre il puzzle
dell'esecutivo in pochi giorni. Che le infrastrutture non siano più terreno di Ncd è scontato anche per Alfano.
Ncd però non vuole e non può permettersi di uscire ulteriormente indebolito dalla vicenda Lupi. Per questo
l'ipotesi al momento più realistica è che ai centristi vada il ministero degli Affari regionali che però verrebbe
rafforzato con una delega al Mezzogiorno e quindi con un «portafoglio» di fondi a disposizione.
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LE ACCUSE A LUPI, LA DIFESA E IL BILANCIO DELLA SUA ATTIVITÀ
I rapporti con Incalza. Lupi ha motivato così la decisione di non rimuovere Incalza: l'ex supermanager «nei
vari procedimenti penali che lo hanno interessato, non ha subito nessuna decisione di condanna». Incalza si
è dimesso il 17 dicembre, anche se il suo incarico durava fino a fine 2015 e non ha ricevuto incarichi
di consulenza
L'assunzione del figlio. «Ho proposto a mio figlio la possibilità»di incontrare Incalza, «una persona di
grande esperienza» ha detto Lupi. «Perotti conosce mio figlio fin da piccolo. Che bisogno avrei avuto di
chiedere a Incalza di intercedere per lui?»
LE COMPRAVENDITE
Lupi ha detto di aver operato, come ministro, per rilanciare l'edilizia. Citando dati Ance, ha detto che nel 2014
le compravendite immobiliari sono aumentate del 3,6%, con una crescita del 7,1% solo nell'ultimo trimestre
LA CRESCITA 2014
+3,6%
BANDI DI GARA
Tra i segni che indicherebbero l'efficacia della politica adottata dal Governo, Lupi ha citato anche l'aumento
dei bandi di gara dei lavori pubblici: +30,4% nel 2014, che corrisponde a un aumento del 18,3 se di considera
il loro valore
L'AUMENTO 2014
+30,4%
POLITICHE PER LA CASA
Lupi ha rivendicato la scelta di aver adottato una politica non incentrata solo sulle grandi opere: abbiamo
«destinato 500 milioni al recupero degli alloggi popolari, destinando per le «politiche della casa» la cifra
complessiva di 2,7 miliardi
LO STANZIAMENTO
2,7miliardi
Foto:
Passo indietro. Maurizio Lupi ha annunciato ieri le sue dimissioni da ministro per le Infrastrutture
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Infrastrutture. L'ex ministro rivendica l'utilità della legge obiettivo «Su grandi, medie e piccole opere abbiamo mobilitato 14,2 miliardi» Alessandro Arona QUASI 3 MILIARDI SULLA CASA
«Abbiamo rifinanziato il fondo affitti, costituito quello
per la morosità incolpevole
e destinato 500 milioni
agli alloggi popolari»
ROMA
Nel suo intervento alla Camera, Lupi non ha negato di aver dato priorità alle grandi opere nei suoi 22 mesi da
ministro delle Infrastrutture, ha anzi rivendicato l'utilità di queste politiche, in primis per l'alta capacità
ferroviaria, e l'efficacia della Struttura tecnica di missione, guidata di fatto dal 2001 da Ercole Incalza (salvo
due anni nel 2006-2008). Ma ha anche ricordato le politiche per le medie e piccole opere e per la casa, e ha
anzi spiegato che in termini di risorse stanziate c'è stata una «netta prevalenza» di queste tipologie rispetto
alle grandi opere.
«Il primo obiettivo - ha detto Lupi ieri alla Camera - e il primo risultato della politica delle infrastrutture che ho
perseguito è stato lo sblocco delle grandi opere che i nostri cittadini chiedono e che finora erano realizzate
solo a segmenti».
«La Struttura tecnica di missione è stata, e nelle mie intenzioni deve continuare ad essere, lo strumento
tecnico-operativo per la realizzazione di questa visione». «È grazie alla legge obiettivo e alla struttura di
missione che i nostri cittadini possono andare in 45 minuti da Milano a Torino, in 3 ore da Milano a Roma, in
1 ora e 10 minuti da Roma a Napoli... Ed è un disegno strategico da completare: da Torino fino a Trieste, da
Battipaglia fino a Reggio Calabria, da Napoli a Bari, da Messina a Catania a Palermo».
Non solo grandi opere, però. Lupi ha rivendicato la sua azione «per il rilancio del settore dei lavori pubblici,
anche opere medie e piccole». Ha così ricordato «gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle
reti (ponti, viadotti, gallerie, strade e ferrovie) e lo sblocco dei cantieri nei piccoli comuni, le risorse destinate
alle ristrutturazioni scolastiche, e gli interventi di natura fiscale e di agevolazione dell'accesso al credito nel
settore dell'edilizia».
Tra grandi, medie e piccole opere - ha detto Lupi - «abbiamo mobilitato risorse per 14,2 miliardi di euro», e
guardando anzi all'entità degli stanziamenti c'è stata una «netta prevalenza di interventi di piccole e medie
dimensioni, diffusi sul territorio, rispetto alle disposizioni e agli stanziamenti che hanno riguardato le opere
legge obiettivo».
Forte rivendicazione anche sulle politiche abitative: «Abbiamo rifinanziato dopo anni il fondo affitti, costituito il
fondo per la morosità incolpevole e destinato 500 milioni di euro al recupero degli alloggi popolari, destinando
alle politiche per la casa la cifra complessiva di 2,7 miliardi di euro». E del salvataggio di Alitalia: «Risolta
l'emergenza occupazionale per 13mila persone e rilanciata un'azienda strategica per il nostro paese».
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Davanti al Gip di Firenze. L'imprenditore in carcere Perotti interrogato: Lupi amico, normale assumere suo figlio Silvia Pieraccini I CANTIERI
Preoccupazione dei sindacati per il rischio
di blocco e perdita di occupazione nei cantieri
diretti dall'ingegnere
FIRENZE
Stefano Perotti, figura centrale dell'inchiesta fiorentina sulle Grandi Opere in carcere a Firenze da cinque
giorni per corruzione e turbativa d'asta, è stato interrogato ieri dal giudice per le indagini preliminari Angelo
Pezzuti e «ha risposto a tutte le domande - hanno riferito i suoi avvocati, Roberto Borgogno e Gabriele
Zanobini - dando spiegazioni, anche tecniche, alle contestazioni dell'accusa, che ritiene infondate». «Non c'è
mai stata alcuna corruzione», ha ripetuto Perotti che avrebbe chiarito anche i rapporti con Ercole Incalza, il
superdirigente del ministero Infrastrutture che, secondo la Procura, gli ha fatto ottenere i tanti incarichi di
direzione lavori delle grandi opere in cambio di tangenti "mascherate" da consulenze.
L'interrogatorio, che si è svolto nell'aula bunker di Santa Verdiana alla presenza del pubblico ministero
Giuseppina Mione, ha cercato di chiarire anche le attività delle società di ingegneria riconducibili a Perotti (tra
cui la Spm) e dei progetti, consulenze e appalti di cui si occupava l'ingegnere romano con villa a Firenze, a
un passo dal Forte Belvedere. Perotti avrebbe anche chiarito che suo figlio Philippe, 27 anni (indagato nella
stessa inchiesta) e Luca Lupi, figlio dell'ormai ex ministro Maurizio, entrambi laureati in ingegneria (l'uno in
Inghilterra, l'altro al Politecnico di Milano) erano «solo amici».
«Con Maurizio ci conosciamo dal 2000, all'epoca era parlamentare. Poi si sono conosciute le famiglie, anche
i nostri figli sono diventati amici», ha spiegato Perotti, circostanziando il rapporto con Lupi e ritenendo
normale che in tali circostanze «potessi assumere il figlio Luca», quindi senza la necessità di interventi di altri.
Ma se l'interrogatorio di Perotti senior, durato tre ore e mezzo, si è svolto in un clima sereno, sempre più
preoccupato sembra farsi invece il clima nei cantieri delle grandi opere - erano dieci nel gennaio scorso, dal
nord al sud dell'Italia - che avevano come direttore lavori l'ingegnere romano. Il rischio è, evidentemente, il
blocco dei lavori e la perdita di occupazione. Due giorni fa è arrivato l'allarme della Fillea-Cgil di Firenze, che
stima 500 posti di lavori persi a causa del blocco del tunnel e della stazione dell'alta velocità fiorentina
(avviato già con un'altra inchiesta del 2013 sulle terre da scavo, e ora esteso). «Se il cantiere fosse
regolarmente attivo - afferma il sindacato - avremmo almeno 250 lavoratori in meno in disoccupazione o
cassa integrazione. E il numero di posti di lavoro in più a Firenze arriverebbe a 500 se tutti i cantieri delle
grandi opere fossero a regime».
Ieri è arrivato l'ulteriore allarme della Fillea Cgil per 800 operai della Salerno-Reggio Calabria che lavorano
nel cantiere di cui era direttore Perotti: l'Anas in mattinata aveva disposto il blocco dei cantieri nel tratto
Campotenese-Laino Borgo, in provincia di Cosenza, per mancanza del direttore lavori. Ma nel pomeriggio
Anas ha annunciato che il general contractor Italsarc, affidatario dei lavori, su richiesta dello stesso gestore
stradale ha sostituito Stefano Perotti con l'ingegnere Mario Beomonte. «La nomina consente la prosecuzione
dei lavori del cantiere, nel quale sono impegnati circa 800 addetti e che ha un avanzamento del 22%»,
afferma Anas.
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Rating 24/Infrastrutture. Le 12 priorità, dalla legge obiettivo alle liberalizzazioni Tre riforme e 3,9 miliardi per ripartire Delrio in pole per il dopo-Lupi - Primo banco di prova il varo del Def Giorgio Santilli È un percorso di guerra, un Vietnam, quello che aspetta il nuovo ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Se vorrà dare il senso di accelerazione degli investimenti e al tempo stesso di discontinuità rispetto al
passato, come chiede il premier Matteo Renzi, dovrà giocare partite tutte complicatissime su più tavoli. Da
una parte ci sono da avviare subito almeno tre riforme tostissime su cui si giocherà il segno e l'intensità del
cambiamento. Continua pagina 5
Continua da pagina 1
La legge obiettivo, con una inevitabile riforma legislativa delle procedure ma anche un nuovo piano selettivo e
aperto alle piccole opere che potrebbe già finire nell'allegato Infrastrutture del Def del prossimo 10 aprile; la
revisione del codice degli appalti e il recepimento delle direttive Ue in chiave di semplificazione, con
un'accelerazione del dormiente Ddl delega per cui il pd renziano della commissione Lavori pubblici del
Senato, Stefano Esposito, giura che l'arrivo in Aula a Palazzo Madama non dovrà andare oltre metà aprile; il
disegno di legge contenente le liberalizzazioni nel trasporto locale, che è pronto per il sì del Cdm e dovrebbe
aprire una nuova stagione di gare per il settore della mobilità in ambito urbano, contribuendo così a superare
le inefficienze dei grandi e piccoli monopoli locali. Un Ddl troppo timido al momento che potrebbe invece, per
esempio, allargare l'apertura di mercato al trasporto ferroviario regionale e pendolari (attualmente escluso).
Una partita, quest'ultima, che incrocia altri due aspetti-chiave della politica economica del governo: la
spending review, con il ridimensionamento degli sprechi delle Spa locali monopoliste nelle public utilities, e la
privatizzazione o quotazione in Borsa delle Fs. Non solo bisogna aprire il mercato pendolari, ma resta ancora
da decidere come completare la liberalizzazione dell'alta velocità, come garantire un accesso equo alle
infrastrutture, se varando o meno l'unbundling, per esempio, cioè la separazione proprietaria della rete
ferroviaria dalle società di servizi. Per ora l'orientamento è tenere il gruppo Fs unito, ma alla decisione non
potrà non partecipare il nuovo ministro dei Trasporti, se avrà un peso adeguato.
Ma a rendere complicato il cammino del prossimo ministro (o dei prossimi ministri se saranno due, uno per le
Infrastrutture e uno per i Trasporti) è che queste riforme epocali - a cui si sommano il piano aeroporti e la
legge sui porti - non si possono fare fermando la macchina in corsa. La ripresa economica ha bisogno della
spinta del rilancio dell'edilizia e delle infrastrutture più di quanto sia stato finora. L'ormai ex ministro Lupi
aveva messo molta legna in cascina, da questo punto di vista: ci sono i 3,9 miliardi dello sblocca-Italia che
vanno in gran parte a quelle grandi opere oggi sotto i riflettori. Qui è bene non farsi illusioni: se si vuole
garantire una continuità nella spesa ed evitare un buco che potrebbe durare anni, si potrà fare nel breve
periodo solo con il Terzo Valico, la Treviglio-Brescia e il Tunnel del Brennero, gli unici tre cantieri italiani in
grado di macinare milioni di spesa di cantiere, insieme alle manutenzioni Anas e Fs. Il resto sono chiacchiere
o briciole, comprese molte di quelle opere per cui lo sblocca-Italia prevedeva termini di cantierizzazioni che
già si sono rivelati teorici o fittizi. Per spendere quei 3,9 miliardi nei tempi previsti (anche dopo il 2016) è
necessario seguire passo passo la via crucis di autorizzazioni e progettazioni. Una sfida a sé sarà la linea
ferroviaria veloce Napoli-Bari per cui, dopo il commissariamento, è prevista l'apertura del cantiere a ottobre
2015. Sfida tutta in capo al commissario-ad delle Fs, Michele Mario Elia, ma anche emblema della partita dei
fondi Ue per cui nel 2015 vanno spesi 13,5 miliardi.
Prendere strade diverse dal realismo faticoso e in salita dell'attuazione dello sblocca-Italia vuol dire bloccare
anche quel po' di spesa di investimenti in corso. La retorica renziana delle piccole opere facili si è già
scontrata, del resto, con il muro durissimo della realtà: l'edilizia scolastica marcia a rilento, il piano per il
dissesto idrogeologico stenta a ripartire e comunque manca di progetti nonostante si tratti di opere arcinote
alle Regioni (come ha ricordato anche il capo della unità di missione di Palazzo Chigi Erasmo D'Angelis), le
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piccole opere dei comuni che dovevano essere "suggerite" con mail diretta fra i sindaci e Palazzo Chigi sono
al palo. Ora a Palazzo Chigi c'è un piano di 5mila opere con valore di 9 miliardi, presentato da Ance, Cna,
Confartigianato e Legacoop, che potrà- dare il segno del cambiamento ma difficilmente produrrà spesa a
breve.
Sacrosanto che Palazzo Chigi voglia dare il senso del cambiamento rivedendo il mix fra grandi e piccole
opere, ma al nuovo ministro deve essere chiaro che si deve lavorare su più fronti: quello di medio-lungo
periodo, con la revisione delle politiche e (forse) dei progetti strategici, e quello di breve in cui si può solo
attuare quello che prevedeva lo sblocca-Italia, per quanto quel provvedimento fosse poco in linea con le
aspettative renziane di cambiamento. Con un ruolo crescente inevitabile - nel breve e nel medio-lungo
periodo - dell'Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone, che può al tempo stesso garantire che i cantieri
delle grandi opere vadano avanti nonostante le inchieste della magistratura (c'è sempre lo strumento
eventuale del commissariamento se dovesse servire a separare i "corrotti" dalle opere) e dare un contributo
decisivo per un cambiamento di paradigma nella realizzazione di lavori grandi e piccoli nel prossimo futuro.
Tutto fa pensare che nella riforma del modello di realizzazione degli appalti sarà dato un ruolo crescente
all'Anac e allo stesso Cantone.
© RIPRODUZIONE RISERVA TA Giorgio Santilli
Le 12 priorità
RIFORMA
CODICE APPALTI Ddl approvato ad agosto ma l'iter al Senato va a rilento
RIFORMA
LEGGE OBIETTIVO Finora sono state approvate solo correzioni minori
POLITICHE
ABITATIVE Il Piano casa varato un anno fa è ancora nel guado
RIFORMA
TRASPORTO LOCALE Per l'approdo in Cdm si aspetta il nuovo ministro
PIANO
AEROPORTI È arrivato dopo 5 anni di attesa: attuazione in corso
LIBERALIZZAZIONE
FERROVIARIA Va ancora sciolto il nodo sulla separazione della rete
SBLOCCA ITALIA
E PICCOLE OPERE Fino al 2018 sono spendibili solo 455 milioni
TERZO
VALICO Fs non ha mai considerato strategica l'opera
BRESCIA-PADOVA
AV Finanziati 4,2 miliardi su 9,4 complessivi
AUTOSTRADA
ORTE-MESTRE Prima gara ancora da bandire: dietrofront possibile
TAV
TORINO-LIONE A metà 2016 sono attesi i primi maxi-bandi TUNNEL
BRENNERO All'Italia mancano 1,1 miliardi di stanziamenti
Legenda: Provvedimenti Opere SCHEDE A CURA DI Alessandro Arona
LE 12 PRIORITÀ
RIFORMA TRASPORTO LOCALE
Taglio dei fondi in assenza di garaIl Ddl di riforma dovrebbe approdare in Cdm una volta scelto il successore di Maurizio Lupi. Il testo, la cui
prima bozza risale ormai a 18 mesi fa, è pronto anche se dovrà essere esaminato anche delle Regioni. Come
altre riforme fondamentali affidate al Mit, nessuno ne ha dichiarato l'urgenza anche se potrebbe aprire una
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nuova fase di liberalizzazioni nell'ambito locale dove operano le società partecipate monopoliste e poco
efficienti. Tra l'altro nel testo la liberalizzazione è timida e cerca una nuova strada: taglio dei fondi per le
regioni e gli enti che non metteranno a gara i servizi. Manca ancora un altro pezzo decisivo, l'obbligo di gare
anche per i trasporti ferroviari regionali.
STATO AVANZAMENTO
MEDIA
PRIORITà/URGENZA
MEDIA
RIFORMA CODICE APPALTI
L'iter al Senatova a rilentoIl codice appalti risale al 2006 e da allora ha subito più di 600 modifiche. L'occasione per una riforma
fortemente innovativa è data dal recepimento delle direttive Ue 24 e 25 del 2014: il governo Renzi ha
approvato il 29 agosto 2014 un disegno di legge delega che però va a rilento al Senato dove sono appena
cominciate le audizione. Né il governo né la presidenza di Palazzo Madama hanno levato la voce per dare
una corsia preferenziale a quella che resta la riforma-chiave per il settore. Il Pd preme per portare il
provvedimento in Aula a metà aprile.
STATO AVANZAMENTO
BASSA
PRIORITà/URGENZA
ALTA
BRESCIA-PADOVA AV
Finanziati 4,2 miliardi su 9,4Sono lotti Tav assegnati senza gara nel 1991: Cepav Due (Saipem, Condotte, Maltauro, Pizzarotti) per la
Milano-Brescia-Verona, e Iricav Due (Astaldi, Salini Impregilo, Ansaldo, Condotte) per la Verona-Padova. La
Treviglio-Brescia (due miliardi) è al 60% dei cantieri, ma le tratte Brescia-Verona (3.954 mln) e Verona-
Padova (5.400) sono state finanziate solo nell'ultimo anno: in tutto 4,2 miliardi su 9,4 di costo totale. I contratti
aggiuntivi con le imprese non sono ancora firmati, il nuovo ministro potrebbe ancora far cambiare il progetto o
rinviare l'opera, facendo spostare i 4,2 miliardi su altre priorità.
STATO AVANZAMENTO
BASSA
PRIORITà/URGENZA
ALTA
PIANO AEROPORTI
Scali collegati al centro cittàDopo 5 anni di gestazione, il piano è stato pubblicato in "Gazzetta": uno dei meriti di Maurizio Lupi che ha
colmato un gap gravissimo rispetto agli altri Paesi europei. Il piano non è il migliore possibile e ha perso molto
della impostazione strategica che gli aveva dato il lavoro originario di One Works-Kpmg-Nomisma. Ma
contempla progetti concreti da avviare. Il più importante è il collegamento ferroviario veloce fra città e i tre
principali scali italiani: Fiumicino, Malpensa e Venezia Tessera. Dopo una prima resistenza le Fs sembrano
aver recepito il messaggio. Per Venezia si lavora ad adattare l'alta velocità; per Fiumicino e Malpensa si
vogliono accelerare i collegamenti esistenti.
STATO AVANZAMENTO
MEDIA
PRIORITà/URGENZA
ALTA
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RIFORMA LEGGE OBIETTIVO
Apportate solo correzioni minoriCritiche tutte le parti politiche. Nel mirino il piano faraonico delle opere per 390 miliardi (completato solo l'8%
di opere) e le procedure straordinarie che non hanno funzionato né per l'aspetto programmatorio
(approvazione del super-Cipe) né per quello autorizzatorio e progettuale. Tutti dicono di voler cancellare la
direzione lavori affidata al general contractor. Qualche aggiustamento sulla priorità delle opere è stato fatto
con l'allegato infrastrutture all'ultimo Def ma non c'è stato il cambiamento di rotta. Serve un provvedimento
organico che unifichi programmazione, procedure semplificate per grandi e piccole opere davvero prioritarie.
STATO AVANZAMENTO
MEDIA
PRIORITà/URGENZA
ALTA
AUTOSTRADA ORTE-MESTRE
Marcia indietro ancora possibileÈ il progetto di un'autostrada in project financing di 396 km dal costo di 7,2 miliardi (9,8 totali con gli oneri
finanziari), proposta nel 2003 dal gruppo Bonsignore (Ncd) e rimasta ferma fino al 2013, quando Lupi la porta
al Cipe per concedere sconti fiscali per 1,87 miliardi in valore attuale e renderla "bancabile". La Corte dei
conti blocca la delibera, ma con una norma dello Sblocca Italia si aggira l'ostacolo e il Cipe riapprova a
novembre. Non ci sono ancora contratti, la gara deve ancora essere bandita, in teoria si potrebbe fare marcia
indietro, anche se la delibera Cipe è in registrazione.
STATO AVANZAMENTO
BASSA
PRIORITà/URGENZA
ALTA
LIBERALIZZAZIONE FERROVIARIA
Va sciolto il nodo sulla reteL'Italia è l'unico Paese in Europa ad aver varato la liberalizzazione dell'Alta velocità, ma manca ancora un
completamento delle regole. Molte decisioni le sta assumendo l'Autorità di regolazione del settore. Ma vanno
prese almeno due scelte strategiche politiche: se procedere o meno all'unbundling (cioè la separazione
proprietaria della rete ferroviaria dai servizi, con la divisione del gruppo Fs) e la decisione di aprire il mercato
regionale e pendolari con l'introduzione dell'obbligo di gara. Sul primo punto pesa non poco anche la modalità
con cui il governo deciderà di quotare o privatizzare il gruppo Fs. Sulle gare regionali, più volte annunciate,
invece nessuno decide: inerzie della politica.
STATO AVANZAMENTO
BASSA
PRIORITà/URGENZA
BASSA
POLITICHE ABITATIVE
Piano casa nel guadoNel guado il piano casa "Lupi" varato esattamente un anno fa (Dl n.47/2014 del 28 marzo 2014). Il
provvedimento non ha finora prodotto effetti di rilievo. Inattuato il recupero dei circa 16mila alloggi inagibili
degli Iacp, anche se sono state individuate le risorse (468 milioni). Al palo anche il meccanismo per
incentivare l'acquisto delle case popolari da parte degli occupati. Bene invece i 200 milioni per l'affitto (2014 e
2015) e i 35,7 per la morosità incolpevole. Ancora in attesa invece dei 100 milioni per incentivare i programmi
di trasformazione urbana.
STATO AVANZAMENTO
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MEDIA
PRIORITà/URGENZA
ALTA
TAV TORINO-LIONE
Primi maxi-bandi a metà 2016«Non l'avrei scelta, ma ormai ci sono gli accordi con la Francia, andiamo avanti». Così Renzi a dicembre sulla
Torino-Lione, e così si sta procedendo. Il Cipe ha approvato il 20 febbraio il progetto definitivo per la parte
italiana, a fine febbraio sono arrivati i nuovi accordi con la Francia e la richiesta di fondi alla Ue (arriverà il
40% del totale). L'opera costa 8,6 miliardi, dopo la due diligence potrebbe salire un po'. L'Italia, al netto dei
fondi Ue, deve mettere tre miliardi, ne mancano almeno 570. A metà 2016 i primi maxi-bandi per lo scavo
della galleria.
STATO AVANZAMENTO
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PRIORITà/URGENZA
ALTA
SBLOCCA ITALIA E PICCOLE OPERE
Spendibili subito solo 455 milioniI tre Dm attuativi dello Sblocca Italia, che assegnavano alle opere indicate dalla legge 3.890 milioni di euro,
sono stati firmati da Lupi e Padoan. Alle grandi opere vanno 979 milioni (Av Terzo Valico 200, Av Verona-
Padova 90, Brennero 270, Salerno-Reggio 419), alle metropolitane 470 milioni, alle piccole opere 860 milioni
(piano 6mila campanili, lettere dei sindaci, manutenzioni Anas), e 1.580 milioni a opere "medie" (ad esempio
80 milioni alla strada Biella-Ghemme, 145 per il ponte sulla Roma-Fiumicino). Solo 455 milioni su 3.890
saranno però spendibili nel 2015-2018, i restanti 3.435 dal 2017 al 2020.
STATO AVANZAMENTO
MEDIA
PRIORITà/URGENZA
MEDIA
STATO AVANZAMENTO
MEDIA
PRIORITà/URGENZA
MEDIA
BRENNERO
Italia in cerca di 1,1 miliardiI cantieri per lo scavo della galleria principale sono partiti nel settembre scorso sul lato Italia e il 19 marzo in
Austria (in entrambi i casi sono al lavoro i due big Strabag e Salini Impregilo). Un maxi-bando da 1,4 miliardi
di euro è in arrivo ad aprile per il lotto Mules-Brennero, e un altro da 1,8 miliardi è atteso a inizio 2016 per il
lotto Ahrental-Brennero. L'opera costa in tutto 9.730 milioni, 50% ciascuno Italia e Austria (4.865 milioni, che
però scenderanno a 2.840 milioni per paese con i fondi Ue). All'Italia mancano stanziamenti per 1,1 miliardi.
TERZO VALICO
Mai considerato strategico da FsSi tratta della nuova linea ad alta capacità ferroviaria sulla direttrice Genova-Milano, sbloccata nel 2010.
Costa 6,2 miliardi di euro, ad oggi sono disponibili 2.222 milioni (di cui 607 tra Sblocca Italia e Stabilità 2015).
I lavori sono in corso, a dicembre è stato firmato l'accordo per il terzo lotto costruttivo da 607 milioni: il
progetto definitivo deve andare al Cipe, avvio lavori possibile per fine anno. L'opera non è mai stata
considerata strategica da Fs, furono sempre Incalza (e i suoi ministri) a spingerla, ma appare difficile a questo
punto fermarsi (anche perché sostenuta dalla Regione Liguria).
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MEDIA
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 33
LETTERA AL RISPARMIATORE Sias, non solo il Nord-Ovest: l'opzione-estero per la crescita Vittorio Carlini Uo dei focus principali di Sias è quello: il programma di sviluppo finanziario legato al piano del Governo
presentato a Bruxelles. Un progetto dell'Esecutivo che, tra le altre cose, prevede di accorpare e allungare nel
tempo diverse concessioni autostradali in Italia. Ebbene, in linea con il programma governativo la società ha
per l'appunto presentato il suo piano d'investimento. Un progetto che, tra le altre cose, stabilisce dapprima
l'unione delle sue 8 concessioni. Poi: da un lato, prevede l'allungamento in un'unica data (fine 2043) della
scadenza delle medesime; e, dall'altro, l'incremento delle tariffe in base al costo della vita programmato
(stimato all'1,5% l'anno). Infine, indica Capex per 7 miliardi di cui 1,8 quelli già previsti nel piano «stand
alone». Quindi 5,2 miliardi d'investimenti aggiuntivi. Al di là del progetto in oggetto, il gruppo però ha quale
obiettivo un'altra strategia. Vale a dire: diversificare la propria attività oltre gli italici confini. La scommessa,
insomma, è cogliere eventuali opportunità all'estero. Il modello di business, a ben vedere, prevede di
«sfruttare» l'attività di Itinera, la società di costruzioni del gruppo Gavio cui fa capo la stessa Sias. Ebbene
l'idea, laddove possibile, è quella di guardare a progetti «green field». Cioè opere che, in primis, necessitano
di essere costruite da zero. E, in seguito, di venire gestite. Ciò detto, quali le aree nell'ipotetico mirino di Sias?
In generale, è l'indicazione del gruppo, lo sguardo volge verso l'Est Europa e il Nord America. Senza
dimenticare, poi, diversi Paesi africani e l'Australia.
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Uno dei focus principali di Sias è quello. Cioè, il programma di sviluppo finanziario legato al piano del
Governo presentato a Bruxelles. Il progetto dell'Esecutivo, attualmente al vaglio dell'Unione Europea,
prevede di accorpare e allungare nel tempo diverse concessioni autostradali in Italia ( molte di Sias stessa).
La mossa, è il ragionamento, da una parte deve permettere, in tempi di congiuntura debole, dinamiche delle
tariffe autostradali in linea con l'inflazione programmata; e, dall'altra, indurre maggiori investimenti sugli asset
viari (10 miliardi quelli totali ipotizzati) senza esborsi per le casse pubbliche. Ebbene, in linea con il
programma governativo Sias ha per l'appunto presentato il suo piano d'investimento. Un progetto che, tra le
altre cose, stabilisce dapprima l'unione delle sue 8 concessioni. Poi: da un lato, prevede l'allungamento in
un'unica data (fine 2043) della scadenza delle medesime; e, dall'altro, l'incremento delle tariffe in base al
costo della vita programmato (stimato all'1,5% l'anno). Infine, indica Capex per 7 miliardi di cui 1,8 quelli già
previsti nel piano «stand alone». Quindi 5,2 miliardi d'investimenti aggiuntivi.
Questi numeri, come sottolineato, sono condizionati all'ok di Bruxelles al piano governativo. Il mercato ci
scommette. Cioè il progetto, considerato un elemento catalizzatore anche per la società, è salutato come una
proposta che bene si inserisce nell'agenda Ue. Ciò detto, le eventuali obiezioni da parte di Bruxelles sono in
materia di antitrust. Cioè, possono riguardare la libertà di concorrenza. Il prolungamento della durata delle
concessioni, infatti, esclude la realizzazione delle gare per l'eventuale loro assegnazione. E, quindi, può
delimitare la competizione industriale. La considerazione, tuttavia, è criticata da chi ricorda che la limitazione
esiste nei fatti. Un esempio? Le ingenti somme di subentro (spesso da pagarsi da parte del nuovo
concessionario al vecchio), dovute anche alla brevità delle concessioni stesse, che creano una barriera
all'ingresso. La quale impedisce la presenza di reali concorrenti.
Al di là degli accenni sul merito, già verso la fine di marzo potrebbero comunque aversi i primi «feed back»
dell'Ue sul tema. Sias, che esprime la fiducia di prassi in simili occasioni, dal canto suo non rilascia alcun
commento. Sottolinea solamente che un progetto simile è stato di recente approvato da Bruxelles a favore
della Francia. Un precedente che, è l'indicazione, ha il suo indubitabile suo peso.
Fin qui alcune indicazioni, e considerazioni, sul piano delle concessioni nel Nord-Ovest dell'Italia. Il gruppo
però ha quale obiettivo un'altra strategia indipendente da quella indicata. Vale a dire: diversificare la propria
attività oltre gli italici confini. La scommessa, insomma, è cogliere eventuali opportunità all'estero.
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Il modello di business, a ben vedere, prevede di «sfruttare» l'attività di Itinera, la società di costruzioni del
gruppo Gavio cui fa capo la stessa Sias. Questa nel 2014 ha raggiunto un giro d'affari di circa 1 miliardo.
Ebbene l'idea, laddove possibile, è quella di guardare a progetti «green field». Cioè opere che, in primis,
necessitano di essere costruite da zero. E, in seguito, di venire gestite. In generale, è ovvio, i Paesi nel radar
della società di costruzione sono più numerosi di quelli dove Sias può cogliere l'opportunità della successiva
gestione. Per sviluppare la concessione infatti, da un lato, è necessario trovarsi un Paese politicamente
«tranquillo»; e, dall'altro, che esista un quadro regolatorio sufficientemente definito e stabile.
Ciò detto, quali le aree nell'ipotetico mirino di Sias? In generale, è l'indicazione del gruppo, lo sguardo volge
verso l'Est Europa e il Nord America. Senza dimenticare, poi, diversi Paesi africani e l'Australia. Al di là delle
possibili aree nel radar di Sias il fil rouge è per l'appunto la diversificazione. Il core business sono le
concessioni. Il loro oggetto principale rimane l'asset viario. Però, come prova lo stesso ingresso nel settore
dei parcheggi, il portafoglio diventa più articolato. Si guarda all'estero e ad altre attività.
Ma non sono solo le strategie di sviluppo. Il risparmiatore è interessato infatti all'andamento concreto del
business. La Sias, su questo fronte, ha archiviato il 2014 con un numeri in rialzo. Il volume d'affari è salito
oltre il miliardo (+5,6% sul 2013) e la stessa redditività è aumentata (l'ebitda margin, ad esempio, è
incrementato al 59%). Analizzando più a fondo i numeri salta, però, fuori che la linea dei ricavi è stata spinta
soprattutto dal rincaro, dal primo gennaio 2014, delle tariffe (in media del 3,7%). Una dinamica che ha
significato 40,5 milioni di fatturato in più. L'incremento del traffico (+0,88%) ha portato, invece, in dote solo 6,4
milioni. A fronte di simili numeri, l'investitore esprime il timore che la crescita del flusso veicolare non sia
sufficiente a segnare la necessaria inversione di tendenza sul fronte del traffico. Sias rigetta il dubbio. La
società considera che il fondo sia stato toccato. Anche perchè l'aumento dei volumi si è concretizzato
contestualmente al calo del Pil. Il che rafforza l'idea di una ripresa su solide basi. E per il 2015? Gennaio, è
l'indicazione, è stato positivo mentre febbraio ha visto un qualche rallentamento. In generale comunque, a
fronte di una continua volatilità, il traffico nell'anno in corso è previsto in rialzo. Anche grazie all'evento
dell'Expo di Milano.
Dalla top line di bilancio all'Ebitda. Il margine operativo lordo è salito a 609 milioni (+7,5%) spingendo all'insu,
come detto, la stessa marginalità. All'interno di questa dinamica positiva il risparmiatore rileva un elemento
«stonato»: l'incremento stesso dei costi. Questi, infatti, sono aumentati rispetto al 2013 (+2,9%). Gli esperti,
però, sottolineano che si tratta di una dinamica attesa. In parte è stata legata al costo del personale
agganciato, a sua volta, all'inflazione; poi ci sono i costi di manuntenzione e gli esborsi dovuti in percentuale
sui ricavi. I quali, essendo saliti, ne determinano l'incremento. In conclusione, dicono gli analisti, l'andamento
è normale.
Così come rientra in un valore di «tranquillità» il rapporto debito netto su ebitda. A fine 2014, con il rosso della
Posizione finanziaria netta adjusted in calo a 1,644 miliardi, il multiplo si è assestato a 2,69. Un dato che,
seppure conseguenza anche della minore durata temporale delle concessioni, è inferiore a quello dei
competitor di settore. Detto ciò, il costo del debito medio lordo è di 3,58% (3,9% per la parte fissa e 2,2% per
quella variabile). Si tratta, a ben vedere, di un tasso superiore a quelli di mercato. Il che induce a chiedersi
perchè Sias non effettui la revisione della struttura debitoria. Il gruppo risponde che, al di là del fatto che
l'emissione del bond da 500 milioni nel 2014 ha già permesso l'allungamento della durata e la riduzione degli
oneri, il costo complessivo è già ad un buon livello. Inoltre, l'eventuale ri-acquisto di debito comporta degli
oneri che, allo stato attuale, ha poco senso affrontare. Solo nell'eventualità di concretizzazione del piano
strategico di allungamento delle concessioni sarà ipotizzato a qualche intervento. Peraltro, Sias ricorda di
avere circa 1,6 miliardi di disponibilità a breve per fronteggiare ulteriori investimenti
Già, intervento. Detto del progetto al vaglio a Bruxelles e della strategia sull'estero, Sias punta comunque a
crescere anche in Italia. Così, resta l'interesse per la A32 Torino-Bardonecchia dove la società ha già il
36,9% dell'asset. La quota di maggioranza (51,09%) è in mano all'Anas che, di recente, ha acquisito il 19,3%
dalla Provincia e Comune di Torino. Un'acquisizione contestata dalla Sias stessa che ha presentato ricorso al
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Tar. Al di là dell'iter giudiziario, se la quota complessiva di Anas sarà messa all'asta la società, in partnership
con altri soggetti, potrebbe essere della partita.
Quella partita che, invece, sta già giocando sulla A 21 Piacenza-Brescia. Qui, infatti, il gruppo è in gara per la
concessione. Un target utile perchè, essendo contiguo alla «sua» A21 Torino-Piacenza, permette il
completamento dell'asse viario.
Peraltro, proprio nel piano di sviluppo della A21 Piacenza-Brescia, è prevista la realizzazione della cosiddetta
«corda molle». Cioè, del possibile collegamento con la Bre-Be-Mi.
Quest'ultima, di cui il gruppo Gavio ha in trasparenza il 13,2%,come è noto ha un volume di traffico inferiore
alle attese. Il che, allo stato attuale, rende non profittevole l'asset.
Ebbene, su questo fronte Sias sottolinea di volere supportare la Bre-Be-Mi nella richiesta di riequilibrio
economico-finanziario del piano,anche attraverso l'interconnessione diretta con la A4.
Il tutto in prospettiva del concretizzarsi dell'adeguato flusso veicolare. Un evento quest'ultimo che, in maggio,
sarà agevolato dall'inaugurazione della Tangenziale esterna di Milano (di cui il gruppo Gavio ha in
trasparenza il 35,4%). Cioè, il collegamento ad Ovest della Bre-Be-Mi stessa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Vittorio Carlini Volume d'affari Ebit Utile netto 1031,6 977,1 321,5 313,9
143,1 138,8 EBITDA 2013 Tariffe Traffico Royalty Altri ricavi Costo personale Costi manteinance Minori costi
invernali Altri costi Ebitda business minori EBITDA 2014 Costi non ricorrenti EBITDA 2014 ADJUSTED 598,3
-10,2 608,5 0,9 -5,6 4,5 -2,7 -2,7 2,1 -1,0 6,4 40,5 566,1 DEBITO NETTO ADJUSTED (31/12/2013) 1.670,3
Cash flow +422,4 Dividendi (Holding) -86,5 Dividendi (Minorities) -15,6 Capex -223,6 Acquisti di
partecipazioni e minorities -100,0 Variazione derivati (far value) -33,0 Debito netto di Fiera Parking -26,2
Crediti finanziari non ricorrenti +49,2 Fcg e altro +39,2 DEBITO NETTO ADJUSTED (31/12/2014) 1.644,4
onte:Società SIAS A PIAZZA AFFARI 18/3/'14=100 Fonte:Società Sias Ftse Italia All Share
Foto:
I NUMERI DELLA SIAS
I BILANCI
DI SIAS
A CONFRONTO
dati in milioni
LA DINAMICA
DELL'EBITDA
DI SIAS
dati in milioni
LA DINAMICA
DEL DEBITO
DELLA SIAS
dati in milioni
Fonte:Società
SIAS
A PIAZZA
AFFARI
18/3/'14=100
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L'inchiesta grandi opere. Dalle carte emerge l'interessamento di Perotti per una commessa in Libia econversazioni sulla spartizione del contenuto di scatoloni in ingresso alla Green Field L'appalto libico, le foto delle «tangenti», il successore al ministero Ivan Cimmarusti DOPO INCALZA
Sempre secondo gli inquirenti
il superburocrate in u scita
a fine 2014 avrebbe pilotato l'arrivo di Signorini
come suo successore
ROMA
Dalle sospette mazzette intascate dall'ex superburocrate Ercole Incalza, al business immigrati in Libia e alle
autostrada in Algeria. Il "sistema" delle grandi opere sarebbe stato ben rodato. Al punto che lo stesso ex capo
Struttura tecnica del Mit, ormai in pensione, tre mesi fa avrebbe trovato il modo di «controllare ancora le
grandi opere» facendo nominare suo successore Paolo Signorini, «già direttore del Cipe».
Le migliaia di pagine della Procura di Firenze restituiscono scenari tutti da chiarire dietro la gestione del Mit.
Gli accertamenti investigativi dei carabinieri del Ros, al comando del generale Mario Parente, hanno
consentito di individuare i tre principali personaggi che avrebbero fatto parte del "sistema": Incalza e gli
imprenditori Francesco Cavallo e Stefano Perotti, che in ogni appalto finito sotto inchiesta dimostrano di
avere un interesse, dalla direzione lavori fino a creare vantaggi per gli imprenditori amici. Ma ci sarebbero
anche tangenti, come quelle che la Procura di Firenze ritiene che abbia intascato Incalza. Ci sono cinque
foto, scattate in via Salvini a Roma - di fronte gli uffici della Green Field, la società utilizzata per far arrivare a
Incalza soldi e commesse pubbliche - che immortalano il burocrate assieme a due suoi collaboratori: Sandro
Pacella e Angelo Pica che scaricano scatoloni con documentazioni. Ma sono le intercettazioni secondo i Pm
a chiarire il tutto: «Senti, 5 per ello e todo per me». Per la Procura «è chiaro che non si tratta della consegna
di carte e fascicoli, ma di denaro in parte destinato a Incalza».
Poi c'è «un grosso appalto adesso in Libia...350 milioni di euro» per il controllo immigrazione. Una commessa
che fa gola a Davide Gaggi, «indicato - si legge negli atti - come consulente di Impregilo e delle cosiddette
'coop rosse'». L'uomo ne parla al telefono con Perotti, cui chiede di interessarsi: il progetto «si chiama
Southern Border Controlling Illegal Immigration System...dove metà di questi 350 milioni dovrebbe essere
opere civili (...) ci sarà anche da fare una direzione lavori». Interesse, inoltre, Perotti l'avrebbe avuto anche
verso l'appalto vinto in Algeria dalla Rizzani De Eccher da 1,65 miliardi di euro per la realizzazione di
un'autostrada in Algeria, assieme alle società Etrhb e Sapta. Perotti «chiede a Cavallo - si legge negli atti - di
dargli un supporto per ottenere un incarico tecnico sull'appalto in Algeria aggiudicato dall'Impresa di De
Eccher».
Infine dagli atti emerge un supposto tentativo di Incalza di continuare a «controllare» le grandi opere
attraverso Signorini. Lo scorso 12 dicembre, è lo stesso Lupi a informare Incalza di aver «sollecitato un tal
'Santini' per sostenere la conferma» della Struttura tecnica di Missione . E il giorno dopo l'ex manager
racconta a Signorini «che è riuscito ad ottenere la conferma della Struttura tecnica di Missione dopo aver
parlato con i senatori Antonio Azzolini, Giorgio Santini, Federica Chiavaroli e Pier Paolo Baretta". E gli dice: «I
soldi li abbiamo difesi».
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L'ANALISI Per le opere cura di democrazia, tecnologia e servizi Giorgio Santilli IL CAMBIO DI PROSPETTIVA
La chiave per valutare un'infrastruttura
deve essere il servizio
che garantisce
ai cittadini
Il ricambio al ministero delle Infrastrutture e l'auspicata riforma della legge obiettivo costituiscono
un'occasione storica per avviare una riflessione - possibilmente celere e concreta - su quali siano le
infrastrutture effettivamente utili al Paese e come si possano superare i gravi limiti nelle modalità di
programmazione, progettazione e costruzione. Serve una pax infrastrutturale che passi per una
democratizzazione sostanziale del percorso di realizzazione delle opere. Il primo ingrediente è una
programmazione unitaria con strumenti e standard europei che tenga al proprio interno reti materiali e
immateriali, opere grandi e piccole, finanziamenti nazionali e comunitari, opere nuove e investimenti
tecnologici, con una capacità di selezione che non si è vista negli ultimi 15 anni. Riprendendo un vecchio
slogan coniato da Paolo Costa bisogna realizzare «tutte le opere necessarie, solo quelle necessarie». Oltre
all'introduzione di strumenti che all'estero sono consuetudine - studi di fattibilità, analisi dei fabbisogni, analisi
costi-benefici - è il concetto stesso di utilità che va rifondato in Italia.
L'infrastruttura non è solo un'opera fisica, un appalto, un costo: è soprattutto un contenitore di servizi e il
servizio che fornisce ai cittadini deve essere la chiave per valutarla, per decidere se sia utile o meno. Se a
tutti fosse stato spiegato con chiarezza che l'Alta velocità si sarebbe tradotta in treni che ogni quarto d'ora
raggiungono Milano da Roma in tre ore - e che questo avrebbe cambiato il sistema dei trasporti italiano in
favore di una modalità ambientalmente sostenibile e la geografia delle principali città - forse il dibattito
pubblico sarebbe stato meno ideologico e più trasparente. Tanto più questo vale se si vogliono attrarre
capitali privati che hanno bisogno di piani economico-finanziari aderenti alla realtà per poter intervenire.
Bisogna archiviare la stagione di piani di traffico gonfiati per realizzare opere che poi chiedono interventi
pubblici correttivi ex post per far quadrare i conti. I rischi devono essere ben definiti e devono restare accollati
a chi li ha assunti, senza sconti. Un tentativo di collegare opere e servizi (con relativo impatto economico e
sociale sul territorio) è stato fatto da Fabrizio Barca nell'impostazione della nuova programmazione dei fondi
strutturali Ue 2014-2020.
Un tema che dovrebbe rientrare in questa riflessione è quello di un piano di investimenti "leggeri" e
tecnologici che consentano uno sfruttamento più intenso delle infrastrutture pesanti esistenti. È una filosofia
fondamentale dove ci sono vaste reti infrastrutturali, come per esempio nelle ferrovie. Il caposcuola di questa
filosofia è stato Mauro Moretti, ai tempi in cui era amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana (Rfi).
Oggi questo approccio "leggero" prevale (ma non è coerente fino in fondo) anche nel contratto di programma
Fs che contiene un robusto piano tecnologico e consente, con tecnologie di circolazione all'avanguardia in
Europa, di aumentare la capacità di una linea ferroviaria (in termini di numeri di treni che ci possano viaggiare
sopra in determinato lasso di tempo) con raddoppi infrastrutturali molto limitati (e non integrali). Il costo può
essere ridotto a un quinto o a un decimo rispetto a quello dell'intervento infrastrutturale "pieno", garantendo
comunque un risultato in termini di cadenza e tempi di percorrenza sostanzialmente uguali. È necessario che
il passeggero sia l'unico destinatario di un piano infrastrutturale.
La democratizzazione del processo infrastrutturale passa per l'abbattimento del muro che oggi separa le
infrastrutture dai cittadini. Una riprogrammazione delle opere pubbliche in termini di servizi ai cittadini è il
primo passo decisivo in questa direzione. Il secondo è l'introduzione anche in Italia di un procedimento, sul
tipo del débat public francese, che consenta una discussione reale con i cittadini sul territorio, liberando
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l'opera da giochi e giochetti che non di rado vede protagonisti la stazione appaltante e gli amministratori
locali, per interessi che spesso non sono generali. Il terzo passaggio è il ritorno a una progettazione che
riprenda a parlare con il territorio e che sia frutto di un processo reale di competizione fra progetti alternativi:
lo strumento c'è, è il concorso di progettazione che, soprattutto in ambito urbano, può aiutare a trovare le
soluzioni giuste e favorire la partecipazione. Bisogna solo superare la diffidenza di molti sindaci. Il quarto
pilastro di questa nuova era è l'utilizzo dei sistemi di monitoraggio civico e di open coesione per rendere del
tutto trasparente il piano economico, il progetto e gli stati di avanzamento del cantiere, con i suoi costi e le
sue eventuali varianti, senza trascurare, ancora una volta, gli impatti in termini di servizi.
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Expo. La decisione dell'Anac attesa per domani: il cda dell'Ati verrà affiancato da tecnici Palazzo Italia verso il «monitoraggio» Sara Monaci Èattesa per domani, al massimo per martedì, la decisione dell'Autorità anticorruzione sull'appalto di Palazzo
Italia dell'Expo di Milano, finito nell'inchiesta sulle grandi opere della procura di Firenze. L'ipotesi per ora più
probabile è la scelta di un "monitoraggio", ovvero di un affiancamento tecnico del cda del raggruppamento di
imprese. Viene definito una sorta di commissariamento "soft", considerando i tempi stretti in cui la decisione
deve essere presa, visto che le opere dell'evento universale dovranno essere pronte tra poco più di un mese.
Secondo gli inquirenti, la gara (da 25 milioni) sarebbe stata turbata a favore della cordata guidata da Italiana
costruzioni, tramite l'intervento di Stefano Perotti (in custodia cautelare), a capo della Spm, società di
ingegneria che si sarebbe presentata all'appalto insieme alla vincitrice curando «l'ottimizzazione dei cantieri».
Perotti sarebbe riuscito a condizionare la scelta del Rup Antonio Acerbo (già coinvolto nel precedenti dossier
su Expo della procura di Milano) promettendo utilità per il figlio del manager. A fare da intermediari tra Perotti
e Acerbo sarebbero stati il facility manager del Padiglione Italia Andrea Castellotti (già coinvolto in un dossier
milanese) e l'ex assessore al Bilancio del Comune di Milano, Giacomo Beretta.
Il presidente dell'Anac Raffaele Cantone sta valutando le tre ipotesi che la legge consente: il
commissariamento delle aziende nella parte relativa alla gara turbata; il monitoraggio, appunto; la
sostituzione dei vertici aziendali.
Lo strumento del commissariamento nell'Expo è già stato utilizzato in quattro appalti: le vie d'acqua Sud; le
architetture di servizio; la strada di Cascina Merlata; il rifacimento della Darsena. Le aziende che hanno
subito questa scelta sono state la Maltauro, la Tagliabue, la Gimaco.
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i numeri di un settore in stallo IL CROLLO DELL'EDILIZIA
il valore della produzione delle costruzioni e il valore aggiunto del mercato immobiliare integrato dalle risorse
aggiuntive necessarie all'accesso e al mantenimento del bene immobiliare, era pari al 29% del Pil nel 2007;
nel 2014 questo valore è sceso al 17%
IL CALO DEGLI INVESTIMENTI
Secondo l'Associazione nazionale costruttori edili il 2014 ha rappresentato il settimo anno consecutivo di crisi
e dal 2008 il settore delle costruzioni ha perso il 32% degli investimenti , per una cifra pari a circa 64 miliardi
di euro
8%
GRANDI OPERE COMPLETATE
A 14 anni dalla legge obiettivo dei 285 miliardi di opere previste quelle ultimate valgono 23,8 miliardi
In milioni 2007 2014 Var.%2014/2007 Costruzioni 215.417 173.477 -19,5 Immobiliare e indotto 249.785
100.952 -59,6 Totale (a+b) 465.202 274.429 -41,0 % sul Pil 29,0 17,0 -41,4
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La fiera dell'ediliza. Chiusa ieri a Milano la manifestazione di architettura e finiture d'interni: in aumento ivisitatori dall'estero Made Expo nel segno della fiducia Laura Cavestri e Giovanna Mancini IL BILANCIO
L'a.d. De Ponti: «Abbiamo
avuto riscontri positivi
dagli espositori e dai buyer,
si comincia a respirare
un clima migliore»
MILANO
«Non abbiamo avuto un attimo di respiro», ammette Andrea Fabiana Tosi, una dei soci di Cement Design,
azienda emiliana attiva nei rivestimenti in cemento (1,5 milioni di euro di fatturato). Presente tra i 1.400
espositori di Made Expo - il salone dell'edilizia, dell'architettura e delle finiture d'interni che si è chiuso ieri a
Milano - l'azienda ha registrato una media di 130-140 contatti giornalieri al proprio stand. Un buon risultato, in
linea comunque con le edizioni precedenti, spiega Tosi. «Abbiamo firmato diversi preventivi, soprattutto per
contract, negozi e alberghi - precisa - con buyer italiani, ma soprattutto con molti stranieri, da Dubai, India e
Cina, oltre che da Austria, Svizzera e Grecia».
Una partecipazione numerosa e qualificata di operatori stranieri era del resto l'obiettivo principale di questa
settima edizione di Made Expo che chiude con 208mila visitatori di cui 36mila dall'estero, in crescita
nonostante il calo di operatori da Russia e Ucraina. Ma soprattutto, spiega l'ad di Made Expo Giovanni De
Ponti, «quello che è cambiato in questi due anni è il clima che si respirava tra gli imprenditori». Un clima di
maggiore fiducia e ottimismo, legati non soltanto alla domanda estera, ma anche a una situazione meno
difficile sul mercato interno. «Abbiamo ricevuto feedback positivi sugli incontri B2B tra le aziende espositrici e
le delegazioni di buyer italiani ed esteri - aggiunge De Ponti - segno anche di un ritrovato dinamismo del
mercato».
Certo è presto per parlare di ripresa, ma la sensazione che qualcosa finalmente si muova è diffusa. «Gli
indicatori macroeconomici positivi ancora non si riflettono sulle vendite - dice Alberto Rovati, responsabile
marketing di Geberit Italia (180 milioni di fatturato), attiva nell'impiantistica per bagno e arredobagno -. Però i
nostri interlocutori in fiera, soprattutto studi di progettazione, ci confermano che ci sono molti cantieri che
stanno per partire o che sono già partiti, anche in Italia».
Anche secondo Matteo Tisselli, export manager del gruppo romagnolo Oikos (oltre 30 milioni di fatturato e
160 dipendenti), «il sentore è che ci sia un certo movimento nel mercato. Si sono allungati i tempi tra i primi
contatti con i clienti e la conclusione di una fornitura, ma l'esperienza di questi giorni è stata positiva. Il nostro
obiettivo era avviare contatti soprattutto con grandi studi di progettazione e contractor, in particolare da Medio
Oriente, Regno Unito e Paesi ex sovietici, anche se la crisi in Ucraina ha ridotto il numero di operatori in
arrivo da quest'area». Obiettivo centrato, precisa Tisselli «anche grazie agli incontri B2B con le delegazioni
straniere promossi dalla fiera, che ha portato a Made i migliori player internazionali».
Più difficile resta la situazione sul fronte Italia: «Non credo che torneremo ai vecchi fasti - commenta Stefano
Tuccio - amministratore delegato di Hoermann Italia (30 milioni di euro di fatturato e 50 dipendenti), tornata al
salone da cui era assente dal 2011 - piuttosto a una qualità costruttiva e di recupero dell'esistente in chiave di
innovazione e risparmio energetico e non più come speculazione».
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In fiera. Visitatori a Made Expo nel quartiere di Rho-Fiera a Milano
22/03/2015 15Pag. Il Sole 24 Ore - ed. NOVA24(diffusione:334076, tiratura:405061)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 42
Timori e attese per il debutto del 31 marzo Imprese e Pa verso il D-day della fattura elettronica* Enrico Netti Dopo nove mesi di rodaggio la fatturazione elettronica è pronta al decollo. Finora sono state gestiti 2,7 milioni
di documenti e quasi il 20% è stato respinto dal Sistema di interscambio perché non conformi. Non mancano
le criticità emerse e le associazioni imprenditoriali sperano in un calo dei tempi di pagamento.
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L'appuntamento è per il 31 marzo. Da quel giorno la macchina della Pa entrerà nell'era delle fatture
elettroniche e potrà emettere, ricevere, trasmettere, gestire, saldare e conservare esclusivamente documenti
digitali. La fattura cartacea appartiene al passato.
Oltre 22mila uffici periferici della Pa si aggiungeranno ai 19.600 degli organi centrali come ministeri, agenzie
fiscali, Inps, Inail, forze di polizia e forze armate che dallo scorso 6 giugno hanno fatto da apripista alla
fatturazione elettronica.
La scorsa settimana c'è stata la corsa degli enti pubblici per accreditarsi presso l'Ipa, l'Indice delle pubbliche
amministrazioni, che assegna i codici univoci a enti e uffici. Codici che devono essere indicati nelle fatture.
Secondo l'Agenzia Italia digitale (AgId) al 19 marzo devono ancora accreditarsi circa 650 enti rispetto ai 1.100
del 13 marzo. Pochissimi per raggiungere la totalità degli enti.
Per quanto riguarda il primo step della fatturazione elettronica nel periodo giugno 2014-febbraio 2015 il
Sistema d'interscambio ha ricevuto quasi 2,7 milioni di fatture elettroniche di cui poco meno del 20% è stato
scartato perché non conforme. Più o meno una su cinque: un tasso di errori e difformità elevato.
«Difficoltà ci sono state e ce ne saranno - commenta Elio Catania, presidente di Confindustria digitale -.
Forse non tutti gli enti locali saranno pronti, ma il Governo ha dimostrato che l'obbligatorietà è l'unico modo
per diffondere l'innovazione nella Pa e nel Paese». Il passaggio porterà qualche inevitabile problema che
progressivamente verrà risolto, ma l'importante è far partire la macchina.
«I problemi vengono gestiti e monitorati - e in alcuni casi anche prevenuti - grazie a una vera e propria azione
di sistema svolta da Confindustria insieme ad AgId, agenzia delle Entrate, Mef, Ragioneria generale dello
Stato e Consip - fanno sapere da Confindustria -. Un esempio è nel lavoro fatto per assicurare la funzionalità
delle nuove anagrafiche Ipa». Dati che un domani serviranno per agevolare il rapporto tra imprese e Pa.
«È una vera e propria smart policy che apre le porte al digitale nelle procedure aziendali, alla semplificazione
e potenzialmente può contrastare fenomeni evasivi - aggiungono da viale dell'Astronomia -. Tra i vantaggi
immediati la possibilità di monitorare la formazione dei debiti commerciali della Pa e l'iter delle fatture anche
ai fini di un loro possibile smobilizzo».
A fronte di un'innovazione di questa portata, a rischio tilt sono i fornitori della Pa più piccoli e meno strutturati.
«In questi primi mesi sono emerse diverse criticità come la complessità del sistema e le regole rigide per la
predisposizione della fattura, la firma digitale e l'invio - dice Marino Gabellini, responsabile servizi tributari di
Confesercenti -. È evidente che non è adatta per i piccoli commercianti e gli esercizi familiari».
Un punto cruciale è la conservazione dei documenti digitali. «È un costo in più per le micro aziende che non
hanno strutture amministrative interne e si devono rivolgere a professionisti e associazioni» aggiunge
Gabellini. Se poi l'e-fattura diventerà obbligatoria in tutti i rapporti B2B Gabellini chiede incentivi come «una
vera semplificazione e aiuti alle aziende come, per esempio, un credito d'imposta che copra la spesa per gli
investimenti».
Buone notizie dai pubblici esercizi. «Il nuovo sistema è utilizzato dalle aziende che emettono buoni pasto e
sinora non sono emersi problemi» afferma Luciano Sbraga, direttore ufficio studi di Fipe.
Vincenzo De Luca, responsabile fiscale di Confcommercio, si interroga: «Ma gli enti locali sono in grado di
gestire il flusso e i processi digitali?». All'associazione sono arrivate segnalazioni di uffici che chiedono la
documentazione cartacea perché, per esempio, il campo in cui si indica l'oggetto della prestazione non è
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 43
abbastanza lungo o perché vecchi decreti prevedono il visto sulla fattura.
Le associazioni sperano che l'impatto delle e-fatture vada oltre. «È una grande opportunità per garantire
pagamenti certi in tempi corretti - auspica Fernanda Gellona, direttore generale di Assobiomedica (dispositivi
medici) -. Siamo convinti che migliorerà la situazione dei crediti e in caso di ritardi almeno ne garantirà la
certificazione». Sulla stessa lunghezza d'onda anche l'Ance, le cui imprese soffrono per i tempi lunghissimi di
pagamento. Anche per Confcommercio per il momento non c'è il riscontro di una riduzione dei tempi di
pagamento.
«Il nostro auspicio è che le Asl non chiedano dati aggiuntivi - conclude Massimo Scaccabarozzi, presidente di
Farmindustria -. Speriamo in una semplificazione che potrebbe anche ridurre i tempi dei saldi». Alla fine è
questo che conta: una Pa che paghi in tempi rapidi al pari delle altre amministrazioni europ ee.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Enrico Netti
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I GIUDIZI DELLE ASSOCIAZIONI
CONFINDUSTRIA Forse non tutti gli enti locali saranno pronti, ma imprese e istituzioni hanno lavorato per prevenire i possibili
problemi. I vantaggi si vedranno nel medio periodo in termini di produttività e di auspicabile rispetto dei tempi
di pagamento previsti dalla Ue. Per questi motivi è necessario che la Pa riveda i propri processi
CONFINDUSTRIA DIGITALE Le eventuali carenze spingeranno la Pa a trovare le soluzioni, ma la via seguita, quella di fissare un obbligo,
si è rivelato l'unico modo per diffondere l'innovazione nel Paese. Solo così si può ridurre il gap che ci separa
dal resto dell'Unione
FARMINDUSTRIA Le aziende sanitarie dovrebbero seguire le regole della standardizzazione senza richiedere dati aggiuntivi
diversificati tra le varie Asl, prassi che provoca un aumento dei costi. La "macchina" ha anche bisogno di una
semplificazione e deve ridurre i tempi di liquidazione
CONFESERCENTI Non mancano le segnalazioni di criticità perché è un sistema complicato, lontano dalla portata dei piccoli
commercianti ed esercizi familiari, che si trovano ad affrontare un altro aggravio dei costi. Inoltre lo Sdi non
permette l'archiviazione e la conservazione elettronica
CONFCOMMERCIO Non si è vista la sperata riduzione nei tempi di pagamento. Se le fatture elettroniche contrasteranno
l'evasione, si potrebbe arrivare a una cancellazione dello split payment. Non mancano gli uffici che chiedono
la documentazione cartacea, perché la lunghezza dei campi previsti dal sistema non è adeguata
ASSOBIOMEDICA Si registra un preoccupante aumento di richieste di personalizzazione da parte delle aziende sanitarie che
hanno già adottato la fattura elettronica. Regioni e aziende sanitarie percorrono una via diversa da quanto
prevede la legge e chiedono modifiche che provocano un aumento dei costi
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 44
"Il sistema appalti alla fine favoriva le imprese dei clan" I pm fiorentini prendono in esame la miriade di subappalti in grado di agevolare aziende contigue allacriminalità mafiosa: il caso del trasporto dei rifiuti Tav C'è l'ombra dei clan dietro l'inchiesta della procura di Firenze sui mega appalti. Perchè il sistema favoriva
l'aggiudicazione delle gare ad imprese vicine alla criminalità organizzata. Nella richiesta di misura cautelare
per Incalza i pm fiorentini sostengono che il "sistema collusivo" messo in piedi finisce per favorire, grazie ai
subappalti, l'arrivo di imprese legate al crimine organizzato. I magistrati fanno l'esempio della ditta legata ai
casalesi che smaltiva i rifiuti.
«Questa non è una storia di ordinaria corruzione - scrivono i magistrati - questo è lo scenario devastante di
una corruzione sistemica». A PAGINA V E IN NAZIONALE fiorentini Giuseppina Mione, Giulio Monferini e
Luca Turco indagano da anni sugli appalti e sulla corruzione che li inquina, ma quel che è emerso
nell'inchiesta sul «sistema collusivo» attorno alle grandi opere li ha lasciati quasi increduli. «Il quadro
delineato dalle indagini - scrivono nella richiesta di misure cautelari nei confronti del grande burocrate Ercole
Incalza e dei suoi amici e collaboratori Stefano Perotti, Franco Cavallo e Sandro Pacella - disegna l'affresco
di un sistema che ad una prima lettura potrebbe apparire un azzardo interpretativo», ma in realtà fotografa
«la più deprecabile e devastante mercificazione delle alte funzioni di uno dei più importanti dirigenti dello
Stato e la deriva meschina in cui ampi segmenti della imprenditoria italiana sono sprofondati». L'inchiesta -
sostengono i pm - ha svelato «un sistema che ha consentito a un gruppo di soggetti di istituire una sorta di
filtro criminale all'ordinario accesso ai grandi appalti pubblici da parte delle imprese private» e che finisce,
attraverso la miriade di subappalti, per favorire imprese «contigue alla criminalità mafiosa», come è accaduto
per i lavori Tav di Firenze, dove il trasporto dei rifiuti dei cantieri e le operazioni di smaltimento sono stati di
fatto affidati a una ditta «vicina ai casalesi».
«QUESTA non è una storia di ordinaria corruzione», scrivono i pm. «Questo è lo scenario devastante di una
corruzione sistemica nella gestione dei grandi appalti». L'inchiesta del Ros Carabinieri ha mostrato come «la
previsione normativa contenuta nel codice degli appalti, in forza della quale è consentito allo stesso
esecutore dell'opera di nominarsi il direttore dei lavori, e cioè il suo controllore, previo gradimento dell'ente
appaltante, è divenuta un grimaldello».
L'inchiesta ha rivelato uno schema: Ercole Incalza, «potentissimo funzionario ministeriale, in grado di
condizionale il settore degli appalti pubblici da moltissimi anni», fa in modo che le imprese affidino all'ingegner
Stefano Perotti, «suo socio occulto», «una serie notevole di incarichi professionali per importi stratosferici».
Da Incalza «gli appaltatori non possono prescindere e, come in una sorta di processione che evoca antichi
rituali di sottomissione, accompagnati dal Perotti si presentano alla sua corte per ingraziarsi la sua
benevolenza». Gli effetti di questo sistema vengono definiti «devastanti» e tali da favorire l'infiltrazione delle
imprese criminali. «Una direzione dei lavori così finta e piegata ad illeciti interessi è stata e continua ad
essere la ragione per cui, nelle grandi opere, l'effettiva esecuzione dei lavori è in gran parte in mano a una
miriade di ditte subappaltatrici, spesso contigue alla criminalità mafiosa, che trovano ingresso nei lavori
attraverso i mille espedienti contrattuali elusivi delle regole del subappalto... Si pensi, in particolare, alle
modalità di gestione dello smaltimento dei rifiuti nei cantieri, come dimostra quanto accaduto nel cantiere Tav
di Firenze, ove il lavoro veniva dato in subappalto apparentemente a plurime ditte, ma tutte riconducibili,
quanto alla esecuzione del trasporto ed alle reali operazioni di smaltimento, alla stessa impresa, risultata
vicina alla criminalità organizzata.
Nell'appalto Tav di Firenze, i trasporti, sebbene i subappalti riportassero il nominativo di ditte diverse, erano
fatti in prevalenza dalla Ve.Ca Sud di Maddaloni, impresa vicina ai casalesi; si pensi, nel medesimo appalto
citato, al fatto che a questi smaltimenti di rifiuti sono stati indebitamente attribuiti nuovi prezzi senza che la
direzione lavori avesse mai nulla da obiettare».
19/03/2015 1Pag. La Repubblica - ed. Firenze(diffusione:556325, tiratura:710716)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 45
La direzione dei lavori di Tav Firenze era affidata alla Spm Consulting di Stefano Perotti, in associazione con
altre due società.
Le moderne tangenti - per i pm sono gli incarichi pilotati, il cui effetto è forse anche più distruttivo della
antiquata bustarella.
«Non è necessario pervenire a fotografare la dazione di occulte somme di denaro in contanti: le cosiddette
mazzette sono, infatti, un ricordo quasi patetico dell'agire illecito del secolo scorso. Nella moderna prassi
corruttiva, l'alto dirigente del Ministero delle infrastrutture è ormai diventato compartecipe di soggetti privati in
un'organizzazione criminale tesa alla condivisione delle faraoniche remunerazioni derivanti dagli incarichi
professionali pilotati. I professionisti nominati direttori dei lavori e gli stessi funzionari dello Stato fanno parte
di un'unica compagine criminale che condivide strategie, azioni, proventi illeciti». I pm sono convinti che
l'inchiesta abbia messo a fuoco e delineato con precisione «l'esistenza di una organizzazione criminale di
spessore eccezionale, che ha condizionato per almeno un ventennio la gestione dei flussi finanziari statali
destinati alla realizzazione delle grandi opere infrastrutturali e tale organizzazione, senza timore di attribuire
troppa enfasi alle parole, può essere considerata una delle cause, se non la principale, della lievitazione
abnorme dei costi, della devastante distorsione delle regole della sana concorrenza economica, di efficienza
e di trasparenza e non da ultimo dell'aumento esponenziale del debito pubblico nazionale». Giulio Burchi, ex
presidente Italferr, «gola profonda» a sua insaputa dell'inchiesta, aveva ben chiara la degenerazione del
sistema quando diceva che «queste direzioni lavori commissionate dai general contractor sono una delle
vergogne grandi di questo Paese, perché hanno depotenziato la funzione di controllo dello Stato, no?,
affidando alle stesse imprese la propria direzione dei lavori, una cosa che se tu la spieghi ad un inglese non
ci riesci...». Ma lo stesso Burchi, in un momento di sincerità, ammette che mai in Inghilterra o in America
avrebbe guadagnato quanto «in questo Paese di merda deregolarizzato».
19/03/2015 1Pag. La Repubblica - ed. Firenze(diffusione:556325, tiratura:710716)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 46
I VERBALI "Marchette"super e cantieri lumaca NON BASTANDO a Stefano Perotti i 70 milioni di euro ricevuti da Cavet per la direzione dei lavori dell'alta
velocità nel tratto compreso tra Firenze e Bologna, per non aver fatto «un cazzo» (lo dice un suo stesos
collaboratore), ne ha chiesti altri 50. I pm Mione, Monferini e Turco collocano la nascita del patto corruttivo
Perotti-Incalza negli anni Novanta. INCALZA è stato il primo amministratore della Tav e per oltre venti anni si
è occupato della realizzazione della rete ad alta velocità ferroviaria. Stefano Perotti ottenne la direzione lavori
della tratta Firenze Bologna dal Consorzio Cavet, che faceva capo a Fiat. Nessuno ha memoria del lavoro
svolto dalla direzione lavori e il nome di Perotti non è mai emerso nelle carte dell'inchiesta e del lunghissimo
processo sui lavori in Mugello.
La sorveglianza sui lavori non appare particolarmente attenta, visto che alla fine la linea AV Firenze Bologna
- ricordano i pm - risulta essere costata allo Stato, alla fine dei lavori, oltre 5 miliardi di euro, «con stratosferici
aumenti rispetto all'importo originario di aggiudicazione (nell'ordine di almeno tre o quattro volte)».
Nonostante ciò, risulta che Perotti abbia ricevuto da Cavet, fra il '96 e 2008, un compenso per la direzione
lavori di quasi 70 milioni.
Ebbene, sembra che gli bastino.
Infatti di recente ha chiesto alla Fiat altri 50 milioni. Ne è nato un arbitrato in cui l'arbitro della società di
Perotti è Angelo Piazza, già ministro della funzione pubblica nel governo D'Alema. Dalle intercettazioni risulta
che Ercole Incalza è intervenuto più volte in favore di Stefano Perotti. Sebbene la direzione lavori nei cantieri
della Firenze Bologna non sia stata brillantissima, nel 2007 Perotti ottiene l'incarico di direzione lavori anche
nel Nodo Tav di Firenze. Anche qui si distingue per la sua assenza. Esaminando il suo rapporto con Nodavia
(il contraente generale dell'appalto di cui era socio maggioritario Coopsette), gli inquirenti hanno rilevato due
anomalie. La prima riguarda solo indirettamente Perotti. Rfi (Rete ferroviaria italiana), che è il committente dei
lavori, ha pattuito nel 2007 con Nodavia un compenso di oltre 42 milioni per la direzione lavori, «una somma
veramente imponente, essendo pari al 6% dell'importo dei lavori». In realtà però Nodavia destina solo la metà
di quella cifra alla DilanFi, la società costituita da Perotti con altre due ditte per la direzione lavori. Scrivono i
pm: «Che si tratti di una anomalia appare evidente: potendosi escludere che DilanFi abbia accettato di fornire
la prestazione sottocosto, deve ritenersi che il compenso pattuito da Rfi sia esorbitante e, dunque, riferito a
causali diverse». La seconda anomalia riguarda invece la attività svolta in concreto dalla DilanFi, in
particolare dalla sua componente riferibile alla Spm Consulting di Stefano Perotti. Nelle intercettazioni sono
venute fuori espressioni come «spendificio», «marchetta», «soldi regalati».
Insomma, direzione lavori poco o niente. Anche i cantieri sono andati avanti a passo di lumaca.
Secondo i costruttori, l'opera sarebbe realizzata per un terzo (in realtà sembra più indietro), ma la direzione
lavori ha emesso fatture per il 50% del compenso. E quando al posto di Coopsette subentra Condotte, per
Perotti & Co sono dolori. Il primo ottobre 2014 un suo collaboratore gli racconta che c'è stata una «riunione
durissima».
Condotte «sta facendo valutazioni anche sulla direzione lavori». «Anche in Rfi sono stati espressi giudizi
molto pesanti».
C'è un problema importante nel sottopasso, «piscia dappertutto», ma nella direzione lavori «non c'è traccia di
azioni fatte e non fatte», anche se «risulta tutta pagata». Condotte «vuole cambiare tutto». Perotti non ci sta.
Vuole arrivare ai vertici di Condotte: «Dopo tutto questo sacrificio arriva il primo coglione che passa e dice:
ora prendiamo un altro. Non è corretto». (f.s.)
Foto: ILPROCURATORE Giuseppe Creazzo, procuratore capo di Firenze Sopra, camion con le terre di scavo
del nodo fiorentino Tav
19/03/2015 1Pag. La Repubblica - ed. Firenze(diffusione:556325, tiratura:710716)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 47
L'INCHIESTA Trovata a casa di Perotti una lettera per Lotti "Sblocca questi lavori" CARLO BONINI FABIO TONACCI L'INCHIESTA Trovata a casa di Perotti una lettera per Lotti "Sblocca questi lavori" A PAGINA 11 ROMA.
Maurizio Lupi nonè più ministro delle Infrastrutture. Ma forse non lo è mai davvero stato.
Lunedì a casa di Stefano Perrotti, l'asso pigliatutto da 15 anni delle direzioni dei lavori pubblici più ricchi,è
stata trovata una bozza di lettera indirizzata a Luca Lotti della presidenza del Consiglio, su carta intestata del
ministro, nella quale si sollecitava lo sblocco dei fondi per le Grandi Opere strategiche. Quelle che stavano a
cuore, innanzitutto, non al Paese ma a Ercole Incalza e, appunto, al suo socio di fatto, Perrotti. Maurizio Lupi,
insomma, ci metteva la faccia e l'abito. La sostanza - fosse il programma dell'Ncd, la rispostaa una
interpellanza parlamentare o, appunto, lo sblocco di fondi - era faccenda di cui si occupavano i veri padroni
delle Grandi Opere.
Che in trent'anni sono sempre stati gli stessi.
È storia di qualche settimana fa.
Delle informative del febbraio scorso del Ros dei carabinieri. Di un passato che non passa, di cognomi
antichi e zombie della Prima Repubblica. Signorile, Trane, Li Calzi, Pacini Battaglia.E storia, anche, di Anas,
del «giro di mazzette» per il viadotto Scorciavacche crollato sulla Palermo-Agrigento.
IL RITORNO DI SIGNORILE Scrivono gli investigatori: «L'ex parlamentare socialista Claudio Signorile, come
ministro dei Trasporti dal 1983 al 1987, ha avviato il progetto dell'Alta Velocità. Nel 1999 la Procura di Roma
mandavaa giudizio (conclusosi in primo grado per intervenuta prescrizione) per concorso in corruzione Rocco
Trane, Claudio Signorile, Pierfrancesco Pacini Battaglia, Lorenzo Necci, Ercole Incalza». Ebbene, cosa ne è,
15 anni dopo, di questi padri dell'Alta Velocità? Ancora il Ros: «L'ex ministro Claudio Signorilee il figlio
Jacopo, per vicende riguardati appalti pubblici, sono tuttora in rapporti, sia con Incalza che con Stefano
Perotti». Jacopo Signorile dirige la "Profert", società di engineering ferroviario e stradale di cui è
amministratore unico il padre, Claudio. E tra la fine del 2014 e l'inizio del 2015, quando per altro Incalza è
formalmente ormai fuori dal dicastero delle Infrastrutture, traffica per entrare insieme a Perotti nella direzione
dei lavori per la realizzazione dell'autostrada Roma-Latina (2,8 miliardi di euro).
L'opera ha l'odore dell'affare in famiglia e non più tardi del novembre scorso l'Authority Anticorruzione
guidata da Cantone raccoglie i rilievi sollevati dai costruttori di Roma e segnala anomalie per un'evidente
limitazione della concorrenza tra imprese.
Ma i due non mollano. Il 22 gennaio scorso Claudio Signorile chiama Incalza con il tono non solo di chi ha
una vecchia consuetudine, ma faccende in piedi di cui occuparsi. «Ercole... è Claudio ...(ride)... Sei un fetente
perché ti sei completamente inabissato (ride)». L'ex ministro fissa una cena per il 27 gennaio, in via
Alessandria, a Roma, alle spalle del Ministero delle Infrastrutture, nel ristorante che, per cabala o ironia,
evoca evangeliche "divisioni" e porta il nome di " Panie Pesci ". E non è un pasto conviviale. Si discute di
appalti. L'ANAS E LE TANGENTI C'è di più. Lavorando sui Signorile e aprendo la scatola "Profert", il Ros
incrocia la società "Intercons", che la partecipa e di cui è stato amministratore Claudio Bucci. L'uomo è poi
diventato responsabile per le costruzioni dell'Anas in Sicilia e nelle intercettazioni viene definito «il capro
espiatorio» per il crollo, a Capodanno, del viadotto sulla Palermo-Agrigento inaugurato sette giorni prima.
Ebbene, nel pozzo degli ascolti che apre il capitolo Anas, viene catturata una frase "piena di senso". La
scandisce Salvatore Adorisio, ad della Green Field System, la società di Incalza e Perotti. Dice Adorisio:
«Hanno anticipato la consegna del viadotto di tre mesi così l'impresa e i dirigenti prendevano il premio. E
quindi hanno fatto 'sta porcata e senza collaudo.... Non si capisce l'emergenza quale era. Anche perché lì gli
hanno detto di fare così... Era più che ovvio perché c'era un giro di bustarelle che fa paura... E' ovvio che i
soldi che prende l'impresa ritornano in Anas da qualche parte. Sono le solite porcate».
21/03/2015 1Pag. La Repubblica(diffusione:556325, tiratura:710716)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 48
PACINI E TRANE Del resto, soloi gonzi sembrano ignorare che, uscito il 31 dicembre del 2014 dalla porta
del ministero, Ercole Incalza ne è rientrato dalla finestra, sistemandosi con il suo braccio destro Sandro
Pacella in un ufficio da consulente che, coincidenza, è in piazza della Croce Rossa, sede delle Ferrovie dello
Stato. E portandosi dietro - come mormora al telefono un altro suo spicciafaccende - «la borsetta... quella
rossa con tutti i codici segreti». Già, il Grande Mandarino, ancora un mese fa, non solo non ha mollato (il
ministro Lupi lo chiama di continuo), ma non ha intenzione di farlo, utilizzando come schermo la Green Field
System. Non stupisce così che, proprio con Perotti, si materializzi un altro fantasma della Prima Repubblica,
Francesco Pacini Battaglia, interessato a un incontro. A Roma o in quel di Bientina, dove "Chicchi" risiede.
Né è una coincidenza che il consulente legale con cui Perotti cerca di vincere l'arbitrato da 50 milioni di euro
con Fiat per la tratta Alta Velocità FirenzeBologna (quella per la quale ne hanno già incassati 70 «per non
fare un cazzo», come dicono ridendo al telefono) sia Pasquale Trane.
Figlio di Rocco, scomparso il 2012 a Rimini. Coincidenza, durante un meeting di Cl. Che, fino a ieri, aveva un
ministro. Maurizio Lupi.
PERSONAGGI PACINI BATTAGLIA Il banchiere italosvizzero era tra coloro che cercavano Incalza
SIGNORILE Come ministro dei Trasporti ha avviato il progetto della Alta Velocità
PER SAPERNE DI PIÙ www.anticorruzione.it http://firenze.repubblica.it
Foto: L'ex ministro Signorile e il figlio sono in rapporti con Incalza per avere degli appalti L'informativa del Ros
Ercole, sono Claudio.
Sei un fetente perché ti sei completamente inabissato Signorile a Incalza Sul ponte gli hanno detto di fare
così, c'era un giro di bustarelle che fa paura IL CAVALCAVIA Nella foto, il viadotto di Agrigento inaugurato lo
scorso natale e crollato a Capodanno "L'ad della Green Field Adorisio
21/03/2015 1Pag. La Repubblica(diffusione:556325, tiratura:710716)
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IL PERSONAGGIO Garré: "Facciamo sistema, è una grande opportunità" Possiamo sviluppare tecnologie sempre più avanzate per rafforzare la nostra offerta uesta è una sfida cheriteniamo possa essere foriera di ulteriori iniziative «SIAMO interessati all'area di Piombino- spiega Massimo Messeri, presidente di Nuovo Pignone General
Electric - per realizzare un cantiere di assemblaggio moduli industriali per la produzione di energia o la
produzione del gas, cantiere che sarebbe complementare a quello di Avenza. Il mercato dei moduli industriali
è un mercato in espansione. Sempre di più i clienti dell'industria del petrolioe del gas cercano soluzioni
Plug&Play, cioè pronte all'uso. Piombino sarebbe per noi una valida opportunità non solo quando il cantiere
di Avenza dovesse essere saturo, ma anche per sviluppare tecnologie sempre più avanzate». Parlando del
polo nazionale di demolizione navale controllata, Ferdinando Garrè, amministratore delegato di San Giorgio
del Porto, spiega invece che si tratta «di una grande opportunità di business e di sviluppo, che dimostra
anche la volontà di fare sistema e un segno di possibili sinergie fra i porti italiani».
«Crediamo in questo progetto che vede il Gruppo Neri lavorare insieme a due grandi player globali come
Saipem e San Giorgio del Porto per il rilancio del Porto del Piombino e lo sviluppo del territorio - dichiara
Piero Neri, amministratore delegato di Neri Group - Si tratta di una nuova sfida che ci auguriamo avrà
successo e che riteniamo possa essere foriera di ulteriori iniziative complementari».
Paolo Carrera, Environment and Renewables Commercial Vicepresident di Saipem, sottolinea che «con
questo progetto Saipem mantiene e aumenta il proprio impegno nella gestione di progetti di ingegneria
fortemente indirizzati alla tutela della salute, della sicurezza sul lavoro e alla salvaguardia ambientale,
mettendo in campo tutte le proprie competenze di gestione di progetti complessi». Carrera inoltre ricorda che
il porto di Piombino è l'unico in Italia con una profondità di 20 metri alla banchina e che potrebbe quindi
smaltire l'80% delle navi. Il progetto può quindi partire, nell'ottica di quell'obiettivo di polo integrato dell'Alto
Tirreno concentrato appunto su Piombino e Genova. D'altra parte, i soci genovesi operano anche a Marsiglia.
Il loro interesse si allarga, insomma, sempre in attesa che proprio Genova decida di dare più spazio all'attività
industriale dei moli.
IN PRIMO PIANO GLI INTERVENTI Devono ancora essere completate le infrastrutture portuali e concluso
l'iter autorizzativo LE AZIENDE Le tre aziende hanno presentato istanza di concessione pluriennale LE AREE
Spazi suddivisi fra banchina per l'ormeggio e area coperta per la demolizione IL SOGGETTO Neri, Saipem e
San Giorgio costituiranno un soggetto giuridico nuovo
Foto: LAVORO industriale nel porto di Prà: la prima fase della Concordia terminerà a fine aprile
22/03/2015 4Pag. La Repubblica - ed. Genova(diffusione:556325, tiratura:710716)
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IL RETROSCENA/ IL SINDACO IRRITATO PER LA CONVOCAZIONE IN SOLITARIA DELLA STAMPA Darsena, corsa al taglio del nastro la Rozza inciampa nell'allungo Domani l'assessore presenterà la parziale riapertura La tesi: è un sopralluogo Fine lavori ufficiale il 26 aprileE Pisapia chiede collegialità alla giunta (oriana liso) L'INAUGURAZIONE vera, quella a cui stanno lavorando da alcune settimane Palazzo Marino e il Duc Navigli
(il distretto urbano della zona, fatto anche da residenti e commercianti) sarà domenica 26 aprile.
Artisti di strada, jazz band, animazione per bambini: insomma, qualcosa di molto simile alla vecchia e
tradizionale festa dei Navigli, visto che la riqualificazione arriva, in parte, anche fin lì. Ma per piazza XXIV
Maggio e per la Darsena - dove i lavori sono iniziati più di un anno fa, con l'obbligo di finire in tempo per Expo
- inizia la guerra delle inaugurazioni più o meno ufficiali. Per domani l'assessore ai Lavori pubblici Carmela
Rozza ha fissato un sopralluogo nella piazza, per mostrare ai giornali e alle tv lo stato del cantiere, con la
riapertura parziale della viabilità, con la nuova pavimentazione che abbraccia la Porta e i due caselli daziari,
con le aiuole che delimitano le corsie.
Un sopralluogo deciso pochi giorni fa, che ha fatto alzare più di un sopracciglio, in Comune: il primo a non
gradire, sarebbe stato proprio il sindaco Giuliano Pisapia. Che, in un periodo di grande fermento in città e di
polemiche non proprio sotterranee nella sua giunta (e tra gli assessori e il comandante dei vigili), avrebbe
chiesto conto alla Rozza di questa convocazione, considerandola troppo simile ad una inaugurazione
anticipata e in solitaria. Nessun invito a partecipare, infatti, era arrivato ai colleghi che, per altri versi, si sono
occupati durante questo anno di cantiere dei problemi collegati alla chiusura di uno snodo importantissimo
della città: quello ai Trasporti Pierfrancesco Maran e quello al Commercio Franco D'Alfonso, per citare i due
più coinvolti. A loro, dopo il rimbrotto del sindaco, sarebbe arrivata una comunicazione, che però parlava in
modo molto neutro di un sopralluogo, senza far capire il rilievo che si voleva dare, grazie alla presenza di
giornalisti, telecamere e fotografi. Insomma, come raccontano a Palazzo Marino, «l'assessore Rozza voleva
la ribalta tutta per sé, ben sapendo che il 26 aprile ci saranno tutti, dal sindaco in giù, a tagliare il nastro della
piazza e della Darsena pronte». Con il sindaco e con i colleghi, l'assessore si sarebbe giustificata spiegando
che c'era stato un equivoco, e che il suo era soltanto un sopralluogo per fare il punto della situazione: una
versione che non ha convinto molto, e che avrebbe comunque lasciato di malumore Pisapia che già altre
volte, in passato, ha chiesto a tutti i suoi assessori di evitare eccessivi protagonismi e, soprattutto, screzi che
potevano diventare poi pubblici. Poco più di un mese fa aveva detto chiaramente alla giunta: «Basta liti,
dobbiamo andare avanti uniti». Riferimento indiretto - spiegavano nei corridoi - proprio all'assessore Rozza
che, ancora una volta, aveva convocato una conferenza stampa sui tetti della Galleria in restyling senza
avvisare la collega (e contitolare della partita) Daniela Benelli, arrivata ad appuntamento quasi finito e
soltanto perché avvisata da altri. Sulla Darsena e su piazza XXIV Maggio il sindaco non vuole sbavature: la
riapertura è attesa da tempo, i lavori hanno avuto alcuni ritardi - gli ultimi per dei lavori extra di
consolidamento e per lo spostamento di alcuni pali della luce - ma non si può sbagliare, visto che è una delle
inaugurazione collegate all'avvio di Expo. Per questo, avrebbe detto ai suoi in questi giorni, bisogna lavorare
a ritmo serrato e senza clamori.
Foto: IL COUNTDOWN IN XXIV MAGGIO Il cantiere Darsena deve finire il 26 aprile
22/03/2015 5Pag. La Repubblica - ed. Milano(diffusione:556325, tiratura:710716)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 51
L'inchiesta Le carte I sondaggi con Burchi perché assumesse la guida della società committente a Roma el'imposizione dell'onnipresente Perotti I pm di Firenze inviano gli atti nella capitale Il sistema Incalza anche negli appalti della metropolitana più cara d'Europa CARLO BONINI FABIO TONACCI ROMA. Le intercettazioni telefoniche sugli appalti per la Metropolitana C di Roma rimaste impigliate negli
ascolti del Ros dei carabinieri sul Sistema Incalza-Perotti prendono la strada di Roma, dove la Procura di
Firenze ne ha trasmesso copia "per conoscenza" e dove è aperta un'indagine che promette di spalancare altri
abissi di malversazione. Del resto, il filo che annoda il Grande Mandarino delle Infrastrutture alla più costosa
opera pubblica della storia repubblicana (per 25 chilometri di linea, dai 2,7 miliardi di euro di costo in sede di
aggiudicazione, si è oggi a 3,7), passava non solo attraverso il lavoro istruttorio della Struttura tecnica di
missione del Ministero, ma, come sempre, attraverso Stefano Perotti e la sua Spm, che si era aggiudicata la
direzione dei lavori del terzo tronco della linea, da San Giovanni ai Fori Imperiali (incarico che è stato
revocato il giorno dell'arresto). UN LOTTO A TUTTI COSTI È ancora una volta Giulio Burchi, ex presidente di
Italferre indagato nell'inchiesta fiorentina, a portare involontariamente l'indagine nei cantieri della Metro C.
«Grazie a Incalza - si sfoga al telefono parlando del ruolo da asso pigliatutto di Perotti - gli hanno dato un
lotto che non volevano dargli a tutti i costi quando c'era Bortoli... di Roma Metropolitane». Ed è ancora Burchi
che, al telefono, prima con l'assessore alla mobilità del Comune di Roma ed ex sottosegretario alle
Infrastrutture del governo Monti, Guido Improta,e quindi con l'ex tesoriere del Pd Sposetti, evoca il nome di
Incalza sullo sfondo della Metro C. Accade infatti che, nel gennaio 2014, Improta chiedaa Burchi la sua
disponibilità per assumere la guida di "Roma Metropolitane", la società controllata dal Comune committente
dell'appalto. Un carrozzone che impiega quasi 200 personee spende di soli stipendi 13 milioni l'anno.
«Ovviamente - dice l'assessore a Burchi - è una situazione prestigiosa perché è la più grande opera pubblica
che si sta realizzando. Quindi, ci vuole qualcuno che abbia competenze giuridiche, tecniche, sensibilità
politica e abbia fatto già tanti soldi...». Ma, a sentire Burchi in una telefonata successiva al suo incontro con
l'assessore Improta durante il quale si è discusso del suo possibile incarico, c'è anche dell'altro. «L'assessore
mi ha detto: "Lei conosce Ercole Incalza?". E io gli dico: "Lo conosco da 30 anni perché eravamo nello stesso
partito. Ma non mi gode. Incalza ha ancora un ottimo rapporto con Lunardi e io l'ho guastato"».
Burchi e l'assessore capitolino non si incontreranno più. E, in quel gennaio 2014, presidente di "Roma
Metropolitane" sarà nominato Paolo Omodeo Salé. Ma perché, dunque, quella domanda su Incalza? E
perché bussare alla porta di Burchi? LA VERITÀ DELL'ASSESSORE Raggiunto telefonicamente, l'assessore
Improta la ricostruisce così. «Ho incontrato Burchi due volte. La prima, si presentò da me per illustrarmi un
progetto della società del fratello. Mi disse che era stato presidente di Italferr e prima ancora della
Metropolitana milanese, durante Tangentopoli e che in quella circostanza aveva collaborato con la
magistratura di Milano. Mi lasciò un curriculum e, quando con il sindaco Marino decidemmo che era venuto il
momento di azzerare i vertici di "Roma Metropolitane", da cui arrivavano "rumori" che non ci piacevano,
pensai a lui. Proprio per quell'esperienza milanese di collaborazione con la magistratura. E così lo chiamai
per sondarlo. Anche perché avevamo bisogno di qualcuno disposto ad andare a Roma Metropolitane non
solo accettando il tetto di stipendi fissato in 65mila euro l'anno, ma anche impermeabile alle "sirene" che
un'opera di quel genere, con quella quantità di denaro che muove, produce. Dopodiché, non se ne fece nulla.
Burchi non arrivò neppure al lotto ristretto di candidati tra i quali venne scelto Salé». Forse perché non era in
buoni rapporti con Incalza? «Il senso della domanda che feci a Burchi durante il nostro colloquio aveva
esattamente il significato opposto. Cercavamo una figura indipendente. A maggior ragione da Incalza. Tanto
è vero che quando decidemmo di procedere alla nomina del nuovo presidente di Roma Metropolitane mi
limitai a comunicarlo a Incalza. E il nome della persona che avevamo scelto la apprese dai giornali. A cose
fatte». LE VARIANTI MIGLIORATIVE Che Incalza non sia "neutro" nella storia della Metro C è del resto una
di quelle circostanze che, ancora una volta, non solo sono scritte nella gestazione dell'opera (la gara venne
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 52
affidata nel 2006, proprio con la "Legge Obiettivo" di cui lo stesso Incalza e l'ex ministro delle Infrastrutture
Lunardi sono "padri"), ma anche in quel che accade lungo la strada della sua realizzazione. Tanto per dirne
una, la commissione di collaudo di Metro C è presieduta dall'ex ragioniere generale dello Stato Andrea
Monorchio, legatissimo ad Incalza e padre di quel Giandomenico che insieme a Perotti ha le direzioni dei
lavori della tratta ad Alta velocità Milano-Genova. Metro C nasce con il progetto di una "galleria unica", ma,
immediatamente dopo, cambia fisionomia, collezionando ben 45 varianti in corso d'opera. Lo strumento
capace di gonfiare come una mongolfiera i costi. Ebbene, come documentano gli atti del primo troncone
dell'indagine della Procura di Firenze sulla Tav (quella che ha visto recentemente rinviata a giudizio Maria
Rita Lorenzetti, ex presidente Pd dell'Umbria ed ex presidente di Italferr, dove era succeduta proprio a Burchi)
si scopre che, proprio nei cantieri della Metro di Roma, è stata per la prima volta «sperimentata con
successo» un tipo particolare di variante. La cosiddetta "variante migliorativa". Apparentemente, necessaria a
risparmiare denaro rispetto al progetto iniziale. In realtà, con la sola funzione di evitare che il committente
pubblico chieda conto al general contractor di progetti esecutivi errati eppure già pagati. I PERSONAGGI
GIULIO BURCHI Ex presidente di Italferr, siede nei consigli di amministrazione di diverse autostrade del Nord
ERCOLE INCALZA È stato per trent'anni il dominus del ministero delle Infrastrutture. Da una settimana è in
carcere STEFANO PEROTTI Socio di Incalza e asso pigliatutto delle direzioni lavori delle grandi opere in
Italia. Anche lui arrestato ANDREA MONORCHIO L'ex ragioniere generale dello Stato presiede la
commissione di collaudo di Metro C a Roma PER SAPERNE DI PIÙ www.anticorruzione.it www.metrocspa.it
Foto: COSTI ALLE STELLE Anche la Metro C di Roma nelle carte della procura di Firenze: costi alle stelle e
uomini del "Sistema" inseriti nei ruoli chiave
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 53
"Perotti mandato via perché non ci piaceva la gestione del cantiere" AstaldidiCondottespiegaimotividelbenservito all'ingegnerearrestatonell'inchiestasugliappalti MASSIMO VANNI CANTIERI TAV, discontinuità totale per abbattere ogni rischio derivante dalla gestione precedente. E
cambiamenti sostanziali nella gestione dei lavori per correggere le impostazioni giudicate sbagliate. Così
Duccio Astaldi, ad di Condotte Spa, cioè della società che ha preso il controllo dell'operazione Tav Firenze,
conferma quanto emerso dalle intercettazioni e spiega l'estromissione dai cantieri della società di direzione
dei lavori vicina a Stefano Perotti, l'ingegnere che da lunedì si trova a Sollicciano, a sua volta legato a Ettore
Incalza.
«Ci siamo posti il problema di una discontinuità netta perché non ci piaceva la gestione di cantiere che
abbiamo trovato», spiega l'uomo chiave dell'Alta velocità fiorentina. L'ad che conferma di voler avviare lo
scavo del tanto contestato tunnel «entro la fine di quest'anno». Cos'è che per Condotte non andava nella
gestione dei cantiere? «Tante cose non ci piacevano, non posso fare esempi specifici ma ognuno ha il suo
modo di lavorare. E l'allestimento che abbiamo trovato non ci piaceva, considerata la delicatezza ambientale
richiesta per un'opera del genere», dice Astaldi. E la stessa scelta di cambiare la fresa non è casuale,
aggiunge l'ad: «Potevamo risistemare quella che c'è. Ma abbiamo deciso di prendere una tutta nuova,
pagando pure le rate del leasing già acceso da Nodavia. E' una scelta che ci costa dunque ma volevamo una
macchina che per noi è la migliore. E per il momento, visto quello che sta accadendo, si è rivelata una scelta
vincente». D'altra parte, insiste Astaldi, la scelta era quasi obbligata: «I cantieri erano fermi, la procura della
Repubblica aveva sequestrato tutto. In questi casi è bene azzerare il rischio cambiando tutto, perché non
possiamo certo noi fare le indagini su ciò che era stato fatto prima».
Addio dunque alla direzione dei lavori riconducibile a Perotti. E addio anche alla configurazione dei cantieri
così come allestiti.
Condotte cambia tutto: «Perotti? Io personalmente non l'ho mai incontrato, ma i miei sono stati chiari, hanno
detto ai suoi che era nostra intenzione cambiare tutto». A costo di pagare le penali previste dal contratto di
direzione sottoscritto con la società di cui faceva parte Perotti: «In Italia non c'è niente a costo zero», rileva
serafico l'ad di Condotte.
Forse, come era già accaduto per la Tav in Mugello, la società di Perotti aveva chiesto più soldi anche per la
Tav Firenze? «C'era un contratto e stavamo dentro i termini di quel contratto. Se poi mi chiedete se era
anche fatto bene, vi rispondo che non voglio commentare, perché quel contratto non lo abbiamo fatto noi»,
continua Astaldi.
Nelle intercettazioni si dice pure che Condotte doveva «per forza» subentrare a Tav Firenze al posto di
Coopsette. «E' vero, ma non nel senso che qualcuno ce l'ha imposto. Piuttosto perché avevamo comprato
dalle Coop la società Inso, che era parte del consorzio Ergon, a sua volta parte di Nodavia, il con sorzio
aggiudicatario della Tav. E quando, dopo i tanti fallimenti, ci siamo trovati ad essere l'unica società solvibile di
Nodavia, l'unica via d'uscita è stata quella di prendere il controllo di tutto», sostiene il capo di Condotte spa. E
se il sindaco Nardella dispera di veder finita la Tav, Astaldi lo rassicura: «I problemi di smaltimento delle terre
di scavo non sono ancora risolti. Ma noi ci stiamo preparando per scavare il tunnel entro quest'anno».
22/03/2015 2Pag. La Repubblica - ed. Firenze(diffusione:556325, tiratura:710716)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 54
piano operativo Case popolari Dalla Regione cinque milioni Dopo tre anni, la Regione finanzia nuovi interventi di edilizia convenzionata. Lo ha deciso ieri la giunta,
approvando il Piano operativo annuale per l'edilizia residenziale pubblica, stanziando 5 milioni 344 mila euro
per le case popolari, il sostegno agli affitti e i contributi per fronteggiare l'emergenza abitativa.
Nel 2014, le domande per il sostegno alle locazioni ammesse a finanziamento sono state 2.519, quelle
escluse 374. Dei 5 milioni 344 mila euro del Piano, circa 4 milioni e mezzo copriranno le domande di
contributo alla locazione. Mezzo milione di euro sarà impegnato per i casi di emergenza abitativa, «sempre
più frequenti» come ha spiegato l'assessore regionale alla Casa Mauro Baccega. Altri 200 mila euro saranno
destinati a finanziare nuovi interventi di edilizia convenzionata. Spazio a nuovi alloggi
Gli interventi di edilizia residenziale prevedono, nel 2015, la consegna dei 6 alloggi nell'ex scuola di
Leverogne, ad Arvier, l'avvio dei lavori per 5 alloggi in via Le Bois Vuillermoz, a Hône, e per 6 alloggi a Saint-
Pierre acquisiti dall'Arer lo scorso anno dal Comune di Aosta, e il rifacimento di un tetto di un immobile Arer in
viale Europa, ad Aosta. Sarà invece avviata la vendita dell'edificio di La Ville ad Allein, dove era prevista la
realizzazione di case popolari. Ok ai piani vendita
Nel 2015 proseguirà l'attuazione dei Piani vendita delle case popolari del Comune di Aosta e dell'Arer,
approvati dalla giunta. Il Piano prevede anche l'aggiornamento della legge regionale 3 del 2013, per ridurre
da 30 a 20 gli anni per l'esercizio del diritto di prelazione sugli alloggi venduti a privati attraverso i Piani di
vendita. Saranno determinati anche i nuovi canoni di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica,
previsti nel 2014 e rinviati in attesa delle disposizioni di modifica dell'indicatore della situazione economica, il
nuovo Ise. [a. man.]
21/03/2015 40Pag. La Stampa - ed. Aosta(diffusione:309253, tiratura:418328)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 55
VARAZZE. NON È STATA INVECE PRESENTATA LA DOCUMENTAZIONE DI DE VIZIA Lunedì si decide il destino degli ex cantieri Baglietto MASSIMO PICONE Sono ore decisive per il destino dei cantieri navali ex Baglietto di Varazze. Lunedì dovrebbe essere il
«giorno» per i quattordici dipendenti rimasti che da cinque anni sono in «trincea», ossia da quando furono
posti in cassa integrazione che scadrà il 31 maggio. Dopo la terza gara a offerta libera predisposta dalla
Sezione fallimentare del Tribunale della Spezia (città sede legale della Baglietto Snc.), il liquidatore Federico
Galantini e i commissari giudiziali hanno ricevuto dal giudice Alessandro Farina altri dieci giorni di proroga,
per stabilire se e a chi affidare il ramo d'azienda.
In gara tre aziende. «Marina di Varazze» del deputato Paolo Vitelli, in possesso sia della concessione del
porto turistico fino 2052, sia dello specchio acqueo davanti al cantiere. La famiglia Vitelli è anche alla guida
dell'Azimut Yacht-Benetti Group. Quindi, l'Alfa Shipyard che opera all'interno dello scalo cittadino di piazza
dei Fabbri, occupandosi della rimessa al coperto in capannone, refitting completo di imbarcazioni,
ricostruzioni, riparazioni, lucidatura, restauro, costruzioni navali. La terza azienda è la Nisida con sede a
Roma dell'imprenditore Carmine De Vizia, già impegnato nell'estenuante vicenda di ricostruzione del retro
porto di Varazze. All'origine, la cifra fissata per l'acquisto del ramo di azienda era un milione e 800 mila euro.
Ma le cifre proposte erano nettamente più basse, tanto da far modificare impostazione alla gara, ponendola a
offerta libera per evitare l'eccesso di ribasso.
Come ramo di azienda si intende il piazzale operativo e la concessione demaniale che scadrà nel 2017, le
poche attrezzature rimaste, la palazzina uffici. Ma soprattutto l'assunzione di tutto il personale. Questa la
condizione principale. Massimo Pesce (Rsu-Uil), spiega: «Formalmente abbiamo preso atto delle offerte di
Marina di Varazze e Alfa, nessuno ci ha presentato quella del Gruppo De Vizia. L'azienda di Vitelli
assumerebbe subito sei lavoratori, con incentivi per l'esodo ai restanti. Ma tecnicamente non crediamo che il
bando lo consenta. Alfa, viceversa, prenderebbe in carico tutto il personale. Entrambe chiederebbero un altro
anno di Cig, il tempo per riqualificare l'area e sistemarla in sicurezza. Rsu, sindacati e dipendenti "tifano" per
chiunque ci garantisca occupazione».
Il piano industriale delle due concorrenti sarebbe orientato al refitting. I fatiscenti edifici lato Aurelia e i
capannoni restano del Demanio marittimo poiché il Comune ha esercitato solo richiesta di prelazione per non
accollarsi le spese di gestione e acquisto (valore circa due milioni), fin quando non sarà terminata la
procedura di aggiudicazione. «Logo e marchio "Cantieri Baglietto" non ritorneranno qui- ha detto il sindaco
Bozzano -. Beniamino Gavio mi ha spiegato che oggi il segmento di vendite delle barche si attesta oltre i
quaranta metri, mentre sotto questa fascia, il mercato è in grave crisi economica. Gavio non ritiene che il sito
di Varazze sufficientemente ampio per costruire e collocato in una zona di facile accesso e movimento».
21/03/2015 45Pag. La Stampa - ed. Savona(diffusione:309253, tiratura:418328)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 56
i lavori in città Da domani è slalom fra i cantieri Modifiche alla viabilità in centro città a partire da domani, per consentire interventi di manutenzione
straordinaria di lastre e cubetti. Dalle 8,30 saranno istituiti il divieto di sosta e anche la sospensione della
circolazione in via Mazzini, tra via Garibaldi e piazza La Marmora. Il cantiere proseguirà fino a lunedì 30.
Divieti
Proseguono intanto anche i lavori di realizzazione di un collettore fognario in via Aldo Moro. In questo punto
della città sono istituiti divieto di sosta e di circolazione fino a fine mese in via Delleani, nella carreggiata Nord
della rotatoria con via Aldo Moro, e in via Aldo Moro, tra via Delleani e via La Marmora nei pressi della
rotatoria. Cantieri anche in via Candelo, tra il numero civico 68 e il confine con il territorio di Candelo, fino al 3
aprile esclusi i festivi, dalle 8 alle 17. In questo punto della città i lavori sono eseguiti dalla ditta Tecnologie e
Telecomunicazioni di Cerrione per la posa di infrastrutture per fibra ottica. A questo proposito sono disposti il
divieto di sosta e il limite di velocità di 30 chilometri orari con il restringimento della carreggiata. L'impresa
Bertagnolio di Graglia avrà invece tempo fino alla fine di luglio per terminare i lavori di consolidamento del
tetto, il rifacimento dell'intonaco della facciata e per la sistemazione del campanile della chiesa di San
Cassiano. In questo caso il Comune ha istituito il divieto di sosta e il limite dei 30 chilometri orari nei pressi
dell'edificio. [s. zo.]
22/03/2015 40Pag. La Stampa - ed. Biella(diffusione:309253, tiratura:418328)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 57
»l'Osservatorio di Mannheimer I «no Grandi opere»? Solo il 10% Renato Mannheimer Ma è ancora il caso di investire soldi pubblici in grandi opere? Tutto il settore delle grandi opere pubbliche è,
ormai da diverso tempo, sotto accusa. Il ministro Lupi è stato costretto alle dimissioni (per la verità, per motivi
del tutto (...) segue a pagina 6 (...) estranei all'inchiesta giudiziaria), diversi importanti responsabili ministeriali
sono arrestati o indagati. E, nei mesi scorsi, scandali simili si sono manifestati per altre opere come l'Expo e il
Mose. D'altra parte, il nostro Paese ha, secondo molti, assoluta necessità di rinnovare e integrare le sue
infrastrutture e il settore coinvolto (principalmente quello delle costruzioni) è sempre stato uno dei più
importanti nella nostra economia e, in questo periodo, ha tra l'altro grande necessità di un rilancio. Che ne
pensano gli italiani? Malgrado tutti gli scandali e il clamore mediatico sul settore delle infrastrutture, la grande
maggioranza dei cittadini ritiene che esso vada potenziato e che sia essenziale un programma di opere
pubbliche per il nostro Paese. Secondo un sondaggio Eumetra svolto in questi giorni su di un ampio
campione rigorosamente rappresentativo dell'universo dei cittadini italiani, il 56% ritiene «prioritari» gli
investimenti in opere pubbliche e riqualificazione del territorio e un altro 34% li giudica comunque
«abbastanza prioritari». Solo poco meno del 10% non ritiene importante questo genere di interventi. I risultati
confermano quanto emerso due anni fa in un'analoga ricerca condotta dall'Ance: anche allora la netta
maggioranza degli italiani si dichiarava favorevole a investimenti nelle infrastrutture. Colpisce poi l'irrilevanza
(1%) della percentuale di chi risponde «non so» (diversamente da quanto accade spesso in sondaggi di
questa natura): gli italiani hanno opinioni molto chiare e nette sull'argomento. Appaiono particolarmente
favorevoli agli investimenti in infrastrutture coloro che esercitano una professione in proprio (imprenditori e
liberi professionisti), i più giovani e chi risiede nei grandi centri oltre i 100.000 abitanti. Dal punto di vista
dell'orientamento politico, il giudizio sull'opportunità degli investimenti in infrastrutture è relativamente simile
tra gli elettori dei diversi partiti, con un calo significativo tra i votanti per Sel (che si dimostrano meno
interessati a queste tematiche) e un'accentuazione tra chi si colloca nel Centro. Gli italiani indicano anche
delle priorità nei settori di intervento. L'ambito ritenuto decisamente più importante è quello della
ristrutturazione di edifici pubblici come scuole od ospedali, indicata come assolutamente urgente dall'84% dei
cittadini. Evidentemente, i numerosi casi di degrado denunciati dai media (o riscontrati personalmente dagli
intervistati) hanno fortemente sensibilizzato l'opinione pubblica. Subito dopo, in ordine di priorità, viene
indicata la riqualificazione delle opere pubbliche a rischio dal punto di vista sismico o idrogeologico.
Viceversa è relativamente meno sottolineata la necessità di concludere alcuni dei lavori infrastrutturali già
avviati, come la Tav. Beninteso, anche il completamento della Tav è richiesto dalla maggioranza assoluta
degli italiani. Ma, evidentemente, le polemiche passate e presenti hanno avuto l'effetto di ridimensionare il
livello di questo consenso. Nell'ambito dello stesso sondaggio, abbiamo provato a «provocare» gli intervistati,
facendo esplicito riferimento agli scandali di questi giorni e domandando se, ciò nonostante, sia il caso di
proseguire con i progetti infrastrutturali. Il suggerimento, dato dalla netta maggioranza, è stato di farlo.
Addirittura, il 37% chiede di rafforzare gli investimenti. Ancora una volta, lo dicono in misura più accentuata i
giovani, coloro che dispongono di un titolo di studio più elevato e i residenti nelle grandi città. L'insieme di
questi risultati indica dunque come gli italiani siano consapevoli del fatto che, al di là degli scandali più o
meno frequenti, sia necessario intensificare gli interventi nelle infrastrutture di cui l'Italia ha bisogno, anche
dal punto di vista della ripresa economica. È un segnale positivo che mostra come l'opinione pubblica sia
consapevole delle vere necessità del Paese.La priorità degli investimenti in opere pubbliche e di
riqualificazione del territorio
SondaggioEumetra Srl Campione rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne Metodo Cati Casi
800 Margine di errore 3,5% Data rilevazione 18 maggio 2015 La documentazione completa è disponibile sul
sito www.agcom.it
21/03/2015 1Pag. Il Giornale(diffusione:192677, tiratura:292798)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 58
L'importanza degli investimenti in... Ristrutturazione di edifici pubblici (scuole, ospedali, ecc.) Riqualificazione
di opere pubbliche a rischio dal punto di vista sism ico o idrogeologico Riqualificazione delle città, rendendole
efficienti dal punto di vista energetico, della m obilità, delle telecom unicazioni ecc. Realizzazione di nuove
infrastrutture per il trasporto (strade, ferrovie, ecc.) Conclusione di lavori infrastrutturali già avviati (la Tav, il
tunnel del Brennero, ecc.)
Oggi, dopo gli scandali e le accuse che hanno investito il settore delle grandi opere pubbliche, occorre... Raf f
orzare gl i i nve sti me nti Prose gui re ne gl i i nve sti me nti come ade sso Di mi nui re gl i i nve sti me nti Non
sa
21/03/2015 1Pag. Il Giornale(diffusione:192677, tiratura:292798)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 59
I COLOSSI DEL TAV STRETTI TRA PEROTTI E L ' AMICO FRANK L ' INGEGNERE, ORA IN CARCERE, CHIAMAVA SAIPEM E MALTAURO PER AVERE LA DIREZIONE DEILAVORI DELLA MILANO-VERONA: " SE NO PERDETE IL PROGETTO " . SI FA UNA GARA, NON È MAIFINITA LA BATTAGLIA Per assicurarsi la gestione della tratta i signori delle grandi opere tentano dicoinvolgere Lupi, passando dal fido Cavallo Antonio Massari e Davide Vecchi Tra i documenti sequestrati lunedì a Stefano Perotti, gli investigatori hanno trovato parecchi atti relativi all'Alta
Velocità Milano-Verona, segno che il super manager è ancora fortemente interessato all'appalto e al suo
personale obiettivo: " Farsi affidare dal consorzio Cepav Due - scrive il Ros dei carabinieri - l'incarico di
progettazione per continuare ad assicurare il suo apporto in questa particolare fase " . Lo scenario descritto
dalle informative del Ros spiega in che modo siano state gestite le Grandi Opere pubbliche. Mentre la cricca
viene intercettata Bruxelles segnala che a causa della corruzione in Italia realizzare un chilometro dell ' Alta
Velocità costa tra i 47 e i 96 milioni di euro, contro i 10 della Francia e della Spagna. IL CASO del Tav Milano
- Vero na è l ' esempio del peculiare sistema italiano: secondo l'accusa Ercole Incalza, dirigente della
Struttura Tecnica di Missione del ministro, d'intesa con Perotti, induceva il consorzio Cepav a promettere
indebitamente a Perotti il conferimento dell'incarico di progettazione e direzione lavori con riferimento alla
realizzazione del lotto funzionale Brescia-Verona. Perotti ha già lavorato per il Cepav nella tratta Treviglio -
Bre scia. E il 28 agosto 2014 quando Perotti viene intercettato " Ma io guarda gliel ' ho detto a tutti e e due...
al presidente del Consorzio al direttore generale e all'altro... gli ho detto ' guarda io oggi c ' ho un contratto
che prevede che faccia la direzione dei lavori su questo lotto qua... se avete bisogno che vi do una mano ve
la do volentieri... però mi attivate la fase a) che qualsiasi attività di direzione dei lavori ormai la mettono
addirittura in fase di gara... io te la faccio però mi dai l'incarico ' . Io mi metto a farla solo se mi danno
l'incarico... se no se la facessero loro e vedono dove vanno a finire... Gli ho fatto un esempio... gli ho detto ... '
guardate... sulla tratta Treviglio - Brescia... c'era ministro Lunardi... avevano ottenuto il finanziamento dal
Cipe... hanno perso l ' occasione perché non sono riusciti a congruire il progetto... hanno avuto la crisi di
governo... hai perso cinque anni e qui li perdi uguale... senza considerare che, visti i tempi che corrono,
potresti perdere definitivamente il progetto... " . MA COME FA un consorzio come il Cepav Due, che ambisce
a gestire l ' appalto dell'Alta Velocità, da ben 4 miliardi di euro, a parlare con il ministro Lupi? In Italia c'è da
parlare con Franco Cavallo, detto " zio Frank " , amico dell'ex ministro, che organizza tavoli con visione del
ministro, annesso dialogo e strette di mano, in cene da 10mila euro: " Inizia alle 7? A che ora finirà? Si cena
in piedi? " , chiede Michele Pizzarotti a " zio Frank, il 19 marzo 2014, annunciandogli la sua presenza. Dodici
giorni dopo - il primo aprile 2014 - è " zio Frank " a contattare Pizzarotti con un sms: " Chiama Forlani in
ufficio e ti da appuntamento " . Per Forlani s'intende Emmanuele, della segreteria di Lupi. Ma Pizzarotti, con
Forlani, non riesce a parlare. E così richiama " zio Frank " : " Mi ha detto ' devo vedere ' ... per l'amor di dio
sarà impegnatissimo, però ragazzi stiamo parlando di parlare con un'impresa che ha in ballo 4 miliardi di
opere bloccate per motivi burocratici assurdi... " . Zio Frank fissa un appuntamento per l'indomani. E se per
incontrare Lupi bisogna ottenere l'intercessione di zio Frank, per incontrare Incalza, il consorzio deve affidarsi
a Perotti: " Ha news per incontro con Incalza? " , gli chiede con un sms il 10 aprile Franco Lombardi, manager
della Saipem. " Appena ho notizie la chiamo " , risponde Perotti. Lombardi insiste: " Finora abbiamo sempre
parlato con personaggi secondari e se lui... come le altre volte... la prendesse un attimo a cuore... " . IL DATO
PIÙ incredibile è che, dopo aver incontrato Incalza mesi prima, il consorzio che deve occuparsi dell'Alta
Velocità non riesce ancora a capire quale dev'essere il suo interlocutore, se il ministero delle Infrastrutture o
le Ferrovie. E quando, dopo aver parlato con Incalza sulle procedure per la conferenza di servizi, il consorzio
si confronta con le Ferrovie dello Stato, è proprio Incalza a non prenderla bene, come riferisce Franco
Lombardi, della Saipem, parlando sempre con Perotti: " Non l'ho mai visto così... " . " Perotti - annota il Ros -
manifesta soddisfazione perché la vicenda dimostra che, se non si seguono i suoi consigli, si va incontro a
22/03/2015 4Pag. Il Fatto Quotidiano(tiratura:100000)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 60
problemi di questo genere " . Per Perotti, in quei mesi, è importante dimostrare il suo potere. Chiamando
l'altra grande impresa del consorzio, la Maltauro, parlando direttamente con Enrico Maltauro, per chiedergli
che ne sarà del suo incarico: " Di cono che non va ancora perché Maltauro è contrario (ride)... siccome mi
raccontano balle... volevo soltanto sapere se (ride)... " . Maltauro rimbalza la questione al terzo colosso del
Consorzio, la Saipem: " Ma no, assolutamente... purtroppo questa materia è competenza di Saipem " . A quel
punto Perotti chiama Uberti di Saipem e ottiene questa risposta: " Pizzarot ti, Maltauro e Condotte dicevano
che non sia il caso di fare una lettera d'incarico, o un'estensione... non possiamo darti un incarico per l ' anno
prossimo o tra due anni... ma tutti hanno condiviso che si deve proseguire... sei lì nei nostri cuori... se chiedi
un ' ipoteca sul futuro nessuno te la può dare... ti diamo degli incarichi specifici " . Il potere di Perotti, però, è il
suo rapporto con Incalza che, annota sempre il Ros, quando la situazione non gli garba, minaccia di "
muoversi istituzionalmente " e di dire al Consorzio: " Gestitelo voi, non è un fatto ricattatorio, è un fatto
corretto " . " Perotti non ha alcun ruolo né alcun incarico sulla tratta Brescia-Verona " , spiegano i vertici della
Pizzarotti interpellati dal Fatto, ma " è attualmente coordinatore dei direttori lavori della tratta Treviglio-Brescia
con gara vinta dalla sua società, la Spm " . L ' iter amministrativo per la tratta Brescia-Verona, quello a cui
miravano Perotti e Incalza puntando alla direzione dei lavori, non si è ancora concluso. " Si ipotizza la
chiusura ad aprile e il contratto a giugno " .
Foto: Ercole Incalza Ansa
Foto: L ' inaugurazione del Frecciarossa nel 2008 Ansa
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 61
LE INTERCETTAZIONI Uscita a ovest,la cricca puntavaal mega appalto ANCHE I LAVORI per l'Uscita ad Ovest erano finiti nel mirino della cricca delle Grandi Opere, un pentolone
scoperchiato dalla Procura di Firenze che nascondeva anche appetiti sul porto di Ancona. Il piano per
accaparrarsi la direzione dei lavori per realizzare la bretella di collegamento tra la A14 ed il porto dorico non
si è concretizzato, ma se ne intuisce la trama nelle 268 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare emessa
dal gip di Firenze Angelo Antonio Pezzuti a carico di 51 indagati, tra i quali Ercole Incalza e Stefano Perotti. Il
primo era dirigente della Struttura tecnica di missione istituita presso il ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti per le cosiddette grandi opere', il secondo era riuscito ad accaparrarsi la direzione dei lavori delle
principali opere finanziate dallo Stato grazie ai suoi appoggi. A QUANTO pare Stefano Perotti aveva attivato i
suoi contatti anche per dirigere i cantieri dell'Uscita, almeno stando a quanto emerge da un'intercettazione
telefonica del 20 ottobre scorso. Giulio Burchi, ex presidente del cda di Italfer e attualmente figura di vertice in
società partecipate a capitale misto pubblico privato, parlando al telefono con un amico critica il sistema per
cui le direzioni lavori vengono affidate dalle imprese aggiudicatarie con lo schermo del general contractor. Ad
un certo punto dice: «Sta negoziando le ultime direzioni dei lavori per Perotti che sono Porto di Ancona e il
secondo tratto della Treviglio...». Burchi cita altri incarichi affidati a Perotti, lasciando intuire che il
professionista, tra i principali indagati nell'inchiesta delle Grandi Opere, difficilmente si muoveva senza avere
la certezza di riuscire. L'Uscita ad Ovest, finanziata con 480milioni di euro, non ha visto ancora designata la
direzione dei lavori. Nel novembre scorso è stato siglato un decreto ministeriale che approva la scrittura
integrativa alla convenzione tra il Mit e la società Passante Dorico Spa', aggiudicataria dei lavori. al. pa.
22/03/2015 7Pag. QN - Il Resto del Carlino - ed. Ancona(diffusione:165207, tiratura:206221)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 62
Edilizia sovvenzionata, nuova leggeMinoranza: «Colpisce i più poveri» Il Consiglio dà il via libera con 32 voti favorevoli e 15 contrari MUTUO prima casa, cambiano le regole. Con l'approvazione della legge Disposizioni in materia di edilizia
sovvenzionata', che ha superato il test del Consiglio con 32 voti favorevoli e 15 contrari, arrivano infatti una
serie di novità che vengono però contestate in Aula dall'opposizione, che punta il dito soprattutto contro i
paletti inseriti dalla misura, nella quale si prevede lo stop a «un vecchio sistema che garantiva mutui a tutti
indistintamente», precisa dal Pdcs il consigliere Luca Beccari. Il relatore di maggioranza, Andrea Belluzzi,
descrivendo il progetto sottolinea che «la precedente normativa, confondendo il concetto di
sovvenzionamento dell'edilizia residenziale con la funzione sociale di garantire a tutti i cittadini una casa,
portava in sè il vizio di non considerare alcun requisito di capacità reddituale del richiedente». L'innovazione
di questa legge, prosegue l'esponente del Psd, «è costituita dal fatto che lo Stato non è garante della somma
erogata ma interviene attraverso il pagamento di una quota degli interessi sulla somma concessa a mutuo
dall'istituto bancario». Ma il relatore di minoranza, Tony Margiotta, non ci sta. E attacca: «Le condizioni per
l'accesso al mutuo, che era usufruibile una sola volta nella vita di una persona e che per questo aveva svolto
anche una funzione di sostegno al comparto edile, vengono inasprite notevolmente, introducendo anche
parametri relativi al reddito dei richiedenti», prima assenti. «Altro punto dolente sbotta il consigliere di Sinistra
unita l'introduzione di vincoli legati al reddito medio annuo riferito all'ultimo triennio, che potrebbe dare luogo a
inaccettabili discriminazioni e ingiustizie, considerato che nel contesto sammarinese l'accertamento dei redditi
è ancora un obiettivo molto lontano». Quindi una critica sulle novita' che interessano «la diminuzione della
durata massima da 30 a 25 anni». Il padre' della legge, Iro Belluzzi, scuote la testa e parla di una misura che
«stravolge i parametri della vecchia norma, nata nel 94 in un contesto economico totalmente differente, in cui
sussisteva l'impostazione di uno Stato-mamma». Le nuove regole, dice il segretario di Stato al Lavoro,
vogliono considerare «le capacità reddituali, sia in positivo che in negativo, degli aventi diritto dell'edilizia
sovvenzionata». Per indicare le distorsioni' della precedente normativa Belluzzi fa inoltre presente che «è
stato erogato un mutuo anche a chi non aveva la minima capacità reddituale». La conseguenza è che «oggi,
purtroppo, circa 100 mutui sono decaduti, mettendo non solo in difficoltà i conti dello Stato, ma soprattutto
quelle famiglie che hanno fatto un passo non ponderato, non considerando le conseguenze, come la messa
all'asta dell'immobile». Per il movimento Rete le novità vanno «a colpire le fasce più deboli».
22/03/2015 17Pag. QN - Il Resto del Carlino - ed. Rimini(diffusione:165207, tiratura:206221)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 63
L'ATTESA DOMANI IL VERDETTO DELL'ANAC Commissariati, ma light Così Cantone blinda i lavori di Palazzo Italia di LUCA ZORLONI MILANO È TUTTA questione di tempo. Di giorni, a voler essere precisi, gli ultimi quaranta
che mancano all'inaugurazione di Expo. Troppo pochi per reggere un commissariamento di Padiglione Italia,
dopo le ombre sull'assegnazione della gara d'appalto emerse nell'indagine della Procura di Firenze sulle
grandi opere. Per questo l'ipotesi più quotata nelle ultime ore è che Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità
nazionale anticorruzione (Anac), giochi la carta del monitoraggio. Si tratta pur sempre di un controllo sulla
società che ha in mano i lavori, Italiana Costruzioni (che si dichiara estranea ai fatti), ma ha tempi burocratici
più spediti, quindi più adatti alla situazione di emergenza in cui versa il padiglione nazionale a Expo. Il
verdetto del magistrato anticorruzione, come anticipato, arriverà domani mattina e si prevede che già in
serata il prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca, firmi il provvedimento esecutivo. D'altronde, Cantone e
Tronca sono in contatto da giorni, proprio per trovare nel minor tempo possibile una soluzione all'ultima tegola
piovuta sui cantieri dell'Esposizione di Milano. IL NUMERO uno dell'Anac ha studiato le carte dell'ordinanza
fiorentina, secondo le quali la gara da 24,2 milioni di euro per la costruzione del Padiglione Italia sarebbe
stata pilotata dall'ex responsabile unico del palazzo, Antonio Acerbo (che si è dichiarato «estraneo»), e
dall'ingegner Stefano Perotti. Come prevede l'articolo 32 del decreto legge 90/2014, le contromisure a
disposizione di Cantone sono tre: il ricambio dei vertici statutari della società, il monitoraggio e
l'amministrazione straordinaria di impresa. Quest'ultima è già stata applicata agli appalti delle Vie d'acqua sud
a carico di Maltauro e Tagliabue, ma dato che implica la nomina di un commissario, richiede tempi più lunghi.
Di conseguenza, Cantone l'avrebbe scartata, preferendo il monitoraggio. Questa sorta di commissariamento
«light» potrebbe concretizzarsi, secondo fonti vicine alla Prefettura, in un'attività di vigilanza suddivisa tra più
controllori e, stando al dettato del decreto legge, si accompagnerà anche a «misure di sostegno» all'impresa
di costruzioni. [email protected]
22/03/2015 13Pag. QN - Il Giorno - ed. Varese(diffusione:69063, tiratura:107480)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 64
SALERNO-REGGIO CALABRIA · Mazzette e lavoro a rischio Chiuso e riaperto il cantiere maledetto Il cantiere maledetto si chiama «Terzo macrolotto secondo parte». È lungo 20 chilometri sull'autostrada A3
Salerno - Reggio Calabria nel tratto Campotenese-Laino Borgo, nella zona di Castrovillari (Cosenza). Aperto
a luglio, da novembre a febbraio ha funzionato a pieno regime dando lavoro a 800 operai di una cinquantina
di ditte di appalto e subappalto. Fra questi anche Adrian Miholca, il 25enne rumeno volato giù dal viadotto più
alto in Italia - oltre 80 metri - crollato perché vetusto. Ieri per una decina di ore gli 800 operai hanno avuto un
altro spettro: quello della disoccupazione. Al mattino i macchinari sono stati coperti e il cantiere chiuso. La
ragione era molto semplice: il direttore dei lavori è quel Stefano Perotti arrestato assieme ad Ettore Incalza
per lo scandalo mazzette sulle grandi opere. Nell'ordinanza del Gip, si sostiene che Perotti, sfruttando le
relazioni con il ministero delle Infrastrutture, otteneva indebitamente la direzione dei lavori e la variante del
progetto che portava i costi da 424 a 600 milioni. Per fortuna alle sei di sera, la marcia indietro. Il contraente
generale Italsarc, sotto pressioni dell'Anas, ha provveduto alla nomina di Mario Beomonte. Rischio
scongiurato, quindi, ma per il segretario Fillea Cgil Walter Schiavella la vicenda «ha origine nella legge
obiettivo e nell'istituto del contraente generale che, come diciamo da anni, sono stati un autentico fallimento:
inadeguati sia a realizzare opere nei tempi e con costi certi, ma anche a garantirne legalità, sicurezza e
qualità del lavoro».
21/03/2015 6Pag. Il Manifesto(diffusione:24728, tiratura:83923)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 65
Lavoro in nero, i carabinieri denunciano tre imprenditori Montoro. Tre denunce dei carabinieri per altrettanti imprenditori edili trovati non in regola con le normative
vigenti sulla sicurezza sui posti di lavoro e con operai in nero. Continua senza soste l'operazione di controllo
dei cantieri edili da parte degli uomini della Compagnia di Baiano.
Una operazione che si è andata intensificando dopo il grave incidente avvenuto su un cantiere alla frazione
Piano. Incidente per il quale un rumeno di 34enne anni, residente alla frazione Preturo, ora rischia la vita. Le
sue condizioni restano, infatti, gravi e se riuscirà a cavarsela, si apprende da fonti dell'ospedale Cardarelli,
ove è ricoverato in rianimazione, perderà un occhio.
Ad operare sono stati i militari della stazione di Montoro Superiore, unitamente a personale della Direzione
Provinciale del Lavoro di Avellino. Diversi i cantieri edili non trovati in regola. Gli uomini del maresciallo
Gennaro Vitolo, nello specifico, hanno riscontrato numerose violazioni della normativa in materia di sicurezza
sui luoghi di lavoro. Comminata una sanzione amministrativa di circa diciassettemila euro.
pi.mo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
22/03/2015 38Pag. Il Mattino - ed. Avellino(diffusione:79573, tiratura:108314)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 66
VARAZZE. L'AFFIDAMENTO DEL RAMO D'AZIENDA DIVENTA SEMPRE PIÙ UN GIALLO Ex cantieri Baglietto, lunedì (forse) il giorno buono Il liquidatore Galantini deve scegliere fra tre offerte: Vitelli, Alfa Shipyard e De Vizia SONO ore decisive per il destino dei cantieri navali ex Baglietto di Varazze. Luned ì dovrebbe essere il
«giorno» per i quattordici dipendenti rimasti che da cinque anni sono in «trincea», ossia da quando furono
posti in cassa integrazione che scadrà il 31 maggio. Dopo la terza gara a offerta libera predisposta dalla
Sezione fallimentare del Tribunale della Spezia (città sede legale della Baglietto Snc.), il liquidatore Federico
Galantini e i commissari giudiziali hanno ricevuto dal giudice Alessandro Farina altri dieci giorni di proroga,
per stabilire se e a chi affidare il ramo d'azienda. In gara tre aziende. «Marina di Varazze» del deputato Paolo
Vitelli, in possesso sia della concessione del porto turistico fino 2052, sia dello specchio acqueo davanti al
cantiere. La famiglia Vitelli è anche alla guida dell'Azimut Yacht-Benetti Group. Quindi, l'Alfa Shipyard che
opera all'interno dello scalo cittadino di piazza dei Fabbri, occupandosi della rimessa al coperto in
capannone, refitting completo di imbarcazioni, ricostruzioni, riparazioni, lucidatura, restauro, costruzioni
navali. La terza azienda è la Nisida con sede a Roma dell'imprenditore Carmine De Vizia, già impegnato
nell'estenuante vicenda di ricostruzione del retro porto di Varazze. All'origine, la cifra fissata per l'acquisto del
ramo di azienda era un milione e 800 mila euro. Ma le cifre proposte erano nettamente più basse, tanto da far
modificare impostazione alla gara, ponendola a offerta libera per evitare l'eccesso di ribasso. Come ramo di
azienda si intende il piazzale operativo e la concessione demaniale che scadrà nel 2017, le poche
attrezzature rimaste, la palazzina uffici. Ma soprattutto l'assunzione di tutto il personale. Questa la condizione
principale. Massimo Pesce (Rsu-Uil), spiega: «Formalmente abbiamo preso atto delle offerte di Marina di
Varazze e Alfa, nessuno ci ha presentato quella del Gruppo De Vizia. L'azienda di Vitelli assumerebbe subito
sei lavoratori, con incentivi per l'esodo ai restanti. Ma tecnicamente non crediamo che il bando lo consenta.
Alfa, viceversa, prenderebbe in carico tutto il personale. Entrambe chiederebbero un altro anno di Cig, il
tempo per riqualificare l'area e sistemarla in sicurezza. Rsu, sindacati e dipendenti "tifano" per chiunque ci
garantisca occupazione». Il piano industriale delle due concorrenti sarebbe orientato al refitting. I fatiscenti
edifici lato Aurelia e i capannoni restano del Demanio marittimo poiché il Comune ha esercitato solo richiesta
di prelazione per non accollarsi le spese di gestione e acquisto (valore circa due milioni), fin quando non sarà
terminata la procedura di aggiudicazione. «Logo e marchio "Cantieri Baglietto" non ritorneranno qui- ha detto
il sindaco Bozzano -. Beniamino Gavio mi ha spiegato che oggi il segmento di vendite delle barche si attesta
oltre i quaranta metri, mentre sotto questa fascia, il mercato è in grave crisi economica. Gavio non ritiene che
il sito di Varazze sufficientemente ampio per costruire e collocato in una zona di facile accesso e
movimento».
Foto: Per gli ex Baglietto si assottiglia la lista dei pretendenti
21/03/2015 23Pag. Il Secolo XIX - ed. Savona(diffusione:103223, tiratura:127026)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 67
L'ANALISI Uno strumento che ha trovato terreno fertile in Riviera J. C. F. M A QUANTE sono state le domande attivate dal Piano Casa in Liguria? "Abbastanza", "parecchie",
"qualcuna", cos ì rispondono, in modo variegato e sempre generico, gli uffici preposti all'edilizia nei 235
Comuni liguri, che non avevano d'altronde nessun obbligo di monitorare i dati, e di trasmetterli in Regione. Il
Veneto e la Sardegna, per dire, hanno inserito un passaggio ineludibile nella propria norma. Peccato: in tal
modo, tipo nei condoni edilizi, a un certo punto si avrebbero il quadro locale e quindi nazionale dell'utilizzo
dello strumento. Molto limitato il "tiraggio" a Genova: dalle origini (novembre 2009) ad oggi, 139 pratiche per
ampliamento, più una quarantina per interventi di demolizione/ricostruzione, di cui una decina del tipo
maggiore, di quelli su grandi immobili con, in "pancia", anche l'obbligo di realizzare una quota Erp (edilizia
residenziale pubblica). Di questi big, uno solo per ora andato a buon fine, in via da Bissone a Sestri Ponente.
"C'è più ricorso ora al Piano Casa, che non i primi tempi - riferisce Paolo Berio, responsabile dell'edilizia
privata del Comune di Genova - perché prima del nuovo Puc esisteva una norma del vecchio, poi cassata da
una sentenza del Tar, che permetteva ampliamenti del 20% dei palazzi, sul lastrico, ed era stata abbastanza
gettonata, sicché il Piano Casa rappresentava semplicemente un'alternativa". Altra storia in riviera. In
particolare in zone in cui, dati i valori immobiliari alti, ha un senso economico maturare l'appetito di ingrandire
casa "in deroga", affrontandone l'investimento. Intensa applicazione ad esempio ad Alassio, dove "fra un
quarto e un terzo della normale produzione di pratiche edilizie, ovvero 4-500 dossier l'anno fra Dia e Scia -
stima Maurizio Drava, architetto, in Comune a capo dell'Edilizia privata era per ampliamenti legati al Piano
Casa. Affrontati sia da residenti che da proprietari di seconde case. Solo due invece nel 2010 le sostituzioni,
diventate 9 nel 2014". A Levante analogo trend. Nella vincolatissima "Santa", che non solo ha la quasi totalità
del territorio protetta dal punto di vista paesaggistico, ma è anche difesa da un decreto del '54 in tema di
bellezze naturali, i dossier sono stati tuttavia alcune decine. Ognuno visionato dagli uffici insieme a un
funzionario della Soprintendenza. Selva di regole, il Piano Casa ligure ha messo alla prova uffici comunali e
studi professionali. Prova ne sia il record di 371 pareri richiesti dal 2010 ad oggi all'ufficio Affari giuridici del
Territorio della Regione, che li ha riuniti in una banca dati aperta su web.
22/03/2015 12Pag. Il Secolo XIX(diffusione:103223, tiratura:127026)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 68
Le regole Piano casa La Liguria dà altri 9 mesi Proroga della Regione: ci sar à tempo fino al 31 dicembre per ampliare o demolire e ricostruire seguendo glistandard fissati JADA C. FERRERO I NGRANDIRE casa, lecitamente, al di là di quanto prescrive normalmente il piano regolatore del proprio
Comune. In Liguria si può, fino al 31 dicembre 2015, con una serie di se e ma: il "Piano Casa", legge di
carattere straordinario, a tempo, che era stata lanciata dal Governo Berlusconi IV, nei giorni scorsi è stata
prorogata per la terza volta dalla Regione. La norma era nata con un triplice obiettivo: rilanciare l'economia
dando ossigeno al comparto delle costruzioni; riqualificare il patrimonio urbanistico-edilizio; dare agli italiani,
escluso un ennesimo condono, la possibilità di ingrandire legalmente casa, ma solo per un periodo-finestra.
Ogni Regione, dopo infinite discussioni, ha recepito a modo suo. Col risultato, fra l'altro, che cosa è permesso
qui, non si può là. La maggioranza delle Regioni ha nel tempo prorogato la scadenza della sua "finestra".
Salvo rare eccezioni - Emilia, Sardegna, Lombardia - lo strumento "eccezionale" rimane oggi in vigore un po'
ovunque. Boom nel solo Veneto, con oltre 70 mila istanze, che, stimano in loco, avrebbero rimesso in circolo
circa 3 miliardi di euro; ora il suo terzo Piano Casa scadrà nel maggio 2017. La Liguria nel tempo ha ritoccato
la legge più volte. Il testo oggi vigente è quello coordinato con le precedenti versioni. Il Piano Casa consente,
sostanzialmente, due possibilità: ampliamento o demolizione/ricostruzione (sostituzione edilizia) di
determinati edifici. Il concetto è che se intervieni per migliorare una costruzione sotto uno o più profili, la legge
ti assegna un bonus di cubatura. Va infatti rispettata una serie di standard energetici. Gli interventi in Liguria
Si può intervenire su villini, edifici bifamiliari, anche villette a schiera, esistenti al 30 giugno 2009. Esclusi,
dunque, condomini e (grandi) palazzi: ammessi edifici residenziali, o prevalentemente tali, la cui volumetria
non superi i 1.500 metri cubi. Permessi ampliamenti anche per edifici ad uso socio assistenziale ed
educativo. Svariate le esclusioni: centri storici; immobili abusivi, o anche integralmente condonati; beni
vincolati; edifici siti in uno dei 4 grandi parchi liguri o su aree demaniali marittime concesse per finalità
turisticoricreative; case in aree a rischio idrogeologico in cui i piani di bacino vietino ampliamenti. Quanto si
può ampliare Si può fare secondo scaglioni: più 60 metri cubi (mc), il +30%, per edifici fino a 200 mc; +20%,
fra 200 e 500 mc; +10%, fra 500 e 1.000 mc. Fra 1.000 e 1.500 mc, incremento fino a un massimo di 170 mc.
La Liguria si è giocata largamente la carta delle premialità. Bonus di cubatura aggiuntivi, infatti, per migliorie
varie: +10% con adeguamento antisismico o energetico dell'intero edificio; +5% in "edifici rurali a valore
testimoniale" a destinazione residenziale, se sono usati materiali tradizionali come l'ardesia, che dà un 5% di
bonus anche se impiegata in generale nei tetti; e poi +5% nel caso siano realizzati almeno due dei seguenti
interventi: tetto fotovoltaico, serbatoio interrato per acque pluviali, ripristino di suolo agricolo abbandonato,
con restauro delle tipiche fasce in pietra; realizzazione di un (congruo) progetto verde, in zone boscate e
pascoli percorsi dal fuoco prima del 30 giugno 2009; ripristino di antiche mulattiere; infine, +3% per edifici
residenziali in Comuni non costieri sopra i 500 metri. Demolire per ricostruire I n caso di sostituzione edilizia,
c'è un bonus del 35% del volume esistente. Vale per singoli edifici prevalentemente residenziali o assimilabili,
esistenti al 30 giugno 2009, entro un volume massimo di 2.500 mc, che necessitino di riqualificazione,
urbanistica, paesaggistica o ambientale. Sopra i 2.000 mc, incremento massimo di 700 mc. Più edifici di uno
stesso proprietario e ubicati in un medesimo lotto di proprietà, possono essere accorpati in un solo immobile.
Se l'edificio viene delocalizzato altrove, in variante dei vigenti strumenti urbanistici, occorre una Conferenza
dei servizi. I Comuni possono anche ammettere interventi di sostituzione per edifici non residenziali, a fronte
di uno specifico pacchetto di regole.
Ampliamenti volumetrici ammessi60m
22/03/2015 12Pag. Il Secolo XIX(diffusione:103223, tiratura:127026)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 69
+20%TITOLI ABITATIVI NECESSARI Dia obbligatoria per gli ampliamenti, permesso di costruire persostituzioni edilizie e azioni su edifici rurali con valore testimonialeDEMOLIZIONE E RICOSTRUZIONE+10%+35%CAMBIO DESTINAZIONE USO Gli ampliamenti possono essere realizzati anche variando l'uso di localiaccessori situati all'interno del perimetro della costruzione esistentemax 170m+10%+5%+5%+5%DEMOLIZIONE E RICOSTRUZIONE PER IL NON RESIDENZIALE+35%+3%POSSIBILITÀ DI AMPLIAMENTO POSSIBILITÀ DI CREARE NUOVA UNITÀ IMMOBILIARE Ove gli
interventi di ampliamento prevedano il frazionamento dell'unità immobiliare interessata, le unità immobiliari
non possono avere una superficie inferiore a 60 m 2 POSSIBILITÀ DI SOPRAELEVARE Ammessa nel
rispetto delle distanze da pareti finestrate degli edifici per ampliamenti in senso orizzontale, e ove gli
ampliamenti in senso verticale prevedano la creazione di un nuovo piano della costruzione REQUISITI
ENERGETICI Richiesti gli standard del Dpr 59/2009, che contiene i criteri generali, le metodologie di calcolo
e i requisiti minimi per la prestazione energetica degli edifici e degli impianti termici per la climatizzazione
invernale e per la preparazione dell'acqua calda per usi igienico-sanitari. Richiesti anche i requisiti prescritti
dalle norme liguri in materia di energia (legge regionale 22/2007) 3 Non superiore a 200m 3 Ampliamento
concesso Volumetria edificio Edifici prevalentemente residenziali o assimilabili, con volume non superiore a
2.500 m 3 , che necessitano di riqualificazione urbanistica paessaggistica o ambientale limite di incremento a
700 m Superiore a 2.500 m 3 Incremento Volumetria edificio Edifici di consistenza non superiore ai 10.000 m
3 (nel rispetto delle destinazioni d'uso previste del piano regolatore) Incremento Tipologia edificio Ulteriori
premialità (per la parte eccedente la soglia di 200m 3 ) 200-600 m 3 (per la parte eccedente la soglia di 500m
3 ) 500-1000 m 3 3 1000-1500 m 3 adeguamento antisismico o energetico intero edificio edifici rurali a valore
testimoniale a destinazione residenziale, se usati materiali tradizionali come ardesia se usati materiali
tradizionali locali per coperture Edifici residenziali in Comuni non costieri sopra i 500 metri in caso di:
installazione tetto fotovoltaico (con potenza non inf. a 1 Kw), serbatoio interrato per acque pluviali (non inf.
10 m 3 ) ripristino suolo agricolo abbandonato con restauro tipiche fasce in pietra ligure ricostruzione del
soprassuolo vegetale su area circostante (pari almeno a 20 volte la superficie dell'immobile ampliato) in zone
boscate e pascoli percorsi dal fuoco prima del 30 giugno 2009 Più edifici, appartenenti a un unico proprietario
e ubicati in uno stesso lotto di proprietà, possono essere accorpati in un unico edificio con una volumetria
globale, compreso l'incremento del 35%, che non può superare i limiti volumetrici prescritti. Gli interventi che
prevedano delocalizzazione dell'edificio, che si pongano in variante o in contrasto con i vigenti strumenti
urbanistici, sono assentibili mediante procedimento di Conferenza dei servizi In caso di lavori comportanti
delocalizzazione, gli interventi possono essere consentiti solo in zone edificabili con esclusione delle aree
agricole o di presidio ambientale nel caso di introduzione della funzione residenziale. In tali casi, è vietato il
mutamento d'uso per 20 anni. L'attuatore deve sottoscrivere un atto d'obbligo e trascrivere il vincolo nei
registri immobiliari entro la data di ultimazione dell'intervento, pena l'inefficacia del titolo edilizio Si può
intervenire su edifici esistenti al 30/6/2009 Edifici ammessi: A prevalente destinazione residenziale, con
volumetria non eccedente i 1.500 m 3 Edifici ad uso socio assistenziale ed educativo
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 70
MAUSSIER (NUMERO DUE DELLA FEDERAZIONE ) INTERVIENE SULLA PROPOSTA DI FINCANTIERIIL DIBATTITO Architetti critici: «Microchip inutili senza la prevenzione » Con la formazione è un cardine della sicurezza DEBORA BADINELLI SESTRI LEVANTE. «Le buone prassi sono più utili del microchip». Lo afferma Giancarlo Maussier,
vicepresidente nazionale di Federarchitetti per l'area Centro Italia, presidente di Federarchitetti Roma e
organizzatore, da sei anni, della Giornata nazionale per la sicurezza nei cantieri (www.federarchitetti.it) che,
gioved ì , si rinnoverà a Roma. Il riferimento è alla recente polemica sulla possibilità che Fincantieri inserisca
un microchip negli scarponi dei lavoratori. La questione insieme alla flessibilità dell'orario di lavoro, al ricorso
alle esternalizzazioni e al possibile scorporo dell'area meccanica del cantiere di Riva Trigoso - è emersa
durante la trattativa contrattuale e ha scatenato la reazione dei dipendenti del cantiere di Sestri Levante che,
gioved ì e venerd ì , hanno bloccato la portineria dello stabilimento e, venerd ì sera, hanno presenziato
all'assemblea convocata dal Comune con parlamentari, assessori e consiglieri regionali per fare il punto sul
futuro del cantiere rivano. Il microchip nelle scarpe non è la prima delle preoccupazioni dei dipendenti
Fincantieri, ma non piace perché considerato un dispositivo per controllare gli spostamenti piuttosto che uno
strumento di sicurezza. «Il microchip è uno strumento tecnologico - aggiunge Maussier - ma rischia di avere
utilità nulla sotto il profilo della sicurezza perché non impedisce a un operaio con il microchip nelle scarpe, ma
poco attento, di entrare in una cisterna senza maschera d'ossigeno o di andare su un ponteggio senza
misure di sicurezza. Le buone prassi non sono tecnologiche, ma si confermano la risorsa migliore. Occorre
insistere nel promuovere la cultura della sicurezza e la formazione, solo cos ì si può arginare il fenomeno
degli infortuni, spesso mortali, nei cantieri». L'edilizia è il settore che detiene la maglia nera, con il 40/45 per
cento degli incidenti sul lavoro. «La caduta dall'alto è la causa più frequente di infortuni e di decessi -
prosegue il vicepresidente nazionale di Federarchitetti - e la cantieristica navale presenta rischia analoghi a
quelli dell'edilizia. Anche se i cantieri edili, soggetti pure al fenomeno del lavoro nero, sono temporanei e
mobili, destinati ad avere un costante ricambio di operai, mentre il comparto navale garantisce maggiore
stabilità occupazionale». Esperienza e consapevolezza sono utili a fini preventivi, questione che si riallaccia
ai pericoli (non solo occupazionali) legati al ricorso a ditte esterne e a sub appalti. «Tra i compiti del
responsabile del servizio prevenzione e protezione - conclude Giancarlo Maussier rientra anche la verifica
finalizzata ad accertare che le ditte esterne abbiano le misure di sicurezza prescritte». [email protected]
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Foto: Il presidio della portineria dei giorni scorsi a Riva Trigoso
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 71
RELAZIONI PERICOLOSE. RAPPORTO DELLA DIA SVELA I RETROSCENA DEL VOTO CHE APR Ì LEPORTE DELL'ASSOCIAZIONE AI FOTIA Unione Industriali: «Scavo-ter "cacciata " un anno fa » Casa della Legalit à : «I lavoratori vengano riassunti dalle aziende che subentreranno negli appalti » . Il s ì deidipendenti B. L. SAVONA. È finito circa un anno fa, con una lettera di fuoco vergata dai fratelli Fotia, il rapporto decennale tra
l'impresa Scavo-ter e l'Unione Industriali. Francesco, Pietro e Donato non credevano di meritare l'onta
dell'esclusione sancita dai vertici dell'associazione di via Gramsci. E avevano reagito in maniera, diciamo cos
ì , colorita. Eppure le avvisaglie di un divorzio da Confindustria c'erano tutte, da tempo. «L'impresa era stata
già sospesa dai servizi nel 2012, perché questo prevede il nostro statuto nel caso di aziende sottoposte a
interdizione» ricorda il direttore dell'Unione Industriali Alessandro Berta. E nel marzo del 2012, appunto,
Scavo-ter aveva subito un misura interdittiva antimafia. Nei giorni scorsi, altra stangata: il sequestro del
patrimonio delle imprese del Gruppo Fotia, per attività illecite. E la Casa della Legalità è tornata all'attacco sul
tema delle relazioni pericolose dell'Unione Industriali. Relazioni certificate da un rapporto dell'Antimafia,
peraltro impugnato dai Fotia. Due gli elementi messi in risalto dagli investigatori: le intimidazioni subite
dall'imprenditore Adriano Guatti tra il 2000 e il 2004; e il voto che sanc ì l'ingresso di Scavo-ter nell'Unione
Industriali. Guatti rivelò allora alla Dia di aver subito danneggiamenti nel cantiere per l'interconnessione
dell'autostrada Torino-Savona e Savona-Ventimiglia, nel quale era subentrato a Scavo-ter. Di l ì in avanti «ho
cercato di non essere presente nei cantieri ove lavorasse la Scavoter, per non interferire con la stessa» mise
a verbale Guatti. E fu ancora Guatti, memore di quella esperienza, a raccontare ai carabinieri di Savona
come avvenne l'ingresso dei Fotia nell'Unione Indutriali. «...Io ho dato parere sfavorevole (alladomanda di
adesione di Scavo-ter, ndr), ma oltre a me ci sono stati altri membri che hanno espresso parere sfavorevole,
ma in una maniera più velata della mia». Eppure «in una data successiva, circa un mese fa, spiegò ancora
Guatti - durante una mia assenza, il Consiglio ha accettato tra gli appartenenti all'Unione Industriali la ditta
Scavo-ter». Insomma, la famiglia Fotia, seppure oggetto di misure interdittive antimafia, ha fatto parte per
oltre dieci anni, a pieno titolo, del sistema imprenditoriale savonese, addirrittura sotto l'ombrello di
Confindustria: questa la denuncia della Casa delle Legalità. Che ieri per voce del presidente Christian
Abbondanza ha proposto che i lavoratori di aziende sequestrate per motivi legati alla mafia vengano
ricollocati nelle imprese che subentrano negli appalti: «Ha detto una cosa giusta - è la risposta dei dipendenti
del Fotia Group - come tutti coloro che tutelano i lavoratori. Vedremo se qualcuno si muoverà e ci farà
riottenere uno stipendio a fine mese». E sul futuro di Scavo-ter, anche l'Unione Industriali ha qualcosa da
dire. «In situazioni di questo genere, per evitare il depauperamento dell'azienda "paralizzata" - sottolinea
Berta - è opportuno che il commissario sia affiancato da una figura imprenditoriale esperta, in grado di tenere
l'impresa sul mercato». Sul problema occupazionale, intanto, è ancora la Casa della Legalità, a sottolineare «
come aziende in odore di 'ndrangheta (che ovviamente una volta date in amministrazione falliscono perchè
essendo attività di riciclaggio non stanno sul mercato) asfissiano le aziende sane, tolgliendo lentamente nel
tempo posti di lavoro alle altre società, come è successo a Savona nell'edilizia in tutti questi anni».
Foto: I dipendenti del gruppo Fotia in attesa di garanzie per il futuro
Foto: Alessandro Berta
22/03/2015 18Pag. Il Secolo XIX - ed. Savona(diffusione:103223, tiratura:127026)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 72
L'IDEA DI RILANCIO AVANZATA DA "OSTINATI" E "SAVONA BELLA" PER L'EDIFICIO VISTA DARSENAIN ABBANDONO Edili e Confindustria alle a ti per il sogno di San Giacomo Hotel di lusso e spa nel convento, centro congressi nella chiesa SILVIA CAMPESE SAVONA. Un hotel di lusso con tanto di spa e area benessere nel convento; un centro congressi nella chiesa
e nuova edilizia residenziale nell'ex albergo Miramare, il tutto per oltre 10 milioni di euro di investimento: è
questo il "nuovo Rinascimento" di San Giacomo e di tutta quell'area che, con un panorama d'eccezione, si
affaccia sul porto di Savona. Almeno, secondo il progetto dell'Unione Industriali e dell'Associazione nazionale
Costruttori edili che, in collaborazione con "Ostinati" e "Savona Bella", hanno commissionato il progetto di
recupero del complesso di San Giacomo a Giorgio Rossini, l'ex soprintendente ai Beni architettonici della
Liguria. Un piano ambizioso e costosissimo, per ora solo tracciato e presentato ieri, ufficialmente, alla
cittadinanza, durante un convegno in Sala Rossa. «Non è accettabile che, uno sito di eccezionale ricchezza
storica e bellezza, giaccia in questo degrado - ha spiegato Giampiero Aschiero, coordinatore del convegno e
delegato del Comune per il recupero del sito. - Per questo, abbiamo organizzato questa lunga settimana di
eventi che si è conclusa con il convegno che lascia tracce concrete nel progetto di Rossini». Tre i progetti per
i rispettivi manufatti cercando di far convivere il pubblico con il privato. «Il primo obiettivo - ha detto Rossini -
riguarda l'intervento su chiesa e convento con la creazione di un centro congressi con annesso albergo di
lusso. Per questa struttura, gli investimenti potrebbero essere effettuati da soggetti privati e compensati dalla
gestione dell'albergo per un periodo ipotizzabile di circa vent'anni. Il tutto regolato da una convenzione con il
Comune che manterrebbe la proprietà». Qui si ipotizzerebbe uno scambio di volumi. «Una parte di strutture
aggiunte in periodi recenti - dice Rossini- verrebbero demoliti e ricostruiti accanto al convento costituendo
camere dell'albergo, centro benessere, saune, piscina. Qui si giunge attraverso un ascensore che parte dal
porticciolo del Miramare superando i circa 50 metri di dislivello». Il tutto visitabile dai turisti. Le cifre dei costi
sono a sei zero. Per il restauro della chiesa, verrà inviata la partecipazione al bando indetto dal Ministero per i
Beni Culturali: obiettivo 2 milioni e 400 mila euro. L'auspicio è di poter accedere ai fondi dell'8x1000 coprendo
la realizzazione del centro congressi. Più nebuloso il futuro dell'ex Miramare, la cui proprietà è della Provincia
che ha messo in vendita la struttura. Qui, se l'Unione Industriali decidesse l'acquisto, l'ipotesi prevedrebbe la
realizzazione di edilizia residenziale aprendo un tema scabroso e discusso, con un possibile aumento dei
volumi. Infine, i sogni nel cassetto: il museo Pelagos dei cetacei, nell'ex zona destinata al carbone e ai
vagonetti, verso cui Costa Crociere ha dimostrato un certo interesse, tutto da verificare. «Il modello di
trasformazione di San Giacomo coincide con i Paradores, diffusi in tutta la Spagna - il commento di Carlo
Scrivano, presidente dell'Unione Albergatori. - Si tratta di ex conventi tramutati in strutture di extra lusso, tutte
visitabili». © RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Il Museo dei cetacei al Miramare Uno scorcio dell'area del San Giacomo Le condizioni attuali dell'ex
convento
Foto: Cos ì si presenter à il convento ristrutturato
Foto: Nell'elaborazione al computer il " ristoro dell'anima "
22/03/2015 19Pag. Il Secolo XIX - ed. Savona(diffusione:103223, tiratura:127026)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 73
ATTESA PER LA REALIZZAZIONE DEI TUNNEL SOTTO GLI ERZELLI E A PRIANO IL CASO Chiaravagna, il Terzo Valico blocca le opere anti-alluvione Priorit à alle gallerie della nuova linea ferroviaria: Sestri in allarme RICCARDO PORCÙ «IL PEGGIO DEVE ancora venire». La frase rimbalza spesso tra le strade di Sestri Ponente, nelle code di via
Hermada o davanti al cantiere aperto di via Manara. Un pensiero ricorrente e un timore a cui i sestresi sono
rassegnati. I cantieri per la messa in sicurezza del Chiaravagna non possono essere rimandati, troppo forte il
ricordo dell'alluvione di cinque anni fa per non chiedere all'amministrazione di fare in fretta. Dopo
l'abbattimento della casa sul torrente in via Giotto, immagine simbolo dell'alluvione del 2010, ora i lotti di
adeguamento stanno proseguendo in tutta la delegazione, molti però in ritardo di circa un anno rispetto al
primo cronoprogramma. Rallentamenti che non andranno a incidere sullo stanziamento fondi, in parte europei
e in parte statali garantiti per la messa in sicurezza dopo l'alluvione, prorogati fino a tutto il 2016. Tempi
dilatati con la stessa motivazione, l'attesa per l'apertura delle gallerie sotto Erzelli e Priano, la prima pronta
per collegare via Borzoli direttamente con l'autostrada, entro ottobre, la seconda per raggiungere la Val
Chiaravagna dalla valle di Borzoli, entro febbraio 2016. «E' necessario aspettare la consegna di Cociv delle
gallerie sotto Erzelli e Priano. Sono opere preliminari del Terzo Valico che consentiranno il passaggio dei
mezzi pesanti lontano dal traffico locale - spiega il vicesindaco Stefano Bernini - Non appena pronte
inizieremo gli altri lavori sul torrente, quelli sul ponte del Chiaravagna e sul ponte obliquo oltre agli interventi
in via Giotto. Non sarebbe stato possibile far prima, avremmo rischiato di isolare decine di attività produttive».
Uno dei temi più sentiti nella delegazione attraversata dai tir dopo i gravi incidenti a pochi mesi di distanza.
Sul torrente intanto sono iniziati i lavori per la vasca di monte, una struttura di quattromila metri quadri per
frenare e "setacciare" il passaggio dei materiali più ingombranti, da portare poi in discarica. Con prevista
consegna entro l'autunno, leggermente prima dei trecento giorni previsti dal bando di assegnazione. Discorso
differente alla foce del Chiaravagna dove in tempi rapidi si attende l'apertura del terzo fornice del ponte
all'altezza dello stabilimento verniciatura Piaggio. Cambiamenti che porteranno disagi e difficoltà al traffico.
«Seguiremo a ruota il cronoprogramma dei cantieri - spiega l'assessore alla viabilità e al traffico Anna Maria
Dagnino - Con l'apertura della galleria inizieranno i lavori sul ponte obliquo e su via Chiaravagna e avremo
anche via Giotto chiusa a metà. In pratica via Borzoli sarà trasformata a doppio senso per consentire il
passaggio verso levante. Per andare a ponente bisognerà invece arrivare fino alla rotonda di via Siffredi. Ma
la condizione fondamentale è quella di avere via Manara aperta, entro dicembre. Poi, in base al carico di
macchine e mezzi pesanti in passaggio, valuteremo se mantenerla con la solita direzione oppure mettere
anche qui un doppio senso. I disagi al traffico saranno inevitabili ma necessari». Difficoltà a cui i sestresi sono
già rassegnati in nome della sicurezza.
Foto: Gli scavi per il Terzo Valico
23/03/2015 15Pag. Il Secolo XIX - ed. Genova(diffusione:103223, tiratura:127026)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 74
LO SCONTRO I SINDACATI ALL'ATTACCO Cantieri, tensione alta 'Senza lavoro è la fine' DOPO che Navicelli ha negato la revoca della concessione demaniale ai Cantieri di Pisa, i lavoratori si dicono
sconcertati. «Siamo determinati ma anche arrabbiati, perché sappiamo che il nostro tempo sta per scadere
anche se, mai come ora, siamo stati vicini a far ripartire l'attività produttiva». Lo ha detto Andrea Laganà,
membro della rsu dei Cantieri di Pisa, azienda del gruppo Baglietto inattiva da anni dopo l'avvio della
procedura concorsuale. A dare manforte ai lavoratori, in assemblea permanente da cinque anni, l'azienda
Pisa Superyacht che, spiega Laganà, «garantirebbe l'immediata ripresa produttiva del cantiere con tanto di
quel lavoro, non in astratto ma rispetto alle commesse che hanno, che permetterebbe di far rientrare in
attività i 40 dipendenti dei Cantieri di Pisa e almeno un altro centinaio di persone nell'indotto». «BISOGNA far
presto - aggiunge il segretario provinciale Cgil, Gianfranco Francese - perché, se non portiamo subito il lavoro
in questo cantiere il lavoro si sposterà altrove e la storica azienda pisana, uno dei marchi più noti al mondo,
morirà per sempre. Non chiediamo corsie preferenziali ma che le istituzioni e la politica cittadina decidano se
stare con i lavoratori o con il liquidatore di Baglietto, Federico Galantini, che secondo noi ha tutto l'interesse
nell'allungare i tempi per arrivare alla scadenza della cassa integrazione in deroga il 31 maggio e mettere tutti
i dipendenti in mobilità vendendo così solo il marchio».
22/03/2015 9Pag. QN - La Nazione - ed. Pisa Pontedera(diffusione:136993, tiratura:176177)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 75
Scavi a novembre, forse ci siamoA settembre arriva la nuova talpa L'ad di Condotte, Duccio Astaldi: «Cambieranno solo alcuni dettagli» di PAOLA FICHERA DUE inchieste della magistratura, praticamente una a ridosso dell'altra, ditte fallite,
passaggi di incarichi, appalti, consegne... ma alla fine il nodo fiorentino dell'alta velocità si fa o no? Con tutto il
polverone che si è sollevato da quei binari fantasma qualche dubbio è venuto persino al sindaco Dario
Nardella che nei giorni scorsi ha battuto i pugni sul tavolo e chiesto: «I cittadini hanno il diritto di sapere quale
sarà il destino di questa grande opera». Più o meno la domanda che, prima ancora che il bubbone
dell'inchiesta della magistratura scoppiasse, si era già fatto il governatore toscano Enrico Rossi: «Ci facciano
sapere i tempi, perchè questi ritardi non sono più tollerabili». Magistratura a parte, in realtà, la società
Condotte, subentrata dopo il fallimento di Coopsette, è già al lavoro da mesi. Già nell'ottobre scorso Duccio
Astaldi, appena nominato ad, sui lavori fiorentini ha le idee chiare. «E' vero ha detto questo lavoro non
l'abbiamo cercato ma ce lo siamo dovuti accollare per un problema di solidarietà contrattuale interna al
consorzio Nodavia». Nella realizzazione delle grandi infrastrutture capita che, a turno, le grandi società edili si
facciano carico di lavori che nessun altro nè in Italia, men che mai all'estero accetterebbe di fare. E Astaldi si
era già fatto un'idea della situazione: «Il prezzo di assegnazione dell'appalto al consorzio Nodavia è stato
molto basso e ci sono sovraccosti rilevanti. Il progetto è complicato perchè il cantiere è in città e non è chiaro
come vadano smaltite le terre di risulta. Ma non è il primo lavoro del genere che affrontiamo». INFATTI è già
tutto quasi pronto. A settembre arriverà la nuova super talpa per scavare i 7 chilometri di doppio tunnel. Entro
novembre, data confermata anche dall'ad di Ferrovie, Michele Mario Elia, gli scavi dei tunnel inzieranno. Del
resto già dall'agosto scorso lo scavo del camerone' della Foster è ripreso: con i 25 camion di terra che ogni
giorno escono dal cantiere di via Circondaria diretti alle tre discariche di rifiuti speciali', cioè inquinanti,
individuate. Non solo, Condotte ha già chiesto, come è diritto del general contractor, di cambiare alcune
specifiche tecniche del progetto esecutivo relative alla modalità di costruzione. Mega talpa nuova e conci' (i
sostegni che devono essere montati a reggere lo scavo subito dopo il passaggio della macchina) diversi. Per
tentare poi di risparmiare qualche soldo Condotte ha in programma lo ha spiegato lo stesso Astaldi di
cambiare le forniture delle vetrate della stazione Foster: «Faremo una gara d'appalto». Dettagli che, in ogni
caso, richiedono la variazione di alcuni paragrafi del progetto esecutivo dell'opera. Rfi sarà chiamata a
riapprovarli. Insomma: mentre la magistratura va avanti con le inchieste, la Tav a Firenze prosegue per i suoi
binari.
23/03/2015 3Pag. QN - La Nazione - ed. Firenze(diffusione:136993, tiratura:176177)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 76
OLTRE IL GIARDINO QUEL MANAGER UNO E TRINO CHE DA ANNI COMANDA L'ANAS Alberto Statera L'arresto del gran visir Ercole Incalza sguarnisce alquanto il "sistema", ma la numerosa genia dei "padreterni"
degli appalti dei lavori pubblici è ben viva e lotta contro di noi. Adesso l'Autorità anticorruzione di Raffaele
Cantone ha spedito, ad esempio, i suoi ispettori all'Anas, antica fabbrica di scandali, dove da anni impera un
personaggio "uno e trino", come lo ha definito il presidente dei senatori del Pd Luigi Zanda. La triplice divinità
si chiama Pietro Ciucci e le stimmate da Spirito Santo le ha conquistate di diritto nel 2013, quando ricopriva
contemporaneamente gli incarichi di presidente, amministratore delegato e direttore generale dell'azienda
delle strade. In quell'anno, raggiunti i limiti di età, Pietro Ciucci presidente dell'Anas decide di licenziare
"senza preavviso" Pietro Ciucci direttore generale dell'Anas. Poteva dimettersi, sì, ma invece si autolicenzia
senza avvertirsi prima, pur essendo d'accordo sul licenziarsi. Così mette insieme una buonuscita da 1milione
825.745,53 euro sommando il "mancato preavviso". Ma l'episodio, degno di una pièce di Ionesco e
raccontato a suo tempo dal "Fatto Quotidiano", è in fondo soltanto uno dei tanti esempi del funesto folclore
cui spesso ci ha abituato la classe dirigente di questo paese. Più utile è forse chiedersi come l'Anas abbia
operato negli anni d'impero di Ciucci, peraltro per un decennio amministratore delegato della Società per lo
Stretto di Messina, che ha bruciato centinaia di milioni in inutili progettazioni. Fondata durante il fascismo,
l'Anas, con 6.200 dipendenti, 180 dirigenti, 20 compartimenti territoriali, bilancio di un miliardo l'anno, ha
competenza su 20.760 chilometri di strade e 905 di autostrade. Ha in corso opere per 11,5 miliardi e
interventi di manutenzione per 825 milioni. Tra l'altro, ha competenza sull'autostrada Salerno-Reggio
Calabria, la grande incompiuta che rappresenta il compendio delle opere pubbliche all'italiana: l'eternità dei
lavori, l'esplosione dei costi, le infiltrazioni della mafia. Nella realizzazione del "macrolotto 3.2" della grande
incompiuta non poteva mancare Stefano Perotti, architrave del "sistema Incalza" beneamato negli uffici
dell'Anas, come tante imprese che in qualche modo sono le tarde eredi della Tangentopoli del 1993, quando,
secondo le stime dell'epoca, furono distribuiti 1000 miliardi di lire di stecche ai partiti, che misero nei guai, tra
gli altri, l'ex segretario della Dc Arnaldo Forlani, il ministro dei Lavori Pubblici Giovanni Prandini, e portarono
alla latitanza Lorenzo Cesa, oggi esponente del Nuovo Centro Destra-UDC. Scorrendo poi i nomi della selva
di imprese impegnate nella realizzazione dell'autostrada "virtuale" troviamo persino gli eredi delle antiche
glorie dette "I cavalieri dell'apocalisse", gli imprenditori catanesi di tanti anni fa che monopolizzavano le grandi
opere non solo in Sicilia, ma in mezza Italia. L'ispezione dell'Anticorruzione all'Anas è scattata dopo il crollo
del viadotto Scorciavacche della Palermo-Agrigento a una settimana dall'inaugurazione, ma par di presumere
che gli ispettori non si limiteranno a monitorare quell'episodio, di fronte alle opacità che da anni vengono
segnalate nella gestione dell'Anas: tra l'altro, appalti assegnati con criteri discutibili, manutenzione carente
della viabilità ordinaria a causa della predilezione per le grandi opere, lavori non di rado arronzati. Archiviati
Lupi e Incalza, è inevitabile che Matteo Renzi e Raffaele Cantone, se la debbano vedere adesso con la
divinità una e trina. [email protected]
Foto: Nella foto, Pietro Ciucci, potente presidente dell'Anas da moltissimi anni al vertice dell'azienda statale
23/03/2015 5Pag. La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015(diffusione:581000)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 77
Woodn, il legno-non-legno che conquista le archistar dalla nauticaall'arredo urbano UNA FORMULA A BASE DI POLIMERI IN OTTO ANNI HA LANCIATO L'AZIENDA CREATA DALL'EX CEODI LUXOTTICA ROBERTO CHEMELLO. PUÒ OCCUPARE SPAZI FINORA APPANNAGGIO DI VETRO ECERAMICA. LA SUA FORZA E LA LEGGEREZZA E L'INDEFORMABILITÀ Giorgio Naccari Belluno In appena otto anni Woodn Industries è diventata una grande realtà internazionale nel mondo
dell'edilizia, dell'arredo urbano, dell'interior design, della nautica. Merito di un prodotto innovativo che
permette e permetterà di lasciare ai boschi il legno dei suoi alberi utilizzando, invece, profili di un materiale
composito assolutamente nuovo. La particolarissima formula a base di componenti polimerici consente
svariate applicazioni soprattutto nell'edilizia. " Woodn", dice Roberto Chemello, per svariati anni
amministratore delegato di Luxottica ed ora fondatore e ceo del gruppo Woodn Industries che ha il suo
quartier generale a Belluno, " è un legno tecnico che può occupare spazi fino a ieri appannaggio di vetro e
ceramica. E' ecologico, leggero, ecosostenibile, termoformabile, inattaccabile dai tarli e dai parassiti, non si
scheggia, è stabile a contatto con l'acqua, è totalmente riciclabile, crea un effetto caldo e intimo anche in
ambienti sempre bagnati. Uno stabilimento, piuttosto grande, è in Cina perché in quell'area si trova in
abbondanza la fibra di bamboo e perché in quell'area è stata creata la formula originaria di Woodn e uno,
Greenwood, è a Salzano, nel veneziano dove, invece, si produce un composto di granulo di fibra di legno e
polipropilene. "Greenwood è adatto alle applicazioni orizzontali, dai pavimenti ai pontili - aggiunge Chemello -
mentre Woodn è per le applicazioni verticali, dai parapetti ai frangisole, alle facciate ventilate e rivestite". In
pochi anni Woodn Industries ha conquistato gli architetti di mezzo mondo ed ora i suoi profili abbelliscono le
Tre Torri del quartiere residenziale Citylife di Milano su progetto di Daniel Libeskind, il Porto Turistico di
Ravenna, il quartiere residenziale Florentine di Tel Aviv, e il North Everleigh di Sidney e il Kangdi Hotel di
Haikou in Cina, tanto per citarne alcuni. L'azienda bellunese, che nel 2015 toccherà un fatturato consolidato
di 12 milioni di euro, guarda all'export con particolare attenzione. "Ci siamo da subito orientati alla
distribuzione del prodotto sul mercato internazionale - conclude Roberto Chemello - quindi abbiamo profuso
grande sforzi nello sviluppo di questi mercati. Oggi siamo presenti con agenti distributori sulle principali aree
europee, dalla Svizzera all'Austria, Germania, Francia, Grecia, paesi della ex Jugoslavia mentre in Medio
Oriente siamo in Libano, Dubai, Arabia Saudita oltre a India, Russia, Australia, Stati Uniti, Canada, Messico,
Sud Africa, Uruguay e ovviamente in Cina nonché Corea del Sud. Il mercato italiano per noi resta attualmente
il mercato nel quale abbiamo la maggiore quota nonostante il pesante e perdurante stato di crisi soprattutto
nel settore dell'edilizia. Oggi in questo settore ci stiamo affacciando nel settore dell'arredo per esterni ed
arredo urbano, peraltro con risultati molto lusinghieri e stiamo inoltre studiando la possibilità di entrare in
settori quali l'occhiale e la serramentistica".
Foto: In alto, il ceo di Woodn Industries Roberto Chemello Sopra, i palazzi Florentine a Tel Aviv
23/03/2015 22Pag. La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015(diffusione:581000)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 78
In azienda si punta sull'orario L'orario di lavoro meglio fi ssarlo in azienda. Come ferie, festività e permessi. Il rapporto Adapt sulla
contrattazione territoriale e aziendale per il triennio 2012/2014, infatti, mostra un'alta incidenza delle
pattuizioni con oggetto l'organizzazione del lavoro. L'orario, in particolare, è stato contrattato a livello
aziendale in 240 accordi (40% dei casi). A livello territoriale, invece, la materia più regolata è quella delle ferie
e fermate collettive (30,1% dei casi). Una crisi preoccupante. La "crisi" è ricorrente nella contrattazione
aziendale, spesso associata a esigenze di essibilità e competitività delle imprese. In circa il 30% degli
accordi, infatti, è presente una premessa in cui le parti sociali defi niscono obiettivi: la competitività fi gura nel
9,3% dei casi, seguito dalle dichiarazioni d'intenti relative al superamento della crisi (7,3%), da obiettivi di effi
cienza (7,3%), dall'esigenza di buone relazioni industriali (6%), dalla produttività del lavoro (5,4%), dalla
redditività (5%), qualità (4,5%), sviluppo professionale (4,1%) e essibilità (3,9%). Prima la paga, poi il lavoro.
Le materie che registrano la maggior frequenza a livello territoriale e aziendale sono ancora la retribuzione
(77%) e l'orario di lavoro (53%). Seguono le clausole riguardanti il sistema di relazioni industriali (48,5%),
formazione professionale (48%), welfare contrattuale (45,5%) e salute e sicurezza sul luogo di lavoro (44%).
Due gli istituti retributivi con frequenza più alta: elemento variabile della retribuzione e premio di risultato.
Adapt rileva in merito, soprattutto nel settore metalmeccanico, operazioni di riallineamento volte a ridurre il
differenziale tra gli elementi economici pattuiti in azienda e quelli fi ssati dalla contrattazione collettiva
nazionale. In particolare, riscontra tre tipi di misure a questo scopo: introduzione del salario d'ingresso per i
neoassunti; la sospensione, rateizzazione, riduzione o cancellazione degli elementi economici derivanti da
contrattazione aziendale, incluse maggiorazioni, superminimi, premi e quattordicesima; la flessibilizzazione
dei premi, ovvero la trasformazione dei premi da fi ssi in variabili. Orario di lavoro. L'orario, dopo la
retribuzione, è la materia più contrattata a livello aziendale presente in 240 accordi, cioè il 40% del campione.
Nel dettaglio la gestione delle ferie, delle festività e delle fermate collettive sono i principali oggetti della
negoziazione in azienda (19,5%), seguito da organizzazione turnistica (12%) e disciplina dello straordinario
(9%). Seguono poi, sempre in ordine di frequenza: essibilità orario in ingresso e uscita (8,4%), banca ore
(8,2%), trasferte e missioni (7,7%), pause (7,3%), reperibilità (5,3%), orario multiperiodale (3,8%) e permessi
annui retribuiti (2,7%). A livello territoriale la materia più regolata è quella delle ferie e delle fermate collettive,
presente nel 30,1% dei casi; mentre gli altri istituti dell'orario di lavoro (la durata media e massima; lo
straordinario; la reperibilità; i permessi) presentano frequenza contrattuale del 24,7%. Mercato del lavoro. La
materia piace poco alle aziende. Registra, infatti, una frequenza contrattuale del 40,5% negli accordi
territoriali, ma soltanto del 26% nella contrattazione aziendale.I principali temi, nel campione di accordi
provinciali e del settore edile, riguardano le azioni di contrasto del lavoro irregolare (18,3%), seguiti dalle
clausole sulla disciplina dell'impiego di manodopera in appalti e subappalti (13,9%); quindi la disciplina della
cassa integrazione per gli apprendisti (12,9%) e le azioni a contrasto della concorrenza sleale e delle infi
ltrazioni mafi ose e criminali (7,5%). Quanto alle tipologie contrattuali, quello più regolato è il contratto di
apprendistato (8,6% del campione edile), seguito dal contratto a termine (5,4% del campione edile). La
caratteristica comune alla contrattazione aziendale è quella d'intervenire sulla regolazione del mercato del
lavoro mediante clausole con cui la direzione d'azienda, il sindacato e le Rsu (rappresentanze sindacali
unitarie) concordano politiche occupazionali sulla essibilità in entrata e la gestione del mercato del lavoro
interno. In particolare, clausole di stabilizzazione e contingentamento delle forme di lavoro atipiche sono
presenti in 65 accordi (10,8%), mentre il contratto di lavoro a part-time è disciplinato in 92 accordi aziendali
(15,3%). Altra tipicità è la riproduzione, con varianti, della formula contenuta nell'art. 1, comma 01, del dlgs n.
368/2001 (riforma contratto a termine): «il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo
indeterminato». Classifi cazione e inquadramento. La materia è oggetto di regolazione aziendale con una
23/03/2015 35Pag. ItaliaOggi Sette - ed. N.69 - 23 marzo 2015(diffusione:91794, tiratura:136577)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 79
frequenza del 16,5%. Come per il livello nazionale, anche in questo decentrato si registra l'attenzione verso i
sistemi di classifi cazione che valorizzino l'apporto individuale del singolo lavoratore e della propria
professionalità. La maggior frequenza è delle clausole che prevedono l'istituzione di sistemi di mappatura e di
valutazione delle professionalità (c.d. job evaluation), fi nalizzati al riconoscimento delle competenze
trasversali dei lavoratori. Pattuizione ricorrente nelle aziende metalmeccaniche è sul riconoscimento
economico della professionalità espressa dalle maestranze, in attuazione di una norma contrattuale di rango
superiore (Ccnl). Formazione e sviluppo professionale. A livello territoriale, la materia è trattata nel 48% degli
accordi. Diciotto intese nell'edilizia, pari al 19,4% del campione, disciplinano gli interventi formativi nell'ambito
dell'istituto della borsa lavoro, ovvero il servizio nazionale di sistema, nato per facilitare l'incontro tra domanda
e offerta di lavoro nel settore delle costruzioni.A livello aziendale, invece, il tema della formazione è trattato
nel 24% dei contratti considerati.
Su cosa si punta sul territorio... Elemento variabile della retribuzione 78,5% delle intese
provinciali/regionali Orario di lavoro 53% delle intese provinciali/regionali Relazioni sindacali 48,5% delle
intese provinciali/regionali Formazione professionale 48% delle intese provinciali/regionali Welfare
contrattuale 45,5% delle intese provinciali/regionali Salute e sicurezza 44% delle intese provinciali/regionali
Mercato del lavoro (tipologie contrattuali) 40,5% delle intese provinciali/regionali
... e in azienda Premio di risultato 61,2% degli accordi aziendali Relazioni industriali 42,8% degli accordi
aziendali Orario di lavoro 40% degli accordi aziendali Classifi cazione e inquadramento del personale 30,1%
degli accordi aziendali Mercato del lavoro ( essibilità in entrata) 26% degli accordi aziendali Gestione ferie,
festività e fermate collettive 19,5% degli accordi aziendali
23/03/2015 35Pag. ItaliaOggi Sette - ed. N.69 - 23 marzo 2015(diffusione:91794, tiratura:136577)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 80
VENTI SIGLE DIVERSE INSIEME CONTRO L'INCAPACITÀ DELLA POLITICA Gli edili scendono in piazza Associazioni, sindacati e ordini puntano il dito sul silenzio della classe dirigente regionale. Appello al governonazionale. Sperando che ascolti Antonio Giordano Associazioni imprenditoriali, sindacali, ordini professionali del mondo dell'edilizia pronti a scendere in piazza
contro «l'incapacità della politica regionale». Una decisione che è stata presa all'unanimità nel corso della
riunione della Consulta regionale delle costruzioni, l'organismo che raccoglie 20 sigle diverse, nella sede
dell'Ance Sicilia. I rappresentanti del mondo dell'edilizia si dicono pronti «ad azioni anche eclatanti» per
denunciare la «totale indifferenza della classe politica». Nei giorni scorsi, per esempio, tre edili della Cgil di
Palermo hanno scritto una lettera ai vertici amministrativi della città e della Regione siciliana dicendo di
essere pronti a mettere un rene in vendita per fare fronte alle difficoltà delle loro famiglie. Questo accade in
Sicilia nell'anno 2015 mentre il resto dell'Italia sembra pronto ad agganciare la ripresa. I numeri del settore in
Sicilia sono impietosi. Fra il 2008 e il primo semestre 2014 il numero di occupati diretti è crollato da 152 mila
a 87 mila unità (65 mila in meno, pari a -43%, cui vanno aggiunti quelli dell'indotto), secondo le cifre elaborate
dall'Ance su base Istat. Fra il 2008 e il 2012 hanno chiuso battenti 2.442 imprese del settore mentre fra il
2007 e il 2012 i permessi per costruire abitazioni si sono ridotti del 51,4% (da 15.656 a 7.035). Non va meglio
la compravendita di case che fra il 2005 e il 2013 sono precipitate del 54,2% (da 49.094 a 28.282) e nel
2007-2013 gli importi dei mutui casa erogati hanno subito una flessione del 69,3% (da 2.890 a 886,6 milioni
di euro). Nel mirino delle associazioni è finita la politica accusata del mancato utilizzo di 4 miliardi di euro
(secondo l'osservatorio dell'Ance Sicilia) di risorse statali per opere pubbliche con la conseguente mancata
creazione di 85 mila posti di lavoro. «Siamo inorriditi», si legge in un documento della Consulta, «per la
mancanza di risposte da parte del presidente della Regione, Rosario Crocetta e dall'assessore regionale
all'Economia Baccei, a cui abbiamo chiesto innumerevoli volte un confronto, rimasto sempre lettera morta. È
un fatto mai verificatosi a memoria d'uomo, segno di un cinismo e di una assoluta incompetenza, soprattutto
in considerazione dei 65 mila occupati in meno e delle 2.442 imprese chiuse dal 2008 al 2012». Nel 2014,
infine, sono state poste in gara opere per un importo di appena 356,4 milioni di euro, pari a -3,58% rispetto al
2013 e del 71,93% rispetto al 2007. Sono circa 90 mila lavoratori (edili e dell'indotto) licenziati (dal 2008 al
2015) pari a 30 Termini Imerese, per citare una delle vertenze che più hanno occupato le pagine dei giornali.
La Consulta torna a chiedere un incontro al presidente della Regione così come all'assessore regionale
all'Economia e contemporaneamente chiederà incontri al presidente dell'Ars Giovanni Ardizzone, così come a
tutti i capigruppo parlamentari. «Saremo costretti», aggiungono tutti i componenti della Consulta, «a
organizzare una grande manifestazione regionale di protesta, oltre che altre mobilitazioni a livello territoriale,
sino ad arrivare a un dialogo diretto con il Governo nazionale, fino ad ora inteso come extrema ratio perché
abbiamo preferito essere rispettosi delle istituzioni regionali. Ma cambieremo modalità di azione e di
comportamento qualora l'offensivo e umiliante silenzio della politica regionale perduri. Quella stessa classe
politica che, per inciso, non è riuscita neanche ad approvare una legge di tre articoli di modifica della
normativa regionale sugli appalti, ritenuta prioritaria per riportare la materia almeno nell'alveo della
ragionevolezza, se non della legalità». (riproduzione riservata)
21/03/2015 2Pag. Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015(diffusione:100933, tiratura:169909)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 81
STORIA DI COPERTINA ALLA FIERA DELL'IPOCRISIA Le multinazionali per sponsorizzare il biologico. Il made in Italy di Me Donald's. E nuovi cantieri per camuffarele opere incompiute. Benvenuti a Expo 2015 Tiziana Barillà e Raffaele Lupoli II pianeta degli obesi e quello dei denutriti, le food corporation e i piccoli produttori locali, i semi antichi e i
robot che servono ai banchi del supermercato. Nel milione di metri quadri che dal primo maggio ospiterà
Expo 2015 c'è posto per tutto. E il contrario di tutto. Un mix di ingredienti controversi conditi in salsa italiana:
inchieste della magistratura, consumo di suolo agricolo e perfino una società civile divisa nel giudizio e nelle
modalità di "presidiare" l'evento. Quello che non manca, di sicuro, sono i grandi sponsor, ognuno con la sua
declinazione dello slogan "Nutrire il pianeta, energia per la vita". Il tema del cibo "tira" e gli organizzatori
rivendicano con orgoglio di aver raccolto cifre record: oltre 370 milioni di euro tra sponsorizzazioni e
partnership, a fronte dei 50 milioni di dollari del budget di Shangai 2010 e dei 180 milioni di dollari preventivati
per il prossimo appuntamento di Dubai, nel 2020. Moneta sonante che arriva da colossi come Finmeccanica,
Intesa San Paolo, Fiat Crysler Automobiles, Enel, Samsung, Tim. Ma anche da big dell'alimentare come
\officiai soft drink partner Coca Cola, che annuncia di voler raccontare nel suo "padiglione corporate" «il
proprio modello di sostenibilità, basato sulla promozione di stili di vita attivi, l'importanza di un'alimentazione
equilibrata, l'innovazione di prodotto e confezioni, la protezione dell'ambiente». Poi, ci saranno Nestlé in veste
di water partner con il marchio San Pellegrino, Coop con il supermercato del futuro, Illy caffè e Birra Moretti e,
ultimo in ordine d'arrivo, McDonald's. Il colosso degli archi dorati annuncia il suo ingresso in pompa magna,
precisando che l'80% dei prodotti che serve lungo lo Stivale è made in Italy e che «sposa i valori di Expo
2015» con un progetto dedicato ai giovani agricoltori italiani. Anche in questo caso il padiglione-ristorante, il
più grande dell'Expo con i suoi 300 posti, «rappresenterà una vetrina non solo sull'azienda, ma sulle filiere
agricole italiane partner del marchio globale, per raccontare la storia di un sistema composto da McDonald's,
gli imprenditori locali e il mondo agricolo». Vittorio Agnoletto, che con Emilio Molinari ha ironizzato sulla
presenza di McDonald's paragonandola alla nomina di Erode a testimonial dell'Unicef, commenta: «Ci sono
tutte le premesse perché l'Expo si riveli soltanto un gigantesco spot dell'industria globale del cibo». L'ex
europarlamentare critica «l'imbroglio culturale che Expo porta con sé, con l'uso spregiudicato del termine
"sostenibilità" e un furto del linguaggio nei confronti dei movimenti che lo contestano». Made in Italy dove?
«Sarà un grande successo e ci consentirà di presentare l'Italia al mondo. Questo con buona pace di tutti i
gufi». Per Matteo Renzi l'esposizione universale è la vetrina del made in Italy, lo ha ribadito il 13 marzo a Rho
Pero dal palco allestito in mezzo ai cantieri, davanti a una delegazione dei cinquemila operai impegnati nel
tour de force per ridurre i ritardi dei lavori. Qualche cantiere chiuderà a Expo in corso e alcune opere
vedranno la luce soltanto dopo la fine dell'esposizione. Per questo la macchina organizzativa, ha già avviato
le procedure per un intervento di camouflage, accorgimenti scenografici che serviranno a mettere una toppa
visiva dove ci sono opere incompiute. Per salvare l'immagine della «cattedrale laica» - per usare la
definizione di Matteo Renzi - servirà un maquillage da oltre un milione di euro. Ne va dell'immagine dell'intero
Paese e per tutelarla il premier sfoggia tutto il suo "expo-ottimismo": «Expo non è più la fiera degli scandali:
quella pagina lì è chiusa». Parole incaute, per almeno due motivi: perché le indagini dei mesi scorsi sono
ancora aperte; e perché due giorni dopo averle pronunciate, la procura di Firenze ha fatto arrestare quattro
persone per la gestione illecita di appalti relativi alle grandi opere, tra cui la Tav e per l'appunto Expo. Uno
degli arrestati - assieme a un collaboratore e a due imprenditori - è Ettore Incalza, dirigente e, dopo il
pensionamento, consulente del ministero delle Infrastrutture (in carica ininterrottamente da quando era in
carica Pietro Lunardi). Le carte dell'inchiesta fanno riferimento anche al ruolo che avrebbe avuto l'attuale
titolare delle Infrastrutture Maurizio Lupi nel garantire a Incalza la guida della struttura tecnica di missione per
le grandi opere, minacciando addirittura una crisi di governo pur di garantirgli il posto. Dall'indagine emergono
21/03/2015 28Pag. Left - ed. N.10 - 21 marzo 2015(diffusione:57256, tiratura:78653)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 82
«influenze illecite sulla aggiudicazione dei lavori di realizzazione del cosiddetto Palazzo Italia Expo», il cui
termine lavori era già slittato dal 16 dicembre scorso al prossimo 18 aprile. Un altro scandalo italiano e una
nuova figuraccia globale a meno di un mese e mezzo dall'inaugurazione. Non intendeva certo questo il
premier quando ha dichiarato: «Facciamo vedere al mondo di che cosa è capace l'Italia». Un ventaglio di
opposizioni Inchieste e contraddizioni hanno anche dato vita a diverse posizioni in seno alla società civile. «A
maggior ragione adesso - aggiunge Vittorio Agnoletto - rivolgiamo un appello alla riflessione a quanti,
impegnati in prospettive alternative alla globalizzazione alimentare, hanno dato la loro adesione, seppure in
forme diverse, al contenitore Expo, fornendole l'alibi di un impegno sociale per il bene comune del quale
francamente si fatica a trovarne traccia». Oltre alla posizione intransigente e non dialogante dei NoExpo, c'è
chi ha scelto di raccogliere la sfida - a questo scopo è nata la fondazione Triulza - accettando di portare le
proprie ragioni dentro l'Expo, che per la prima volta nella storia riserva una vetrina alla mobilitazione dal
basso. In mezzo, tra le due posizioni, si colloca una parte dei movimenti sociali, produttori e consumatori
critici che hanno dato vita al Comitato per l'Expo dei popoli. Se i NoExpo hanno reciso ogni cordone con
l'Esposizione universale, così non è per Expo dei popoli: «È l'occasione di portare i nostri temi al centro del
dibattito, un luogo di comunicazione politica in cui rappresentare una posizione diversa: la nostra», spiega il
portavoce Giosuè De Salvo. «Sapevamo benissimo che Expo avrebbe rappresentato la società così com'è,
quella che non ci piace e che vogliamo cambiare. Era del tutto scontata la discesa in campo di Me Donald's,
Coca Cola e Nestlé. Sono loro, al momento, a dominare questo mondo, perciò saranno loro i protagonisti».
Partecipare al dibattito, quindi, con l'obiettivo di ristabilire la democrazia rispetto al cibo e al modo in cui il cibo
arriva dalla terra al piatto. E con parole d'ordine chiare: sovranità alimentare e giustizia ambientale. Il comitato
muoverà i suoi primi passi a Genova il 21 marzo e a Napoli ad aprile, per giungere al forum internazionale
che si svolgerà dal 3 al 5 giugno a Milano presso la Fabbrica del vapore, dove chiamerà a raccolta oltre 150
delegati da tutto il mondo. Sono passati 16 anni dalla nascita del "popolo di Seattle", quello del movimento No
global. Della stagione delle reti e dei Forum mondiali, oggi rimane un arcipelago di movimenti sociali in crisi,
che ragionano in termini di sopravvivenza, «perciò fare rete di questi tempi è antistorico, ma paradossalmente
è ancora più urgente di 15 anni fa». Fare rete, appunto. Non farla potrebbe significare lasciare che a
dominare - incontrastati o quasi - siano i sistemi alimentari delle multinazionali. Quelli che persino le Nazioni
Unite hanno definito «rotti», perché rispondono solo a logiche dì profitto. Tanti no per un sì Attivisti,
movimenti. E, soprattutto, produttori: contadini, pescatori, allevatori. Sono tante le buone esperienze nel
Belpaese, ma come si fa a metterle insieme fino a crearne un modello? «È questa la sfida», risponde il
portavoce di Expo dei popoli. «Perché siamo sì portatori di buone pratiche ma, innestata sulla buona pratica,
c'è una riflessione politica: garantire i diritti fondamentali quali acqua, terra, sementi e il diritto al cibo». Un
modello che sia alternativo - e competitivo - rispetto a quelli oggi predominanti «Gli attuali sistemi alimentari si
sono "rotti" perché sono funzionali solo alla massimizzazione dei profitti di pochi e non garantiscono un diritto
al cibo di qualità a tutti gli altri». Gli attori del settore privato che controllano la filiera del cibo dal campo al
piatto si contano davvero sulle dita di qualche mano: solo sette imprese controllano il mercato delle sementi,
un pugno di corporation trasforma il cibo, da Nestlé a Coca Cola, e sono poche quelle che lo distribuiscono.
«Il risultato è che alcune grandi imprese fanno man bassa della terra, accaparrandosene la proprietà»,
denuncia De Salvo. «Questa concentrazione di potere crea un'urgenza democratica». Come reagire allo
strapotere dei colossi? I piccoli produttori lo fanno già, ognuno nel suo territorio. Quello che fanno i bio-
produttori è un po' come inserire la propria salute e quella del pianeta tra le voci di bilancio della propria
impresa. A differenza di chi prenderà parte a Expo, «chi aderisce a Expo dei popoli ha nel suo conto
economico un fattore legato al suo ruolo sociale», precisa l'economista Andrea Di Stefano. Il limite è quello
che la natura impone, anche al capitalismo. «Introiettare la sfida vuoi dire porsi l'interrogativo di come poter
essere sostenibili non avendo come unico obiettivo quello di massimizzare il profitto e crescere
permanentemente». Le regole del gioco Le reti sociali hanno già stabilito le regole del gioco, adesso devono
essere in grado di trasformarle in regole dell'economia. E per effettuare finalmente - il salto di qualità servono
21/03/2015 28Pag. Left - ed. N.10 - 21 marzo 2015(diffusione:57256, tiratura:78653)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 83
strumenti pratici. Ma che non siano gli incentivi, avverte W Andrea Di Stefano: «Stiamo ancora pagando i
costi di un approccio troppo finanziario e poco industriale. La risposta fondata sul ricorso agli incentivi ha
prodotto una serie di distorsioni, adesso anche l'Ue deve darsi nuove regole. Quella impostazione poteva
essere utile in una prima fase, ma manca di un respiro di lungo periodo». Quello che serve, suggerisce
l'economista, è «l'adozione di regole e standard elevati, come è stato fatto su alcuni temi ambientali». Un
esempio si può leggere nel contributo di Mariana Mazzuccato che, nel libro Lo Stato innovatore (2014)
riafferma il ruolo decisivo delle . • istituzioni pubbliche nel farsi carico del rischio d'investimento iniziale
all'origine delle nuove ;• v tecnologie. «Adesso si tratta di rivendicare un'innovazione sul fronte sociale e
ambientale che sia ispirata alla stessa filosofia», è sicuro Di Stefano. Ma a guardare l'atteggiamento delle isti-
' tuzioni, specie quelle europee, si riscontra una certa schizofrenia. Da una parte l'Unione prova a definire
nuovi profili normativi, che rispondono alle logiche delle reti sociali. Dall'altra tratta con il Nord America, anche
segretamente, il Ttip (il Trattato di liberalizzazione su commercio e investimenti), che mette in pericolo la
stessa sovranitàdegli europei. «Non lo sappiamo ancora, ma il rischio è elevatissimo», precisa Di Stefano.
Quello che è certo è che si delinea lo scontro tra le due diverse concezioni, reti sociali o multinazionali? La
partita non è affatto chiusa. E le regole sono ancora da costruire. In questo quadro, Milano è solo una delle
tappe di mobilitazione internazionale. La discussione sui temi macroeconomici si sposterà a New York - dal
25 al 27 settembre - dove l'Assemblea dell'Orni analizzerà i risultati conseguiti nella lotta alla fame e alla
povertà e discuterà i piani e gli obiettivi futuri. Poi a Parigi - il 7 e 8 dicembre - alla Conferenza delle Nazioni
Unite sui cambiamenti climatici (Cop 21), dove è in ballo la possibilità di un cambio di paradigma nella lotta
agli sconvolgimenti del clima. Intanto, nel mondo si contano 800 milioni di uomini e donne malnutriti.
La giostra mediatica Una campagna d'immagine "expo-ottimista" per iniziative editoriali dedicate a Expo.
Costo: 55 milioni, di cui solo 5 destinati ai media esteri, la stessa cifra destinata alla Rai. Come hanno scritto
Lorenzo Bagnoli e Lorenzo Bodrero di Investigative reporting project Italy, Expo spa ha accettato le
"manifestazioni di interesse" di Rcs, gruppo Espresso, Sole 24 Ore, Mondadori e Libero. E i fondi sono andati
alle maggiori testate.
Foto: D AP Photo/Luca Bruno (2)
Foto: uLa pagina degli scandali è chiusa», ha detto Renzi. Due giorni dopo, 4 arresti per gestione illecita degli
appalti
Foto: Si parte a Milano con Expo dei popoli. Poi la mobilitazione proseguirà in autunno a New York e Parigi
21/03/2015 28Pag. Left - ed. N.10 - 21 marzo 2015(diffusione:57256, tiratura:78653)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 84
Dal primo luglio requisti più severi sulle prestazioni energetiche ma manca chi controlla e sanziona i progettiirregolari La casa efficiente? Solo sulla carta* L'architetto Mario Cucinella: «Le imprese sono ancora impreparate e i controlli inefficaci» MASSIMO FRONTERA Gli edifici nuovi - o le ristrutturazioni oltre una certa soglia - i cui permessi di costruire saranno presentati agli
sportelli comunali dopo il primo luglio prossimo segneranno uno spartiacque rispetto alla produzione edilizia
attuale: cablati ma soprattutto efficienti dal punto di vista della prestazione energetica. La principale novità si
deve a una norma tecnica - sui cosiddetti requisiti minimi sull'efficienza energetica - che sta per essere varata
dalla conferenza unificata, per poi proseguire il percorso fino alla pubblicazione in «Gazzetta». Il nuovo
sistema di calcolo progettuale renderà gli edifici più efficienti sotto il profilo dei consumi. La data di
applicazione parte appunto dal primo luglio 2015. La predisposizione alla banda ultralarga, sempre dal 1
luglio, è prevista dal decreto Sblocca Italia. Ma questo è solo l'inizio. Dal primo gennaio del 2017 la quota di
consumo energetico da fonte rinnovabile dovrà passare dall'attuale 35% al 50 per cento. Il salto rappresenta
una notevole ulteriore accelerazione verso l'efficienza. L'obbligo normativo - su tutti i nuovi edifici e sulle
ristrutturazioni (oltre una certa dimensione) - sposterà gradualmente l'offerta su un prodotto edilizio avanzato,
per un mercato più maturo ed esigente. Il percorso verso il futuro è tracciato, almeno sulla carta. La
traduzione in realtà delle norme è tutta un'altra faccenda. E qualche dubbio c'è. «Il punto più debole credo sia
l'efficacia di questi provvedimenti nella concretezza», dice l'architetto Mario Cucinella, progettista da sempre
attento alle performance energetiche. E fa l'esempio di Casaclima a Bolzano: «Casaclima funziona perché c'è
un controllo sulla fase di progettazione e di cantiere». La verifica dei progetti spetta ai Comuni, ma gli uffici
tecnici non sono spesso adeguati al compito; e i controlli, quando ci sono, sono fatti sulla carta. «La Pa deve
adeguarsi: fare i controlli», aggiunge Cucinella. Le imprese sono un altro aspetto su cui intervenire. «C'è una
carenza nella fase della tecnica costruttiva. Serve un accompagnamento delle imprese con misure formative.
Il tema è concreto: abbiamo obiettivi vicini e servono azioni anche associative per la formazione». ERVIZI
ALLE PAGINE 2-3 Edifici sempre più efficienti sotto il profilo energetico, cablati, meno onerosi nella gestione.
La prima tappa è vicina. Dal primo luglio 2015 tutti gli edifici nuovi dovranno essere predisposti per la banda
ultralarga. Lo prevede il decreto Sblocca Italia. Ma un impatto ancora più rilevante avrà l'altra novità in arrivo:
il nuovo metodo di calcolo delle prestazioni energetiche degli edifici che avvia la progettazione verso il
traguardo dell'edificio a "energia quasi zero". Dopo una lunga discussione, le norme tecniche - in attuazione
del Dlgs n. 192/2005 sulle prestazioni energetiche in edilizia - stanno per essere varate dalla conferenza
unificata. In parallelo si lavora poi al Dm sulla certificazione, anch'esso in attesa di voto da parte della
conferenza unificata (si veda articolo nella pagina a fianco). EDIFICI PIÙ EFFICIENTI Le norme in arrivo
sono per i progettisti e prevedono una prima entrata in vigore appunto il 1 luglio 2015. A partire da questa
data - sempre che venga confermata quella indicata nelle bozze finora condivise - tutti gli edifici nuovi e
ristrutturati (oltre una certa dimensione), dovranno essere più efficienti. Un secondo giro di vite ci sarà nel
2019, per i soli edifici pubblici, e nel 2021 per tutti gli altri edifici. Di quanto saranno più efficienti gli edifici? «Il
nuovo calcolo - stima Gaetano Fasano , responsabile Enea dell'Unità tecnica per l'efficienza energetica -
dovrebbe portare a un taglio dei consumi del 15% rispetto a oggi; e intorno al 20-25% dal 2019-2021».
Progettisti e imprese dovranno familiarizzare con il nuovo sistema. Acquista per esempio rilievo l'involucro,
per il quale dovranno essere previste valutazioni specifiche di performance. La grande sfida resta quella
dell'intervento sul patrimonio esistente. «La nuova produzione edilizia rappresenta appena lo 0,7% dello
stock esistente - ricorda Fasano -. Le nuove norme dovrebbero incoraggiare a diffondere la demolizione e
ricostruzione. Per le scuole, per esempio, sappiamo che il 18% del patrimonio andrebbe demolito». IL NODO
DELL'APPLICAZIONE Le norme vanno poi calate nella realtà. I calcoli firmati dal progettista devono essere
controllati e verificati dal Comune, che può chiedere adeguamenti e, nei casi più gravi, anche sanzionare. Le
23/03/2015 1Pag. Edilizia e Territorio - ed. N.12 - 23 marzo 2015(tiratura:25000)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 85
regioni fanno le verifiche sull'attesato di prestazione energetica. Il fatto è che che gli uffici tecnici comunali
non sono spesso attrezzati per verificare i progetti, ne esaminano solo un campione estratto a caso, e quasi
mai ci sono sanzioni. In altre parole il controllo è spesso scarso o nullo. IL CASO DI TORINO L'esempio di un
grande Comune metropolitano come Torino è indicativo. Tutti i progetti vengono verificati da un team di 4
termotecnici di un'apposita struttura comunale, Fondazione Smart City, racconta Mauro Cortese, dirigente
dell'area Edilizia privata del Comune . «I controlli vengono fatti sui progetti, senza andare sul posto, e sono a
campione. La parte più consistente del campione viene dagli interventi con permesso di costruire (nuovi
edifici o ristrutturazioni dell'esistente) estraendo a sorte tra il 10-20% del totale. L'altra quota del campione
viene dagli interventi minori assentiti con Scia, Dia o Cil-Cila, solo nei casi in cui esiste la componente
energetica». Tuttavia, i controlli sono tutti a tavolino «vengono fatti sulle carte, senza andare sul posto».
Sanzioni? «Quasi mai». Il Comune di Torino diventa invece molto attivo, e occhiuto, nei progetti più
performanti sotto il profilo energetico cui vengono concessi sconti sugli oneri concessori. CONTROLLI,
SANZIONI, FORMAZIONE «Servono due cose per la fase attuativa - spiega sempre Fasano -: prima cosa le
sanzioni: una volta stabilito che le cose si possono fare, si deve anche stabilire che se non le fai paghi salato.
Controlli e sanzioni devono andare di pari passo. La seconda cosa è la formazione: bisogna cercare di
accompagnare il processo nella maniera più tranquilla e coerente, per spingere il mercato a fare sempre
meglio e affinare gli strumenti che ci sono per rendere le cose cogenti e aderenti alla realtà». IL RUOLO
DELLA FINANZA C'è poi il tema della bancabilità. «Servono strumenti economico-finanziari per
accompagnare misure di tipo tecnico perché la versa sfida e rappresentata dai circa 11 milioni di edifici
esistenti - dice Marco Caffi, direttore di Green Building council Italia - . I bonus fiscali hanno funzionato per i
singoli appartamenti ma non nei condomini. Servono dunque strumenti diversi. E la corretta progettazione è
fondamentale perché è il risparmio ottenuto con la riqualificazione che sostiene l'investimento. E tutto si
regge se i conti sono fatti bene. L'operatore deve essere attrezzato a livello operativo con l'industrializzazione
del processo. Serve un grande passo in avanti dall'industria delle costruzioni. Le Esco sono state una prima
risposta positiva a questo meccanismo che però, per decollare veramente, ha bisogno di incentivi». «E
bisogna anche saperlo spiegare bene agli utenti - conclude Caffi -: fare sì che un processo così complesso
sia reso disponibile come risultato a milioni di persone. G AETANO F ASANO
LE TAPPE DEL MIGLIORAMENTO Gli adempimentiA GRANDI TAPPE VERSO L'EDIFICIO A ENERGIA(QUASI) ZERO Performance energetiche più severe Dal 1 luglio 2015 Il decreto sui cosiddetti requisiti minimi
delle prestazioni energetiche degli edifici nuovi e ristrutturati, in discussione nella conferenza Stato-Regioni,
introduce un nuovo criterio di calcolo che incrementerà del circa 35% le performance energetiche dell'edificio
(impianti e involucro) La norma: bozza di Dm Mise-Ambiente-Mit-Salute-Difesa sul calcolo delle prestazioni
energetiche in attuazione del Dlgs 192/2005 Predisposizione della banda ultralarga Dal 1 luglio 2015 Il
decreto Sblocca Italia prevede che dal primo luglio tutti i nuovi edifici debbano avere una predisposizione alla
banda ultralarga e appositi spazi di servizio all'interno dell'unità abitativa La norma: Dl 133/2014, articolo 6-
ter, comma 2 Energia da fonti rinnovabili Dal 1 gennaio 2017 Il consumo di energia elettrica previsto in
progetto dovrà essere ottenuto per almeno il 50% da fonti di energia rinnovabili. Oggi la quota è pari al 35%.
L'obbligo vale per gli edifici pubblici e privati, abitativi e non residenziali La norma: Dlgs 28/2011, allegato 3
Ricarica veicoli elettrici Senza scadenza La diffusione di punti di ricarica presso condomini ed edifici pubblici
è previsto (e finanziato) da un apposito Piano nazionale approvato da Regioni, enti locali e Governo e
finanziato dallo Stato La norma: Piano approvato con Dpcm 26 settembre 2014 e pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale 2 dicembre 2014
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 86
dalle Aziende Novità dal mondo dell'ingegneria Artelia Italia e Intertecno Un "merge" tra presente e futuro Abbiamo incontrato la dirigenza di Artelia Italia praticamente all'indomani dell'acquisizione di Intertecno,Ripercorriamo le tappe dell'operazione e gettiamo uno sguardo in avanti sul futuro di medio periodo Perché l'operazione Intertecno? Perché il gruppo francese Artelia decide di investire in Italia? L'acquisizione
di Intertecno rappresenta per Artelia Italia un importantissimo traguardo nel processo di crescita iniziato
qualche anno addietro. Artelia Italia, affiliata italiana del gruppo multinazionale francese di ingegneria e di
Project Management Artelia, è presente in Italia dal 2002, per seguire le attività nel nostro paese di un
importante cliente operativo nel settore "retali". Negli anni abbiamo diversificato la nostra attività nei vari
settori delle costruzioni, cooperando quale partner tecnico con importanti clienti multinazionali nel settore
"retail" petrolifero, bancario e commerciale e diventando in pochi anni leader nel settore cosiddetto "multi-
site". Il successo conseguito negli anni in Italia ha portato il management di Artelia a definire una strategia di
crescita nel Paese che ha portato alla recente unione delle esperienze e professionalità di Artelia Italia con
quelle di un importante società di ingegneria italiana, Intertecno, con cui condividiamo filosofia di lavoro e di
attitudine nei confronti dei Clienti. Con l'operazione acquisite credo anche il portafoglio commesse di
Intertecno. Può fornirci qualche dettaglio? Uno degli scopi strategici del nostro progetto è creare sinergie ed
allargare la nostra offerta di ingegneria e project management. L'operazione di acquisizione avviene, voglio
sottolineare, nel segno della continuità operativa di Intertecno, con un forte impegno da parte del
management attuale a rimanere nell'ambito del gruppo per continuare a fornire i servizi di alto profilo che
hanno caratterizzato negli anni Intertecno, sia ai Clienti in portafoglio, sia a nuovi Clienti. L'obiettivo è dunque
unire le forze, le competenze e le referenze per creare un'entità più solida e forte, con forte vocazione
internazionale e multinazionale (Artelial, ma fortemente radicata nel tessuto italiano (Irìfertecno). Intendiamo
così porci come "centro di eccellenza", e quale partner tecnicostrategico per i nostri selezionatissimi clienti,
che intendiamo supportare nei loro progetti di sviluppo e di costruzione in Italia ed all'estero tramite un
soggetto solido finanziariamente e tecnicamente avanzato sia nelle tematiche di ingegneria che di project
management. L'acquisizione si inquadra in una più ampia strategia di consolidamento all'estero. In che area
geografica pensate di concentrarvi e in quale segmento? Il perimetro di interesse principale di Artelia Italia
rimane l'Italia. Con l'acquisizione di Intertecno intendiamo non solo rafforzare la presenza in Italia, ma anche
creare una sorta di "hub" dell'ingegneria, che possa fungere da ponte per i paesi del Mediterraneo, del Medio
Oriente e dell'Africa subsahariana, anche sfruttando la presenza estera di Intertecno. I segmenti di maggior
interesse sono le costruzioni nell'edilizia terziaria, commerciale ed alberghiera di alta gamma. Parliamo di
dati: può illustrarci brevemente i principali numeri con i quali Artelia ha chiuso il 2014? E quali invece i numeri
della neo-acquisita? Abbiamo chiuso positivamente l'ennesimo duro anno di crisi che, come sa bene, è
particolarmente sentita nel nostro settore. Nonostante una lieve flessione del fatturato, abbiamo mantenuto il
nostro target di circa 12MO di fees. Intertecno ha chiuso con un valore di fatturato in servizi tecnici del tutto
simile. Ci affacciamo al 2015 quindi con un gruppo da circa 25MD di fatturato e circa 200 dipendenti,
ponendoci nella fascia alta delle società di ingegneria in Italia. Più in generale Ing. Scicolone, intravedete
segni di ripresa per il 2015 da poco iniziato o crede che anche quest'anno sarà buio sotto il profilo della
crescita per il comparto immobiliare e delle costruzioni più in generale? Veniamo dalla recentissima
acquisizione di una società in Italia, con un significativo investimento dei nostri azionisti francesi; dobbiafffò
"quindi necessariamente essere positivi e credere nella ripresa. I segni di un'inversione di tendenza tuttavia
sono difficili da scorgere. Ma noi lavoriamo con entusiasmo e fiducia nelle mostre risorse e consapevolezza
dei nostri valori. Se è vero che già dall'ultimo quarter del 2014 abbiamo registrato un forte impulso nelle
opportunità che il mercato ci offre, con un sensibile aumento delle offerte di servizi, non posso non ricordare
che anni di crisi hanno comportato problematiche ormai "strutturali". L'abbattimento della remunerazione delle
attività di ingegneria oltre i livelli di guardia affligge da anni il nostro settore, con una concorrenzialità spesso
21/03/2015 28Pag. RE Real estate - ed. N.116 - febbraio 2015(tiratura:20000)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 87
eccessiva che non va a vantaggio delle committenze, quando si intacca la qualità e quantità delle risorse: è
una spirale negativa che va invertita reintroducendo fiducia negli investitori e cultura dell'ingegneria. Una
domanda all'lng. Alberto Romeo, nuovo AD di Intertecno; cosa ha guidato la vostra scelta di entrare a far
parte del gruppo Artelia? Quali le prospettive? L'ingresso di Intertecno nel Gruppo Artelia è un nuovo ed
ulteriore segno del dinamismo di Intertecno e della nostra attitudine a guardare al futuro. L'operazione è il
frutto di una scelta reciproca, intrapresa con la finalità di esaltare le caratteristiche e le potenzialità di
ciascuna parte, sfruttandone al meglio le qualità e aumentando l'efficienza nell'erogazione dei servizi di
ingegneria e project management a beneficio dei nostri clienti. Intertecno partecipa a questo progetto di un
polo dell'ingegneria in Italia con grande energia, mantenendo la propria individualità a livello societario ed il
proprio management e mettendo a disposizione la propria struttura operativa, collaudata da oltre quarant'anni
di esperienza e successi nei settori del terziario avanzato, degli alberghi di alta gamma, degli uffici di pregio,
della sanità, ed in generale dell'ingegneria innovativa e di qualità. L'appartenenza ad un grande gruppo
internazionale ci da' maggiore forza e solidità in Italia, e maggiore credibilità sul mercato internazionale. Noi
porteremo il nostro patrimonio di conoscenze ed esperienze, mantenendo il nostro usuale approccio alle
esigenze dei nostri Clienti, connotato da grande flessibilità e da grande attenzione alle peculiarità di ogni
progetto. Le prospettive? Eccellenti!
ARTELIA GROUPE ARTELIA
Foto: II "management team" di Artelia Italia ed Intertecno nel giorno dell 'acquisizione. Da sx a dx. la dirigenza
di Artelia Italia: Ing. Paolo Alberti (Executive Manager!, Dott, Panilo Lauroni ICFOI, Ing. Marco Mansueti
(Direttore Generale!, Ing. Gabriele Scicolone /ADÌ, M. Benoit Clocheret [CEO Gruppo Artelia!, M. Antoìne
Pigot {Managing Director Artelia International! A seguire i soci uscenti di Intertecno, oggi nel gruppo dirigente
della società: Arch. Pier Paolo Vecchi (Vice Presidente! Ing. Domenico Baudille, Ing. Paolo Zuccaia
(Business Dev. Manager! Ing. Alberto Romeo /AD! Ing. Enrico Bonetti, Ing. Giuseppe Baudille
21/03/2015 28Pag. RE Real estate - ed. N.116 - febbraio 2015(tiratura:20000)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 88
Chiacchiere e Mattoni DISMISSIONI PUBBLICHE AL VIA IL BANDO PER GLI IMMOBILI DELLA DIFESA E' stato pubblicato sul sito del notariato (www. notariato.it) il primo bando d'asta per le dismissioni degli
immobili residenziali del Ministero della Difesa attraverso a Rete Aste Notarili (RAN), I sistema del Consiglio
Nazionale del Notariato per la gestione delle aste in via telematica attraverso la rete dei notai abilitati sul
territorio. I Ministero della Difesa ha infatti recentemente rinnovato la convenzione con il Consiglio Nazionale
del Notariato per il suo programma di dismissioni immobiliari che avrà durata di 3 anni e che per la prima
volta utilizzerà il sistema di aste via web creato dal Notariato. Le aste relative al primo bando pubblicato
riguardano 637 immobili liberi in 13 regioni (Abruzzo, Campania, Emilia - Romagna, Friuli Venezia Giulia,
Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Veneto) per un valore complessivo
presunto di oltre 105 milioni di euro (prezzo base d'asta). L'elenco degli immobili e il disciplinare d'asta sono
pubblicati sul sito: www.notariato.it/it/aste. Tra il 17 febbraio e l'I 1 marzo è previsto lo svolgimento delle 637
aste principali senza incanto, riservate ai dipendenti in servizio del Ministero della Difesa.Il prezzo base degli
immobili è stato fissato, in base a quanto previsto dalla normativa (legge di stabilità 2015), applicando una
riduzione del 20% rispetto al valore di mercato, indicato nelle valutazioni elaborate dal Ministero della Difesa
e congruite dall'Agenzia del Demanio. Inoltre è previsto dalla normativa che, limitatamente al personale della
Difesa in servizio, prezzo definitivo di acquisto sarà poi determinato applicando al prezzo di aggiudicazione
dell'Asta un ulteriore riduzione, variabile da un minimo del 10% (per un reddito del nucleo familiare superiore
a 65.000,00 euro) a un massimo del 25% (per reddito del nucleo familiare minore o uguale a ^3.644,32 eu'o).
Seguirà tra il 12 e il 25 marzo lo svolgimento delle Aste residuali senza incanno, aperte alla partecipazione di
tutti i cittadini ed aventi ad oggetto i lotti non aggiudicati con l'Asta principale. NEINVER E TH REAL ESTATE
INSIEME NEL DESIGNER OUTLET NEINVER e TH Real Estate, per conto di TIAA-CREF, hanno siglato una
partnership strategica mirata alla creazione di una piattaforma leader in Europa nel segmento dei designer
outlet. La partnership rafforza due operatori di primo piano nel settore degli outlet mali. La joint venture
investirà in numerosi outlet mali, concentrandosi inizialmente sul portafoglio esistente di NEINVER e sulla sua
pipeline di sviluppo in ambito europeo. NEINVER continuerà a garantire le proprie competenze specialistiche
e dedicate di gestione e operative all'intero portafoglio. La partnership -joint venture paritetica fra i due soci -
è stata avviata con l'acquisizione, da parte di TH Real Estate, del 50% di Roppenheim The Style
ACQUSIZIONI DUFF & PHELPS ACQUISTA AMERICAN APPRAISAL Duff & Phelps, società leader nella
valutazione e nella consulenza, ha annunciato l'acquisizione del Gruppo American Appraisal. REAG, player
internazionale nella valutazione immobiliare che fa capo ai Gruppo American Appraisal, continuerà a operare
come società autonoma e potrà fare affidamento su un network internazionale ancora più ampio. Sempre
grazie a questa operazione REAG amplierà ulteriormente la già estesa gamma di servizi di consulenza
altamente specializzati. Leo Civelli, CEO di REAG-Real Estate Advisory Group HA commentaTO: "Confesso
di essere molto contento e particolarmente orgoglioso che da oltreoceano si sia manifestato un interesse così
importante per il Gruppo American Appraisal e, di conseguenza, per REAG, azienda che ho avuto l'onore di
fare crescere e di guidare in Europa per oltre 20 anni. Penso che la costanza di tutti i miei più stretti
collaboratori, che sino a oggi hanno supportato il mio operato, sìa stata davvero premiata". Conclude Paola
Ricciardi, Presidente di REAG-Real Estate Advisory Group: "La transazione interessa tutto il Gruppo
American Appraisal e potenzia notevolmente la presenza di REAG in ambito internazionale. Credo che
entrare a fare parte di un Gruppo così prestigioso ci stimoli a lavorare sempre con maggiore professionalità e
soprattutto con un rinnovato entusiasmo. Ritengo, quindi, che si aprano molte inattese prospettive e che tutti i
colleghi possano beneficiare di un'ottima opportunità di crescita". S&P VERSO PATTEGGIAMENTO
Standard & Poor's si appresta a patteggiare il pagamento di 1,37 miliardi di dollari per risolvere le dispute con
il Dipartimento di Giustizia e una decina di stati americani. Standard & Poor's e' accusata di aver ingannato gli
21/03/2015 46Pag. RE Real estate - ed. N.116 - febbraio 2015(tiratura:20000)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 89
investitori con i rating sui mutui, che si sono rivelati inaccurati. Lo riporta il Wall Street Journal citando alcune
fonti. LUSSO E REAL ESTATE DUBAI TORNA SULLA CRESTA DELL' ONDA I trend di crescita del mercato
immobiliare di Dubai sono tornato ancora una volta da capogiro. Si parla di interi progetti immobiliari venduti
da un giorno all'altro, senza battere ciglio. Secondo il Knight Frank's Prime Global Cities Forecast, che ha
monitorato lo stato di salute dei Paesi arabi nell'ultimo hanno, il mercato di Dubai, al pari di New York, è uno
dei più effervescenti: si stima che nel 2015 le case di lusso subiranno un ulteriore aumento di prezzi,
nell'ordine di +10% nel corso dei prossimi 12 mesi. Un trend che evidenzia quanto la domanda abitativa stia
crescendo ed alimentando il settore, con alcune peculiarità specifiche. Dubai è dunque tornata a splendere,
dopo il periodo della crisi finanziaria che, partendo dal crack della Lehman Brothers aveva coinvolto anche la
piccola città stato parte degli Emirati Arabi Uniti (UAE) innescando un'inarrestabile caduta dei prezzi degli
immobili (oltre il 60 per cento), e un debito nazionale di oltre cento miliardi di dollari (70 miliardi di euro). La
ripresa è iniziata nel 2013 e le statistiche non lasciano dubbi: i prezzi degli immobili sono cresciuti del 40 per
cento e gli investimenti esteri sono cominciati a rifluire copiosi nel paese. Per tutelarsi dal rischio di nuova
bolla immobiliare le autorità locali hanno raddoppiato le tasse di registro sugli immobili dal 2 al 4 per cento per
disincentivare eventuali speculazioni. Inoltre sono state anche stabilite limitazioni sulle concessioni di mutui
per ridurre l'utilizzo della leva finanziaria e non esporre eccessivamente i progetti alle incertezze del mercato
dei capitali. SISTEMI DI VENTILAZIONE THESAN LANCIA AIRCARE ES INNOVAZIONI SOSTENIBILI
Thesan, spin-off innovativo dedicato al green building della Savio Spa, ha da poco presentato sul mercato
una nuova versione delTAircare, il sistema di ventilazione controllata per migliorare la qualità negli spazi
indoor come case, scuole e uffici. L'Aircare ES garantisce un corretto ricambio d'aria negli ambienti
prelevando, filtrando e pre-riscaldando, grazie a uno scambiatore di calore, l'aria fresca che proviene
dall'esterno. Per riscaldare l'aria fredda proveniente dall'esterno, sulTAircare ES è installato uno scambiatore
di calore "entalpico" che permette di recuperare, oltre al calore sensibile, anche il calore presente nel vapore
acqueo. Lo scambiatore assicura un'efficienza massima del 75 per cento e riduce notevolmente i consumi
energetici legati al sistema di ventilazione controllata. "Il nuovo Aircare è indicato sia per i climi temperati, con
situazioni di freddo invernale significative e necessità di riscaldamento interno, spiega Massimo Paci,
direttore Air Quality &? Energy Saving di Thesan, che per gli ambienti con alte temperature estive che
richiedono un condizionamento ed una climatizzazione interna". Aircare si posiziona tra il traverso superiore
del telaio finestra e il muro e assicura tra i 17 e i 43 metri cubi di aria nuova all'ora per stanza, in linea con le
normative internazionali, ed è regolabile in base alle diverse esigenze di utenti ed edificio. Aircare è un
sistema di ricambio dell'aria con un design targato Pininfarina che, grazie alla solida esperienza nell'interior
design, ha dato vita ad un concept capace di integrarsi perfettamente in ogni ambiente, dalla casa all'ufficio e,
allo stesso tempo, dotato di un chiaro carattere estetico. Aircare BS è infatti caratterizzato da un design
compatto, ultra-piatto e modulare, valorizzato da linee pure ed essenziali compatibili con stili di interior design
differenti. "Forti della lunga collaborazione con Savio abbiamo affrontato con entusiasmo il progetto Aircare
ha dichiarato Paolo Pininfarina, presidente del Gruppo, combinando estetica e tecnologia abbiamo dato vita
ad un prodotto innovativo capace di migliorare il benessere degli ambienti". In assenza di un adeguato
ricambio d'aria, sempre più dovuto all'iper-isolamento termico degli edifici, gli ambienti domestici risultano più
inquinati del 50 per cento rispetto a quelli esterni. Aircare è progettato per ridurre inquinanti subdoli e interni
alla casa, come il radon, e proteggere da eventuali polveri e particene di smog che possono insinuarsi in casa
dall'ambiente esterno. Aircare è una tecnologia che può prevenire anche forme di Sick Building Syndrome
(SBS) o Sindrome dell'edificio malato, una serie di patologie dovute a una concentrazioni importanti di
contaminanti fisici e biologici negli edifici. LA CASA D'ACQUA RIVOLUZIONERÀ IL GREEN BUILDING Una
casa fatta d'acqua per rivoluzionare il concetto di green building. Ideata e realizzata da Matyas Gutai,
ungherese 34enne, che è riuscito a isolare le pareti con il più naturale dei liquidi inserito nell'intercapedine di
due lastre di vetro. Inventato anche il sistema di controllo per ridurre l'energia necessaria per il riscaldamento
dei singoli ambienti. Il costo della piccola casa d'acqua si aggira sui 50mila euro, frutto di finanziamenti
21/03/2015 46Pag. RE Real estate - ed. N.116 - febbraio 2015(tiratura:20000)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 90
ungheresi ed europei. Il funzionamento della struttura prevede che l'energia termica resti immagazzinata nelle
fondamenta della costruzione e sia rilasciata quando necessario in base alla temperatura impostata nel
sistema di regolazione del calore. L'inventore sostiene che pareti di vetro della giusta misura possano fare a
meno di una struttura portante. La copertura della casa e le sue tamponature sono in alluminio rivestiti in
listelli di legno con l'intercapedine piena d'acqua, liquido che, a conti fatti, protegge fino al 70% dell'edificio. La
casa è stata costruita a Budapest e, per la precisione, nel cortile di un magazzino: "In nessun'altra struttura,
ha spiegato Gutai, si è completamente circondati da volumi d'acqua che, con le sue proprietà naturali e
attraverso il processo di trasferimento di calore convettivo, è in grado di spostare l'energia dove serve.
L'inventore però, non nasconde che i costi per la costruzione della struttura siano maggiori rispetto a un
analogo edificio realizzato però, con le lavorazioni tradizionali. ARREDO URBANO AL VIA MYPLANT &
GARDEN Per la prima volta una fiera propone al mercato un'offerta espositiva e di business che mette in
collegamento diretto il florovivaismo e l'edilizia: anche questo è Myplant &? Garden, la nuova fiera
professionale del florovivaismo e del garden che aprirà i battenti dal 25 al 27 febbraio 2015 nei padiglioni di
PieraMilano RhoPero. Patrocinata da Expo SO 15 e riconosciuta ufficialmente internazionale sin dalla prima
edizione, Myplant 8e Garden International Green Expo conta già a inizio gennaio oltre 230 aziende aderenti.
Oltre a costituire un'importante vetrina italiana del verde, Myplant per la prima volta propone un'area speciale
in cui metterà in collegamento diretto il florovivaismo e l'edilizia specializzata nella costruzione,
ristrutturazione e valorizzazione degli spazi verdi, dai piani urbanistici alle ciclovie, dalle infrastnitture leggere
ai piani di miglioramento delle aree urbane e metropolitane. A corredo, un ricco palinsesto di mostre, incontri
(anche formativi per i professionisti) e convegni dedicati alla pianificazione, alla riqualificazione, alla messa in
sicurezza dei territori, e un evento d'eccezione: la conferenza stampa ELCA (European Landscape
Contractors Association) dedicata al ruolo delle Green Infrastructures europee per migliorare le aree
urbane/metropolitane. Nell'area Green Space Solutions, dedicata a edilizia, architettura e design per il verde,
nella quale troveranno opportunità di incontro imprese, PPAA, designer, progettisti, contractors internazionali,
avranno spazio due progetti speciali. Il primo, 7Cereali, è uno spazio espositivo e di matching che nasce dalla
considerazione che la riqualificazione urbana, unita alla valorizzazione del paesaggio, si traduce in business
e occupazione da un lato, e offerta di benessere dall'altro. Riqualificare e rinaturalizzare gli spazi urbani ed
extraurbani tenendo conto della componente florovivaistica significa offrire ulteriori occasioni di sviluppo del
territorio. Le nuove aree verdi diventano luoghi di sosta, transito e riposo, con servizi annessi, generano uno
sviluppo turistico multiforme, creano le condizioni per la messa a reddito degli spazi. Il secondo, Outdoor
Sleeping, è un'Expo area riservata a una serie di proposte innovative per il pernottamento all'aperto. Un tema
turistico di grande portata, in costante crescita, che permette a designer, architetti e paesaggisti di cimentarsi
nella progettazione e realizzazione di veri e propri nidi all'aperto e night gardens in cui pernottare,
permettendo di vivere una vacanza all'insegna del rispetto ambientale e del contatto, tutela e riscoperta degli
spazi verdi. Una nuova esperienza per vivere il paesaggio, un'offerta ricettiva alternativa e nuova, un nuovo
modo di valorizzare e mettere a reddito gli spazi verdi.
Chi è TTAA Henderson ReaJ Estate TIAA Henderson Real Estate (TH Red Estate) è una società di
gestione di investimenti specializzata in investimenti immobiliari e strumenti di debito nel comparto
immobiliare a liveio mondiale. Tra i principali gestori in ambito immobiliare al mondo, THReal Estate ha la
portata, le risorse di capitale e le conoscenze adatte a offrire ai clienti soluzioni di investimento creative ed
efficaci nel settore. Con una specifica attenzione per i comparti retai, uffici, logistica, debito e multi-family, TH
Real Estate pone l'accento su processi sostenibiliper tutelare gli asset e massimizzarne il valore. Lanciata
nell'aprile 2014, la società gode di una presenza globale dedicata, con uffici dislocati in tutta l'Asia e l'Europa
e asset in gestione nel settore immobiliare per un totale di circa $25,2 miliardi, su circa 50 fondi e mandati.
Insieme, la piattaforma immobiliare TIAA-CREF e la piattaforma TH Real Estate costituiscono una delle
maggiori imprese al mondo per quanto conceme la gestione degli investimenti nel comparto immobiliare, con
un totale di asset in gestione nel settore pari a circa $79 miliardi. La società è di proprietà di TIAA-CREF
21/03/2015 46Pag. RE Real estate - ed. N.116 - febbraio 2015(tiratura:20000)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 91
(60%) e Henderson Global ìnvestors (40%), che insieme vantano più di 90 anni di esperienza nel settore
immobiliare globale. I relativi prodotti sono gestiti da team specializzati che applicano la propria esperienza
alla gestione e allo stile dei rispettiviporiafogh. Ciascun team è coadiuvato da un esperto team digestione
senior e da una piattaforma di investimento integrata, che comprende finanza, gestione debiti e valute, analisi
di performance, servizio clienti, strutturazione fondi e operazioni, sviluppo, sostenibilità e ricerca. T1AA
Henderson Real Estate Limited (TH Real Estate) è una holding di gestione di investimenti immobiliari di
proprietà di Teachers Insurance and AnnuityAssociation ofAmerica (T1AA) e di Henderson Global ìnvestors.
Iprodotti azionari di TH Real Estate distribuiti in America settentrionale beneficiano della consulenza di
controllate di diritto bntannico o di TIAA-CREF Altematives Advisors, LLC, società di consulenza per gli
investimenti interamente controllata da TIAA e sono distnbuitida Teachers Personal Ìnvestors Services, Inc.
Chi è NEINVER NEINVER è un'azienda leader nel settore dello sviluppo, degli investimenti e delle gestioni
immobiliari. Sin dalla sua fondazione, nel 1969, NEINVER si è occupata della realizzazione, della locazione e
della gestione di un'ampia gamma di immobili, tra cui parchi commerciali e industriali, oltre a spazi retali.
Negli ultimi 15 anni, NEINVER ha sviluppato oltre 1 milione e 500mila m? di immobili industriali secondo le
esigenze dei singoli clienti. NEINVERha consolidato il proprio posizionamento sul mercato retali europeo con
565,100 m brand. Il Gruppo opera in Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo e Spagna. Da
ventanni, la strategia di crescita di NEINVER si fonda sulla specializzazione, in particolare nel settore degli
outiet L'azienda spagnola risulta oggi secondo gestore di outiet (in base alla classifica ICSQ, con 15 centri e
un totale di 311.600 m (superficie lorda affittabile), gestiti attraverso i marchi The Style Outlets e FACTORY.
A NEINVER è stato inoltre riconosciuto dai principali marchi intemazionali il secondo posto per affidabilità tra i
gestori di outiet (Ecostra-Magdus 2013). Fra ì valori di NEINVER, vi è la rispondenza della propria operatività
ai principi di sviluppo sostenibile e responsabilità sociale. H Gruppo è stato il primo del settore a ottenere la
certificazione intemazionale BREEAMIn-Use per l'intero portafoglio outiet in Europa.
21/03/2015 46Pag. RE Real estate - ed. N.116 - febbraio 2015(tiratura:20000)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 92
L'integrazione La maxifusione tra le Coop Gruppo da 4 miliardi Francesco Di Frischia Semaforo verde per la fusione tra le tre grandi cooperative di consumatori del distretto adriatico: Coop
Adriatica, Coop Estense e Coop Consumatori Nordest daranno vita alla più grande coop italiana con 2,6
milioni di soci e 4,2 miliardi di euro di fatturato. Il Gruppo conta 334 punti vendita, di cui 45 ipermercati e
19.700 dipendenti. Ieri il progetto di fusione è stato votato all'unanimità dai consigli di amministrazione delle
tre cooperative nelle loro sedi di Bologna, Modena e Reggio Emilia. «Con questa scelta - spiegano - si vuole
contribuire a sostenere e rilanciare ruolo ed efficacia della missione cooperativa sia nelle regioni del Nord che
del Sud del Paese, confermando la idoneità e l'utilità del modello cooperativo anche in realtà sociali molto
diverse». La nuova nata opera nei settori finanziario, immobiliare, assicurativo, turistico, della comunicazione
e delle librerie.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 94
INTERVISTA «Telecom, la svolta è partita Resteremo leader nella rete» Recchi: investimenti per 10 miliardi per lo sviluppo del Paese Federico De Rosa Il ritorno all'utile non è solo una buona notizia per gli azionisti. Giuseppe Recchi lo ritiene «il segno di un
cambio di pelle per Telecom Italia». Al primo giro di boa del nuovo board, il presidente del gruppo telefonico è
più che soddisfatto: «Le società - spiega - passano attraverso i cicli economici e a volte si deve giocare in
difesa. Oggi è in atto un nuovo corso e Telecom ha l'ambizione di voler guidare un grande progetto
industriale e la nuova generazione tecnologica».
Il punto di svolta è rappresentato dal bilancio, tornato in utile per 1,3 miliardi di euro. «E' la dimostrazione che
siamo sulla strada giusta, la squadra sta funzionando bene e la transizione verso il modello public company
sta dando risultati. Si vede anche dalla forte risposta del mercato al bond convertibile da 2 miliardi collocato
ieri».
Perchè parla di un cambio di pelle?
«È in atto un nuovo corso. Due anni fa non c'era il 4G, l'ultra broadband, gli smartphone con schermi sempre
più grandi e la possibilità di un vero multitasking. Sono cose che cambiano il profilo della domanda,
sostituendo un trend che per la telefonia era decrescente con una prospettiva di crescita legata a un utilizzo
più ampio e intensivo della rete. Il nostro piano strategico coglie in pieno questo cambiamento. Telecom ha
stanziato 14,5 miliardi di investimenti, di cui 10 in Italia nei prossimi tre anni, per guidare lo sviluppo digitale
del Paese. Nessuno in Italia investe quanto noi ».
Oltre al vostro c'è anche il piano del governo: siete in concorrenza o in sinergia?
«Credo che un Paese che voglia attrarre investimenti debba dotarsi di un piano industriale e di un quadro di
regole certe. Tradizionalmente in Italia sono mancati entrambi, ma finalmente nelle telecomunicazioni si è
fatto un passo importante fissando degli obiettivi e una strategia. I target di copertura vanno interpretati come
obiettivi di sviluppo del Paese. In questa ottica i nostri obiettivi, essendo orientati a sviluppare velocemente la
rete, sono sinergici e complementari. Perchè questo avvenga è necessario però che ognuno faccia la propria
parte: lo Stato creando le condizioni per gli investimenti e per lo sviluppo della domanda; l'authority con un
quadro regolatorio che punti a garantire condizioni equilibrate di mercato; i privati con i loro investimenti. La
massima sinergia tra questi tre soggetti garantisce lo sviluppo. Se si mischiano i ruoli, con il rischio di creare
pericolosi conflitti di interesse, usciamo dalla logica di mercato e non facciamo il bene del Paese».
I concorrenti che ruolo possono avere?
«Possono partecipare anche loro alla realizzazione dell'infrastruttura, come è stato fatto nella telefonia
mobile. Poi c'è chi investe in tutto il Paese come noi, partecipando anche ai bandi per le regioni del Sud, e chi
preferisce utilizzare le infrastrutture degli altri».
La società delle rete può essere una soluzione?
«Gestire la realizzazione di una rete "in condominio" non è efficiente. La rete è fatta di software, server,
tecnologie diverse e quindi ciascuno deve poter scegliere in autonomia. Ogni operatore ha sue idee, strategie
e modello di business. Si rischia l'impasse. La tecnologia è il primo campo di competizione tra le aziende».
Dopo la lettera d'intenti tra Vodafone e Metroweb, avete archiviato il dossier?
«Non capisco questa ossessione sulla proprietà della rete Telecom. Il nostro compito è trovare opportunità
che creino valore per l'azienda alle giuste condizioni. Siamo la prima società del Paese per risorse e know
how, come manager siamo chiamati a valorizzarli correttamente. Solo nella rete lavorano oltre 20.000
persone, risorse di cui il nostro Paese deve essere orgoglioso».
Sul mercato c'è attesa per l'ingresso di Vivendi nell'azionariato. State già valutando cosa fare insieme?
«Qualunque azionista è il benvenuto, soprattutto se porta valore e capacità di competere. Non è un mistero
che i servizi di quadplay (telefonia fissa, mobile, Internet e tv) siano un trend del nostro settore».
21/03/2015 47Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 95
A che punto è la transizione verso la public company?
«La governance di Telecom è un cantiere aperto. Alla prossima assemblea proporremo ulteriori modifiche
dello statuto per una sempre maggior apertura al mercato. Anche questo è un modo per creare valore, valore
condiviso per tutti gli stakeholder. Mi sembra che ci stiamo riuscendo».
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Il gruppo telefonico a Piazza Affari Ieri 1,094 euro -0,09% GENNAIO 5 19 2 16 2 16 FEBBRAIO MARZO
1,158 1,097 1,036 0,975 0,914 0,853 0,792 d'Arco
Foto: Giuseppe Recchi, presidente del consiglio di amministrazione di Telecom Italia
Foto: Gestire la realizzazio- ne di una rete "in condomi-nio" non è un sistema efficiente
Foto: La governance è un cantiere aperto. Con una sempre maggior apertura al mercato
21/03/2015 47Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 96
Sussurri & Grida C'è la lista, Montepaschi conferma Profumo e Viola ( f.mas. ) C'è voluta quasi una settimana di mediazioni tra la Fondazione Mps (2,5%) e i soci del patto di
sindacato Fintech Advisory (4,5%) e Btg Pactual (2%) per l'ok ai 7 candidati al board di Mps per l'assemblea
di aprile. Nonostante il presidente dell'ente senese Marcello Clarich e la vice Bettina Campedelli siano finiti in
minoranza sulla candidatura - confermata - della manager senese di Conad Tirreno, Fiorella Bianchi, non ci
sono sorprese: confermati Alessandro Profumo, Fabrizio Viola, Chris Whamond, Roberto Isolani, Fiorella
Kostoris e Lucia Calvosa (proposte dalla Fondazione). Gli occhi sono puntati ora sulle liste di Axa (3,7%) e -
se confermata - di Alessandro Falciai (1,7%) che si divideranno i restanti 7 posti. Alla seconda lista (su tre), a
seconda dei voti, andranno 4 (o addirittura 5 ) posti: i francesi si assicurerebbero così una presa salda nella
governance, anche in vista del futuro merger di Mps con un'altra banca.
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Ansaldo Energia, il primo bond
( c.tur. ) Mandato a sette banche per il primo bond di Ansaldo energia. La società genovese guidata dal ceo
Giuseppe Zampini ( foto ) ha incaricato Unicredit, Bnp Paribas, Hsbc (coordinatori del consorzio), Imi, Credit
agricole, Commerzbank e Santander (joint bookrunner) per il prestito obbligazionario fino a 400 milioni con
scadenza 2022. Il road show partirà la prossima settimana per incontrare gli investitori istituzionali sulle
principali piazze europee e il collocamento terminerà con la fissazione della cedola subito prima di Pasqua.
L'emissione serve a rimborsare i prestiti contratti quattro anni fa. I soci, ossia il Fondo strategico con il 45% e i
cinesi di Shanghai electric al 40%, si apprestano a rifinanziare l'intero debito del produttore di turbine per
impianti di generazione, che vale circa 1,2 miliardi di ricavi. È stato infatti definito con lo stesso pool di istituti
anche un nuovo prestito rotativo di 350 milioni. Con questo assetto patrimoniale, Ansaldo energia conta di
presentarsi l'anno prossimo all'appuntamento con l'ipo a Piazza Affari.
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Alibaba, doppio accordo
con Intesa e Unicredit
Intesa Sanpaolo e Unicredit partener del leader cinese dell'e-commerce Alibaba. Obiettivo: la penetrazione
nel mercato cinese dei marchi di moda, alimentare, cosmesi e infanzia delle pmi nazionali. Il tutto con la
benedizione del governo di Roma che dieci mesi fa ha firmato una lettera d'intenti con il colosso fondato da
Jack Ma. L'iniziativa congiunta - presentata ieri anche da Paolo Fiorentino, chief operating di Unicredit, e da
Stefano Barrese, capo dell'area sales e marketing di Intesa - nasce con il brand E-Marco Polo e si avvale
della piattaforma Tmall global per la vendita online dei prodotti «made in Italy», senza necessità di uffici e
logistica diretta a Pechino o Shanghai. In pratica un'infrastruttura web B2C (dalle imprese ai consumatori) che
consente di raggiungere centinaia di milioni di clienti, assicura Maggie We, general manager di Tmall. Con
287 miliardi di dollari le vendite retail online in Cina hanno superato quelle in Usa.
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21/03/2015 49Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 97
I rincari in agguato fate prima la legge di stabilità Alberto Alesina e Francesco Giavazzi Nonostante tagli per circa 10 miliardi di euro nell'anno in
corso, la legge
di Stabilità non è riuscita
a fermare la crescita della spesa pubblica. La spesa delle amministrazioni pubbliche scenderà leggermente
nel 2015,
da 835 a 829 miliardi di
euro, per poi risalire a 850 miliardi nel 2017, una cifra sostanzialmente identica al livello di spesa (854
miliardi) che si sarebbe raggiunto se non fosse stata approvata alcuna legge di Stabilità (dati del ministero
dell'Economia rielaborati da Francesco Daveri su lavoce.info ).
L'incapacità del governo
di aggredire la spesa, che continua ad assorbire oltre
la metà del reddito nazionale, è particolarmente preoccupante perché la stessa legge di Stabilità include una
«clausola
di salvaguardia» che
si attiverebbe automaticamente qualora venissero mancati gli obiettivi di finanza pubblica. Se nelle prossime
due leggi di Stabilità (per il 2016 e 2017) il governo non riuscisse a ridurre il deficit di 17-18 miliardi circa in
ciascun anno, scatterebbe automaticamente un aumento dell'Iva. L'aliquota oggi al 10% salirebbe al 12
nel 2016 e al 13 l'anno successivo; l'aliquota del 22% salirebbe in due anni al 25%. Per evitarlo - escludendo
il ricorso a un aumento
della pressione fiscale - sono necessari tagli di
spesa pari a circa 35 miliardi in due anni.
Gli effetti macroeconomici di un aumento dell'Iva potrebbero essere devastanti, uccidendo sul nascere la
nostra mini-ripresa.
S tudi sugli effetti di un aumento delle tasse (ma anche la recente esperienza del Giappone) mostrano che un
rialzo delle imposte indirette, cioè dell'Iva, produce i maggiori effetti recessivi, significativamente maggiori di
un corrispondente aumento delle imposte dirette, ad esempio sulla ricchezza o sul reddito, che pure sono
recessivi. Al contrario, tagli di spesa, soprattutto se aggrediscono voci come i sussidi alle imprese, gli acquisti
delle amministrazioni, il monte salari dei dipendenti pubblici, ma anche la spesa per infrastrutture, influiscono
solo marginalmente sulla crescita, talvolta persino la accelerano perché convincono famiglie e imprese che il
governo ha imboccato l'unica strada che può condurre a una riduzione permanente della pressione fiscale.
Insomma, è solo tagliando la spesa che le tasse potranno scendere stimolando la ripresa.
La ricetta è chiara: tagliare le spese, innanzitutto per evitare un aumento dell'Iva e poi per poter ridurre
stabilmente le aliquote fiscali. Ma i tempi sono cruciali. È in atto una timida ripresa dell'attività economica, per
ora sostenuta soprattutto dalla domanda di esportazioni grazie alla svalutazione dell'euro. Il momento per
agire è oggi. Bisogna far sì che la ripresa si consolidi e per farlo non bastano le esportazioni. Dopo il
cambiamento epocale intervenuto nel mercato del lavoro grazie al Jobs act occorre convincere famiglie e
imprese che la pressione fiscale sul lavoro scenderà, non solo sui nuovi assunti, ma su tutti i lavoratori. E il
solo modo per farlo credibilmente è tagliando la spesa (come si illustra ampiamente in queste pagine).
Purtroppo il presidente del Consiglio, che pure ha capito subito l'importanza del Jobs act, pare far fatica a
convincersi che tagliare la spesa pubblica è altrettanto importante. Dopo non aver fatto praticamente nulla
nella sua prima legge di Stabilità, Matteo Renzi ha recentemente riaperto il capitolo della spending review
annunciando la nomina di due nuovi responsabili, il professor Roberto Perotti e l'onorevole Yoram Gutgeld.
Ma senza fretta: a due settimane dall'annuncio, la nomina formale non è ancora arrivata. Ma soprattutto i tagli
22/03/2015 1Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 98
che i due nuovi commissari proporranno saranno inseriti nella prossima legge di Stabilità, cioè entreranno in
vigore, se tutto va bene, fra un anno. Perché bisogna aspettare tanto? Perché non si può intervenire subito e
cominciare a risparmiare già nella seconda metà di quest'anno? In alcune aree, come i sussidi alle imprese, i
capitoli da aggredire e le norme da cancellare sono noti da anni. Basta farlo, 35 miliardi di tagli non sono
pochi: più tardi si inizia, meno probabile è ottenerli.
Ridurre gli sprechi ed evitare la corruzione negli appalti pubblici è importante ma non basta se l'obiettivo è
una riduzione della pressione fiscale di cui famiglie e imprese si accorgano. Occorre riflettere a fondo sul
nostro sistema di welfare, che pur essendo costoso protegge poco e male i più deboli e regala invece servizi
gratuiti, ad esempio nella sanità, a chi potrebbe pagarli. Anche qui non si tratta di partire da zero: basterebbe
rileggere l'eccellente Rapporto della commissione presieduta da Paolo Onofri durante il primo governo Prodi,
rimasta in un cassetto per quasi vent'anni.
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22/03/2015 1Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 99
I risparmi per evitare l'aumento da 16 miliardi dell'Iva previsto per il 2016 Sanità, costi standard nelle Regioni,calmiere agli acquisti degli enti locali Spesa pubblica, il governo ci riprova Meno oneri La riduzione dei tassi dovrebbe tradursi in 4 miliardi in meno di oneri sul debito statale Enrico Marro ROMA Il governo è a caccia di 10 miliardi di euro per evitare che nel 2016 scattino le clausole di salvaguardia
previste dalle ultime due leggi di Stabilità. Clausole inserite per ottenere il via libera di Bruxelles e che
prevedono l'aumento dell'Iva e delle accise l'anno prossimo per un maggior gettito di 16 miliardi. Per il
ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, trovare risorse alternative a questo nuovo aumento delle tasse è
una priorità. E ovviamente vanno trovate tagliando la spesa pubblica. Per questo il piano per la spending
review sarà centrale nel Def, il Documento di economia e finanza che il governo approverà entro il 20 aprile,
per poi mandarlo in Parlamento e alla Commissione europea.
Due nuovi commissari?
Il Def indicherà le linee guida per la legge di Stabilità del 2016. Al ministero dell'Economia e a Palazzo Chigi
hanno sul tavolo il pacchetto di proposte lasciato dall'ex commissario Carlo Cottarelli. Ma devono anche
sciogliere il nodo che riguarda la nomina di due nuovi commissari. Palazzo Chigi, qualche settimana fa,
aveva fatto filtrare che l'incarico sarebbe andato a due dei consiglieri del premier Matteo Renzi che già si
occupano della materia: Yoram Gutgeld e Roberto Perotti. Ma il relativo Dpcm (Decreto del presidente del
Consiglio dei ministri) è rimasto nel cassetto. Si è ipotizzato che Padoan si fosse messo di traverso, ma i suoi
collaboratori smentiscono. E anzi dicono che «non ci sarebbe alcun problema da parte nostra» sulla
eventuale nomina dei due commissari.
Il Def, finalmente, quest'anno può contare su basi di partenza favorevoli. Il Prodotto interno lordo dovrebbe
crescere, secondo le stime più accreditate, dello 0,8% nel 2015, contro lo 0,6% previsto dallo stesso governo
alla fine del 2014. E l'anno prossimo dell'1,5%.
Tante voci
Per ridurre la spesa pubblica di 10 miliardi (su un totale di oltre 800 miliardi) il governo punta su un piano con
molte voci. Applicazione massiccia dei costi standard a Regioni, Comuni e spesa sanitaria. Taglio delle
società partecipate dagli enti locali (11 mila, secondo l'Istat, di cui 1.454 non attive). Le misure già previste
dall'ultima legge di Stabilità potrebbero intanto essere rafforzate con il disegno di legge delega di riforma della
Pubblica amministrazione all'esame del Parlamento. Razionalizzazione del trasporto pubblico locale, con
l'obbligo di gare per l'affidamento del servizio, il taglio dei trasferimenti alle Regioni che non ottemperano e
l'applicazione dei costi standard per la definizione dei trasferimenti stessi, come prevede un disegno di legge
che dovrebbe arrivare presto in Consiglio dei ministri.
Riassetto delle articolazioni periferiche della Pubblica amministrazione e dei corpi di polizia. Anche qui le
prime novità (assorbimento del corpo forestale) potrebbero arrivare con gli emendamenti alla riforma Madia.
Introduzione di severi criteri di valutazione costi benefici sulle opere pubbliche. Abbattimento delle 30 mila
stazioni appaltanti e allargamento del perimetro di azione della Consip, la Centrale pubblica degli acquisti di
beni e servizi, passando dai 38 miliardi presidiati ora a 50 miliardi (su un totale potenziale di 90).
Migliorano i saldi
Ci sono poi i capitoli più delicati. Le tax expenditure, cioè il riordino degli sgravi fiscali, pure previsto dalla
delega sul Fisco, e degli incentivi alle imprese. Capitoli anche questi indicati nel piano Cottarelli del 18 marzo
2014, che puntava a tagli per ben 34 miliardi nel 2016, e che sono rimasti sulla carta. Oltre ai 10 miliardi di
tagli alla spesa, il Def dovrebbe contare su 4 miliardi in meno di oneri sul debito pubblico, grazie alla riduzione
dei tassi. L'aumento del Pil dovrebbe infine garantire, oltre a maggiori entrate, un miglioramento dei saldi di
bilancio fondamentali per passare gli esami a Bruxelles. Il deficit potrebbe scendere quest'anno al 2,6% del
Pil e nel 2016 sotto il 2%. E il debito pubblico cominciare a scendere, nel 2016 sotto il 130%.
22/03/2015 2Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 100
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33,9 Totale Spese enti pubblici Costi politica Riduzione trasferimenti Efficientamento diretto Acquisti e appalti
online Stipendi dirigenti Riorganizzazioni Spese per settori Difesa Sanità Pensioni Corriere della Sera
Le tappeIl governo è
a caccia di 10 miliardi di euro per evitare
che nel 2016 scattino le clausole di salvaguardia previste dalle ultime due leggi di Stabilità Si tratta
di clausole inserite per ottenere il via libera di Bruxelles
e che prevedono l'aumento dell'Iva e delle accise l'anno prossimo per un maggiore gettito di 16 miliardi di
euro Secondo
il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan
è necessario trovare risorse alternative per non alzare la pressione fiscale. Risorse da individuare tagliando la
spesa pubblica improduttiva Per questo
il piano per la spending review sarà centrale nel Def, il Documento
di economia e finanza che
il governo approverà entro il 20 aprile, per poi inviarlo al Parlamento europeo e alla Commissione europea
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 101
la crisi greca il nazionalismo (anche dei capitali) che blocca l'europa Istituzioni Quale Unione sarà mai quella che dovrebbe essere vigilata non già da un regolatore unico, ma dadecine di autorità con lo sguardo al cortile di casa? Salvatore Bragantini La stretta sulla Grecia, che oggi attanaglia l'Europa, ne determinerà il corso. In questo polverone, una cosa si
vede bene: ognuno lavora per sé, nessuno per tutti. I governi descrivono l'Europa ai loro elettori come la
matrigna cattiva: che al Sud impone sempre penose riforme e inasprisce la vita, e al Nord succhia i soldi per
regalarli alle ricche cicale meridionali. Se si continua così il progetto europeo sarà snaturato, se non distrutto;
torneremmo a quel dominio dei forti sui deboli che il progetto europeo vuole superare.
La proposta di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Ue, per un esercito comune europeo è
stata qui commentata da Ricardo Franco Levi (il 16 marzo) e da Antonio Armellini (il 19 marzo). Pur non
attuabile oggi in concreto, essa mette a nudo, richiamandosi agli originari obiettivi dell'Unione, la mutazione
genetica che questa ha subito negli ultimi decenni. Dall'inizio, chi aveva responsabilità operative doveva
perseguire l'interesse comune europeo. Solo il Regno Unito non accetta una «unione sempre più stretta»
come fine ultimo del progetto; al motto «Se non puoi batterli, mettiti con loro», Londra prima fondò la rivale
Area europea di libero scambio, poi, fallita questa, entrò nella Comunità economica europea. La frase di
Margaret Thatcher «Rivoglio indietro i miei soldi» rende bene un metodo volutamente distruttivo per i delicati
meccanismi istituzionali della Ue.
Le appartenenze nazionali, certo, hanno sempre contato; ognuno è condizionato dalla propria storia e
formazione, ma ciò non autorizzava i rappresentanti delle istituzioni a favorire il proprio Paese, a svantaggio
degli altri. La nomina di un leader debole come José Barroso a presidente della Commissione Ue nel 2004 e
la bocciatura della proposta di Costituzione europea nel referendum francese del 2005 marcarono la fine, mai
però dichiarata, dell'originario approccio europeo. Da allora dilaga quel «metodo intergovernativo» che,
rinnegando lo spirito europeo, sta facendo deragliare il progetto.
Le prime nomine alla Banca centrale europea, nel '98, si ispirarono ancora alla corretta logica europea; i
membri del Comitato esecutivo furono scelti per le loro competenze al servizio dell'Europa, mentre gli Stati
erano rappresentati, nel Consiglio direttivo, dai governatori delle banche centrali nazionali. Il crescente
degrado nazionalistico si manifestò bene nelle obiezioni alla scelta di Mario Draghi come presidente. Ad
impeccabili credenziali venne opposta la sua nazionalità; diamine, vogliamo dunque affidare a un italiano la
Bce, che deve darci una moneta stabile? Quel degrado dilaga nell'ormai vociante opposizione tedesca ad
una politica monetaria che, proprio per adempiere a quel mandato, guarda all'eurozona come un tutt'uno,
anziché come miscela insolubile di 19 ingredienti diversi.La provocazione di Juncker è forse utile. Il ritorno al
vero spirito europeo è difficilissimo, ma tutto è possibile a chi percepisca fino in fondo la gravità del momento;
ben altro coraggio servì ai francesi, nelle rovine della Sconda guerra mondiale, per offrire, alla nemica storica
in ginocchio, di condividere quanto serve per farsi la guerra, acciaio ed energia.
All'Europa sull'orlo del crepaccio oggi serve quel previdente coraggio, ma non saranno i governi nazionali a
volersi ridimensionare per dare maggior potere ad istituzioni autenticamente europee: i tacchini, si sa, non
votano per il Natale. A ridarci la prospettiva europea non saranno le risse sui punti decimali di deficit dei
negoziati attuali fra Atene e Berlino, costretti nel binario morto di regole volte a superare la diffidenza fra Stati.
Potrà farlo, in un futuro speriamo non troppo remoto, solo una grande iniziativa, promossa magari da cittadini
dei sei Paesi del Trattato di Roma, che affermi la necessità di istituzioni politiche per l'eurozona; essa dovrà
un giorno avere un suo Parlamento, e un suo governo, cui quelli nazionali cedano compiti, poteri e risorse.
Non ne usciremo se non passando dalle regole (da condominio) della vecchia Europa alle istituzioni
(democratiche) della nuova.
22/03/2015 27Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 102
Il vento che gonfia le vele dell'antieuropeismo non è il populismo, ma il nazionalismo; sono ipocriti quei
governi che lo deplorano mentre lo titillano senza scrupoli. Ne è esempio il progetto di Unione dei mercati dei
capitali, promosso proprio da Juncker: quale Unione sarà mai quella che dovrebbe essere vigilata non già da
un regolatore europeo, ma da una macedonia di decine di autorità nazionali, lo sguardo fisso al cortile di
casa? Si pensi anche alla difficoltà di gestire un «allentamento quantitativo» che agirà sui debiti pubblici di 19
Stati: come se il Federal reserve system degli Usa dovesse raccattare titoli, dalla California al South Dakota!
Un conto è non addossare ai tedeschi i debiti greci (o italiani), altro è escludere ogni ricerca dei modi per
superare quella frammentazione: non mancano proposte sul tema di autorevoli istituzioni, anche tedesche. Le
ignora solo una politica miope, che non osa proporle ai cittadini ai quali ha propinato una realtà rovesciata,
per cui i debiti pubblici sarebbero la causa, anziché l'effetto, della crisi.
Se non si inverte il senso di marcia, in Europa gli Stati forti domineranno sui deboli: ciò nuocerebbe molto non
solo alla nostra debole Italia, ma anche all'Europa che Adenauer e Monnet non si limitarono a sognare.
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22/03/2015 27Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 103
La Lente Tassi «zero» Come ottenere fino al 4% (senza rischiare) Marco Sabella Trovare il giusto orientamento nella selva dei mini rendimenti. L'avvio della manovra di Quantitative easing da
parte della Bce, con l'acquisto di titoli governativi (e non solo) per un ammontare di 65 miliardi al mese ha
impresso un'ulteriore accelerazione a un fenomeno in atto da tempo. Si tratta del crollo dei rendimenti del
mercato del reddito fisso, che ha portato il Btp a dieci anni a una cedola di appena l'1,2% e il Bund decennale
di pari durata allo 0,2%. Sui mercati dell'eurozona, ormai, sono frequenti le emissioni a scadenza fino a
cinque anni con tasso di interesse negativo. Che cosa possono fare i risparmiatori in uno scenario così
anomalo? «Corriere Economia» affronterà questo interrogativo nel numero in edicola domani.
La situazione è complessa non soltanto perché il rendimento delle obbligazioni è prossimo allo zero, ma
anche perché le borse hanno già realizzato guadagni a doppia cifra da inizio anno. Gli esperti interpellati
tracciano tuttavia un quadro relativamente rassicurante. Ottenere guadagni compresi fra il 2 e il 4% da un
portafoglio bene diversificato è possibile, anche senza spingere troppo sull'acceleratore del rischio. Il
parcheggio del risparmio sui conti di deposito online e vincolati, per esempio, è ancora in grado di offrire
rendimenti netti di circa l'1%, valore elevato se si considera il contesto di un'inflazione sottozero. Le emissioni
in valuta a breve scadenza possono dare ancora interessanti guadagni in conto capitale, visto che la
tendenza alla svalutazione dell'euro non è esaurita. Infine tra i valori azionari da tenere d'occhio ci sono
sempre le società ad alto dividendo - Eni, Enel, Terna e alcuni gruppi industriali _ che offrono un "dividend
yield " in molti casi superiore al 4% lordo.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 104
L'intervista il presidente di mps Profumo: «Lascio Montepaschi Dopo l'aumento mi metto in proprio» Il rimborso «I Monti bond li restituiremo pagando anche un bel po' di milioni di interessi» Daniele Manca Si ricomincia. E questa volta in proprio. Alessandro Profumo sta per chiudere la sua esperienza al Monte dei
Paschi. Non deve essere stato facile per lui, abituato a essere visto come l'artefice di una delle maggiori e più
difficili integrazioni nel credito in Europa e nel mondo (quella tra l'italiana Unicredit e la tedesca Hvb, che ne
ha fatto un colosso con il 3,5% del mercato europeo), passare gli ultimi anni a tentare di risollevare una delle
più sofferenti banche d'Italia: il Monte dei Paschi. A zero compensi come Presidente (forte della liquidazione
da Unicredit) ha trascorso 36 mesi tra Banca d'Italia, la litigiosa provincia senese, il ministero dell'Economia e
Bruxelles.
Tre anni a tentare di far capire che l'istituto di Rocca Salimbeni poteva essere salvato; che aver ingoiato il
difficile boccone della strapagata Antonveneta non significava necessariamente morire per soffocamento; che
le inchieste penali non si sarebbero tramutate nella lenta estinzione dell'istituto. E che soprattutto il sistema
Paese poteva permettersi, al pari di qualsiasi altra nazione dell'Eurozona , di sorreggere le difficoltà di
un'istituzione finanziaria che all'epoca era la terza banca in Italia. E che oggi si appresta a un nuovo e
importante passaggio.
E adesso Profumo ...
«E adesso è tutto più tranquillo. Sono arrivato il 28 aprile del 2012, Fabrizio (Viola ndr. ) mi aveva appena
preceduto nel gennaio come direttore generale. Pochi giorni dopo, il 5 maggio, c'erano 150 finanzieri alle
porte della banca per una delle tante inchieste penali che avrebbero interessato le gestioni precedenti ... ».
Un po' pentito di aver accettato?
«Pentito proprio no. Non è stata una passeggiata però».
Anche perché non è finita.
«Diciamo che adesso la strada è segnata e, se permette, il compito sebbene non semplice, è comunque
facilitato. Per questo non ho nessun motivo per essere pentito».
Non sembra convinto .
«No, sono convintissimo, perché con il superamento dei passaggi rappresentati da Assemblea e aumento di
capitale la parte più importante del risanamento della banca potrà dirsi conclusa».
Lei usò l'espressione «servizio civile» e ci fu chi ironizzò .
«In Italia ci sono maestri in questo gioco della delegittimazione. Dissero che avrei subito litigato con Viola,
che volevo fare il capo di Mps, non è accaduto nulla di tutto questo e l'abbinata ha funzionato. La verità è che
semplicemente volevo restituire un po' della fortuna che avevo avuto al Paese. Perché, ripeto, tre anni fa la
situazione era ben diversa».
Montepaschi ha avuto bisogno di un forte aiuto pubblico, ben 4 miliardi dei cosiddetti Monti Bond .
«Aiuto restituito quasi completamente. E con gli interessi: esattamente 720 milioni, una prima tranche di 480
e una seconda di 240. Con il prossimo aumento di capitale restituiremo anche l'ultima parte dei Monti Bond.
Lo scenario che abbiamo dovuto affrontare fu molto peggiore del previsto. E solo perché fummo ancora più
pessimisti sul quadro macroeconomico che siamo riusciti a uscire dalle secche di una crisi che poteva essere
fatale».
Fatale...ha temuto di non farcela?
«Se dicessi che ero sicuro al 100% di farcela, direi una bugia. Se devo essere sincero non ero mica sicuro
sa».
Addirittura...
«Ma certo. Vuole mettere la percezione che c'è del Paese oggi e quella che c'era in quegli anni? L'affidabilità
dell'Italia era ai minimi. Per una banca il contesto è decisivo, pensi solo al fatto che finalmente quest'anno il
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 105
primo trimestre vedrà un segno più nel prodotto interno lordo. L'eredità che avevamo ricevuto era di una
banca piena di incagli, di crediti che non si riuscivano a riprendere».
Ma oggi Mps è una banca più piccola .
«E' più piccolo il bilancio ed, è più piccola la rete. Ma siamo più efficienti. Segniamo un più 28% nel risultato
operativo».
Avete però chiesto prima 5 e ora 3 miliardi al mercato .
«Ce li hanno dati allora ed ora abbiamo un consorzio di garanzia che evidentemente crede in noi, crede
giustamente nel fatto che questa nuova Mps sarà ancora in grado di dare soddisfazione a chi punta sulla
banca».
Ma avrete bisogno di un partner, di un'aggregazione.. .
«E' evidente che le dimensioni della competizione sono tali che pensare di farcela da soli sarebbe
presuntuoso. Starà ai soci decidere - anche per la necessità di vedere il capitale investito remunerato - ma io
non avrei dubbi».
A giudicare dal tempo impiegato dai soci per fare una lista dei nuovi consiglieri non hanno le idee molto
chiare... l'hanno consegnata all'ultimo minuto .
«Intanto li ringrazio per gli attestati di stima ricevuti. E poi qualche ragione ce l'hanno, lo Statuto pone molti
vincoli, da quello di genere a quello sugli indipendenti. Fatto sta che oggi la banca ha un'ottima governance e
un ottimo management».
Ma dovrà cercarsi un nuovo presidente perché lei lascerà .
«Sì, finito l'aumento di capitale, ritengo concluso il mio compito. Aiuterò, se mi sarà richiesto, i soci nella
scelta del nuovo presidente. Sono sicuro che il Patto sarà in grado di identificare una persona di alto livello.
Farò un po' in ritardo quello che da tempo sto meditando. L'imprenditore».
L'imprenditore?
«Sì, vorrei costruire una struttura che fornisca capitali e assistenza a imprenditori medi che vogliano crescere
e diventare grandi».
Auguri ... non è una tendenza molto in voga nel Paese del piccolo è bello .
«Al contrario, credo che ci sia in questo Paese una gran voglia di giocare un ruolo all'altezza delle
aspettative. L'Italia è piena di imprenditori che con passione e metodo vogliono fare il salto».
Niente estero quindi?
«Mi basta essere nell' International Advisory board del Banco Itau (la più grande banca privata in Brasile ndr.
) e nel supervisory board della Sberbank (la maggiore banca russa e dell'est Europa ndr. ). Per il resto, l'Italia,
oltre che una scommessa imprenditoriale e un Paese che ha tutte le carte per tornare ai livelli che merita, per
me significa anche mia moglie, mio figlio, una nuora e dei nipoti, cose che contano, non crede?».
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La carrieraAlessandro Profumo, 58 anni, ha iniziato ventenne al Banco Lariano, per poi passare alla consulenza in
McKinsey
e alla Bain È stato direttore generale della Ras e, dal 1994, è passato al Credito dove ha guidato le
integrazioni con Hvb e con Capitalia Da tre anni è presidente del Montepaschi su designazione della
Fondazione
Foto: Alessandro Profumo, classe 1957, già Ceo di Unicredit, lascerà il prossimo luglio la carica di presidente
del Monte Paschi di Siena
Foto: Pochi giorni dopo l'arrivo
a Siena avevo alla porta 150 uomini della Gdf per una delle tante indagini penali in corso
Foto: Vorrei costruire una struttura che fornisca capitali agli imprenditori medi che vogliono fare il salto e
diventare grandi
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 106
L'alleanza inedita tra Cina e Russia. Opa a settembre per ritirare il titolo. Tronchetti: assicurato lo sviluppo Pirelli, i segreti di una svolta Prima visita di Ren Jianxin nel 2012. Le garanzie sulla guida italiana Federico De Rosa ChemChina è il nuovo socio forte di Pirelli: avrà il 65% della newco che lancerà un'Opa a settembre, il 35%
sarà dei russi di Rosneft e di Coinv (Tronchetti Provera e alleati). «Garantiti sviluppo e stabilità», assicura
Tronchetti, che resterà al comando operativo. Si conclude così una trattativa iniziata tre anni fa con la visita in
Italia di Ren Jianxin, il capo del colosso cinese. alle pagine 12 e 13 Turchetti
Bisogna riannodare i fili di una storia iniziata tre anni fa per trovare il punto di partenza del lungo cammino
che ha portato alla svolta. Tutto comincia con una telefonata. Dall'altro capo c'è Ren Jianxin, il potente capo
di China National Chemical Corporation. Chiede a Marco Tronchetti Provera un incontro a Milano. Vuole
conoscere da vicino il mondo della Pirelli. L'imprenditore cinese ha un obiettivo, ma non lo rivela subito. Lo
farà dopo aver visitato la Bicocca e Settimo Torinese, dove c'è il cuore tecnologico dell'industria degli
pneumatici. Vuole comprare. Tutto. È molto determinato. Jianxin è un self made man, originario della zona
rurale dello Dunhuang, che ha iniziato lavando teiere per diventare un big nelle pulizie industriali e,
successivamente, per conto del governo centrale ha iniziato ad aggregare piccole aziende chimiche dando
vita a ChemChina. A Tronchetti racconta la sua storia, da dove è venuto, le difficoltà che ha dovuto superare,
mostrando un lato umano che i cinesi non hanno l'abitudine di rivelare.
Lo stop a Yokohama
Tronchetti stava già lavorando al futuro del gruppo per renderlo più solido, garantire la continuità e metterlo
al riparo dalle mire dei concorrenti e da uno smembramento che avrebbe finito per cancellare il marchio e la
storia della Pirelli. La strategia aveva un approdo finale in Asia, mercato dalle enormi potenzialità in cui il
gruppo milanese è già presente, ed erano in corso colloqui con Yokohama e la coreana Hankook. Dopo aver
visitato le loro fabbriche il presidente decide però che è quella con ChemChina l'alleanza da fare. Per una
ragione semplice: non è un concorrente, ha le spalle larghe, un mercato potenzialmente smisurato e dal
punto di vista industriale è il partner giusto per estrarre valore dalle attività del segmento «industrial» di Pirelli,
che rappresentano un terzo dei volumi e un quarto del fatturato, ma che per restare competitive devono
aumentare di taglia. Il colosso cinese ha una divisione, Aeolus Tyre, che produce gomme per autocarri e
mezzi pesanti, a cui il gruppo della Bicocca può offrire nuovi prodotti, tecnologia e una vera strategia.
Per ChemChina significherebbe proiettare Aoelus ai vertici del mercato mondiale, affidando alla Pirelli il
percorso di crescita. E' lo snodo attorno a cui Tronchetti e Jianxin hanno costruito l'alleanza. Aeolus da 28°
player mondiale del segmento si ritroverà 4° o 5°. E Pirelli ne sarà il primo azionista.
Scontro con Malacalza
C'è anche un'altra ragione per cui Tronchetti ha deciso di allearsi con ChemChina. Finora nessuna
operazione di aggregazione tra competitor ha creato valore nel settore degli pneumatici. Goodyear, per fare
un esempio, ha tentato di mettersi insieme a Sumitomo distruggendo valore e oggi è alle prese con le
pratiche di divorzio. L'esatto contrario di ciò che vuole Tronchetti per la Pirelli, in cui nel frattempo è entrata
come alleata la famiglia Malacalza, condividendo il progetto.
I genovesi si metteranno però di traverso aprendo un contenzioso con i vertici del gruppo milanese. In quella
fase turbolenta il gruppo di Pechino aspetterà fiducioso. Ai Malcalza succederanno Clessidra e la famiglia
Rovati e questi assisteranno all'ingresso di Rosneft. È in questa fase che ChemChina rientra in partita.
Viaggio a Washington
I russi, così come Jianxin, conoscono il progetto a lungo termine e lo condividono. Anche la partnership con i
russi però finirà per creare qualche problema. Che stavolta non si può risolvere con una trattativa. Il problema
si chiama Ucraina. Rosneft e il suo presidente Igor Sechin, che è anche consigliere della Pirelli, vengono
colpiti dalle sanzioni internazionali contro la Russia. Raccontano che fu Tronchetti a gestire la situazione
23/03/2015 1Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 107
volando a Washington per spiegare al Dipartimento di Stato che quella con Rosneft era un'alleanza
industriale e che Pirelli fa pneumatici e basta. Nulla che abbia a che fare con la sicurezza o la difesa. Rosneft
rimane a bordo come socio e alleato.
A ottobre la stretta
Rosneft resta anche nel riassetto con ChemChina, affiancando i soci italiani. Non è un dettaglio da poco.
Un'alleanza Russia-Cina in un'azienda a guida italiana è un unicum. Tronchetti è riuscito a creare le
condizioni, mantenendo invariato l'assetto e la guida operativa della Pirelli. A trovare la formula è stato
l'avvocato Michele Carpinelli e i legali dello studio Chiomenti, che insieme a un ristretto team della Lazard
coordinato da Marco Samaja, e agli uomini della Mtp spa, la cassaforte di Tronchetti, da ottobre hanno
iniziato a lavorare nel massimo riserbo alla rifinitura del dossier.
Incontro con il premier
Un'altra persona era al corrente della stretta con ChemChina: il premier Matteo Renzi, che era stato informato
dell'operazione neglin ultimi giorni. La politica non ha interferito. Le polemiche sull'italianità, sull'arrivo dei
cinesi, sulle garanzie occupazionali, che hanno fatto da cornice al rush finale fanno parte del gioco. Un po',
forse, Tronchetti se le aspettava, anche se in Pirelli non cambierà nulla. Rispetto ai vecchi accordi con
Rosneft, quelli firmati ieri saranno addirittura più stringenti, oltre a definire un nuovo equilibrio in cui i soci
italiani peseranno più dei russi. Per la prima volta i patti di sindacato diventeranno parte dello Statuto della
Pirelli, che verrà modificato introducendo l'obbligo del 90% di voti favorevoli in assemblea per trasferire la
sede o vendere la tecnologia. Un'innovazione che è una garanzia di lungo termine per la stabilità, l'integrità e
l'italianità del gruppo, di cui l'attuale management manterrà la guida operativa, con a capo Tronchetti a cui è
stata affidata anche la gestione dell'intero riassetto e la facoltà di decidere quando riportare Pirelli in Borsa. A
settembre partirà l'Opa per ritirare Pirelli dal listino. A lanciarla sarà un veicolo societario di cui ChemChina
avrà il 65% e Tronchetti con Rosneft e i soci italiani il 35%. Ma i pesi potrebbero cambiare. Dipende dal livello
di adesione all'Opa, a cui i soci italiani parteciperanno apportando capitali, dopo aver venduto però alla
stessa società il 26% di Pirelli detenuto da Camfin. Ci vorranno tre anni per completare la manovra di cui
Tronchetti sarà il grande regista. Il percorso è tutto definito. Anche il punto di caduta. Al termine del riassetto
Pirelli potrà tornare in Borsa, con in pancia la parte pregiata dei pneumatici premium, valutati dal mercato a
multipli più alti, e la quota di maggioranza della nuova realtà «industrial» che nascerà dall'aggregazione con
Aeolus.
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la quota di ChemChina (ma gli italiani hanno facoltà di salire al 49,9%) le quote necessarie per trasferire
sede, tecnologia e produzioni 65% 90% I numeri 7,4 miliardi il valore della Pirelli dopo l'Opa Dopo il riassetto
in caso di adesione totalitaria all'offerta Chi corre in Borsa negli ultimi 12 mesi Corriere della Sera NUOVE
PARTECIPAZIONI Tronchetti Provera e alleati UNICREDIT INTESA SANPAOLO CHINA CHEMICAL
ROSNEFT NEWCO PIRELLI NOKIAN CONTINENTAL BRIDGESTONE MICHELIN GOODYEAR +35,8
+34,9 +28,7 +28,2 +21,2 -10,2 PIRELLI TRUCK Camion e cantiere PIRELLI TYRE Auto e moto 22,6% 100%
65% 12,4% -10 -20 0 10 20 30 40
La svolta L'operazione di ChemChina comincia con una telefonata di Ren Jianxin,
il numero uno del gruppo chimico cinese, a Marco Tronchetti Provera
nel 2013 In seguito Jianxin visita
la Bicocca
e Settimo Torinese, dove c'è il cuore tecnologico della Pirelli, quindi incontra Tronchetti Provera al quale
delinea i contenuti di un'eventuale operazione industriale Il colosso cinese ha una divisione, Aeolus Tyre, che
produce gomme per autocarri e mezzi pesanti, piccola e poco tecnologica, a cui Pirelli può offrire nuovi
prodotti e una diversa visione del mercato Per ChemChina significa proiettare Aoelus ai vertici del mercato
mondiale, affidando
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 108
alla Pirelli la strategia di crescita. E' lo snodo attorno a cui Tronchetti e Jianxin hanno costruito l'alleanza.
Aeolus da
28° player mondiale si ritroverà quarto o quinto
La curiosità Trattative in tre lingue
Almeno tre lingue, anzi quattro. Inglese, di ordinanza. Russo, per la presenza del socio Rosneft (il numero
uno Igor Sechin fin qui vicepresidente del gruppo della Bicocca). Italiano, perché la Pirelli parla ancora
tricolore. Infine, mandarino. Perché il socio entrante è ChemChina,
China National Chemical Corporation, protagonista di un corteggiamento durato tre anni. Grande lavoro per i
traduttori:
i documenti di un'operazione che prevede
il lancio di un'offerta pubblica di acquisto
e la creazione di una nuova società sono tanti. Il diavolo sta nel dettaglio e nel lessico.
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Foto: Il profiloMarco Tronchetti Provera,
67 anni, presidente e amministratore delegato del gruppo Pirelli oggetto di un riassetto con l'Opa dei cinesi
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 109
LA GOVERNANCE EUROPEA L'anomalia greca e il direttorio di plastica Adriana Cerretelli Altro ripescaggio della Grecia ieri a Bruxelles, altro esorcismo su Grexit. Un po' di ossigeno ad Alexis Tsipras
dall'euro-politica battendo e ribattendo sui chiodi delle riforme che deve fare e patti che deve rispettare. Nei
fatti.
Sarebbe un copione stravisto, consunto nell'esasperante ripetitività delle ultime settimane se a recitarlo,
invece del solito vertice formato Eurogruppo, questa volta non fosse stata soltanto una sua frazione, sia pure
eccellente.
Di direttorii più o meno estemporanei e/o efficaci, di geometrie variabili più o meno formali come di sgarbi
volutamente o no deliberati, la storia europea è ricca in abbondanza. Ma il vertice europeo "matrioska" è un
inedito. Già fare accettare ai leader Ue i summit a 28, che poi si riducono a 18 per ammettere solo i Paesi
dell'eurozona, è stata un'impresa ardua e gravida di tensioni tuttora irrisolte.
Estrapolare da quei 18, come è successo giovedì sera su iniziativa del presidente del Consiglio Donald Tusk,
un direttorio a Sette per rispondere alla richiesta di Tsipras di porre la questione greca al massimo livello
politico europeo, è un bizzarro e irrituale exploit istituzionale che non a caso ha suscitato sonore proteste di
Belgio, Olanda e Lussemburgo, oltre che di Italia, Spagna, Finlandia e, fuori dall'eurozona, di Gran Bretagna
e Repubblica Ceca.
Sette anni di euro-crisi hanno dimostrato che la governance dell'area così come è non può andare avanti a
lungo.
Continua pagina 3
Continua da pagina 1
l'unione monetaria va al più presto affiancata da un'unione economica e politica, in breve da un'integrazione
molto più profonda e strutturata di quella raggiunta finora, per fare dell'euro una moneta normale e ricucire
strappi, divergenze, eccessi di eterogeneità che dividono gli euronauti invece di compattarli.
Il micro-vertice dei Sette, che ha raccolto intorno allo stesso tavolo per discutere con Alexis Tsipras di Grecia
Angela Merkel, François Hollande, i presidenti di Bce, Commissione europea, Consiglio Ue ed Eurogruppo,
lancia invece il messaggio opposto, fatto per scavare e non colmare i fossati nazionali. Per di più ne sfugge la
logica: Germania e Francia non sono gli unici creditori di Atene, chi più chi meno lo sono tutti nell'eurozona e
l'Italia è il terzo per importanza.
Ma la gaffe politica compiuta per l'occasione è persino più pesante, in prospettiva, di quella finanziaria. Se
davvero si vuole ricostruire la mutua fiducia intra-europea, porre le basi per un salto di qualità del processo di
integrazione non si può certo procedere con leggerezza, rozze semplificazioni e doppiopesismi tra Paesi
membri, infiammando i nervi scoperti di molte sovranità nazionali già in ritirata ma presto teoricamente
chiamate a farsi sempre più piccole, in nome del superiore interesse della futura stabilità dell'euro.
Non si può quando si sa che, con la sola eccezione della Banca centrale europea di Mario Draghi protetta
dall'indipendenza statutaria, le altre istituzioni come Consiglio Ue ed Eurogruppo sono organi intergovernativi
guidati da presidenti di osservanza "tedesca". La Commissione di Jean-Claude Juncker, sulla carta garante
dei Trattati Ue e detentrice del potere di iniziativa e di mediazione comunitaria, viene tenuta ai margini con
fastidio, proprio per la sua ansia di difendere la propria identità e potestà istituzionale.
Non si può perché il vecchio direttorio franco-tedesco, motore in passato della costruzione e dei tanti
successi europei, è morto con la riunificazione della Germania. Soprattutto politicamente è ormai da anni un
rudere spoglio, che serve alla Merkel per mimetizzare gli straripamenti di potere e cultura tedesca in Europa e
a Hollande per fornirle l'alibi e far finta di non esserne il vassallo, sia pure riluttante.
Se è vero che l'interdipendenza economica e strategica europea è sempre più stringente e capillare e la
sovranità nazionale l'ultima delle grandi illusioni nel mondo globale prima che continentale, non è giocando ai
21/03/2015 1Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 110
vertici-matrioska che si favorisce il bagno di realismo di cui l'Europa ha disperato bisogno. Il problema greco è
cosa seria e complessa. Ma il teorema europeo oggi è un'equazione con troppe incognite da sciogliere per
trattarlo con superficialità politica.
Di sicuro la Grecia è il grande peccatore che non sta ai patti da punire e redimere. Però la Francia da anni
viola imperturbabile le regole anti-deficit dell'Unione europea eppure non solo non incorre nelle multe che
merita grazie allo scudo tedesco ma impartisce lezioni ad Atene dal suo podio nel direttorio. Con malsani
doppiopesismi l'Europa cresce sulla sabbia.
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21/03/2015 1Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 111
Ripresa e mercati LA GIORNATA Le Borse europee volano ai massimi storici Lo Stoxx 600 ai livelli del 2000, Londra supera i 7mila punti - Balzo dell'euro che sfonda quota 1,08 Andrea Franceschi I FONDI AZIONARI
Per l'Europa decima settimana consecutiva
di saldi positivi: da inizio anno raccolta netta per oltre
41 miliardi di dollari
Gli investitori continuano a puntare forte sulle azioni europee. Quella di ieri è stata una seduta di rialzi
sostenuti per le piazze continentali che hanno archiviato la loro settima settimana consecutiva con il segno
più. Al termine degli scambi Milano era in rialzo dell'1,63%, Madrid del 2,96%, Parigi dell'1% e Francoforte
dell'1,18 per cento. Da segnalare poi la performance dell'indice Ftse 100 (+0,86%) della piazza di Londra che
ieri ha superato per la prima volta nella sua storia quota 7000 punti.
Diversi i fattori che hanno contribuito a questa performance: le schiarite sulla crisi di Atene (vedi articolo nella
pagina a fianco) hanno certamente giocato un ruolo positivo, lo stesso può dirsi dei corposi acquisti che
hanno premiato i settori minerario, energetico del cemento. Se i primi due hanno beneficiato dei rialzi delle
materie prime (vedi articolo a pag. 25) il comparto del cemento ha ricevuto una notevole spinta dal nuovo
compromesso raggiunto tra i colossi Holcim e Lafarge per la fusione.
Stoxx 600 record dal 2000 L'indice Stoxx 600, che monitora l'andamento delle principali piazze continentali si è consolidato oltre la
soglia dei 400 punti, ai massimi dal 2000. Da inizio anno il paniere ha guadagnato circa il 18% sulla
scommessa che le iniezioni di liquidità della Bce (Quantitative easing) avranno effetti positivi sulla ripresa
economica e sugli utili aziendali (il consensus degli analisti S&P Capital IQ mette in conto una crescita del
16% dei profitti per le maggiori quotate europee).
L'interesse degli investitori per le azioni europee è peraltro confermato anche dai dati sulla raccolta dei fondi
azionari europei che - segnala Epfr Global - nell'ultima settimana hanno registrato 5,4 miliardi di dollari di
flussi netti. Per i fondi equity europei si tratta della decima settimana consecutiva di saldi positivi. Da inizio
anno la raccolta netta è stata di 41,2 miliardi di dollari. Numeri che contrastano con la performance negativa
dei fondi Usa che, nonostante siano tornati ad attrarre liquidità questa settimana (una eccezionale raccolta di
14 miliardi di dollari), sono comunque in rosso di 33,2 miliardi da inizio anno. Così come sono in rosso i fondi
azionari dedicati ai Paesi emergenti (11,5 miliardi di dollari).
Dollaro volatile Le indicazioni fornite mercoledì dalla Fed, che ha annunciato di voler procedere per gradi al rialzo dei tassi e
solo in presenza di una stabilizzazione del mercato del lavoro e una ripresa dell'inflazione, hanno influenzato
l'andamento dei mercati anche ieri. Soprattutto attraverso il canale valutario. Come nelle precedenti due
sedute il cambio euro-dollaro ha avuto un andamento estremamente volatile oscillando tra un minimo di
1,0655 e un massimo oltre 1,08 dollari. Un movimento innescato da una parte dalla forza dell'euro, sulla
fiducia nello sblocco degli aiuti ad Atene già la prossima settimana, e dall'altra dalla debolezza del dollaro che
è sceso sulla scommessa di tempi più lunghi per il rialzo dei tassi. Indipendentemente dai movimenti di
giornata, buona parte degli analisti resta convinta che la divergenza di politiche monetarie tra le due sponde
dell'oceano (resttrittiva la Fed, espansiva la Bce) continuerà a favorire il deprezzamento dell'euro-dollaro.
Rally dei bond greciLe schiarite sulla crisi greca hanno dato una notevole spinta alla Borsa di Atene (+3%) oltre che ai bond
governativi greci i cui rendimenti, dopo le tensioni dei giorni scorsi, ieri si sono nettamente ridimensionati.
Notevole il calo dei tassi sui titoli triennali che ieri sono scesi dal 24 al 20 per cento. Di questa rinnovata
propensione al rischio hanno beneficiato anche i BTp italiani: il differenziale di rendimento con i Bund
21/03/2015 2Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 112
tedeschi (spread) ieri è tornato a 101 punti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA LO SPREAD Differenziale dei rendimenti dei titoli di Stato decennali rispetto
al Bund. In punti base Ieri 150 140 130 120 110 100 90 80 02/01/2015 Febbraio Marzo Spagna 99 Italia 101
2 25 Italia 126 Spagna 101 Andamento ora per ora 110 105 100 95 Apertura Lo spread di ieri Chiusura 105
99 106 101 La fotografia sui mercati I FONDI AZIONARI Per l'Europa decima settimana consecutiva di saldi
positivi: da inizio anno raccolta netta per oltre 41 miliardi di dollari LE BORSE Variazioni % di ieri Atene Ase
+2,87% DA INIZIO +-9,90% ANNO Milano Ftse Mib +1,63% DA INIZIO +21,91% ANNO Francoforte Dax
+1,18% DA INIZIO +22,78% ANNO Parigi Cac 40 +1,00% DA INIZIO +19,07% ANNO Madrid Ibex 35
+2,96% DA INIZIO +11,09% ANNO Fonte: BofAML Global Research, EPFR Global I FLUSSI SUI FONDI
AZIONARI Dati da inizio anno in miliardi di dollari -33,219 41,242 8,275 17,082 Usa Europa Giappone
Internazionali
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LA FOTOGRAFIA SUI MERCATI
21/03/2015 2Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 113
Alimentare. Nel 2014 i ricavi del gruppo di Alba a 8,4 miliardi, in aumento di 300 milioni (+3,1%): utile anteimposte di 907 milioni (+14,1%) Ferrero cresce con Asia e Stati Uniti I nuovi investimenti sono arrivati a 537 milioni, dei quali 458 per potenziare gli stabilimenti Emanuele Scarci IL TREND
Performance molto positiva per Kinder Ferrero e Rocher, bene Tic Tac e Nutella
In lieve aumento
anche gli occupati
MILANO
Un business sempre più dolce per Ferrero. Il colosso dolciario di Alba fa un altro passo in avanti e chiude
l'esercizio 2013/14 (al 31 agosto) con miglioramenti su tutta la linea.
La lussemburghese Ferrero International, holding del gruppo Ferrero, ha approvato il bilancio consolidato
relativo all'esercizio chiuso al 31 agosto 2014, con un fatturato consolidato di 8,41 miliardi di euro, in crescita
del 3,9% rispetto agli 8,1 miliardi dell'esercizio precedente.
Il risultato d'esercizio di Ferrero, a fronte di un risultato operativo sostanzialmente stabile, beneficia di un
miglioramento del risultato finanziario, con un utile prima delle imposte di 907 milioni di euro, in crescita del
14,2%. Rispetto a soli tre anni prima, il 2011, il fatturato è aumentato di 1,2 miliardi e l'utile ante-imposte di
una cinquantina di milioni. Ferrero è il gruppo alimentare italiano più grande,
I dati di bilancio non comprendono la turca Oltan, big mondiale nella produzione delle nocciole, acquisita
(un'operazione unica per Ferrero) da Alba a metà luglio 2014 e che fattura circa 500 milioni di dollari.
In una nota la società spiega che «nonostante le difficoltà del contesto internazionale, la crescita è stata
frutto di uno straordinario dinamismo nello sviluppo dei nuovi mercati: le vendite dei prodotti Ferrero hanno
confermato e, in alcuni casi migliorato, i risultati degli scorsi esercizi in Asia, Russia, Stati Uniti, Canada,
Brasile, Messico e Turchia. In forte crescita anche i mercati del Medio Oriente. Buoni e, in alcuni casi, ottimi, i
risultati raggiunti nei mercati "core" di Regno Unito, Polonia, e Germania. Sostanzialmente stabili o in lieve
riduzione, a causa della crisi economica, i principali mercati del Sud Europa». Come l'Italia che con Ferrero
Spa ha fatturato 2,547 miliardi, in calo del 5,6%, sostanzialmente per la contrazione del mercato domestico
mentre l'export ha mantenuto le posizioni con 780 milioni.
In termini di prodotti, la performance nel mondo è stata particolarmente positiva per Kinder Joy (in Italia
Kinder Merendero), Kinder Bueno, Kinder Sorpresa e Ferrero Rocher, che hanno spinto la crescita
complessiva nei diversi mercati, rispettivamente con un incremento di volumi del 29%, del 10%, del 9% e del
6%. Buone anche le performance di Tic Tac e Nutella. Da sola la crema di gianduia spalmabile genera ricavi
per 1,7 miliardi, nonostante i suoi 50 anni.
La multinazionale piemontese più dolce continua a macinare investimenti, anche per non perdere il passo
con i big player. I nuovi investimenti realizzati da Ferrero nell'ultimo esercizio sono stati di 537 milioni di euro,
dei quali 458 milioni (5,4% delle vendite) indirizzati al potenziamento delle attività industriali e produttive,
principalmente in Italia, Germania, Canada, India, Brasile, Messico e Cina.
I mercati emergenti oramai sono un'opzione ineludibile: qualche mese fa il ceo Giovanni Ferrero, in
un'intervista, ha detto che entro il 2020 il 70% della crescita del mercato dolciario sarà trainato da Asia,
America Latina, Est europeo e Russia. Insomma, Alba per continuare a essere uno dei player mondiali del
dolciario, in concorrenza con giganti del calibro di Mars e Hershey, deve premere il pedale dello sviluppo
internazionale. E l'obiettivo è di raddoppiare il fatturato in un decennio.
Oggi il gruppo della Nutella conta su 74 società consolidate, con venti stabilimenti. I prodotti Ferrero sono
presenti direttamente o tramite distributori autorizzati, in oltre 160 paesi. L'organico medio si è attestato a
24.836 unità, in lieve aumento.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 114
© RIPRODUZIONE RISERVATA Dati consolidati di Ferrero International; chiusura d'esercizio al 31 agosto.
Dati in milioni di euro 7.000 7.500 8.000 8.500 9.000 2011 2014 8.100 7.670 7.218 Fatturato 8.412 900 800
850 900 950 2011 2014 795 878 860 Utile ante imposte 907 350 400 450 500 550 2011 2014 525 446 401
Nuovi investimenti 537
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LE PERFORMANCE DEL GRUPPO
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 115
L'intervista. Parla l'ad, Piero Montani - Pronta la cessione di 1,5 miliardi di Npl «Carige pronta a crescere, da sola o con altri» Marco Ferrando «Siamo pronti a fare la nostra parte, da soli o con altri. Perché il piano è congegnato per tornare alla crescita
in una prospettiva stand alone, ma anche per cogliere in una posizione di forza le eventuali occasioni che
potrebbero presentarsi con il risiko bancario. A partire dalle popolari». Un anno dopo il piano industriale
confezionato per accompagnare l'aumento da 800 milioni, l'ad di Carige Piero Montani presenta così, a Il
Sole 24 Ore, il nuovo documento approvato l'altroieri in cda, destinato ad affiancare - di nuovo - un aumento
da 850 milioni. I contenuti, in fondo, sono simili; il contesto, invece, è radicalmente mutato: «La banca ha
dovuto sopportare la gogna mediatica dello scandalo Berneschi, ma ha retto anche grazie a una struttura a
cui sono grato, viste le condizioni in cui ha operato. Poi è arrivata la bocciatura della Bce, che ha generato
una situazione di incertezza da cui siamo usciti solo nei giorni scorsi ma che ci ha consentito di completare
un'operazione-verità sul nostro portafoglio crediti. Inevitabilmente il piano dello scorso anno ha subito alcuni
ritardi, ma ora ci sono tutte le premesse per tornare a creare reddito».
Continua pagina 23
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Per l'utile, però, ci vorrà ancora pazienza: il piano lo fissa al 2017.Ma la strada è quella, ormai. Un anno e mezzo fa, questa banca aveva problemi di liquidità, di patrimonio e di
redditività: i primi due ora sono risolti, quindi ci si può concentrare sul terzo.
Non è facile, di questi tempi, fare utili per le banche.E neanche per Carige, che già negli ultimi tempi era riuscita a salvaguardare una redditività minima grazie al
carry trade con i Fondi Ltro della Bce, che ora abbiamo dovuto restituire. Ma il piano è credibile e il mercato
l'ha capito, visto che il titolo ha chiuso in rialzo (+0,57%, ndr) nonostante l'altroieri abbiamo ritoccato al rialzo
l'ammontare dell'aumento.
Perché l'avete fatto? In fondo, la Bce non ve l'ha chiesto e alla fine "rischiate" di trovarvi con unCommon equity tier 1 superiore di oltre 100 punti base a quello richiesto da Francoforte.Perché vogliamo essere tranquilli rispetto alle cessioni che comunque fanno parte del piano: il termine per
concludere il rafforzamento patrimoniale è fissato al 26 luglio, e se non avremo offerte convincenti su Creditis
e Banca Ponti, i due asset in vendita, potremo permetterci di rifiutarle senza compromettere i ratio.
Quindi, alla fine, Banca Ponti potrebbe rimanere nel perimetro del gruppo?Premesso che tutti gli asset in vendita sono ritenuti non core, su Banca Ponti è in corso una due diligence
che sarà prolungata al 15 aprile: chi siederà in consiglio al momento di valutare le offerte prenderà la
decisione definitiva.
Potrebbe non esserci più lei?L'altra novità che ha coinvolto la banca in questi mesi è stato l'arrivo della famiglia Malacalza, una buona
notizia. Quando saranno ultimati il trasferimento della quota che fa capo alla Fondazione e l'aumento, si farà
il punto e si chiederà loro quale spazio desiderino avere in consiglio.
Prevede grosse novità?Non tocca a me dirlo. So solo che il consigliere delegato deve avere la fiducia del primo azionista e che la
banca è alla vigilia di una svolta importante, che la vedrà passare da una guida sostazialmente pubblica, con
la Fondazione socio di maggioranza, a un assetto privatistico.
Come sono i suoi rapporti con la famiglia Malacalza? Ottimi.
Andrea C. Bonomi, che lei conosce bene visti anche i trascorsi comuni in Bpm, ha una quota nellabanca? Potrebbe ancora essere interessato ad acquisirla?
21/03/2015 21Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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Non mi risulta.
Torniamo al piano industriale: è fatto per salvaguardare l'autonomia di Carige o per facilitareun'aggregazione?Come tutti i documenti strategici, è congegnato per una prospettiva stand alone. Ma anche per mettere la
banca in condizione di approcciare il riassetto del settore da una posizione di forza; e non escludo che possa
farlo, visto anche l'imminente risiko tra le popolari.
Entro fine 2016 puntate a cedere fino a un miliardo e mezzo di sofferenze, con minusvalenze di 200milioni: i valori di libro e quelli di mercato si stanno riavvicinando?In questi ultimi mesi abbiamo catalogato e prezzato i nostri 6 miliardi di sofferenze, un'operazione che ci ha
consentito di portarle non così lontane dai valori a cui sono state vendute da altre banche nelle operazioni più
recenti.
Qui una bad bank di sistema potrebbe aiutare?Come no. Contiamo di vendere i nostri npl entro il 2016: se al momento di farlo ci sarà la bad bank la
prenderemo sicuramente in considerazione.
E poi costituirete una newco con un partner esterno per gestire altri 2,5 miliardi di sofferenze dipiccola taglia.Sì, ma in quel caso i crediti resteranno sui libri della banca: puntiamo però a migliorare il tasso di recupero dal
3, al 5,5%.
Infine, la Fondazione: con il vostro azionista storico i rapporti ultimamente sono stati piuttosto tesi.Non è vero, semplicemente per una lunga fase abbiamo avuto interessi diversi. Ora che tutto si è chiuso
positivamente, devo riconoscere al vertice dell'ente la capacità di gestire con sangue freddo una situazione
non facile.
.@marcoferrando77
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Al timone. L'ad Piero Luigi Montani
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 117
LA CAMPAGNA CINESE Se Pechino punta 100 miliardi sull'Italia Rita Fatiguso di Rita Fatiguso
Quindici anni fa le grandi società cinesi in Italia si contavano sulle dita di una mano. Conglomerate statali con
sedi commerciali, nulla di più. Siti produttivi, zero. Ora l'Italia è invece il primo Paese europeo su cui la Cina
investe. Servizio pagina 2
PECHINO
Quindici anni fa le grandi società cinesi in Italia si contavano sulle dita di una mano. Conglomerate statali con
sedi commerciali, nulla di più. Siti produttivi, zero. Le attività cinesi erano quelle degli immigrati dal Fujien e
dallo Zheijiag: ristoranti, società di import-export, small commodities, abbigliamento e affini. Se qualcuno
avesse detto che la Banca centrale cinese stava rastrellando sul mercato azioni blue chip si sarebbe pensato
a uno scherzo.
E, invece, in pochi mesi, di recente, Zhou Xiaochuan, il Governatore che sostiene di aver immobilizzato in
Italia almeno 100 miliardi in asset tra partecipazioni e investimenti finanziari, ha superato il 2% in Eni, Enel,
Prysmian, Mediobanca, Generali, Fiat, Telecom, più facile dimostrare chi non c'è, in ossequio a una strategia
precisa: privilegiare la diversificazione dell'investimento valutario, spostando qualche granello delle riserve -
3mila miliardi di dollari - dai certificati di deposito americani ad altri asset.
Colpi come Ansaldo energia-Shanghai electric e State Grid- Cassa depositi e prestiti-Reti hanno dato una
scossa imprimendo un'accelerazione che ha portato l'Italia al primo posto nel 2014 per gli investimenti cinesi:
è stata il primo mercato dell'Eurozona, con ben 2,490 miliardi nell'energia, 598 milioni nei macchinari
industriali, a seguire nel settore alimentare e agrobusiness 50 milioni e nei prodotti di consumo 32. Gli
investimenti diretti cinesi erano quasi inesistenti fino al 2004, poi la media è stata di poco meno di 1 miliardo
all'anno. A partire dal 2009 i flussi d'investimento sono triplicati a quasi 3 miliardi, prima di triplicare ancora
nel 2010 oltre i 10 miliardi. Tanto per favore un paragone, in totale dal 2009 i flussi d'investimenti cinesi in
Europa sono stati di 55 miliardi.
Oggi questa cinese è una realtà consolidata e l'arrivo in massa di altre banche cinesi oltra alla storica Bank of
China che ha due filiali, Icbc in fase di raddoppio, China construction bank, Agricoltural bank sta a
testimoniare il cambio di passo. Ieri durante il China Development Forum Tian Guoli il numero uno di Bank of
China ha detto che il QE sarà un grande vantaggio per queste realtà cinesi. In contemporanea, aggiungiamo
noi, un euro che in un anno ha perso un quarto del valore sul renminbi incentiverà ulteriori mosse da parte di
Pechino.
Per non parlare del gran numero di aziende a contenuto tecnologico acquistate da cinesi con M&A di aziende
ad alto valore aggiunto trattori per l'agroindustria, pompe idrauliche. Oggi Snam entra nel mercato cinese con
PetroChina ma anche per operare su mercati terzi.
C'è di più: la tanto vagheggiata mossa del Cic, il fondo sovrano cinese potrebbe verificarsi quest'anno, con
l'ingresso come azionista in Cassa, il nostro fondo sovrano, sempre per le infrastrutture, quindi dentro F2i.
La sleeping beauty europea si è svegliata, dal 2000 In Italia nel periodo 2000 - 2014 gli investimenti cinesi
italiani si sono concentrati principalmente nei seguenti tre settori: nell'energy con 2,660 miliardi di dollari, nel
settore dei macchinari industriali con 835 milioni e nel settore automotive con 600 milioni. Seguono i prodotti
e servizi di consumo con 191 milioni, l'IT con 101 milioni, il real estate con 68 milioni e il settore alimentare e
agricoltura con 51 milioni.
La tipologia di operazioni di M&A è cambiata negli ultimi cinque anni, una delle più rilevanti tendenze è la
crescita delle piccole e medie operazioni di M&A realizzate spesso da investitori finanziari che però si
affianca ai megadeal, come quello in corso tra Pirelli e China Chem.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 118
La flessione del mercato interno cinese nel 2013 e 2014, e il boom dei viaggi dei cinesi all'estero nello stesso
periodo - per ragioni di turismo, studio ed emigrazione - stanno spingendo, adesso, sull'immobiliare.
Se i cinesi di Insigma sono rimasti a bocca asciutta con i treni di Ansaldo breda di Finmeccanica finiti ai
giapponesi, in Italia ci sono grandi societa come Huawei Hisense Haier. E la moda? Fosun è entrata in
Caruso, e domani, a Pechino, sfila Marisfrolg che, per chi non lo sapesse, è il marchio di ZhuChongYun,
l'imprenditrice di Shenzhen che ha comprato Krizia. Anche nella moda, è solo l'inizio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA La presenza cinese a Piazza Affari e il peso degli investitori esteri in Europa
Fonte: elaborazione Il Sole 24 Ore su banca dati S&P Capital Iq LA PRESENZA CINESE IN ITALIA Le
partecipazioni di People's Bank of China a Piazza Affari. Quote % L'INDICE FTSE A PIAZZA AFFARI Gli
ultimi dodici mesi Fiat Chrysler Automobiles 2,00 1,90 1,95 2,00 2,05 2,10 Enel 2,07 Telecom Italia 2,08
Prysmian 2,02 Saipem 2,03 Mediobanca 2,001 Eni 2,10 Generali 2,01 MAR MAG GIU LUG AGO SET OTT
NOV DIC GEN MAR 2014 2015 APR FEB 22.000 23.000 21.000 20.000 19.000 18.000 100 Miliardi
Investimenti finanziari e partecipazioni in Italia della Banca centrale cinese 23.176 20/03/2015
LE ULTIME 10 GRANDI OPERAZIONI CINESI IN EUROPA Data UE Target Valore ($ Mln) Stato Settore
Nov. 2014 CDP Reti 2.792 Italia Energy Ott. 2014 Nidera NV 2.000 Paesi Bassi Ag e Food Lug. 2014
PizzaExpress 1.483 Regno Unito Ag e Food Mag. 2014 Caixa Seguros 1.380 Portogallo Finance and
Business Services Gen. 2014 Chiswick Park 1.285 Regno Unito Real Estate Feb. 2014 Peugeot SA 1.100
Francia Automotive Giu. 2014 10 Upper Bank Street building 740 Regno Unito Real Estate Ott. 2014 Hilite
International GMBH 629 Germania Automotive Ott. 2014 Espirito Santo Saude 611 Portogallo Health and
Biotech Dic. 2014 Ansaldo Energua Spa 532 Italia Industrial Equipment
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LA PRESENZA CINESE A PIAZZA AFFARI E IL PESO DEGLI INVESTITORI ESTERI IN EUROPA
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 119
Intesa sulla governance con Chem China: management, sede e ricerca in Italia, servirà il 90% del capitaleper cambiare Opa Pirelli, spunta la clausola salva-Italia Domani l'annuncio: cinesi al 65% e italiani al 22,6% Antonella Olivieri Comunque vada, Chem China sarà l'azionista di maggioranza di Pirelli. Ma la difesa dell'essenza
dell'italianità della Bicocca - sede, ricerca&sviluppo e management - è consegnata alla clausola, concordata
con i cinesi, di fissare al 90% del capitale il quorum per cambiare lo statuto a riguardo. In caso di adesione
totalitaria all'Opa che sarà annunciata domani, Chem China avrebbe il 65%, la cordata italiana guidata da
Marco Tronchetti Provera il 22,6% e Rosneft il restante 12,4%.
Servizi e analisi pagine 2 e 3
L'ultimo baluardo a difesa dell'italianità di Pirelli è appeso alla perizia degli avvocati. Patti intricatissimi, da
tradurre in cinese, ma anche in russo - visto che gli interlocutori al tavolo con Marco Tronchetti Provera & C.
sono il prossimo socio di maggioranza Chem China e l'ultimo partner internazionale Rosfneft - che cercano di
far da contraltare con la governance alla potenza dei capitali emergenti. Pirelli già oggi è poco italiana se si
guarda a produzione e mercati di sbocco: su entrambi i fronti lo è appena per il 6%. Nell'azionariato stabile lo
è solo per il 13%. Troppo poco per difendere l'azienda dalle mire dei concorrenti che, dato che il settore delle
gomme ormai è molto concentrato a livello mondiale, se riuscissero a conquistare la Bicocca, per motivi
Antitrust, dovrebbero necessariamente rinunciare a "pezzi" della pregiata preda, inglobando solo il possibile.
Scenario per nulla irrealistico considerato che Pirelli è relativamente piccola per capitalizzazione di Borsa
(Continental viaggia a oltre 45 miliardi, Bridgestone a 30, Michelin quasi a 17) e che Rosneft, alle prese con
le difficoltà dell'embargo alla Russia, non avrebbe potuto intervenire per organizzare la difesa.
Affidarsi all'abbraccio cinese, con la rinuncia all'ultima parvenza di italianità della proprietà, sarebbe stata - a
quanto risulta - anche una mossa per mettere al riparo l'azienda dal rischio "spezzatino": un anno fa le voci
davano in movimento la tedesca Continental, oggi sul mercato circolavano anche altre ipotesi. Il passaggio
della maggioranza in mani cinesi è un dato di fatto perchè comunque vadano le cose ChemChina sarà
sempre l'azionista preponderante della Bicocca. L'accordo però è stato fatto a condizione di preservare
l'essenza dell'italianità di Pirelli: sede e cervello in Italia. Vale a dire gestione del business, anche per la parte
che riguarda la joint nelle gomme per camion e macchinari pesanti, al management di Pirelli e ricerca &
sviluppo in Italia. Presidi da inserire nello statuto societario con la maggioranza bulgara del 90% per poterli
cambiare. Il che significa che il baluardo all'essenza dell'italianità resisterà fino a quando ci sarà qualcuno in
Italia interessato a farlo valere e fino a quando i cinesi saranno convinti che il marchio del "made in Italy" sia
un valore aggiunto e non invece un vincolo da eliminare. Percentuali che dovranno passare la ratifica dei
consigli che si stanno susseguendo in questo week-end, ma sulle quali è già stato raggiunto un sostanziale
accordo.
Nello schema dell'operazione in cantiere - i dettagli si dovrebbero conoscere lunedì, presumibilmente prima
della riapertura dei mercati - la costante è che Chem China avrà comunque la maggioranza. In percentuali
variabili a seconda dell'esito dell'Opa che sarà lanciata da una newco a maggioranza cinese, con la
componente italo-russa in minoranza.
Nella fase iniziale Chem China rileverà la quota di riferimento di Camfin in Pirelli per una cifra intorno a 1,8
miliardi: tolti 400 milioni di debito (che sarà rimborsato), restano 1,4 miliardi. Rosneft ne tratterrà una parte e
reinvestirà il resto insieme ai soci italiani (la cordata privati-banche guidata da Tronchetti) nella newco che
lancerà l'Opa a 15 euro, per un controvalore totale di 7,1 miliardi. Nella newco, Chem China metterà 2,2
miliardi di equity, la compagine italo-russa circa 1,1 miliardi (cioè i proventi netti risultanti dalla vendita della
quota di Camfin).
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 120
Nell'ipotesi in cui l'Opa raggiungesse il 100% delle adesioni, Chem China avrebbe il 65% del capitale, l'ex
Camfin il 35% così suddiviso: la compagine tricolore al 22,6% - miracoli della finanza, più del 13% che ha in
mano oggi - e Rosneft con la restante quota del 12,4%.
Se invece l'Opa non riuscisse a raccogliere la totalità del capitale la Pirelli farebbe capo alla newco, nella
quale ci sarebbe una sostanziale pariteticità tra il socio cinese e il blocco italo-russo: 51% al primo, 49% agli
altri. In questo caso Pirelli potrebbe essere delistata o meno a seconda che la maggioranza raggiunga o
meno la percentuale dei due terzi del capitale sufficiente a consentire la fusione con la newco non quotata.
La composizione del board dovrebbe variare di conseguenza a seconda dell'esito dell'Opa e quindi delle
percentuali di capitale azionario in mano ai due blocchi.
Nel caso in cui fosse possibile ritirare Pirelli dal listino di Piazza Affari, il processo di riassetto post-Opa
marcerebbe più spedito. In ogni caso si avrà la separazione tra una società dei camion destinata a fondersi
con la quotata Aeolus che fa capo a Chem China e una società delle gomme auto e moto concentrata nel
segmento d'alta gamma "premium". Quest'ultima tornerebbe in Borsa dopo quattro anni (forse a Londra), con
i cinesi che scenderebbero sotto il 50%, pur restando sempre il socio maggioritario. Nel caso in cui ci fosse il
delisting di Pirelli a seguito dell'Opa, ma per qualche motivo "Pirelli Tyre" non fosse riportata in quotazione
allora ci sarebbe il diritto (sotto forma di un'opzione put) degli altri soci rimasti nel capitale a rivendere le loro
quote a Chem China allo stesso prezzo dell'Opa di oggi, presumibilmente, appunto, intorno ai 15 euro.
Allo stato pare non si registrino defezioni nella variegata compagine tricolore che accompagna Tronchetti a
seguirlo anche in quest'ultima avventura. Se la scommessa industriale della joint cinese per i camion si
rivelerà azzeccata e se le gomme premium da sole spuntassero multipli più alti in Borsa, ci sarebbe sen'altro
ancora da guadagnare. Con qualche tristezza per i limiti del sistema-Paese, ma questa è un'altra storia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Catena societaria e numeri di Pirelli 16 15 14 13 12 11 10 9 COME
CAMBIA LA NUOVA STRUTTURA DI CONTROLLO PIRELLI TYRE Auto e Moto PIRELLI TRUCK
MAGGIORANZA MINORANZA China Chemical Nuove Partecipazioni Spa Intesa Sanpaolo NEWCO
Unicredit Neftgarant (Rosneft) Ri-quotazione tra qualche anno Fusione con la controllata di China Chemical
quotata in Asia OPA Dati in milioni di euro CONTO ECONOMICO (*) stime Bloomberg IL GRUPPO IN
BORSA RICAVI NETTI REDDITO OPERATIVO REDDITO NETTO 2012 2013 2014* 6.150 6.100 6.050
6.000 6.072 6.146 6.067 2012 2013 2014* 900 850 800 750 792 791 870 2012 2013 2014* 400 350 300 250
387,1 303,6 355,5 MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC GEN 2014 2015 FEB MAR 15,23
20/03/2015 +35,98% Variazione %
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CATENA SOCIETARIA E NUMERI DI PIRELLI
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GOVERNANCE GLOBALE Una nuova Bretton Woods (Cina inclusa) Guido Rossi Una grave e apparentemente irrisolvibile situazione economica globale, accompagnata da un disordine
politico e culturale, sta distruggendo sulla sua strada democrazie liberali e Stati autoritari e ripristinando
guerre e inaudite violenze. Per porre termine a questa situazione s'è a volte richiamata la necessità, invocata
anche su questo giornale, di una seconda Conferenza di Bretton Woods.
La prima fu convocata nel 1944, per ricreare un sistema economico internazionale e stabilire un ordine
finanziario globale che portò, oltre al resto, alla creazione del Fondo Monetario Internazionale e della Banca
Mondiale.
Il sistema di Bretton Woods fornì sicurezza e tranquillità ai mercati, sicché i decenni degli anni '50 e '60 del
secolo scorso furono messi al sicuro da possibili crisi, garantiti dai tassi di cambio fissi, da elementi di
controllo pubblico sulla finanza e sui sistemi bancari nei vari Paesi .
Il risultato di Bretton Woods fu sostanzialmente l'accordo tra due Stati le cui politiche erano essenziali per la
stabilità finanziaria globale: da un lato gli Stati Uniti, il principale creditore mondiale, e dall'altro la Gran
Bretagna, il maggior debitore; il primo si accordò di assistere i Paesi che dovevano combattere con un
corrente deficit di bilancio e il secondo fu d'accordo nel rinunciare alla svalutazione competitiva della moneta.
Comparata la situazione ad oggi, la Cina risulta il maggior creditore del mondo e gli Stati Uniti il maggiore
debitore, ma né l'una né l'altro sono sembrati finora, se non a parole, disposti a impegnarsi per un interesse
extranazionale, sicché il disordine appare oramai stagnante e gli interessi dei singoli Stati nazione ovunque
prevalenti su quelli mondiali.
La collaborazione a Bretton Woods fra l'Inghilterra, con John Maynard Keynes e gli Stati Uniti, con Harry
Dexter White, creò i fondamenti economici per una lunga pace globale. Il programma ripetuto più volte da
White fu che era tempo di costruire un "New Deal for a New World".
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Purtroppo, invece, gli Stati Uniti, forti del loro potere politico e militare, rifiutarono la proposta di Keynes, di
creare una moneta internazionale, e imposero il dollaro americano come mezzo di pagamento nel commercio
e nelle operazioni finanziarie internazionali. E così, il meccanismo di Bretton Woods andò via via
dissolvendosi, a cominciare dagli anni 70 del secolo scorso, a partire dalla mancata convertibilità col dollaro
voluta da Nixon e una sempre più diffusa tolleranza verso una totale libertà finanziaria, unita al fenomeno
della privatizzazione del sistema, terminata nella crisi del 2008. Questa crisi, ancora dominata dalla
architettura finanziaria globale del dollaro, ha impedito che venisse apportata qualsivoglia necessaria riforma,
decisamente osteggiata dagli Stati Uniti, alle istituzioni di Bretton Woods.
Ma nel frattempo la Cina, già lo scorso anno, aveva creato l'Asia Infrastructure Investment Bank (Aiib), una
banca di investimento e di sviluppo che lavorerà con le banche multilaterali esistenti per il finanziamento delle
infrastrutture asiatiche.
Si sono ora aggiunti, quali membri fondatori della Banca, Italia, Francia e Germania, oltre che l'Inghilterra,
suscitando una rabbiosa reazione da parte dello stesso presidente Obama. Non corre dubbio che l'egemonia
americana nella Banca Mondiale e nel Fondo Monetario Internazionale subirà dalla Banca cinese una forte
concorrenza, capace di metterne in discussione il potere internazionale non solo in Asia.
Ritengo inoltre che le idee degli esponenti politici cinesi al riguardo siano di estrema importanza, sia per la
loro attuale originalità, sia per dare un significato più consistente ad una importante politica di sostegno nei
confronti della Cina, fors'anche per una rinnovata e non utopica Bretton Woods. Mi riferisco, in particolare alla
proposta già avanzata negli anni 40 del secolo scorso da J.M. Keynes, e recentemente più volte ripresa dal
Governatore della Banca Centrale cinese Zhou Xiaouchuan, di sostituire il dollaro come mezzo di pagamento
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 122
nel commercio e nella finanza internazionale con una moneta internazionale. Una moneta globale servirebbe
a garantire una stabilità generale, con un meccanismo automatico adatto a combattere gli sbilanci dei singoli
Paesi, nonché ad assicurare l'esistenza di un prestatore di ultima istanza, che possa creare politiche
anticicliche e stabilizzare la crescita del Prodotto Lordo Globale. Non sarebbe questo, tra l'altro, uno
strumento fondamentale per realizzare quello in cui Bretton Woods ha fallito, cioè politiche finanziarie ed
economiche globali che eliminino le pesanti diseguaglianze finora create e garantire una vera pace?
Dopo la giusta adesione dell'Italia all'iniziativa cinese, importanti risultano altresì le parole a commento
rilasciate martedì scorso dal presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, che ha accolto molto
favorevolmente la pianificata partecipazione di un numero di Paesi dell'Unione europea nella nuova Banca
cinese, così esprimendosi: «Ritengo che la partecipazione sia buona; più Paesi ne prendono parte e meglio
è».
Queste dichiarazioni mi confermano che le ultime decisioni sull'Aiib del governo cinese offrono all'Unione
europea su un piatto d'argento l'occasione per riprendere la posizione di valenza internazionale che si merita,
e potrebbe certamente in questo modo costituire uno straordinario punto di incontro per un nuovo progetto di
politica economica globale.
Questa nuova dimensione politica europea toglierebbe tra l'altro qualsiasi consistenza e attrattiva agli
euroscettici e ai tentativi autonomisti perseguiti nei vari Paesi, con aggregazioni affrettate e improbabili, che
tra l'altro possono, in questo momento di diffuse violenze, diventare pericolose.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Guido Rossi
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 123
LA FINE DEL NOVECENTO INDUSTRIALE Prede e predatori nel nuovo capitalismo Paolo Bricco di Paolo Bricco
La vicenda Pirelli ha un valore paradigmatico. La sua acquisizione da parte di Chem China rappresenta la
definitiva uscita dal Novecento industriale italiano. E l'ingresso nelle nuove mappe di un capitalismo
globalizzato in cui Europa e Cina si affrontano con durezza. Continua pagina 3
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L'operazione sancisce la fine di un secolo lungo segnato per il nostro Paese dalla capacità di essere uomini
di fabbrica e da una spinta all'internazionalizzazione che hanno sempre dovuto fare i conti con un capitalismo
familiare interessato al controllo dell'impresa e dotato di minori capitali rispetto ai concorrenti stranieri. Un
profilo, dunque, molto italiano. Ma l'operazione di Chem China su Pirelli è anche l'ulteriore prova del nuovo
confronto fra grandi aggregati politico-territoriali, in cui il nuovo soggetto forte della globalizzazione - la Cina -
sceglie di assimilare pezzi tecnologici e manifatturieri occidentali, secondo scelte di politiche industriali a cui
invece l'Unione Europea - lacerata da micro politiche nazionali - non riesce a replicare. Qualcosa che,
dunque, riguarda tutta l'Europa. «Questo episodio - riflette Franco Amatori, decano degli storici economici
della Università Bocconi - si iscrive in una vicenda di lungo periodo in cui la spinta a crescere sui mercati
esteri, essenziale fin dagli anni Cinquanta vista la piccola dimensione del mercato italiano, ha sempre avuto
un freno in due caratteristiche del nostro capitalismo nazionale: l'ansia di controllo della famiglia fondatrice
sull'impresa e i mezzi finanziari inferiori alle ambizioni». Franco Amatori, che ha avuto modo di raccogliere la
testimonianza di Leopoldo Pirelli poco prima della sua scomparsa otto anni fa e che poi ha avuto accesso al
suo archivio, ricorda il passaggio a vuoto del 1971. Allora si arrivò a pochi centimetri dalla fusione fra Pirelli e
Dunlop. In quel passaggio storico Michelin aveva il predominio commerciale e tecnologico. L'operazione
Pirelli-Dunlop aveva una significativa ragione industriale: i prodotti erano complementari. Ma Dunlop aveva un
azionariato diffuso. Era una public company. «Leopoldo - rammenta Amatori - non se la sentì di vedere la sua
quota diluita in una nuova impresa in cui avrebbe faticato non a comandare, ma anche solo a determinare
l'indirizzo strategico». C'è la questione del desiderio del controllo. E c'è il tema dei soldi. Ai Pirelli e alla Pirelli
degli anni Settanta e Ottanta - «assolutamente centrali nel sistema di Mediobanca», secondo Giandomenico
Piluso, docente di Storia di impresa all'Università di Siena - non si attaglia il giudizio severo che, su quel
mondo ormai prossimo all'autunno, avrebbe formulato nel 1991 Napoleone Colajanni nel saggio pubblicato
da Sperling & Kupfer "Il capitalismo senza capitale". Ma, di certo, Leopoldo comprese la differenza delle
regole e delle misure in gioco quando nel 1988 provò ad acquisire negli Stati Uniti la Firestone. Un mondo -
fra Akron in Ohio, Chicago e Wall Street - in cui non valeva la frase di Enrico Cuccia «le azioni si pesano, non
si contano». Il tentativo di scalata fallì per l'offerta dei giapponesi di Bridgestone, di gran lunga migliore sotto il
profilo finanziario. Il tema della capacità finanziaria al servizio dell'espansione internazionale - cruciale in ogni
periodo storico, anche quando i mercati erano più chiusi come negli anni Ottanta - rappresenta una continuità
di lungo periodo per la Pirelli, che in questo appare davvero paradigmatica della fisiologia del nostro
capitalismo. Fra il 1990 e il 1991 l'impresa italiana imposta una scalata alla Continental. Una operazione che
non ha una origine ostile. «Dopo una fase iniziale positiva - sottolinea Amatori - i negoziati prendono una
brutta piega non soltanto quando Pirelli mostra di volere comandare non rispettando il principio di
condivisione del potere proprio del capitalismo renano, ma soprattutto quando la proposta finanziaria viene
formulata parte in denaro e parte conferendo la Pth, la holding quotata ad Amsterdam che racchiudeva delle
attività internazionali. A quel punto, il sistema tedesco, formato in particolare da Deutsche Bank, da
Volkswagen e da Bmw, dice no». Nella continuità di lungo periodo, gli anni Novanta e gli anni Duemila sono
stati segnati sul piano micro dalla leadership familiare e societaria di Marco Tronchetti Provera che,
nonostante il vulnus rappresentato dall'investimento in Telecom Italia, ha perversato in Pirelli nella strategia di
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 124
risanamento e di sviluppo, di razionalizzazione delle procedure e dei processi interni e di
internazionalizzazione. Questa consistenza industriale ha fatto il paio con il binomio formato dal controllo
della società attraverso catene societarie e dalla ricerca di investitori in grado di apportare, appunto, nuovi
capitali. Una ricerca di nuovi capitali, all'interno delle ragioni e degli interessi sia della famiglia che
dell'impresa, che alla fine ha appunto portato all'arrivo dei cinesi. Invece, sul piano macro, nella dialettica fra
particolare e generale fra gli anni Ottanta e gli anni Novanta in Europa è successo qualcosa i cui effetti
perdurano ancora oggi. E che mostrano le cause dell'assenza di una risposta sistemica europea - di
qualunque genere, beninteso - di fronte a una Cina che procede, rispettando le regole del mercato, come un
cingolato, in questo come in altri casi. Fra il 1985 e il 1994 Jacques Delors da presidente della Commissione
Europea prospettò la necessità di politiche industriali comunitarie. «Il suo consigliere Alexis Jacquemin - nota
Franco Mosconi, docente di Economia industriale all'Università di Parma - dimostrò che era necessario
abbandonare politiche industriali difensive su base nazionale. I singoli Stati preferirono, invece, procedere in
autonomia. Il risultato è che, oggi, manca una politica industriale comunitaria, all'interno della quale si
muovano i grandi gruppi industriali come Pirelli, che non sono italiani, ma europei». Che non erano italiani,
ma europei, viene da dire. Dato che, ora, sono cinesi. «Pirelli doveva crescere. Aveva bisogno di capitale
nuovo, per aprire per esempio un mercato come quello cinese che, fra il 2020 e il 2025, varrà quanto quello
europeo», afferma Roberto Crapelli, amministratore delegato di Roland Berger Italia. Che aggiunge: «Non ha
più senso parlare di Paesi. Ormai il confronto è fra piattaforme produttive di grandi dimensioni, soprattutto alla
luce delle nuove tecnologie Industry 4.0. Dunque, anche le policy devono misurarsi su queste scale. I cinesi
si muovono con decisione. L'Europa non sempre sa che cosa vuole dalla sua identità manifatturiera». E se
non lo sa l'Europa, figuriamoci l'Italia.
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GLI ACCORDI MANCATI Il tentativo di fusione con Dunlop
Nel 1971 si arrivò a un passo dalla fusione Pirelli-Dunlop, due aziende che avevano prodotti compementari.
L'assetto societario era però differente: Dunplop era una public company. E Leopoldo Pirelli non se la sentì
veder diluita la priopria quota in un big che avrebbe fatto fatica a governare.
La scalata a Continental
Tra il 1990 e il 1991 Pirelli impostò una scalata non ostile su Continental. I negoziati, dopo una prima fase
costruttiva, presero una brutta piega quando Pirelli mostrò di voler comandare non rispettando il principio di
condivisione del potere proprio del capitalismo renano dando vigore all'opposizione di Deutsche Bank, Vw e
Bmw.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 125
Dopo tre riassetti finanziari è arrivata l'intesa industriale Marigia Mangano Tre riassetti finanziari e uno, quello preannunciato con Chem China, più industriale. È la cronaca degli ultimi
sei anni di Pirelli, con il gruppo degli pneumatici al centro di rivoluzioni "azionarie". Ma soprattutto è la sintesi
della battaglia personale portata avanti da Marco Tronchetti Provera che senza aver dalla sua la forza della
liquidità che possono vantare vecchi e nuovi partner, sembra ora prossimo ad ottenere quella stabilità
azionaria necessaria per poter gestire la nuova fase di Pirelli. Migliorare ancora non sarà impresa facile
perchè Pirelli ha già conquistato livelli di redditività importanti che i prezzi di Borsa riflettono, con il valore del
titolo raddoppiato nel giro di tre anni. Ma è altrettanto vero che se l'obiettivo, nell'ambito del grande accordo
italo-russo-cinese, è dividere il segmento gomme per camion dai pneumatici per auto e moto ci sono almeno
due elementi da mettere in conto.
Il primo è di natura squisitamente finanziaria. Separare le due componenti porterebbe il gruppo Pirelli a
creare una società pura di pneumatici consumer premium, avvicinandosi ai multipli da prima della classe di
Nokian. E se si andassero oggi ad applicare i multipli del gruppo finlandese all'Ebitda della parte consumer, la
creazione di valore sarebbe sensibile.
Il secondo è di natura industriale. Pirelli da tempo cercava un partner per la divisione gomme per camion. E il
gruppo cinese, attraverso Aeolus ha già una attività nel comparto. L'unione con la divisione truck di Pirelli
potrebbe così raddoppiare le dimensioni del gruppo in tale segmento, fino a collocarsi ai primi posti tra i
produttori mondiali, oltre che elevare la qualità dei pneumatici per mezzi pesanti in Cina. Senza contare, e
questo vale sia per la parte "truck", sia per la parte "premium", che l'intesa con Pechino apre le porte del
mercato cinese, una grande, enorme, opportunità per la Pirelli made in Italy. E qui, appunto, emerge la
principale diversità del riassetto in corso rispetto ai precedenti. La prima alleanza firmata da Tronchetti
Provera risale al 2009 e coinvolgeva la famiglia Malacalza. Il socio genovese, dalla sua, aveva quella forza
finanziaria e quella liquidità che andavano a «rafforzare» la proprietà, fino ad allora sostanzialmente
rappresentata da Tronchetti e dal patto di sindacato. Il matrimonio con il socio genovese è però poi finito a
carte bollate e nel 2013 è stato decisivo l'intervento di UniCredit, Intesa Sanpaolo e del fondo Clessidra per
sbrogliare la complicata matassa che si era venuta a creare. Una cordata di partner finanziari che ha
accompagnato, se vogliamo, la fase di transizione della Pirelli, con una proprietà più debole rispetto al
passato per il venir meno di quel capitalismo fatto di patti di sindacato che per anni aveva garantito il
controllo. Dopo soli dodici mesi il terzo passaggio: l'ingresso con il 13% indiretto di Pirelli del socio Rosneft.
Probabilmente, se non fosse subentrata la crisi Ucraina e il crollo del rublo il percorso sarebbe stato diverso.
Ma tali vicende hanno imposto un cambio di marcia improvvisa. Questa volta però con un riassetto che incide
profondamente sulla proprietà, dato che Chem China è pronta a prendere in mano il controllo di diritto della
Pirelli. Un prezzo alto da pagare. Ma quali sarebbero state le alternative? Se si esclude l'opzione Cdp, legata
più a scelte di politica, le possibilità erano sostanzialmente due: la cessione ai fondi di private equity o la
vendita ai big europei e americani. Ma in entrambi i casi il risultato sarebbe stato, probabilmente, uno
smembramento della Pirelli, vuoi per la natura e la strategia dei soggetti coinvolti(private equity), vuoi per i
problemi legati all'Antitrust (i vari Continental , Bridgestone e Michelin).
© RIPRODUZIONE RISERVATA Marigia Mangano
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 126
Bankitalia. L'analisi del vicedirettore Panetta «Il credit crunch si allenta, ma le Pmi ancora in difficoltà» Rossella Bocciarelli IL NODO BAD BANK
Sempre più urgente
un intervento normativo
per agevolare lo smobilizzo dei crediti deteriorati, senza escludere un ruolo dello Stato
Roma
«Le banche devono accrescere, nel loro stesso interesse, la capacità di fornire sostegno finanziario
all'economia reale».
L'esortazione viene da Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca d'Italia ed esponente del
supervisory board nella Vigilanza Bce, che ieri è intervenuto a un convegno dell'Associazione per gli studi di
banca e borsa ed è tornato sulla necessità di un intervento normativo per agevolare lo smobilizzo dei crediti
deteriorati, senza escludere a priori un possibile ruolo dello Stato.
I dati più recenti, ha osservato, indicano un miglioramento nella disponibilità dei prestiti:«Gli intermediari
segnalano un allentamento dei criteri di erogazione del credito, si riduce la quota di aziende che lamentano
carenza di finanziamenti; la contrazione dei prestiti alle imprese si va attenuando» ha rimarcato. E ha
aggiunto che a questo miglioramento stanno contribuendo in misura rilevante gli interventi di politica
monetaria del sistema, in particolare il Qe . Tuttavia, la normalizzazione del mercato del credito non è ancora
completa e a farne le spese sono soprattutto le imprese più piccole: «L'aumento dei flussi di credito - ha
spiegato Panetta - si registra soprattutto per i debitori meno rischiosi, quali le imprese grandi e maggiormente
patrimonializzate. Le aziende di minore dimensione, specie quelle caratterizzate da fragilità degli equilibri
economici e patrimoniali, continuano invece a mostrare difficoltà nell'accedere a finanziamenti esterni».
In questo contesto, nel quale, pure, «emergono segnali di ripresa dell'economia, nell'area dell'euro e in
Italia» secondo il dirigente Bankitalia occorrerà «evitare politiche pro-cicliche» e gestire le regole esistenti con
flessibilità:«Laddove si rilevino fallimenti del mercato- ha osservato - l'intervento pubblico non va escluso a
priori». E il mercato non riesce a gestire da solo lo smaltimento delle sofferenze.«Se lasciata alle sole forze di
mercato- ha detto - la gestione dei crediti deteriorati rischia di avere tempi lunghi.In un tale scenario, un
intervento da parte delle autorità può consentire di risolvere i problemi di coordinamento fra banche e di
accelerare lo smaltimento delle partite deteriorate, evitando che un fallimento del mercato finisca per frenare
l'economia». Secondo l'esponente del Direttorio, peraltro,la cessione dei crediti in sofferenza «risulterebbe
vantaggiosa per famiglie e imprese, che beneficerebbero di una maggiore disponibilità di credito e della
ripresa economica; per il sistema bancario, che vedrebbe ridotto il peso delle partite anomale, con benefici
sul fronte dei relativi costi operativi e dell'onerosità della raccolta; per lo Stato, che dal rilancio congiunturale
ricaverebbe un maggior gettito fiscale». Panetta ha poi spiegato che i possibili interventi in materia di
cessione di crediti in sofferenza, attualmente allo studio «sono incentrati su soluzioni di mercato; le loro
caratteristiche saranno definite nelle prossime settimane, anche nel confronto con operatori specializzati e
con le stesse banche». Quanto al grado di coinvolgimento dello Stato, esso «può essere diverso ed è oggetto
di dialogo con le istituzioni europee, al fine di vagliare la coerenza degli interventi con le regole sugli aiuti di
stato della Commissione europea». In ogni caso, ha sottolineato il dirigente Bankitalia, il quadro normativo
europeo è cambiato nello scorso biennio e dunque soluzioni come quelle adottate in passato in altri paesi non
sono percorribili; senza contare il fatto che «quelle soluzioni hanno comportato un impiego di ingenti risorse
pubbliche che porrebbe anche problemi di opportunità e di bilancio». Vantaggi importanti,secondo Panetta
«deriverebbero poi da misure, anch'esse allo studio, in grado di ridurre la durata delle procedure esecutive
per il recupero dei crediti, che nel nostro paese è assai più lunga della media europea e rappresenta una
delle principali cause dell'accumulo dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche».
22/03/2015 7Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 127
LO SCENARIO
Migliora il credito
Secondo il vicedirettore generale di Bankitalia Pennetta si registra un miglioramento nella disponibilità dei
prestiti, a cui ha contribuito la politica monetaria, in particolare il Qe. Tuttavia, la normalizzazione del mercato
del credito non è ancora completa e a farne le spese sono soprattutto le imprese più piccole
Soluzioni per le sofferenze
«Se lasciata alle sole forze di mercato- ha detto Panetta - la gestione dei crediti deteriorati rischia di avere
tempi lunghi». Per questo il vicedirettore suggerisce «un intervento da parte delle autorità» per consentire di
risolvere i problemi di coordinamento fra banche e accelerare così «lo smaltimento delle partite deteriorate».
22/03/2015 7Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 128
Privatizzazioni. Domani cda sul bilancio 2014 Poste pronta alle pulizie sui conti in vista dell'Ipo Piano tariffe all'Authority Laura Serafini IN VISTA DELLA BORSA
Il primo bilancio di Caio potrebbe registrare svalutazioni per circa un miliardo. Mercoledì l'esame dei rincari
sul settore dei recapiti
Il cda di Poste Italiane si appresta ad esaminare il bilancio 2014, il primo dopo la nomina del nuovo ad
Francesco Caio. La riunione è convocata per domani e martedì, i giorni antecedenti la riunione del consiglio
dell'Authority per le comunicazioni che dovrà esaminare la proposta di Poste Italiane per rivoluzionare il
settore dei recapiti. Il riserbo sui numeri è massimo, ma dalle prime indicazioni che trapelano anche Caio, alla
stregua di altri Ceo nominati lo scorso anno al vertice di controllate del Tesoro, si appresta a fare
un'operazione verità sui conti. In sostanza, una pulizia di bilancio in vista della variazione di rotta sulla
strategia già annunciata. Il nuovo amministratore delegato avrebbe messo in carico sull'esercizio 2014, che
lui ha ereditato a partire da maggio dello scorso anno, una serie di svalutazioni. L'ordine di grandezza
ipotizzabile - visto che fino all'ultimo momento le correzioni sono possibili - sarebbe intorno al miliardo di euro
(negli anni precedenti le svalutazioni erano nell'ordine di 500 milioni). Il combinato disposto tra adeguamenti
di valore ed erosione dei margini determinata dal comparto postale (che nel primo semestre aveva già portato
un risultato operativo negativo per 36 milioni contro un risultato positivo per 150 milioni l'anno
precedente)determinerebbe una contrazione del risultato netto consolidato rispetto al 2013, pari allora a 1
miliardo, ben oltre il 50 per cento.
Sulla contrazione dell'utile ha inciso molto un forte calo della corrispondenza.Dovrebbe comunque essere
garantito il pagamento di una cedola al ministero dell'Economia. Nel precedente esercizio era stato
praticamente raddoppiato il pay-out, riconoscendo all'azionista un dividendo di 500 milioni.
Le svalutazioni dovrebbero interessare, in particolare, l'arcipelago delle numerose controllate (attive in una
grande varietà di business spesso con risultati piuttosto modesti)che il nuovo management non ha fatto
mistero di voler razionalizzare e/o dismettere. Tra queste - oltre alla quota in Alitalia già svalutata per 75
milioni nel semestre - c'è, come è noto, il Mediocredito centrale-Banca del Mezzogiorno, che ha un valore di
carico di circa 130 milioni. Le partecipazioni che potrebbero ricadere nel mirino delle svalutazioni hanno un
valore complessivo di carico di 500-600 milioni, se si esclude Poste Vita (che una valore di 1,2 miliardi), una
vera e propria gallina dalla uova d'oro che certo non è in lista per la cessione. Altre correzioni di valore
potrebbero riguardare crediti e ammortamenti.
L'approvazione del bilancio è un passaggio importante per il gruppo guidato da Caio anche in vista dell'Ipo,
ipotizzata per novembre. Ma altrettanto lo sarà la decisione che l'Authority per le comunicazioni è si appresta
ad assumere sul riassetto del settore dei recapiti: la riunione del consiglio è fissata per mercoledì, anche se
non si può dare per scontato che si chiuda in giornata e la delibera finale potrebbe anche slittare. L'Autorità si
dovrà esprimere sul rincaro delle tariffe (da 0,7 euro a 3 euro per la posta prioritaria, e 1 euro per la posta
ordinaria che viene reintrodotta con obbligo di consegna entro 4 giorni)e sulla possibilità che la posta sia
consegnata a giorni alterni sul 25% del territorio nazionale, ovvero in 4 mila comuni (la metà dei comuni
italiani). L'Authority ha una serie di perplessità ad accettare il combinato disposto di aumento dei prezzi e
contestuale taglio del servizio (pur avendo ben presente quanto ormai la posta sia divenuta residuale nel
mondo delle comunicazioni). Il confronto tra società e uffici dell'Autorità è andato avanti in questi giorni,
seppure in modo informale, per arrivare a una soluzione di compromesso.
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22/03/2015 19Pag. Il Sole 24 Ore - ed. NOVA24(diffusione:334076, tiratura:405061)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 129
FISCO E COSTITUZIONE La proroga unica certezza nella Babele delle tasse* Enrico De Mita Il caos fiscale ha superato ogni limite di sopportabilità. Siamo a un anno dalla approvazione della legge
delega e, tolto qualche decreto legislativo approvato dal Governo, c'è voluta la proroga e non da escludere
che ci sarà la proroga della proroga.
La proroga, del resto, è diventata istituto fondamentale del diritto tributario. L'intervento della Corte
costituzionale (37/2015) è stato sul punto alquanto contraddittorio, perché mentre altre volte ha dichiarato
legittima la proroga per lo stato di disorganizzazione dell'amministrazione, o quando ha addirittura salvato il
raddoppio dei termini, con la recente sentenza della scorsa settimana ha dichiarato l'illegittimità costituzionale
di tre diverse proroghe al conferimento degli incarichi a funzionari delle tre agenzie mettendo
l'amministrazione in una situazione di paralisi che verrà superata con qualche leggina.
Questo tema dell'organizzazione delle amministrazioni fu posto a fondamento della riforma del 1971. Ma si è
fatto poco o niente. Manca una politica tributaria del governo come abbiamo più volte scritto su queste
colonne.
Le leggi, specie quando sono leggine dirette a risolvere qualche problema di gettito, vengono fatte con la
complicità del governo. Gli interventi minuti portano quasi sempre lo stesso titolo: disposizioni urgenti in
materia di perequazione, di efficientamento (sic!) e potenziamento delle procedure di accertamento e di lotte
alla evasione fiscale.
Il Governo annuncia interventi di sapore propagandistico, come la dichiarazione precompilata (che pone
nuovi problemi perché il 90% delle dichiarazioni dovrà essere integrato) una fantomatica imposta locale e gli
80 euro che creano una discriminazione nei confronti dei soggetti esclusi, con tanti saluti alla parità di
trattamento. Ma la parità di trattamento in un sistema caotico come quello italiano è una utopia che peraltro si
risolve in una delle cause più formidabili dell'evasione fiscale.
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La confusione politica richiede idee s emplici e chiare; il legislatore se ne occupa solo nei titoli delle leggi. Ci
vorrebbe una strategia del governo, che parta da un dibattito parlamentare.
Il governo dovrebbe darsi una linea e proporre un programma che venga poi attuato gradualmente. Solo così
può riacquistare la fiducia dei cittadini. Il tributo è pietra angolare del sistema democratico. E se non ci si
muove in questa direzione si dà spazio alle proposte demagogiche come quella che prevede un'imposta
unica con una sola aliquota per tutti del 15 per cento.
Occorre eliminare le imposte distorsive come l'Irap. Programmare la riduzione graduale delle aliquote:
l'eccessivo livello dell'aliquota è causa tecnica di evasione. L'insopportabilità del carico fiscale mette
l'operatore di fronte a questa alternativa: o evadere o chiudere bottega.
Smetterla di modificare continuamente le imposte. Mettere mano a leggi generali sull'attuazione delle imposte
a carattere tendenzialmente stabile. Invece sono proprio le leggi sull'accertamento che vengono
continuamente modificate con l'illusione di combattere l'evasione. La lotta all'evasione si fa principalmente
con un ordinamento fondato sulla semplificazione e sulla sopportabilità.
In una lettera molto incisiva scritta a questo giornale domenica 15 marzo un lettore, nel denunciare il caos
fiscale con una critica ai nuovi e indefiniti tributi alle distorsioni provocate dal federalismo fiscale, ha chiesto
l'aiuto di persone che conoscono il sistema fiscale. La riforma fiscale del 1971 fu preparata da un gruppo di
studiosi che con la relazione Cosciani preparò la riforma. Oggi l'amministrazione (e il governo) si chiudono nel
proprio guscio e gli interventi dei tecnici non si fanno sentire. Si può dire che c'è una specie di rassegnazione
che è l'atteggiamento generale verso la politica.
23/03/2015 1Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 130
L'amministrazione si era illusa di risolvere il problema dei suoi funzionari saltando l'obbligo del concorso. Ma
è stata fermata dalla Corte costituzionale.
Le dichiarazioni di buona volontà non sono servite a coprire un pasticcio che non è solo giuridico. L'asse della
politica fiscale si è spostato nel Parlamento, mentre la strategia fiscale la deve disegnare il governo,
avvalendosi dei tecnici. I ritardi per provvedere in tempo vengono risolti con la proroga che complica
ulteriormente le cose.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 131
INTERVISTA LUIGI SCORDAMAGLIA FEDERALIMENTARE «Grandi attese dall'accordo sui dazi tariffari e sulle Igp» Nicoletta Picchio roma
«L'impatto è ancora da valutare, perchè mancano alcuni passaggi importanti che riguardano le barriere non
tariffarie. Ma il potenziale dell'accordo economico-commerciale tra la Ue e il Canada è enorme. La parte su
cui è già stato trovato l'accordo, che riguarda principalmente i dazi e la protezione dell'indicazione geografica,
fissa una serie di regole che sono fondamentali per il nostro export e la tutela del made in Italy».
Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, non ci sta a vedere i prodotti della buona tavola italiana
collocati in basso, in modo immeritato, nelle classifiche dell'export. E ha messo tra i punti principali della sua
presidenza l'aumento dell'export e dell'internazionalizzazione, la difesa del made in Italy e la lotta alla
contraffazione, a partire dall'italian sounding, cioè quelle parole che evocano il made in Italy per prodotti che
italiani non sono. Un esempio per tutti, il parmesan.
Con l'accordo Canada-Ue, che secondo le recenti dichiarazioni del commissario europeo al Commercio,
Cecilia Malmstrom, dovrebbe essere operativo a gennaio 2017, per l'Italia si aprono in Canada grandi
opportunità. «Oggi il nostro export è di 634 milioni di euro, penso che l'obiettivo di avvicinarsi al raddoppio
possa essere raggiunto entro la fine del decennio», dice Scordamaglia. In questi giorni si terrà la missione
italiana a Toronto, Montreal e Vancouver dedicata proprio alle aziende dell'alimentare, decisa proprio in
funzione della prossima apertura degli scambi.
Canada, ma non solo: si sta discutendo anche l'accordo tra Ue e Usa, anche se gli esiti e i tempi sono più
incerti. «L'intesa raggiunta con il Canada può essere un prototipo da prendere come riferimento per le
trattative con gli Stati Uniti. Anche se su alcuni aspetti, come la protezione dell'indicazione geografica e le
normative sanitarie, gli Usa sono meno disponibili a fare concessioni», dice Scordamaglia.
Quali sono i punti principali dell'intesa con il Canada già definiti?È stato chiuso l'accordo quadro sulle tariffe e sulle regole per la protezione dell'indicazione geografica. Ci
sono tre aspetti prioritari: su quest'ultimo punto, l'indicazione geografica, sono stati definiti 145 prodotti in cui
la Ue ha ottenuto la protezione. In questo elenco l'Italia ne ha più degli altri paesi, 39. In secondo luogo è
stata decisa la coesistenza tra marchi come il Parmigiano Reggiano e il prosciutto di Parma accanto al
Parmesan e Parma Ham che sono stati registrati in Canada negli anni passati, mentre da ora in avanti non
sarà più possibile farlo. Infine, c'è un esplicito divieto all'italian sounding, e cioè ad utilizzare nomi che
evochino l'italianità di un prodotto fatto altrove. E questo per noi è molto importante.
È proprio l'italian sounding uno degli aspetti che più penalizza i prodotti italiani: è una battaglia cheva fatta a livello internazionale?Canada, Stati Uniti e non solo: l'uso di nomi che evocano l'italianità è diffuso nel mondo e va combattuto. Non
a caso questa battaglia è uno dei punti centrali del piano del governo per la promozione e la difesa del made
in Italy. Nel negoziato con gli Stati Uniti questo aspetto va sottolineato: si tratta di una difesa del
consumatore.
Rispetto ad altri paesi abbiamo molto terreno da recuperare: ma oltre alle regole dobbiamo ancheaffrontare il problema strutturale della nostra distribuzione all'estero...Si, certamente. Sono le grandi aziende produttrici italiane che devono organizzarsi, creare piattaforme
logistiche per aggregare e distribuire anche i prodotti delle pmi. Ora c'è una maggiore sensibilità delle grandi
aziende su questo tema, ma bisogna organizzarsi e in tempi rapidi.
Cosa resta ancora da discutere dell'accordo Ue e Canada?Una parte molto importante riguarda gli allegati tecnici sulle barriere non tariffarie, per esempio sanitarie e
venerinarie. A seconda di quello che sarà definito, l'accordo potrà avere un impatto più ridotto oppure più
23/03/2015 16Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 132
ampio. Resta comunque un importante passo avanti e un'occasione straordinaria per l'Italia.
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Presidente. Luigi Scordamaglia
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 133
IL CASO Tra il Dragone e il Cremlino FEDERICO FUBINI CHEMCHINA sta per conquistare Pirelli e la domanda non è perché un'azienda controllata da Pechino voglia
una delle ultime multinazionali italiane.
A PAGINA 2 ROMA. Chemchina è sul punto di conquistare Pirellie la domanda oggi nonè perché un'azienda
controllata dal governo di Pechino voglia una delle ultime multinazionali italiane.
La domanda, piuttosto, è perché non sembrino interessati concorrenti esteri soggetti alle regole del mercato
e della trasparenza.
Gli azionisti rilevanti della Bicocca sono pronti ad un'operazione con un «partner industriale internazionale»,
eppure dagli americani di Goodyear, dai giapponesi di Bridgestone, dai tedeschi di Continental, o dagli indiani
di Apollo Tyres, apparentemente viene solo silenzio.
Non è la prima volta che un gruppo di Stato di Pechino guarda a un marchio europeo o italiano, né sarà
l'ultima. Con posizioni più o meno rilevanti, spesso di controllo, sono già in Volvo, sono nelle società della rete
elettrica e dell'autorità fluviale di Londra, nella prima compagnia di assicurazione portoghese e da un anno
hanno il 14% della francese Psa Peugeot-Citroën. Negli ultimi mesi poi da Pechino sono affluiti investimenti
per svariati miliardi anche in imprese italiane di prima fascia. A maggio scorso Shanghai Electric ha comprato
il 40% di Ansaldo Energia dal Fondo Strategico Italiano per 400 milioni. A luglio State Grid Corporation of
China ha preso il 35% delle reti infrastrutturali italiane del gas e dell'elettricità - una quota che dà diritto di
veto - in cambio di due miliardi alla Cassa depositi e prestiti. Negli stessi mesi la banca centrale di Pechino ha
fatto qualcosa di inusuale per lei. Sulle principali piazze finanziarie del mondo la People's Bank of China
compra regolarmente quote di grandi gruppi, ma sempre in quantità così piccole da restare invisibili. A Piazza
Affari invece ha optato per partecipazioni appena sopra il 2%, la soglia alla quale scatta l'obbligo di venire allo
scoperto, in tutte le principali società: Eni, Enel, Fca (ex Fiat), Telecom Italia, Prysmian. È stato come dire:
«Guardateci, noi siamo qui».
Visto da Pechino, forse era un gesto di sostegno e fiducia in un Paese guardato con scetticismo da tanti altri
grandi investitori globali. Da Milano, o da Roma, si notò invece anche un altro dettaglio: la sola blue chip
italiana da cui i cinesi si tennero alla larga in quell'operazione di avvicinamento italo-cinese, con tanto di
scambio di visite fra primi ministri, fu proprio Pirelli.
Allora una spiegazione che molti ipotizzarono fu di natura politica: Pechino voleva tenersi alla larga perché
quello era territorio altrui. Metà esatta della società che controlla Pirelli, la Camfin, appartiene alla russa
Rosneft, mentre l'altra metà è di una costellazione italiana che fa capo a Marco Tronchetti Provera. E Rosneft
non è un socio qualunque. È il più grande gruppo petrolifero di Mosca, è a controllo pubblico, e il suo
amministratore delegato Igor Sechin è amico, consigliere ed ex collega nel Kgb del presidente russo Vladimir
Putin. Quell'accordo voluto da Tronchetti Provera con i russi è relativamente recente: fu reso noto il 17 marzo
di anno fa, esattamente nelle ore nelle quali il parlamento della Crimea dichiarava la sua indipendenza
dall'Ucraina e chiedeva l'annessione alla Russia. I soldati di Mosca erano già nella penisola sul Mar Nero da
tre settimane.
Per i cinesi entrare in una Pirelli a controllo condiviso da Rosneft sembrò allora un gesto di sfida alla Russia
che non fa parte del loro linguaggio internazionale. Per Tronchetti allearsi con Sechin a crisi russo-ucraina già
aperta si è dimostrato un gesto di scarsa preveggenza. La sostanza è comunque che oggi gli equilibri sono
già mutati. Igor Sechin siede nel consiglio di Pirelli e nel suo comitato strategie (quello che gestisce le
partecipazioni), ma è sottoposto a sanzioni da parte degli Stati Uniti, mentre Rosneft lo è anche dall'Unione
europeae dunque dall'Italia. Il gruppo russo non può più finanziarsi all'estero, eppure è oberato da debiti per
60 miliardi di dollari.
21/03/2015 1Pag. La Repubblica(diffusione:556325, tiratura:710716)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 134
Vedremo se davvero resterà in Pirelli anche dopo l'eventuale presa di controllo cinese, come sembra in
queste ore. Resta il dubbio di fondo: l'Italia di oggi piace a investitori non particolarmente trasparenti, portatori
di priorità influenzate dai loro governi, ma interessa molto meno a quei Paesi ai quali il nostro vuole
somigliare. Forse è solo che il capitale nel ventunesimo secolo funziona davvero così. O, forse, sta solo
all'Italia farlo funzionare in modo più intelligente anche per sé.
La catena di controllo di CamÞn e Pirelli
Intesa Sanpaolo
Nuove Partecipazioni Spa*
CamÞn
12% 12%
50% 50%
26,193%
76%Pirelli & C. S.p.aFONTE *HA COME ZIONISTA Unicredit Nefgarant (Rosneft) Coinv L'OPERAZIONE FINANZIARIA Restano
da definire i dettagli, ma il piano prevede che la quota di controllo di Pirelli di Camfin passi in una nuova
società con i cinesi poi ci sarà l'acquisto di tutta Pirelli in Borsa
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 135
L'ECONOMIA In pensione più tardi di quattro mesi a partire dal 2016 ROBERTO MANIA A PAGINA 31 ROMA. L'importo medio della pensione dei dirigenti italiani è circa quattro volte quello
dell'assegno dei lavoratori dipendenti, 50 mila euro l'anno contro 12 mila. Per pagare le pensioni dei dirigenti,
però, l'Inps deve andare a prendere le risorse dal Fondo lavoratori dipendenti o degli atipici perché quello
speciale dei dirigenti ex Inpdai è perennemente in rosso, dai 3 ai 4 miliardi negli ultimi anni. È uno dei
paradossi del sistema previdenziale documentato dalla seconda puntata dell'operazione trasparenza avviata
dall'Inps con la gestione di Tito Boeri. Dopo aver sottoposto ai raggi X il Fondo volo con i privilegi dei piloti in
cassa integrazione dorata da oltre 10 mila euro al mese, l'Istituto di Via Ciro il Grande ha preso in esame l'ex
Fondo Inpdai e ha stimato che se le pensioni dei dirigenti venissero ricalcolate con il metodo contributivo
(attualmente in vigore per tutti, nella forma pro rata) anziché con i criteri favorevoli di alcuni decenni fa, gli
importi scenderebbero in media di oltre il 23 per cento.
È un altro tassello dell'Italia dei privilegi pensionistici che solo le ultime riforme hanno cominciato a
ricomporre a unità.
Anche dal punto di vista dell'età per l'accesso alla pensione. Tanto (è di ieri la relativa circolare dell'Inps) che
dal primo gennaio del 2016 l'età pensionabile arriverà per gli uomini a 66 anni e sette mesi (65e sette mesi,
per le donne), quattro mesi più del requisito ora in vigore. L'aumento dell'età di quiescenza non è altro che
l'applicazione automatica di un codicillo introdotto nel 2010 dal governo Berlusconi che lega l'età pensionabile
all'incremento delle aspettative di vita. In sostanza più invecchia la popolazione più a lungo si deve lavorare
per mantenere in equilibrio finanziario il sistema previdenziale. Con il rischio, tuttavia, di rinviare sine die
l'occupazione dei più giovani. Proprio per questo è possibile che con la prossima legge di Stabilità il governo
introduca elementi di flessibilità per l'accesso al pensionamento prevedendo penalizzazioni per chi decidesse
di lasciare prima il lavoro. E ieri il presidente Boeri ha detto che «a giugno l'Inps farà una proposta per una
maggiore flessibilità nell'accesso alla pensione».
Certo non torneranno i trattamenti favorevoli che nel 2002 hanno condotto al default dell'Inpdai e, l'anno
successivo, alla sua incorporazione all'interno dell'Inps. I dirigenti, infatti, hanno potuto andare in pensione
pagando fino al 1996 un'aliquota contributiva inferiore a quella dei lavoratori dipendenti (del 25,35 per cento
contro il 32,70 per cento); oppure ottenendo un assegno pensionistico pari all'80% dell'ultima retribuzione con
30 anni di contributi anziché 40 come gli altri lavoratori. E l'Inps, come detto, ha ricalcolato le pensioni
attualmente in essere dei dirigenti con il metodo contributivo, questa peraltro è una vecchia proposta proprio
di Boeri. Così un dirigente andato in pensione a 58 anni nel 1990 con un assegno di 3.585 euro, nel 2015 ha
ottenuto una prestazione di circa 1.521 euro lordi al mese più alta di quella che avrebbe ottenuto con le
regole contributive. Mentre un dirigente andato in pensione a 63 anni nel 2013 si vedrebbe ridurre l'importo di
676 euro al mese.
Pensione percepita Le pensioni degli ex dirigenti di azienda 56 57 58 7.000 6.000 5.000 4.000 3.000 2.000
1.000 0 59 60 61 62 63 64 65 66 Calcolata in base ai contributi versati Pensione mensile lorda in euro (anno
2015) Età
Foto: AL TIMONE Il presidente dell'Istituto nazionale previdenza sociale, Tito Boeri
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 136
IL PUNTO Troppe tasse pesano sul Tfr ecco perché anticiparlo non conviene Scatta la chance offerta dal governo ma uno studio della Cgia calcola oneri tra 230 e 700 euro VALENTINA CONTE ROMA. Troppe tasse sul Tfr, l'anticipo non conviene. Lo dice anche la Cgia di Mestre, ma i lavoratori con
buona probabilità ne sono già convinti, visto che i consulenti del lavoro segnalano sin qui richieste
bassissime. Se alla zavorra fiscale ci aggiungiamo poi il pasticcio del governo e il ritardo del decreto attuativo
pubblicato solo tre giorni fa, con i primi soldi visibili in busta paga da aprile nelle grandi imprese e da giugno
nelle piccole anziché da marzo, il flop è fatto.
L'ufficio studi degli artigiani veneti calcola l'aggravio di tasse annuo «tra i 230 e i 700 euro», per chi sceglie di
avere ora la quota di liquidazione (e per tre anni, fino a giugno 2018, senza possibilità di revoca), anziché
ritirarla alla fine del rapporto di lavoro oppure investirla nei fondi di previdenza integrativa.
«L'operazione rischia di non decollare», commenta la Cgia.
Ovviamente «l'aggravio tenderà ad aumentare al crescere del livello di reddito del soggetto richiedente». E
questo perché quel pezzetto di Tfr si cumula con il reddito da lavoro, dunque viene tassato con l'aliquota
marginale Irpef e non con il ben più conveniente prelievo finale, in media attorno al 23%. In più, «quando
aumenta lo stipendio si riducono gli effetti economici delle detrazioni per i figli a carico e quelli legati agli
assegni familiari». E poi, mentre la liquidazione di fine carriera è scevra da addizionali comunali e regionali,
«l'anticipo mensile no».
Chi ha un reddito imponibile di 15 mila euro, ne pagherà 236 extra al fisco. Chi ne vanta 80 mila, ne verserà
623 in tasse aggiuntive. Conviene? Sulla carta no.
Ieri intanto è stato definito il testo della convenzione tra Tesoro, ministero del Lavoro e Abi (banche) che
consentirà alle piccole aziende bisognose (sotto i 50 dipendenti) l'accesso alla garanzia di Stato per i
finanziamenti agevolati, da tradurre in liquidità per quanti faranno richiesta del Tfr anticipato. Ma che
vedranno, se tutto va bene, tra tre mesi.
Foto: IL PREMIER Renzi ha insistito per dare la possibilità di anticipare in busta paga il Tfr
21/03/2015 30Pag. La Repubblica(diffusione:556325, tiratura:710716)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 137
INTERVISTA Renzi: "No a dimissioni per gli avvisi di garanzia non caccio gli indagati" Intervista al premier. "Lupi ha preso una decisione saggia" L'accusa di D'Alema: arrogante. La replica:vecchia gloria > GOFFREDO DE MARCHIS IDUE pesie le due misure non esistono. «Ma stiamo scherzando? Ho sempre detto che un avviso di garanzia
non può giustificare le dimissioni.E lo confermo».
Significa che Matteo Renzi non chiederà ai sottosegretari indagati di lasciare il governo.E non lo farà con il
candidato in Campania De Luca, condannato in primo grado. Dopo la settimana dell'inchiesta Grandi Opere
che ha travolto Lupi, il premier e segretario del Pd risponde alle accuse di doppiopesismo nel rapporto tra
politicae giustizia. Ma ieri mattina ha accolto a Ciampino le bare dei morti nell'attentato di Tunisi.
SEGUE ALLE PAGINE 2 E 3 < PAGINA ROMA «PER carità - dice - il Pd, l'inchiesta sulle infrastrutture, gli
attacchi di D'Alema: tutto importante. Ma oggi penso soprattutto al dolore dei familiari delle vittime. La vicenda
di Tunisi è terribile ma rafforza la nostra analisi: la comunità internazionale non può far finta di nulla su ciò
che accade in Libia, perché lì pare sia nato l'attentato al Museo Bardo. Da qui al 17 aprile, quando
incontreremo Obama, dobbiamo intensificare gli sforzi per verificare se la soluzione diplomatica è ancora in
piedi o no».
Dopo le dimissione di Lupi, non tocca anche ai sottosegretari indagati? Cinque sono del Pd (Barracciu, Del
Basso De Caro, De Filippo, Bubbico e Faraone) e uno del Ncd (Castiglione)? «Assolutamente no».
Fa la faccia feroce con gli esponenti di altri partiti e perdona quelli del suo? «Ho sempre detto che non ci si
dimette per un avviso di garanzia.E se parliamo di faccia, le dico con sguardo fiero che per me un cittadino è
innocente finché la sentenza non passa in giudicato. Del resto, è scritto nella Costituzione. Se si dice che è la
più bella del mondo, poi bisogna almeno leggerla, altrimenti non vale. Quindi perché dovrebbe dimettersi un
politico indagato? Le condanne si fanno nei tribunali, non sui giornali: è un principio di decenza oltre che di
buon senso». Lupi però, dopo il pressing di Palazzo Chigi, non è più ministro.
«Il suo caso è diverso, non è nemmeno indagato. Ha fatto una valutazione giusta e saggia secondo me. Una
scelta personale e molto degna: dare le dimissioni in politica non è così frequente».
Non può chiedere la stessa saggezza agli altri politici coinvolti nelle inchieste? «Ho chiesto le dimissioni a
Orsoni quando, patteggiando, si è dichiarato colpevole.
Ho commissariato per motivi di opportunità politica il Pd di Roma nonostante il segretario locale fosse
estraneo alle indagini. A suo tempo avevo auspicato il passo indietro della Cancellieri sempre con una
motivazione strettamente politica. Altro che due pesi e due misure: le dimissioni si danno per una motivazione
politica o morale, non per un avviso di garanzia».
Questa "dottrina" non vale per De Luca, condannato e candidato governatore? «Lui ha fatto una scelta
diversa, considera giusto chiedere il voto agli elettori e si sente forte del risultato delle primarie».
Tanto vale allora cambiare la legge Severino.
«La modifica della Severino non è all'ordine del giorno, non è un tema in discussione».
La sua lotta alla burocrazia si è fermata davanti ad alcune porte. Ercole Incalza stava al ministero anche
nell'anno del suo governo. Non è compito della politica fare piazza pulita prima dei magistrati? «Incalza, che
per me è un cittadino innocente fino a quando non sarà condannato, ha lavorato con noi fino alla scadenza
del suo contratto. Fine 2014, punto. Indipendentemente dalle indagini, un eccesso di permanenza al potere
negli stessi posti non è mai positivo. Ma la vera strada per combattere la burocrazia non è tanto la rotazione
dei dirigenti, quanto la semplificazione. Rendere più trasparenti e comprensibili le decisioni della pubblica
amministrazione, semplificare il codice degli appalti, mettere online in modo chiaro tutti i dati dei ministeri:
questo consente il controllo sociale dei cittadini».
22/03/2015 1Pag. La Repubblica(diffusione:556325, tiratura:710716)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 138
Don Ciotti dice: con la responsabilità civile dei giudici siete andati come razzi, con la legge anticorruzione
siamo a carissimo amico.
«Voglio troppo bene a don Luigi per fare polemica con lui. Mi aspettavo però che ieri spendesse mezza
parola sulla declassificazione del segreto di Stato o sul fatto che l'Autorità Nazionale Anti Corruzione fino a un
anno fa non esisteva, era solo il comma di un articolo di legge, e Cantone era un giudice di Cassazione».
Resta il fatto che la lotta all'illegalità sembra un punto debole del suo governo.
«In questo anno abbiamo fatto molto e molto abbiamo proposto. Il raddoppio dei tempi della prescrizione
sulla corruzione è un messaggio chiaro: non si pensi di farei furbi e tirarla per le lunghe. L'autoriciclaggio e il
falso in bilancio sono due nostre proposte di legge, che prima non c'erano. Sulla responsabilità civile dei
magistrati trovo che sia un fatto di civiltà, di cui vado orgoglioso.
Poi, intendiamoci, tutte le critiche vanno bene: non è un caso che la commissione Gratteri, che io ho istituito
qualche mese fa, stia per formalizzare alcune proposte di cui stiamo discutendo con il ministro Orlando».
Ma la legge contro la corruzione arranca.
Non lo dice solo don Ciotti.
«Si può essere a favore o contro un governo ma non si può essere contro la realtà: in un anno abbiamo
sbloccato partite ferme da anni a cominciare da Anac, segreto di Stato, responsabilità civile. Su questi temi
accetto consigli da tutti, ma non prendiamoci in giro. Il problema non sono le leggi, ma farle rispettare.
Mandare in galera chi ruba sul serio e difendere gli innocenti che sono sbranati dal circo mediatico-politico del
"si deve dimettere perché lo stanno indagando"».
Metterete un altro dirigente dell'Ncd alle Infrastrutture? «Le valutazioni sul ministro si fanno al Quirinale». Ha
un identikit? «Il ministro che verrà non è importante in una logica interna di partiti, ma sarà decisivo per far
ripartire l'Italia. Vogliamo uno bravo, il colore della tessera non ci interessa.
Perché la crescita non sia microscopica occorrono gli investimenti pubblici e privati.
Non serve Keynes, basta la logica. Gran parte di questi investimenti passano da lì».
L'associazione proposta ieri da D'Alema sembra la premessa di una scissione.
«D'Alema ha utilizzato un lessico che non mi appartiene. Espressioni che stanno bene in bocca a una
vecchia gloria del wrestling , più che a un ex primo ministro. Credo fosse arrabbiato per Roma-Fiorentina: ha
capito che il vero giglio magico è sceso in campo all'Olimpico... Compito del Pd è cambiare l'Italia, sia che
D'Alema voglia sia che D'Alema non voglia. E noi lo faremo». È recuperabile il rapporto con i dissidenti «Una
parte della minoranza ha questa simpatica abitudine di trattarci come usurpatori, come se fossimo entrati
nottetempo al Nazareno scassinandolo. Prima o poi accetteranno il fatto che se ci siamo noi, e non più loro, è
perché ci hanno scelto gli iscritti, ci hanno votato gli elettori alle primarie e ci hanno sostenuto gli italiani con
una percentuale di consensi che non si vedeva dal 1958». D'Alema arma la minoranza: deve assestarle dei
colpi e lasciarle i segni. Potete stare nello stesso partito? «Scommetto che non ci sarà alcuna scissione. Il Pd
è un luogo aperto al confronto.
Nessuno può pretendere di avere la verità in tasca. La mia proposta è quella di discutere e confrontarsi sul
modello di partito, sull'identità della sinistra che cambia in Europa e in Italia. Cuperlo ha picchiato duro su di
me ma ho apprezzato la sua analisi. Il dibattito ha bisogno di tutti. Non cacciamo nessuno.
Da qui al congresso del 2017 abbiamo due anni per discutere di come irrobustire il Pd uscendo dalla logica
dei talk e dei tweet e gustando la fatica di ascoltarsi».
Ha festeggiato la richiesta di archiviazione per suo padre Tiziano? «Sono contento per lui. So quanto ha
patito dal punto di vista umano. Ma i magistrati di Genova devono ancora pronunciarsi e dunque non ho titolo
per parlare: rispetto il lavoro dei giudici sul serio, col mio silenzio.
Penso solo che mio padre oggi avrà i titoli sui giornali perché la sua vicenda fa notizia».
Non le fa piacere? «Ma tanta gente che viene indagata e poi assolta finisce stritolata dalle circostanze
esterne. Non è colpa dei magistrati, che devono fare indagini. Non è colpa dei giornalisti, che devono dare
notizie. Ma una soluzione va trovata perché le persone meritano di essere giudicate in tribunale e non
22/03/2015 1Pag. La Repubblica(diffusione:556325, tiratura:710716)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 139
dall'opinione pubblica».
PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.governo.it
Foto: "ORSONI, CANCELLIERI E DE LUCA Sono intervenuto su Orsoni e chiesi il passo indietro della
Cancellieri per motivazioni politiche. De Luca? Ha fatto una scelta diversa, si sente forte del risultato delle
primarie.
Ma la Severino non la cambieremo
Foto: DON CIOTTI E D'ALEMA "Nella lotta all'illegalità abbiamo fatto molto. Spiace che don Ciotti non lo
riconosca. D'Alema? Sembra una vecchia gloria del wrestling più che un ex premier.
È che ci considerano usurpatori A BRUXELLES Matteo Renzi venerdì scorso al termine del Consiglio
europeo, da dove ha seguito l'epilogo del caso Lupi
22/03/2015 1Pag. La Repubblica(diffusione:556325, tiratura:710716)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 140
Pirelli alla stretta finale ma la morsa russo-cinese mette all'angolo gliitaliani Rosneft vuole sganciarsi da Camfin e giocare in proprio Forse già stasera il via libera all'offerta di ChemChina GIOVANNI PONS MILANO. Il piano di Marco Tronchetti Provera per consegnare il controllo del gruppo Pirelli ai cinesi di Chem
China è molto articolato e presenta anche alcuni punti deboli. Come il fatto che i russi di Rosneft hanno
chiesto di sganciarsi dai soci italiani di Camfin e di giocare la partita in proprio. E comunque per il buon esito
dell'operazione sarà decisiva la quantità di azioni della Bicocca che verrà consegnata all'Opa obbligatoria
lanciata dal nuovo veicolo societario in via di costituzione.
Per capirne di più occorre analizzare le diverse tappe dell'operazione che sarà annunciata stasera o
domattina dopo il via libera di tutti i cda delle società coinvolte. La prima mossa prevede la vendita del 26% di
Pirelli oggi custodito da Camfin alla Newco che verrà capitalizzata al 65% dai cinesi di Chem China e al 35%
dai soci italiani e russi già presenti dentro la Camfin. In pratica, con uno scambio contestuale, la Newco
verserà 1,9 miliardi alla Camfin per il 26% di azioni Pirelli e i soci italiani italiani e russi pro quota ne
reinvestiranno 665 milioni nella scatola dove i cinesi verseranno gli altri 1,235 miliardi.
Il completamento di questa prima fase fa scattare la seconda, e cioè il lancio dell'Opa obbligatoria poichè
oggetto di cessione è un pacchetto azionario superiore al 25%, soglia sensibile secondo la nuova normativa
sulle offerte pubbliche. Il prezzo dell'Opa sarà lo stesso a cui passa di mano il 26% e cioè 15 euro per ogni
azione Pirelli, ma non è così attraente come potrebbe sembrare. Diverse case di investimento hanno infatti
pubblicato report che indicano in 18 o anche 20 euro il prezzo giusto di Pirelli se si considera lo scorporo
della divisione "truck" (pneumatici per veicoli pesanti) operazione che in effetti rientra nei progetti di Tronchetti
Provera e del partner cinese. Bisognerà dunque vedere quante azioni verranno effettivamente consegnate
all'Opa e a questo riguardo sarà decisivo il superamento della soglia del 67% del capitale Pirelli. L'uscita della
società dalla Borsa scatta infatti quando un solo azionista possiede almeno il 95% del capitale. Nel caso della
Pirelli basta che il solo azionista Malacalza, titolare del 7% delle azioni, decida di non aderire all'Opa per far
saltare il piano di "delisting".
Ma con almeno il 67% in mano la Newco potrà promuovere una fusione tra sè stessa e la Pirelli, farla
approvare dall'assemblea straordinaria (necessaria una maggioranza di 2/3 dei presenti) e procedere per
questa via all'uscita del nuovo gruppo da Piazza Affari. Al contrario con un pacchetto azionario inferiore al
67% tutto diventa più difficile e la Pirelli potrebbe anche restare quotata in Borsa rendendo il percorso di
vendita dei "truck" alla Aelion (controllata da Chem China) molto più complicato.
Tuttavia la vera partita per il futuro controllo della Pirelli si giocherà sulle quote della Newco post Opa. Gli
accordi prevedono che i soci italiani e russi digiuntamente avranno l'opzione di salire dal 35 al 49% con i
cinesi sempre al 51%.
Ma in pratica si verranno a formare tre blocchi di azionisti.
Gli italiani (Tronchetti, Sigieri Diaz, Rovati, Unicredit e Intesa Sanpaolo) con un iniziale 17,5%, i russi di
Rosneft con un altro 17,5% e i cinesi con il 65%. A seconda di quante azioni Pirelli verranno consegnate
all'Opa gli italiani e i russi potranno salire congiuntamente al 49% e i cinesi scendere al 51%. Dunque si tratta
di capire quanti soldi Rosneft e i soci italiani saranno disposti a versare oltre i 665 milioni iniziali ed è facile
pensare che le disponibilità dei russi saranno maggiori. Certo i tre gruppi di azionisti saranno legati tra loro
dai patti parasociali che le parti stanno negoziando in queste ore e che prevederanno anche meccanismi di
uscita, conferma della gestione a Tronchetti Provera nei prossimi cinque anni e altro. Ma è chiaro che in
prospettiva sarà molto difficile per i soci italiani far fronte a un'alleanza russo-cinese tra l'altro già siglata a
livello politico. LA STORIA LA NASCITA NEL 1872 La Pirelli nasce a Milano su iniziativa di Giovanni Battista
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 141
Pirelli. Su idea di Francesco Casassa, produce anche cavi sottomarini, giochi e perfino borse di acqua calda
LE GARE D'AUTO DEGLI ANNI '20 La sua presenza nelle gare automobilistiche porterà, negli anni, a
importanti affermazioni in Formula 1, Rally e nelle Mille Miglia. I piloti sono testimonial delle linee di
abbigliamento I ROBOT ARRIVANO NEL 2000 Per fabbricare pneumatici, nel 2000 arriva anche una catena
di montaggio con dei robot intelligenti (nella foto, un canotto griffato Pirelli in vendita negli anni '60)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 142
IL RETROSCENA Malacalza tira il freno, è deciso a non vendere MASSIMO MINELLA GENOVA. Per ora non vende. Casomai, compra. L'Opa cinese su Pirelli non ha alcun effetto su Vittorio
Malacalza. Anzi, potrebbe addirittura stimolarlo a limare verso il rialzo la sua quota del 7 per cento, raggiunta
al termine di un'aspra contesa legale con l'alleato di un tempo, Marco Tronchetti Provera. Avevano
camminato insieme sulla strada del business per anni, prima di trovarsi su posizioni differenti, divergere e
separarsi. Ognuno per la propria strada, con Malacalza però sempre nel capitale. E adesso? Sulla carta il 7
per cento della famiglia genovese potrebbe addirittura arrivare a bloccare il "delisting" del titolo, obiettivo
finale dell'operazione. Una volta scattata l'offerta pubblica di acquisto, infatti, il titolo può essere tolto dalle
contrattazioni se la risposta arriva almeno al 95% del capitale. Ma i legali di Pirelli, a cui non sfugge questa
eventualità, sarebbero già corsi ai ripari per trovare soluzioni alternative.
Se infatti con l'Opa si riuscisse a raggiungere almeno il 6667% del capitale, allora potrebbe essere proposta
una fusione fra il veicolo che lancia l'operazione, non quotato, e la Pirelli.
Questo, secondo precedenti già andati in porto e mai contestati dal punto di vista legale, potrebbe
comportare l'uscita dalla Borsa della quotata (Pirelli).
L'operazione, però, dovrebbe essere approvata dall'assemblea straordinaria dei soci con i due terzi dei
presenti. Ed ecco perché controllare almeno il 66% delle azioni può garantire la realizzazione del progetto e
quindi il "delisting" del titolo azionario. Ma come reagirà la famiglia genovese di fronte a tutto questo?
L'impressione è che la posizione di Malacalza sia sostanzialmente di attesa. Uno "stare alla finestra"
aspettando di valutare gli eventi e capirne l'orientamento. Il fatto che Tronchetti abbia individuato un partner
cinese quasi non dispiace a Malacalza. Anche se si tratta di soggetti diversi, lui i cinesi li conosce molto bene.
Soprattutto quando si tratta di fare del business.
A lungo produttore d'acciaio e in grado di ricavare dalla vendita dei suoi impianti oltre un miliardo di euro,
Malacalza non ha mai smesso di essere un "trader", uno dei più attenti su questo versante in un mercato
ciclico che garantisce grandi guadagni, ma espone anche a rischi quando la congiuntura diventa negativa.
Anche per questo, già una decina d'anni fa, ha individuato proprio l'Asia come suo alleato nella sfida globale
dell'acciaio. Insieme al colosso siderurgico Baosteel, infatti, la famiglia genovese ha dato vita a una joint
venture paritetica, Baosteel Italia, con sede a Genova, che commercializza in tutta Europa acciaio di qualità
prodotto dal gruppo asiatico. Figurarsi quindi se Vittorio Malacalza può avere adesso qualche preclusione per
quanto riguarda una Pirelli cinese.
D'altra parte, anche lui è stato socio di Tronchetti Provera e chiusa la sua pagina ha visto aprirsene altre e
quindi non si sorprende più di tanto. Ora, però, bisogna capire tempi e metodi dell'operazione che riguarda il
gruppo guidato da Tronchetti. E valutare appunto AZIONISTA Vittorio Malacalza è il secondo azionista di
Pirelli dopo Camfin come procedere. Di certo, non ci sarà da parte della famiglia genovese un'adesione
immediata. Per ora, quindi, bocce ferme, più avanti si sceglierà la strada migliore. In fondo, è stato così
anche per Carige, con i vari concorrenti a rincorrersi per mesi, e un Malacalza che, in silenzio, dalla finestra è
sceso in strada, ha bussato alla porta della Fondazione Carige e si è assicurato il 10,5 per cento di capitale
della banca, con un investimento tutto sommato contenuto, 66,2 milioni di euro, tenuto conto che con questo
esborso è diventato il primo azionista di Carige.
Ora, con l'aumento di capitale da 850 milioni, Malacalza farà ovviamente la sua parte, confermando
l'investimento (poco meno di 90 milioni), ma cercando anche di salire fino alla soglia massima oltre la quale
diventerebbe obbligatorio far scattare l'Opa, il 24 per cento. L'ultimo dei suoi pensieri, infatti, è proprio quello
di lanciare un'Opa su Carige, vista la natura del suo progetto, presentato fin dall'inizio in chiave "inclusiva",
cioè tesa ad allargare il più possibile la platea degli investitori, grandi e piccoli azionisti, se possibile
rappresentanti del territorio, senza comunque escludere altri soggetti.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 143
L'impressione, insomma, è che la famiglia genovese sia ora soprattutto concentrata sulla banca ligure. Per
vendere le azioni Pirelli c'è ancora tempo e probabilmente alla fine anche Malacalza finirà per aderire. In
fondo, come diceva Chiambretti, comunque vada, sarà un successo. Le azioni sono in carico a un valore di
6,2 euro (per un controvalore superiore ai duecento milioni) e vendere a 15 significa quasi triplicare il proprio
investimento.
I soci Pirelli26,1932,002%51,197Mercato5,0664,6086,983,954CAMFIN Fil Limited Harbor Int Edizione Srl MALACALZA Mediobanca FONTE: Consob
PER SAPERNE DI PIÙ www.camfin.com www.chemchina.com
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 144
Pensioni flessibili in uscita il piano entro l'estate reddito minimo agli over55 Il ministro Poletti: lavoriamo con l'Inps. Possono bastare 1,5 miliardi Camusso: trattate con noi. Landini: l'etàper ritirarsi va ridotta Le risorse si possono reperire risparmiando all'interno della protezione sociale VALENTINA CONTE ROMA. Una specie di «reddito minimo» per quanti perdono il lavoro, ma sono lontani dalla pensionee non
hanno nient'altro.È questa la «flessibilità sostenibile» a cui pensa il presidente dell'Inps Tito Boeri.E che
troverà forma compiuta nella «proposta organica» che l'istituto di previdenza presenterà a giugno, articolata
«sull'asse assistenza-previdenza». «Potrebbe bastare un miliardo e mezzo» per proteggere la fascia d'età
55-65 anni, calcola Boeri. Da reperire risparmiando all'interno della protezione sociale, ad esempio
guardando alle gestioni speciali. «È un po' di tempo che abbiamo detto che va fatta una riflessione sul tema
delle pensioni», risponde ieri il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. «Boeri ci sta lavorandoe noi insieme a lui:
è un tema all'ordine del giorno, siamo disponibilissimi ad affrontarlo». Il nodo è quello di «flessibilizzare in
uscita il sistema», ribadisce Poletti, proprio per tamponare «il problema sociale più acuto», gli over 55 che
«rischiano di trovarsi in una terra di nessuno». Boeri «sta facendo le simulazioni, poi vedremo il da farsi».
Perplessi i sindacati. Susanna Camusso (Cgil), pur apprezzando le intenzioni, sottolinea che il confronto con
Boeri non può sostituire quello con il governo, «perché noi abbiamo un problema di cambiamento della legge
Fornero». Carmelo Barbagallo (Uil) teme il rischio «di spaventare pensionati e pensionandi» e chiede al
ministro Poletti un incontro sulla previdenza. Maurizio Landini (Fiom) dice che occorre fare tre cose «molto
precise». E cioè «abbassare l'età pensionabile, ripristinare le pensioni di anzianità a partire dai lavori più
pesanti e non rimanere solo con il contributivo, perché i giovani così non hanno più la pensione». Ingiustizie
che «vanno colpite» perché «se si va in pensione a 70 anni si satura il mondo del lavoro».E «noi il 28 marzo
siamo in piazza proprio per questo». «L'aggancio all'aspettativa di vita, voluto dal governo Berlusconi, se non
viene corretto ci porterà ad aziende popolate da settantenni», concorda Cesare Damiano, presidente della
commissione Lavoro della Camera. Ma l'idea di «tosare» gli assegni in essere liquidati con il retributivo «può
essere pericolosa». Secondo Boeri però «al di sopra di un certo importo è necessario intervenire, anche se
non è mai bello».
Per Damiano sarebbe preferibile «affrontare per prima cosa i privilegi di chi ha goduto di contribuzioni più
basse e regole più generose di anticipo pensionistico». Come i dirigenti, andati in quiescenza con l'80% della
retribuzione e soli 30 anni di contributi. «Partiamo da qui, se non vogliamo colpire i soliti noti che hanno dato
già più del dovuto», sostiene Damiano. «Un attacco diretto e demagogico», si difende Federmanager,
riferendosi ai dati diffusi da Boeri tre giorni fa. In base ai quali non solo la pensione dei dirigenti viene
foraggiata dai fondi di dipendenti e precari, ma se fosse calcolata con il metodo contributivo oggi in vigore
sarebbe più bassa del 23%.
I PUNTI FLESSIBILITÀ Secondo una prima stima di Boeri, presidente Inps, serve un miliardo e mezzo per
dare un reddito minimo agli over 55 ANTICIPO Un'altra soluzione per aiutare quanti perdono il lavoro e sono
lontani dalla pensione è l'anticipo con un assegno più basso RISORSE I soldi necessari per il reddito minimo
o per l'anticipo possono arrivare da altri fondi Inps o da un prelievo sulle pensioni d'oro
Foto: IL CONFRONTO La leader Cgil Susanna Camusso e il ministro del Lavoro Poletti FOTO:ANSA
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 145
IL PUNTO Repliche alla tv Marcorè e Golino attori sindacalisti "Tutte le emittentipaghino le royalty" Le stelle del nostro cinema nella cooperativa Artisti 7607 "Sky e Rai non collaborano" ALDO FONTANAROSA ROMA. Sul palcoscenico di un teatro e davanti a una telecamera ci sanno stare. Ora hanno imparato anche il
difficile lavoro del sindacalista.
Riccardo Scamarcio, Elio Germano, Neri Marcoré, Franca Valeri, Valeria Golino, Cinzia Mascolo sono
braccia e mente di "Artisti 7607", la cooperativa che chiede il rispetto pieno di un diritto fondamentale della
categoria. Nell'era del digitale, del satellite e della tv via web, mentre si moltiplicano i programmi e i canali,
vogliono sapere quante volte un loro film o una fiction vada in replica, per rivendicare quello che spetta a un
attore - importante o anche sconosciuto - come royalty.
La cooperativa "Artisti 7607" ha preso sulle spalle un lavoro molto duro che prevede, tra le altre cose, un
continuo pressing sugli editori televisivi perché forniscano la creta, la materia prima sulla quale lavorare. In
altre parole, le emittenti devono dare agli attorisindacalisti i dati precisi sul numero delle repliche dei film e
delle serie tv. E non tutte stanno collaborando. Cinzia Mascolo, la "Valeriana" di Viaggi di Nozze di Verdone,
presidente della cooperativa, racconta: «Mediaset è stata disponibile. Ci ha girato le informazioni dal
novembre 2013, data del nostro inizio attività, al dicembre 2014. La Rai, invece, ci dà solo due mesi:
novembre e dicembre 2013. Peraltro da Viale Mazzini ci sono arrivati a malapena i titoli dei film e delle fiction,
ed ora spetterà a noi rintracciare i nomi degli interpreti. In compenso Sky, che pure vanta l'offerta più ricca e
continua di trasmissioni, non ci ha mandato un solo dato». In passato, quando i diritti degli attori erano tutelati
dal solo Imaie, qualcosa non ha funzionato.
Ancora Mascolo dice: «Un giorno Elio Germano si è visto recapitare un assegno da un euro per "Faccia
d'angelo", la mini- serie tv in cui interpretava da protagonista Felice Maniero, boss della mala del Brenta.
Devo aggiungere altro?». La storia di "Artisti 7607" è raccontata nel libro di Francesco Schlitzer, "Imbizzarriti"
(i cui diritti andranno alla onlus L'Altra Napoli).
Foto: LA STAR Franca Valeri in prima linea nella società cooperativa "Artisti 7607" che tutela i diritti degli
attori
22/03/2015 26Pag. La Repubblica(diffusione:556325, tiratura:710716)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 146
Lettere Commenti & Idee SCENDE L'EURO SALE LA UE MOISÉS NAÍM IDUE valori più importanti dell'economia mondiale sono in calo, un calo rapido e inaspettato. A luglio 2014 un
barile di petrolio costava 114 dollari, ora ne costa 46.
Un euro costava 1,36 dollari e ora 1,08: nell'ultimo anno la moneta unica ha perso circa il 23 per cento del
suo valore nei confronti del dollaro statunitense e il 19 per cento rispetto alla media delle altre dieci valute più
importanti.
La maggior parte degli esperti prevede che fra non molto un euro varrà quanto un dollaro, e continuerà a
scendere.
Le conseguenze del crollo del prezzo del petrolio sono note: non altrettanto si può dire della svalutazione
della moneta europea. Ma i due processi sono ugualmente importanti: sia il prezzo dell'energia che quello
dell'euro, la seconda valuta più utilizzata al mondo, influiscono sui prezzi di quasi tutti i prodotti che
consumiamo, dai dentifrici alle automobili e ai pomodori.
Prima di parlare dei motivi della discesa dell'euro e di quali conseguenze avrà è utile sgombrare il campo da
"un'idea zombie" sul valore delle monete (Agnes Quisumbing definisce "idee zombie" le teorie che non
muoiono nonostante sia già stato dimostrato che non hanno fondamento). Non è scontato che un Paese si
indebolisca se la sua moneta si svaluta. In alcuni casi, la svalutazione della moneta rafforza l'economia: se
l'euro perde valore rispetto al dollaro, una bottiglia di vino spagnolo, un aereo francese o un'auto italiana nel
resto del mondo costeranno meno, incoraggiando le vendite dei prodotti e facendo crescere le esportazioni. E
questo è un bene per l'occupazione e l'economia in generale.
Sull'altro versante, la svalutazione dell'euro rende più cari i beni prodotti al di fuori dell'Eurozona, per
esempio un iPhone, un macchinario industriale o una vacanza a Disneyworld. Per fortuna dell'Europa,
l'impatto sui prezzi dei prodotti importati arriva in un momento in cui la minaccia per il continente non è
l'inflazione bensì il contrario, la deflazione (nel 2004i prezzi in Europa sono scesi dello 0,02 per cento).
Questa malattia dell'economia consiste in una caduta persistente dei prezzi dovuta all'inadeguatezza della
domandae conducea una stagnazione cronica, come quella che affligge il Giappone. La svalutazione della
moneta è un buon antidoto contro la deflazione. Non tutte le svalutazioni producono effetti positivi. Quando la
moneta perde valore rispetto alle altre a causa di una fuga di capitali provocata da una sfiducia nell'economia
del Paese, la svalutazione è nociva. E lo è anche quando contribuisce a far esplodere l'inflazione e a frenare
gli investimenti e la crescita. È quello che sta succedendo in Russia o in Venezuela, due dei Paesi più colpiti
dalla caduta dei prezzi del petrolio e da altri problemi.
Perché l'euro si sta deprezzando? La ragione principale è che la Banca centrale europea sta iniettando
liquidità monetaria per stimolare gli investimentiei consumi, mentre la sua omologa statunitense, la Federal
Reserve, sta tirando i remi in barca; anzi, lascia intendere che potrebbe alzare i tassi di interesse per
contrastare le pressioni inflazionistiche generate da un'economia in crescita e da un tasso di disoccupazione
che si avvicina al limite oltre il quale la scarsità di lavoratori provoca aumenti dei prezzi.
Nulla si muove più rapidamente del denaro. Di fronte a questa nuova situazione economica (anzi,
anticipandola), gli investitori hanno spostato i soldi dagli Stati Uniti all'Europa. Dall'inizio dell'anno è entrata
nei fondi di investimento europei la cifra record di 35,6 miliardi di dollari, mentre dai fondi americani sono
defluiti 33,6 miliardi. Da gennaio a oggi le Borse europee hanno superato quelle americane, sia in termini di
aumenti del prezzo delle azioni quotate sia in termini di volume degli afflussi di fondi.
Questi movimenti sono determinati dall'aspettativa che le grandi imprese esportatrici statunitensi,a causa del
"dollaro forte", che rende i loro prodotti più cari all'estero, vedranno ridursi entrate e utili, e di conseguenza
anche il valore delle azioni. Secondo un sondaggio della rivista Duke/Cfo , due terzi delle imprese esportatrici
americane affermano che l'apprezzamento del dollaro le ha danneggiate. Ma c'è anche un altro fattore che
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 147
avrà un impatto enorme. Da anni le imprese americane non finanziarie stanno accumulando liquidità in
proporzioni colossali e possono usare questa liquidità per comprare altre imprese. E ora, con l'euro che costa
meno, costano meno anche le imprese europee per chi ha dollari in abbondanza: dobbiamo aspettarci
un'ondata di acquisizioni di grandi imprese europee. Questi sono solo alcuni effetti della svalutazione
dell'euro, ce ne sono molti altri. Ma in definitiva, se qualcuno si chiede se la svalutazione dell'euro sia un
bene per l'Europa, la risposta è semplice: sì. Twitter @moisesnaim (Traduzione di Fabio Galimberti)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 148
GLI USA TEMONO LA RESA EUROPEA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI NEW YORK LA NOTIZIA della scalata cinese alla Pirelli arriva pochi giorni dopo un'altra.
ALLE PAGINE 20 E 21 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK. La notizia della scalata cinese alla
Pirelli arriva pochi giorni dopo un'altra, che ha messo in allarme gli Stati Uniti: l'adesione di quattro paesi
europei alla nuova Banca Asiatica d'Investimenti in Infrastrutture, voluta da Pechino per "sfidare" l'egemonia
Usa sulla Banca mondiale e il Fondo monetario. Da Washington si moltiplicano le accuse agli europei:
«ingenui, incoerenti», sono le espressioni più cortesi usate dalla Casa Bianca.
L'Amministrazione Obama non è contraria per principio agli investimenti cinesi in Occidente.
Anzi, li considera benefici per "riciclare" in parte l'attivo commerciale che la Cina accumula con le sue
esportazioni. Il riciclaggio del surplus di bilancia dei pagamenti tradizionalmente avveniva acquistando Buoni
del Tesoro americani, creando una simbiosi fin troppo soffocante tra il massimo debitore sovrano (Usa) e il
massimo creditore sovrano (la Repubblica Popolare). E' meglio - sottolineano i consiglieri economici di
Obama come Michael Froman - se la Cina diversifica i suoi investimenti, aumentando il portafoglio azionario.
Ma l'Occidente - proseguono - deve avere una visione strategica dei propri interessi. Quando la sicurezza
nazionale o la salvaguardia della propria superiorità tecnologica lo richiedono, deve saper dire di no ai capitali
cinesi. L'ingresso della Cina in infrastrutture nevralgiche come il porto di Atene; o l'elenco di partecipazioni nei
"campioni nazionali" dell'economia italiana (da Ansaldo a Reti, più le partecipazioni di minoranza in Eni, Enel,
Telecom, Saipem), visti da Washington sono altrettanti punti interrogativi.
A casa sua, il governo degli Stati Uniti ha deciso da tempo quali sono i settori strategici, quali le regole di
politica industriale che giustificano le barriere. Un episodio chiave avvenne nel 2005, quando Washington
sbarrò la strada all'acquisizione di una compagnia petrolifera californiana, Unocal, da parte dell'ente di Stato
China National Offshore Oil Corp. L'energia è uno di "quei" settori. Altra pietra miliare, anno 2012, è
l'inchiesta del Congresso su due colossi delle telecom cinesi, Huawei e Zte, accusati di spionaggio
industriale, anche a fini militari. Da allora la penetrazione di Huawei e Zte attraverso investimenti in aziende
Usa è bloccata. L'ultima parola spetta al Committee on Foreign Investment in the United States (Cfius),
un'agenzia governativa che è la cabina di regìa, dove si elabora e si gestisce la strategia sugli investimenti
esteri. Per Washington non va sottovalutato il fatto che tuttora il 90% degli investimenti esteri diretti compiuti
dalla Cina fanno capo ad aziende di Stato, che quindi rispondono a un disegno politico.
Non per questo l'America è refrattaria ad ogni sorta d'investimenti. Anche quando passano in mani cinesi dei
"trofei", dei simboli, dei pezzi di storia. Come l'hotel Waldorf Astoria di recente acquistato per quasi due
miliardi dalla compagnia assicurativa Anbang, diretta dal nipote di Deng Xiaoping. Un risvolto "politico-
strategico" esiste anche lì: il Waldorf è da un secolo la residenza newyorchese dei presidenti americani,
nonché di tanti leader stranieri quando vengono all'assemblea annua Onu; ora l'intelligence Usa medita di
ricorrere ad altri alberghi per evitare intercettazioni e simili sorprese... Due importanti think tank americani,
l'American Enterprise Institute e la Heritage Foundation, hanno una mappatura degli investimenti esteri
cinesi, che rivela un cambiamento profondo in soli quattro anni.
Mentre il totale cresceva del 30% e oggi sfiora i 90 miliardi, la composizione ha subito una metamorfosi.
Ancora nel 2010 la strategia mirava all'accaparramento di energia, miniere, e materie prime agricole: questi
tre settori assorbivano 70% del totale. Oggi è cresciuto il peso dell'immobiliare, e si è decuplicato
l'investimento in tecnologie da 0,9% a 9,7%. Per l'Amministrazione Obama un obiettivo comune
dell'Occidente dovrebbe essere quello di consolidare il ruolo della Cina come "responsible stakeholder"
(azionista e partner responsabile); anche per contrastare le spinte nazionaliste e protezioniste che risorgono
sotto Xi Jinping, e rendono il mercato interno cinese più chiuso alle nostre imprese (l'accusa è nel Libro
Rosso della Camera di Commercio europea a Pechino). Il massimo allarme è scattato per l'operazione della
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 149
Banca asiatica Aiib. Concorrente locale della Banca mondiale, l'Aiib finanzierà opere pubbliche, grandi
infrastrutture. «Con quale trasparenza finanziaria? Con che garanzie per la sostenibilità ambientale, i diritti
dei lavoratori?» si è chiesto Obama criticando David Cameron, Angela Merkel, François Hollandee Matteo
Renzi per essere entrati in quella banca. «Da decenni lavoriamo per migliorare la qualità dei progetti finanziati
dalla Banca mondiale - aggiunge la Casa Bianca - e nulla garantisce che quei progressi siano imitati dalla
nuova istituzione progettata a Pechino». L'inquietudine di Obama ha anche una motivazione più profonda. E'
la prima volta che la Cina fa un passo concreto verso la costruzione di un sistema alternativo alla Pax
Economica Americana, quella fondata a Bretton Woods nel 1944 con Fmi, Banca mondiale e Gatt (poi Wto).
La Casa Bianca si chiede se gli europei abbiano capito in quale disegno sono entrati.
I CASI IL WALFORD ASTORIA E' l'hotel newyorkese dove fanno tappa i presidenti americani. È finito alla
cinese Ambang I CAVI DI HUAWEI Ottobre 2012, il Congresso Usa "non esclude" che Zte e Huawei
minaccino la sicurezza degli Usa
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 150
GIUSEPPE BERTA, STORICO E DOCENTE DELLA BOCCONI: CAMBIA LA STRUTTURA ECONOMICAL'INTERVISTA "Milano senza industria non è più una città-guida" ROBERTO MANIA ROMA. «Milano è una città senza più vocazione. L'operazione Expo è stata concepita per riaffermare un
ruolo nazionale e internazionale di Milano, una porta aperta sul mondo. Ma finora questa operazione non è
stata declinata: Milano non manda più messaggi al Paese». Per Giuseppe Berta, professore di storia
contemporanea alla Bocconi, autore del recentissimo "La via del Nord.
Dal miracolo economico alla stagnazione" (Il Mulino), la vendita della Pirelli va letta all'interno di questo
contesto. Milano ha perso la grande industria, non esprime più l'efficienza dell'amministrazione, e non
rappresenta più l'avamposto di quella che è stata la questione settentrionale.
Cosa significa, per Milano e per l'Italia, una Pirelli controllata dai cinesi? « È un ulteriore tassello che si
aggiunge al mutamento della configurazione strutturale di Milano: la Pirelli ai cinesi, i grattacieli agli arabi del
Qatar. È il segno di un'Italia che possiede cose da vendere. Questa però non è attrazione degli investimenti.
Attrazione degli investimenti vuol dire partecipare ad attività economiche promosse dall'Italia, qui siamo di
fronte alla mera alienazione di parti del nostro apparato manifatturiero».
Tronchetti resterà alla guida del gruppo fino al 2021. Non è una garanzia perché l'headquarter rimanga in
Italia? «Dal punto di vista di una prospettiva economica di mediolungo periodo, il 2021 è dietro l'angolo. Noi
siamo immersi in una fase di turbolenza degli assetti capitalisti. Non c'è nulla di garantito. E possiamo stare
certi che i cinesi si giocheranno tutte le loro carte».
Dunque, abbiamo già perso un altro tassello della nostro industria? «Al momento abbiamo perso il controllo
di un pezzo di industria italiana. Così aumenta la precarietà della struttura economica del nostro Paese. Ma
d'altra parte io davo per scontata la cessione di Pirelli ai russi di Rosneft.
Quell'operazione fu raccontata come un passaggio di Pirelli verso una public company. Ma non era vero. Ora
l'arrivo dei cinesi non mi genera alcun stupore.
Certo, noto un'accelerazione di mutamento dovuta al fatto che siamo un Paese che ha ancora tanti asset
industriali e che subisce gli effetti di una drammatica caduta dell'economia. Quest'anno il Pil italiano dovrebbe
crescere dello 0,6% contro l'1,3% dell'eurozona. Vuol dire che se noi cominciano a camminare, gli altri stanno
correndo».
Ma se Milano e il Nord perdono la capacità di spingere lo sviluppo del Paese, qual è il nostro futuro
industriale? «Stiamo assistendo alla destrutturazione degli assetti economici dell'Italia. Pensi all'operazione di
Landini: è solo una via di fuga, chiudere gli occhi di fronte alla propria crisi e giocare la carta del movimento
sociale. È la cultura industrialista della Fiom? Stiamo assistendo a uno sfarinamento della società nella quale
non si assiste più a movimenti unitari. La grande impresa, pubblica e privata, ha tenuto insieme il Paese».
Vuol dire che senza grandi imprese si indebolisce anche l'unità del Paese? «Esattamente. Siamo un Paese
senza una prospettiva autonoma di sviluppo».
Un "nobile decaduto" che vende le sue proprietà? «Non è tanto questo il punto.
La veritàè che le nostre medie imprese non riescono a fare massa critica. Avremmo bisogno di un numero di
medie imprese almeno dieci volte superiore a quello attuale e con un fatturato che arrivi ai due miliardi di
euro. Questo permetterebbe alle nostre medie aziende di esercitare un'influenza sul Paese».
È la classe politica la responsabile di questo declino? «Credo che sia venuto meno il rapporto di interazione
tra politica, economia e amministrazione. La vicenda Lupi, l'unico (ex) ministro milanese nel governo, è
emblematica da questo punto di vista: la burocrazia che si appropria dell'agenda della politica.
Qui c'è lo smarrimento del Nord.
Il Nord è scomparso dal linguaggio della politica, anche la Lega ha ormai abbandonato la questione
settentrionale».
23/03/2015 20Pag. La Repubblica(diffusione:556325, tiratura:710716)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 151
Perché, secondo lei? «Perché non si crede più che il Nord possa guidare questo Paese. E d'altra parte
all'insofferenza nei confronti della politica, Milano e la Lombardia contrapponevano l'efficienza delle decisioni
e la qualità dell'amministrazione. Ora non più: prima il caso Formigoni, poi Lupi...».
L'EXPO
L'Expo è stata concepita per riaffermare un ruolo nazionale e internazionale. Ma l'obiettivo è lontanoGLI STRANIERI
Noi siamo in una fase di turbolenza degli assetti capitalisti. E i cinesi si giocheranno le loro carteGIUSEPPE BERTA Storico dell'impresa
LA LEGA Il Nord è scomparso dal linguaggio della politica. La Lega ha abbandonato la questione
settentrionale LE IMPRESE Avremmo bisogno di un numero di medie imprese almeno dieci volte superiore a
quello attuale
Foto: I GRATTACIELI A fine febbraio il fondo sovrano del Qatar ha acquisito la totalità delle azioni dell'area di
Porta Nuova a Milano, dove tra l'atro ha sede l'Unicredit Tower
Foto: LA MODA La storica casa di moda Krizia è stata rilevata lo scorso anno dalla cinese Marisfrolg
Fashion, fondata da Zhu Chongyum, leader del pret-à-porter di fascia alta
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 152
VERSO L'APPUNTAMENTO DI MILANO Intervista "L'Expo non sarà solo una sfilata di marchi" Letizia Moratti: "E' un'occasione di scambio culturale A casa mia troveranno ospitalità alcuni contadini" FABIO POLETTI MILANO Letizia Moratti è a New York. L'ex sindaco di Milano e co-fondatrice della Fondazione San Patrignano è
intervenuta alle Nazioni Unite all'assemblea di «Change the world model Un», davanti a 1800 giovani di 90
Paesi chiamati a discutere di «Diritti umani, risorse idriche, energia e sicurezza del cibo». Un tema che porta
diritto a Expo 2015 che si inaugura tra 41 giorni e che Letizia Moratti volle a Milano, quando nel 2006 avanzò
la candidatura della città al Bureau International des Expositions a Parigi. Presidente Letizia Moratti, perchè
allora puntò sul cibo come tema per Expo 2015 a Milano? «Il Bie chiedeva che ogni Paese che aspirava ad
aggiudicarsi l'esposizione puntasse sulle proprie competenze specifiche. E l'Italia ha la competenza sulla
produzione e sulla distribuzione del cibo, m a h a p u r e c o m p e t e n z e scientifiche. Cose evidentemente
riconosciute». «Nutrire il pianeta» è un tema globale. Da Expo 2015 arriverà all'Onu la Carta di Milano che
vuole essere una piattaforma per affrontare il tema del cibo nel mondo. In questi giorni se ne parla all'Onu lì a
New York... «Discutere di cibo e acqua significa andare al cuore delle condizioni più basilari che rendono
possibile la vita dell'uomo sul nostro pianeta. Ma è pure una sfida culturale per ridare centralità a questioni
che negli ultimi decenni sono state marginalizzate nel dibattito politico e istituzionale. Quando venne
presentato il dossier di Milano per Expo c'era la visione di un posizionamento strategico dell'Italia rispetto a
questi temi. Accompagnato da progetti importanti poi non tutti realizzati. Si parlava di aiuti per orti urbani in
Senegal, il miglioramento di produzioni in Niger e l'aiuto alle donne del Togo a trasformare la materia prima
come i p o m o d o r i p e r p o t e rl a co m mercializzare». Una delle critiche al modello Expo è quello della
presenza dei grandi brand commerciali. Come risponde? «Ci sono i grandi ma anche i piccoli brand. Penso al
microbirrificio partner di Expo o alla presenza di Coldiretti. Il filo conduttore di Expo è sempre stato il cibo
come opportunità di conoscere culture e storie diverse. Non a caso a o t t o b re q u a l c h e m i gl i a i o d i
agricoltori, contadini e pescatori saranno ospitati nelle case di famiglie milanesi compresa la mia». In nove
anni attorno a Expo Milano è successo tanto altro. Più di un arresto, le tangenti tanto da rendere necessario
l'intervento di Raffaele Cantone dell'Autorità anticorruzione. Si poteva fare qualcosa di più? «Avevo chiesto
leggi più severe su appalti e subappalti ai due diversi governi con cui ho avuto a che fare durante il mio
mandato. Avevo scritto una lettera a Berlusconi e a Prodi su questo, ma non ho mai avuto risposta». La crisi
economica, i ritardi iniziali nei lavori, qualche lite istituzionale hanno cambiato nel corso degli anni l'idea di
quello che sarebbe stata l'esposizione. Teme che questo possa avere un risvolto negativo nel risultato finale?
«Questo lo vedremo. Ma noi siamo bravissimi a correre l'ultimo miglio in questa gara per cui il mondo ci
guarda. Io sono ottimista che gli sforzi fatti siano premiati da un Expo diversa dal passato». Però non ci
saranno quella torre alta 200 metri che si doveva vedere da tutta la città, altri progetti si sono persi per strada.
«Di proposte ce n'erano tante. Ma quello che ci interessava non era avere un simbolo fisico come l'Atomium
dell'esposizione di Bruxelles. La cosa davvero importante era far diventare il cibo un elemento di conoscenza
e amicizia tra i popoli. Nel mio ultimo discorso al Bie di Parigi ricordo di aver parlato di sviluppo sostenibile.
Un tema di cui stiamo ancora discutendo. E di cui parlano questi giovani qui a New York all'Onu. Come ci
ricordano programmi e agenzie delle Nazioni Unite, da Fao a buona parte dei Millennium Development
Goals: garantire una distribuzione equa e un accesso a tutti al cibo, rappresenta il pilastro su cui costruire un
mondo libero da povertà e conflitti. Perchè ancora oggi 800 milioni di persone nel mondo soffrono la fame e
ogni due ore 700 bambini sotto i 5 anni muoiono a causa della malnutrizione».
L'iniziativa diventata realtà n Era il 2006 quando Letizia Moratti, sindaco di Milano, avanzò la candidatura di
Milano come sede dell'Expo al Bureau International des Expositions a Parigi n La votazione e la
proclamazione finale per la scelta della sede dell'Expo avvenne il 31 marzo 2008: Smirne (Turchia) ottenne
65 voti, Milano 86. Il tema proposto per l'Expo è «Nutrire il pianeta, energia per la vita»
21/03/2015 12Pag. La Stampa(diffusione:309253, tiratura:418328)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 153
Il tema del cibo e dell'acqua riguarda le condizioni più basilari per la vita dell'uomo sul pianetaÈ un successo che alimentazione e produzione siano elementi di amicizia tra i popoli Letizia Moratti Ex
sindaco di Milano
41 giorni Mancano all'inaugurazione dell'Expo, che si aprirà il 1° maggio mesi L'Expo sarà aperta dal 1°
maggio al 31 ottobre
800 milioni Sono le persone che soffrono di fame nel mondo Ogni due ore 700 bambini sotto i 5 anni muoiono
per malnutrizione
Foto: STEFANO PORTA /ANSA
Foto: Sono ancora in corso i lavori per completare i padiglioni dell'Expo
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 154
L'INCHIESTA SULLE GRANDI OPERE La storia Orte-Mestre, la Nuova Autosole tra sprechi e affari Il più costoso dei progetti nell'indagine di Firenze La norma ad hoc dopo il no della Corte dei Conti GIUSEPPE SALVAGGIULO Altro che «Autostrada del Sole del XXI secolo»: delle grandi opere su cui indaga la Procura di Firenze,
l'autostrada Orte-Mestre è solo la più costosa (10 miliardi su 25), e la più adatta a raccontare un sistema che
il presidente dell'Autorità anticorruzione Cantone definisce «criminogeno». Il progetto nasce nel 2001, in
piena euforia da legge obiettivo. Berlusconi ha tracciato la mappa sulla lavagna di Vespa: 196 opere
strategiche in dieci anni, il 40% nei primi cinque recita il contratto con gli italiani. Dopo 14 anni le opere finite
sono l'8%. E la OrteMestre non è ancora partita. Come racconta Roberto Cuda in «Strade senza uscita»
(Castelvecchi), a economisti e ambientalisti parve subito una follia: previsioni di aumento di traffico infondate
(secondo la Kpmg, sono in media sovrastimate del 30%) e non avvalorate da esperti indipendenti; esistenza
di soluzioni alternative low cost, adeguando le strade esistenti; alto impatto ambientale attraversando 6 aree
protette e consumando 380 milioni di metri quadrati di suolo, di cui l'86% agricolo. «Un viaggio straordinario
lungo l'art. 9 della Costituzione - dice Luca Martinelli, autore per Altreconomia di un videoreportage lungo il
tracciato -: risale il Tevere fino alle sorgenti, lambisce il Parco del Casentino poi inizia la discesa verso la
Romagna e raggiunge Venezia attraversando le valli di Comacchio e del Mezzano, straordinari esempi di
bonifica, e infine il Parco del Delta del Po e la bellissima Riviera del Brenta». Nessuna obiezione ha mai
fermato il sogno di quello che il presidente dell'Anas Pietro Ciucci ha definito «il progetto infrastrutturale più
importante d'Italia». A sognare sono in tanti: banche, cooperative, finanzieri, costruttori. Dieci anni fa la
cordata delle coop rosse guidata da Lino Brentan del Pd (poi arrestato per corruzione) e sostenuta da
un'associazione presieduta da Bersani, fu battuta da quella di Vito Bonsignore: ex Dc, Udc, Pdl. Tra il 2009 e
il 2010, tutte le carte della Orte-Mestre sembrano a posto, compresa la controversa valutazione ambientale,
approvata sulla base di uno studio commissionato da Bonsignore a una società amministrata da suo fratello.
Il «project financing» prevede che il privato finanzi l'opera e riscuota i pedaggi della concessione. Ma quello
all'italiana (vedi BreBeMi) è diverso: se si va in perdita, ci pensa lo Stato. Solo che il governo Berlusconi non
ha 1 miliardo per far partire i lavori, la crisi spaventa e le banche tergiversano. La musica non cambia con
Monti. Per fortuna nel 2013 al mi5nistero arriva Lupi, che si batte come un leone, spingendosi a definire la
Orte-Mestre «un'opera strategica perché si aggancerà al corridoio europeo baltico-adriatico». La smentita
della Commissione Ue non impedisce al Cipe (governo Letta, 8 novembre 2014) di approvare l'opera con un
generoso contributo pubblico salito a 1,8 miliardi (20% del costo totale). Una settimana dopo Lupi e
Bonsignore fondano il Ncd. Nel frattempo la Orte-Mestre è diventata bipartisan, anzi tripartisan: centrodestra,
Lega, Pd. Tanto che Bonsignore consegna la guida del suo consorzio al dalemiano Antonio Bargone. Tutti
d'accordo, meno la Corte dei Conti che nel luglio 2014 boccia la delibera del Cipe: lo sgravio fiscale è
abnorme e illegittimo. Poche settimane dopo sarà il governo Renzi, con un comma ad hoc nel decreto
Sblocca-Italia, a sanare l'illegittimità (ora si attende il sì della Corte dei conti). Tutto risolto? Non secondo pm
fiorentini e carabinieri del Ros, che proprio sul più bello arrestano Incalza e indagano Bonsignore e Bargone
per aver promesso al superburocrate l'assegnazione della lucrosa direzione lavori al suo sodale Perotti in
cambio di «un favorevole iter delle procedure amministrative relative al finanziamento dell'opera». Al di là dei
reati, le intercettazioni documentano la solerzia con cui il trio si adoperava per l'approvazione di norme su
misura, tali da rendere l'opera fattibile e profittevole per i privati. E forse lo sarebbe, ma a spese dei
contribuenti. Si può fare finta di niente? Dimissionato Lupi, la risposta spetta a chi, a Palazzo Chigi, erediterà
il dossier grandi opere.
La vicenda e gli attori bipartisan 1,9 miliardi Lo sconto fiscale in favore dei privati deciso dai governi Letta e
Renzi per la costruzione dell'autostrada OrteMestre. La Corte dei conti lo aveva bocciato perché esagerato e
illegittimo Maurizio Lupi Ministro delle Infrastrutture dal 2013, grande sponsor dell'opera, tanto da riuscire a
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 155
far approvare uno sgravio fiscale molto generoso e una norma ad hoc Vito Bonsignore Imprenditore, politico
(Dc, Udc, Pdl, Ncd), promotore della autostrada OrteMestre, indagato dalla Procura di Firenze per induzione
indebita nei confronti di Ercole Incalza Antonio Bargone Ex sottosegretario dei governi Prodi e D'Alema, di cui
era stretto collaboratore, è presidente del consorzio promotore di Bonsignore. Anche lui è indagato con la
stessa ipotesi di reato ADRIA CODIGORO AREZZO ORVIETO BOLSENA COMACCHIO 64 10 16 km km di
gallerie miliardi aree di servizio il costo previsto di ponti e viadotti
22/03/2015 5Pag. La Stampa(diffusione:309253, tiratura:418328)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 156
il caso Da Pechino tre miliardi di investimenti L'Italia è la meta preferita dopoLondra Dagli yacht Ferretti alla moda di Krizia, tra le prossime prede c'è Borsalino GIANLUCA PAOLUCCI TORINO La prossima preda potrebbe essere Borsalino. Una delle sei cordate che (finora) si sono fatte avanti per
mettere le mani sullo storico marchio del Made in Italy è infatti cinese. Niente di sorprendente, se si considera
che lo scorso anno l'Italia è stato il secondo Paese in Europa per ammontare di investimenti cinesi. Da
Pechino, secondo i calcoli di Bloomberg, sono arrivati quasi 3 miliardi di euro, l'Italia è seconda solo alla Gran
Bretagna. Più curiosa, piuttosto, un'altra circostanza. Se mai dovesse andare in porto, l'affare Borsalino
rappresenterebbe quasi un'eccezione nello shopping cinese in Italia. Che invece di comprare i «gioiellini» -
veri o presunti della moda e dell'alimentare Made in Italy come hanno fatto a mani basse dagli arabi ai
francesi, ha preferito concentrarsi su settori molto meno glamour. Industria, energia, infrastrutture,
telecomunicazioni. A parte Krizia (pagata 35 milioni) o l'8% di Ferragamo, gli olii d'oliva Sagra e Berio o gli
yacht Ferretti (75 milioni), l'elenco degli investimenti di Pechino in Italia è fatto di nomi meno noti, ma ben più
pesanti. Praticamente ignorato il mattone amato da arabi e fondi Usa, il principale investimento fatto finora è il
35% di Cdp Reti, pagato 2,1 miliardi dal gigante pubblico State Grid Corporation. Cdp Reti è una società
controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti che, a sua volta, detiene i pacchetti di controllo di Terna e Snam.
Ovvero la rete elettrica del Paese e il sistema di approvvigionamento, stoccaggio e distribuzione del gas in
Italia. Poi c'è il 40% di Ansaldo Energia, passato da Finmeccanica a Shanghai Electric Group. E ancora,
l'ingresso della People's Bank of China in una lunga serie di società quotate, sempre prendendo poco più del
2% del capitale. Ovvero, la soglia che fa scattare l'obbligo di dichiarare il possesso dei titoli. L'elenco è
questo: Eni, Enel, Fca, Telecom Italia, Prysmian, Generali. Un segnale di presenza, diciamo. Letto dagli
ottimisti come manifestazione di fiducia nel sistema-Paese, ma che ha sollevato anche qualche interrogativo.
Di certo non c'è nessun dossier di vendita di asset italiani che non faccia un giro dalla parti di Pechino, Hong
Kong o Shanghai. Oltre a Borsalino, un gruppo cinese starebbe valutando ad esempio il Molino Stucky, hotel
veneziano già di Bellavista Caltagirone. Ultimamente va di moda anche il calcio, per dire: fantomatici
compratori cinesi appaiono qua e là praticamente in ogni trattativa, senza escludere Inter prima e Milan
adesso. L'unico affare andato in porto nel mondo del pallone, guarda caso, è quello che ha visto il passaggio
della società che detiene i diritti della Serie A, la Infront, al gruppo Dalian Wanda, guidato da un ex militare.
Valutazione, secondo le indiscrezioni, un miliardo di euro. Altro elemento certo è che l'amore per l'industria
italiana è scattato di recente: secondo i dati della Farnesina, fino al 2012 il flusso degli investimenti diretti in
Italia dalla Cina era pari a 147 milioni di euro. Cosa è cambiato in pochi anni nella visione di Pechino - da
rilevare che gli investimenti più importati provengono da imprese statali - che ha reso l'Italia così appetibile?
«Dopo anni di crisi, forse il gigantesco cartello "Saldi" appiccicato sopra la Penisola», scherza un banker.
147 milioni Gli investimenti cinesi in Italia nel 2012 Da allora un'impennata
35 per cento La quota cinese in Cdp Reti, finora l'investimento più grosso in Italia
Foto: Affari in Borsa La banca cinese People's Bank of China è entrata in molte società italiane quotate, tra
cui: Eni, Enel, Fca, Telecom, Prysmian e Generali
Foto: AFP
22/03/2015 19Pag. La Stampa(diffusione:309253, tiratura:418328)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 157
Intervista "Atene deve accettare la linea dell'Ue Ma il prezzo degli aiuti è troppo alto" L'economista Papadopoulos: l'austerità ha rovinato una generazione FRANCESCO MAGRIS Konstantinos Papadopoulos, professore di economia all'Università «Aristotele» di Salonicco, Ph.D presso l'
Università di Lovanio, i conti pubblici della Grecia sono preoccupanti. Tuttavia, la loro reale consistenza non è
molto chiara, forse a causa una cattiva abitudine del Paese di confondere le statistiche. Ci potrebbe dare
delle cifre precise? «Non sono completamente d'accordo quando ci si riferisce, in modo ironico, alle
"statistiche greche". La dimensione del debito pubblico è stata certamente, e forse volutamente, sottostimata
prima dell'entrata del Paese nell'eurozona nel 2000, e pure nel biennio 2008-2009, sfruttando certe ambiguità
nella definizione tecnica da attribuire al "settore pubblico". Ma l'istituto di rilevazione statistica greco è
indipendente e negli ultimi cinque anni siamo stati monitorati dalla troika e dall'Eurostat. La situazione è
drammatica: il tasso di disoccupazione è del 27% (quello giovanile pari al 50%) e il debito pubblico si eleva a
315 miliardi di euro, ossia il 176% del Pil, frutto del susseguirsi negli anni di colossali disavanzi di bilancio.
Nel 2014, ad esempio, il deficit secondario è stato di 4,5 miliardi». Le riforme invocate dalla troika sono
drastiche. Cosa viene richiesto alla Grecia e che cosa è disposta a fare? «Le richieste risalgono al
Memorandum del 2012 e si ponevano l'obiettivo di accelerare le riforme del mercato del lavoro, del sistema
previdenziale e della politica tributaria oltre a procedere a privatizzazioni di massa e a una robusta
ricapitalizzazione del sistema bancario con fondi privati. Nel dicembre 2014, il governo di coalizione di
Samaras e di Venizelos ha chiesto due mesi di proroga per l'adempimento degli impegni, al quale era
condizionato l'esborso della tranche finale da parte della troika di un prestito di 7,2 miliardi di euro, essenziale
per combattere il gap di liquidità. Ma a gennaio ha vinto Syriza, le cui promesse anti-austerità non erano in
linea con lo spirito del memorandum. All'inizio di marzo il Ministro delle Finanze Varoufakis ha presentato una
lista di riforme per tutelare le fasce della popolazione più colpite dalla crisi. Nessun riferimento alle riforme
che costituivano il nucleo della negoziazione». Con il quantitative easing della Bce i Paesi europei si
finanziano a tassi molto contenuti. La Grecia invece non ha accesso ai mercati finanziari ma riceve aiuti
direttamente dall'Europa. Non sarebbe più opportuno accordare pure ad essa tale possibilità? «Purtroppo la
Bce non vuole accettare il titoli di Stato greci come collaterale: sono considerati troppo rischiosi. Se la Grecia
accettasse i suggerimenti del Gruppo di Bruxelles (come il nuovo governo chiama la troika), i buoni del tesoro
i aumenterebbero di credibilità e potrebbero partecipare al Qe. Se le finanze pubbliche fossero più solide, si
aprirebbe la possibilità di accedere ai mercati internazionali. A oggi non è possibile, per il persistente
problema di liquidità e i lunghi e infruttuosi negoziati». Il problema è proprio quello della liquidità per le spese
correnti. Dopo che lo Stato ha attinto a man bassa alle casse previdenziali, la Banca Centrale Greca ha
creato un fondo pubblico di riserva. È sufficiente? «Molte persone hanno ritirato i propri depositi per aprire
conti all'estero, aumentando l'asfissia bancaria. Le banche stanno facendo ricorso ai fondi d'emergenza (Ela)
della Bce». I problemi della Grecia possono veramente minacciare il processo di integrazione europeo,
nonostante la sua taglia ridotta ? «Non credo sia un problema di taglia ma riguarda l'architettura stessa
dell'Europa. L'ideale di una confluenza dei vari Stati in un'Unione prospera e solidale di paesi inspirata a un
ideale di economia sociale dimercatosièarenato di fronte all'esigenza di criteri di convergenza fiscale, ritenuti
necessari per un'area valutaria comune». Il principio di solidarietà ha ceduto il passo ad una deriva
individualista, secondo la quale ciascuno paga i suoi debiti e i suoi errori ed è pienamente responsabile delle
proprie azioni? «L'approccio individualista ha senso fra paesi simili. Non è il caso dell'Europa, dove alcune
nazioni, per crescere, devono spendere di più, e quindi necessitano di sostegno da parte dei loro partner. Ma
l'aiuto alla Grecia, pure in termini di bassi interessi richiesti sui prestiti concessi, è stato subordinato
all'adozione di misure oltremodo austere che stanno rovinando un'intera generazione e forse pure quella
futura. Un prezzo da pagare troppo alto».
23/03/2015 11Pag. La Stampa(diffusione:309253, tiratura:418328)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 158
Ci possono essere nuovi aiuti per la Grecia solo se il Paese si impegna davvero a risolvere i suoiproblemi con riforme concrete Thomas Oppermann Capogruppo del Partito socialdemocratico tedesco
315 miliardi L'ammontare del debito pubblico greco, che vale il 176% del Pil. La disoccupazione viaggia
attorno al 27 per cento
60 per cento Il tasso di popolarità del governo Tsipras, che ha vinto le elezioni combattendo contro le
politiche di austerità
7,2 miliardi L'ammontare del prestito concesso ad Atene, fondamentale per combattere l'attuale mancanza di
liquidità della Grecia 2 per cento L'economia greca rappresenta solo una piccola parte di quella europea: il Pil
di Atene ammonta poco più di 240 miliardi
Foto: Protagonisti AngelaMerkel Sotto Tsipras (a destra) e Varoufakis
Foto: VIRGINIA MAYO/AP
23/03/2015 11Pag. La Stampa(diffusione:309253, tiratura:418328)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 159
INTERVISTA 4 domande a Angelo Castelli Avvocato/ tutto SOLDI / LAVORO IN CORSO «Lehman, far causa adesso o mai più» LUIGI GRASSIA Sul crac di Lehman Brothers sta per scattare la tagliola della prescrizione. I risparmiatori traditi fanno ancora
in tempo a tutelare i loro diritti in tribunale? «Se vogliono farlo devono muoversi subito» dice l'avvocato
Angelo Castelli di Formia, massimo esperto di tutela del risparmio in Italia, vincitore di 255 cause o accordi
stragiudiziali, che hanno permesso ai suoi clienti di recuperare 91 milioni di euro dai fallimenti di Lehman,
oltre che da quelli dell'Argentina, di Cirio e di Parmalat, con sentenze che in diversi casi hanno fatto
giurisprudenza. «Un termine di prescrizione per Lehman, quello per annullamento, è già scaduto nel 2013 -
spiega Castelli -. Un altro termine, per inadempimento contrattuale, scade nel 2018, e visti i tempi della
giustizia si tratta di una scadenza vicina». Contro chi va intentata la causa? E con quali prospettive di
successo? «Bisogna citare in giudizio le banche, è inutile insinuarsi al passivo. E si è creata una
giurisprudenza che porta alla vittoria in tribunale se ci sono i requisiti. La banca è responsabile di
inadempimento contrattuale se ha venduto al cliente i titoli rischiosi che la stessa banca aveva in portafoglio.
E non può obiettare di averlo fatto in buona fede, godendo la Lehman della tripla A fino al giorno del default,
perché i Cds (cioè i credit default swap, con cui il mercato misura la rischiosità di un investimento) avevano
acceso da mesi e mesi la luce rossa sui titoli Lehman. La responsabilità della banca in questo conflitto di
interessi è ancora più forte se aveva aderito a Pattichiari». Ci sono altre circostanze che giocano a favore del
cliente? «Si può chiedere la risoluzione del contratto per nullità e il rimborso dell'investimento se il contratto di
compravendita non è stato firmato dal legale rappresentante della banca. Non basta che lo abbia firmato un
altro dipendente o un promotore finanziario». E chi sarebbe, di preciso, il «legale rappresentante» della
banca abilitato a firmare? «Spesso si tratta del direttore dello sportello. A un altro dipendente può essere
affidata la procura a fare le veci del legale rappresentante. Ma se queste condizioni non sono rispettate il
contratto di compravendita dei titoli Lehman Brothers è nullo. Per adesso questo principio è stato affermato
da una singola sentenza del tribunale di Milano».
23/03/2015 17Pag. La Stampa(diffusione:309253, tiratura:418328)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 160
SANDRO DE POLI / tutto SOLDI / LAVORO IN CORSO / L'INTERVISTA "General Electric punta sull'Italia Qui costi bassi e competenze" Trasferita a Brindisi una produzione che si realizzava in Olanda "La paga oraria di un ingegnere in Cina è diun dollaro più alta" TEODORO CHIARELLI TORINO I conti del 2014 saranno chiusi ufficialmente a giugno, ma già si sa che saranno estremamente positivi,
almeno per quanto riguarda le nuove assunzioni (oltre 400) e gli investimenti in Italia (450 milioni di euro). Del
resto General Electric Italia, appendice tricolore del colosso Usa da 107 miliardi di euro, presente in 100
Paesi con 307 mila dipendenti, ha sempre presentato bilanci in utile. «E anche questa volta non ci
smentiremo», sorride l'amministratore delegato Sandro De Poli - Abbiamo avuto inoltre una crescita sia degli
ordini che del fatturato». Milanese, 57 anni, da 33 anni in Ge dopo gli esordi alla Siemens, De Poli guida la
controllata italiana (oltre a quella israeliana) che ha quasi 12 mila dipendenti, 23 sedi e stabilimenti, ricavi per
oltre 2 miliardi e un giro d'affari di 7,5 miliardi di euro. Due le controllate principali: Oil&Gas a Firenze (ex
Nuovo Pignone) e Avio Aero a Torino. La prima produce tecnologia per l'estrazione, la raffinazione e il
trasporto di petrolio e gas. La seconda, ex divisione aeronautica di Avio, rilevata nell'agosto del 2013 per 1
miliardo di euro, è un centro di eccellenza nel campo delle trasmissioni meccaniche e nelle turbine di bassa
pressione. Ingegner De Poli, quali saranno le vostre prossime mosse? Altre acquisizioni in vista? «Se
intendiamo operazioni come quella di un anno e mezzo fa, non vedo all'orizzonte un'altra Avio. Ma possiamo
crescere ugualmente. Abbiamo spostato dall'Olanda all'Italia, per la precisione a Brindisi, una parte delle
lavorazioni dei motori di aeroderivati. Diventerà un polo di eccellenza mondiale nelle turbine a gas di
derivazione aerea, appunto, e nella propulsione navale». E funziona? «Quest'anno abbiamo realizzato lì 5
turbine per la Marina Usa. E speriamo di aggiudicarci la commessa, valore 200 milioni, per il rinnovo delle
Fregate della flotta militare italiana francese». L'Italia, quindi, può essere competitiva nell'alta tecnologia?
Anche al Sud? «Dobbiamo sfatare certi pregiudizi. Io dal mio osservatorio posso assicurarle che l'Italia è
estremamente competitiva per un gruppo multinazionale come Ge. Soprattutto nell'alta tecnologia». Faccia
un esempio. «A Cameri, provincia di Novara, la Avio Aero ha realizzato il laboratorio più avanzato al mondo
per la stampa in 3D di metalli. I prossimo motori aerei dovranno ridurre le emissioni e quindi pesare meno.
Noi siamo gli unici in grado di realizzare pale delle turbine che pesano la metà rispetto a quelle tradizionali
grazie alla tecnologia di stampa in 3D». Ma il costo del lavoro non è troppo alto? «Non è vero. Abbiamo
ingegneri estremamente qualificati. Oltre la metà dei dipendenti del Pignone sono ingegneri e sa qual è la
verità? Che a parità di competenze hanno un costo per noi più basso rispetto ai loro colleghi cinesi». Sembra
una barzelletta. «E invece no. La nostra manodopera, perdoni il termine improprio, ad alto contenuto
tecnologico nel rapporto qualitàcosto è più competitiva di quella tedesca o francese. In Cina abbiamo visto
che da qualche tempo il costo orario di un ingegnere è di un dollaro superiore rispetto a un ingegnere italiano.
Ecco perché dico che investire in Italia conviene». Conviene? «Certo che sì. Noi abbiamo come General
Electric la possibilità di riempire le fabbriche che abbiamo qui, di portare più lavoro e di assumere. A
Piombino, ad esempio, stiamo discutendo di realizzare la terza piattaforma per assemblare moduli di power
generation per il mondo oil & gas. Significano alcune centinaia di nuovi posti di lavoro. E la nuova turbina a
gas che stiamo realizzando è interamente pensata e "made in Italy". Con destinazione il mondo». Si è detto
che le nostre università non funzionano. «Le università italiane, soprattutto quelle tecniche, sono meglio di
come vengono descritte. Il mio figlio maggiore si è laureato il 18 dicembre al politecnico di Milano e il 18
febbraio ha iniziato a lavorare come ingegnere gestionale. E papà non lo ha aiutato. Sa che cosa ha detto il
"ceo" mondiale di Ge, Jeffrey Immelt, a Matteo Renzi lo scorso giugno in occasione della sua visita in Italia?».
Ovviamente no. «Ha detto: invidio la competenza degli ingegneri che avete in Italia». Ma allora che cosa c'è
che non va nel nostro Paese? «Purtroppo sono parecchie le cose che finiscono per renderlo meno attrattivo.
Prima di tutto la burocrazia. Ma anche un fisco esageratamente ondivago, che aggredisce i deboli e non
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 161
attacca i forti. Poi la giustizia civile: sai quando cominci e non sai quando finisci. Quindi la giustizia penale
legata al fisco». Del jobs act che cosa pensa? «Ha dei contenuti altamente condivisibili. Ho sempre pensato
che i posti di lavoro si creano con un mercato aperto. La prima riforma va nella direzione auspicata. La
delega fiscale, se passasse come era stata scritta all'origine sarebbe una buona cosa. Invece abbiamo
assistito a rinvii, ritardi, ritocchi: peccato, sono queste le cose che all'estero non capiscono di noi». Le basta?
«Poi c'è la riforma della scuola per renderla più internazionale. E bisogna integrare di più università e
aziende. Se il governo porterà a casa tutto questo, l'Italia entrerà veramente nel ventunesimo secolo. Al di là
di tutto mi sembra che Renzi stia facendo un grande sforzo per rilanciare l'immagine dell'Italia nel mondo. Un
grande lavoro di marketing. Non basta, ma aiuta».
Al vertice Sandro De Poli (nella foto a destra), milanese di 57 anni, è da 33 anni in Ge dopo gli esordi alla
Siemens. De Poli guida la controllata italiana (oltre a quella israeliana) di un gruppo che ha quasi 12 mila
dipendenti, 23 sedi e stabilimenti, ricavi per oltre 2 miliardi e un giro d'affari di 7,5 miliardi di euro
General Electric COSÌ NEL MONDO 2 mld Cifre in euro I RICAVI 107 miliardi 50 mld - LA STAMPA Usa
Canada e America Latina Europa Asia-Pacifico Medio Oriente e Africa 307.000 i dipendenti 11.600 i
dipendenti 9 mld 19 mld 17 mld 9 mld 7,3 mld Il volume d'affari COSÌ IN ITALIA *I dati sono riferiti al 2013
Oltre 100 i Paesi in cui è presente
400 assunzioni General Electric Italia nel 2014 ha continuato ad ampliare l'organico: i dipendenti sono quasi
12 mila
450 milioni L'ammontare degli investimenti effettuati dalla divisione italiana di General Electric nel 2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 162
[ L'INCHIESTA ] Così governo e Bankitalia vogliono cambiare le banche Adriano Bonafede Eravamo abituati a pensare a un mondo delle banche ingessato e sclerotizzato, sempre uguale a se stesso,
con indubitabili virtù ma anche con innegabili vizi, che risaltano sempre di più ora, dopo l'avvio dell'Unione
bancaria: bassa capitalizzazione e (in molti casi) difficoltà a reperire capitale di rischio quando necessario
(ancor più se dovessero esserci future crisi), bassa redditività per gli azionisti. Ma da qualche mese il gesso si
è spezzato, il vecchio mondo sta crollando. segue a pagina 8 segue dalla prima E, anche se non conosciamo
ancora la forma che prenderà, possiamo cercare di immaginarlo seguendo le orme che troviamo sul terreno.
Credito non bancario. L'anno scorso abbiamo visto l'introduzione dei mini bond per le piccole e medie
imprese, un modo per bypassare il credito bancario e trovare i fondi necessari allo sviluppo. E il direct lending
, i prestiti diretti, da parte delle assicurazioni, un vecchio istituto che era caduto in disuso e che ora è stato
rivitalizzato. Infine, persino i credit fund , fondi che fanno finanziamenti, materia fino a quel momento
rigorosamente riservata alle banche sulla base del testo unico. Il decreto legge sulle popolari . Ma all'inizio del
2015 abbiamo visto altre novità, ancora più rilevanti. L'anno è cominciato con uno scoppiettante decreto
legge che obbliga le dieci principali popolari - quotate e non - con attivi oltre gli 8 miliardi, a trasformarsi in
Spa divenendo quindi più contendibili rispetto alla regola una testa-un voto vigente nel settore cooperativo.
Un fulmine a ciel sereno per una categoria che è riuscita per anni a sabotare nel segreto delle commissioni
parlamentari ogni proposito di pur minima riforma e che ancora adesso sta lottando per ridurne l'impatto
introducendo ad esempio un limite al possesso azionario del 5 per cento, simile a quello già vigente in
Unicredit. Le banche di credito cooperativo. A stretto giro di posta è arrivato anche il processo di autoriforma
delle banche di credito cooperativo. Qui si va verso un polo centrale federativo, partecipato da tutte le Bcc,
che si farebbe carico di risolvere il problema di eventuali aumenti di capitale necessari. Il modello ideale, ma
al momento difficilmente ripetibile sul suolo italiano, sarebbe quello del Credit Agricole: questa banca è in
effetti una confederazione di federazioni di banche di credito cooperativo ma nel corso del tempo ha
sviluppato un brand così forte da essere percepita all'esterno come una grande banca. L'autoriforma delle
Fondazioni Proprio nei giorni scorsi è arrivato il protocollo d'intesa tra l'Acri, associazione delle fondazioni e il
ministero dell'Economia per un processo di autoriforma che dovrebbe essere graduale e durare alcuni anni. Il
principale fine da raggiungere è quello di ridurre il peso di una singola azienda bancaria sul patrimonio delle
fondazioni. Il limite previsto sarà di un terzo dell'attivo patrimoniale, e a essere colpiti saranno soprattutto la
Compagnia di San Paolo (su Intesa Sp) e Cariverona (su Unicredit). Tra le novità più rilevanti dell'accordo
con il governo anche l'impossibilità di indebitarsi, salvo limitate esigenze temporanee: è chiaro qui il
riferimento indiretto alle fondazioni Mps e Carige che per partecipare agli aumenti di capitale della propria
banca di riferimento hanno finito con il bruciare la maggior parte del proprio patrimonio, che dovrebbe invece
essere appannaggio della comunità locale. La bad bank Da mesi si parla della possibilità di cedere a una bad
bank la montagna di sofferenze delle banche (circa 185,5 miliardi a fine gennaio) che oggi frena il credito. Il
governo pensa adesso a una soluzione "leggera" - che sia accettabile per la Commissione europea, poco
incline ad aprire la strada a nuovi aiuti di Stato per varare in tempi rapidi un intervento che faciliti lo sblocco,
per questa via, di nuovi finanziamenti per l'economia. La Exim Bank Nelle scorse settimane era stata
introdotta per decreto legge la possibilità, per la Sace, che da tempo la reclamava, di ottenere una licenza
bancaria per creare un istituto creditizio in appoggio alle esportazioni italiane. In sede di conversione del
decreto - evidentemente nato nelle stanze della presidenza del Consiglio hanno però pesato le
argomentazioni sia della Cdp che della Banca d'Italia. La Cdp, sotto il cui controllo è posta la Sace, tramite il
suo presidente Franco Bassanini, ha reclamato in un'audizione in Parlamento l'eventuale decisione in merito
alla creazione di un istituto di credito, non necessariamente dentro la Sace. La Banca d'Italia ha invece fatto
vedere che il testo de decreto era scritto in modo tale da obbligarla a rifiutare l'autorizzazione, ai sensi del
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 163
testo unico bancario. Piccole crepe, poi corrette, che però non impediscono di vedere che il percorso verso
un complessivo ridisegno del credito in Italia è sposato dal governo Renzi e condiviso nella sua sostanza
anche dalla Banca d'Italia. E si tratta certo di un programma ambizioso, che non ha preso la strada di una
sola grande riforma ma di tanti piccoli ma successivi step, di cui il più maggiore è certamente la
trasformazione in Spa delle grandi popolari. Ma qual è il fil rouge che lega questo percorso di rinnovamento
dell'intero settore e, soprattutto, da dove viene l'input del cambiamento e qual è il suo approdo finale? Le
mosse del governo, dirette o indirette, rispondono ad almeno tre esigenze: «La prima è fornire più credito alle
imprese e rilanciare l'economia - spiega Fabrizio Pagani, capo delle segreteria tecnica del ministro
dell'Economia -. La seconda è quella di rispettare le indicazioni della vigilanza europea in funzione
dell'Unione bancaria. La terza, ma non ultima, deriva dalla necessità di trovare un altro assetto di sistema
dopo gli anni di crisi, rendendo più solide le banche». Non c'è dubbio che questa volta il "ce lo chiede
l'Europa", in questo caso la Bce, sia vero. E che il governo agisca in accordo, a grandi linee, con la Banca
d'Italia per portarlo avanti. Volendo risalire all'indietro, ancor prima della vigilanza europea, c'è stato un
risveglio dei regolatori in tutto il mondo, dal G20 in giù, dopo la crisi globale. Un'attenzione crescente è stata
posta sulla solidità delle banche e sulla robustezza del loro capitale e l'asticella è stata continuamente
spostata verso l'alto. Il timore dei regolatori, anche italiani, soprattutto per le popolari e per le banche di
credito cooperativo, è che - in presenza di nuove crisi - molte di queste non sarebbero state più in grado di
fronteggiare l'esigenza di ulteriori aumenti di capitale. Da qui l'apertura del capitale a soci, come i fondi, che
sono già presenti nel loro capitale (con una media del 20 per cento) ma che potrebbero essere indotti a fare
maggiori investimenti se potessero contare su una maggiore partecipazione al controllo. Ma non si tratta
soltanto di un'imposizione formale, cervellotica, di regole più stringenti a chi fa credito. I regolatori, anche
quelli italiani, non sottovalutano il ruolo dei mercati, che in questi anni si sono abituati ad attendersi dagli
istituti bancari prove di grande solidità patrimoniale e che non vedono bene chi non può fornirle. Una
maggiore solidità è richiesta anche in vista delle nuove regole europee sulla "risoluzione" delle crisi bancarie:
in futuro non si potrà più pensare al salvataggio pubblico di un'azienda bancaria in crisi se prima non avranno
pagato di persona gli azionisti e soltanto dopo che si sarà passati per il "purgatorio" di un piano di
ristrutturazione. FONTE UBS, S. DI MEO, BNP PARIBAS, CREDIT AGRICOLE SA, SOCIATA GENERALE,
DEUTSCHE BANK, INTESA SANPAOLO, UNIONE BANCHE IT., BANCO POPOLARE, MEDIOBANCA,
MPS, UNICREDIT, DANSKE BANK, SWEDBANK, NORDEA, BBVA, SANTANDER, CREDIT SUISSE
GROUP, LLOYD BANKING GROUP, RBS GROUP, HSBC,
Foto: La nuova sede della Bce a Francoforte, inaugurata la settimana scorsa non senza proteste e scontri
con i dimostranti anti-austerity [ I PROTAGONISTI ] Qui sopra, il presidente della Bce, Mario Draghi (1) e il
Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco (2)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 164
Intervista Starace: "L'Enel crescerà ancora" Marco Panara Enel è un gruppo complesso. Le utility giapponesi, coreane e cinesi sono molto grandi ma anche molto
domestiche, quelle americane sono più piccole, le europee sono le più internazionalizzate, ma l'unica che per
numero di mercati è paragonabile a Enel è Gdf Suez. Essere su tanti mercati con tante tecnologie diverse
nella produzione (per l'Enel praticamente tutte, dal nucleare al geotermico) e nella distribuzione, vuol dire
essere un gruppo particolarmente complesso. Francesco Starace, da un anno numero uno del gruppo, ritiene
che questa complessità sia un fattore di forza su cui puntare. «I consulenti spingono per la specializzazione, il
che se per molti settori è giusto per il nostro è letale. Dobbiamo anzi diversificare mercati e tecnologie perché
ci rende più immuni dai rischi e aumenta la creazione di valore». segue a pagina 4 con un articolo di Luca
Pagni Segue dalla Prima «Eallora noi innanzitutto ci concentriamo per estrarre valore da tutte le attività che
abbiamo accumulato e non ancora valorizzato appieno e subito dopo cominciamo a investire sulla crescita
geografica e tecnologica». Il paradosso (apparente) di Starace è che a suo parere il modo di affrontare la
complessità è renderne semplice la gestione. Ovvero definire organizzazione e linee strategiche in modo tale
che le scelte ne derivino quasi automaticamente. La costruzione di questi pilastri è avvenuta con due
passaggi, il primo nell'estate scorsa che ha ridefinito l'organizzazione del gruppo e il secondo con la
presentazione del piano industriale avvenuta giovedì a Londra. «L'Enel è diventata una grande
multinazionale per accumulazione, con le tante importanti acquisizioni estere fatte negli anni scorsi. Ora lo è
anche nel modello organizzativo». C'è molto del nuovo amministratore delegato in questa evoluzione.
Starace si è formato soprattutto in Abb, multinazionale svizzero-svedese il cui capo negli anni '90, Percy
Barnevik, è stato l'inventore dell'organizzazione a matrice, secondo la quale un gruppo multinazionale è
organizzato verticalmente per linee di business e orizzontalmente per geografia. Un modello adottato oggi da
gran parte delle multinazionali e che Starace ha già sperimentato con successo nella sua esperienza al
vertice di Enel Green Power. Nell'organizzazione a matrice qual è la divisione dei compiti? «Noi abbiamo
cinque linee di business: generazione globale, energie rinnovabili, infrastrutture e reti, trading globale,
upstream del gas. Il compito di chi le guida è di occuparsi delle "macchine", dell'efficienza degli impianti, della
diffusione delle migliori pratiche, della scelta degli investimenti, dove e cosa, e della realizzazione degli
investimenti. Tutte queste attività sono distribuite in quattro aree principali: Italia, Iberia, America Latina ed
Est Europa, e i vertici di ciascuna area hanno la responsabilità del mercato, degli affari istituzionali e
regolatori e di tutte le funzioni di supporto. E' loro compito massimizzare i ricavi, minimizzare i costi operativi e
assicurare i flussi di cassa». Alla holding cosa resta? «Tipicamente amministrazione, finanza e controllo,
personale e organizzazione, comunicazione corporate , legale, affari europei e audit . In più abbiamo creato
una nuova direzione che si occupa di innovazione». Ma l'innovazione non è affare di chi gestisce i business?
«Ci sono due tipi di innovazione, quella in continuità, che vuol dire applicare a tutte le attività che facciamo le
tecnologie più avanzate ed efficienti. Poi c'è l'innovazione in discontinuità, ovvero quelle trasformazioni
profonde che quando arrivano cambiano i modelli di business». Mi fa qualche esempio? «Nel nostro settore
un impatto enorme avrà l'utilizzo diffuso dell'energia elettrica per la mobilità. E' un mercato che oggi non c'è
ma che diventerà importantissimo nei prossimi anni. Un altro esempio è l'Internet delle cose, che trasformerà
radicalmente il mercato dei consumi energetici». Che effetto ha avuto la nuova organizzazione sulla prima
linea di manager? «Tranne tre persone che hanno conservato la posizione che avevano, tutte le altre sono
cambiate. Cinque manager sono usciti dal gruppo, pochissime sono state le immissioni dall'esterno, per il
resto c'è stata rotazione in alcune posizioni e la crescita di manager interni per tutte le altre». Subito dopo la
riorganizzazione c'è stata la separazione delle attività spagnole da quelle in America Latina. C'è una
connessione? «Sì. La decisione è un effetto diretto del nuovo modello organizzativo, che impone una logica.
Ci ha fatto capire che l'America Latina da una parte e Spagna e Portogallo dall'altra seguivano traiettorie
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 165
diverse. In America Latina c'è ancora carenza di energia e di reti e c'è una crescita demografica vivace. Lì
insomma si deve crescere quantitativamente. Nella penisola Iberica invece come nel resto dell'Europa
Occidentale la domanda è statica e deve crescere la qualità più che la quantità. C'è un lavoro da fare sulle
tecnologie e sulla riduzione dei costi e si devono fare i conti con la regolazione europea. Sono problematiche
diverse che richiedono strategie e management diversi. Queste valutazioni ci hanno portato a decidere la
separazione delle attività e a valutare cosa fare del 92 per cento di Endesa: è una percentuale che non ha
molto senso, o si ha il cento per cento oppure si rilancia sul mercato una grande impresa spagnola. E' questa
la scelta che abbiamo fatto e che il mercato ha apprezzato». Cosa cambierà per l'America Latina? «Abbiamo
avviato una riorganizzazione di Enersis (che controlla tutte le attività in quell'area, ndr ) che è di notevole
complessità. Sotto la capogruppo ci sono 80 società interconnesse, alcune delle quali quotate. Abbiamo
incontrato gli azionisti di minoranza e siamo tutti d'accordo che una riorganizzazione è opportuna, ora
aspettano da noi una proposta che arriverà tra poche settimane». Quali altri effetti ha avuto la nuova
organizzazione sulle vostre scelte? «Ci ha spinto per esempio a rivedere le decisioni su che cosa vendere e
cosa no. Era stato fissato un obiettivo di riduzione del debito da raggiungere anche con alcune cessioni, e tra
queste c'erano le attività rumene e quelle slovacche. Avendo scelto di aumentare il flottante di Endesa
riducendo la nostra quota, abbiamo potuto decidere di non procedere con la cessione delle attività in
Romania». Perché non quella delle attività in Slovacchia? «Qui entrano in azione le linee strategiche del
piano industriale. Una di queste dice che noi punteremo sulle attività che hanno un ritorno certo nel lungo
periodo e quindi regolate, come nel caso delle reti, oppure, nella generazione, assistite da contratti di vendita
a lungo termine. In Romania gestiamo il 33% della distribuzione, attività coerente con le linee strategiche, in
Slovacchia invece siamo i primi nella generazione ma la nostra produzione non è legata a contratti di vendita
a lungo termine». Quindi una delle linee strategiche del piano industriale è la riduzione del rischio di mercato.
Oltre alla cessione della Slovacchia cosa ne deriva? «Una fondamentale indicazione sugli investimenti che
andremo a fare, che saranno esclusivamente in attività con ritorni certi per un periodo lungo. Il che vuol dire
essenzialmente reti perché sono regolate, rinnovabili perché sono legate a contratti e generazione
tradizionale dove ci siano queste condizioni». Rimanendo sulla crescita, quali sono le altre linee strategiche
che seguirete? «Se il primo peccato capitale da evitare è investire in produzione senza aver venduto il
prodotto, il secondo è il gigantismo degli investimenti. I grandi schemi sono diventati sempre più difficili da
realizzare in tempi accettabili e quindi noi punteremo su operazioni di scala meno imponente. Non faremo più
investimenti colossali in gigant e s c h e c e n t r a l i idroelettriche o nucleari o a carbone, faremo invece un
numero più elevato di investimenti medi o anche piccoli, il che aumenta la complessità della gestione ma ci ri
paga con una maggiore flessibilità e una più ampia possibilità di scelta». Chiarito in che cosa investire si
tratta ora di stabilire dove. In Spagna per esempio non avete mostrato interesse per le attività che eOn ha
messo in vendita. «Ci saranno altre opportunità, la regolazione spinge per un consolidamento e guarderemo
con attenzione le opportunità che si creeranno. Ma per la Spagna come per l'Italia e il resto d'Europa ci sono
una serie di fattori dei quali tenere conto. Il primo è che il continente ha capacità di generazione in eccesso e
infrastrutture di distribuzione mature. In più la demografia non cresce. Quello che possiamo aspettarci più che
un aumento della domanda di energia sono processi di sostituzione, con l'energia elettrica che sostituirà altri
tipi di energia e, nella produzione dell'energia elettrica, rinnovabili e gas che sostituiranno nel tempo altri tipi
di generazione. In questo contesto perché ripartano gli investimenti nella generazione è necessario che si
crei un mercato dell'energia a lungo termine, il che richiede un cambiamento delle politiche regolatorie fin qui
adottate. Intanto c'è molto da fare sull'altro fronte, quello delle reti, dove una maggiore armonia regolatoria
aiuterebbe, ma nelle quali c'è comunque un grande spazio di avanzamento tecnologico con la
digitalizzazione dei sistemi e le reti intelligenti. A questo noi dedicheremo risorse importanti». In Europa
quindi efficienza e digitalizzazione. In America Latina più generazione e più reti. In Cina avete fatto un paio di
accordi, sono la premessa per entrare in quel mercato? «Abbiamo fatto un accordo con la Zte per
approfondire insieme le possibili evoluzioni tecnologiche, e un accordo con la Bank of China che ci ha aperto
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una importante linea di credito non vincolata a investimenti in Cina, dove peraltro non pensiamo di investire.
Guardiamo invece con attenzione ad altri paesi asiatici: Indonesia, Malesia, Filippine, India, Medio Oriente».
E l'Africa? «Il continente si è svegliato e noi siamo interessati a partecipare al suo sviluppo, la nostra
attenzione è per il Sud Africa, l'Africa Orientale, l'Egitto e il Marocco. Di investimenti significativi fuori
dall'attuale perimetro però cominceremo a parlare tra due anni, la prima fase del piano è orientata alla
creazione di valore nelle aree dove siamo presenti, poi si passerà al resto». Dopo le vendite già annunciate
delle attività slovacche, di quote di minoranza delle attività negli Stati Uniti e di altre partecipazioni per circa
due miliardi, lei ha annunciato cessioni già individuate per altri due miliardi e da individuare per un ulteriore
miliardo. L'obiettivo è fare cassa o di altra natura? «Alcune cessioni come abbiamo già visto sono legate agli
obiettivi strategici che ci siamo dati, per esempio la riduzione del rischio di mercato, altre possono dare
maggiore coerenza alla struttura dei nostri business. Ma abbiamo fissato anche un nuovo orientamento di
fondo: nel nostro settore in genere si cede qualcosa perché c'è da ridurre il debito o per qualche altra
emergenza, invece una certa rotazione delle attività deve essere fisiologica. Quindi ne abbiamo fatto una
policy, ci sarà un ciclo di rotazione sana del portafoglio non legato a particolari problemi ma finalizzato alla
creazione di valore. Il che avrà l'effetto positivo di tenere in tensione il gruppo, perché nessuna posizione sarà
garantita per sempre». Il punto debole di Enel è il debito, che avete ridotto più delle aspettative a 38 miliardi
(dagli oltre 44 di fine 2013) ma che resta assai rilevante. Quale sarà la vostra politica nei prossimi anni? «Il
nostro debito è prevalentemente rappresentato da obbligazioni, la riduzione va quindi pianificata tenendo
conto delle scadenze. Ridurremo più rapidamente l'indebitamento lordo, di circa dieci miliardi nel periodo del
piano attraverso un utilizzo più efficiente del capitale operativo». Ma qual è la misura ottimale del debito
netto? «Quella attuale, pari a 2,5 volta l'ebitda è già equilibrata. In realtà più che la dimensione del debito
quello che conta è la sua sostenibilità nel tempo, e il nostro impegno sarà far capire ai mercati quali sono le
realistiche prospettive di crescita dell'ebitda del gruppo. Vedrà che tra qualche tempo qualcuno comincerà a
dire che abbiamo un debito troppo basso». ENEL, EDF, E.ON, IBERDROLA, GDF SUEZ, S. DI MEO,
Foto: Patrizia Grieco (1), presidente dell' Enel ; Guido Bortoni (2), presidente dell'Authority per l'elettricità;
Borja Prado (3), a capo di Endesa , la partecipata spagnola del gruppo; nella foto grande a destra, l'ad
Francesco Starace
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Intervista Telecom, Patuano accelera "Banda larga senza stranieri" Giovanni Pons Telecom Italia vuole realizzare in prima persona il Piano del governo per portare la banda ultralarga in tutto il
Paese. Può farlo da sola accelerando gli investimenti previsti da qui al 2020, ma preferirebbe farlo con
Metroweb avendo la maggioranza e senza coinvolgere altri operatori. Le trattative con Franco Bassanini,
presidente della Cdp, si sono riaperte: l'ad Marco Patuano spiega ad Affari & Finanza le sue strategie. alle
pagine 2 e 3 con un articolo di Stefano Carli Segue dalla Prima Dottor Patuano, il governo ha presentato il
suo Piano strategico per la diffusione della banda ultralarga nel paese che prevede obbiettivi giudicati da tutti
ambiziosi ma sfidanti. Tuttavia non è ancora chiaro chi lo realizzerà. «Il Piano del governo per lo sviluppo
della banda ultralarga è fatto bene ma si è sovrapposto alle discussioni intorno al veicolo che dovrà
realizzarlo e il tutto ha generato dei messaggi fuorvianti. Per sgombrare il campo dagli equivoci voglio
innanzitutto dire che con il piano industriale di Telecom Italia si arriva al 2020 agli stessi obbiettivi fissati dal
governo, cioè portare una connessione in fibra all'87% delle unità immobiliari. Di queste il 55% sarà collegato
con la tecnologia Fttc (fibra fino agli armadietti in strada) e il 30-35% con Ftth (fibra fino dentro gli
appartamenti)». E allora per quale motivo avete avanzato una manifestazione di interesse per entrare nel
capitale di Metroweb, la società che ha realizzato la rete in fibra a Milano? «Nelle nostre intenzioni Metroweb
fungerebbe da acceleratore, per anticipare di circa un triennio gli 1,4 miliardi di investimenti nella rete Ftth che
normalmente Telecom Italia svilupperebbe da sola dal 2018 al 2020. Inoltre attraverso Metroweb si potrebbe
realizzare la cosiddetta "equivalence of input", cioè la garanzia che tutte le richieste di allacciamento
provenienti dagli operatori verrebbero trattate alla stessa maniera, processate in una società autonoma.
Bisogna però capire che si tratta di due cose diverse che vanno trattate su due piani diversi: una cosa è il
piano industriale che stiamo realizzando. Altra cosa è l'ipotesi di acquisto di una società che opera nel settore
che può avvenire o meno, ma questo non incide sullo sviluppo della nostra rete». Ma anche Vodafone è
interessata a Metroweb e ha già firmato una lettera di intenti. Voi escludete una coabitazione all'interno dello
stesso veicolo? «Comprendo la mossa di Vodafone ma mi sento di escludere l'ipotesi della coabitazione. Non
esiste un solo caso al mondo in cui una soluzione consortile abbia funzionato. Il motivo è presto detto: per
realizzare il Piano ci vuole un operatore che svolga senza impedimenti un'attività operativa articolata e
complessa. Poi occorre un quadro regolatorio adeguato e soci finanziatori che si facciano garanti del rispetto
delle regole». Dunque anche voi avete ripreso a trattare con Metroweb ma non volete altri soci operativi e
almeno il 51% della società fin da subito. Giusto? «Il tavolo di conversazione con i due soci FSI e F2i è
aperto, abbiamo chiarito l'intenzione di realizzare un piano industriale ambizioso che dovrà comunque
ottenere il preventivo assenso da parte di tutte le authority». E per quanto riguarda il nodo del 51% fin da
subito, sul quale si erano in un primo momento interrotte le conversazioni, ritiene possa essere superato?
«Non vi è dubbio che l'operatore che partecipa a Metroweb deve avere nelle sue mani il controllo operativo
del progetto. Le modalità con cui si può arrivare a questo obbiettivo sono diverse e sono attualmente oggetto
di discussione». Nel caso non riusciste a trovare un accordo non vi è il rischio di sovrapposizioni con altri
operatori nelle aree più interessanti dal punto di vista economico? «È possibile e qualora sorgesse questo
problema spero prevalga il buon senso. A noi non mancano certo le risorse, i due miliardi raccolti settimana
scorsa con il bond convertibile possono essere anche utilizzati per accelerare gli investimenti sulla banda
ultralarga. Siamo molto flessibili sotto questo punto di vista e l'indebitamento ormai è sotto controllo». Poiché
le cifre che girano sono le più disparate, secondo i vostri calcoli quanti soldi servono per realizzare tutta la
rete di nuova generazione ipotizzata dal governo? «Se si parla delle aree A e B identificate dal Piano
governativo come quelle a maggior ritorno di mercato una modalità efficiente di copertura può essere
realizzata con 2,5-3 miliardi di euro; ovviamente questo è possibile grazie alla pianificazione di un mix di
copertura Fttc e Ftth secondo le esigenze attese della domanda. Per coprire anche le aree C (a medio bassa
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 168
densità abitativa) occorreranno degli incentivi mentre per le D (rurali), quelle a fallimento di mercato,
all'interno delle quali abita il 15% degli italiani, si può andare solo con un determinante intervento pubblico».
L'obbiettivo finale del 35 o addirittura 45% di rete in fibra a 100 Megabit al secondo nel 2020 quindi è
raggiungibile? «É raggiungibile anche se la sola domanda di ultra-internet fisso potrebbe non essere del tutto
sufficiente a coprire i costi. Ma ciò non ci spaventa perché con il progredire della tecnologia le reti non
saranno più definibili nettamente tra fissa e mobile. In futuro la rete a banda larga servirà anche a sviluppare
la rete mobile di 5° generazione che utilizzerà antenne più piccole per coprire zone più concentrate con
altissima capacità sia mobile che wi-fi. Dunque una diffusione della fibra molto capillare può diventare un
vantaggio nel medio periodo». A proposito di torri, le avete scorporate e volete procedere spediti verso la
quotazione entro l'estate. Sinergie con le torri televisive? «La quotazione è ormai deciso che venga realizzata
entro l'estate. Con la diffusione della rete mobile 4G poseremo altre 4-5 mila antenne che andranno a
integrare quelle già esistenti e ad aumentare il valore della società. Non vedo sinergie significative con le torri
televisive, anche perché queste generano un campo elettromagnetico molto più elevato rispetto a quelle
telefoniche». Dal fronte governativo sono emersi a più riprese timori per le difficoltà a mantenere in Telecom
un azionariato con un'importante presenza italiana. E questo fatto potrebbe rappresentare un problema
anche per il futuro della rete di nuova generazione. «Telecom Italia è una public company, già oggi i principali
azionisti sono i fondi internazionali. Stiamo dimostrando con i fatti che gli investimenti li stiamo facendo, e in
maniera significativa. Per la rete di nuova generazione la soluzione sono regole e governance chiare fin da
subito». È un fatto che entro giugno, con la conclusione dell'operazione Telefonica-Gvt, il gruppo francese
Vivendi riceverà azioni Telecom Italia pari all'8,3% dei diritti di voto e diventerà il vostro primo socio. Sicuro
che non cambi proprio nulla al vostro interno? «Avremo un azionista all'8% che per una public company non
è poco, quindi Vivendi sarà un azionista molto importante. Con Vincent Bollorè, presidente e azionista di
Vivendi, avevamo avuto discussioni molto interessanti sotto il profilo industriale quando stavamo preparando
un'offerta per Gvt. Le sinergie che potranno essere sviluppate dipenderanno da quale sarà la futura strategia
industriale di Vivendi, partendo dal fatto che oggi è un gruppo presente nel mercato della Tv con Canal Plus e
della musica con Universal». A proposito di Tv, quando partirete con la commercializzazione dell'offerta
congiunta con Sky, che porterà la pay tv nelle case via banda larga? «La partenza è prevista per dopo
Pasqua». Conferma che state lavorando a un accordo simile anche con Mediaset Premium e con Netflix? «In
Italia non esiste la Tv via cavo, dunque sarà la fibra a portarla nelle case della gente. È il cliente che guida la
domanda, sarà lui a decidere se vorrà vedere Sky, Mediaset Premium o eventualmente Netflix o altri servizi
che cercheremo di aggiungere al nostro bouquet». Dica la verità, c'è qualcuno che spinge per fare una
fusione con tutto il gruppo Mediaset? «Nessuno ha mai fatto pressioni per promuovere operazioni non di
mercato. E poi la nostra strategia è chiara, siamo trasportatori di contenuti di altri». Altri gruppi come
Telefonica hanno invece comprato società televisive, Vodafone ha esaminato l'opzione Liberty e qualcuno
dice che stanno parlando con Sky. British Telecom è entrata nel mobile e produce contenuti televisivi. Chi
vincerà? «Sono chiaramente strategie differenti, ma il giudizio di merito varia da mercato a mercato.
L'integrazione TV Tlc o la partnership possono essere entrambe vincenti a seconda dei mercati». Tra gli
operatori tlc sembra sia partito il tanto atteso consolidamento europeo. Chi ha in mano le carte giuste? «Le
compagnie telefoniche più piccole dovrebbero accorparsi tra di loro, mentre vedo più difficile un matrimonio
tra big del settore. Qualcosa comunque accadrà. Bt ha comprato l'operatore mobile EE che era di proprietà di
Orange e Deutsche Telekom. La prima in cambio della propria quota ha preso per la maggior parte cash, i
tedeschi invece si sono fatti pagare interamente in azioni. Per motivi diversi entrambi potrebbero voler
giocare la partita del consolidamento. Meno probabile lo faccia invece Telefonica, che è presente in Spagna e
Sudamerica, è appena entrata in Germania ma ha venduto Irlanda, Repubblica Ceca, Gran Bretagna e
Italia». Voi avete sempre l'incognita Brasile, un paese dove pensate di crescere ancora molto e dove sono
ancora possibili operazioni straordinarie. La fusione con Oi è ancora d'attualità? «Operazioni di grande
rilevanza non possono essere fatte se non nella chiarezza di governance con la controparte. Abbiamo
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 169
bisogno che le condizioni siano quelle giuste e al momento non sembrano esserci. Abbiamo più volte
dimostrato che siamo un gruppo manageriale prudente nelle nostre scelte strategiche». Se non altro grazie al
Brasile avete ottenuto chiarezza nel vostro azionariato. Facendo un'offerta per Gvt avete costretto Telefonica
a scegliere tra voi e il consolidamento brasiliano. «In effetti quella su Gvt era una situazione "win-win" per noi.
Se andava in porto avremmo creato il primo operatore integrato brasiliano, in caso contrario Telefonica
avrebbe dovuto scegliere». Sicuro che non vi serve un aumento di capitale? Il debito è ancora alto e in
bilancio c'è ancora tanto avviamento. «Dopo un bond convertendo da 1,3 miliardi e altri 2 miliardi di bond
convertibile al tasso dell'1,125 la situazione patrimoniale è stata messa in sicurezza. Per quanto riguarda gli
avviamenti la situazione economica prospettica sta migliorando e dunque si riduce la possibilità di nuove
svalutazioni che derivino dalle condizioni di business. Il gruppo sta lavorando bene: nel 2013 la
capitalizzazione di Telecom Italia era di 11,5 miliardi, oggi supera i 20 miliardi». S. DI MEO, FONTE OCSE,
Foto: Nei grafici qui sopra, la crescita dei nuovi abbonati a banda larga di Telecom Italia nel mobile, dove
cresce la componente Lte e nella fibra ottica Nelle foto qui sopra, l'ad di Fsi Maurizio Tamagnini (1) l'ad di F2i
Renato Ravanelli (2) il presidente di Vivendi Vincent Bollorè (3)
Foto: Nella foto, l'amministratore delegato di Telecom Italia Marco Patuano : "Non vedo sinergie significative
tra le torri per la telefonia mobile e quelle delle tv", ha dichiarato Nel grafico qui sopra, il gap italiano in Europa
sulla banda larga: siamo in fondo alla classifica per tasso di penetrazione
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 170
[ IL PERSONAGGIO ] Jacques Granjon "L'outlet a casa con Vente-Privee" Anais Ginori a pagina 6 Jacques Granjon "L'outlet a casa con Vente-Privee" Saint-Denis Èil più grande outlet d'Europa.
Ogni giorno 3,5 milioni di persone entrano nel sito VentePrivee a caccia di prodotti di marca venduti
sottocosto. Non sono semplici clienti ma "soci" che in base alla loro iscrizione ricevono vantaggi e offerte.
Tutto nasce a Saint-Denis, periferia nord di Parigi, dove fino a vent'anni fa c'era la tipografia del prestigioso
giornale Le Monde . Ora al posto delle rotative ci sono uffici e opere d'arte. Il fondatore e presidente di Vente-
Privee, Jacques-Antoine Granjon, è un assiduo collezionista. Sulle porte delle stanze, sono scritti i nomi dei
vari artisti esposti nella sede, da David Lachapelle a Erwin Olaf e Jill Greenberg. "Diciamo che ho una
predilezione per le cose belle", dice Granjon, che davanti al suo ufficio ha un carrello dorato che ruota su un
piedistallo firmato dall'artista Sylvie Fleury. L'opera racchiude la sua filosofia di marketing. "Quando entrano
sul sito, i nostri clienti hanno l'impressione di trovarsi in uno spazio esclusivo, personalizzato". Vente-Privee
non accetta banner o pubblicità di altri marchi. Tutto è studiato per mettere in risalto le vendite del momento,
che di solito durano pochi giorni. Nonostante lo stile da rocker, con capelli lunghi e catenine al collo, Granjon,
54 anni, è cresciuto da figlio della borghesia nel sedicesimo arrondissement , quartiere chic di Parigi. Ma è un
ribelle. Presto rifiuta di mettersi sui binari che formano le élite del paese: fallisce il concorso per entrare a
SciencesPo, preferisce trascorrere le notti nelle discoteche, e si butta a fare un mestiere non particolarmente
intellettuale: il destoccaggio. Un'attività che lui reinventa completamente. Insieme ad altri soci ha infatti l'idea
di creare un club privato online: nel 2001 viene così fondato VentePrivee e nel 2004, con la diffusione della
banda larga in Francia, il sito comincia davvero a funzionare. Granjon trasferisce su Internet la sua
esperienza come grossista nella gestione di fine serie per le grandi marche facendo leva su un duplice
concetto: l'evento e l'esclusività. Come molti nel settore, sa bene che uno dei problemi dei marchi è smaltire i
propri stock, proteggendo l'immagine e la rete di distribuzione tradizionale. "E' un compito delicato perché, se
fatto in modo sbagliato con una politica commerciale troppo al ribasso - spiega - può danneggiare il marchio e
il lancio di nuovi prodotti". Convincere i brand a "svendere" i loro stock in una vetrina online all'inizio non è
stato facile, racconta Granjon. Vente-Privee ha potuto fare leva su una forte competenza digitale, visto il suo
ruolo da pioniere nell'e-commerce in Francia. Il cuore del sito è la digital factory all'interno del palazzo di
Saint-Denis. Un centro di produzione audiovisiva di 3.800 metri quadrati, con 60 studi fotografici e video,
cinque studi di registrazioni. E' da qui che ogni giorno escono 15mila fotografie per i cataloghi e ogni mese
vengono incise 60 colonne sonore per la promozione delle vendite. "Adottiamo i codici del lusso - racconta
Granjon - come l'estrema cura dei materiali promozionali, il rapporto one to one, la qualità del servizio". Le
condizioni per i marchi sono sempre le stesse: le vendite sono limitate (al massimo 2 o 3 per marca ogni
anno), la durata dell'operazione è limitata - in media da 3 a 5 giorni - e l'accesso viene riservato ai soli
membri del sito. Tre o cinque giorni nei quali un socio può comprare di tutto e "cambiare il suo aspetto e la
sua vita". Nella collaborazione con le aziende, Vente-Privee può anche garantire un circuito chiuso, in cui i
brand possono controllare i clienti finali, ricevendo anche commenti e informazioni sull'acquisto. "Per
paradosso, iniziamo il lavoro al capolinea del percorso commerciale di un prodotto. E siamo noi a dovergli in
qualche modo dare una seconda chance". I rapporti si invertono: è l'offerta che crea la domanda. L'azienda
compra stock di invenduti di oltre 2600 brand e vi costruisce sopra il proprio margine operativo. Ormai nel
grande outlet di VentePrivee non c'è più solo moda, ma anche arredamento, gastronomia, elettronica,
gioielleria, prodotti culturali, viaggi, intrattenimento. L'estate scorsa, sono state vendute persino delle
automobili con il meccanismo del "club privato". Il sito ormai conta su 24 milioni di membri in otto paesi
d'Europa, di cui 2 milioni iscritti solo in Italia. La clientela è a maggioranza femminile: non a caso il logo di
Vente-Privee è di un fiammante rosa shocking. "Lavoriamo sul desiderio, la frustrazione, la curiosità e anche
una certa dipendenza". Molti soci, ricorda Granjon, cliccando su Vente-Privée si ritrovano a comprare oggetti
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 171
di cui non hanno davvero bisogno o il cui l'acquisto non era pianificato. "E' un modello basato sulla fiducia.
Fiducia nello sconto e nel prodotto" conclude il presidente Granjon. Nonostante l'espansione all'estero,
Vente-Privée resta saldamente radicata in Francia, dove può contare su 15 milioni di soci, e solo il 20% del
fatturato è fatto all'estero. "In Italia c'è ancora un ritardo sull'e-commerce e sulla logistica che accompagna la
vendita online. Ma sono sicuro che ci sarà presto uno sviluppo importante, con nuove opportunità". Nel nostro
paese, dove Vente-Privee è stata lanciata nel 2008, resiste ancora il modello degli outlet veri e propri,
stabilimenti fuori città, spesso un po' nascosti. "E' difficile convincere alcuni brand italiani che, esponendosi
sul nostro sito, non danneggiano la loro immagine e la loro rete di distribuzione" nota Granjon. Con un
fatturato di 1,7 miliardi nel 2014 e 2.100 dipendenti, Vente-Privée organizza anche tutta la spedizione dei
prodotti. Ogni giorno escono 150mila pacchi dai suoi centri logistici. Vicino allo Stade de France è in
costruzione un nuovo palazzo progettato dallo studio Wilmotte: sulla facciata apparirà un'opera dell'artista
italiano Pucci de Rossi, mentre a Beaune, nel centro della Borgogna, è stato acquistato un magazzino di
10mila metri quadrati tutto dedicato al vino. Dal 2006, quando si è lanciata nel settore enologico, Vente-
Privée ha conquistato la leadership del vendita online di vino in Francia e anche in Italia il settore sta
crescendo notevolmente. Il sito ovviamente deve stare al passo con l'acquisto via smartphone, tavolette, in
un continuo adattamento all'evoluzione dell'e-commerce. "Siamo sempre sulla frontiera della mutazione. E'
un po' stressante ma amo il mio lavoro". Granjon è diventato uno dei personaggi più noti della new economy
francese. L'anno scorso François Hollande è venuto a visitare gli uffici di Saint-Denis, esempio di impresa di
successo che assume in una banlieue in crisi e un Paese dove la disoccupazione continua a crescere. Il
presidente di Vente-Privee ha ricordato al leader socialista la necessità di armonizzare il sistema fiscale
europeo. Le startup francesi, spiega, subiscono la concorrenza sleale di società straniere che non hanno gli
stessi pesi fiscali. "Ma non sono abituato a lamentarmi", precisa Granjon, che non pensa a uno sbarco negli
Usa. "Troppo forte la tradizione dei mall, degli outlet: non c'è spazio per il nostro modello". E' anche un
convinto europeista, ricordando che siamo al centro di "un mercato di 500 milioni di persone, con uno stile e
una qualità di vita unici". Granjon è la prova che la Francia non va così male, e che comunque ha ancora
nuove storie imprenditoriali da raccontare. "Rispetto ad altri paesi, la Francia ha grandi professionalità,
infrastrutture, savoir faire. C'è un enorme potenziale da liberare grazie a un modello meno statalista". A
Granjon non dispiacerebbe un Jobs Act alla francese. "Purtroppo non ne vedo ancora le premesse". Il mondo
cambia, non tutti se ne sono accorti. S. DI MEO
Foto: Jacques-Antoine Granjon , fondatore del sito VentePrivee, visto da Dariush Radpour
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LA RIFORMA DIMENTICATA SULLE CENTRALI DEGLI APPALTI Federico Fubini Vorrà pur dire qualcosa se nella classifica sulla corruzione percepita, l'Italia è penultima con la Grecia
nell'Ocse. Vorrà pur dire qualcosa se la dinamica della sua economia negli ultimi dieci anni nel frattempo è
stata la più debole dopo la Grecia. È appena il caso di ricordare ciò che è sotto gli occhi di tutti: un Paese
segnato in modo endemico da tangenti, burocrati deviati e accordi sottobanco non cresce per il semplice fatto
che vincono spesso i progetti sbagliati per le ragioni sbagliate. La corruzione è il modo più efficiente di
dilapidare risorse certo non infinite come il talento, il capitale e l'energia degli italiani. Ovviamente però ci
risiamo e, a parole almeno, è di nuovo allarme. Questa volta è il caso dell'ex burocrate Ercole Incalza. Quasi
in simultanea è anche quello delle figure di vertice della Ragioneria dello Stato coinvolte nel (sospetto)
riciclaggio di denaro del patron del Parma Calcio. Prima ancora sono venuti il vicepresidente di Confindustria
per la legalità Antonello Montante, dimessosi per le accuse dei pentiti di mafia; il presidente della Camera di
Commercio di Palermo Roberto Helg, paladino dell'anticorruzione, preso con una tangente da 100mila euro;
e casi ancora più pervasivi come Mafia Capitale, l'Expo di Milano, il Mose di Venezia. Per tutti vale
naturalmente la presunzione di innocenza, eppure gli indizi di cronaca dicono qualcosa di più: la corruzione è
una questione etica, certo, ma anche un problema strutturale. Un governo che vuole combatterla deve agire
su questo secondo livello, anziché condannare e affidarsi a reazioni insufficienti o emotive. Un anno fa, nel
clamore del caso Expo, il bravissimo Raffaele Cantone fu messo in gran fretta a capo dell'Autorità
anticorruzione. Ora si lascia intendere che potrebbe lasciarla per diventare ministro delle Infrastrutture, come
se ancora una volta bastasse spostare un volto credibile nel punto più caldo. Non è così: se un pensionato
come Incalza è arrivato a dettare legge, significa che l'intera struttura dell'amministrazione è debole e da
rivedere. La stessa idea di aumentare le pene per la malversazione non basta, perché il problema è a monte.
Ed è qui che, per assenza di metodo, si sta facendo troppo poco. È noto a esempio che gli appalti gestiti da
una miriade di enti locali sono una grande fonte di abusi. L'ex ministro Maurizio Lupi nel giugno del 2014
disse che il governo avrebbe creato poche centrali appaltanti, per dare trasparenza e ridurre le occasioni di
reati. Da allora è seguito il silenzio. Allo stesso modo, la maggioranza ha già rinviato due volte il passaggio
alle poche, grandi centrali appaltanti sulle forniture di beni e servizi e i piccoli Comuni continueranno a fase
da sé. Stesse considerazioni per le diecimila municipalizzate, su cui la pressione dell'esecutivo finora è
minima. Grandi flussi di denaro e un gran numero di piccoli e grandi cacicchi in un Paese disarticolato creano
ciò che è sotto gli occhi di tutti. La condanna non basta più. È tempo di agire.
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villaggio globale General Electric il rilancio sul petrolio la scommessa ad alto rischio Arturo Zampaglione alle pagine 12 e 13 General Electric il rilancio sul petrolio la scommessa ad alto rischio New York Asoli 41
anni, Paolo Simonelli è uno dei manager italiani di più alto profilo internazionale. Nato a Firenze, trasferitosi a
Londra quando aveva dieci anni (a seguito del padre che lavorava con la banca Imi), laureatosi in business
alla Cardiff University, Simonelli è entrato nel gruppo General Electric a 21 anni grazie a Paolo Fresco, l'ex-
vice-presidente di GE International. Da allora la sua carriera è stata rapida e brillante: adesso è chief
executive della divisione "Oil & Gas" della multinazionale e braccio destro del capo del gruppo, Jeffrey
Immelt, di cui - secondo Business Week - potrebbe essere un candidato alla successione. Ma Simonelli ha
anche un compito difficilissimo: la sua divisione, che negli anni della crisi di Wall Street permise alla GE di
evitare il peggio, controbilanciando le perdite del ramo finanziario, è alle prese con il crollo del petrolio. In
pochi mesi il greggio è passato dai 100 dollari al barile a circa 50, e i contraccolpi si sono fatti sentire su tutte
le attività collegate, a cominciare dall'industria che produce le apparecchiature per la perforazione e
l'estrazione. Gli analisti ipotizzano che il comparto ridurrà gli investimenti di 40 miliardi di dollari, taglierà
100mila posti di lavoro e procederà a un consolidamento. La Halliburton di Houston, nel Texas, che nel
passato era stata guidata dall'exvicepresidente repubblicano Dick Cheney, ha deciso di comprare per 35
miliardi di dollari i rivali della Baker Hughes nella speranza di ridurre i costi. La Schlumberg ha visto passare
in pochi mese le sue quotazioni a Wall Street da 118 dollari agli 81 della settimana scorsa. E in tutto questo
che fa la GE? "Noi consideriamo questa nuova situazione come una opportunità", dice imperterrito Paolo
Simonelli che non solo si prepara a annunciare una maxi-commessa da 850 milioni di dollari da parte della
Eni Ghana Exploration & Production per alcuni giacimenti offshore, ma vuole approfittare della situazione per
investire in nuove tecnologie, per migliorare l'efficienza produttiva e per ingrandire il business. Certo, è una
scommessa rischiosa, ma rientra perfettamente nella strategia di lungo termine delineata da Immelt e dai suoi
collaboratori. Fondata alla fine dell'Ottocento da Thomas Edison, la General Electric è sempre stato un
simbolo del capitalismo industriale americano. Ancora oggi, dopo 118 anni, il titolo fa parte dell'indice Dow
Jones L'azienda, che ha sede a Fairfield, nel Connecticut ha 300mila dipendenti, una capitalizzazione di
Borsa di 256 miliardi di dollari e produce di tutto: apparecchiature mediche e motori diesel, reattori nucleari e
tecnologie biofarmaceutiche, robot e turbine eoliche, turbine e locomotori. Gli ultimi 15 anni non sono stati
facili né per l'azienda né per Immelt: quando fu scelto per sostituire il leggendario Jack Welsh ai vertici del
gruppo, "Jeff", come viene chiamato da amici e colleghi, non pensava che ci sarebbero stati tanti traumi in
poco tempo. Quattro giorno dopo il suo insediamento, l'America subì gli attacchi dell'11 settembre, in cui
morirono un paio di dipendenti del gruppo e che costarono 700 milioni di dollari al suo ramo assicurativo. Poi
arrivò la tempesta del 2007-2008 che mandò all'aria gli sforzi che aveva fatto Welsh per entrare nel settore
finanziario e dei mutui subprime. La GE si trovò in difficoltà. Le quotazioni a Wall Street persero il 30 per
cento in dieci anni. E per risalire la china Immelt ha venduto le attività finanziarie e le industrie di
elettrodomestici, puntando sul settore industriale e in particolare sul ramo petrolifero. Adesso la divisione Oil
& Gas è la terza del gruppo, con un fatturato di 19 miliardi di dollari, che rappresenta il 12 per cento del
bilancio complessivo e il 20 per cento del business industriale (rispetto al 4 per cento di 10 anni fa). Il "cuore"
del settore Oil & Gas della GE è la Nuovo Pignone di Firenze, di cui l'anno scorso è stato festeggiato il 60mo
compleanno. Era il 1954, infatti, quando grazie all'interessamento dell'allora sindaco Giorgio La Pira, l'Eni di
Enrico Mattei rilevò la Pignone, rilanciandola e specializzandola nella produzione di macchinari per l'energia.
E nel 1994 fu la GE ad acquistarla: una integrazione che nel complesso si rivelò facile, anche perché la
Pignone aveva la licenza per le turbine a gas americane. "In questi 20 anni - ha detto Simonelli parlando alle
celebrazioni alla Stazione Leopolda - l'azienda ha intrapreso un percorso che l'ha trasformata: da fornitore di
macchinari, siamo oggi anche un interlocutore globale lungo l'intera catena del valore del settore del petrolio
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e del gas, affiancando i clienti, grazie a tecnologie e servizi estremamente avanzati, nelle sfide più importanti
del mondo dell'energia". Dei 45mila dipendenti in tutto il mondo della GE Oil & Gas, 5.700 - tra cui molti
ingegneri super-specializzati - sono in Italia: soprattutto a Firenze, ma anche a Talamona-Sondrio, Massa,
Bari Vibo Valentia e Casavatore-Napoli. Gli investimenti del 2014 in Italia sono stati pari a 165 milioni di
dollari per le attività di ricerca e sviluppo e oltre 87 milioni di dollari per opere sugli stabilimenti. Certo, tutti i
calcoli che Immelt e Simonelli avevano fatto al momento di spendere 10 miliardi di dollari per potenziare le
attività a monte del petrolio appena due anni fa, erano basati su livelli di prezzo del greggio di 100 dollari. E
ora con il barile in discesa libera? Già nel dicembre scorso la GE aveva ipotizzato per il 2015 la prima
riduzione del fatturato del settore in 5 anni (meno 5 per cento). "Saranno anni difficili", ha confermato a
Business week il responsabile finanziario del gruppo Jeff Bornstein. Ma a dispetto di tante nubi, la strategia
non cambia: GE continuerà a puntare sull'industria petrolifera, magari anche con nuove acquisizioni. L'unica
differenza è che Simonelli e i suoi collaboratori si specializzeranno sempre più nelle tecnologie per
l'estrazione sottomarina e per il controllo a distanza delle attrezzature attraverso sensori e robot. Del resto è
proprio quello che chiedono i clienti della GE Oil and Gas. "Per noi è essenziale rimanere competitivi", ha
dichiarato Eldar Saetre, chief executive della Statoil norvegese, che ha rafforzato i legami con la
multinazionale americana, soprattutto per l'acquisto di apparecchiature sottomarine sicure dal punto di vista
ambientale. "Ripeto: per noi e per tutto il comparto è una occasione per diventare più efficienti", ripete
Simonelli, che proprio grazie a questa "scommessa" potrebbe aspirare a diventare, un giorno, numero uno di
tutto il gruppo. S. DI MEO
Foto: Jeffrey Immelt (1), Ceo della Ge ; Paolo Simonelli (2), capo della divisione Oil & Gas; Jack Welsh (3),
famoso ex Ceo del gruppo
Foto: L'avvio della costruzione dell'impianto petrolifero offshore Subsea Wellheads della General Electric in
Nigeria, poche settimane fa
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 175
economia italiana Da Trenitalia, a Marcegaglia è arrivata la rivoluzione dei big data Christian Benna a pagina 21 Da Trenitalia, a Marcegaglia è arrivata la rivoluzione dei big data Milano Basta guasti improvvisi
e treni soppressi all'ultimo minuto: con Big Data a bordo i pendolari potranno tirare un sospiro di sollievo.
Perché Trenitalia, in piena corsa verso la quotazione in Borsa, sta per lanciare un piano di "digital
transformation" che promette di rivoluzionare la manutenzione del materiale rotabile, cambiare volto al
sistema di prenotazioni e favorire l'interoperabilità tra rotaia, gomma e sistema delle metropolitane. Il progetto
è ambizioso. E soprattutto va controcorrente rispetto a un Made in Italy che, pur sentendo il profumo di
ripresa, procede con il freno tirato rispetto agli investimenti in Ict. La società del gruppo Ferrovie dello Stato
ha messo in campo più di 10 milioni di euro per viaggiare secondo i principi della "predictive analytics". In
sostanza, a bordo di 9 mila treni saranno montati sensori in grado di raccogliere informazioni sullo stato di
salute delle locomotive, milioni di dati che saranno poi estrapolati, analizzati e utilizzati dal cervello di un
software "predittivo". Si tratta di uno dei primi esperimenti su rotaia di manutenzione dinamica al posto di
quella consueta a carattere preventivo. «Ogni anno spendiamo 330 milioni di euro tra ricambi e rimessa a
nuovo di pezzi a usura ripetuta - dice Enrico Grigliatti, Cfo di Trenitalia - Conoscere in anticipo il
deterioramento di ogni parte della macchina ci consente una migliore gestione di magazzino e una
manutenzione ad hoc. Tanto più che oggi il 60% dei costi di verifica dei treni è ciclico, fatto da manutenzioni
programmate, ma il restante 40% è correttivo, ovvero quando si verificano guasti imprevedibili, facendo
lievitare le spese alle stelle e infuriare i passeggeri. Ecco, Big Data ci servirà per sapere in anticipo come e
quando intervenire». I treni di nuova generazione sono già dotati di diagnostica preventiva. Su quelli regionali,
spesso datati e non sempre all'altezza di un sistema di trasporto moderno, l'innovazione permette di ridurre i
costi e diminuire i disagi senza intervenire - con investimenti molto più importanti - sul rinnovo del parco
rotabile. La svolta digital di Trenitalia riguarda anche il sistema di prenotazioni, con due royalties card (in
arrivo per maggio) per l'acquisto dei biglietti: la prima (anche di credito) è rivolta all'alta velocità la seconda (di
debito) per il trasporto regionale. «Un sistema di prenotazione digitale consentirà di conoscere meglio i nostri
clienti, e fornire loro servizi aggiuntivi. Il tema è anche quello dell'interoperabilità, già sperimentato in
Piemonte, con un biglietto unico di viaggio su più mezzi». Compito non semplice visto che in Italia ci sono 24
sistemi di tornelli differenti. Ma l'armonizzazione digitale promette risparmi e una logistica più efficiente. Big
Data promette si lustrare i conti di Trenitalia, ma soprattutto si presenta come caso scuola, in un settore dove
l'investimento e le tariffe sono condizionati dagli accordi con le Regioni, e i margini per migliorare i servizi
sono spesso molto risicati. La svolta di Trenitalia non è isolata. Lo conferma Luisa Arienti amministratore
delegato di Sap in Italia, la multinazionale dei software gestionali che punta a sviluppare il mercato della
digital transformation delle imprese. «In questi anni di crisi, ci sono state aziende, soprattutto medio-grandi,
che non solo sono cresciute ma hanno raddoppiato il fatturato grazie alla capacità di accogliere la rivoluzione
digitale. E credo che presto entreranno nella partita anche le Pmi». Negli ultimi anni, tuttavia, in Italia, gli
investimenti per l'Ict non hanno brillato. E anche per il 2015, lo stima la Digital Innovation Academy del
Politecnico di Milano, il budget a disposizione sarà ulteriormente ridotto, un po' sotto la quota del 2% del
fatturato. «Serve maggiore consapevolezza del fatto che il digitale non è soltanto una possibile opportunità di
innovazione, ma una vera necessità, un fenomeno 'disruptive' in grado di cambiare tutte le regole della
competizione. Da questo punto di vista nessuno può chiamarsi fuori», spiega afferma Mariano Corso, co-
responsabile scientifico della Digital Innovation Academy. Tra le priorità di investimento per il prossimo anno,
stando alle analisi di "The Innovation Group, c'è Big Data con il 41% delle preferenze seguito da digital e
social marketing (27%), cloud computing (27%) e mobilità 17%. «Non esistono più settori tradizionali da
contrapporre a quelli digitali - dice Corso - ogni business può essere oggetto di una trasformazione digitale.
Gli stessi prodotti fisici sono sempre più trasformati o sostituiti da servizi software». E infatti le grande
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 176
trasformazioni digitali, laddove sono in corso, spuntano nei settori della old economy che punta rinverdirsi
utilizzando cloud, big data e smart working. Trenitalia, ma non solo. I coils in acciaio sfornati dal gruppo
Marcegaglia sono riconosciuti e tracciati in modo digitale. «Se un rullo è sul punto di rompersi - ha detto
Emma Marcegaglia, vicepresidente ad del gruppo, nel corso del Forum Sap svoltosi a Cernobbio a inizio
marzo - riusciamo a saperlo in anticipo e a intervenire. Il nostro obiettivo è digitalizzare tutti i processi di
produzione, e ora stiamo studiando nuove soluzioni nell'efficienza energetica». Vecchio business, ma modo
completamente nuovo per affrontare la sfida della competitività è anche quello delle Acciaierie Bertoli Safau,
società del gruppo friulano Danieli. Dice Alessandro Trivillin, amministratore delegato dell'azienda: «Il nostro
è un prodotto taylor made, pensato e costruito insieme al cliente. Ad esempio, l'automotive sta lavorando su
nuovi motori a pressioni elevatissime, fino a 270 bar. Noi dobbiamo adeguarci e sviluppare acciaio altamente
performante per le case automobilistiche. Quindi stiamo digitalizzando tutta la filiera, dalla supply chain al
rapporto integrato con clienti e fornitori». Enel, invece, sfrutta Big Data come scudo contro i tentativi di frode,
e ha introdotto strumenti di machine learning e un algoritmo in grado di individuare comportamenti anomali
e/o fraudolenti sulla rete elettrica. Altro caso è quello di Snam Rete Gas che utilizza app, tablet e presto
anche la realtà aumentata per la gestione in tempo reale degli interventi tecnici, sugli impianti così come
presso l'utenza finale. Un progetto che si inquadra nella strategia di "mobility e collaboration" dell'azienda per
rendere più efficiente gli oltre 2 milioni di appuntamenti presso gli utenti, di cui 600.000 interventi di
manutenzione e 100.000 in reperibilità. 1 2 3 S. DI MEO, FONTE: THEW INNOVATION GROUP, GENNAIO
2015
[ I PROTAGONISTI ] Qui sopra, l'ad di Trenitalia Vincenzo Soprano (1), Emma Marcegaglia (2) ad e
vicepresidente del gruppo siderurgico. Paolo Mosa (3) ad di Snam Rete Gas
Foto: Nelle foto qui sotto, da sinistra, lavori di manutenzione sul materiale rotabile, una acciaieria e una rete
di metanodotti. Sono i casi presentati al Sap Forum di Cernobbio a inizio marzo
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 177
Intervista Spence: "Investire sull'Italia? Certo, purché non disperda l'opportunità cheha di fronte" SECONDO L'ECONOMISTA AMERICANO, PREMIO NOBEL 2001, SUL NOSTRO PAESE SI CONCENTRAUNA SOMMA DI FATTORI POSITIVI SENZA PRECEDENTI: CAMBIO, TASSI BASSI, PETROLIO LOW-COST E ANCHE "UNA GRINTA SULLE RIFORME CHE MI FA BEN SPERARE SUI PROSSIMI ANNI" Eugenio Occorsio Quando Michael Spence, allora preside di Economia a Stanford, fu insignito a Stoccolma del premio Nobel
insieme a Joseph Stiglitz e George Akerlof, nel dicembre 2001, l'America e il mondo erano sotto choc per il
terribile attentato alle Torri Gemelle di New York di poche settimane prima. Tutti tremavano, temevano il
peggio, e invece l'America per prima e subito dopo anche l'Europa e il resto del mondo, seppero riprendersi
rapidamente con caparbietà e decisione, e gli anni che seguirono furono fra i più brillanti del dopoguerra.
Dopodiché, nel 2008, nuovo tonfo in una crisi che invece, almeno in Europa, si sta rivelando molto più
complicata da vincere. «Ora c'è la possibilità decisiva perché avete la situazione più favorevole che si possa
immaginare», spiega l'economista, nato nel New Jersey nel 1943, che nel frattempo si è trasferito alla
Business School della New York University. «L'Europa, e direi soprattutto l'Italia, è al centro di una
congiunzione di fattori "abilitanti" alla ripresa quale forse non si era mai verificata. Se non coglierete
l'occasione, potreste non perdonarvelo mai». Spence conosce molto bene l'Italia, che visita con grande
frequenza, e periodicamente tiene lezioni alla Bocconi e conferenze in giro per il nostro Paese. Professore,
perché dice che l'Italia parte ulteriormente avvantaggiata in un contesto europeo già potenzialmente molto
positivo? «Perché uno dei fattori favorevoli è il basso cambio dell'euro, che favorisce i Paesi a forte vocazione
all'export, e l'Italia è in questa posizione più di chiunque altro in Europa a fianco della Germania. Anzi, forse è
pure meglio posizionata della Germania perché esporta proprio quei beni in cui il fattore prezzo, se si affianca
al fattore qualità che è riconosciuto pressoché in tutto il mondo, può fare la differenza: design soprattutto
nell'arredamento, moda, alimentare di pregio ma anche meccanica strumentale e altre pregiate produzioni di
precisione. E poi perché l'Italia è molto più degli altri dipendente dalle forniture estere di energia, specie
idrocarburi, il cui andamento declinante dei prezzi - altro fattore primario che favorisce lo sviluppo - è sotto gli
occhi di tutti. Mi lasci aggiungere un'ulteriore peculiarità dell'Italia: avete un governo complessivamente forte
e stabile che sembra finalmente aver intrapreso con decisione il cammino delle riforme, sia quelle
direttamente attinenti l'attività economica come il Jobs Act, sia quelle istituzionali rivolte a creare le condizioni
di contorno per rendere più semplice e flessibile il cammino dei provvedimenti e il rapporto fra autorità centrali
e decentrate. Tutte misure cruciali per promuovere la crescita: ovviamente non dovete fermarvi qui, anzi il
cammino è appena cominciato, però mi sembra che il vostro Paese sia partito con il piede giusto. E, ripeto, le
circostanze in cui opera sono straordinariamente fortunate. Insomma, se me lo chiede, investirei in Italia». La
Federal Reserve però sembra aver tirato il freno, la settimana scorsa, sui rialzi dei tassi americani,
spaventata proprio dall'eccessiva rapidità della svalutazione dell'euro rispetto al dollaro. E non a caso, la
valuta europea ha riguadagnato diversi decimali rispetto a quella americana. Quali sviluppi potrà avere
questa circostanza inaspettata? «Veramente non era inaspettata. Anzi, si pensava che Janet Yellen avrebbe
fatto cadere la parola "pazienza" di fronte alle proposizioni riguardanti i rialzi dei tassi, e così è stato. La
pazienza era motivata con la necessità di tenere i tassi americani a zero, una procedura inconsueta che è
durata ben sei anni e mezzo. Ora la "pazienza" non c'è più e i tassi potranno risalire tornando a un fisiologico
andamento. Certo, la Fed non ha detto quando, anzi ha escluso che possa farlo nella prossima riunione di
aprile. La maggior parte degli economisti pensa che lo farà in giugno, e anche io sono di quest'idea. Purché
non intervengano fattori di disturbo come un ulteriore drastico crollo dell'euro. Secondo me intorno alla parità
si può trovare un ragionevole punto di equilibrio. La Fed è preoccupata di battere la deflazione e
riguadagnare un minimo di inflazione, poco sotto il 2%, alla pari della Bce, però ha altre preoccupazioni che
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 178
Francoforte per statuto non è tenuta ad avere». Se si riferisce al doppio mandato della Fed, stabilità dei
prezzi e tenuta dell'occupazione, il fatto che si sia scesi al 5,5% di disoccupati in America, la metà del 2010,
non significa che gli obiettivi sono stati conseguiti? «Non del tutto. Vede, la Fed, e la Yellen in particolare per
cultura e sensibilità, è attenta anche alla composizione dell'occupazione, e oggi troppi americani sono
sottopagati o hanno orari estremamente ridotti. A loro si pensa al momento di lasciare che il dollaro ricominci
a salire. Per fortuna, dalle ultimissime rilevazioni, stanno migliorando i salari medi. È una buona notizia, oltre
che per gli interessati, perché così si riporta un po' d'inflazione nel sistema e si rilancia la domanda interna».
Spostandoci in Europa, qual il potenziale distruttivo che vede nell'incertezza sulla Grecia? «Un accordo alla
fine si troverà purché, come sembra, venga cercato al massimo livello politico possibile, e siamo tutti sollevati
dal fatto che proprio oggi la Merkel e Tsipras si incontrano. Perché se lasciano negoziare Varoufakis e
Schaeuble, irrimediabilmente diversi come sono al limite dell'incomunicabilità, un accordo non lo troveranno
mai». S. DI MEO, FONTE: THOMSON REUTERS DATASTREAM, MARIO DRAGHI, PRESIDENTE DELLA
FED, JANET YELLEN, BCE, ABS,
Foto: Un'immagine della Borsa italiana , a Piazza degli Affari a Milano
Foto: Michael Spence, Nobel per l'economia 2001, attualmente docente alla NYU
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 179
Roma Intervista "Fondi di credito e Eltif le strade di Bruxelles verso l'economia reale" PARLA GIORDANO LOMBARDO PRESIDENTE DI ASSOGESTIONI OSSERVATORIO PRIVILEGIATOPER STUDIARE LE DINAMICHE IN ATTO E LE PROSPETTIVE SULLO SCACCHIERE INTERNAZIONALEDEI MERCATI. I TEMI AL CENTRO DEL DIBATTITO AL SALONE DEL RISPARMIO Paola Jadeluca «Ci aspettiamo di registrare 16mila iscritti, il Salone del risparmio è diventato l'evento finanziario più
importante su scala annuale»: Giordano Lombardo, presidente di Assogestioni, si prepara all'appuntamento
milanese ideato e realizzato dall'associazione da lui guidata. «L'elemento più importante di questo Salone è
che non ci sono solo gli operatori del settore, ma anche famiglie e studenti, abbiamo coinvolto persino gli
studenti delle scuole superiori in attività formative spiega Lombardo - è dunque un appuntamento
professionale, certo, ma anche dedicato all'educazione finanziaria». L'industria del risparmio gestito in Italia
sta conoscendo un lungo periodo di boom, richiamato anche dalla stampa finanziaria straniera. «Si tratta
fondamentalmente di risparmio di tipo nuovo, tradizionalmente le famiglie italiane indirizzavano i risparmi nel
mattone o nei titoli di Stato. Ora queste due forme di risparmio mostrano di non poter più sostenere capacità
di rendimento di un tempo. La domanda, dunque, s'è indirizzata verso nuovi strumenti finanziari che
richiedono però un intervento più professionale, vincolato a gestioni professionali. Il fai-da-te non è la
soluzione, la necessità oggi andare su strumenti finanziari nuovi contenendo allo stesso tempo gli elementi di
rischio e di volatilità offrendo al contempo rendimenti adeguati» Nella raccolta dove è diretta la quota
principale del risparmio? «Certamente il fondo è lo strumento più diffuso, io dico sempre il più democratico, a
disposizione di tutte le tasche. Ovviamente ci sono anche risparmiatori che ricorrono a gestioni patrimoniale,
altri a forme assicurate come le unitlinked: nel suo complesso tutto il mondo del risparmio gestito sta
beneficiando di nuove soluzioni. La raccolta diversificata, su gestioni separate, va anche sul canale
istituzionale, una parte del risparmio è veicolato anche dai fondi pensione e della previdenza integrativa».
Tutto questo risparmio potrebbe essere indirizzato verso l'economia reale. Molti passi avanti sono stati fatti,
per esempio il decollo dei minibond, ma ci sono ancora aree di intervento. «L'obiettivo primario della gestione
del risparmio è di offrire rendimenti adeguati e diversificati. Una premessa d'obbligo doverosa. Questo
obiettivo però può essere coniugato con il canalizzare una parte di risparmio verso il sistema Paese con
nuovi prodotti in corso di approvazione a livello europeo, come per esempio i fondi di credito e gli Eltif. Questi
ultimi costituiscono una innovazione molto importante perché pensati appositamente per l'investimento in
infrastrutture e altre asset class di lungo periodo. In Italia, dove le piccole e medie imprese costituiscono la
maggioranza del tessuto produttivo, i fondi specializzati in investimenti in Pmi potrebbero diventare una
specializzazionetipica dell'industria finanziaria italiana. Certo, non possiamo dire che attraverso questa strada
verrà risolto il problema della crescita economica ma nei prossimi 5-10 anni l'industria del risparmio gestito
giocherà un ruolo sempre più centrale per lo sviluppo dell'economia reale» A breve dovrebbe sbloccarsi la
quotazione dei fondi mobiliari d'investimento. Si è parlato di Big Bang del risparmio gestito. «È un tema che
riguarda la distribuzione dei prodotti, indubbiamente un passo avanti positivo, che perònon sostituisce il ruolo
di advisory del consulente. Infatti, la distribuzione dei prodotti di risparmio gestito ai sottoscrittori in Italia,
come nel resto dell'Unione europea, è principalmente realizzata dalle banche e dalle reti di promotori.
Dall'altra si stanno affermando grazie ad Internet, canali complementari innovativi che facilitano l'incontro tra
risparmiatore e intermediario, ma il consulente diventa sempre più una figura chiave. Il rischio, piuttosto, è
che passi un messaggio sbagliato, che il fondo comune di investimento quotato diventi uno strumento di
trading. E non è questo l'obiettivo della quotazione» E' come oggi con gli Etf. «Esatto, sono fondi quotati,
utilizzati anche nei portafogli istituzionali ma non possono essere considerati strumenti di trading, lo trovo una
contraddizione al motivo per cui sono stati creati: i fondi sono strumenti di investimento di lungo termine»
Quale può essere l'impatto del Qe sull'intera industria italiana del risparmio gestito? «Le azioni delle banche
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 180
centrali, Qe compreso, hanno portato una grande quantità di liquidità sui mercati e l'effetto diretto è stato
l'abbassamento dei tassi. Non è un caso che i fondi più venduti siano stati i flessibili e i multiasset, prodotti
che affidano le scelte di allocazione e gestione all'asset manager. Questa situazione è destinata a durare più
di un ciclo economico, se questo è vero resterà elevata la domanda di rendimenti più efficienti. La sfida e la
responsabilità dell'industria in questo contesto sono continuare a mantenere rendimenti soddisfacenti
cercando di contenere il rischio e la volatilità di mercato per i risparmiatori. Si parla spesso di rendimento ma
il grande valore aggiunto della gestione professionale è la gestire e contenere il rischio» FONTE:
ASSOGESTIONI, S. DI MEO
Foto: Maurizio Bufi presidente Efpa
Foto: [ I BIG ]
Foto: Giordano Lombardo (1) Pres. Assogestioni; Pier Carlo Padoan (2) ministro Economia
Foto: I fondi più venduti sono stati i flessibili e i multiasset, prodotti che affidano le scelte di allocazione e
gestione all'asset manager
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 181
[ L'INTERVISTA ] "Certificati a rischio contenuto per puntare sull'energetico" NICOLA FRANCIA, RESPONSABILE PRODOTTI QUOTATI DI UNICREDIT: "SE SI PENSA CHE ILPREZZO DEL PETROLIO SI STABILIZZI UN'OPPORTUNITÀ È QUELLA DI INVESTIRE SU STRUMENTICHE VENDONO VOLATILITÀ" (m.man.) Roma Il calo del petrolio, ma forse è più corretto parlare di crollo, considerato che ha perso oltre il 50% in sei
mesi, ha portato benefici alle economie dei paesi importatori di energia e ha reso meno costose le nostre
soste dal benzinaio. E in qualità di investitori, come si può sfruttare il suo ribasso? Scommettere su un
rimbalzo, su un ritorno alle quotazioni del greggio degli ultimi anni, oppure cavalcare il tema dell'energia a
basso costo? E con quali strumenti si può investire, magari senza correre il rischio di "scottarsi" troppo, se le
nostre previsioni di un rialzo o di un ribasso dovessero rivelarsi errate? Nicola Francia, responsabile prodotti
quotati di UniCredit, non ha dubbi: «Se si pensa che il grosso della discesa del petrolio sia ormai avvenuto e
che i prezzi debbano stabilizzarsi o risalire, un'alternativa per investire senza assumere posizioni lunghe (in
acquisto) sul petrolio o sui titoli petroliferi, è utilizzare strumenti che vendono volatilità». Una strategia che è
alla base degli ultimi certificate emessi da Unicredit, certificati che hanno per sottostanti azioni del comparto
energetico e indici legati al petrolio e che appartengono alle tipologie Express e Cash Collect, entrambe con
protezione condizionata del capitale. «Sono strumenti che si collocano un po' a metà strada tra le azioni e le
obbligazioni: si assumono dei rischi, ma più contenuti rispetto all'azionario puro, perché si ha una protezione
condizionata se il prezzo del sottostante non supera al ribasso un livello prefissato. Nel caso dei Cash
Collect, si punta a cedole potenziali durante la vita del certificato, con la possibilità di ottenere il rimborso
anticipato del capitale, se il sottostante dovesse muovere al rialzo». Perché vendere volatilità? «Nell'attuale
contesto, il petrolio e i titoli del settore energetico presentano una volatilità relativamente elevata, laddove la
volatilità dei mercati azionari è, al contrario, bassa. La volatilità implicita a breve del petrolio è circa al 50%, a
un anno è al 33%, a due anni, che è l'orizzonte temporale coperto dai nostri certificati, siamo al 26%. Questa
curva di volatilità invertita segnala l'aspettativa da parte del mercato di una sua graduale riduzione, che
corrisponde ad una stabilizzazione dei prezzi. Vendendo volatilità, si incassa un premio che viene corrisposto
all'investitore sotto forma di cedola periodica o di maggiorazione del capitale a scadenza». Le due tipologie di
certificate che proponete sono legate a differenti aspettative sui mercati? «Sono due strumenti molto simili,
entrambi puntano a una stabilizzazione delle quotazioni e offrono la possibilità di rimborso anticipato.
Tuttavia, il Cash Collect offre la possibilità di ricevere una cedola trimestrale ricorrente, mentre l'Express
consente di capitalizzare un premio con osservazioni semestrali fino alla scadenza, sotto forma di valore di
rimborso». Qual è l'investitore tipo per queste emissioni? «Ci rivolgiamo a investitori evoluti oppure a
investitori che si avvalgono della consulenza di private banker, promotori finanziari o consulenti finanziari
indipendenti. Sono investitori che hanno un profilo di rischio adeguato a questo strumento, che è a capitale
condizionatamente protetto». Che ruolo possono avere questi certificati in un portafoglio? «Il mondo della
consulenza professionale guarda con molto interesse a questi strumenti. Sono emessi direttamente sul
mercato Sedex di Borsa Italiana, sono molto liquidi e i prezzi molto reattivi rispetto ai movimenti del
sottostante, potenzialmente adatti, quindi, non solo al cassettista, ma anche al trading. In queste fasi di
mercato, poi, alcuni investitori particolarmente sofisticati, piuttosto che professionisti che svolgono un ruolo di
advisor per i loro clienti, utilizzano queste strategie come forma di protezione. Se uno specifico titolo ha
realizzato una buona performance, monetizzano il guadagno, vendendo il titolo e reinvestono il ricavato in
strumenti di questo tipo: continuano, se il sottostante resta al di sopra della soglia prefissata, a incassare
cedole e, in più, ottengono una protezione, sia pure condizionata, del capitale». Quali sono i sottostanti delle
vostre ultime emissioni dedicate al petrolio? «Abbiamo individuato tre macrotemi legati all'andamento del
petrolio. Si può investire sul solo petrolio, attraverso l'indice S&P Gsci Crude Oil, oppure scegliere l'indice
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 182
S&P Gsci Energy che comprende petrolio di tipo Wti, Brent, gas naturale e benzina verde. Il secondo
macrotema è rappresentato dalle azioni di società petrolifere, offriamo la possibilità di investire su singoli titoli,
gli italiani Eni, Erg e Saipem e azioni internazionali come Gas de France Suez, Total e Royal Dutch Shell,
oppure di utilizzare un indice settoriale europeo, lo StoxxEurope600 Oil & Gas. L'ultimo macrotema è il
mercato azionario russo, rappresentato dall'indice RDX - Russian Depositary Index - che misura l'andamento
di 15 certificati di deposito su titoli russi quotati alla borsa di Londra, un indice nel quale i titoli di compagnie
del settore energetico hanno un peso elevato». Quale tipologia di sottostante è più trattata? «Sembra sia
apprezzata la possibilità di investire direttamente in un indice rappresentativo del petrolio; a livello di singoli
titoli, invece, gli investitori italiani tendono a preferire i sottostanti domestici». S.DI MEO BRENT
Foto: Il prezzo di un barile di Brent - dopo essere crollato a 45 dollari, anche in conseguenza del
rafforzamento del dollaro - in febbraio è risalito a 60, per poi tornare a quota 52-53 dollari . Sul trend futuro
del prezzo gli analisti sono divisi
Foto: Nella foto Nicola Francia di Unicredit
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 183
La sindrome del Gattopardo Il parere del Consiglio di Stato non chiarisce se le retribuzioni degli alti burocratisiano soggette a revisione. E intanto... Alla scuola Sna si impara a non farsi tagliare lo stipendio sergio rizzo P er Angelo Rughetti è l'ennesima dimostrazione che il Paese è in piena sindrome del Gattopardo. «Sono in
tanti a lavorare per fare in modo che tutto cambi perché nulla cambi. Dalle Province alla formazione di Stato,
dalla Rai alla spesa dei fondi per il Sud. Da un lato c'è chi come noi fatica ogni giorno per fare un passo in
avanti e dall'altro coloro che in nome del benaltrismo e l'esegesi delle fonti normative sperano che passi la
nottata e tutto torni com'era prima», sbotta il sottosegretario alla Pubblica amministrazione dopo aver letto un
parere sfornato dal Consiglio di Stato il 23 febbraio. Anche se sarebbe più giusto definirlo un «non» parere.
L'argomento è uno dei più pelosi in assoluto: gli stipendi degli alti burocrati pubblici che insegnano alla Sna,
la neonata Scuola nazionale di amministrazione.
La riforma approvata dal parlamento l'11 agosto ha soppresso cinque scuole create negli anni per la
formazione degli amministratori e la contestuale attribuzione delle loro funzioni a un'unica struttura sul
modello della mitica Ena francese. Fra le scuole chiuse c'è la Scuola superiore dell'economia e delle finanze,
che ha per certi versi una storia particolare. Giova ricordare qualche nome dell'elenco dei docenti ordinari del
cosiddetto «ruolo ad esaurimento» tuttora presente nel sito di quell'organismo. C'è Vincenzo Fortunato, ex
capo di gabinetto dell'ex ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, oggi presidente della società immobiliare
pubblica Invimit e già titolare nel 2011, prima dei tagli imposti dai governi di Mario Monti e Matteo Renzi (che
hanno abbassato il tetto massimo prima a 300 mila e poi a 240 mila euro), di uno stipendio da 583 mila euro
annui. C'è Marco Pinto, anch'egli ex collaboratore di Tremonti. C'è Marco Milanese, ex braccio destro del
superministro, sospeso dalle funzioni, a causa del suo coinvolgimento in alcune inchieste giudiziarie per
decisione dell'ex direttore della scuola Giuseppe Pisauro, il quale come prevede la legge ha potuto privarlo
solo di metà della retribuzione (il che significa 97.166 euro). Ci sono poi l'ex parlamentare del Pdl Maurizio
Leo, già dirigente delle Finanze nonché assessore al Comune di Roma e l'ex presidente della commissione
Trasporti della Camera Ernesto Stajano.
Insieme a loro un piccolo manipolo di superburocrati meno noti, in posizione di fuori ruolo ma pagati piuttosto
profumatamente per disposizioni ministeriali dalla Scuola, con compensi che all'epoca arrivavano a superare
di slancio i tetti fissati in seguito. E qui sta il punto. Perché la riforma dello scorso anno prevede che «il
trattamento economico è rideterminato con decreto al fine di renderlo omogeneo a quello degli altri docenti
della Sna», che a sua volta «viene determinato sulla base di quello spettante, rispettivamente, ai professori o
ai ricercatori universitari a tempo pieno con corrispondente anzianità».
Vale a dire, al massimo poco più della metà del famoso tetto dei 240 mila euro. Verissimo, ammette il «non»
parere del Consiglio di Stato, chiamato dal governo a dire la sua proprio su quel decreto appena scritto. Ma
bisogna chiedersi, argomenta l'estensore Damiano Nocilla, ex segretario generale del Senato, se la riforma
ha o meno abrogato un decreto legislativo del 2009 (governo Berlusconi) che prescrive: «i docenti a tempo
pieno della scuola, in posizione di comando, aspettativa o fuori ruolo, per il tempo dell'incarico conservano il
trattamento economico in godimento». Trattamento, precisa il «non» parere, che «può essere ben diverso e
superiore rispetto a quello dei docenti universitari». La risposta alla domanda? Ovvia: «la supposta
abrogazione dell'art.10, co.2, d.lg.s. n. 178 del 2009 non sembra possa evincersi sic et sempliciter». Per non
parlare, aggiunge Nocilla, del fatto che «l'immediata abrogazione della disposizione rischierebbe di privare la
Sna di tutti quei docenti provenienti da carriere il cui trattamento è migliore in termini retributivi rispetto a
quello dei professori universitari, con immaginabili ripercussioni sull'organizzazione e l'impostazione dei
corsi». Ragion per cui il decreto va riscritto, e come nel gioco dell'oca si riparte dal via.
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Foto: In cattedra Vincenzo Fortunato
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 185
IL PUNTO Forse c'è la ripresa? Il Fisco sia generoso: ora tagli le tasse DANIELE MANCA Deve essere una bella soddisfazione per un ministro poter annunciare che il tempo dell'austerità sta per
finire, e che rivedrà al rialzo le stime di crescita per quest'anno dal 2,4% al 2,5%. È accaduto, con la
presentazione della Finanziaria, a George Osborne, cancelliere dello Scacchiere inglese. Ma quelle parole
per gli inglesi hanno avuto un suono probabilmente ancora più soave perché accompagnato dall'annuncio di
un ulteriore taglio delle tasse. Certo, a maggio a Londra si vota. E in campagna elettorale le promesse
valgono per quello che sono, semplici parole. Ma la lezione inglese è un'altra, e si fa fatica a capirla dalle
nostre parti. Meno austerità non significa automaticamente più spesa. Anzi. Nel caso specifico si tramuta in
tagli alle uscite pubbliche meno pesanti. Quei tagli alla spesa che a Londra sono iniziati nel 2010 (stretta di
bilancio) associati a una riduzione della imposizione fiscale. Al di là delle troppo spesso esibite certezze degli
economisti, sarà difficile capire se sia stato questo mix di tagli a rilanciare l'economia inglese o il fatto di poter
contare su una politica monetaria e di bilancio sganciata dall'Europa (oggi il deficit rispetto al Pil è del 5%
contro l'11% degli anni della crisi). Ma il segnale dato da Osborne è chiaro: va restituita ai cittadini e ai
risparmiatori la capacità di decidere della maggiore quota possibile dei propri introiti. Come accade nella vita,
quasi mai contano soltanto le idee, quanto la loro applicazione e realizzazione. Più che la retorica su austerity
sì, austerity no, conta chi l'ha subita fino ad ora. E se guardiamo al nostro Paese, famiglie e imprese il loro
prezzo lo hanno pagato, lo Stato italiano non ancora. Soltanto se lo farà al più presto i cittadini potranno
ricevere il loro premio che ha un nome preciso: si chiama «taglio delle tasse».
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23/03/2015 1Pag. Corriere Economia - ed. N.11 - 23 marzo 2015
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 186
INTERVISTA Personaggi L'hacker-ingegnere di Chrome Privacy Siamo nelle mani della principessa di Google MARTA SERAFINI Parisa Tabriz, 32 anni, è la security princess di Chrome, il motore di Google. Hacker, ingegnere, veglia sui
bug e sulle falle. Le differenze di genere? Non hanno un futuro: spariranno anche nel mondo maschile
dell'informatica. La vera sfida del nostro lavoro - dice - è conciliare la difesa con la privacy dei clienti. A
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Al campus di Google a Mountain View Parisa Tabriz è nel pieno di un'emergenza. È appena stata scoperta
una falla nel sistema operativo di una nota marca di computer diffusa in tutto il mondo. Davanti a Tabriz si
prospettano ore e ore di lavoro. Ma Parisa non è il tipo che si scompone troppo. Occhi neri sempre in
movimento, maglia nera traforata e ballerine gialle, un sorriso le illumina il volto.
A soli 32 anni questa donna è la responsabile della sicurezza di Chrome, il browser di Google, motore di
ricerca più usato al mondo. Nel suo tempo libero è facile trovarla mentre scala una montagna («il free
climbing è come l' hacking : devi arrivare in un punto e devi decidere come farlo», spiega), con una macchina
fotografica in mano o mentre prepara dolci (a Bologna ha seguito un corso per fare il gelato).
In pratica lei è la paladina del benessere informatico di miliardi di persone. Una delle 30 pioniere del tech
under 30 secondo Forbes , cresciuta nella periferia di Chicago da mamma polacca e padre iraniano,
maggiore di due fratelli maschi, per arrivare fin qui ha studiato duro. E ha conciliato il suo interesse per l'
hacking e per la cultura che vuole la Rete libera e gratuita con il suo lavoro in uno dei più potenti colossi della
Silicon Valley. Ma soprattutto Parisa ha sfatato in pieno lo stereotipo che vuole le donne incapaci di
padroneggiare il linguaggio informatico.
Come è arrivata a Mountain View?
«Entrambi i miei genitori lavorano in campo medico (il padre è dottore e la madre infermiera , ndr). Quando
ero al liceo, non avevo le idee molto chiare. Ero in dubbio se scegliere medicina o qualcosa che avesse a che
fare con la matematica e le scienze. Così ho optato per ingegneria».
A che età ha avuto il primo computer?
«Ero al college, se non ricordo male. Avevo anche parecchi amici che iniziavano a muovere i primi passi nel
mondo della programmazione. Prima ho imparato a padroneggiare il web design, poi il coding e infine la
sicurezza informatica e l' hacking anche se ai tempi non esisteva un corso universitario apposito. In quel
periodo ho anche fatto il mio primo sito su una piattaforma di hosting gratuita che solo anni dopo, ironia della
sorte, ho scoperto avere delle falle di sicurezza. Poi ho fatto una internship in cyber security . E l'estate dopo,
nel 2012, ero in Google».
Molti descrivono la Silicon Valley come un ambiente in cui domina la cultura frat pack (sessista). Che ne
pensa?
«Quando ero piccola ero un tom boy , un maschiaccio che faceva molto sport e non corrispondevo certo allo
stereotipo della bambina tutta rosa e fiocchi. Sono la maggiore di due fratelli maschi e questo mi ha aiutato.
All'università un ragazzo mi ha detto che se avessi avuto un posto di lavoro sarebbe stato solo perché sono
una donna. Ma ci sono anche stati uomini che mi hanno sostenuto».
A Google le donne sono il 30%. Come si combatte il gender gap?
«C'è molto da fare. Il punto di partenza sono i bambini, ed è per questo che partecipo appena posso alle
convention di hacking per le scuole. Insegnare fin da piccoli a padroneggiare il codice è una strada. Altro
punto sono i modelli. Una ragazza che decide di fare questo mestiere non deve per forza aderire allo
stereotipo che ci vuole tutte magre e un po' matte. Ma non è solo una questione di genere. Bisogna
supportare tutti i tipi di diversità».
Sul suo biglietto da visita si legge come qualifica Security princess.
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«È successo per scherzo. Quando ho iniziato a Google ero un ingegnere a capo di un team dedicato alla
sicurezza. Un titolo generico, insomma. Poi, in Giappone mi sono trovata davanti dei colleghi formali che
davano importanza allo scambio delle credenziali. E così mi è venuta l'idea. Io che sono l'opposto di una
principessa».
Perché ci sono poche donne hacker?
«Sicuramente ha a che fare con il gender gap nel tech ma forse c'è dell'altro. Anche se sono poche però non
vuol dire che non siano molto abili. Penso a Joanna Rutkowska, che ha presentato le sue scoperte di
vulnerabilità davanti ai migliori hacker di tutto il mondo. Ma anche Kristin Paget in grado di hackerare le auto.
Ci vuole solo tempo e presto avremo la parità anche in questo campo».
La pirateria è uno dei pericoli più grandi. In che cosa consiste il suo lavoro?
«Fondamentale per noi è segnalare agli utenti tutti i malware e i tentativi di phishing cui incappano quando
usano Chrome. Se troviamo pagine che hanno delle vulnerabilità dobbiamo cambiare il codice dopo aver
fatto le verifiche. E questo significa tenere gli occhi aperti costantemente aggiornando le liste nere. Vogliamo
che i nostri utenti non debbano preoccuparsi della sicurezza. Lo facciamo noi al posto loro, in modo che
possano impiegare il loro tempo in modo più utile».
Per il suo lavoro sarà costretta a pensare come un black hat, un hacker cattivo. Non la disturba?
«Beh, essere un hacker significa avere una capacità. Tanti pensano che si tratti di un'abilità incredibile ma
non è nemmeno così complicato. Quello che cambia è il modo in cui decidi di usare questo dono. Puoi
diventare un cracker (un hacker cattivo) per motivi politici o economici o puoi mettere le tue competenze al
servizio di un progetto migliore.».
Le sarà capitato di dover valutare diversi hacker. Come decide chi è bravo e chi no?
«Faccio un semplice test che non ha nulla a che vedere con i computer. Chiedo al candidato di hackerare un
distributore di bevande. Se, ad esempio, siamo in Messico, basta inserire una moneta da due euro e il gioco
è fatto».
Nella ricerca delle falle coinvolgete anche persone all'esterno?
«Certo, facciamo degli hackathon ( delle gare di hacking , ndr) con compensi fino a 30 mila dollari per chi
individua bug e falle. E fino ad oggi abbiamo pagato 1,25 milioni di dollari per risolvere più di 700 problemi».
Le è stato chiesto di aiutare la Casa Bianca per la sicurezza informatica. Ha mai incontrato Obama?
«No».
Ok. Allora cosa pensa dell'incontro di qualche settimana fa tra il presidente e i colossi del tech? A chi spetta
occuparsi della sicurezza degli utenti?
«Abbiamo molte responsabilità sulle spalle. Sono contenta che ci siano dei tentativi di accordo con il governo.
Ma il mio compito è pensare alla sicurezza di tutti gli utenti di Chrome, non solo degli americani»
Quale sarà la sfida più grande dei prossimi anni per la Silicon Valley?
«Conciliare privacy e sicurezza. In fondo siamo come medici che cercano sempre nuove cure».
@martaserafini
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GLI ITALIANI E LE MAIL Mail ricevute ogni giorno (1 su 4 è una newsletter) 940 milioni Media caselle di
posta possedute da ognuno 2,4 Fonte: Email Marketing - Experience Report 2015 - Mag News S. A. LE
CASELLE DI POSTA PIÙ UTILIZZATE Google Microsoft Libero 53,0 % 37,1 % 32,4 % Mentre sono al pc per
svago Mentre sono al pc per lavoro Mentre si rilassano sul divano aziendale 32,4 % @ @ @ QUANDO
CONSULTANO LE MAIL 53,0 % 32,4 % 37,1 %
Foto: Top
Parisa Tabriz
Foto: Hacker Parisa Tabriz, 32 anni,
è Security
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 188
princess
di Google. In pratica si occupa
della sicurezza informatica
di Chrome,
il browser
di Big G che
è il motore di
ricerca più
usato al mondo.
Il suo team
individua
le falle pericolose per gli utenti . Tabriz è stata inserita
da Forbes fra le trentenni più influenti del tech Fondatori Larry Page e Sergey Brin
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INTERVISTA Ian Bremmer Poche illusioni il greggio resterà mini massimo gaggi La tecnologia ha contribuito in maniera sostanziale ad abbattere i costi del petrolio. Anche per questo il livello
dei prezzi al barile si manterrà nel prossimo futuro tra 40 e 60 dollari. Ne è convinto Ian Bremmer, fondatore
di Eurasia.
a pagina 3
La riduzione del dividendo pagato agli azionisti è cosa normale per un'impresa quando il business nel quale
opera perde colpi e calano i profitti. Non nel settore petrolifero: la Shell non taglia i dividendi dal 1945, la
ExxonMobil li ha incrementati ogni anno per oltre tre decenni. La scelta «rivoluzionaria» fatta qualche giorno
fa dall'Eni dovrà alla fine essere seguita anche dalle altre majors o le compagnie pensano di assorbire gli
effetti del crollo dei prezzi del greggio in attesa di una loro almeno parziale ripresa? Siamo in una inverse
bubble , una bolla che sgonfia troppo i prezzi dopo quella che li ha gonfiati eccessivamente?
Lo chiedo a Ian Bremmer, fondatore e capo di Eurasia, il maggior centro di analisi dei rischi geopolitici ed
economici internazionali, reduce da una full immersion da Calgary, capitale canadese dell'energia.
«Non posso entrare nel merito di come le singole compagnie reagiranno a questo calo choc dei prezzi -
risponde Bremmer -. Ognuno farà le sue scelte. Quello che so per certo è che una risposta dovranno darla
perché il sistema dei prezzi dell'energia è cambiato in modo radicale e strutturale. Non vedo bolle in giro. Si
pensava che i prezzi sarebbero risaliti per un crollo della produzione - e quindi dell'offerta - americana. E
invece, nonostante i prezzi siano da mesi attorno ai 50 dollari al barile rispetto ai 110 di non molto tempo fa,
l'estrazione degli Stati Uniti non è, fin qui, affatto diminuita. Cali potranno esserci in futuro, ma saranno brevi
e limitati. A questo punto tutte le majors , anche le supermajors , devono rimboccarsi le maniche: qualcuna
diversificherà impegnandosi di più in attività alternative, altre risponderanno aumentando la loro efficienza
produttiva e investendo di più in tecnologie. Avverrà soprattutto nel fracking . C'è anche chi restringerà il suo
perimetro di attività. L'ho appena visto a Calgary: compagnie che ormai eravamo abituati a considerare
globali che chiudono molte attività internazionali. Ci sarà anche chi dovrà tagliare i dividendi. Non c'è una
risposta uguale per tutti. Ma tutti dovranno fare qualcosa di incisivo».
Eppure il crollo dei prezzi ha messo fuori mercato molti siti produttivi nei quali i costi di estrazione sono
elevati. Nei soli Stati Uniti sono stati chiusi ben 684 pozzi petroliferi, rispetto a un anno fa. Perché la
produzione non cala?
«Perché la tecnologia continua a migliorare e riduce i costi di estrazione. Perché il mercato è sempre più
decentrato. E perché c'è una tendenza a mantenere attiva la produzione anche quando non è remunerativa. I
fattori in gioco sono tanti. Ad esempio il regime di tassazione del North Dakota che offre sussidi quando i
prezzi scendono. Poi, anche quando opti per la chiusura di un pozzo, passa molto tempo tra la decisione e
l'attuazione. Ripeto, qualche effetto di questi tagli lo vedremo nella produzione dei prossimi mesi, ma sarà
poca cosa».
Ci sono anche analisti convinti che, con un accordo Washington-Teheran sul nucleare, le sanzioni potrebbero
cadere consentendo all'Iran di aggiungere un altro milione di barili alla produzione mondiale. Sostengono che
in questo caso i prezzi del Brent e del West Texas, oggi attorno a quota 54 e 44 dollari, potrebbero scendere
rispettivamente sotto quota 50 e, addirittura, sotto quota 40 per il greggio texano.
«Io credo che i prezzi resteranno deboli ma non in modo così estremo. I fattori geopolitici internazionali
porteranno a una stasi o a una lieve contrazione della produzione, non a un suo ulteriore aumento. La guerra
civile in Libia ha strozzato la ripresa della produzione. E l'esito delle elezioni in Nigeria potrebbe alimentare
nuove tensioni e scontri destinati a incidere negativamente sull'estrazione. Quanto all'Iran, anche in caso di
accordo, non credo che il Congresso Usa accetterà tanto presto di togliere le sanzioni. Se, invece, il
negoziato non porterà a nulla, Obama non potrà più opporsi all'adozione di sanzioni aggiuntive. Insomma,
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diciamo che in materia di prezzi io sono un po' più bullish di altri. Ma solo un po': penso che nell'orizzonte
limitato che siamo in grado di prevedere avremo quotazioni oscillanti tra i 40 e i 60 dollari al barile».
Nessuna possibilità che l'Opec o altri - a suo tempo l'Arabia Saudita aveva trattato con Russia e Messico
senza arrivare a nulla - si mettano d'accordo per limitare la produzione e far salire i prezzi? Non pensa, come
sostengono i sauditi, che il calo delle quotazioni sia stato eccessivo, anche per l'effetto psicologico delle varie
«teorie dei complotti» come quella che vorrebbe Arabia e Usa alleati contro Mosca?
«Non credo ai complotti: questi prezzi sono frutto delle forze di mercato. I russi ostentano autonomia e forza,
Putin vuole dimostrare che può continuare a produrre a pieno regime. I sauditi sono stati sorpresi dalla
rapidità del calo dei prezzi. L'Opec è totalmente frammentata, non è più nemmeno un'organizzazione. Se
vedremo accordi in futuro, saranno fuori dal vecchio "cartello", l'Arabia con qualche altro grosso produttore.
Ma ormai il maggiore sono gli Stati Uniti, che hanno interesse a tenere i prezzi bassi. Sarà così per almeno
due anni».
Per Paesi consumatori come l'Italia solo vantaggi, d'accordo. Ma per gli Usa che sono anche produttori? E
nel Golfo, dove gli sceicchi erano diventati di certo troppo ricchi, non si rischiano rivolte per il brusco calo di
queste ricchezze?
«Per l'America vedo quasi solo vantaggi. Certo, il Texas soffrirà un po', perderà posti di lavoro, ma la benzina
a buon mercato aumenta il reddito disponibile dell'intero ceto medio Usa, da tempo sotto pressione. Quella
americana è un'economia con un motore incredibilmente diversificato: il basso costo dell'energia è il suo
miglior carburate. I sauditi e gli emirati certamente soffriranno. All'inizio il prezzo lo pagheranno soprattutto
l'Egitto, il Libano e la Giordania: i Paesi che ricevono massicci sussidi dalle nazioni arabe petrolifere. Questi
aiuti verranno tagliati, con nuovi rischi di instabilità. Non sono cose da poco: è per una situazione simile che
Cuba è crollata e si è aperta al mercato Usa. Poi, se il petrolio resterà a lungo a 50 dollari, i problemi
economici e sociali potranno diventare gravi anche nelle capitali arabe del Golfo. Un'instabilità della quale
dovremo preoccuparci, e anche parecchio, visto quello che è successo dopo la "primavera araba". Ma non è
un problema immediato».
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La frase Compagnie che consideravamo globali sono costrette a chiudere molte attività internazionali
Foto: Eurasia Il fondatore e attuale responsabile, Ian Bremmer
23/03/2015 1Pag. Corriere Economia - ed. N.11 - 23 marzo 2015
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 191
L'intervista Il presidente in carica di Assogestioni: i tassi bassi sono l'occasione storica per far incontrarel'interesse dell'industria e dei risparmiatori Crescita & Risparmio «Così le famiglie possono essere il motore dellaripresa» Lombardo: in arrivo fondi di lungo termine e fondi di credito. Ma ci vuole un piano complessivo per sostenerefiscalmente i privati che si impegnano per il futuro Seimila studenti sono passati dal Salone negli ultimi cinqueanni GIUDITTA MARVELLI Numeri importanti anche nei primi mesi del 2015. La raccolta positiva dei fondi continua anche dopo i record
dei 12 mesi passati.
«La necessità di trovare alternative di investimento in un contesto di tassi di interesse così bassi sosterrà
ancora a lungo l'industria del risparmio gestito», dice Giordano Lombardo, che proprio in questi giorni compie
un anno alla guida di Assogestioni, l'associazione delle sgr attive sul mercato italiano. Lombardo, che è
anche alla guida di Pioneer im (la fabbrica dei fondi di Unicredit), è stato eletto alla fine del marzo scorso
poche ore prima della conferenza inaugurale del Salone del Risparmio, che nel 2015 giunge alla sua sesta
edizione. «Con 150 marchi presenti, 110 conferenze e 110 stand, 70 ore di formazione professionale, 16 mila
visitatori e sette aree di interesse tematico, il Salone sta diventando un format degno di interesse nel resto
d'Europa», dice Lombardo, Non esiste, infatti, nessun'altra manifestazione così grande nel settore della
finanza che offra anche un tempo tanto ampio (una giornata su tre) di apertura al pubblico indistinto. «Nei
cinque anni precedenti abbiamo coinvolto con iniziative ad hoc anche seimila studenti - dice Lombardo -. E i
risparmiatori del futuro sono sempre più ospiti d'onore di queste giornate. La conferenza di apertura presenta
i dati di una ricerca sull'educazione finanziaria e sul loro atteggiamento nei confronti degli investimenti. Un
tema importantissimo».
L'attenzione al nuovo ritorna nei temi e nel titolo del Salone. «Il riferimento - dice Lombardo - è agli asset
alternativi in via di approvazione a livello europeo e nazionale che possono offrire alle famiglie inedite
opportunità di diversificazione, ma anche alle strade che il risparmio può prendere per aiutare la ripresa
dell'economia reale».
In gestazione ci sono i fondi a lungo termine (Eltif, la sigla per gli addetti ai lavori), veicoli adatti all'impegno in
investimenti ultradecennali come, per esempio, quelli collegati alle infrastrutture, e i fondi di credito, ovvero
strumenti che possono - al pari delle banche - fare prestiti alle aziende. Due categorie di prodotti che non
possono certamente sostituire i tradizionali impegni delle famiglie medie in bond, azioni e liquidità - chiarisce
Lombardo - ma che aprono ulteriormente il ventaglio delle opportunità e, appunto, aggiungono nuove cinghie
di trasmissione al rapporto, finora poco fluido, tra risparmio privato e crescita economica.
Cambi
«Molte cose stanno cambiando già adesso -spiega Lombardo -. Il panorama dei tassi a zero crea una sorta di
allineamento tra gli interessi dell'industria e quelli delle famiglie a caccia di rendimenti senza spingere troppo
sulla leva del rischio».
L'analisi della raccolta rivela che, fatti salvi i monetari, tutte le categorie dei fondi vengono vendute e
acquistate. Vanno bene i prodotti multi-asset e flessibili, ma anche gli azionari e i bilanciati. Non c'è più
quell'interesse esclusivo solo per gli obbligazionari che per tanti anni ha caratterizzato il nostro sistema:
«Questo significa che la consulenza funziona meglio di quanto non fosse prima e anche che, da parte loro, i
clienti sono più consapevoli», dice ancora Lombardo.
Idee
Il Salone, che si apre alla presenza del ministro Pier Carlo Padoan e con un intervento dell'ex cancelliere
tedesco Gerhard Schroeder, è anche, nelle intenzioni dell'industria, un modo per mettere all'attenzione della
società civile e della politica una riflessione sul valore del risparmio. «Nel 2014 i nuovi flussi nei fondi italiani
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 192
hanno rappresentato il 15% di tutti quelli monitorati a livello europeo: parliamo di una crescita importante, che
forse meriterebbe una maggior considerazione», dice ancora Lombardo. Negli ultimi provvedimenti del
governo Renzi per rilanciare il Paese ci sono alcune idee - per esempio il credito di imposta concesso a
casse previdenziali e fondi pensione sugli investimenti di lungo termine - che, a giudizio dei gestori di
patrimoni, possono aiutare il sistema.
«Manca, e noi auspichiamo che ci si possa arrivare, l'apertura di un discorso che porti ad una
razionalizzazione complessiva delle tasse sugli investimenti, in grado di premiare e sostenere le scelte di
lungo termine. Segnali che facciano sentire ai cittadini che anche per lo Stato il risparmio è un motore del
futuro e non solo un serbatoio per il Fisco», conclude Lombardo.
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L'identikit LE QUOTE INVESTITE NELLE VARIE TIPOLOGIE DI FONDI Azionari 10,4% Bilanciati 31,0%
Obbligazionari 29,9% Monetari 2,0% Flessibili 10,8% Hedge 0,4% Immobiliari 2,7% Non classificato 12,8%
2014 2015 GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC GEN -1.516 11.816 18.804 7.068
7.145 13.835 15.252 12.688 8.573 12.437 9.168 8.953 9.116 Totale 1.584 miliardi Dati in milioni LA
RACCOLTA NETTA DELL'INDUSTRIA DEL RISPARMIO GESTIBILE
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PERCHÉ A PIAZZA AFFARI CI VUOLE UNA SCOSSA Andrea Di Biase PERCHÉ A PIAZZA AFFARI CI VUOLE UNA SCOSSA Più capitale di rischio e meno debito, specie se il
denaro è preso a prestito dalle banche. È questa la strada consigliata alle aziende italiane per cogliere al
meglio i segnali di ripresa dell'economia, gettando allo stesso tempo le basi per una crescita solida e
duratura. Come sottolineato dal governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nelle ultime considerazioni
finali le imprese italiane sono ancora troppo dipendenti dal credito bancario e «avrebbero bisogno di un
aumento del patrimonio di circa 200 miliardi e una pari riduzione dei debiti». Un obiettivo ambizioso ma che
mai come ora sembra essere alla portata, visti gli effetti prodotti dal Qe della Bce sui tassi di interesse, che
sta scoraggiando gli investimenti sui titoli a reddito fisso, e a fronte di un risparmio delle famiglie che appare
ancora tonico nonostante i morsi della lunga crisi: oltre 133 miliardi, secondo Assogestioni, la raccolta netta
nel 2014 dell'industria del risparmio gestito in Italia. Insomma non si può certo dire che manchino le risorse da
investire. Il problema è che molto spesso questa liquidità prende altre strade. Come evidenziato da Guido
Salerno Aletta su Milano Finanza del 3 gennaio scorso, nel 2014 oltre 100 miliardi di risparmi degli italiani,
invece di entrare nel circuito produttivo attraverso il mercato dei capitali domestico, sono stati investiti in asset
stranieri. Secondo alcuni osservatori una fetta importante di responsabilità per questo mismatching tra
risparmio interno ed esigenze di capitale delle imprese l'avrebbe Borsa Italiana, da anni ormai parte
integrante del London Stock Exchange Group (la cui proprietà fa capo alla borsa di Dubai e alla Qatar
Investment Authority). Nonostante gli sforzi messi in campo negli ultimi anni dalla società di gestione del
mercato per incentivare le imprese italiane a quotarsi a Piazza Affari (si pensi al programma Elite), i risultati
non sembrano essere incoraggianti. Secondo uno studio realizzato dal centro di ricerca Baffi-Carefin
dell'Università Bocconi redatto in collaborazione con Equita Sim e presentato lo scorso 22 gennaio, tra il 2008
e il 2014 le ipo completate a Piazza Affari sono state solo 13, mentre quelle ritirate sono state 17 (Sisal,
Intercos, Italiaonline, Favini, Fedrigoni e Rottapharm, solo per citare i casi più recenti), dunque più della metà
(57%) delle 33 operazioni annunciate. Colpa della crisi? Di certo le turbolenze che hanno investito l'economia
e i mercati finanziari del vecchio continente nei sette anni presi in esame hanno fatto la loro parte. Non può
tuttavia sfuggire che nello stesso periodo (si veda la tabella in pagina) le altre borse europee hanno registrato
un tasso di insuccesso per le ipo annunciate più basso rispetto a quello di Piazza Affari: dal 9% di Parigi al
46% di Madrid, passando per il 28% di Londra. Una peculiarità tutta italiana, dunque, che l'ad di Borsa Italia,
Raffaele Jerusalmi, in una recente intervista ha provato a spiegare facendo riferimento alle «condizioni di
estrema volatilità dei mercati» a fronte delle quali le ipo sono state ritirate, ma evidenziando anche le
responsabilità delle banche collocatrici per avere creato negli imprenditori aspettative di prezzo eccessive,
che al momento decisivo non si sono poi concretizzate. Responsabilità che nel mondo delle banche d'affari
c'è invece chi ritiene siano proprio della società di gestione del mercato i cui sforzi non sarebbero sufficienti
per fare in modo che le medie imprese italiane che decidono di quotarsi siano poi effettivamente seguite e
comprate dai gestori di tutto il mondo.A sostegno di questa tesi viene fatto notare come oltre il 65% dei
volumi scambiati a Piazza Affari in termini di controvalore si concentri su dieci soli titoli, cinque dei quali
appartenenti al comparto bancario e finanziario (Unicredit, Intesa, Mps, Generali e Bpm). Una situazione
analoga a quella della Bolsa de Madrid, dove questa percentuale arriva addirittura al 70%, ma superiore a
quella delle borse di Francoforte e Parigi, dove il peso dei primi 10 titoli del listino per controvalore scambiato,
impattano rispettivamente per il 49,10% e per il 45,5% del listino. Inoltre è sempre più evidente il trend
intrapreso dalle società di gestione dei mercati regolamentati che stanno diversificando sempre più il
business verso prodotti a più alto valore aggiunto (clearing su derivati, creazioni di indici), tanto che l'attività
tradizionale pesa su Lse per solo il 25% del fatturato. Secondo un altro punto di vista, le colpe non sarebbero
tutte di Borsa Italiana e poco cambierebbe se anche al posto dell'Lse ci fosse una proprietà italiana più
21/03/2015 1Pag. Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015(diffusione:100933, tiratura:169909)
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attenta alle esigenze del sistema Paese. Questo perché, specie quando si parla di aziende di medie e
piccole, a fare la differenza non sarebbero tanto gli investitori esteri quanto la presenza di soggetti nazionali
di tipo di istituzionale, che invece sul mercato scarseggiano. Anzi, il fatto che oggi siano circa duemila le
società di gestione internazionali che investono sul listino di Borsa e che la componente istituzionale estera
sul mercato italiano è pari al 95% sarebbe più un rischio che un'opportunità. L'esperienza della crisi ha infatti
dimostrato che, essendo gli investitori esteri per loro natura più sensibili al rischio Paese, quando questo è
percepito come più alto, tali soggetti dirigono i propri capitali su altri mercati, con tutto ciò che ne consegue in
termini di volumi e prezzi per il listino italiano. Quello che manca, dunque, è uno zoccolo duro di investitori
italiani capaci di dare maggiore liquidità ai titoli delle medie imprese quotate e a invogliare così anche altre
aziende a quotarsi. Da questo punto di vista le responsabilità sono principalmente delle istituzioni, che in
questi anni non sono state capaci di creare un contesto normativo e fiscale in grado di incentivare
l'investimento in equity da parte degli investitori istituzionali italiani. Come sottolineato dall'head of investment
banking di Equita Sim, Andrea Vismara, in apertura del convegno tenutosi all'Università Bocconi a fine
gennaio, il trattamento fiscale riservato agli investitori domestici in titoli azionari quotati, è tutt'altro che
favorevole. Non solo per via della Tobin tax, introdotta dal governo Monti, che si è dimostrata inutile dal punto
di vista del gettito fiscale e dannosa per il mercato azionario italiano, ma anche per come sono attualmente
modulate le aliquote sulle plusvalenze. Gli investimenti nelle imprese sono infatti tassati a un livello molto più
elevato rispetto agli investimenti in titoli di Stato e persino agli investimenti in immobili che, a 5 anni
dall'acquisto, non sono più soggetti a imposte sul capital gain. Al contrario, chiunque invece impieghi il
proprio capitale in azioni o obbligazioni emesse da una impresa che cresce e crea occupazione, mantenendo
l'investimento per due giorni o per dieci anni pagherà invece il 26% del capital gain, senza alcuna
differenziazione sulla base del periodo dell'investimento. Questo incoraggia gli italiani che risparmiano molto
a investire quasi esclusivamente in titoli di Stato e sul mercato immobiliare, a scapito dell'economia reale e
della costruzione di un portafoglio di investimenti diversificato. Anche, ma non solo per questo motivo, i fondi
pensione e le casse previdenziali italiane continuano a dedicare una minima parte dei loro patrimoni alle
imprese italiane mentre in altri Paesi come il Giappone, i principali fondi pensione hanno deciso di aumentare
drasticamente gli investimenti in azioni e obbligazioni domestiche, a sostegno dell'economia produttiva. Come
si può notare dalla tabella relativa alla composizione del portafoglio delle principali classi di investitori
istituzionali italiani, redatta dal centro di ricerca Baffi-Carefin della Bocconi e relativa al 2013, i fondi pensione
italiani, pur avendo un patrimonio in gestione di circa 86 miliardi di euro, avevano investito in titoli azionari
quotati a Piazza Affari solo 700 milioni. Un po' di più hanno fatto gli enti di previdenza che hanno investito in
azioni circa 1,9 miliardi (ma solo perché nel dato riportato sono compresi anche titoli azionari di emittenti
esteri). In questo senso la recente autoriforma varata dalle Fondazioni di origine bancaria d'intesa con il
ministero dell'Economia potrebbe essere un primo segnale di svolta, visto che tali enti dovranno diversificare
il proprio portafoglio, ancora prevalentemente concentrato sulla banca conferitaria, liberando risorse da
investire anche sul mercato azionario. C'è poi un terzo aspetto, di certo non trascurabile, che secondo altri
osservatori avrebbe frenato finora un compiuto sviluppo del mercato dei capitali italiano. Non può infatti non
essere notato il fatto che, a differenza dei mercati più sviluppati, dove esiste una pluralità di broker e case
d'affari indipendenti che si prendono cura delle medie imprese quotande e quotate, in Italia anche in questa
fetta del mercato, e non solo per le blue chip, sono pressoché dominanti i principali gruppi bancari nazionali,
che affiancano alla tradizionale attività creditizia anche servizi di investment banking per le imprese che
vogliono quotarsi. Un doppio ruolo che comporta spesso corti circuiti, che con la normativa e i regolamenti
attualmente in vigore vengono gestiti (ma non risolti) semplicemente evidenziandone l'esistenza in poche
pagine del prospetto informativo dell'ipo. E infine va sottolineata la scarsezza di report e analisi sulle medium
e small cap. Sui mercati anglosassoni più o meno tutte le società godono di una copertura da parte di almeno
una casa di ricerca. In questo modo i potenziali investitori possono farsi un'idea, almeno di massima, sulle
potenzialità di un'azienda. Ma non solo, in molti casi ci sono market maker che danno liquidità al titolo,
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 195
garantiscono un corretto equilibrio tra denaro e lettera e controllano, per quanto possibile, le oscillazioni
repentine e ingiustificate. (riproduzione riservata)
Controvalore medio degli ultimi sei mesi e incidenza su volumi totali
460.307
428.869
356.213
Primi 10 su totale Piazza Affari
GLI SCAMBI IN ITALIA...
65,47% Unicredit Intesa Sanpaolo Fiat Chrysler Generali Telecom Italia Banca Mps Saipem Banca Pop. di
Milano GRAFICA MF-MILANO FINANZA 190.034 181.986 126.978 102.509 78.324 73.211 65.450 0 100000
200000 300000 400000 500000 14,6% 13,6% 11,3% 6,03% 5,77% 4,03% 3,25% 2,48% 2,32% 2,08%
Controvalore medio degli ultimi sei mesi e incidenza su volumi totali
458.330
449.155
423.662
Primi 10 su totale Bolsa
... IN SPAGNA...
70,1% GRAFICA MF-MILANO FINANZA Bbv Argentaria B. Santander Telefonica Amadeus It In De Diseno
Text. B. Popular Espanol 144.197 140.266 130.131 109.245 104.828 82.627 76.346 0 100000 200000
300000 400000 500000 15,2% 14,8% 14% 4,77% 4,64% 4,31% 3,61% 3,47% 2,73% 2,53%
Controvalore medio degli ultimi sei mesi e incidenza su volumi totali
364.106
354.328
292.098
250.627
Primi 10 su totale Cac
... IN FRANCIA...45,5% GRAFICA MF-MILANO FINANZA Bollore Total Sanofi Bnp Paribas Societe Generale Axa Airbus
Group Lvmh Orange Schneider Electric 209.391 168.968 153.630 142.891 130.232 119.030 0 100000
200000 300000 400000
Controvalore medio degli ultimi sei mesi e incidenza su volumi totali
Primi 10 su totale Xetra
... E IN GERMANIA
49,1% GRAFICA MF-MILANO FINANZA Daimler Bayer Allianz Siemens Basf Deutsche Bank Volkswagen
Sap Deutsche Telekom Bmw 289.849 272.980 269.873 267.879 267.363 223.200 209.623 197.642 177.445
160.542 0 100000 200000 300000 6,09% 5,74% 5,67% 5,63% 5,62% 4,69% 4,41% 4,15% 3,73% 3,37%
IL PORTAFOGLIO DEGLI INVESTITORI ITALIANI NEL 2013 In miliardi di euro Fonte: Banca d'Italia,
Consob, Covip, Acri GRAFICA MF-MILANO FINANZA Asset Management Banche, Sgr, Sim Fondi pensione
Enti previdenziali Compagnie assicurazione Fondazioni bancarie Totali 4,4 15% 23,9 34% 0,7 5% 1,9 8%
57,8 32% n.a. - 89,6 28% 7,2 25% 32,6 46% 1,4 11% 5,6 22% 43,6 24% n.a. - 91,7 28% 17,4 60% 14,1 20%
10,9 84% 17,5 70% 81,3 44% n.a. - 143,9 44% 29,0 100% 70,6 100% 13,0 100% 25,0 100% 182,7 100%
n.a. - 325,3 100% 143,29 639,6 - 86,0 - 61,1 - 541,8 - 26,8 - 1.5 €tn - Azioni italiane Obbligazioni italiane
Fondi comuni italiani TOTALI Assets Under Management
IPO COMPLETE / RITIRATE 2008-2014 Fonte: Dealogic GRAFICA MF-MILANO FINANZA Boerse Frankfurt
Bolsa de Madrid Borsa Italiana Euronext Paris London Stock Exchange Swiss Exchange Totale 66 13 13 68
137 11 308 12.901 9.639 6.870 8.865 58.003 2.712 25 11 17 7 52 2 114 27% 46% 57% 9% 28% 15% #IPOs
Completate Ritirate Mercato Valore € milioni #IPOs % incidenza su Ipo annunciate
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 196
GLI INDICI DI PIAZZA AFFARI A CONFRONTO NELL'ULTIMO ANNO Base 100 = 20 marzo 2014
GRAFICA MF-MILANO FINANZA FTSE Italia Mid Cap FTSE Italia Star FTSE MIB Mar 14 Apr Mag Giu Lug
Ago Set Ott Nov Dic Gen 15 Feb MNar
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/borsa
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 197
ORSI & TORI Paolo Panerai Il sottosegretario all'Economia, Paolo Baretta, ha confermato di essere un politico affidabile e attento alle
critiche e alle domande dell'opinione pubblica sulla riforma delle banche popolari. Così, con prontezza, ha
risposto alle domande e alle critiche pubblicate su queste colonne nel numero di sabato 14. Sia con un suo
testo sia con un'intervista al canale televisivo Class Cnbc. Le sue idee sono pubblicate all'interno di questo
numero. Gli spunti interessanti sono molti, ma è necessario sottolinearne uno su tutti: la possibilità di
mantenere lo spirito della mutualità, scorporando la banca, che deve diventare una spa, dalla cooperativa,
così come fu fatto a suo tempo con lo scorporo dell'azienda bancaria dalle casse di risparmio trasformate in
fondazione. Baretta dice: la possibilità è emersa nel dibattito e vale la pena di non lasciare cadere l'idea.
Quindi l'esponente del Governo che ha seguito passo passo la riforma delle popolari, con sensibilità, si
preoccupa che il valore della mutualità non vada disperso per quelle popolari che non si sono quotate sul
mercato. Il decreto del Governo non contiene nessuna controindicazione allo scorporo. Si dice che la Banca
d'Italia e la Bce non sarebbero d'accordo. Se così fosse, la Banca d'Italia rinnegherebbe decenni e decenni di
storia in cui i governatori, da Menichella in poi, hanno sempre esaltato i valori della mutualità e comunque
dovrebbe spiegare perché per ubbidire a una legge che impone ad alcune popolari, anche non quotate in
borsa, di trasformarsi in spa non dovrebbe poter avvenire lo scorporo ammesso dal codice civile e, per
esempio, successivamente distribuire ai soci della cooperativa pro quota le azioni, salvo eventualmente un 5-
10% che potrebbe essere conservato dalla cooperativa, da trasformare poi, se si vuole, in fondazione. C'è da
sperare che in Via Nazionale il direttorio della banca centrale italiana voglia prendere carta e penna per far
sapere all'opinione pubblica e alle centinaia di migliaia di azionisti delle popolari se questo divieto esiste ed
eventualmente quale ne sarebbe la ragione, visto che l'Italia è un Paese a economia di mercato, democratico
e dove è consentita la libera iniziativa nel rispetto delle leggi dello Stato. Dottor Kissinger, come è andato
l'incontro con il presidente Xi Jinping? L'ex segretario di Stato americano, l'uomo dall'intelligenza superiore,
artefice della democrazia del ping-pong nel 1972 con il presidente Richard Nixon e Chou En-lai, cammina con
passo sicuro nonostante l'età nella hall del St. Regis a Pechino. È circondato dai suoi collaboratori, ma nel
ricordo di una storica conferenza organizzata da Capital Club e per la comune amicizia con Siro Maccioni di
Le Cirque, si sofferma a parlare. È stato appena ricevuto, martedì 17, dal capo assoluto della Cina, che lo ha
invitato per preparasi al primo viaggio di Stato che compirà negli Stati Uniti a settembre. Henry Kissinger da
anni è alla testa di una delle più ricercate società di consulenze nel mondo e, pur avendo voluto restare fuori
dalla politica, sa come va la politica mondiale, ne conosce tutti i segreti, e appunto può dare consigli anche al
capo supremo di quella che sta per essere, se non lo è già, la più grande potenza economica del mondo.
«L'incontro è stato molto cordiale e del resto come poteva non esserlo. Il presidente mi ha accolto come "the
old friend of China"», risponde con il suo vocione profondo. Oltre a voler conoscere il punto di vista di colui
che fece il miracolo di ristabilire relazione fra Stati Uniti e Cina, il presidente Xi voleva mandare un messaggio
distensivo all'America dopo le frizioni che sono emerse in particolare con il presidente Barack Obama sul
nuovo ruolo che la Cina intende avere nelle grandi aziende americane della tecnologia e nella promozione
con l'adesione dei maggiori Paesi europei (fra cui l'Italia) di Aiib, l'Asian infrastructure investiment bank.
Quello di internet e delle tecnologie commesse è ancora oggi un primato assoluto americano. Ma la Cina non
ama essere inferiore a nessuno neppure nella tecnologia. In più c'è stato il forte avvicinamento fra la Cina e
la Russia quando gli Stati Uniti hanno imposto anche all'Europa la decisione di sanzioni pesanti verso la
Russia. Il primo risultato è stato un contratto da 400 miliardi di dollari di valore per la fornitura di gas alla Cina
da parte della Russia, in larga parte regolato in Rmb, la moneta cinese, nel programma di globalizzazione
della stessa. Ma i giornali cinesi, da sempre non in sintonia con l'Unione Sovietica prima e con l'Urss poi,
sono pieni di resoconti sulle opportunità di sviluppo delle relazioni fra i due Paesi con titoli come questi:
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 198
SinoRussian ties driven by complementarity e con il disegno di una stretta di mano; oppure: Mosca and
Beijing tap potential of small business cooperation. E a Pechino sanno bene che questa evoluzione non piace
affatto a Obama. Quindi attraverso Kissinger il presidente Xi cerca di ricreare un clima migliore per la sua
prossima visita. Anche perché, di fatto, la Cina è il maggior azionista degli Stati Uniti (se così si possono
chiamare i detentori di larga parte dei Treasury bill americani) e quindi il debitore va trattato bene. «Le due
parti», ha detto il presidente cinese, «gestiscono differenze e fatti a sensibilità diverse ma in una costruttiva
volontà di cooperare!». E Kissinger: «Dalle due parti si lavora per la pace, il progresso e lo sviluppo, il che
determina la possibilità di creare un nuovo modello di relazioni fra i maggiori Paesi e ciò è nell'interesse sia
della Cina che degli Stati Uniti». Siamo quindi alla vigilia di un nuovo cambiamento degli assetti e del mondo,
dopo il fenomeno voluto della globalizzazione e dopo la decisione di far entrare la Cina nel Wto, cioè
nell'organo che regola gli accordi del commercio internazionale e le tariffe doganali? I fermenti sono molti e si
colgono bene a Pechino, dove la globalizzazione e le regole del Wto hanno determinato uno sviluppo
forsennato, accelerandolo a un livello che lo stesso padre della nuova Cina, Deng Xiaoping, non avrebbe mai
immaginato. Ma la Cina ha ancora circa 400 milioni di persone che non muoiono di fame, come succedeva e
succede in India, ma che certo non sono ancora inserite in una società del benessere come si può concepire
nel mondo occidentale. «La globalizzazione è stata voluta dal mondo occidentale guidato dagli Stati Uniti
perché la macchina di produzione dei beni di consumo si stava fermando. C'erano già troppe lavatrici nel
mondo occidentale, tanto per intenderci, e i tempi della loro sostituzione non garantivano alle fabbriche di
poter continuare a essere attive», ha spiegato con effica( segue da pagina 3 cia proprio a Pechino, Carlo
Calenda, viceministro dello Sviluppo economico in missione per poter far crescere l'export in Cina e gli
investimenti cinesi in Italia. «Funzionale alla globalizzazione è stato l'ingresso della Cina nel Wto. Si è creato
in questo modo nel mondo uno sviluppo nuovo ma foriero anche di problemi che poi si sono scaricati nello
scoppio della bolla finanziaria». Calenda, che grazie al lavoro fatto insieme all' Ita-Ice porta a casa risultati
concreti per la firma di contratti di aziende italiane con aziende cinesi, si riferisce al periodo in cui il mondo è
cresciuto a Occidente e Oriente senza inflazione. Estimatore di questo apparente miracolo, non previsto in
nessun libro di teoria economica, era stato l'allora presidente della Federal Reserve americana, Alan
Greenspan, il quale sosteneva, cogliendo nel vero ma senza prevederne le conseguenze, che l'ingresso nel
sistema produttivo mondiale di 400-500 milioni di cinesi avrebbe fatto crescere così tanto la produttività da
generare appunto una forte crescita senza inflazione. La Federal Reserve di Greenspan ha alimentato questo
fenomeno immettendo molta liquidità nel sistema, che alla fine si è concentrata nella speculazione finanziaria
esasperata delle banche e finanziarie americane, fino al caso Lehman. In Cina il vorticoso sviluppo ha
favorito arricchimenti impensabili ma anche fenomeni di corruzione che ora la determinazione del presidente
Xi sta mettendo a nudo. Il rigore inevitabilmente crea un rallentamento dello sviluppo, ma rende più sana la
crescita di cui comunque la Cina ha bisogno. «Non si può dire oggi di quanta crescita abbia bisogno la Cina
per evitare rischi sociali», ha sostenuto Calenda. «Ogni Paese ha bisogni diversi. Per esempio l'Egitto se
cresce meno del 5% crea disoccupazione. Per la Cina può bastare il 6% di cui si parla, anche se la crescita
del primo trimestre viene indicata al 7%? Occorrerà vedere quale sarà la crescita dei consumi interni, che
comunque costituiscono una grande opportunità per il sistema manifatturiero italiano e per i prodotti classici
del made in Italy». Infatti, ancora oggi il 25% delle esportazioni italiane in Cina è rappresentato da
macchinari, che sono utili all'industrializzazione del Paese che tuttavia comincia a essere avanzata. Per
questo nei programmi di promozione dell'Italia in Cina (e non solo) Calenda è riuscito a far stanziare oltre 250
milioni contro i 23 che aveva trovato quando entrò nel Governo Monti. Larga parte va al sostegno del fashion
e del vino. Quindi di prodotti di consumo, nella convinzione che appunto i consumi interni cinesi debbano
crescere e cresceranno. Ma cresceranno anche gli investimenti cinesi in Italia, che conteggiando tutto hanno
probabilmente già raggiunto, secondo Calenda,i 15 miliardi. Una spinta importante, anche se non voluta dal
Governo presieduto da Matteo Renzi, sta avvenendo per un passaggio di partecipazioni in Italia di aziende
russe a gruppi cinesi. In prima linea la Bank of China, guidata da Tian Guoli, profondamente convinto che
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 199
l'Italia debba essere un Paese di approdo dei capitali cinesi per acquisire tecnologia e capacità manageriale
dalle pmi italiane a vantaggio delle pmi cinesi, che contrariamente a quanto si può pensare rappresentano
oltre il 42% del prodotto interno lordo (pil). Un assaggio di quanto sta per avvenire è il probabile passaggio
della quota posseduta in Pirelli dalla russa Rosneft a gruppi cinesi con la regia di Bank of China. È questo
l'effetto, deleterio, delle scelte politiche di Obama, che ha preteso di cambiare i confini del mondo di influenza
della Russia con le promesse all'Ucraina, spingendo l'Ue (anche per la pressione in tal senso della Polonia) e
la Nato a ipotizzare che un Paese da sempre legato alla Russia potesse essere sottratto al controllo di
Vladimir Putin. Il motivo è sempre lo stesso: il tentativo di esportare il modello di democrazia occidentale,
come se la democrazia fosse un prodotto e non l'evoluzione della coscienza di se stessi dei popoli. Sono i
casi dell'Afghanistan, i casi dell'Iraq, i casi più recenti della Libia (con una partecipazione attivissima di
Francia e Inghilterra al tentativo di ridurre il ruolo petrolifero dell'Italia), della primavera dell'Africa del Nord,
riuscita solo in Tunisia, dove la capacità di autodeterminarsi dei tunisini era superiore a quella di tutti gli altri
Paesi, messa a dura prova però dagli integralisti con i recenti attentati. E per fortuna che in Egitto c'era la
struttura forte dell'esercito, altrimenti si sarebbe determinato il disastro di non avere, con gli integralisti al
potere sotto le piramidi, nessuna forza militare in grado di contrastare la follia dell' Isis. Le insensate sanzioni
economiche verso la Russia riguardano direttamente l'Italia, così come la destabilizzazione della Libia e degli
altri Paesi africani e arabi, dai quali nasce il flusso inarrestabile di migrazione. Si capisce quindi perché
Kissinger ha parlato a MF-Milano Finanza della necessità di creare un nuovo modello di relazioni fra i grandi
Paesi e che quindi la visita a settembre del presidente cinese Xi sia molto importante anche per il resto del
mondo. Sicuramente ci saranno frizioni, che Xi cerca di moderare non solo avendo messo in campo Kissinger
(e occorre vedere se Obama, diventato sempre più estremista in questo pezzo di fine mandato, lo ascolterà).
Un altro passo importante è stato ricevere nei giorni scorsi il presidente di Harvard, Drew Gilpin Faust, con la
quale, consapevole dell'influenza della prima università americana, ha usato parole simili a quelle dette a
Kissinger. Ecco come si fa anche politica estera. Negli ultimi anni l'Italia ha guadagnato posizioni e credibilità
in Cina, sia per il lavoro dell'ambasciata guidata negli ultimi anni da Alberto Bradanini, sia per la determinante
visita circa un anno fa del presidente Renzi, sia per la costituzione del Business Forum ItaliaCina, di cui
tuttavia è stata annullata la sessione prevista per metà marzo non potendo più essere presidente per la parte
italiana Andrea Guerra (non essendo più imprenditore) e per l'indisponibilità per altri impegni del
vicepresidente Federico Ghizzoni di Unicredito, mentre Tian Guoli, presidente per la parte cinese, era
disponibile. Il prossimo Business Forum si terrà l'8 giugno a Milano, all'interno dell' Expo, mentre una nuova
missione ci sarà fra un mese, in occasione della visita ufficiale del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Con
lui dovrà esserci anche il nuovo ambasciatore, non ancora scelto, in quanto Bradanini rientra a Roma per
limiti di età. Pechino è diventata ormai una sede quasi più importante di Washington, anche per capire dove
andrà il mondo e la Gran Bretagna ha sorpreso i cinesi mandando come ambasciatore una donna, Barbara
Woodward, che parla perfettamente cinese. (riproduzione riservata) Paolo Panerai
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 200
INTERVISTA La storia ci darà ragione Caroline Roth Cnbc Quando Thomas Jordan, il numero uno della Banca Nazionale Svizzera, annunciò, a sorpresa, la decisione di
eliminare il tasso di cambio minimo di 1,20 franchi per euro, gli operatori non gli risparmiarono feroci critiche.
Adesso, a poco più di 2 mesi di distanza da quella decisione, Jordan la difende a spada tratta e spiega
addirittura che il franco resta ancora sopravvalutato e soprattutto non esclude nuovi interventi Domanda.
Mister Jordan, r i f a r e b b e quella scelta? Risposta. Era l'unica possibile considerando il mercato
internazionale dei cambi: a gennaio il tasso minimo era diventato inadeguato. Una volta che ci siamo convinti
che il tetto non fosse più sostenibile abbiamo dovuto muoverci molto velocemente. D. Eppure sono arrivate
critiche anche feroci. R. È stata la decisione giusta e penso che adesso sia chiaro praticamente a tutti. Non
era più una situazione sostenibile e posporre l'intervento anche di un paio di mesi avrebbe avuto costi enormi
e potenzialmente causato molte perdite per l'economia svizzera. D. Molti sostengono che la vostra credibilità
ne abbia sofferto. R. Al contrario. Siamo convinti che ne avrebbe sofferto se avessimo rimandato la decisione
all'estate. L'impatto sui bilanci sarebbe stato devastante. D. C'è stato un forte dibattito in Parlamento sulla
trasparenzae affidabilità della Banca Nazionale Svizzera. R. Siamo molto trasparenti, spieghiamo tutte le
nostre decisioni, pubblichiamo anche report molto dettagliati e spieghiamo regolarmente le nostre decisioni
alle commissioni parlamentari. D. Come mai non avete ulteriormente tagliato i tassi oggi? Perché avete
tenuto la vostra politica monetaria in stallo, nonostante la pressione sul franco svizzero sia ancora molto alta?
R. Siamo già andati molto lontani abbassando i tassi a -0,75 punti base, dal momento che siamo l'unica
banca centrale, insieme a quella danese, ad avere una tasso di interesse così basso. Quindi adesso
aspettiamo e vediamo quale sarà l'impatto di questa manovra. D. Come ha sottolineato, non siete l'unica
banca centrale ad avere tassi negativi. Questo cosa significa per una piccola economia come quella
svizzera? R. Ovviamente abbiamo spill over da parte di altri Paesi, le piccole economie hanno difficoltà in
questo momento ad aggiustare la propria politica monetaria. Quindi per noi è molto importante poter
abbassare i tassi nominali. Ci deve essere una differenza tra i tassi svizzeri e quelli degli altri Paesi, come è
sempre stato. D. I tassi negativi stanno funzionando? R. Se la Svizzera avesse tassi più alti sarebbe un invito
a investire nel franco. Il franco è largamente sopravvalutato, quindi nel tempo questo esperimento dovrebbe
aiutare ad alleviare la pressione e a deprezzare la moneta. D. Come previsto avete tagliato le aspettative di
crescita e di inflazione. È quasi sorprendente che vi aspettiate ancora un 1% di crescita per la Svizzera
quest'anno. La vostra economia è forse più resistente di quello che si crede? R. In dicembre ci aspettavamo
una crescita al 2% del pil, adesso siamo scesi all'1%. Si tratta di una correzione significativa. Probabilmente
l'economia svizzera è più flessibile di altre, nonostante questo è un calo importante; ora per molte industrie
svizzere è il momento di adeguarsi a questa nuova situazione, specialmente per il settore manifatturiero e per
le aziende export oriented. Siamo di fronte a una situazione molto complessa, è un grosso cambiamento e
ora è difficile adeguarsi a questa condizione. D. Avete anche tagliato l'aspettativa per il tasso di inflazione,
pure senza parlare di deflazione. R. Abbiamo un'inflazione negativa, che resterà tale almeno per il 2015 e il
2016. È meno di quanto vorremmo, ma ci sono due shock: uno è il prezzo del petrolio, l'altro è il tasso di
cambio. Quindi sarà molto difficile fare qualcosa in merito nel breve termine. L'inflazione è più bassa del
nostro obiettivo, ma quello che non vediamo è il rischio di una spirale deflazionistica. Non ci aspettiamo che
questo basso livello di inflazione abbia un impatto profondo sul comportamento dei consumatori che non
rimanderanno i propri consumi. Per questo la speranza è che l'inflazione risalga. D. Qual è il rischio maggiore
per la Svizzera? R. Russia e Grecia sono ovviamente importanti fonti di rischio, non di per sé, ma nel caso
abbiano un impatto sull'economia globale, soprattutto su quella europea. Gli influssi sulla Svizzera sarebbero
importanti, è ovvio che il rischio geopolitico esiste. D. A suo avviso, dunque, il vostro mandato si è rafforzato.
R. Operare nel settore delle banche centrali è stato difficile negli ultimi sette anni. Ci sono state molte
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 201
discussioni in Svizzera riguardo alle nostre decisioni sui tassi di interesse. Ma è stato molto importante
spiegare all'opinione pubblica e, in particolare, alle aziende le nostre motivazioni. Ci sembra che abbiano
capito. (riproduzione riservata)
EURO/FRANCO 22 dic '14 20 mar '15
Foto: Thomas Jordan
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/svizzera
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 202
INTERVISTA Se Pechino fiuta l'affare Mariangela Pira L'interesse dei cinesi nei confronti di Pirelli non sorprende affatto Alberto Forchielli, presidente di Osservatorio
Asia, che proprio su MF-Milano Finanza aveva spiegato come stia cambiando la filosofia degli investimenti
cinesi in Europa, orientati sempre più ad asset industriali e meno a quelli finanziari. Dopo gli acquisti di
partecipazioni nelle principali blue chip di Piazza Affari da parte della banca centrale cinese, e il salvataggio
di gruppi come Ferretti o Ansaldo, arriva l'opa nei confronti di una società quotata a Piazza Affari.
Protagonista è il gruppo statale China National C h e m i c a l Corporation, che fa parte della classifica
Fortune 500 e si definisce la più grande società chimica cinese, la 19ma a livello globale. Nel 2013 gli asset
totali di Chem China sfioravano i 41 miliardi di euro e il fatturato oggi è circa 70 miliardi. Ecco come stanno
cambiando gli investimenti cinesi in Europa Domanda. L'ha sorpresa la mossa su Pirelli di China National
Chemical Corporation? Risposta. È una cosa normalissima.I cinesi nel settore automotive comprano tutto
quello che si può acquistare perché le loro macchine sembrano quelle di Topolino. Sono riusciti a fare passi
da gigante su internet,a dominare negli smartphone e creare imprese molto forti nelle biotecnologie e
nell'aerospaziale. Sugli pneumatici però sono nella parte bassa del mercato e sono anche soggetti
all'antidumping americano. D. L'unico compratore possibile per Pirelli poteva dunque essere solo cinese. R.
O russo. Ma visto che in questo caso tra i venditori c'è anche un gruppo russo, l'acquirente non può che
essere cinese. Ciò sottolinea anche il forte legame Russia-Cina. D. Ma stavolta investono direttamente in
Borsa con un'Opa, non era mai successo prima in Italia. R. È un'operazione industriale, come altre prima di
questa, seppure su gruppi non quotati. Gli altri investimenti in società quotate erano stati fatti dalla Banca
centrale cinese ed erano investimenti finanziari, idem per quelli fatti tramite la Cdp. Questa invece è una
cooperazione industriale. D. Come hanno fatto in Francia con Club Med. R. Esatto. In Italia è la prima ma
dopo Club Med in Francia e Smithfield negli Usa, non dimentichiamolo. Stessa metodologia. Ma non
dobbiamo guardare il dito. C'è un movimento in atto. Nella maggior parte dei settori maturi alla fine sono i
cinesi a comprare, dai server dell'Ibm alla Volvo, dalla Motorola a un pezzo di Peugeot, da Ansaldo Energia a
Ferretti. Che poi succeda sul mercato o fuori non vuol dire nulla. Hanno bisogno di comprare e in questo caso
per ottenere ciò che gli serve è necessaria un'Opa. D. Nell'ultimo anno c'è stata una forte accelerazione degli
investimenti cinesi in Europa e il fenomeno continua in modo deciso. Cosa significa in prospettiva quanto
stiamo vedendo su Pirelli? R. I cinesi vedono l'euro ai minimi e l'Europa in difficoltà, e hanno bisogno di
marchi e know-how. Cosa c'è nel settore meglio di Pirelli oggi? Negli pneumatici la Cina sta addirittura peggio
dell'India. Nell'auto è la stessa cosa, gli indiani infatti stanno facendo belle macchine a partire da Jaguar.È il
solo settore in cui i cinesi comprano tutto quello che è in vendita. E dall'altra parte c'è Pirelli che ha bisogno
dei loro soldi. D. L'Europa costa poco insomma. R. Per i cinesi l'Europa non costa nulla e l'euro è svalutato.I
cinesi hanno i soldi e il potere per fare tutto ciò che vogliono. D. Non è così negli Usa però. R. Tenete
presente che lì i cinesi non possono fare acquisizioni strategiche perché esiste un meccanismo che si chiama
Cfius che li blocca.È un organo interministeriale presieduto dal Tesoro cui partecipano anche i ministeri del
Commercio e della Difesa, oltre alla Cia. Quando Cfius dice no è no e i cinesi neanche ci provano. Detto
questo non credo che l'organo americano avrebbe bloccato l'acquisizione di un gruppo di pneumatici. D. Lei
vedrebbe un meccanismo come il Cfius anche in Europa? R. A volte c'è da porsi il problema. In Cina non puoi
comprarti ciò che vuoi. C'è un'asimmetria che non va bene e andrebbe eliminata. Loro possono comprare le
nostre banche ma non viceversa, questa è la verità. E ora siamo troppo deboli per imporre qualsiasi cosa.
Non c'è alcun organo che possa valutare l'importanza strategica o se e perché loro possono comprare. Il
mercato degli pneumatici forse non è così importante ma in questo momento sto pensando ad altri settori.
Compri i saloni dei parrucchieri,i bar, gli appartamenti,e arrivi a Pirelli. È un processo lungo e l'abbiamo voluto
noi. D. La questione che preoccupa in questi casi è la cessione del know-how, cui ovviamente i cinesi sono
21/03/2015 11Pag. Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015(diffusione:100933, tiratura:169909)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 203
interessati. R. GM ai tempi si rifiutò di vendere Saab per non cedere i brevetti. La lasciò fallire piuttosto che
vender loro il know-how. Non so se hanno fatto bene. D. In che senso? R. Secondo me qui non è tanto
questione di know-how, quanto di distribuzione e branding. Io non penso vengano a conoscenza di chissà
quali segreti strategici.E comunque la direzione d'ora in poi sarà questa, dalle aziende di Stato a quelle
industriali compreranno tutto quello che è in vendita. D. In base alla sua esperienza, come valuta questo
shopping cinese rispetto anche al valore industriale del nostro Paese? R. Come l'ennesimo segnale di
capitolazionee della lenta resa di una classe imprenditoriale. O delocalizziamo,o portiamo le aziende fuorie le
rendiamo meno italiane,o vendiamo.A volte falliscono, vedi Ilva o le due Ansaldo. Della Fiat, di Pirelli, delle
altre aziende storiche del dopoguerra italiano è rimasta forse solo Piaggio. Per ora. (riproduzione riservata)
Foto: Alberto Forchielli
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 204
RIASSETTI Pirelli parla mandarino Manuel Follis Si pensava che la Pirelli del futuro avrebbe parlato russo e invece in tre giorni è cambiato tutto e salvo
sorprese dell'ultimo minuto la galassia della Bicocca si spingerà ancora più a Oriente e parlerà mandarino.
Guardare dall'alto l'operazione che porterà il colosso cinese China National Chemical Corporation
(ChemChina) a detenere la maggioranza del veicolo che lancerà l'opa su Pirelli finalizzata al delisting fa un
po' impressione, visto che si tratta del quarto riassetto in cinque anni. Le negoziazioni in corso
comporterebbero il trasferimento dell'intera partecipazione di Camfin in Pirelli al prezzo di 15 euro per azione
a una newco di diritto italiano, controllata da ChemChina (che gode alle sue spalle della regia di Bank of
China) con contestuale, e probabilmente parziale, reinvestimento nella newco degli azionisti Camfin (tra cui
figurano i soci storici di Marco Tronchetti Provera come le famiglie Rovati e Sigieri Diaz). Successivamente
dovrebbe essere lanciata un'opa totalitaria, sempre al prezzo di 15 euro (per un valore superiore a 5 miliardi),
che porterebbe al delisting di Pirelli. Le azioni della società hanno chiuso a Piazza Affari in rialzo del 2,21% a
15,23 euro, ma nel corso della seduta di venerdì 20 marzo sono arrivate a toccare quota 15,81, facendo
segnare i nuovi massimi storici. L'operazione, ha spiegato Camfin in una nota, «è finalizzata a garantire
stabilità, autonomia e continuità nel percorso di crescita del gruppo Pirelli che manterrebbe gli headquarter in
Italia». ChemChina è un colosso da 244 miliardi di yuan di fatturato (circa 36 miliardi di euro), al 19esimo
posto tra le big mondiali della Cina e al 355esimo nella classifica 500 di Fortune. Si tratta di un'azienda
statale nata nel 2004, guidata da Ren Jianxin e controllata dalla Sasac, il braccio del governo di Pechino cui
fanno capo buona parte delle industrie di Stato cinesi. L'azienda opera in sei diversi settori, che vanno dalla
chimica dei nuovi materiali alla gomma (tyre, appunto), ed è presente in 140 Paesi con 118 controllate, tra cui
nove quotate, 6 divisioni e 24 centri di ricerca, con 140 mila dipendenti. Da quando ChemChina ha intrapreso
un cammino di crescita globale, la strategia ha comportato una serie di acquisizioni all'estero. Dall'Europa
all'Australia, ChemChina ha fatto parecchio shopping negli ultimi anni: tra le operazioni più importanti,
l'acquisizione della francese Adisseo e dell'australiana Qenos (rispettivamente nel 2005 e nel 2011),
l'acquisto della norvegese Elkem e di una quota di controllo nell'israeliana Makhteshim Agan, sesto
produttore mondiale di pesticidi. Adesso invece è il turno di Pirelli. L'obiettivo dichiarato, però, è «integrare le
culture delle aziende acquisite, valorizzando le rispettive peculiarità industriali e senza atteggiamenti ostili».
Un messaggio rassicurante che rende verosimili le indiscrezioni secondo cui la governance e i patti della
nuova Pirelli garantirebbero che il controllo rimanga nelle mani dell'attuale presidente Marco Tronchetti
Provera, almeno per i prossimi anni. Un aspetto non secondario, visto che i primi interventi politici sul tema
hanno avuto come obiettivo proprio la difesa dell'italianità dell'azienda. «Vediamo come si configura
l'operazione, per noi è molto importante che le attività della Pirelli restino radicate in Italia e che la Pirelli resti
un componente essenziale e trainante del tessuto economico italiano», ha spiegato il vice ministro allo
Sviluppo Economico, Claudio de Vincenti, commentando la vicenda e il possibile ingresso di un gruppo nel
capitale della Bicocca. Bisogna guardare bene l'operazione, in sé, ha aggiunto, ma «il fatto che i capitali
esteri siano attratti dall'Italia è una cosa positiva, ovviamente dipende da come si configurano gli
investimenti». L'ingresso dei cinesi consentirà prima ai soci di Camfin e successivamente con il lancio
dell'offerta a tutti gli azionisti Pirelli di monetizzare la propria partecipazione al prezzo di 15 euro. Oltre a
Rosneft, che ha il 50% di Camfin, gli altri soci sono Nuove Partecipazioni (Tronchetti Provera e altri), Intesa
Sanpaolo e Unicredit. Di fatto è quasi scontato che ChemChina sostituirà Rosneft (che è entrata nella partita
al prezzo di 12 euro) come azionista di riferimento della Bicocca con Camfin che potrebbe incassare quasi 2
miliardi (permettendo non solo a Rosneft di monetizzare, almeno parzialmente, l'investimento). «Pensiamo
che gli attuali azionisti di riferimento (con la probabile eccezione di Rosneft) terranno le loro quote nella
società virtualmente ferme, anche se Camfin vende le sue quote in Pirelli», spiegano gli analisti Banca Akros.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 205
Dell'opa su Pirelli potrebbero beneficiare, tra gli altri, la famiglia Malacalza (6,98%) o Mediobanca (4%). Uno
degli aspetti singolari della vicenda è il passaggio di una società italiana dai russi ai cinesi, così come sembra
stia avvenendo nella telefonia. Nel caso specifico sarà Rosneft a beneficiare della liquidità di ChemChina
(vendendoa 15 euro azioni compratea 12, con un guadagno del 25%), mentre qualora effettivamente Wind
finisse per unirsi in matrimonio con3 Italiae H3G finisse per avere la maggioranza assoluta del nuovo
operatore, sarebbe Vimpelcom (russa) a incassare liquidità da parte di Hutchison Whampoa. «Noi siamo
felicissimi di collaborare con la Cina su tutti i formati», è stato il commento del ministro dell'Industria e del
Commercio russo Denis Manturov. Al di là dei dettagli del riassetto Pirelli, che saranno resi noti con il via
libera all'operazione che partirà da Nuove Partecipazioni e poi seguirà con gli altri soci fino a Camfin, resta la
sensazione che un altro grande gruppo italiano stia per lasciare il Paese. Pirelli è senza dubbio uno dei
simboli dell'industria italiana a livello internazionale, dagli pneumatici della Formula 1 alle bellezze
immortalate nel calendario, ormai famoso in tutto il mondo. È vero che Pirelli, come molte altre aziende
italiane, nel tempo ha espanso molto la sua attività all'estero, sia delocalizzando la produzione (solo due
stabilimenti su 19 sono in Italia) sia appunto aprendo il capitale agli stranieri e facendo entrare i russi di
Rosneft con il 50% in Camfin ma l'uscita dall'Italia - e dalla borsa- di una società del pedigree e della storia di
Pirelli fa comunque impressione. (riproduzione riservata)
PIRELLI & C. 22 dic '14 20 mar '15 quotazioni in euro Var.% sul 22 dic '14 15,2 € +37,6%
I RIASSETTI DI PIRELLI Giugno 2009 Giugno 2010 Luglio 2010 Agosto 2012 Dicembre 2012 Giugno 2013
Ottobre 2013 Giugno 2014 Agosto 2014 Marzo 2015 Camfin apre il capitale alla famiglia Malacalza
Malacalza cresce nella galassia della Bicocca e entra anche in Gpi Il mattone esce dall'orbita Pirelli, nasce
Prelios Scontro nell'azionariato tra Tronchetti Provera e Malacalza La Mtp da Sapa diventa Spa. Entrano
Rottapharm e Sigieri Diaz Opa di Lauro 61 su Camfin. Malacalza fuori dalle holding e dentro Pirelli Si scioglie
il patto Pirelli, Camfin verso il delisting Altri accorpamenti e semplificazioni della galassia Mtp Entra Rosneft in
Camfin, in trasparenza diventa primo azionista Possibile opa su Pirelli insieme al colosso cinese Chem China
LA COMPOSIZIONE DELLA GALASSIA PIRELLI Fidim (Rovati) Carlo Acutis Massimo Moratti Alberto Pirelli
Gwm (Sigieri Diaz Pallavicini) Intesa Sanpaolo Unicredit Rosneft Malacalza Investimenti Edizioni srl
Mediobanca Istituzioni italiane Investitori Istituz. Internaz. Retail e altri 7% 4,6% 4,1% 2,6% 43,6% 11,9%
50% 12% 12% 6% 6,2% 11% 22,4% 50% 76% 52% 26,2% Pirelli & C. Spa 52 52 52 52 52% Mtp 100%
Tronchetti 0 50 50 50 50% Coinv 26 26 26 26 26 26 26 26 2 ,2% Camfin 76 76 76 76 76 76 76 76% Nuove
Partecipazioni
Foto: Marco Tronchetti Provera
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/pirelli
21/03/2015 12Pag. Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015(diffusione:100933, tiratura:169909)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 206
Per crescere prima e meglio ci vuole più «womenomics» Il lavoro femminile aumenta, ma l'impatto sul Pil è ancora limitato Fabrizio Galimberti Quali sono le fonti della crescita economica? Per crescere ci vogliono braccia, macchine e cervelli. Le braccia
sono l'occupazione, il lavoro; le macchine sono il capitale: macchinari, case, capannoni, ponti, strade...; i
cervelli (terzo e importante elemento) sono la produttività: quella "polverina magica" di cui abbiamo parlato in
passato (Il Sole Junior, 30 giugno e 7 luglio 2013) che combina lavoro e capitale in modi sempre più
produttivi, con il progresso tecnico, l'organizzazione del lavoro, la qualità delle istituzioni...
Abbiamo dimenticato un altro fattore di produzione: le risorse, cioè terra, mari, minerali.... Ma oggi vogliamo
concentrarci sulle... donne. Cosa c'entrano le donne con la crescita? C'entrano, eccome. Perché, quando si
parla di braccia e di cervelli, questi fattori della produzione possono essere declinati al maschile e al
femminile. Il capitale umano è forse il capitale più importante di tutti e per far crescere l'economia bisogna che
questo capitale sia (come si diceva del rancio dei soldati) "ottimo e abbondante". Il capitale umano (braccia e
cervelli) crea il capitale fisico (macchine e costruzioni) ed elabora la "polverina magica" che fa lievitare
l'economia.
Il problema è che di questo capitale umano la metà - quella femminile - è scarsamente utilizzata. Anche là
dove la popolazione non cresce, o addirittura diminuisce (come è il caso della Germania o del Giappone) quel
che è importante, per la crescita economica, non è il numero di abitanti, ma il numero di lavoratori. Andiamo a
vedere la popolazione in età di lavoro (da 15 a 64 anni) e calcoliamo la quota di occupati su quel totale, divisa
fra uomini e donne. Un po' in tutti i Paesi, la quota di occupazione femminile è più bassa di quella maschile.
Se questa quota crescesse più rapidamente (in effetti è andata crescendo, anche se rimane più bassa) ne
beneficerebbe la crescita, economica e sociale. Il problema è importante anche perché con l'invecchiamento
in corso della popolazione (la natalità è bassa e la gente vive più a lungo) coloro che lavorano dovranno
mantenere stuoli crescenti di anziani. I rimedi, se non si vuole tassare ancora di più chi lavora, sono tre:
allungare l'età di pensionamento, ridurre i trattamenti di pensione, o aumentare il numero di coloro che
lavorano. Certamente, dei tre rimedi quello di gran lunga preferibile è l'aumento dell'occupazione. E il modo
più diretto di farlo è quello di ricorrere a un particolare "giacimento": il giacimento del lavoro femminile,
attirando nella forza lavoro le donne che ne sono tenute al margine.
Il grafico mostra come in Italia il tasso di occupazione femminile sia particolarmente basso. Il numero di
donne occupate è andato aumentando (vedi il confronto fra gli andamenti dell'occupazione maschile e
femminile in Italia e in America) ma molta strada resta ancora da fare. Per l'Italia, insomma, c'è una buona
notizia e una cattiva notizia: l'occupazione femminile aumenta ma il numero di donne occupate è troppo
basso.
Perché l'occupazione femminile aumenta? L'aumento dipende essenzialmente dalla composizione dell'attività
economica. In tutti i Paesi, e anche in Italia, diminuisce la quota di attività che è legata alla produzione di
"cose" (manifatturiero, agricoltura e costruzioni) e aumenta la quota dei servizi (pubblici e privati). La
produzione di cose era tradizionalmente dominata dal lavoro maschile, spesso pesante, mentre la produzione
di servizi è più accessibile alle donne. Inoltre, la scolarizzazione femminile è andata procedendo più
rapidamente di quella maschile, e questo ha reso le donne più "impiegabili" di prima.
Perché il tasso di occupazione femminile in Italia è così basso? La risposta si divide in due. Il problema è
generale: il tasso di occupazione complessivo (maschi e femmine) è basso. In percentuale della popolazione
in età di lavoro, nel 2013, gli occupati maschi erano in Italia il 65,8%, contro una media di 73,2% per i Paesi
Ocse. Un classamento basso, che dipende da difetti di fondo del sistema economico italiano, che non riesce
a produrre posti di lavoro: molte imprese nascono ma non riescono a crescere, per ostacoli alla concorrenza,
22/03/2015 10Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 208
cattive infrastrutture, vincoli burocratici, pesantezza del fisco, scarso rispetto dei valori di mercato... . Ma la
differenza fra Italia e media Ocse nel tasso di occupazione, che è di circa 7 punti per gli uomini, diventa di 10
punti per le donne. Abbiamo bisogno quindi di altre ragioni per spiegare la minorità del lavoro femminile.
La risposta è allora legata non alla domanda di lavoro (delle imprese) ma all'offerta di lavoro (delle lavoratrici).
Qui le ragioni sono culturali. La figura tradizionale della donna legata alla casa è dura a morire e il lavoro
femminile viene guardato, magari inconsciamente, con sospetto. Là dove l'emancipazione della donna è
meno pronunciata (come vedete dal grafico, Spagna, Italia e Grecia sono agli ultimi tre posti nel tasso di
occupazione femminile) la presenza nella forza-lavoro è più bassa.
I rimedi? Certo, si potrebbe dire: date tempo al tempo. L'occupazione femminile sta aumentando per conto
suo, per le ragioni sopra dette. Ma molto si può - e si deve - fare per accelerare questo processo. Le ragioni
'culturali' accennate prima stanno svanendo rapidamente, specie per le generazioni più giovani, ma
permangono ostacoli a una maggiore partecipazione femminile: primo, il problema di conciliare maternità e
lavoro. Nei Paesi ove più diffuso è il ricorso ad asili nido, l'occupazione femminile è più alta. E naturalmente,
la cura dei figli e della casa può essere più equamente distribuita fra uomini e donne, con norme che
prevedano congedi di paternità e non solo di maternità.
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Occupati Italia, 1977-2014. In milioni
Occupati Usa, 1977-2014. In milioni
Tasso di occupazione donne, in % della popolazione femminile
Nota: in età di lavoro: 15-64 Fonte: elaborazioni del Sole 24 Ore su dati Ocse
Fonte: elaborazione Il Sole 24 Ore su dati Istat, Bls -
Fonte: elaborazione Il Sole 24 Ore su dati Istat, Bls
Le ragioni culturali che ostacolano il lavoro delle donne stanno svanendo, ma permangono ostacoli
a una maggiore partecipazione femminile: primo, il problema di conciliare maternità e lavoro
Braccia, macchinari e cervelli sono le fonti della crescita economica.
Braccia e cervelli (il capitale umano), rappresentano la risorsa più importante, in grado di organizzare il lavoro
in modo sempre più produttivo
Purtroppo la metà del capitale umano, quella femminile, è scarsamente utilizzata . Eppure, con più donne al
lavoro, il pil crescerebbe non solo in maniera diretta, ma anche indiretta, grazie alla domanda aggiuntiva di
servizi
PER SAPERNE DI PIÙ
Il lavoro femminile in tempo di crisi.ppt - di Linda Laura Sabbadini, Capo Dipartimento per le statistiche
sociali ed ambientali - Vedi sito Istat.it
R a p p o r t o s u l l a c o e s i o n e s o c i a l e - V e d i :
http://www.lavoro.gov.it/Notizie/Documents/Rapporto%20Coesione%202013%20%20Volume%20I_30dicemb
re%20ore%2013%20(2).pdf
Why Gender Matters in Economics, di Mukesh Eswaran, Princeton University Press, 2014
Gender Equality as Smart Economics: A World Bank Group Gender Action Plan, Banca Mondiale,
Washington - Vedi: http://siteresources.worldbank.org/INTGENDER/Resources/GAPNov2.pdf
Foto:
NOI E GLI ALTRI: LE DONNE E IL MONDO DEL LAVORO
22/03/2015 10Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 209
Imprese, le magnifiche 813 su cui puntare La ricerca di Banca CR Firenze sulle eccellenze dell'economia toscana per finanziarne i progetti di sviluppo MAURIZIO BOLOGNI MENTRE l'economia delle aziende affondava, questi "campioni" dell'imprenditoria facevano affari d'oro. Nel
periodo più nero della crisi, tra il 2008 e il 2012, i loro fatturati sono cresciuti in media del 34,2%, mentre la
marginalità (Ebitda) del loro business è salita in media del 12,2% all'anno. Sono le eccellenze dell'economia
toscana, 813 imprese "campione" come appunto le definisce una ricerca commissionata da Banca CR
Firenze, che ritiene di dover scommettere su queste aziende, finanziandone i progetti di sviluppo, nella
convinzione che la loro azione possa suscitare un effetto traino nei confronti di chi invece fa meno veloce,
arranca, si è fermato. Il progetto si chiama "Per la Toscana. Opportunità sul territorio" ed è stato presentato
ieri agli addetti ai lavori. E' un'indagine sui dati economici e socio-demografici delle eccellenze, per
individuare i comportamenti vincenti, da estendere poi alle aziende "potenziali campioni".
Soprattutto aziende familiari, tante pmi, moltissime imprese di fornitura e quindi non brand. Lo studio
commissionato all'Università di Firenze da Banca Cr Firenze e dalla Direzione Regionale Toscana, Umbria,
Lazio e Sardegna di IntesaSanpaolo traccia l'identikit dei "campioni" con non poche soprese. Il 36% delle
magnifiche 813 ha un fatturato tra i 2 e i 5 milioni di euro, il 27% tra i 5 e i 10 milioni di euro, il 28% tra i 10 e i
30 e solo il restante 9% ha un fatturato che supera i 30 milioni di euro all'anno. Di queste 813 iper virtuose,
484, rappresentative di tutti i settori economici, sono state poi contattate e intervistate. L'istantanea che se ne
è ricavata racconta che oltre il 90% è saldamente in mano alle famiglie proprietarie, ma gli imprenditori
dichiarano apertura a contributi esterni sia per quanto riguarda il management (favorevole il 39% degli
intervistati) che per quanto riguarda l'entrata di nuovi soci (favorevoli 35%). Più della metà delle aziende ha
poi la produzione collocata in Toscana e solo una su cinque all'estero, ma nelle intenzioni questa percentuale
potrebbe salire nei prossimi 3-5 anni al 26%. Il l 78% produce per fornitori di 1° e 2° livello o per produttori
finali e solo il 20% vende direttamente al consumatore finale ed è quindi un brand. La ricerca identifica due
serie di driver dell'eccellenza competitiva delle aziende "campioni": quelli di dinamismo aziendale (priorità
strategica alla ricerca centrata sul prodotto, prodotti con qualità certificata, competenze manageriali nel
marketing) e quelli di eccellenza reddituale (internalizzazione della ricerca, rete di vendita diretta). «Il nostro
studio è un punto di partenza - ha detto Pierluigi Monceri, direttore generale di Banca CR Firenze e capo
anche della direzione regionale di Intesa - Così la banca si pone come agente del cambiamento. Anche del
territorio».
Foto: LAPROPRIETÀ Oltreil90%delleaziendedellaricerca sonosaldamenteinmanoallefamiglie
proprietarie,magli imprenditorisi dichiaranoapertiacontributiesterni
19/03/2015 3Pag. La Repubblica - ed. Firenze(diffusione:556325, tiratura:710716)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 210
OSSERVATORIO MECSPE La storia / tutto SOLDI / LAVORO IN CORSO La piccola impresa meccanica torna ad assumere [W. P.] Operai specializzati e conduttori di impianti e macchinari, ma anche profili di elevata esperienza e titolari di un
percorso di studi adeguato. Sono questi i segnali positivi sul fronte occupazionale lanciati dal comparto della
meccanica e della subfornitura italiana, soprattutto da aziende che investono in formazione e innovazione. Il
numero di addetti nel 2014, rispetto al 2011, si è mantenuto complessivamente stabile per il 62,1% delle
aziende e il 26,8% ha dichiarato addirittura una crescita. Solo l'11,1% ha dovuto ridurre l'organico. E le
previsioni per il 2015 vedono ben otto aziende su dieci intenzionate a mantenere stabile il livello
occupazionale, mentre circa una su sei prevede aumenti di personale e una manciata di aziende prevede
cali. I dati elaborati dall'Osservatorio Mecspe realizzato da Senaf , che verranno presentati alla Fiera
internazionale delle tecnologie per l'innovazione questa settimana (Fiere di Parma, 26 -28 marzo 2015),
quest'anno riguardano nove settori, dalle macchine utensili alla stampa in 3D. L'indagine ha coinvolto piccole
aziende con fatturati inferiori ai dieci milioni di euro (84,3%) e con meno di 50 dipendenti (86,7%) e rivela che
soddisfatte dell'andamento aziendale sono quelle che hanno puntato sulla formazione. Sono quasi nove su
dieci (89,8%) gli imprenditori che hanno investito nell'aggiornamento dei dipendenti. In particolare, il 27,6%
ha dedicato "fino a 10 ore", il 25,7% "tra le 11 e le 20", il 15,5% "tra le 21 e le 30" e "oltre le 31 ore" poco più
di un quinto (21,1%). I profili più ricercati sono quelli di operai specializzati (30%) e di conduttori di impianti e
macchinari (26%); il 60% richiede in generale esperienza specifica e sul fronte istruzione il 73,2% gradisce il
titolo di studio, con preferenza per il diploma. Tra gli strumenti utilizzati per la ricerca di operai e tecnici
specializzati, il 40,2% si affida alle Agenzie di ricerca del personale, ma anche la scuola è un punto di
riferimento importante, in particolare gli istituti tecnici (37,4%) e gli istituti e scuole professionali (31,8%). In
misura nettamente inferiore le aziende scelgono di pubblicare inserzioni (18,5%), monitorano i propri
concorrenti strappando risorse dal loro bacino dipendenti (9,1%) e ricorrono agli uffici di collocamento (5,2%).
Per soddisfare i flussi intermittenti di lavoro e assumere per far fronte ai picchi della domanda, le aziende si
rivolgono alle agenzie interinali (42,3%) mentre quasi due aziende su dieci (19,6%) scelgono invece dei
prestatori d'opera occasionali. Una quota molto alta (37,4%), invece, preferisce spesso di non assumere, un
dato in crescita di sette punti rispetto allo scorso anno, anche se l'avvento del Jobs act potrebbe operare un
ripensamento. Nel primo trimestre 2015 le aziende del settore hanno previsto di assumere 29.140 persone,
con contratti a tempo determinato per il 52% e a tempo indeterminato per il 33% dei casi, così distribuite:
industrie meccaniche ed elettroniche (28,2%); industrie metallurgiche e di prodotti in metallo (16,6%);
industrie alimentari (14,5%); industrie tessili, dell'abbigliamento e calzature (11,8%); chimico-farmaceutiche
(9%); legno e mobile (3,7%).
Foto: IMAGOECONOMICA
Foto: La meccanica crea lavoro
23/03/2015 16Pag. La Stampa(diffusione:309253, tiratura:418328)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 211
MUTUI Abi-imprese-consumatori intesa su congelamento Saranno giorni decisivi, i prossimi, per chiudere l'accordo Abi imprese consumatori per il "congelamento" per
3 anni della quota capitale di prestiti e mutui, per cittadini e imprese. Per le Pmi - recita la bozza d'intesa
anticipata dall'agenzia Ansa - potranno accedere solo quelle senza «posizioni debitorie classificate dalla
banca come 'sofferenze", "inadempienze probabili"».
22/03/2015 20Pag. Avvenire(diffusione:105812, tiratura:151233)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 212
QUESTIONE MERIDIONALE Il buio a Mezzogiorno Pierluigi Ciocca Il declino che l'Italia vive si configura nel Mezzogiorno come un vero e proprio collasso, economico e sociale,
mai prima sperimentato nella storia d'Italia in tempi di pace. Letti insieme, i dati più aggiornati disponibili
tracciano nella loro oggettiva, fredda crudezza un quadro sconvolgente. Dal 2008 il Pil («reale») è caduto
dell'8% al Centro-Nord (CN), del 14% al Sud (con punte "greche" del 16% in Molise e Basilicata). I consumi
privati hanno subìto una flessione del 6% al CN, del 13% al Sud, con la componente alimentare scemata del
15% al Sud. CONTINUA |PAGINA 5 Gli investimenti hanno ceduto del 24% al CN, del 33% al Sud. Il Pil pro-
capite medio a prezzi correnti del Meridione è sceso da 18mila euro l'anno a 17mila, ovvero al 56% rispetto al
CN. L'occupazione totale è diminuita del 2% (320mila unità) nel CN, del 19% (670mila unità) al Sud. Il tasso
dell'occupazione giovanile è del 28% nel Mezzogiorno, del 48% al CN. A fine 2014 il tasso di disoccupazione
era del 9% al Nord, del 12% al Centro, del 21% al Sud. La spesa per opere pubbliche al Sud si è ridotta a 2
miliardi di euro (prezzi 2005) nel 2014, rispetto ai 10 miliardi del 1992 e a 11 miliardi, sempre nel 2014, nel
CN. Fra il 2007 e il 20013 la quota delle famiglie in condizione di povertà assoluta è passata dal 3 al 6% nel
CN, dal 6 al 12% nel Meridione. Fra il 2001 e il 2011, al netto degli stranieri, la popolazione è rimasta
invariata al CN, mentre è calata di 260mila unità al Sud, con i figli per donna pari (nel 2012) a 1,46 nel CN, a
1,36 nel Sud. Fra il 2001 e il 2013 su base netta sono emigrate dal Mezzogiorno 700mila persone, 188mila
delle quali laureate. Ciò che è più grave, il Sud rischia la desertificazione industriale. Fra il 2007 e il 2013 la
quota della manifattura sul Pil è diminuita dal 14 al 12% nel Mezzogiorno. Il valore aggiunto manifatturiero per
addetto si è ridotto del 3% al Sud, dell'1% al CN. Ciò è avvenuto a seguito di una caduta della produzione del
27% al Sud e del 16% al CN e di un precipitare degli investimenti manufatturieri del 54% nel Meridione,
rispetto alla loro diminuzione del 25% nel resto d'Italia. Governi, partiti, sindacati, imprese devono tornare a
porsi con assoluta priorità questa nuova Questione Meridionale, da troppo tempo nei fatti disattesa! Quando
l'intera economia si deteriora l'area meno solida soffre in modo accentuato. Il rilancio complessivo
dell'economia, in termini sia di domanda (investimenti) sia d'offerta (produttività di trend), è quindi il
presupposto mancando il quale il Sud non può progredire. Questo rilancio stenta. Se c'è, la ripresa ciclica è
molto debole, si cifra comunque in decimi di punto percentuale, rispetto a una caduta del Pil di quasi 10 punti
dal 2008. Ma va pensata e realizzata un'azione specifica, pubblica e privata, per il Mezzogiorno. Con piena
evidenza sono gli investimenti nelle infrastrutture, materiali e immateriali a doversi rilanciare con urgenza nel
Sud: messa in sicurezza del territorio e tutela dell'ambiente, utilities, istruzione e sanità, trasporti e
comunicazioni, legalità e giustizia, amministrazione. Deve unirvisi l'impegno degli uomini migliori. Lo Stato
non può fungere da occupatore d'ultima istanza. Il reddito di cittadinanza non risolve. Non valgono i
trasferimenti, gli sgravi, i sussidi. Sfiora il ridicolo l'idea di uscire dall'euro - una buona moneta, da non
confondere con una cattiva Europa - per un assurdo ritorno alla lira, se non a ducati, piastre, tarì del Borbone
di Napoli! Se le imprese private continuassero a non contribuire alla crescita e neppure a rispondere
positivamente in un migliorato contesto, di necessità tornerà a proporsi il ruolo di supplenza dell'impresa
pubblica, segnatamente nell'industria. L'impresa pubblica - Eni dal 1953, Enel dal 1962, soprattutto Iri già
dall'anteguerra (rinvio a «La storia dell'Iri» nei sei volumi Laterza) - fu decisiva nell'industrializzazione del
Mezzogiorno. Lungo tale via, obbligata per fuoruscire dalla miseria, nel 1951-1971, in soli 20 anni, il Pil pro-
capite (corretto) delle regioni meridionali si moltiplicò di oltre tre volte e si innalzò dal 54% al 72 % rispetto al
livello del Centro-Nord.
22/03/2015 1Pag. Il Manifesto(diffusione:24728, tiratura:83923)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 213
Bando Inail, attenti alle collegate: possono asciugare i fondi Roberto Lenzi Bando Inail Isi, le aziende devono stare attente alle novità introdotte dal regolamento Ue 1407/20013 che ha
introdotto il concetto di impresa unica. Il rischio è quello di dichiarare di avere possibilità di chiedere fondi,
senza considerare che le collegate potrebbero avere esaurito il plafond disponibile. Gli aiuti concessi da Inail
sono sottoposto alla normativa comunitaria «de minimis». Le imprese interessate a ottenere le agevolazioni,
entro il 7 maggio, le possono verifi care se hanno i requisiti per ottenere i contributi a fondo perduto del 65%
per migliorare la sicurezza dei lavoratori. Fino al 2013,con il regolamento 1198/2006, le imprese
conteggiavano gli aiuti ottenuti in «de minimis» in base alle concessioni che avevano ricevuto nell'ultimo
triennio, facendo attenzione a non superare il tetto massimo di 200 mila euro imposto dalla normativa. In altri
termini, l'impresa che aveva usufruito di aiuti «de minimis» pari a 90 mila euro poteva richiedere un nuovo
aiuto sul bando Inail per un importo ulteriore massimo di 110 mila euro. Questo calcolo era quindi abbastanza
semplice. Con l'avvento del reg. 1407/2013, invece, l'impresa che è controllata da altra società deve
conteggiare gli aiuti di ambedue i soggetti, come se fossero, appunto, un'impresa unica. Se, ad esempio,
anche l'altra azienda ha ottenuto contributi «de minimis» nel triennio per 90 mila euro, una sola delle due può
richiedere ulteriori 20 mila euro. Se invece l'altra ne avesse già ottenuti per 140 mila euro, questo
impedirebbe ad entrambe le imprese di accedere al bando Inail. Se l'impresa fa parte di un gruppo più ampio,
diciamo 3 imprese che negli anni precedenti, con il vecchio regolamento, hanno tutte ottenuto 200 mila euro
di aiuti «de minimis» l'una, la nuova domanda potrà essere presentata solo nell'anno in cui la somma dei
residui totali scenderà sotto i 200 mila euro. Questi esempi fanno capire che la partecipazione al bando Inail
necessita di una verifi ca in più rispetto a quanto succedeva nei bandi assoggettati al regolamento
1998/2006; il tetto massimo è lo stesso di 200 mila euro nel triennio, ma i soggetti da controllare sono spesso
più di uno. Concetto di impresa unica. Per determinare se le imprese sono da assoggettare al calcolo di
impresa unica il regolamento 1407/2013 prevede che deve essere considerato l'insieme delle imprese, fra le
quali esiste almeno una delle relazioni di collegamento riportate di seguito: a) un'impresa detiene la
maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di un'altra impresa; b) un'impresa ha il diritto di nominare o
revocare la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione, direzione o sorveglianza di un'altra
impresa; c) un'impresa ha il diritto di esercitare un'in uenza dominante su un'altra impresa in virtù di un
contratto concluso con quest'ultima o in virtù di una clausola dello statuto di quest'ultima; d) un'impresa
azionista o socia di un'altra impresa controlla da sola, in virtù di un accordo stipulato con altri azionisti o soci
dell'altra impresa, la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di quest'ultima. Scelti alcuni criteri
dalla defi nizione di pmi. Il regolamento Ue, per defi nire il concetto di impresa unica, ha copiato alcuni
requisiti per le «imprese collegate» all'interno della defi nizione delle piccole e medie imprese (Pmi) di cui alla
raccomandazione 2003/361/ CE della Commissione e all'allegato I del regolamento (CE) n. 800/2008 della
Commissione. A questo si è aggiunta la Corte di giustizia dell'Unione europea che ha stabilito che tutte le
entità controllate (giuridicamente o di fatto) dalla stessa entità debbano essere considerate un'impresa unica.
Il concetto di impresa unica si ferma a un unico stato, senza considerare in caso di multinazionali le imprese
collegate con imprese che hanno unità operative in un altro stato, anche se facenti parte dello stesso gruppo.
Quindi tre imprese di tre stati diversi possono ottenere 600 mila euro in de-minimis anche se collegate tra di
loro.
Raffronto regolamenti AZIENDE (dello stesso gruppo) Concesso 2013 (in assenza di altri aiuti nel triennio)
Ipotesi di contributo richiedibile se operasse ancora il vecchio regolamento 1198/2006 ALFA 90.000 euro
110.000 euro 0 euro BETA 80.000 euro 120.000 euro 0 euro GAMMA 100.000 euro 100.000 euro 0 euro
TOTALE GRUPPO 270.000 euro 330.000 euro 0 euro Concesso 2013 Ipotesi di contributo ri- Richiedibile
Richiedibile nuovo bando con regolamento 1407/2013
21/03/2015 26Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 214
Seat riparte senza debiti e punta sulla sua rete per portare le Pmi sul web STABILIZZATO IL NUOVO ASSETTO AZIONARIO LA SOCIETÀ PUÒ ORA CONCENTRARSI SUL COREBUSINESS: SVILUPPARE NUOVI SERVIZI ALLE IMPRESE NEI CAMPI DEL MARKETING E DELLAPUBBLICITÀ GRAZIE ANCHE AGLI ACCORDI CON GOOGLE E FACEBOOK Luigi Dell'Olio Per Seat Pagine Gialle è iniziata la prova d'appello. Chiusa positivamente la parentesi del concordato
preventivo durato oltre un anno e mezzo, la "nuova" società può tornare al mestiere di media agency,
rivisitato alla luce delle nuove potenzialità offerte dal Web, soprattutto in un'ottica di marketing locale. Il
compito è reso più agevole grazie al fatto che la compagnia è stata sgravata dai debiti (oltre un miliardo e
mezzo di euro accumulato a partire dall'operazione di leverage by out condotta da un gruppo di fondi private
nel 2003), anche se non sarà facile recuperare il terreno perduto in questi anni, che hanno visto crescere la
concorrenza. Il concordato preventivo ha mutato a fondo gli assetti proprietari, con i creditori finanziari che si
sono trasformati nei nuovi azionisti tramite conversione dei bond e del debito, alla quale ha fatto seguito un
aumento di capitale iper-diluitivo. Attualmente i soci di riferimento sono due fondi specializzati nelle
conversioni di debito in capitale - Golden Three e Avenue Capital che secondo le più recenti com unicazioni
Consob hanno in mano rispettivamente il 26,1% e il 23,9% del capitale. La parte restante è fortemente
frammentata, con Royal Bank of Scotland al 4,2% e Bennet Management Corporation a poco meno del 3,4%,
tutto il resto in mano a piccoli e piccolissimi azionisti. Il bilancio 2014 ha risentito dello scossone, con il
fatturato che si è attestato a quota 388,9 milioni, il 18,1% in meno rispetto al 2013, più che dimezzatosi nel
confronto a cinque anni. In forte contrazione anche l'Ebitda (-63,5% sul 2013 a quota 32,6), mentre l'Ebit è
risultato negativo per 25,5 milioni. Ritornata in bonis, e centrati nello scorso esercizio gli obiettivi del piano,
Seat può tornare a concentrarsi sugli aspetti industriali del business. "Abbiamo investito massicciamente per
rinnovare gli elenchi, che per 15 milioni di italiani sono uno strumento quasi esclusivo per reperire
informazioni e fare scelte di consumo", spiega Mauro Gaia, direttore commerciale, marketing e vendite, di
fatto il numero due dell'azienda. "Di pari passo stiamo crescendo sui nuovi prodotti, dal direct al Web
marketing, grazie a una rete di 100 uffici sul territorio che raccolgono le esigenze di comunicazione delle
aziende e mettono a punto campagne pubblicitarie su tutti gli strumenti, dalla carta stampata alla radio, a
Internet". Quest'ultimo è il canale destinato a crescere maggiormente nelle intenzioni della società, che ha in
cassa 107 milioni di euro per i nuovi investimenti. "Il nostro obiettivo è portare le potenzialità delle tecnologie
offerte dai grandi operatori internazionali fino al punto vendita della singola azienda, con costi accessibili e
investimenti misurabili", prosegue il manager, che ricorda come già oggi Seat Pagine Gialle sia la prima Web
agency italiana con circa 100mila siti realizzati ogni anno. "A fine 2014 abbiamo siglato un accordo con
Facebook che permette alle Pmi di programmare campagne pubblicitarie a livello anche molto locale, in
grado di raggiungere un target selezionato di persone", aggiunge Gaia. "Il servizio sta riscuotendo successo,
così come riceviamo riscontri positivi dalle collaborazioni con altri partner come Google, Sky, Rai e Gambero
Rosso". Tornando agli aspetti finanziari, il turnaround non è finito: per l'anno in corso, l'amministratore
delegato Vincenzo Santelia ha indicato un obiettivo di Ebitda a 12 milioni; l'accelerazione arriverà solo nel
2016, con il ritorno all'utile netto è atteso nel 2018. A quel punto sarà concluso il processo di ristrutturazione e
si valuterà l'eventuale rinnovo dell'impegno da parte dei nuovi soci di riferimento. Gli investitori hanno
apprezzato i dati del bilancio 2014, soprattutto sul fronte della posizione finanziaria e la sensazione è che vi
siano spazi di ripresa per il titolo quotato a Piazza Affari: in mancanza di copertura da parte degli analisti, vale
come benchmark il valore dell'azione stimato dall'advisor Kpmg a quota 0,0031 euro, corrispondenti a circa
200 milioni di euro per tutta la società (un valore molto lontano dai livelli raggiunti durante la bolla della New
Economy). Rispetto a quei valori, Seat è salita di circa il 50%, anche se a fronte di brusche oscillazioni. S. DI
MEO, GOLDENTREE, AVENUE CAPIATAL, ROYAL BANK OF SCOTLAND, BENNET MANAGEMENT
23/03/2015 19Pag. La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015(diffusione:581000)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 215
CORPORATION, ELVIS LEIGH,
Foto: Nei grafici a sinistra, l'andamento in Piazza Affari del titolo Seat Pagine Gialle e i maggiori azionisti della
società post concordato preventivo
Foto: Qui sopra, Vincenzo Santelia (1), ad di Seat Mauro Gaia (2), direttore commerciale
23/03/2015 19Pag. La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015(diffusione:581000)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 216
Valvitalia, dopo la comasca Silvani altre due acquisizioni entro l'anno GRAZIE ALLE RISORSE INIETTATE DAL FONDO STRATEGICO DI CDP L'AZIENDA HA RIPRESO ILRUOLO DI AGGREGATORE DEL SETTORE IN ITALIA CHE È ALLE SUE STESSE ORIGINI: NASCEINFATTI UNA DECINA DI ANNI FA DALL'UNIONE DI 10 IMPRESE DELL'OIL&GAS Filippo Santelli Milano Le acquisizioni sono nel suo Dna. Nel 2002 è nata proprio così, aggregando cinque produttori di
valvole per il settore del petrolio, del gas e dell'energia. Altri cinque li ha assorbiti negli anni successivi. E
anche ora che Valvitalia è diventata il primo gruppo italiano del settore, con undici stabilimenti, sei dei quali
nello Stivale, 1.200 dipendenti e clienti in oltre cento Paesi, il piano di crescita non è finito. Anzi, a fine 2013 il
Fondo Strategico Italiano, il veicolo controllato dalla Cassa Depositi e Prestiti, ha rilevato il 49,5% della
società, attraverso un prestito convertendo da 151 milioni di euro. E i primi effetti della nuova iniezione di
liquidità si sono visti lo scorso dicembre, quando Valvitalia ha comprato da un fondo americano la Silvani di
Como, storico produttore di impianti antincendio per l'industria dell'Oil & Gas. Un'aggiunta che porta il
fatturato consolidato del gruppo oltre quota 450 milioni di euro: «L'obiettivo è raddoppiarlo entro il 2016,
quando vorremmo quotarci in Borsa», dice dal quartier generale di Rivanazzano, provincia di Pavia, il 56enne
fondatore e amministratore delegato Salvatore Ruggeri. «Stiamo valutando altre acquisizioni, una o due
dovrebbero arrivare nel corso dell'anno». L'espansione, spiega il manager, ha un preciso senso industriale:
estendere la gamma di prodotti che l'azienda è in grado di offrire. «One stop shop», così lo definisce:
«Portare al cliente un insieme completo di soluzioni, dalle valvole, ai filtri, ai raccordi, agevola le trattative,
specie in mercati difficili come il Qatar o la Nigeria. E ci permette di offrire sconti e condizioni migliori». I
concorrenti per queste commesse sono multinazionali dai fatturati miliardari, Cameron, Emerson Electric o
Flowserve. Veri e propri giganti contro i quali i piccoli e specializzati operatori italiani, nonostante la qualità dei
loro prodotti, fanno fatica a misurarsi. Ma che un campione nazionale può riuscire a battere, come dimostra la
gara appena vinta da Valvitalia per il gasdotto Tanap. Per la pipeline che porterà il gas azero, attraverso la
Turchia, verso Grecia e Italia, l'azienda fornirà centinaia di valvole di grosse dimensioni. Dal punto di vista
finanziario i margini per proseguire la campagna acquisiti sono solidi. Il rapporto tra debito e Ebitda, a fine
2014 arrivato a 77 milioni di euro, è di uno a uno. «Abbiamo linee di credito già autorizzate per 200 milioni,
utilizzate solo per metà», aggiunge Ruggeri. Le difficoltà, semmai, potrebbero arrivare dal crescente appeal
delle medie imprese italiane del settore. Eccellenze con ampi margini di crescita, che fanno gola sia a
soggetti industriali che finanziari. Attorno a Petrolvales per esempio, azienda Varesina la cui quota di
maggioranza è in vendita, si è scatenata una vera e propria asta. Da cui Valvitalia, nonostante le possibili
sinergie di mercato, ha deciso di ritirarsi. «Cerchiamo di portare avanti trattative private con imprese con cui
siamo già in relazione spiega Ruggeri - molti imprenditori preferisco vendere a noi piuttosto che a una
multinazionale estera o a un fondo». Anche dopo l'acquisizione infatti il vecchio marchio viene conservato e
la dirigenza lasciata al suo posto: «Non vogliamo stravolgere realtà che funzionano, ma aiutarle a espandersi.
Con noi la Silvani è passata da cinque a 50 mercati, incassando subito un ordine importante in Est Europa».
L'altra incognita è il prezzo del petrolio ai minimi, che potrebbe impattare sugli investimenti globali in
infrastrutture. L'80% del fatturato di Valvitalia viene infatti dal settore idrocarburi, fetta in cui il gas conta a sua
volta per un 80%. Ma secondo Ruggeri non sarà necessario differenziare, visto che il mercato vale comunque
34 miliardi di euro l'anno: «L'impatto si vedrà al limite tra 24 o 36 mesi, ma solo se il barile restasse su questi
livelli. Nel frattempo i progetti finanziati vanno avanti e il nostro portafoglio ordini copre tutto il 2016». Il
manager vede anzi uno spazio per la crescita organica. Dalle aree in cui l'azienda è forte, come Nord
America e Medio Oriente, verso nuovi mercati come Africa Occidentale, Russia e Iran, specie se verranno
alleggerite le sanzioni che hanno colpito questi Paesi. L'espansione, interna e esterna, dovrebbe far lievitare
il gruppo verso quota 1.700 dipendenti. Una dimensione che Ruggeri, dopo anni al vertice di multinazionali
23/03/2015 43Pag. La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015(diffusione:581000)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 217
del settore, è convinto di poter conciliare con una struttura snella, molto più reattiva e meno costosa di quella
dei concorrenti: «Siamo un'azienda gestita da manager, ma con una cultura di stampo familiare».
VALVITALIA S.DI MEO
Foto: Qui sopra, Salvatore Ruggeri fondatore e ad di Valvitalia
23/03/2015 43Pag. La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015(diffusione:581000)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 218
[ IMPRESA ITALIA ] Biolchim fa shopping e diversifica nell'home garden IL MAGGIORE IMPULSO ALLE STRATEGIE DI ESPANSIONE DOPO L'INGRESSO NEL CAPITALE DIWISE SGR CHE OGGI CONTROLLA ASSIEME AL MANAGEMENT L'AZIENDA BOLOGNESE. UNANUOVA OPERAZIONE IN CANADA Veronica Ulivieri Nuovi prodotti per l'agricoltura biologica, acquisizioni di imprese straniere, apertura a nuovi settori. Biolchim,
impresa del bolognese attiva da quarant'anni nel settore dei fertilizzanti per l'agricoltura professionale, cresce
e guarda al futuro. Dopo il cambio di strategia e la riorganizzazione partiti nel 2008 con l'arrivo dell'ad
Leonardo Valenti e l'ingresso, quattro anni dopo, della società di private equity Wise Sgr che oggi controlla
l'azienda insieme al management, è partita la campagna acquisti. Nell'agosto 2014 l'acquisizione di Cifo,
marchio storico - anch'esso bolognese del segmento del giardinaggio, poi a gennaio scorso l'ingresso nel
capitale, come socio di minoranza, della West Coast Marine Bio Processing, impresa canadese che produce
e commercializza estratti delle particolari alghe marine Macrocystis, ingredienti preziosi per i fertilizzanti, ma
anche chiave che apre le porte verso altri settori. L'operazione con Cifo ci ha consentito di ampliare la nostra
capacità produttiva e di accaparrarci un'importante fetta di mercato anche nel segmento Home & Garden, in
cui non eravamo presenti. Con l'acquisizione del 43% del capitale della West Coast Marine Bio Processing,
che presto salirà al 49%, invece, abbiamo puntato sull'integrazione a monte, garantendoci l'accesso a
materie prime fondamentali per le nostre formulazioni». Oggi Biolchim ha 90 dipendenti e un fatturato di 43
milioni, a cui si aggiungono altri 90 dipendenti di Cifo, che nel 2014 ha fatturato circa 30 milioni di euro. Dal
2008 ad oggi, l'export è passato dal 10% al 50% del fatturato, e grazie alle recenti acquisizioni l'azienda è
presente oggi in oltre 65 Paesi. Un processo di crescita in cui Wise Sgr, che ha investito in Biolchim 16 milioni
di euro, ha giocato un ruolo di primo piano. «Investiamo in Pmi italiane che hanno delle eccellenze e che
sono però un po' carenti dal punto di vista della commercializzazione. Uno dei modi per aggiungere valore è
proprio aumentare la scala delle aziende, mettendo a fattor comune tecnologie, prodotti complementari,
management e quindi la capacità di affrontare meglio i mercati esteri. Abbiamo scelto Biolchim perché il
settore dei biostimolanti agricoli è destinato a crescere molto in futuro ma al momento ancora frammentato»,
spiega Michele Semenzato, partner di Wise Sgr. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Segui Impresa digitale anche su: http://www.repubblica.it/ economia/rapporti/ impresa-digitale/
23/03/2015 44Pag. La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015(diffusione:581000)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 219
[ I DATI ] L'indice Ism si raffredda negli Usa mentre l'Eurozona inizia a correre (l.d.o.) Visto nell'ottica dei mercati finanziari, che continuano a confidare nella "droga" dei tassi zero garantiti dalla
Fed, potrebbe anche essere una notizia positiva. Dal punto di vista dell'economia reale, però, gli ultimi
segnali che arrivano dagli Stati Uniti indicano che la crescita sta perdendo vigore. L'ultimo Monthly Report di
Tendercapital si sofferma in particolare sulla debolezza del settore manifatturiero, con l'indice Ism (basato su
rilevazioni di oltre 300 aziende del settore, su dati relativi a occupazione, scorte e nuovi ordini) sceso a
febbraio a quota 52,9 punti rispetto ai 53,5 di gennaio. Mentre, al contrario, l'Ism non manifatturiero ha
indicato una prosecuzione della crescita. «Il quadro che emerge - sottolineano gli analisti di Tendercapital -
evidenzia una fase in cui la crescita economica statunitense rimane sostenibile, ma a un ritmo inferiore
rispetto alle attese di fine anno a causa del permanere di un dollaro forte rispetto alle altre valute, con effetti
negativi sull'economia a stelle e strisce nel medio periodo". All'opposto dall'Ism Index europeo arrivano
segnali di rafforzamento del ciclo economico, rafforzati dal miglioramento degli indicatori sulla fiducia dei
consumatori. «Nelle prossime settimane ci aspettiamo un movimento rialzista dei listini grazie alle buone
prospettive di un possibile accordo definitivo tra Europa e Grecia, da negoziarsi entro il 30 giugno 2015, e al
cessate il fuoco tra Ucraina e Russia dagli accordi di Minsk 2», è la previsione degli analisti relativamente
all'Eurozona.
23/03/2015 27Pag. La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015(diffusione:581000)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 220
Da Prelios al tandem con Rovati: i progetti di Sigieri Diaz Stefania Peveraro Èuna fase di grande attività per Sigieri Diaz della Vittoria Pallavicini, pronipote del generale Armando Diaz.
L'ultima novità è il suo coinvolgimento nell'opa che Marco Tronchetti Provera sta organizzando su Pirelli
assieme ai suoi soci in Camfin (famiglie Rovati e Sigieri Diaz appunto, Unicredit e Intesa Sanpaolo) e al
partner industriale cinese. Ma questa è solo l'ultima di una serie di iniziative che vedono protagonista Sigieri
Diaz in tandem con Luca Rovati, con quest'ultimo che, dopo la cessione del suo gruppo farmaceutico
Rottapharm Madaus alla svedese Meda, è ora interessato a nuovi investimenti. «Se nella prima operazione
su Camfin sono stato in prima linea», commenta Diaz, «già la seconda operazione, quella che un anno fa ha
visto l'uscita di Clessidra da Camfin e l'ingresso dei russi di Rosneft, mi ha visto in seconda linea. Quanto a
quest'ultima evoluzione, a dire la verità sono quasi uno spettatore, nel senso che seguirò Tronchetti
nell'operazione, ma è lui a gestirla dall'inizio alla fine». Sigieri Diaz è invece davvero protagonista in altre tre
operazioni che sta mettendo a punto. Innanzitutto, per restare nel mondo Pirelli, c'è il dossier Prelios. Il
gruppo immobiliare è oggi controllato al 20,6% da Pirelli&C e al 29,4% da Fenice (che a sua volta fa capo a
Pirelli per il 62,5%, a Intesa, a Unicredit e al veicolo Feidos 11). Tale assetto è stato trovato a fine 2012, a
valle di un'operazione di ristrutturazione del debito del gruppo e di ricapitalizzazione e che ha visto Pirelli
affiancata dalle famiglie Rovati, Diaz della Vittoria Pallavicini e Conretto Bourlot, riunite nel veicolo Feidos 11,
di cui Diaz controlla il 48% attraverso Gwm. «Pirelli ha dichiarato più volte di voler uscire da Prelios, quindi
Feidos 11 giocherà un ruolo chiave nel nuovo assetto azionario e nella nuova governance», spiega Sigeri
Diaz. «Al momento non c'è ancora nulla di definito. Potremmo decidere di incrementare la quota o di vendere
a un nuovo investitore. È una partita che si giocherà nei prossimi mesi». Più avanti è invece l'alleanza con
Luca Rovati per la creazione di una grande property company. Rovati infatti ha appena fondato Atlantica
Properties, società immobiliare che tramite Fidim sarà dotata di circa 300 milioni di capitale e che grazie alla
leva avrà una disponibilità per investimenti di almeno 600 milioni. Atlantica Properties sarà gestita da
Altantica Real Estate, newco fondata da Sigieri Diaz e da Clemente Di Paola. Quest'ultimo è l'ex responsabile
della direzione immobiliare di Cdp, oltre che cofondatore di Investire Immobiliare Sgr (gruppo Banca Finnat)
ed ex dirigente di Ipi (allora braccio immobiliare del gruppo Fiat). «L'idea è fare una decina di investimenti nei
cosiddetti trophy asset e, una volta scaduti i contratti con gli attuali conduttori, questi immobili potranno
essere trasformati e valorizzati», racconta Diaz. Il primo asset sarebbe già pronto a entrare in portafoglio.
Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, infatti, con un'offerta da 57 milioni (che ha battuto la proposta
di Inail da 53 milioni) proprio Atlantica Properties ha vinto la gara per l'acquisto di un immobile in piazza del
Popolo a Roma attualmente occupato dal Comando dei Carabinieri e di proprietà del fondo di Bnp Paribas-
Reim sgr. «Una volta costruito il portafoglio, l'idea è quotare Atlantica Properties e raccogliere i capitali per
finanziare lo sviluppo immobiliare degli asset già acquisiti», aggiunge Sigieri Diaz. Il quale in questi mesi sta
seguendo però soprattutto il lancio del nuovo fondo di private equity Armònia, dedicato alle medie imprese
italiane, che sarà gestito dalla neonata Armònia sgr. In attesa che Banca d'Italia dia l'autorizzazione a
operare (il via libera è atteso tra aprile e maggio), Diaz sta predisponendo la squadra, insieme con i soci
Alessandro Grimaldi (cofondatore ed ex senior partner di Clessidra sgr), Francesco Chiappetta (avvocato di
fiducia di Trochetti Provera) e l'immancabile Luca Rovati. «L'obiettivo di raccolta del fondo è 700 milioni di
euro, di cui circa 250 saranno investiti dai fondi Gmw», conclude Diaz. «Contiamo poi di raccogliere presto
altri 200 milioni da investitori istituzionali italiani e i restanti 250 milioni da investitori esteri. Dopo l'estate
saremo pronti per il roadshow internazionale. Il fondo potrà investire al massimo 100 milioni di euro di equity
in ogni singola operazione, ma potremo anche aumentare la taglia». (riproduzione riservata)
Foto: Sigieri Diaz della Vittoria Pallavicini
21/03/2015 12Pag. Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015(diffusione:100933, tiratura:169909)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 221
PIAZZA AFFARI In attesa delle grandi Ipo scalpita il listino delle Pmi Per Poste Italiane si dovrà attendere forse fine anno; sull'Aim gli scambi sono limitati Lucilla Incorvati Se l'Europa in questo momento sembra essere in vetta alle preferenze di chi investe nel mercato azionario,
anche Piazza Affari spera di poterne beneficiare. Così per il caffé Segafredo, da tempo in animo di quotarsi, il
debutto in Borsa è ormai prossimo. La società ha chiesto proprio qualche giorno fa alla Consob il via libera
per l'Ipo.
Mentre per quella più attesa soprattutto dal mondo dei piccoli risparmiatori (si spera sia quella più liquida e
con flottante capiente, ndr) si dovrà attendere ancora. Poste Italiane, che ha annunciato il suo progetto di
quotazione ormai più di un anno fa, difficilmente debutterà a Piazza Affari prima della fine del 2015.
Così dall'inizio dell'anno alle due società che si sono quotate sul Mta, vale a dire Banzai (il 16 febbraio sullo
Star) e Ovs (il 2 marzo scorso), si sono aggiunte altre tre Ipo che hanno riguardato Pmi. In particolare Italian
Wine Brand che ha portato in Borsa per la prima volta il vino italiano, Mobyt e Digittouch (qualche giorno fa)
nel settore digital, hanno di fatto ingrossato le fila dell'Aim, dedicato alle piccole società. Un listino che da
quando è partito (2012) a oggi presenta la maggior vivacità. Ne fanno parte 60 società, in particolare quelle
con capacità di sostenere anche quei business che cercano capitali per lo sviluppo di nuove tecnologie e per
l'apertura ai mercati internazionali. Borsa Italiana ha favorito l'accesso con un percorso più semplice e meno
costoso. Secondo l'osservatorio Aim Italia curato da IrTop, partner equity markets di Borsa Italiana e leader
nell'informazione finanziaria, delle 60 società la gran presenza si concentra tra Lombardia con una quota pari
al 33% del mercato, seguite dal Lazio (23%), dell'Emilia-Romagna (15%), del Piemonte (5%) e del Friuli
Venezia-Giulia (3%). Le lombarde presentano un giro d'affari di 308 milioni, una market cap complessiva di
546 milioni, una raccolta totale pari a 223 milioni(48%), di cui 97 milioni di euro raccolti tra il 2014 e primi mesi
del 2015.
Nel 2014 la Lombardia si colloca al primo posto fra le regioni italiane con il 41% di nuove quotazioni (9 su 22).
Anche il Lazio però ha una forte posizioni (14 aziende) con Gala, la società più grande quotata su
AimItalia,tra i primi 10 operatori nazionali nella vendita di energia elettrica al mercato libero. Molto
rappresentato anche il settore Digital che può contare su 13 società (market cap vicina ai 40 milioni, ricavi per
17 milioni, un Ebitda di 3milioni di euro ed un Ebitda margin del 21%).
Non tutto è oro però quello che luccica. Da un punto di vista delle performance di Borsa (si veda la tabella in
pagina) su 60 società a oggi solo 18 società presentano un risultato positivo. La meglio performante è stata
FrendyEnergy (ma anche una delle prime sul listino) che dalla quotazione ha superato il 100%, seguita da
MondoTv France che, quotata il 25 marzo 2013, oggi presenta una performance vicina al 68 per cento.
Tra quelle quotate nell'ultimo anno che sono in area positiva ci sono Bio.on (quotata il 24 ottobre scorso) con
un + 86,6%, Expert System che ha debutto a Piazza Affari il 18 febbraio del 2014 ed è a + 32 per cento.
Eppure se non mancano gli investitori istituzionali, spesso esteri, che hanno acquistato posizioni su questi
titoli, il mondo dell'Aim resta un mondo quasi sconosciuto ai piccoli risparmiatori. Gli scambi sono molto
limitati, sono titoli spesso giudicati poco liquidi e per questo anche con un certo profilo di rischio. Solo per fare
un esempio nell'ultimo anno il titolo più scambiato è stato la già citata MondoTv France nell'ultimo anno ha
scambiato per 19.562 contratti pari a un controvalore di 51,97 milioni di euro. Per favorire l'accesso dei piccoli
investitori è allo studio l'avvio di fondi di fondi che investono proprio in queste Pmi, sull'esempio di quanto
accaduto nel Regno Unito. Ma per ora tutto tace.
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LE PERFORMANCE DELLE 60 SOCIETÀ QUOTATE ALL'AIM
titolo Prezzo Di Collocam. Data di collocam. var. % prezzo collocam. Agronomia 1,00 6 mag. 14 -37,60
Ambromobiliare 6,60 23 dic. 11 -11,36 Axelero 5,50 11 dic. 14 -3,64 Bio.on 5,00 24 ott. 14 86,60 Blue Note
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3,12 22 lug. 14 -21,15 Digital Magics 7,50 31 lug. 13 -31,33 Digitouch 2,30 16 mar. 15 3,48 Ecosuntek 21,00
8 mag. 14 -35,33 Energy Lab 1,80 20 mag. 14 1,11 Enertronica 2,60 15 mar. 13 38,38 Expert System 1,80
18 feb. 14 32,00 Fintel Energia 2,30 25 mar. 10 55,48 First Capital 1,03 22 dic. 10 -8,88 Frendy Energy 1,05
22 giu. 12 100,72 Gala 12,50 10 mar. 14 -9,76 Giorgio Fedon 6,36 18 dic. 14 27,52 Go intenet 2,75 6 ago. 14
35,20 Greenitaly 10,00 27 dic. 13 -2,50 Gr. Green Pow 10,50 22 gen. 14 -43,81 Hi Real 1,00 19 gen. 11 -
93,80 Ikf 1,00 8 mag. 09 -92,55 Imvest 0,00 1 apr. 11 - Ind. Stars of Italy 10,00 22 lug. 13 0,30 Iniziat.
Bresciane 21,00 15 lug. 14 4,76 Innovatec 3,50 20 dic. 13 -56,43 Ital. Wine Brands 10,00 29 gen. 15 3,20
Italia Independent 26,00 28 giu. 13 41,69 KI Group 6,50 18 nov. 13 -54,00 Leone 4,80 18 dic. 13 -38,46
Lucisano Media 3,50 16 lug. 14 -44,00 Mailup 2,50 29 lug. 14 25,92 Mc-Link 7,65 22 feb. 13 -10,00 Methorios
1,40 14 lug. 10 -59,29 Microspore (ex Sacom) 9,70 24 apr. 13 -72,89 Mobyt 2,40 5 mar. 15 -0,83 Modell.
Brambilla 2,50 5 dic. 14 9,20 Mondo TV France 0,11 25 mar. 13 67,93 MP7 Italia 2,50 7 lug. 14 -29,20 Net
Insurance 20,10 19 dic. 13 0,10 Neurosoft 7,60 8 mag. 09 -13,49 Notoriious Pictur 3,00 23 giu. 14 -11,00 Plt
Energia 2,70 4 giu. 14 -24,81 Poligraf. Printing 1,03 16 mar. 10 -84,50 Primi sui motori 22,00 26 lug. 12 -
42,18 Rosetti Marino 30,00 12 mar. 10 22,07 Ruota 1,00 30 lug. 12 -17,95 Safe Bag 2,25 12 set. 13 -36,00
Soft Strategy 0,00 9 ago. 11 - Softec 16,00 5 mar. 12 -43,75 Sunshine Capital 1,00 24 gen. 14 -10,00 TBS
Group 2,50 23 dic. 09 -30,44 TE Wind 1,25 11 ott. 13 -33,92 Tech-Value 4,15 5 ago. 14 -32,29 Tecnoinvest
3,40 6 ago. 14 -2,94 Triboo Media 4,00 11 mar. 14 -1,00 Valore IT Hp 0,00 28 apr. 11 - Visibilia (ex Pms)
6,40 16 mar. 10 -92,81 Vita 0,94 22 ott.10 -86,04 Vrway 5,34 23 lug. 09 -76,59 WM Capital 1,00 23 dic. 13
0,00
Analisi delle 60 società quotate in ordine alfabetico con performance dal collocamento, in valori percentuali
Nota: le variazioni sono state calcolate dal prezzo Ipo salvo i tre titoli Imivest, Soft strategy, Valore it, dove la
prima quotazione era sul vecchio mercato MAC; sono quindi calcolate dal primo prezzo di chiusura
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