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O T TAV I O C A L I G A R I S - P I E T R O O L I VA
A N A L I S IM AT E M AT I C A 1N O V E M B E R 4 , 2 0 1 3
1 - UN PO’ DI LOGICA
Diciamo proposizione una affermazione di cui siamo in grado di sta-bilire se è vera o è falsa.
Indichiamo con lettere maiuscole le proposizioni e scriviamo c : P, leggendo c tale che P è vera, se c è un elemento in corrispondenza delquale la proposizione P è vera.
Assegnata una proposizione P si può costruire una nuova proposi-zione, che definiamo negazione di P ed indichiamo con not P, come laproposizione che è vera se P è falsa ed è falsa se P è vera.
Si può identificare la proposizione not P anche mediante una ta-bella, detta tabella di verità, che elenca in corrispondenza dei due casipossibili la verità o la falsità della proposizione in questione:
P not P1 0
0 1
Tabella 1.1:
È inoltre necessario definire nuove proposizioni che dipendono dauna o più proposizioni note.
Assegnate due proposizioni P e Q,
• (P and Q) è vera se P e Q sono entrambe vere
• (P or Q) è vera se almeno una tra P e Q è vera
• (P xor Q) è vera se una ed una sola tra P e Q è vera.
Le corrispondenti tabelle di verità possono essere raggruppate nel-la seguente:
P Q not P not Q P and Q P or Q P xor Q1 1 0 0 1 1 0
0 1 1 0 0 1 1
1 0 0 1 0 1 1
0 0 1 1 0 0 0
4 ottavio caligaris - pietro oliva
Tabella 1.2:
È immediato verificare che proposizione P xor Q è vera o falsa aseconda che sia vera o falsa la proposizione
(P and (not Q)) or (Q and (not}P))
come si può verificare dalla tabella 1.2.Possiamo anche verificare come not interagisce con and e or me-
diante la tabella1.3
P Q not P not Q P and Q P or Q not(P and Q) not (P or Q)1 1 0 0 1 1 0 0
0 1 1 0 0 1 1 0
1 0 0 1 0 1 1 0
0 0 1 1 0 0 1 1
Tabella 1.3:
Dalla tabella 1.3 possiamo verificare che
• (not(P and Q)) è vera tutte e sole le volte che è vera ((not P) or (not Q))
• (not(P or Q)) è vera tutte e sole le volte che è vera ((not P) and (not Q))
Si può inoltre affermare che le seguenti affermazioni sono semprevere
• (P or (not P)) (legge del terzo escluso)
• (not(P and (not P))) (legge di non contraddizione)
Assegnate due proposizioni P e Q si possono inoltre costruire leseguenti proposizioni
(P⇒ Q) , (P⇐ Q) , (P⇔ Q)
che leggiamo, rispettivamente ‘P implica Q’, ‘P è implicato da Q’, ‘P èequivalente a Q’ e che sono identificate come segue
• (P⇒ Q) significa che Q è vera ogni volta che P è vera;
• (P⇐ Q) significa che P è vera ogni volta che Q è vera;
• (P⇔ Q) significa che P è vera tutte e sole le volte in cui Q è vera.
analisi matematica 1 november 4, 2013 5
In altre parole (P⇒ Q) significa che o non è vera P oppure, se P èvera, allora è vera anche Q; in simboli:
(P⇒ Q)⇔ ((not P) or Q) (1.1)
Possiamo verificare dalla tabella 1.4 che due proposizioni sonoequivalenti se assumono gli stessi valori nella loro tabella di verità,cioè se sono entrambe vere o entrambe false.
P Q P⇒ Q P⇐ Q P⇔ Q1 1 1 1 1
0 1 1 0 0
1 0 0 1 0
0 0 1 1 1
Tabella 1.4:
Per convincerci che la definizione di implicazione corrisponde acriteri di senso comune, è opportuno mettere in evidenza la negazionedella proposizione (P ⇒ Q), in altre parole possiamo osservare che ènaturale affermare che (P⇒ Q) non è vera nel caso in cui sia vera P eQ sia invece falsa ;
In simboli
not(P⇒ Q) se e solo se not((not P) orQ) se e solo se (Pand(notQ))
(1.2)Infatti è chiaro che not(P⇒ Q) se accade che P è vera e Q è falsa.La seguente tabella permette di verificare che le due proposizioni
contenute in 1.2 hanno la stessa tabella di verità; cioè sono equivalenti.
P Q not Q P⇒ Q (P and (not Q)) not (P⇒ Q)
1 1 0 1 0 0
0 1 0 1 0 0
1 0 1 0 1 1
0 0 1 1 0 0
Tabella 1.5:
Osserviamo anche
(P⇒ Q)⇔ ((not Q)⇒ (not P)) (1.3)
Per cui possiamo aggiungere una colonna alla tabella 1.5
P Q not Q not P P⇒ Q (not Q)⇒ (not P)1 1 0 0 1 1
6 ottavio caligaris - pietro oliva
0 1 0 1 1 1
1 0 1 0 0 0
0 0 1 1 1 1
Tabella 1.6:
(P⇔ Q) ⇔ ((P⇒ Q) and (P⇐ Q))
(P⇒ Q) ⇔ ((not Q)⇒ (not P))⇔ (not(P and (not Q)))
Quest’ultima relazione è nota come principio di dimostrazione perassurdo.
Ricordiamo che si suppone noto il concetto di insieme.Usualmente gli insiemi sono identificati da una lettera maiuscola,
mentre le lettere minuscole, di solito, designano gli elementi di uninsieme.
Ricordiamo anche che
• a ∈ A significa che a è un elemento di A, a appartiene ad A;
• b 6∈ A significa che b non è un elemento di A, b non appartiene adA.
• se A è un insieme, a ∈ A e Pa è una proprietà che dipende da a,tale che cioè sia vera per certi valori di a e falsa per altri valori di a,scriviamo
{a ∈ A : Pa} oppure {a ∈ A : Pa è vera}
per indicare l’insieme degli elementi di A tali che Pa è vera.
Occorre infine ricordare che si dice data una relazione binaria suun insieme A se dati due elementi a, b ∈ A è possibile stabilire se èvera o falsa la proposizione ‘a è in relazione con b’.
Scriveremo aRb e a 6Rb per significare che la proposizione in ogget-to è rispettivamente vera o falsa.
Una relazione binaria si dice di relazione di equivalenza se sonoverificate le seguenti condizioni
• (aRb)⇒ (bRa) (simmetricità);
• (aRa) (riflessività);
• ((aRb) and (bRc))⇒ (aRc) (transitività).
Una relazione binaria si dice relazione d’ordine o ordinamento se sonoverificate le seguenti condizioni
• (a 6Ra) (antiriflessività);
analisi matematica 1 november 4, 2013 7
• ((aRb) and (bRc))⇒ (aRc) (transitività).
Siano A, B due insiemi, diciamo che
A ⊂ B (B ⊃ A) se (a ∈ A) ⇒ (a ∈ B) (1.4)
Diciamo che
A = B se (a ∈ A) ⇔ (a ∈ B) (1.5)
DefiniamoA\B = {a ∈ A and a 6∈ B}
Nel caso in cui B ⊂ A l’insieme A\B si dice anche complementaredi B in A e si indica con Bc essendo omessa l’indicazione che il com-plementare è fatto rispetto ad A, in quanto sarà sempre chiara, quandosi userà tale simbolo, l’identità di A.
Definiamo inoltre
• A ∪ B = {a ∈ A or a ∈ B} (A unione B)
• A ∩ B = {a ∈ A and a ∈ B} (A intersezione B)
• A× B = {(a, b) : a ∈ A and b ∈ B} ( prodotto cartesiano).
Si possono provare facilmente proprietà del tipo
• A ∪ (B ∪ C) = (A ∪ B) ∪ C
• A ∩ (B ∩ C) = (A ∩ B) ∩ C
• A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C)
• A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C)
• (A ∪ B)c = Ac ∩ Bc
• (A ∩ B)c = Ac ∪ Bc
Le ultime due uguaglianze sono note come formule di De-Morgan.Indichiamo con ∅ l’insieme vuoto, cioè l’insieme privo di elementiSe P è una proposizione ed A è un insieme possiamo considerare
le seguenti proposizioni
• ogni elemento di A soddisfa P;
• qualche elemento di A soddisfa P;
• uno ed un solo elemento di A soddisfa P .
Le tre affermazioni di cui sopra si scrivono in simboli
• ∀x ∈ A : Px
8 ottavio caligaris - pietro oliva
• ∃x ∈ A : Px
• ∃!x ∈ A : Px
Osserviamo che le negazioni delle prime due precedenti proposi-zioni sono
• ∃x ∈ A notPx
• ∀x ∈ A notPx
2 - I NUMERI REALI
Introduciamo l’insieme R dei numeri reali per via assiomatica; elen-chiamo cioè le proprietà cui deve soddisfare l’insieme dei numeri realiprescindendo dalla verifica dell’esistenza di un modello di R e dallacostruzione di tale modello.
A tale proposito ci limitiamo a ricordare che la retta euclidea su cuisiano stati fissati due punti (0 ed 1), sia stato definito il verso positi-vo e siano state definite la somma ed il prodotto per via geometrica,costituisce un buon modello dei numeri reali.
Diciamo che sono assegnati i numeri reali, che indicheremo con R,se:
• è assegnato un insieme R
• sono assegnate due leggi, che chiamiamo somma o addizione e pro-dotto o moltiplicazione e che indichiamo con + e · rispettivamen-te, ciascuna delle quali associa ad ogni coppia (x, y) ∈ R×R unelemento di R che indicheremo con x + y ed x · y rispettivamente(in realtà useremo sempre xy in luogo di x · y)
• è assegnata in R una relazione di equivalenza che indicheremo conil simbolo = (rispetto alla quale esistono in R almeno due elementidistinti)
• è assegnata in R una relazione d’ordine che indicheremo con <
valgono le seguenti proprietà per ogni x, y, z ∈ R :
1. x + y = y + x
(proprietà commutativa dell’addizione)
2. (x + y) + z = x + (y + z)
(proprietà associativa dell’addizione)
3. esiste θ ∈ R tale che x + θ = x, per ogni x ∈ R
(esistenza di un elemento neutro rispetto all’addizione)
10 ottavio caligaris - pietro oliva
• l’elemento neutro rispetto alla somma è unico in R
infatti se z, z′ sono due elementi neutri rispetto alla somma si ha
z = z + z′ = z′ + z = z′
• sarà indicato d’ora innanzi con 0
4. xy = yx
(proprietà commutativa della moltiplicazione)
5. (xy)z = x(yz)
(proprietà associativa della moltiplicazione)
6. esiste ζ ∈ R tale che xζ = x per ogni x ∈ R
(esistenza di un elemento neutro rispetto alla moltiplicazione)
• l’elemento neutro rispetto al prodotto è unico in R Se u, u′ sono dueelementi neutri rispetto al prodotto si ha
u = uu′ = u′
• sarà indicato d’ora innanzi con 1
7. x(y + z) = xy + xz
(proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione)
8. è vera una ed una sola delle seguenti affermazioni
x < y , x = y , y < x
(legge di tricotomia)
9. se x < y allora x + z < y + z
(invarianza dell’ordine rispetto all’addizione)
10. se x < y e 0 < z allora xz < yz
(invarianza dell’ordine rispetto alla moltiplicazione per elementipositivi)
11. Per ogni x ∈ R esiste x′ ∈ R tale che x′ + x = 0
(esistenza dell’inverso rispetto all’addizione)
• per ogni x ∈ R l’inverso di x rispetto alla somma è unico, infatti sianox′, x′′ tali che x′ + x = x′′ + x = 0 allora si ha x′ + x + x′ = x′′ +x + x′ e ne segue che x′ = x′′
• verrà indicato solitamente con −x
analisi matematica 1 november 4, 2013 11
12. per ogni x ∈ R\{0} esiste x′′ ∈ R tale che x′′x = 1
(esistenza dell’inverso rispetto alla moltiplicazione)
• per ogni x ∈ R\{0} l’inverso di x rispetto al prodotto è unico Sianox′, x′′ tali che x′x = x′′x = 1 si ha x′xx′ = x′′xx′ e ne segue x′ = x′′
• verrà indicato solitamente con 1/x o con x−1
13. Per ogni A, B ⊂ R, A, B 6= ∅ tali che
a ≤ b ∀a ∈ A , ∀b ∈ B
esiste c ∈ R tale che
a ≤ c ≤ b ∀a ∈ A, ∀b ∈ B (2.1)
(esistenza di un elemento separatore).
Se x, y ∈ R scriveremo x > y in luogo di y < x e converremo diusare il simbolo x ≤ y se (x = y) or (x < y) .
Ricordiamo inoltre che in caso di più operazioni in sequenza, senon vi sono parentesi, per convenzione il prodotto ha priorità sullasomma.
Passiamo ora a provare alcune fondamentali proprietà dei numerireali.
Teorema 2.1 - proprietà dei numeri reali - Valgono i seguenti fatti:
1. ∀x, y, z ∈ R x + z = y + z ⇔ x = y (legge di cancellazione rispettoalla somma)
Sia z′ tale che z + z′ = 0 allora
x = (x + z) + z′ = (y + z) + z′ = y
2. ∀x, y, z ∈ R , z 6= 0 , xz = yz ⇔ x = y (legge di cancellazione rispettoal prodotto)
Sia z′ tale che zz′ = 1 allora
x = (xz)z′ = (yz)z′ = y
3. x0 = 0, ∀x ∈ R
x0 = x (0 + 0) = x0 + x0 da cui x0 = 0 .
4. (−(−x)) = x, ∀x ∈ R
(−x) + x = 0 da cui −(−x) = x .
5. (−x) + (−y) = −(x + y), ∀x, y ∈ R
x + y + (−x) + (−y) = 0 da cui −(x + y) = (−x) + (−y) .
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6. (−x)y = −xy, ∀x, y ∈ R
(−x)y + xy = (−x + x)y = 0 onde (−x)y = −xy .
7. (−x)(−y) = xy, ∀x, y ∈ R
(−x)(−y) + (−xy) = (−x)(−y) + (−x)y = (−x)(−y + y) = 0 .
8. xy = 0 se e solo se (x = 0) or (y = 0)
Sia xy = 0, se fosse y 6= 0 si avrebbe x = xyy−1 = 0 .
9. (xy)−1 = x−1y−1, ∀x, y ∈ R\{0}
(xy)x−1y−1 = 1 .
10. x > 0 implica −x < 0
Se x > 0 allora 0 = x− x > 0− x = −x .
11. xx > 0, ∀x ∈ R\{0}
Se x > 0 allora xx > 0 mentre se x < 0 si ha xx = (−x)(−x) > 0 .
12. 1 6= 0
Se fosse 1 = 0 si avrebbe, per ogni x ∈ R, x = x 1 = x 0 = 0 .
13. 1 > 0
1 = 1 · 1 > 0 .
14. x > 0 implica x−1 > 0, ∀x ∈ R
Se x > 0 e x−1 < 0 allora 1 = xx−1 < 0.
Dimostrazione.
1. Sia z′ tale che z + z′ = 0 allora
x = (x + z) + z′ = (y + z) + z′ = y
2. Sia z′ tale che zz′ = 1 allora
x = (xz)z′ = (yz)z′ = y
3. x0 = x (0 + 0) = x0 + x0 da cui x0 = 0 . —-
4. (−x) + x = 0 da cui −(−x) = x .
5. x + y + (−x) + (−y) = 0 da cui −(x + y) = (−x) + (−y) .
6. (−x)y + xy = (−x + x)y = 0 onde (−x)y = −xy
7. (−x)(−y) + (−xy) = (−x)(−y) + (−x)y = (−x)(−y + y) = 0 .
8. Sia xy = 0, se fosse y 6= 0 si avrebbe x = xyy−1 = 0 .
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9. (xy)x−1y−1 = 1 .
10. Se x > 0 allora 0 = x− x > 0− x = −x .
11. Se x > 0 allora xx > 0 mentre se x < 0 si ha xx = (−x)(−x) > 0 .
12. Se fosse 1 = 0 si avrebbe, per ogni x ∈ R, x = x 1 = x 0 = 0 .
13. 1 = 1 · 1 > 0 .
14. Se x > 0 e x−1 < 0 allora 1 = xx−1 < 0.
2
Possiamo ora costruire un modello di R identificando gli elementidi R con i punti di una retta euclidea su cui è fissato un punto 0 ed unpunto 1.
Si dice positivo il verso di percorrenza da 0 ad 1 e si dice altresì po-sitivo un punto (elemento di R) che sta dalla stessa parte di 1 rispettoa 0 e negativo in caso contrario.
Si definisce somma di due elementi x ed y l’elemento x + y in-dividuato dal secondo estremo del segmento composto affiancando isegmenti di estremi 0 ed x e 0 ed y come si vede in figura2.
Figura 2.1: Costruzione della somma didue numeri reali
Si definisce il prodotto di due elementi x ed y mediante la costru-zione indicata in figura2.
Con le operazioni di somma e di prodotto e la relazione d’ordineintrodotte si può dimostrare che le proprietà richieste sono verificatee permettono di identificare nella retta euclidea un buon modello deinumeri reali.
Occorre ora identificare in R l’insieme N dei numeri naturali, l’in-sieme Z dei numeri interi e l’insieme Q dei numeri razionali.
A questo scopo definiamo il concetto di sottoinsieme induttivo inR
Definizione 2.1 Sia E ⊂ R , diciamo che E è un insieme induttivo sesoddisfa le due seguenti proprietà:
1. 1 ∈ E
14 ottavio caligaris - pietro oliva
Figura 2.2: Costruzione del prodotto didue numeri reali
2. x ∈ E ⇒ x + 1 ∈ E
Osserviamo che esistono certamente insiemi induttivi in quanto, adesempio, R stesso è un insieme induttivo; è pure utile osservare cheanche
{x ∈ R : x ≥ 1}
è un insieme induttivo.
Definizione 2.2 Sia E l’insieme degli insiemi induttivi di R; definiamo
N =⋂
E∈EE
La definizione assicura che N è il più piccolo sottoinsieme induttivodi R .
Teorema 2.2 N è non vuoto, 1 ∈ N, 1 ≤ n ∀n ∈ N ed inoltre vale laseguente proprietà:
se A ⊂N è un insieme induttivo allora A = N
Dimostrazione. Dal momento che 1 appartiene ad ogni sottoinsiemeinduttivo e dal momento che {x ∈ R : x ≥ 1} è un insieme induttivosi ha che 1 ∈N ed inoltre n ≥ 1 se n ∈N.
Per provare la seconda affermazione possiamo osservare che se Aè un insieme di N induttivo, allora evidentemente A ∈ E e pertantoA ⊃N onde A = N 2
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L’ultima affermazione del teorema 2.2 è nota come principiodi induzione.
Applicando il principio di induzione all’insieme
B = A ∪ {n ∈N : n < n0 }
possiamo dedurre il seguente corollario:
Corollario 2.1 Sia n0 ∈N, n0 > 1, e supponiamo che sia A ⊂N tale che
1. n0 ∈ A
2. n ∈ A ⇒ n + 1 ∈ A
AlloraA ⊃ {n ∈N : n ≥ n0 } .
Definizione 2.3 Siano m, n ∈ N, m ≥ n, e sia ak ∈ R per ogni k ∈ N;definiamo
n
∑k=n
ak = an ,m+1
∑k=n
ak = am+1 +m
∑k=n
ak .
n
∏k=n
ak = an
m+1
∏k=n
ak = am+1 ·m
∏k=n
ak .
Definizione 2.4 Chiamiamo insieme dei numeri interi l’insieme
Z = {a ∈ R : a = m− n , m, n ∈N} ,
inoltre diciamo insieme dei numeri razionali l’insieme
Q = {q ∈ R : q = mn−1 = m/n , m ∈ Z , n ∈N} .
Non entriamo nel dettaglio delle proprietà di Z e Q, ricordiamosolo che
Z = (−N) ∪ {0} ∪N
Definizione 2.5 Sia A ⊂ R, diciamo che M ∈ R è un maggiorante di A se
∀a ∈ A , a ≤ M
Diciamo che m ∈ R è un minorante di A se
∀a ∈ A , a ≥ m
ChiamiamoM(A) = {M ∈ R : ∀a ∈ A , a ≤ M}
m(A) = {m ∈ R : ∀a ∈ A , a ≥ m}
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In altre parole M(A) è l’insieme dei maggioranti di A, mentre m(A)
è l’insieme dei minoranti di A.Osserviamo che
M(∅) = m(∅) = R .
Definizione 2.6 Sia A ⊂ R , diciamo che A è un insieme superiormentelimitato se M(A) 6= ∅.
Diciamo che A è un insieme inferiormente limitato se m(A) 6= ∅.Diciamo che A è limitato se A è sia superiormente che inferiormente
limitato, cioè se tanto M(A) quanto m(A) sono non vuoti.
Definizione 2.7 Diciamo che A ⊂ R ammette minimo (massimo) seesiste m ∈ A (M ∈ A) tale che m ≤ a (M ≥ a) per ogni a ∈ A
Scriveremo in tal caso
m = min A , M = max A
Osserviamo che non sempre è vero che un insieme di numeri realiammette minimo o massimo: si consideri ad esempio
A = R oppure A = {x ∈ R : 0 < x < 1}
Osserviamo anche che
min A = m(A) ∩ A , max A = M(A) ∩ A
e che tali insiemi, se non sono vuoti, contengono un solo elemento.
Teorema 2.3 Sia A ⊂ R , A 6= ∅ se A è inferiormente limitato allo-ra m(A) ammette massimo, mentre se A è superiormente limitato M(A)
ammette minimo.
Dimostrazione. Proviamo ad esempio che se A è inferiormente limi-tato allora m(A) ammette massimo.
Si ham ≤ a ∀m ∈ m(A) , ∀a ∈ A
e pertanto per la 2.1
∃α ∈ R tale che m ≤ α ≤ a ∀m ∈ m(A), ∀a ∈ A
Pertanto si può affermare che
α = max m(A)
2
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Definizione 2.8 Sia A ⊂ R , A 6= ∅, A inferiormente limitato; defi-niamo estremo inferiore di A e lo indichiamo con inf A , il massimo deiminoranti di A, definiamo cioè
inf A = max m(A).
Analogamente se A è superiormente limitato definiamo estremo su-periore di A e lo indichiamo con sup A , il minimo dei maggioranti di A,definiamo cioè
sup A = min M(A).
Definiamo inoltre
• inf A = −∞, se A non è inferiormente limitato
• sup A = +∞, se A non è superiormente limitato
• inf ∅ = +∞
• sup ∅ = −∞
È importante trovare una caratterizzazione dell’estremo inferiore edell’estremo superiore di un insieme.
Teorema 2.4 Sia A ⊂ R , A 6= ∅, A inferiormente limitato; allora λ =
inf A se e solo se valgono le seguenti condizioni:
1. λ ≤ a ∀a ∈ A
2. ∀ε > 0, ∃aε ∈ A tale che aε < λ + ε
Dimostrazione. λ = infA ⇔ λ = max m(A) ⇔ λ ∈ m(A)
e∀ε > 0 , λ + ε 6∈ m(A) .D’altra parteλ ∈ m(A) ⇔ λ ≤ a ∀a ∈ A ⇔ (1);mentre∀ε > 0 λ + ε 6∈ m(A) ⇔ ∀ε > 0 ∃aε ∈ A : aε < λ + ε ⇔ (2) 2
In maniera analoga si può dimostrare
Teorema 2.5 Sia A ⊂ R , A 6= ∅, A superiormente limitato; allora µ =
sup A se e solo se valgono le seguenti condizioni:
1. µ ≥ a ∀a ∈ A
2. ∀ε > 0 ∃aε ∈ A : aε > µ− ε
18 ottavio caligaris - pietro oliva
Dal momento che inf A = −∞ e sup A = +∞ se, rispettivamente,A non è inferiormente, o superiormente limitato,si ha che
Teorema 2.6 Sia A ⊂ R , A 6= ∅ allora
1. inf A = −∞ ⇔ ∀k ∈ R ∃ak ∈ A tale che ak < k
2. sup A = +∞ ⇔ ∀k ∈ R ∃ak ∈ A tale che ak > k
Proviamo a questo punto che l’insieme dei numeri interi non èsuperiormente limitato; proviamo cioè che
Teorema 2.7 - Principio di Archimede - ∀x ∈ R ∃n ∈ Z : n ≥ x
Dimostrazione. Se per assurdo esistesse y ∈ R tale che
y > n ∀n ∈ Z
allora y ∈ M(Z) eλ = supZ ∈ R
Pertanto, daλ ≥ n ∀n ∈ Z
possiamo dedurre che
λ ≥ n + 1 ∀n ∈ Z
eλ− 1 ≥ n ∀n ∈ Z
ma ciò contraddice il teorema 2.5Infatti per ε = 1 non esiste alcun n ∈ Z tale che λ− 1 < n. 2
Lemma 2.1 Per ogni x ∈ R esiste nx ∈ Z tale che
nx ≤ x < nx + 1 .
Inoltre si ha nx = max {n ∈ Z : n ≤ x}.
Dimostrazione. Definiamo
A = {n ∈ Z : n ≤ x} .
Evidentemente A è superiormente limitato e non vuoto in quanto, peril teorema 2.7, esiste −n0 ∈ Z, −n0 ≥ −x; si può pertanto affermareche n0 ∈ a
λ = sup A ∈ R
Se per assurdo si avesse che
∀n ∈ A si abbia n + 1 ∈ A
avremmo allora che A ⊃ {n ∈ Z : n ≥ n1} e quindi A non potrebberisultare limitato.
Quindi è lecito affermare che
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esiste nx ∈ A, tale che nx + 1 6∈ A;
da cui, essendo nx e di conseguenza nx + 1 interi, si ha
nx ≤ x < nx + 1 .
Osserviamo inoltre che, se esistesse n ∈ A, n > nx, si avrebben ≥ nx + 1 > x ed n 6∈ A. 2
E’ pertanto lecito porre:
Definizione 2.9 Sia x ∈ R, definiamo E(x), parte intera di x, come
E(x) = max{n ∈ Z : n ≤ x}
Osserviamo che E(x) è il più grande intero più piccolo di x.
Definizione 2.10 Sia x ∈ R, definiamo |x|, modulo, o valore assoluto,o norma di x :
|x| =
x se x > 0
0 se x = 0
−x se x < 0
(2.2)
Teorema 2.8 Sono verificati i seguenti fatti, ∀a, x, y ∈ R :
1. |x| ≥ 0
2. |x| = 0 ⇔ x = 0
3. |xy| = |x| |y|
4. |x| ≤ a ⇔ −a ≤ x ≤ a
5. |x + y| ≤ |x|+ |y|
6. ||x| − |y|| ≤ |x− y|
7. |x| < ε ∀ε > 0 ⇔ x = 0.
Dimostrazione. (1), (2) e (3) seguono immediatamente dalla defini-zione di modulo; per quel che riguarda la (4) si noti che
|x| ≤ a ⇔ 0 ≤ x ≤ a oppure − a ≤ x ≤ 0 .
Proviamo ora la (5): per (4) si ha
−|x| ≤ x ≤ |x| e − |y| ≤ y ≤ |y| .
20 ottavio caligaris - pietro oliva
Pertanto, sommando membro a membro,
−(|x|+ |y|) ≤ x + y ≤ |x|+ |y|
e la tesi, riutilizzando la (4).Per quel che riguarda (6), si ha
|x| = |x− y + y| ≤ |x− y|+ |y|
|y| = |y− x + x| ≤ |x− y|+ |x| ;
perciò−|x− y| ≤ |x| − |y| ≤ |x− y|
e, da (4), la tesi.Infine, per quel che riguarda la (7), se fosse x 6= 0, si potrebbe
scegliere ε tale che 0 < ε < |x|. 2
Definizione 2.11 Sia x ∈ R, definiamo per ogni n ∈N :
x0 = 1 , xn = xxn−1
xn si dice potenza ennesima di base x.Definiamo inoltre, se x 6= 0,
x−n = 1/xn .
Teorema 2.9 Siano x, y ∈ R; per ogni n, m ∈N si ha
xn+m = xnxm (2.3)
(xn)m = xnm (2.4)
(xy)n = xnyn (2.5)
(2.6)
Fin qui abbiamo definito cosa intendiamo per numero reale, na-turale, intero e razionale ma non abbiamo introdotto un simbolismoadeguato.
Abbiamo fino ad ora identificato un numero utilizzando un sim-bolo, ma è chiaro che in tal modo possiamo utilizzare contempora-neamente solo pochi numeri dato che, per chiarezza, è necessario ser-virsi solo di un piccolo numero di segni (simboli o cifre) diversi; èquindi utile introdurre un sistema di rappresentazione che utilizzi so-lo un numero piccolo di cifre e sia in grado di fornire una adeguatarappresentazione dei numeri,anche molto grandi, che ci interessano.
Tale tipo di rappresentazione fu introdotta in Europa da LeonardoPisano, detto Fibonacci, cioè figlio di Bonaccio attorno al 1400, ma eraimpiegata dagli arabi già da molto tempo.
Essa prende il nome di notazione posizionale e si fonda sul seguen-te semplice fatto
analisi matematica 1 november 4, 2013 21
Lemma 2.2 Per ogni a ∈ N ∪ {0}, e per ogni b ∈ N, esistono e sono uniciq, r ∈N∪ {0} tali che
a = bq + r , r < b (2.7)
Dimostrazione. Posto q = E(a/b) si ha
q ≤ a/b < q + 1 e bq ≤ a < b(q + 1)
Pertanto, posto r = a− bq si ha r ∈N∪ {0} e
bq + r = a < bq + b da cui r < b
2
2.1 Rappresentazione dei numeri naturali in base b
Siano a0, b ∈N, a0 ≥ b > 1; e definiamo il seguente algoritmoper ogni n ∈ N ∪ {0} indichiamo con an e cn gli unici elementi di
N∪ {0} (vedi il lemma 2.2) tali che
an = an+1b + cn , cn < b (2.8)
I numeri an così generati soddisfano interessanti proprietà:
1. an 6= 0 ⇒ an+1 < an infatti
• Dal momento che an+1 = E(an/b) e poiché b > 1
an+1 ≤ an/b < an
2. Esiste n0 ∈N tale che an0 6= 0 ed an0+1 = 0
• Se an 6= 0 implicasse an+1 6= 0 avremmo, per il principio diinduzione che an 6= 0 per ogni n ∈N, si avrebbe
a1 ≤ a0 − 1 essendo a1 < a0
ed inoltre si potrebbe affermare che
an ≤ a0 − n ⇒ an+1 < an ≤ a0 − n ⇒ an+1 ≤ a0 − (n + 1)
Ne verrebbe pertanto, per il principio di induzione, che
an ≤ a0 − n ∀n ∈N
e ciò non è possibile in quanto, per n > a0, si avrebbe an < 0
3. Risulta:
a0 =n0
∑k=0
ckbk.
22 ottavio caligaris - pietro oliva
• Infatti
a0 − a1b = c0
a1 − a2b = c1
a2 − a3b = c2
· · · · · · = · · ·an0 = cn0
da cui moltiplicando la seconda uguaglianza per b, la terza ugua-glianza per b2 e così via fino a moltiplicare l’ultima per bn0 siottiene
a0 − a1b = c0
a1b− a2b2 = c1b
a2b2 − a3b3 = c2b2
· · · · · · = · · ·an0 bn0 = cn0 bn0
e sommando membro a membro si ottiene
a0 − a1b + a1b− a2b2 + a2b2 − a3b3 + ...... − an0 bn0 =
= c0 + c1b + c2b2 + ...... + cn0 bn0 (2.9)
e cioè
a0 =n0
∑k=0
ckbk
È evidente a questo punto che possiamo identificare in manieraunivoca il numero a0 mediante la sequenza dei numeri ck, che risultanointeri positivi o nulli, minori di b.
In altre parole conveniamo di rappresentare in base b il numeroa0 mediante l’allineamento ordinato dei numeri ck trovati seguendo ilprocedimento descritto; definiamo cioè
r(a0) = cn0 cn0−1cn0−2...... c2c1c0.
Osserviamo esplicitamente che
0 ≤ ck < b
e cher(a0) = a0 ⇔ a0 < b
Possiamo verificare che, per come è stata costruita
analisi matematica 1 november 4, 2013 23
1. La rappresentazione in base b di un numero naturale è unica;
2. Ogni allineamento finito di cifre in base b
αk , 0 ≤ αk < b , k = 0, 1, . . . , n0
con αn0 6= 0, identifica un numero a ∈N mediante la
a =n0
∑k=0
αkbk
Si può pertanto concludere che ogni numero naturale può essere in-dividuato non appena si disponga di b simboli diversi che chiameremocifre.
Usualmente si adopera per questo scopo un numero di simboli ocifre che è pari al numero delle dita delle mani di un uomo; tali simbolisono:
0 , 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 , 8 , 9
I primi due sono usati per identificare rispettivamente zero (l’ele-mento neutro rispetto alla somma) ed uno (l’elemento neutro rispettoal prodotto), mentre i successivi servono ad indicare i numeri naturalida due a nove (secondo la terminologia in uso nella lingua italiana). Inumeri da dieci in poi si indicano invece facendo ricorso a più di unacifra.
Naturalmente la scelta della base b = 10 non è l’unica possibile néè la sola usata frequentemente.
Oltre alla notazione decimale infatti si fa spesso ricorso alla nota-zione binaria, che corrisponde alla scelta b = 2 e che fa uso delle solecifre
0 , 1
alla notazione ottale, che corrisponde alla scelta b = 8 e usa le cifre
0 , 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7
e alla notazione esadecimale che corrisponde alla scelta b = 16 (deci-male) e che fa uso della cifre
0 , 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 , 8 , 9 , A , B , C , D , E , F
Osservazione. Il ruolo della base b = 2 è diventato basilare in segui-to allo sviluppo degli elaboratori; infatti la memoria di un elaboratoreè in grado di registrare in ogni singola posizione di memoria due sta-ti: attivo e non attivo, vero e falso, 1 e 0. Può pertanto in manierasemplice memorizzare un numero come una sequenza di stati binari.
Le basi b = 8 e b = 16 sono di conseguenza importanti in quanto8 = 23 e 16 = 24 e la conversione di base tra numeri binari ottali o
24 ottavio caligaris - pietro oliva
esadecimali risulta molto semplice. A titolo di esempio osserviamoche le seguenti rappresentazioni in base 2, 8 e 16 corrispondono alvalore decimale 255
11 111 111 1111 1111
3 7 7 F F
Tabella 2.1:
È anche utile ricordare che la numerazione in base 2 ha il vantaggiodi usare poche cifre e quindi di necessitare di semplicissime tabellinedi addizione e di moltiplicazione, mentre ha lo svantaggio di doverusare molte cifre anche per numeri piccoli.
Al contrario la numerazione in base 16 ha tabelline di addizione edi moltiplicazione complicate ma è in grado di rappresentare grandinumeri con poche cifre.
2
Dal momento che si ha
Z = N∪ {0} ∪ (−N)
possiamo ottenere anche la rappresentazione in base b di ogni numerointero.
Per quanto concerne i numeri reali non interi non sarà in generalepossibile identificarli mediante un allineamento finito di cifre, pos-siamo però provare che ogni numero reale si può approssimare conarbitraria precisione mediante allineamenti finiti di cifre.
2.2 Approssimazione dei numeri reali in base b
Anche in questo caso possiamo definire un algoritmo che è in gradodi generare un allineamento di cifre, che può essere infinito, median-te il quale ogni numero reale può essere approssimato con arbitrariaprecisione.
Sia x ∈ R , x > 0 e sia b ∈N , b > 1 definiamo
c0 = E(x)
c1 = E((x− c0)b)
c2 = E((x− c0 −c1
b)b2)
· · · = · · · · · ·
cn = E((x−n−1
∑k=0
ckb−k)bn)
Definiamo inoltre
xn =n
∑k=0
ckb−k (2.10)
analisi matematica 1 november 4, 2013 25
xn si chiama approssimazione in base b di ordine n del numero realex.
Usualmente si scrive
xn = c0, c1c2c3.....cn
oppurexn = c0.c1c2c3.....cn
Se x ∈ R , x < 0 si definisce
xn = −(−x)n
Nel seguito tuttavia faremo sempre riferimento al caso in cui x > 0
1. 0 ≤ x− xn < b−n , 0 ≤ cn+1 < b
• Infatti osservando che
cn = E((x− xn−1)bn) e che xn = xn−1 + cnb−n
si hacn ≤ (x− xn−1)bn < cn + 1
ed anchecnb−n ≤ x− xn−1 < cnb−n + b−n
da cui0 ≤ x− xn < b−n
Inoltre moltiplicando la precedente disuguaglianza per bn+1 siottiene
0 ≤ (x− xn)bn+1 < b
ecn+1 = E((x− xn)bn+1) < b
2. Si deduce quindi subito che
x ≥ xn
Ciò si esprime dicendo che xn è una approssimazione per difettodel numero reale x. Si vede altresì che l’approssimazione di x puòessere fatta con precisione arbitraria pur di aumentarne l’ordine.Infatti
3. Per ogni x ∈ R si ha
x = sup{xn : n ∈N}
26 ottavio caligaris - pietro oliva
• Abbiamo già osservato che
x ≥ xn
D’altro canto si hax− xn < 1/bn
e possiamo anche affermare che
Se b ∈N , b > 1 si ha bn > n, ∀n ∈N
Infatti
– per n = 1 si ha b > 1
– inoltre se bn > n allora bn+1 > n + 1 in quanto
bn+1 = bnb > bn ≥ 2n = n + n ≥ n + 1.
Poichè per ogni ε > 0, esiste n ∈ N tale che ε > 1/n possiamoallora concludere che
ε > 1/nε > 1/bnε .
Si possono altresì provare i seguenti risultati.
1. Per ogni x ∈ R e per ogni ε ∈ R, ε > 0, esiste q ∈ Q : |x− q| < ε.
• Scelto q = xnε , con bnε > 1/ε, è immediato verificare che q ∈ Q eche |x− q| < ε.
2. Per ogni x, y ∈ R, x < y, esiste q ∈ Q tale che x < q < y
3. Per ogni x, y ∈ Q, x < y, esiste z ∈ R\Q tale che x < z < y
Infatti detto z = (x + y)/2 e scelto q = znε tale che bnε > 3/(y− x),è immediato verificare che q ∈ Q e x < q < y.
La seconda affermazione segue dall’esistenza di almeno un irrazio-nale; se infatti α è un numero irrazionale compreso in (0, 1), adesempio α =
√2− 1, avremo che
x + α(y− x) (2.11)
non è razionale ( se lo fosse, poichè x, y ∈ Q si avrebbe anche α ∈ Q)ed è compreso in (x, y)
Osserviamo che quindi anche tra due reali x < y esiste un irrazionale,infatti si possono trovare x′ < y′ con x < x′ < y′ < y
Questo risultato si esprime usualmente dicendo che Q è denso inR .
In realtà il risultato provato è più preciso in quanto assicura che ilsottoinsieme dei numeri razionali che si possono scrivere nella formausata in 2.10 è denso in R.
analisi matematica 1 november 4, 2013 27
Nel caso in cui b = 10 i numeri che si possono scrivere in tale formasi chiamano numeri decimali finiti .
Osservazione. È d’uso, lavorando con i numeri reali, adoperare laretta euclidea come modello dei numeri reali.
Infatti, assumendo i postulati della geometria euclidea ed il postu-lato di continuità di Dedekind, si possono definire sulla retta le opera-zioni di addizione e moltiplicazione, una relazione di equivalenza eduna d’ordine, in modo che siano verificati gli assiomi che identificanoi numeri reali. 2
È inoltre utile costruire una rappresentazione geometrica del pro-dotto cartesiano R×R = R2.
Ciò può essere ottenuto identificando R2 con un piano.Consideriamo pertanto un piano α e fissiamo su di esso due rette
r1 ed r2, dette assi cartesiani, che si intersecano nel punto O, dettoorigine.
Usualmente adopereremo le lettere x ed y per indicare i punti di r1
ed r2 rispettivamente; per tale ragione diremo che r1 è l’asse x e che r2
è l’asse y.Ognuna delle rette può essere interpretata come R ed è chiaro che
procedendo come in figura2.2 si può identificare ogni coppia di numerireali con un punto del piano α e viceversa.
Qualora r1 ed r2 siano tali che ruotando r1 in senso antiorario, diun angolo inferiore ad un angolo piatto, fino a sovrapporla ad r2, ipunti che rappresentano le unità sulle due rette stanno dalla stessaparte rispetto al punto O, la rappresentazione si chiama destrorsa; incaso contrario si dice sinistrorsa.
Qualora le rette r1 ed r2 siano perpendicolari, la rappresentazionesi chiama ortogonale.
Qualora si scelgano in r1 ed r2 segmenti unitari uguali, la rappre-sentazione si dice monometrica.
Usualmente adopereremo una rappresentazione destrorsa, ortogona-le e monometrica, che chiamiamo sistema cartesiano.
Per concludere ricordiamo alcune notazioni:
28 ottavio caligaris - pietro oliva
Figura 2.3: Sistema di riferimentoCartesiano
Definizione 2.12 Siano a, b ∈ R, definiamo
(a, b) = {x : x ∈ R , a < x < b }[a, b] = {x : x ∈ R , a ≤ x ≤ b }[a, b) = {x : x ∈ R , a ≤ x < b }(a, b] = {x : x ∈ R , a < x ≤ b }
(a,+∞) = {x : x ∈ R , x > a }a,+∞) = {x : x ∈ R , x ≥ a }(−∞, a) = {x : x ∈ R , x < a }(−∞, a] = {x : x ∈ R , x ≤ a }
Definiamo inoltre
R+ = {x : x ∈ R , x > 0 }R+ = {x : x ∈ R , x ≥ 0 }R− = {x : x ∈ R , x < 0 }R− = {x : x ∈ R , x ≤ 0 }
Definizione 2.13 Sia A ⊂ R, diciamo che A è aperto se
∀x ∈ A ∃r > 0 tale che (x− r, x + r) ⊂ A
Diciamo che A è chiuso se Ac è aperto.Diciamo che A è compatto se è chiuso e limitato.
3 - FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
Il concetto di funzione è di fondamentale importanza;
Definizione 3.1 Diciamo che è data una funzione reale di una variabile realese sono assegnati un sottoinsieme D ⊂ R ed una corrispondenza f che ad ognielemento x ∈ D associa uno ed un solo elemento y ∈ R.
Definizione 3.2 Chiamiamo D dominio della funzione e denotiamo con f (x)(si legge f di x) il corrispondente di x secondo la legge assegnata f ; spesso use-remo il termine valore di f in x oppure f calcolata in x per indicare f (x) echiamiamo x argomento di f(x); per indicare la corrispondenza f scriviamoanche x 7→ f (x) oppure x 7→ y = f (x).
Chiamiamo rango di f l’insieme
R( f ) = {y ∈ R : ∃x ∈ D, y = f (x)}.
Per indicare una funzione scriviamo f : D −→ R, specificandoprima della freccia il dominio D di f , ma non curandoci di precisare,dopo la freccia, il suo rango.
Osservazione. Distinguiamo fin d’ora due notazioni che sarannousate con significati completamente diversi. Useremo f per indicare lalegge di corrispondenza di una funzione ed f (x) per indicare il valoredi f in x, (quindi f (x) è un numero reale). 2
Spesso, nell’assegnare una funzione, daremo soltanto la legge dicorrispondenza f ; in tal caso sottointendiamo sempre che D è il piùgrande sottoinsieme di R i cui elementi possono essere usati comeargomenti di f .
Ad ogni funzione è possibile associare un sottoinsieme del prodottocartesiano R×R (che indicheremo spesso con R2) che la caratterizzain maniera completa e dalla quale è completamente caratterizzato.
Definizione 3.3 Sia f : D −→ R, definiamo grafico di f
G( f ) = {(x, y) ∈ R2 : x ∈ D , y = f (x)}
Mediante la definizione 3.2 è possibile associare in maniera univocaun sottoinsieme G (= G( f )) ad ogni funzione f : D −→ R.
30 ottavio caligaris - pietro oliva
Non è altrettanto vero che ad ogni sottoinsieme G ⊂ R2 è possibileassociare una funzione f : D −→ R. Ciò accade solo nel caso in cui Gsoddisfi una particolare proprietà.
Definizione 3.4 Diciamo che G ⊂ R2 soddisfa la proprietà (g) se
(g) (x, y1), (x, y2) ∈ G ⇒ y1 = y2
Teorema 3.1 Per ogni G ⊂ R2, G soddisfacente la proprietà (g), esistonounici D ⊂ R ed f : D −→ R tali che G = gph f .
Dimostrazione. Definiamo D = {x ∈ R : ∃y ∈ R, (x, y) ∈ G} e siaf (x) = y dove y è l’unico elemento di R tale che (x, y) ∈ G.
Dal momento che G soddisfa la proprietà (g), D ed f verificano leproprietà richieste. 2
Definizione 3.5 Sia f : D −→ R, sia A ⊂ D, definiamo restrizione di fad A la funzione g : A −→ R tale che g(x) = f (x) ∀x ∈ A.
Indichiamo con f |A la restrizione di f ad A.Siano invece B ⊃ D e g : B −→ R; diciamo che g è un prolungamento di
f a B se g|D = f .
Definizione 3.6 Sia f : D −→ R, diciamo che
1. f è iniettiva se
∀x1, x2 ∈ D f (x1) = f (x2) ⇒ x1 = x2
In altre parole f è iniettiva se ogni retta parallela all’asse delle x intersecagph f in un solo punto.
2. Sia A ⊂ R, diciamo che f è surgettiva su A se R( f ) = A, cioè se
∀y ∈ A ∃x ∈ D : y = f (x).
Per esprimere che f è surgettiva su A diremo anche che f : D −→ A èsurgettiva. (Si osservi che in questo caso abbiamo specificato dopo la freccia ilrango di f ).
Sia f : D −→ A, diciamo che f è bigettiva se è iniettiva e surgettiva.
Osservazione. Ogni funzione è surgettiva sul suo rango. 2
Definizione 3.7 Siano f , g : D −→ R, definiamo
1. f + g : D −→ R come ( f + g)(x) = f (x) + g(x) ∀x ∈ D
2. f · g : D −→ R come ( f · g)(x) = f (x) · g(x) ∀x ∈ D
3. 1g : D1 −→ R come 1
g (x) = 1g(x) ∀x ∈ D1 = {x ∈ D : g(x) 6= 0}
analisi matematica 1 november 4, 2013 31
Definizione 3.8 Siano f : D −→ R e g : B −→ R e supponiamo cheR(g) ⊂ D.
Definiamo funzione composta di g ed f la funzione che ad ogni x ∈ Bassocia f (g(x)) ∈ R.
Definizione 3.9 Diciamo che f : D −→ A è invertibile se esiste g : A −→D tale che
f (g(y)) = y ∀y ∈ A (3.1)
g( f (x)) = x ∀x ∈ D (3.2)
Per indicare g usiamo il simbolo f−1 cosicché
f−1 : A −→ D
è l’inversa di f .
Teorema 3.2 Sia f : D −→ A, f è invertibile se e solo se f è bigettiva.
Dimostrazione. Supponiamo f invertibile; allora
∀y ∈ A f ( f−1(y)) = y
e ciò prova che f è surgettiva su A.Siano poi x1, x2 ∈ D e sia f (x1) = f (x2), allora
x1 = f−1( f (x1)) = f−1( f (x2)) = x2
e ciò prova l’iniettività di f .Supponiamo viceversa che f sia bigettiva e definiamo, per ogni
y ∈ A, f−1(y) = x dove x è l’unico elemento di D tale che f (x) = y.In altre parole
f−1(y) = x ⇔ y = f (x) .
Si ha alloraf−1( f (x)) = f−1(y) = x ∀x ∈ D
f ( f−1(y)) = f (x) = y ∀y ∈ A.
2
Definizione 3.10 Sia f : D −→ R e supponiamo che D sia simmetricorispetto all’origine (cioè x ∈ D ⇒ −x ∈ D); diciamo che f è una funzionepari se
f (x) = f (−x) ∀x ∈ D;
diciamo che f è una funzione dispari se
f (x) = − f (−x) ∀x ∈ D.
32 ottavio caligaris - pietro oliva
Definizione 3.11 Sia f : D −→ R, diciamo che f è crescente (strettamentecrescente) se
∀x, y ∈ D, x < y ⇒ f (x) ≤ f (y) ( f (x) < f (y)) .
Diciamo che f è decrescente (strettamente decrescente) se
∀x, y ∈ D, x < y ⇒ f (x) ≥ f (y) ( f (x) > f (y))
Definizione 3.12 Sia f : D −→ R, diciamo che f è monotòna (strettamentemonotòna) se f è crescente oppure decrescente (strettamente crescente oppurestrettamente decrescente).
Teorema 3.3 Sia f : D −→ R, f è monotòna (strettamente monotòna) se esolo se
∀x, y, z ∈ D, x < y < z ⇒ [ f (y)− f (x)][ f (z)− f (y)] ≥ 0 (> 0).
Dimostrazione. La sufficienza è ovvia, proviamo la necessità.Siano a, b, x1, x2 ∈ D, a < b ≤ x1 ≤ x2 ,
[ f (a)− f (b)][ f (b)− f (x1)][ f (b)− f (x1)][ f (x1)− f (x2)] ≥ 0;
perciò f (x1)− f (x2) ha lo stesso segno di f (a)− f (b) ed f è monotonain D ∩ [b,+∞).
In maniera analoga si prova che f è monotona su D ∩ (−∞, b] equindi su D in quanto se a < b < c
[ f (a)− f (b)][ f (b)− f (c)] ≥ 0
Nel caso in cui f sia strettamente monotona tutte le disuguaglianzesono da intendersi in senso stretto. 2
Teorema 3.4 Sia f : D −→ A surgettiva e strettamente monotona, allora fè invertibile ed f−1 : A −→ D è strettamente monotona.
Più precisamente se f è strettamente crescente (decrescente), f−1 è stret-tamente crescente (decrescente).
Dimostrazione. Supponiamo che f sia strettamente crescente e ve-diamo che f è iniettiva.
Siano x, y ∈ D tali che f (x) = f (y); se si avesse, per assurdo, x < y,si potrebbe dedurre che f (x) < f (y) e ciò è in contrasto con l’ipotesiche f (x) = f (y). Pertanto x = y.
Si ha quindi che f è invertibile e f−1(y) = x se e solo se y = f (x)per ogni x ∈ D e per ogni y ∈ A.
Siano ora y1, y2 ∈ A , y1 < y2 e siano x1, x2 ∈ D in modo che
y1 = f (x1) e y2 = f (x2)
se fosse x1 ≥ x2 si avrebbe f (x1) ≥ f (x2) e y1 ≥ y2 e ciò è assurdo.Se ne deduce che x1 < x2 e la stretta crescenza di f−1.
2
analisi matematica 1 november 4, 2013 33
Definizione 3.13 Sia f : D −→ R, diciamo che f è superiormente funzionesuperiormente limitata limitata se esiste M ∈ R tale che
f (x) ≤ M ∀x ∈ D
diciamo che f è inferiormente limitata funzione superiormente limitata seesiste m ∈ R tale che
f (x) ≥ m ∀x ∈ D
diciamo che f è limitata funzione limitata se è sia superiormente che inferior-mente limitata.
Osservazione. f è limitata (superiormente) [inferiormente] se e solo seR( f ) è limitato (superiormente) [inferiormente]. 2
Definizione 3.14 Sia f : D −→ R, diciamo che x0 ∈ D è un punto diminimo assoluto per f se
f (x0) ≤ f (x) ∀x ∈ D
diciamo che x0 ∈ D è un punto di massimo assoluto per f se
f (x0) ≥ f (x) ∀x ∈ D
Teorema 3.5 Sia f : D −→ R, affinché x0 ∈ D sia un punto di minimo(massimo) assoluto per f è sufficiente che f sia decrescente (crescente) in(−∞, x0] ∩ D e crescente (decrescente) in [x0,+∞) ∩ D.
Teorema 3.6 Siano f : D −→ R, g : A −→ R tali che R(g) ⊂ D, allora
• f strettamente crescente, g strettamente crescente ⇒ f (g(·)) stretta-mente crescente;
• f strettamente crescente, g strettamente decrescente ⇒ f (g(·)) stretta-mente decrescente;
• f strettamente decrescente, g strettamente crescente ⇒ f (g(·)) stretta-mente decrescente;
• f strettamente decrescente, g strettamente decrescente ⇒ f (g(·))strettamente crescente.
Inoltre, le stesse asserzioni valgono abolendo ovunque la parolastrettamente.
4 - LE FUNZIONI ELEMENTARI
Per costruire modelli che coinvolgono funzioni occorre avere un certonumero di funzioni, che chiameremo elementari, di cui sono note leproprietà.
Usando tali funzioni si possono costruire la maggior parte dellefunzioni necessarie per l’impostazione di modelli matematici.
È pertanto molto importante una buona conoscenza e della defini-zione delle funzioni elementari e delle loro principali proprietà.
Naturalmente la classe delle funzioni elementari, sebbene codifi-cata e delimitata dalla letteratura e dalla tradizione matematica è inqualche modo aperta a nuovi ingressi che si rendano di uso frequentein applicazioni future.
4.1 Le funzioni Potenze
Cominciamo con il definire cosa si intende per potenza di esponentenaturale;
Definizione 4.1 Sia n ∈ N, definiamo la funzione pn : R −→ R mediantela
pn(x) = xn;
pn si dice potenza di esponente n e di base x.
Teorema 4.1 Sia n ∈N, pn è strettamente crescente in R+.
Dimostrazione. Procediamo per induzione; è innanzi tutto ovvioche p1 è strettamente crescente in R+ ed inoltre se supponiamo pn
crescente in R+, presi x > y ≥ 0 si ha
pn+1(x) = xpn(x) > xpn(y) ≥ ypn(y) = pn+1(y)
e pn+1 è strettamente crescente su R+ 2
Teorema 4.2 Sia n ∈N, n pari, allora
1. pn(x) = pn(−x) per ogni x ∈ R
2. pn è strettamente decrescente su R−
36 ottavio caligaris - pietro oliva
3. R(pn) = R+
Dimostrazione.
1. Poichè n è pari si ha n = 2k, k ∈N e
xn = x2k = (x2)k = ((−x)2)k = (−x)2k = (−x)n
2. Siano x < y ≤ 0, allora −x > −y ≥ 0 e dal teorema 4.2
pn(x) = pn(−x) > pn(−y) = pn(y)
3. È evidente che R(pn) ⊂ R+ in quanto xn = x2k e x2 ≥ 0, l’inclu-sione opposta dipende dal fatto che pn è una funzione continua edal teorema dei valori intermedi. Proveremo tale inclusione a suotempo.
2
Teorema 4.3 Sia n ∈N, n dispari, allora
1. pn(x) = −pn(−x) per ogni x ∈ R
2. pn è strettamente crescente su R−
3. R(pn) = R.
Dimostrazione.
1. Poiché n è dispari si ha n = 2k + 1 e
pn(x) = x2k+1 = xx2k = −(−x)(−x)2k = −(−x)n = −pn(−x)
2. Siano x < y ≤ 0, allora −x > −y ≥ 0 e, per il teorema 4.2,−pn(x) = pn(−x) > pn(−y) = −pn(y).
3. Anche in questo caso rimandiamo la dimostrazione al seguito.
2
Abbiamo visto che, se n ∈ N, n pari, allora pn : R+ −→ R+ èstrettamente crescente e surgettiva; pertanto pn è invertibile ed èlecito definire
rn : R+ −→ R+ come rn = (pn)−1.
Se x ∈ R+, rn(x) si dice radice n-esima di x.
analisi matematica 1 november 4, 2013 37
Sia n ∈ N, n dispari, abbiamo già visto che pn : R −→ R èstrettamente crescente e surgettiva; pertanto pn è invertibile ed èlecito definire
rn : R −→ R come rn = (pn)−1
Se x ∈ R, rn(x) si dice radice n-esima di x.
Figura 4.1: Potenze ad esponentenaturale
Teorema 4.4 Sia n ∈N
1. se n è pari, rn : R+ −→ R+ è strettamente crescente;
2. se n è dispari, rn : R −→ R è strettamente crescente.
Definiamo ancora le potenze ad esponente negativo.
Definizione 4.2 Sia n ∈N, p−n : R \ {0} −→ R è definita come
p−n(x) = 1/pn(x)
inoltre, p0 : R −→ R è definita da
p0(x) = 1 ∀x ∈ R
Per studiare le proprietà di crescenza, decrescenza e invertibilità dip−n sarà sufficiente fare ricorso al seguente risultato.
38 ottavio caligaris - pietro oliva
Figura 4.2: Radici ad esponente naturale
Teorema 4.5 Sia f : D −→ R tale che f (x) > 0 per ogni x ∈ D; allora
1. f è (strettamente) crescente⇔ 1/ f è (strettamente) decrescente;
2. f è (strettamente) decrescente⇔ 1/ f è (strettamente) crescente.
Definizione 4.3 Sia s ∈ Q, s = m/n, m ∈ Z, n ∈ N; definiamo lafunzione fs : R+ −→ R+ mediante la
fs(x) = pm(rn(x)) = rn(pm(x))
Se x ∈ R+, fs(x) si dice potenza ad esponente frazionario di esponente sdi base x.
Osservazione. Se x ∈ R+ la definizione 4.3 è indipendente dallarappresentazione di s in forma frazionaria e dall’ordine in cui vienefatta la composizione tra potenza e radice.
Se invece x ∈ R− può accadere che rn(pm(x)) sia definito anchequando pm(rn(x)) non lo è.
Inoltre, se m/n, m′/n′ sono due diverse rappresentazioni frazio-narie dello stesso numero razionale s, può accadere che rn(pm(x)) siadefinito mentre rn′(pm′(x)) non lo è.
(Si consideri ad esempio m = 2 ed n = 4; allora se x < 0 si ha cher4(p2(x)) è definito mentre p2(r4(x)) no.
analisi matematica 1 november 4, 2013 39
Figura 4.3: Potenze ad esponentenegativo
Inoltre se m′ = 1 e n′ = 2 r4(p2(x)) è definito mentre r2(p1(x))no.) 2
Pertanto per valori di x ∈ R− consideriamo la composizione dipotenze e radici ove essa ha senso, ma non definiamo in alcun modola funzione potenza ad esponente razionale.
Ribadiamo ancora che ciò è dovuto al fatto che non è agevole,e talvolta non è possibile, definire in modo univoco la potenza adesponente razionale in R−.
Ciò non significa comunque rinunciare a considerare la compo-sizione di una potenza di esponente n e di una radice di indice m,qualora essa abbia senso, anche per valori dell’argomento negativi.
Ad esempio è chiaro che p2(r3(−2)) risulta perfettamente ed uni-vocamente individuato.
In casi simili tuttavia, pur trattando la funzione composta
pm(rn(·))
non parleremo di potenza ad esponente razionale nm e non pretendere-
mo di applicare a pm(rn(·))le proprietà delle potenze in quanto, comevisto, potrebbero risultare false.
Teorema 4.6 Sia s ∈ Q, s > 0, e sia fs : R+ −→ R+, allora fs èstrettamente crescente.
40 ottavio caligaris - pietro oliva
Dimostrazione. Infatti se s = mn > 0 allora si ha m, n ∈N e quindi
xs = pm(rn(x)) = rn(pm(x))
è la composizione di due funzioni strettamente crescenti. 2
Figura 4.4: Potenze ad esponentepositivo
E’ inoltre possibile dimostrare che le usuali regole di calcolo dellepotenze naturali continuano a valere anche per le potenze ad esponen-te razionale In altre parole si può provare che
Se s, r ∈ Q, e se x, y ∈ R+, allora si ha:
1. xs+r = xsxr
2. (xs)r = xsr
3. (xy)s = xsys
Si dimostra altresì che
Teorema 4.7 Se x > 1 la funzione Q 3 r 7→ xr è crescente su Q
In altre parole per s, r ∈ Q, s < r; si ha
xs < xr
Dimostrazione. Si ha
xr − xs = xs(xr−s − 1) > 0
analisi matematica 1 november 4, 2013 41
in quantoxs > 0 e xr−s > 1
dal momento che essendo r− s > 0 la funzione x 7→ xr−s è crescenteed x > 1. 2
Per poter definire la potenza ad esponente reale potenza anche peresponenti reali è necessario ricordare che piccole variazioni dell’espo-nente razionale corrispondono a piccole variazioni della potenza; piùprecisamente possiamo affermare che:
Teorema 4.8 Sia x > 1 e sia r ∈ Q, allora per ogni ε > 0 esiste nε ∈ N
tale che0 < xr − xr−1/nε < ε
Sfruttando questa proprietà è facile capire come sia naturale defi-nire xa per ogni x > 1.
Nel caso in cui sia invece 0 < x < 1 potremo considerare 1x > 1,
calcolare(
1x
)ae definire
xa =1
x−a =
(1x
)−a
Se x = 1, infine definiamo 1a = 1 per ogni a.
Definizione 4.4 Sia x > 1 e sia a ∈ R; definiamo
xa = sup{xr : r ∈ Q, r ≤ a} = sup{xr : r ∈ Q, r < a}
La precedente definizione afferma implicitamente che i due estre-mi superiori che vi figurano sono reali ed uguali; possiamo infattiverificare che
Siano A = {xr : r ∈ Q, r ≤ a} e B = {xr : r ∈ Q, r < a} allora
sup A = sup B ∈ R
Definizione 4.5 Se x = 1 definiamo 1a = 1 per ogni a ∈ R. Se 0 < x < 1definiamo xa = (1/x)−a.
A partire dalla definizione data possiamo verificare che la quantitàxa per x > 0 ed a ∈ R soddisfa le proprietà che siamo abituati ad usarequando maneggiamo potenze.
se x, y > 0 e se a, b ∈ R, allora
1. xa > 0
2. xa+b = xaxb
3. (xa)b = xab
42 ottavio caligaris - pietro oliva
4. (xy)a = xaya
5. 1/(xa) = x−a
Definizione 4.6 Sia a ∈ R, definiamo la funzione pa : R+ → R+ mediantela
x 7→ pa(x) = xa
potenza di esponente a
Figura 4.5: Potenze ad esponente reale
Teorema 4.9 Sia a ∈ R, valgono i seguenti fatti:
1. Se a > 0 allora pa è strettamente crescente
2. Se a < 0 allora pa è strettamente decrescente
3. Se a 6= 0 allora R(pa) = R+s
Dimostrazione.
1. Sia 0 < x < y, occorre provare che xa < ya, cioè che xa − ya < 0; siha
xa − ya = xa(1− (y/x)a) e (y/x) > 1
pertanto (y/x)r > 1 per ogni r ∈ Q, 0 < r ≤ a e (y/x)a > 1.
2. È immediata conseguenza di (1)
analisi matematica 1 november 4, 2013 43
3. Il fatto che R(pa) ⊂ R+ segue dalla definizione di potenza, men-tre la dimostrazione dell’inclusione opposta si ottiene mediante ilteorema dei valori intermedi.
2
Teorema 4.10 Sia a ∈ R, a 6= 0, allora pa è invertibile su R+ e p−1a = p1/a.
Dimostrazione. Sarà sufficiente dimostrare che
pa(p1/a(y)) = y ∀y ∈ R+
ep1/a(pa(x)) = x ∀x ∈ R+.
Si ha infatti
pa(p1/a(y)) = (y1/a)a = ya/a = y
ep1/a(pa(x)) = (xa)1/a = xa/a = x.
2
4.2 La funzione esponenziale
Definizione 4.7 Sia a ∈ R+, definiamo la funzione expa : R −→ R+
mediante lax 7→ expa(x) = ax
esponenziale di base a
Teorema 4.11 Sia a > 0, valgono i seguenti fatti
1. Se a > 1 allora expa è strettamente crescente
2. Se 0 < a < 1 allora expa è strettamente decrescente
3. Se a 6= 1 allora R(expa) = R+.
Dimostrazione.
1. Siano x, y ∈ R, x < y, allora esistono r, s ∈ Q tali che x < r < s < ye perciò
ax ≤ ar < as ≤ ay
dove la prima e la terza disuguaglianza discendono dalla definizio-ne 4.4, mentre la seconda segue dal teorema 4.7.
2. è conseguenza di (1)
3. Il fatto che R(expa) ⊂ R+ è conseguenza della definizione di po-tenza; l’inclusione opposta segue ancora dal teorema dei valori in-termedi.
2
44 ottavio caligaris - pietro oliva
Figura 4.6: Esponenziali di base a > 1
Figura 4.7: Esponenziali di base a, 0 <a < 1
analisi matematica 1 november 4, 2013 45
Figura 4.8: Esponenziali
4.3 La funzione logaritmo
Definiamo ora la funzione inversa dell’esponenziale.
Sia a ∈ R+, a 6= 1, allora la funzione expa : R −→ R+ èstrettamente monotona e surgettiva, pertanto essa è invertibile e sipuò considerare la funzione loga : R+ −→ R definita da
loga = exp−1a
Se x ∈ R+, loga(x) si dice logaritmo in base a di x.
Teorema 4.12 Sia a ∈ R, allora
1. Se a > 1 allora loga è strettamente crescente
2. Se 0 < a < 1 allora loga è strettamente decrescente
Teorema 4.13 Siano a, b ∈ R+, a, b 6= 1, x, y ∈ R+, z ∈ R, allora
1. loga(xy) = loga(x) + loga(y)
2. loga(xz) = z loga(x)
3. loga(x) = loga(b) logb(x).
46 ottavio caligaris - pietro oliva
Figura 4.9: Logaritmi in base maggioredi 1
Figura 4.10: Logaritmi in base minore di1
analisi matematica 1 november 4, 2013 47
Dimostrazione.
1. Siano u = loga(x) e v = loga(y), allora x = expa(u) e y = expa(v),da cui
xy = expa(u) expa(v) = expa(u + v)
eu + v = loga(xy)
2. Sia u = loga(x), allora x = expa(u) e xz = (expa(u))z = expa(zu)
per cuizu = loga(xz)
3.
expa(loga(b) logb(x)) = (expa(loga(b)))logb(x) = expb(logb(x)) = x
eloga(x) = loga(b) logb(x)
2
Figura 4.11: Logaritmi
4.4 Le funzioni trigonometriche
Ci apprestiamo, per concludere questa parte, a definire le cosiddet-te funzioni circolari. A questo scopo abbiamo bisogno di definire lalunghezza di un arco di circonferenza.
48 ottavio caligaris - pietro oliva
Definizione 4.8 Sia Γ un arco della circonferenza C e siano A e B gli estre-mi di Γ; supponiamo che A preceda B (scriveremo in tal caso A � B)considerando positivo il senso di rotazione antiorario.
Diciamo che è data una poligonale P inscritta in Γ (si veda fig. 4.4) seesistono n punti di Γ, A1 = A, A2, ..., An = B tali che Ai � Ai+1,i = 1, 2, .., n− 1.
Definiamo lunghezza della poligonale P, `(P), come
`(P) =n−1
∑i=1
Ai Ai+1
Figura 4.12: Una poligonale inscritta
Definizione 4.9 Sia Γ un arco di circonferenza di estremi A e B e sia Pl’insieme delle poligonali inscritte in Γ. Definiamo
`(Γ) = sup{`(P) : P ∈ P}
(Si osservi che la definizione è ben posta in quanto `(P) ≤ 8R per ogniP ∈ P , dove R è il raggio della circonferenza di cui Γ fa parte).
Usualmente si indica con π la lunghezza di una semicirconferenzadi raggio 1; si ha con 51 cifre decimali esatte:
π = 3.141592653589793238462643383279502884197169399375105
Definizione 4.10 Diciamo che un angolo x misura 1 radiante se è l’angoloal centro che sottende un arco di lunghezza R in una circonferenza di raggioR. (vedi fig. 4.4)
analisi matematica 1 november 4, 2013 49
Figura 4.13: Definizione di radiante
Osservazione. Ovviamente un angolo giro misura 2π radianti,mentre un angolo piatto misura π radianti. Più in generale, se α èla misura di un angolo in gradi sessagesimali e x è la misura dellostesso angolo in radianti, si ha
α
x=
180π
Questa relazione permette di convertire rapidamente la misura diun angolo da gradi in radianti e viceversa. 2
Definizione 4.11 Sia x ∈ [0, 2π] e consideriamo su di una circonferenzadi raggio 1, centrata nell’origine delle coordinate, un arco Γ di lunghezza xaventi il primo estremo coincidente con il punto (1, 0) (vedi fig. 4.4).
Definiamo cos(x) e sin(x) rispettivamente l’ascissa e l’ordinata del se-condo estremo dell’arco.
Definizione 4.12 Definiamo cos : R −→ R e sin : R −→ R nella se-guente maniera: sia x ∈ R e sia k = E(x/2π), allora 2kπ ≤ x <
2(k + 1)π.Poniamo
cos(x) = cos(x− 2kπ) e sin(x) = sin(x− 2kπ)
Teorema 4.14 Valgono i seguenti fatti
1. R(cos) = [−1, 1]
50 ottavio caligaris - pietro oliva
Figura 4.14: Definizione di sin e cos
Figura 4.15: Grafico della funzione sin
analisi matematica 1 november 4, 2013 51
Figura 4.16: grafico della funzione cos
2. R(sin) = [−1, 1]
Dimostrazione. E’ ovvio dalla definizione che R(cos) ⊂ [−1, 1] eR(sin) ⊂ [−1, 1]. Rimandiamo al seguito la dimostrazione dell’inclu-sione opposta. 2
Definizione 4.13 Definiamo tan : D −→ R, D = {x 6= kπ + π/2, k ∈Z}, mediante la tan(x)
tan(x) =sin(x)cos(x)
Definizione 4.14 Siano D ⊂ R e T ∈ R tali che x ∈ D ⇒ x + T ∈ D; siainoltre f : D −→ R; f si dice periodica di periodo T se,
∀x ∈ D, f (x) = f (x + T)
Enunciamo a questo punto, senza dimostrarle, alcune fondamentaliproprietà delle funzioni introdotte.
Siano x, y ∈ R, valgono i seguenti fatti:
1. cos(−x) = cos(x)
2. sin(−x) = − sin(x)
3. sin2(x) + cos2(x) = 1
4. sin(x + y) = sin(x) cos(y) + cos(x) sin(y)
5. cos(x + y) = cos(x) cos(y)− sin(x) sin(y)
52 ottavio caligaris - pietro oliva
Figura 4.17: grafico della funzione tan
6. sin e cos sono periodiche di periodo 2π
7. tan è periodica di periodo π
Valgono inoltre i seguenti fatti
1. sin : [−π/2, π/2] −→ [−1, 1] è strettamente crescente e surgettiva.
2. cos : [0, π] −→ [−1, 1] è strettamente decrescente e surgettiva.
3. tan : (−π/2, π/2) −→ R è strettamente crescente e surgettiva.
Le verifiche delle proprietà enunciate sono basate su considerazionigeometriche che qui non stiamo ad investigare.
Definizione 4.15 Definiamo
arccos : [−1, 1] −→ [0, π] (4.1)
arcsin : [−1, 1] −→ [−π/2, π/2] (4.2)
arctan : R −→ (−π/2, π/2) (4.3)
mediante le
arccos = cos−1 (4.4)
arcsin = sin−1 (4.5)
arctan = tan−1 (4.6)
La definizione è ben posta e valgono i seguenti fatti:
analisi matematica 1 november 4, 2013 53
Figura 4.18: Grafico della funzionearcsin
Figura 4.19: Grafico della funzionearccos
Teorema 4.15 La funzione arccos è strettamente decrescente su [−1, 1]; lafunzione arcsin è strettamente crescente su [−1, 1]; la funzione arctan èstrettamente crescente su R.
Osservazione. Occorre ricordare sempre che la denominazione arcsin,arccos ed arctan è riservata alle inverse delle funzioni trigonometrichenegli intervalli indicati nella definizione 4.15
Naturalmente, tali intervalli non sono gli unici in cui le funzioni inquestione sono invertibili, tuttavia se vogliamo invertire una funzio-ne trigonometrica in intervalli diversi da quelli sopra citati dobbiamotener presente che le funzioni che otteniamo sono differenti da quelledefinite in 4.15.
54 ottavio caligaris - pietro oliva
Figura 4.20: Grafico della funzionearctan
In particolare è opportuno ricordare che
sin(arcsin(x)) = x ∀x ∈ [−1, 1] (4.7)
cos(arccos(x)) = x ∀x ∈ [−1, 1] (4.8)
tan(arctan(x)) = x ∀x ∈ R (4.9)
arcsin(sin(x)) = |x− 2kπ + π/2| − π/2 ∀x ∈ R, k = E(
x + 3π/22π
)(4.10)
arccos(cos(x)) = |x− 2kπ| ∀x ∈ R, k = E(
x + π
2π
)(4.11)
arctan(tan(x)) = x− kπ ∀x ∈ R, k = E(
x + π/2π
)(4.12)
(4.13)
2
Le notazioni arcsin, arccos, arctan non sono universalmente adot-tate. Nel seguito useremo anche le notazioni asn, acs, atn, rispettiva-mente.
analisi matematica 1 november 4, 2013 55
Figura 4.21: Grafico della funzionearctan(tan)
Figura 4.22: grafico della funzionearcsin(sin)
56 ottavio caligaris - pietro oliva
Figura 4.23: Grafico della funzionearccos(cos)
5 - DEFINIZIONE DI LIMITE E SUE CONSEGUEN-ZE
Il concetto di limite è centrale in tutta l’analisi e da esso dipendel’essenza stessa del calcolo infinitesimale.
Si tratta di formalizzare un concetto che consenta di estendere ilconcetto di uguaglianza algebrica.
A questo scopo è necessario premettere alcuni concetti.Conveniamo di indicare con R∗ l’insieme R ∪ {±∞}, che chiame-
remo R esteso.
Definizione 5.1 Sia x ∈ R∗ e δ > 0, definiamo intorno di centro x eampiezza δ l’insieme I(x, δ) definito da
I(x, δ) = (x− δ, x + δ) (5.1)
I(+∞, δ) = (δ,+∞) (5.2)
I(−∞, δ) = (−∞,−δ) (5.3)
Definiamo intorno bucato di centro x e ampiezza δ l’insieme Io(x, δ).
Io(x, δ) = I(x, δ) \ {x} (5.4)
Io(+∞, δ) = I(+∞, δ) (5.5)
Io(−∞, δ) = I(−∞, δ) (5.6)
Definizione 5.2 Sia A ⊂ R, diciamo che x ∈ R∗ è un punto di accumula-zione per A se
∀δ ∈ R+ A ∩ Io(x, δ) 6= ∅ (5.7)
Indichiamo con D(A) l’insieme dei punti di accumulazione di A; D(A)
si indica usualmente con il nome di insieme derivato di A.Osserviamo esplicitamente che D(A) può non essere un sottoinsieme di
R in quanto +∞ e −∞ possono essere elementi di D(A).
Definizione 5.3 Sia f : D −→ R, x0 ∈ D(D) ed ` ∈ R∗; diciamo che
limx→x0
f (x) = ` (5.8)
58 ottavio caligaris - pietro oliva
se
∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che (5.9)
∀x ∈ Io(x0, δε) ∩ D si ha f (x) ∈ I(`, ε)
Osservazione. Nel caso in cui x0 ed ` siano entrambi reali la 5.9può essere riscritta nella seguente maniera
∀x ∈ D tale che 0 < |x− x0| < δε si ha | f (x)− `| < ε (5.10)
se x0 = +∞ (−∞) ed ` ∈ R la 5.9 diviene
∀x ∈ D tale che x > δε (x < −δε) si ha | f (x)− `| < ε (5.11)
Notiamo che, nel caso ` ∈ R, se la 5.9 è verificata per ε ∈ (0, ε0),essa è automaticamente verificata anche per tutti gli ε ≥ ε0, pur didefinire δε = δε0 .
Se x0 ∈ R e ` = +∞ (−∞) la 5.9 diviene
∀x ∈ D tale che 0 < |x− x0| < δε si ha f (x) > ε ( f (x) < −ε)
(5.12)se x0 = +∞ (−∞) e ` = +∞ (−∞) la 5.9 diviene
∀x ∈ D : x > δε (x < −δε) si ha f (x) > ε ( f (x) < −ε)
(5.13)Notiamo anche qui che, nel caso in cui ` = +∞ o ` = −∞, se la 5.9
è verificata per ε > ε0, essa è automaticamente verificata pure per tuttigli ε ∈ (0, ε0], pur di definire δε = δε0 .
2
Osservazione. Se esiste ` ∈ R tale che valga la definizione 5.3 sidice che f ammette limite finito per x → x0; in caso contrario si diceche f non ammette limite finito.
Se esiste ∈ R∗ tale che valga la definizione 5.3 si dice che f ammettelimite per x → x0; in caso contrario si dice che f non ammette limite.
2
Definizione 5.4 Sia f : D −→ R, sia x0 ∈ D(D); diciamo che f è lo-calmente (superiormente) [inferiormente] limitata in x0 se esiste M ∈ R edesiste δ > 0 tale che
| f (x)| ≤ M , ( f (x) ≤ M) , [ f (x) ≥ M]Quad∀x ∈ I(x0, δ) ∩ D(5.14)
Passiamo ora a dimostrare che una funzione che ammette limitefinito è localmente limitata.
analisi matematica 1 november 4, 2013 59
Teorema 5.1 Sia f : D −→ R, sia x0 ∈ D(D) e supponiamo che
limx→x0
f (x) = `
allora:
1. se ` ∈ R, allora f è localmente limitata in x0;
2. se ` > 0 (eventualmente ` = +∞ ) allora esiste δ > 0 ed esiste M ∈ R
tale che se x ∈ Io(x0, δ) ∩ D si ha
f (x) ≥ M > 0
Dimostrazione. Proviamo solo la prima affermazione e rimandiamoper la seconda a 23.3 Sia ε > 0, se x ∈ Io(x0, δε) si ha
`− ε < f (x) < `+ ε
e| f (x)| ≤ max{|`+ ε|, |`− ε|, | f (x0)|} ∀x ∈ I(x0, δε) ∩ D
2
Teorema 5.2 Sia f : D −→ R e sia x0 ∈ D(D); allora, se f ammette limiteper x→ x0, tale limite è unico.
Dimostrazione. Proviamo il teorema nel caso in cui `1 ed `2 sianoentrambi limiti di f per x → x0 e siano entrambi reali>
Si ha ∀ε > 0, se x ∈ Io(x0, δε/2) ∩ D ,
|`1 − `2| ≤ | f (x)− `1|+ | f (x)− `2| < ε/2 + ε/2 = ε
Negli altri casi possiamo procedere come indicato in 23.4 2
Definizione 5.5 Supponiamo f : D −→ R e sia x0 ∈ D(D+) ∩R, D+ =
{x ∈ D : x ≥ x0}.Diciamo che
limx→x+0
f (x) = ` , ` ∈ R∗
se∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che se x ∈ D e x0 < x < x0 + δε si ha
f (x) ∈ I(`, ε)
Se x0 ∈ D(D−) ∩R, D− = {x ∈ D : x ≤ x0}, diciamo che
limx→x−0
f (x) = ` , ` ∈ R∗
se ∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che se x ∈ D e x0 − δε < x < x0 si ha
f (x) ∈ I(`, ε)
60 ottavio caligaris - pietro oliva
Teorema 5.3 Sia f : D −→ R e sia x0 ∈ D(D+) ∩ D(D−) ∩R, allora se` ∈ R∗, si ha
limx→x0
f (x) = ` ⇔ limx→x+0
f (x) = limx→x−0
f (x) = `
Dimostrazione. Cominciamo con l’osservare che se il limite esiste∀ε > 0 esiste δε > 0 tale che se x0 − δε < x < x0 + δε con x 6= x0 edx ∈ D si ha
f (x) ∈ I(`, ε)
e ciò implica per la definizione 5.5, la tesi.Se viceversa esistono i limiti da destra e da sinistra ∀ε > 0 esistono
δ1ε , δ2
ε > 0 tali che se x0 < x < x0 + δ1ε , x ∈ D si ha
f (x) ∈ I(`, ε)
e se x0 − δ2ε < x < x0, x ∈ D si ha
f (x) ∈ I(`, ε)
Pertanto se si sceglie
δε = min{δ1ε , δ2
ε }
la definizione di limite è verificata. 2
A questo punto è conveniente definire in R∗ le operazioni di ad-dizione e di moltiplicazione che fino a questo momento sono definitesolamente in R.
Osserviamo esplicitamente che non sono applicabili a queste ope-razioni le usuali regole che permettono di svolgere calcoli con i nu-meri reali. Riterremo pertanto lecite tutte e sole le uguaglianze checoinvolgono gli elementi +∞ e −∞ che elenchiamo qui di seguito.
Definiamo:
x±∞ = ±∞ + x = ±∞ ∀x ∈ R
x(±∞) = (±∞)x = ±∞ ∀x ∈ R+
x(±∞) = (±∞)x = ∓∞ ∀x ∈ R−x±∞
= 0 ∀x ∈ R∣∣ x0
∣∣ = +∞ ∀x ∈ R \ {0}
+ ∞ + ∞ = +∞, −∞−∞ = −∞
(±∞)(+∞) = ±∞ | ±∞| = +∞
Ricordiamo inoltre che non sono definite le seguenti operazioni;
+∞−∞ , 0(±∞) ,±∞±∞
,00
in quanto ciò potrebbe dar luogo facilmente ad inconvenienti e aderrate interpretazioni.
analisi matematica 1 november 4, 2013 61
Teorema 5.4 Siano f , g : D −→ R e sia x0 ∈ D(D); supponiamo che
limx→x0
f (x) = `1 e limx→x0
g(x) = `2 , `1, `2 ∈ R∗
Allora
1. limx→x0 | f (x)| = |`1|
2. limx→x0 ( f (x) + g(x)) = `1 + `2 tranne che nel caso in cui `1 = ±∞ e`2 = ∓∞
3. limx→x0 f (x)g(x) = `1`2 tranne che nel caso in cui `1 = 0 e `2 =
±∞
4. limx→x01
f (x) =1`1
tranne che nel caso in cui `1 = 0
Dimostrazione. Dimostriamo nel caso in cui x0 ∈ R, `1, `2 ∈ R laseconda e la terza delle asserzioni fatte.
Per ipotesi abbiamo che ∀ε > 0 ∃δ1ε , δ2
ε > 0 tali che∀x ∈ Io(x0, δ1
ε2) ∩ D si ha
| f (x)− `1| <ε
2
e ∀x ∈ Io(x0, δ2ε2) ∩ D si ha
|g(x)− `2| <ε
2
AlloraSia δε = min{δ1
ε/2, δ2ε/2}, se x ∈ Io(x0, δε) ∩ D si ha
| f (x) + g(x)− (`1 + `2)| ≤ | f (x)− `1|+ |g(x)− `2| < ε/2 + ε/2 = ε
Con ciò la seconda affermazione è provata.Sia δ3 tale che se x ∈ Io(x0, δ3) ∩ D si ha
|g(x)| ≤ M
sia `1 6= 0 (il caso `1 = 0 risulta banale) e sia
δε = min{δ1ε/(2M), δ2
ε/(2|`1|), δ3}
allora se x ∈ Io(x0, δε) ∩ D si ha
| f (x)g(x)− `1`2| = | f (x)g(x)− g(x)`1 + g(x)`1 − `1`2| ≤≤ |g(x)|| f (x)− `1|+ |`1||g(x)− `2| <
< Mε/(2M) + ε|`1|/(2|`1|) = ε
(5.15)
Quindi anche la terza è provata.2
Possiamo a questo punto stabilire un utile corollario.
62 ottavio caligaris - pietro oliva
Corollario 5.1 Siano f , g : D −→ R, x0 ∈ D(D) e supponiamo che
limx→x0
f (x) = `1 , limx→x0
g(x) = `2
con `1, `2 ∈ R∗ ed `1 < `2; allora
∃δ > 0 : ∀x ∈ Io(x0, δ) , f (x) < g(x)
Per completare il quadro di risultati proviamo il seguente
Teorema 5.5 Sia f : D → R, D1 = {x ∈ D : f (x) 6= 0}, x0 ∈D(D1),
limx→x0
f (x) = 0
alloralim
x→x0
1| f (x)| = +∞ (5.16)
se esiste δ > 0 tale che per x ∈ Io(x0, δ) ∩ D si ha f (x) > 0 ( f (x) < 0),
limx→x0
1f (x)
= +∞ (−∞) (5.17)
Dimostrazione. Per ipotesi, Per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che sex ∈ Io(x0, δε) ∩ D si ha | f (x)| < ε.
x ∈ Io(x0, δ1/ε) ⇒ | f (x)| < 1/ε
e1| f (x)| > ε
(2) Supponiamo per semplicità che f sia localmente positiva in x0;sia
δ′ε = min{δ, δ1/ε},
allora, se x ∈ Io(x0, δ′ε) ∩ D
0 < f (x) < 1/ε e1
f (x)> ε
Il caso in cui f sia localmente negativa si riconduce banalmente alcaso sopra descritto.
2
Osservazione. Notiamo esplicitamente che è essenziale nella (2)l’ipotesi che f abbia segno localmente costante in x0.
Sia infatti f (x) = x sin(1/x) per x 6= 0; allora si può facilmenteverificare che
limx→0
f (x) = 0 e limx→0
1/| f (x)| = +∞;
tuttavia è altrettanto immediato verificare che 1/ f (x) non tende né a−∞ né a +∞, in quanto, se ciò accadesse, per valori di x vicini allo 0
si dovrebbe avere f (x) < 0 oppure f (x) > 0. 2
Sarà pure di fondamentale importanza il seguente teorema:
analisi matematica 1 november 4, 2013 63
Teorema 5.6 Siano f , g, h : D −→ R, sia x0 ∈ D(D); supponiamo cheesista δ > 0 tale che, se x ∈ Io(x0, δ) ∩ D
f (x) ≤ g(x) ≤ h(x)
siano inoltre limx→x0 f (x) = `1 e limx→x0 h(x) = `2. Allora
`1, `2 ∈ R ⇒ `1 ≤ `2 (5.18)
`1 = `2 = ` ⇒ limx→x0
g(x) = ` (5.19)
`1 = +∞ ⇒ `2 = +∞ e limx→x0
g(x) = +∞ (5.20)
`2 = −∞ ⇒ `1 = −∞ e limx→x0
g(x) = −∞ (5.21)
Dimostrazione.La prima affermazione è una diretta conseguenza delcorollario 5.1.
Per quanto riguarda la seconda affermazione, dalle ipotesi si ha che∀ε > 0 esiste δε > 0 tale che, se x ∈ Io(x0, δε) ∩ D
`− ε < f (x) < `+ ε e `− ε < h(x) < `+ ε
da cui, per gli stessi valori di x si ha
`− ε < f (x) < g(x) < h(x) < `+ ε
Lasciamo al lettore la dimostrazione delle restanti affermazioni. 2
Teorema 5.7 Siano f : D −→ R e g : A −→ D; siano x0 ∈ D(D) et0 ∈ D(A); supponiamo che
limx→x0
f (x) = ` e limt→t0
g(t) = x0
Supponiamo inoltre che sia verificata una delle seguenti condizioni:
1. esiste δ > 0 tale che g(t) 6= x0 per ogni t ∈ I0(t0, δ);
2.f (x0) = `
Alloralimt→t0
f (g(t)) = `
Osserviamo che se tutte e due le condizioni vengono a mancare, ilteorema precedente può non essere vero.
Sia ad esempio D = A = R, g(t) = 0 ed f (x) = 0 se x 6= 0,f (0) = 1; allora
limt→0
g(t) = 0 , limx→0
f (x) = 0
mentrelimt→0
f (g(t)) = 1
Osserviamo inoltre che ognuna delle seguenti condizioni
64 ottavio caligaris - pietro oliva
1. x0 6∈ D,
2. x0 = ±∞
3. g è iniettiva
4. g è strettamente monotona
è sufficiente per la (1) del teorema 5.7
Teorema 5.8 Sia f : (a, b) −→ R, f crescente [decrescente]; allora
limx→a+
f (x) e limx→b−
f (x)
esistono e sono uguali rispettivamente a
inf{ f (x) : x ∈ (a, b)} [sup{ f (x) : x ∈ (a, b)}]
esup{ f (x) : x ∈ (a, b)} [inf{ f (x) : x ∈ (a, b)}]
Osserviamo esplicitamente che nel teorema precedente è essenzialesupporre che l’intervallo in cui si considera la funzione sia aperto.
Sia infatti f (x) = x se x ∈ [0, 1), f (1) = 2; allora
sup{ f (x) : x ∈ [0, 1]} = 2 6= 1 = limx→1−
f (x)
Corollario 5.2 Sia f : D −→ R una funzione monotona, allora per ognix0 ∈ D(D+) ∩D(D−) si ha che
limx→x+0
f (x) , limx→x−0
f (x)
esistono.
Per stabilire l’esistenza del limite di una funzione è possibile avva-lersi del criterio di convergenza di Cauchy.
Teorema 5.9 - Criterio di Cauchy - Sia f : D −→ R e sia x0 ∈ D(D);sono condizioni equivalenti:
1. esiste ` ∈ R tale che limx→x0 f (x) = `
2. per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che se x, y ∈ I0(x0, δε) si ha
| f (x)− f (y)| < ε
6 - LE SUCCESSIONI
Le successioni costituiscono una classe molto particolare di funzioni:si tratta di funzioni definite su un sottoinsieme di R molto particolare,l’insieme N dei numeri naturali; questa caratteristica conferisce lorola semplicità che è tipica degli insiemi discreti, mentre impedisce unasignificativa rappresentazione grafica e rende il concetto di successioneapparentemente ostico.
Il concetto di successione, inoltre, interpreta un ruolo di notevoleimportanza nelle applicazioni pratiche e nelle descrizioni algoritmiche.
Definizione 6.1 Chiamiamo successione di numeri reali una funzionedefinita sull’insieme N dei numeri naturali, che assume valori in R
a : N −→ R
Seguendo le consuetudini introdotte per la descrizione di una funzio-ne sarebbe naturale usare il simbolo a(n) per identificare il valore dia calcolato in n tuttavia è normale usare, in luogo di esso il simboloan = a(n).
E’ immediato esplicitare per le successioni i concetti di crescen-za, decrescenza, monotonia, limitatezza, che sono stati introdotti, ingenerale, per le funzioni.
Nell’estendere il concetto di limite però occorre tenere presente cheD(N) è costituito dal solo elemento +∞, per cui, per una successione,ha senso soltanto considerare il concetto di limite per n→ +∞.
Più precisamente si dice che
limn→+∞
an = ` (6.1)
se ∀ε > 0 esiste nε ∈N tale che, per n > nε, si abbia
an ∈ I(`, ε)
66 ottavio caligaris - pietro oliva
Osserviamo che, dal momento che nessuna ambiguità è possibile,scriveremo spesso
limn
an oppure lim an
in luogo di limn→+∞ an.E’ molto importante, quando si trattano le successioni, il concetto
di successione estratta da un’altra successione.Tale concetto è strettamente legato, o meglio è una specializza-
zione del concetto di composizione di funzioni ed è molto utile percaratterizzare i limiti di una successione.
In altre parole si dice successione estratta dalla successione an unanuova successione an(k).
Naturalmente non ogni funzione n : R −→ R può essere usata, perdue ragioni:
1. n deve dar luogo, composta con a, ad una nuova successione, percui deve aversi che il dominio di f è N;
2. R(n) deve essere contenuto nel dominio di a e perciò deve aversiR(n) ⊂N.
Dovrà pertanto essere n : N −→N.
3. Inoltre, poichè vogliamo collegare il comportamento al limite dellasuccessione an con quello delle sue estratte, è necessario che +∞ siaun punto di accumulazione per R(n).
In altre parole n è una particolare successione (particolare in quan-to assume valori solo in N) e pertanto è d’uso far riferimento allanotazione
nk = n(k)
Definizione 6.2 Sia an una successione e sia n : N −→ N stretta-mente crescente; diciamo che la successione bk = an(k) è una successioneestratta da an.
Sempre a proposito di terminologia, ricordiamo anche che si diceche una successione è convergente se ammette limite reale, mentre sidice che una successione è positivamente (negativamente) divergentese ammette come limite +∞(−∞).
Lemma 6.1 Sia n : N −→N, n strettamente crescente; allora
limk
nk = +∞
analisi matematica 1 november 4, 2013 67
Dimostrazione. Dal momento che n è strettamente crescente si ha
nk+1 > nk e nk+1 ≥ nk + 1
perciò, per induzione, si prova facilmente che nk ≥ k e la tesi. 2
Teorema 6.1 Sia an una successione e sia
limn
an = `
allora se bk è una successione estratta da an si ha
limk
bk = `
Dimostrazione. Sia bk = ank , se n > nε si ha an ∈ I(`, ε), inoltre, dalmomento che nk → +∞, se k > kε si ha nk > nε ; ne deduciamo che,se k > kε,
bk = ank ∈ I(`, ε)
2
Si può inoltre dimostrare che
Teorema 6.2 Ogni successione convergente è limitata.
Dimostrazione. Sia an una successione e sia
limn
an = `
allora, se n > nε si ha
|an| ≤ |an − `|+ |`| < ε + |`|
Perciò se
M = max{|a1|, .., |anε |, |`|+ ε}
si può affermare che
|an| ≤ M
2
Teorema 6.3 Sia an una successione crescente e sia
λ = sup{an : n ∈N}
allora
limn
an = λ
Dimostrazione. Distinguiamo due casi.
68 ottavio caligaris - pietro oliva
1. λ = +∞
in tal caso {an : n ∈ N} è un insieme non limitato e ∀ε > 0 esistenε ∈N tale che
anε > ε
ma allora, dal momento che an è crescente, si ha, per n > nε
an > anε > ε
2. λ ∈ R
in questo caso, per le proprietà dell’estremo superiore, si ha
an ≤ λ ∀n ∈N
e∀ε > 0 ∃nε ∈N : anε > λ− ε
pertanto, se n > nε, si ha, essendo an crescente
λ− ε < anε ≤ an ≤ λ
2
In maniera analoga si può dimostrare il seguente teorema.
Teorema 6.4 Sia an una successione decrescente e sia
λ = inf{an : n ∈N}
alloralim
nan = λ
Il risultato che segue è uno dei più importanti tra quelli che riguar-dano le successioni di numeri reali.
Teorema 6.5 - Bolzano-Weierstraß - Sia an una successione limitata,allora esiste λ ∈ R ed esiste una successione bk estratta da an tale che
limk
bk = λ
Dimostrazione. Per ipotesi esistono m, M ∈ R tali che
m ≤ an ≤ M ∀n ∈N
Consideriamo i due intervalli[m,
m + M2
]e
[m + M
2, M]
analisi matematica 1 november 4, 2013 69
almeno uno di essi contiene un numero infinito di termini della suc-cessione an sia esso [α1, β1] ovviamente si avrà
m ≤ α1 < β1 ≤ M e β1 − α1 =M−m
2
Consideriamo ora gli intervalli[α1,
α1 + β1
2
]e
[α1 + β1
2, β1
]almeno uno di essi contiene un numero infinito di termini di an siaesso [α2, β2] ovviamente si avrà
m ≤ α1 ≤ α2 < β2 ≤ β1 ≤ M e β2 − α2 =M−m
4
Il procedimento descritto si può iterare e si ottengono così duesuccessioni αk e βk soddisfacenti le seguenti proprietà:
m ≤ α1 ≤ α2 ≤ .. ≤ αk < βk ≤ .. ≤ β2 ≤ β1 ≤ M (6.2)
βk − αk =M−m
2k (6.3)
{n : an ∈ [αk, βk]} ha infiniti elementi (6.4)
Possiamo pertanto concludere che le successioni αk e βk sono, ri-spettivamente, crescente e decrescente ed inoltre che sono entrambelimitate. Si ottiene pertanto che
limk
αk = α e limk
βk = β
ove
α = sup{αk : k ∈N} ∈ R e β = inf{βk : k ∈N} ∈ R
Per la 6.3 si ha che
β− α = limk
(βk − αk) = limk
M−m2k = 0
(si ricordi che è facile provare per induzione che 2k ≥ k), e perciò si ha
α = β = λ
in altre parole chiamiamo λ il valore comune di α e β.Sia ora
n1 ∈N tale che α1 ≤ an1 ≤ β1
n2 ∈N tale che α2 ≤ an2 ≤ β2 , n2 > n1
· · · · · · · · · · · · · · ·nk ∈N tale che αk ≤ ank ≤ βk , nk > nk−1
70 ottavio caligaris - pietro oliva
Allora bk = ank è una successione estratta dalla successione an, lacui esistenza è assicurata dalla ?? ed inoltre si ha
αk ≤ bk ≤ βk ∀k ∈N
e pertanto limk bk = λ. 2
Teorema 6.6 Sia an una successione:
1. se an non è limitata superiormente, esiste bk estratta da an tale che
limk
bk = +∞
2. se an non è limitata inferiormente, esiste bk estratta da an tale che
limk
bk = −∞
Dimostrazione. Proviamo ad esempio la prima affermazione. Sia
n1 ∈N tale che an1 > 1
n2 ∈N tale che an2 > 2 , n2 > n1
· · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·nk ∈N tale che ank > k , nk > nk−1
Allora bk = ank (l’esistenza di tale estratta è assicurata dall’ipotesiche an non è limitata superiormente) tende a +∞ 2
Sappiamo bene cosa significa che una successione converge ad unlimite ` ∈ R∗ cerchiamo ora di stabilire il significato del fatto che an
non converge ad un limite ` ∈ R∗
Lemma 6.2 Sia an una successione e sia ` ∈ R∗; an non converge ad ` see solo se esiste ε0 > 0 ed esiste una successione bk estratta da an tale chebk 6∈ I(`, ε0).
Teorema 6.7 Sia an una successione soddisfacente la seguente proprietà:
• esiste ` ∈ R∗ tale che per ogni successione bk estratta da an è possibiletrovare una successione ch estratta da bk con
limh
ch = `
Allora si halim
nan = `
Teorema 6.8 - Criterio di convergenza di Cauchy - Sia an una successione;sono fatti equivalenti:
analisi matematica 1 november 4, 2013 71
1. esiste ` ∈ R tale chelim
nan = `
2. Per ogni ε > 0 esiste nε ∈N tale che se n, m > nε si ha
|an − am| < ε
Dimostrazione.
• (1)⇒ (2) sia ε > 0, allora esiste nε ∈N tale che per n > nε si ha
|an − `| < ε
Allora se n, m > nε/2 si ha
|an − am| ≤ |an − `|+ |am − `| < ε/2 + ε/2 = ε
• (2)⇒ (1) se n > nε si ha
anε − ε < an < anε + ε
per cui la successione an è limitata.
Sia ank una successione estratta da an tale che
limk
ank = `
Se k > kε si ha|ank − `| < ε
ed inoltre se k > k1ε si ha
nk > nε
Ma allora fissato k > max{kε/2, k1ε/2}, se n > nε/2 si ha
|an − `| ≤ |an − ank |+ |ank − `| < ε/2 + ε/2 = ε
2
E’ di grande utilità per il seguito provare i due seguenti risultati.
Lemma 6.3 Sia A ⊂ R , A 6= ∅, e siano
λ = sup A , µ = inf A
allora esistono due successioni an, bn ∈ A tali che
limn
an = λ , limn
bn = µ
Dimostrazione. Proviamo ad esempio che esiste una successione bn ∈A tale che
limn
bn = µ
Occorre distinguere due casi:
72 ottavio caligaris - pietro oliva
1. µ = −∞; in tal caso l’insieme A non è inferiormente limitato epertanto per ogni n ∈N esiste bn ∈ A tale che bn < −n.
Ciò è sufficiente per concludere che
limn
bn = −∞
2. µ ∈ R; in tal caso si ha che:
µ ≤ b ∀b ∈ A
∀n ∈N ∃bn ∈ A : µ + 1/n > bn
Pertanto si ha:µ + 1/n > bn ≥ µ
e la tesi.
2
Definizione 6.3 Sia an una successione e sia
Φ(an) = {` ∈ R∗ : ∃ank , limk
ank = ` }
Definiamolim sup
nan = sup Φ(an)
lim infn
an = inf Φ(an)
Riguardo al massimo ed al minimo limite di una successione sipossono provare molti risultati, non semplici, che non riportiamo.
Lemma 6.4 Sia an una successione:
1. se an > 0 e limnan+1
an= ` < 1 allora limn an = 0
2. se an ≥ 0 e limn n√
an = ` < 1 allora limn an = 0;
3. se an > 0 e limnan+1
an= ` > 1 allora limn an = +∞;
4. se an ≤ 0 e limn n√
an = ` > 1 allora limn an = +∞
Dimostrazione. Proviamo ad esempio la prima e l’ultima affermazio-ne.
(1) Si ha, fissato ε > 0 in modo che `+ ε < 1
an+1
an< `+ ε ∀n > nε
pertantoan+1 < an(`+ ε)
e se n > m > nε
0 < an < (`+ ε)n−mam
analisi matematica 1 november 4, 2013 73
e si può concludere che (1) è vera.(4) Fissato ε in modo che `− ε > 1 si ha
(an)1/n > (`− ε) ∀n > nε
ean > (`− ε)n ∀n > nε .
Ciò è sufficiente per concludere. 2
Definizione 6.4 Definiamo per n ∈N∪ {0}
0! = 1
n! = n(n− 1)!
n! verrà detto n fattoriale.
Osserviamo che, se n ≥ 1,
n! =n
∏i=1
i
Definiamo inoltre per n ∈N∪ {0} nella seguente maniera:
(0)!! = 1
(1)!! = 1
n!! = n(n− 2)!!
n!! verrà indicato con il nome di n semifattoriale.Osserviamo che
(2n)!! =n
∏i=1
2i , (2n + 1)!! =n
∏i=0
(2i + 1)
Definiamo infine (nk
)=
n!k!(n− k)!
coefficiente binomiale di ordine n e posto k e verrà detta n su k.I coefficienti binomiali godono di notevoli proprietà: ad esempio
possono essere calcolati usando il ben noto triangolo di Tartaglia econsentono di stabilire la formula della potenza di un binomio diNewton.
Si può provare con qualche calcolo che
(nk
)+
(n
k− 1
)=
(n + 1
k
)(6.5)
74 ottavio caligaris - pietro oliva
La precedente uguaglianza consente di costruire il così detto trian-golo di Tartaglia:
(10
)(11
)(
20
)(21
)(22
)(
30
)(31
)(32
) (33
). . . . . . . . . . . . . . .(
n0
). . .(
nk− 1
) (nk
). . .(
nn
). . . . . . . . .
(n + 1
k
). . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
È importante osservare che ogni elemento del triangolo si può ot-tenere dalla somma dei due elementi della riga precedente, che occu-pano la posizione sopra e a sinistra della posizione occupata dall’ele-mento considerato.
Vale inoltre il seguente risultato che è noto con il nome di
binomio di Newton
(a + b)n =n
∑k=0
(nk
)an−kbk
Ricordiamo anche la seguente disuguaglianza
Lemma 6.5 Se a > −1 allora
(1 + a)n ≥ 1 + na (6.6)
Dimostrazione. Si prova per induzione;
1. La disuguaglianza è banalmente vera per n = 1
2. Inoltre se supponiamo (1 + a)n ≥ 1 + na avremo che
(1+ a)n+1 = (1+ a)n(1+ a) > (1+na)(1+ a) = 1+(n+ 1)a+na2 ≥ 1+(n+ 1)a(6.7)
2
Possiamo ora studiare le proprietà di una successione di notevoleimportanza.
analisi matematica 1 november 4, 2013 75
Sia En la successione definita da
En =
(1 +
1n
)n
si ha che En è una successione strettamente crescente ed inoltre
2 ≤ En < 3
.Infatti si ha
En =
(1 +
1n
)n=
n
∑k=0
(nk
)1nk
per cuiEn ≥ 1 + n(1/n) = 2
Per dimostrare che En è crescente osserviamo che si ha
En =
(1 +
1n
)n≥(
1 +1
n− 1
)n−1= En−1
se e solo se (n + 1
n
)n≥(
nn− 1
)n (n− 1n
)se e solo se (
n2 − 1n2
)n
≥(
n− 1n
)se e solo se (
1− 1n2
)n≥ 1− 1
n
e l’ultima disuguaglianza si deduce immediatamente dal lemma 6.5.Infine, dal momento che si può facilmente provare per induzione
che(k + 1)! ≥ 2k per k ≥ 0
si ha
En <n
∑k=0
1k!
= 1 +n−1
∑k=0
1(k + 1)!
≤ 1 +n−1
∑k=0
12k < 3 (6.8)
Pertanto En è una successione crescente e limitata per cui possiamoaffermare che
limn
En
esiste ed è reale e pertanto è lecito definire chiamare e il suo limite.
e = limn
En
76 ottavio caligaris - pietro oliva
Se xn è una successione a termini positivi, xn −→ x si può provare(si veda il capitolo successivo sulla continuità) che
lim loga xn = loga x
e pertanto si ha
lim n loga
(1 +
1n
)= loga e
Osserviamo anche che
loga e = 1 ⇔ a = e
per cui si è naturalmente indotti a privilegiare il numero e come baseper i logaritmi.
Si ha con 51 cifre decimali esatte
e = 2.718281828459045235360287471352662497757247093699959 .
Definizione 6.5 Definiamo logaritmo naturale la funzione loge.Più semplicemente scriveremo loge x = ln x.
Elenchiamo ora alcune successioni che saranno utili nel seguito ecalcoliamone i relativi limiti:
1. lim nk = +∞ , k > 0
2. lim nk = 0 , k < 0
3. lim an = +∞ , a > 1
4. lim an = 0 , |a| < 1
5. lim n√
a = 1 , a > 0
6. lim n√
n = 1
7. lim an
nn = 0
Possiamo verificare le affermazioni precedenti mediante le seguentiargomentazioni:
1. si prova mediante la definizione di limite.
2. si deduce dalla precedente tenendo conto che nk = 1/n−k.
analisi matematica 1 november 4, 2013 77
3. sia a = 1 + b con b > 0, allora an = (1 + b)n ≥ 1 + nb.
4. si deduce dalla precedente tenendo conto che |an| = 1/(1/|a|)n.
5. se a > 1, postoyn = n
√a− 1 > 0
si haa = (1 + yn)
n ≥ 1 + nyn
da cui0 ≤ yn ≤ (a− 1)/n
se 0 < a < 1 si ha n√
a = 1/ n√
1/a.
6. postoyn = n
√n− 1 > 0
si ha
n = (1 + yn)n ≥ 1 + n(n− 1)y2
n/2 e 0 ≤ yn ≤ (2/n)
7. Se n > 2|a| si ha0 < |a|/n < 1/2
per cui0 < |a|n/nn < (1/2)n
Valgono i seguenti fatti:
1. lim an
n! = 0
2. lim n!nn = 0
3. lim an
nk = 0, |a| < 1
4. lim an
nk = +∞, a > 1
5. lim loga nnk = 0, k > 0 , a > 0 , a 6= 1
Infatti se indichiamo con bn ciascuna delle successioni in oggetto siha
1. |bn+1||bn | = |a|
n+1 −→ 0
2. bn+1bn
=( n
n+1)n −→ 1
e < 1
3. |bn+1||bn | = |a|
( nn+1)k −→ |a|
78 ottavio caligaris - pietro oliva
4. si può facilmente dedurre dal fatto che
loga nnk =
1k
loga(nk√
nk)
Anche se a prima vista ciò non appare verosimile, operare consuccessioni piuttosto che con funzioni è molto più comodo e facile;è pertanto molto utile provare il seguente risultato che permette di ot-tenere informazioni sul limite di una funzione utilizzando opportunesuccessioni.
Teorema 6.9 Sia f : D −→ R e siano x0 ∈ D(D), ` ∈ R∗; sono fattiequivalenti:
1. limx→x0 f (x) = `
2. per ogni xn ∈ D \ {x0}, xn → x0, si ha
lim f (xn) = `
Dimostrazione. Se vale la prima condizione avremo che per ogniε > 0 esiste δε > 0 tale che, se x ∈ I0(x0, δε) si ha
f (x) ∈ I(`, ε)
Inoltre esiste nε ∈ N tale che per n > nε si abbia xn ∈ I0(x0, δε) edi conseguenza si ha
f (xn) ∈ I(`, ε)
Da cui la seconda asserzione.Se viceversa la prima asserzione è falsa, allora esiste ε0 > 0 tale
che, per ogni n ∈N esiste xn ∈ D, xn 6= x0, con xn ∈ I0(x0, 1/n) e
f (xn) 6∈ I(`, ε0)
e quindi la seconda è falsa2
Si può provare che ogni successione convergente ammette una suc-cessione estratta monotona (e convergente allo stesso limite); pertantonel verificare (2) è sufficiente limitarsi alle sole successioni monotone.
Il criterio di convergenza di Cauchy riveste notevole importanza edè utile sapere che esso può essere provato anche per le funzioni nellaseguente forma.
Teorema 6.10 - Criterio di Cauchy - Sia f : D −→ R e sia x0 ∈ D(D);sono condizioni equivalenti:
1. esiste ` ∈ R tale che limx→x0 f (x) = `
analisi matematica 1 november 4, 2013 79
2. per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che se x, y ∈ I0(x0, δε) si ha
| f (x)− f (y)| < ε
Dimostrazione. (1) ⇒ (2) Per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che sex ∈ I0(x0, δε/2) si ha
| f (x)− `| < ε/2
per cui se x, y ∈ I0(x0, δε/2) si ha
| f (x)− f (y)| ≤ | f (x)− `|+ | f (y)− `| < ε/2 + ε/2 = ε.
(2) ⇒ (1) Se per assurdo (1) non fosse vera esisterebbero duesuccessioni xn, yn ∈ D, convergenti ad x0 tali che f (xn) −→ `1 ef (yn) −→ `2 con `1, `2 ∈ R∗ , `1 6= `2.
Pertanto la condizione (2) non potrebbe essere soddisfatta. 2
Mediante le successioni siamo anche in grado di provare i seguentirisultati che caratterizzano gli insiemi aperti, chiusi e compatti in R eche sono facilmente estendibili a più generali situazioni.
Teorema 6.11 Sia A ⊂ R, allora
1. A è aperto se e solo se per ogni x ∈ A e per ogni successione xn, tale chexn → x, si ha xn ∈ A definitivamente;
2. A è chiuso se e solo se per ogni xn ∈ A, xn → x si ha x ∈ A
3. A è un insieme compatto se e solo se per ogni xn ∈ A esiste xnk → x, taleche x ∈ A
6.1 Infinitesimi ed Infiniti
Se f (x) → `, ` ∈ R allora f (x)− ` → 0 per cui per studiare il com-portamento di una funzione che ammette limite finito sarà sufficienteconsiderare funzioni che tendono a 0; tali funzioni si definiscono infi-nitesime ed è importante cercare di ottenere qualche informazione inpiù su come una funzione infinitesima tende a 0.
Ad esempio è evidente che xn diminuisce più o meno velocemente,in dipendenza da n, quando ci si avvicina a 0. È quindi ovvio chesia utile cercare di individuare anche in funzioni più complesse talicomportamenti.
Quanto detto per le funzioni infinitesime si può poi facilmenteestendere anche alle funzioni che tendono all’infinito: che chiameremoinfinite.
Pertanto introduciamo la definizione di ordine di infinitesimo e diordine di infinito.
80 ottavio caligaris - pietro oliva
Definizione 6.6 Sia f : (a, b) −→ R, diciamo che f è infinitesima in a+ se
limx→a+
f (x) = 0
In maniera analoga si possono dare le definizioni per x → a−, x → a, x →+∞ e x→ −∞.
Definizione 6.7 Siano f ,g due funzioni infinitesime in a+ e supponiamoche
limx→a+
f (x)g(x)
= `
• se ` ∈ R \ {0} diciamo che f e g hanno lo stesso ;
• se ` = 0 diciamo che f è infinitesima di ordine superiore a g.
Definizione 6.8 Chiamiamo infinitesimo campione di ordine α ∈ R+ ina+,a−,a,+∞, −∞ rispettivamente la funzione
(x− a)α , (a− x)α , |x− a|α ,1xα
,1
(−x)α
Si dice che f è infinitesima di ordine α ∈ R+ se f ha lo stesso ordinedell’infinitesimo campione di ordine α.
Osserviamo esplicitamente che può accadere che f non abbia ordi-ne di infinitesimo reale.
Ad esempio la funzione1
ln xè infinitesima per x → +∞ di ordine inferiore ad ogni α ∈ R+.
Infatti per ogni α ∈ R+
limx→+∞
1ln x
1xα
= 0 (6.9)
La definizione di ordine di infinitesimo consente di provare che
Teorema 6.12 Siano f e g due funzioni infinitesime in a+ di ordine α e β
rispettivamente; allora
1. f g ha ordine α + β
2. se α < β, f + g ha ordine α
3. se α = β, f + g ha ordine maggiore o uguale ad α.
Definizione 6.9 Diciamo che f è infinita in a+ se 1/ f è infinitesima in a+.Diciamo che f è infinita di ordine α se 1/ f è infinitesima di ordine α.
analisi matematica 1 november 4, 2013 81
Teorema 6.13 Siano f e g due funzioni infinite in a+ di ordine α e β
rispettivamente; allora
1. f g ha ordine α + β;
2. se α < β, f + g ha ordine β;
3. se α = β, f + g ha ordine minore o uguale ad α
Osserviamo che si potrebbe definire f di ordine α ∈ R in a+ se
limx−a+
f (x)(x− a)α
∈ R \ {0}
ed osservare che f è infinitesima se α > 0 ed è infinita se α < 0 .Con queste convenzioni si può provare che se f ha ordine α e g ha
ordine β, allora f /g ha ordine α− β.
7 - LA CONTINUITÀ
La maggior parte delle situazioni semplici che cerchiamo di rappre-sentare mediante l’uso di una funzione reale di una variabile realepresentano una caratteristica comune:
piccoli cambiamenti della variabile (argomento della funzione)causano piccoli cambiamenti dei valori della funzione stessa.
Ad esempio se T(x) rappresenta la temperatura di una sbarra dimetallo in un punto che dista x da una delle sue estremità, ci aspettia-mo che due punti vicini sulla sbarra abbiano temperature non moltodissimili.
Tuttavia non tutti i fenomeni sono facilmente rappresentabili me-diante funzioni continue; se ad esempio L(t) rappresenta la luminositàdi una stanza nella quale si accende una lampada all’istante t0 è evi-dente che in quell’istante il valore della luminosità può subire unabrusca variazione, (se la luminosità della lampada è alta in confrontocon la luminosità ambiente).
Anche nel linguaggio comune è naturale attribuire l’aggettivo con-tinuo al primo fenomeno ma non al secondo.
In parole povere, una funzione è continua in un punto se il valo-re che essa assume in tale punto dipende dai valori da essa assun-ti nei punti vicini, o per meglio dire, se piccole variazioni dell’argo-mento danno luogo a piccole variazioni dei corrispondenti valori dellafunzione.
In altri termini una funzione è continua se non ammette repentinicambiamenti, salti, discontinuità.
Vogliamo allora formalizzare cosa si intende per continuità di unafunzione.
Precisamente poniamo la seguente definizione
Definizione 7.1 Sia f : D −→ R, x0 ∈ D, diciamo che f è continua in x0
se
84 ottavio caligaris - pietro oliva
∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che se |x− x0| < δε , x ∈ D si ha
| f (x)− f (x0)| < ε
Diciamo che f è continua in D se è continua in ogni punto di D.
E’ immediato verificare l’analogia, ma non l’identità, con la defini-zione di limite, ed è immediato provare che:
Teorema 7.1 Sia f : D −→ R e sia x0 ∈ D ∩D(D); sono fatti equivalenti:
1. f è continua in x0,
2. limx→x0 f (x) = f (x0).
I teoremi sui limiti consentono di stabilire alcuni semplici risultatiche ci limitiamo ad enunciare.
Teorema 7.2 Siano f , g : D −→ R continue in x0 ∈ D, siano inoltreα, β ∈ R; si ha
1. α f + βg è continua in x0;
2. f g è continua in x0;
3. se f (x0) 6= 0, 1/ f è continua in x0.
Teorema 7.3 Sia f : D −→ R, x0 ∈ D; sono fatti equivalenti:
1. f è continua in x0;
2. ∀xn ∈ D, xn → x0, si ha f (xn) −→ f (x0).
Il precedente teorema consente di caratterizzare la continuità persuccessioni: nel confronto con il teorema 6.9 mediante il quale sonocaratterizzati i limiti si evidenzia il fatto che:
per caratterizzare il limite la successione xn deve essere scelta inD \ {x0}, mentre per la continuità xn assume valori in D.
Osserviamo anche che, come nel teorema 6.9 , ci si può limitare aconsiderare soltanto successioni monotone.
Teorema 7.4 Sia f : D −→ R continua in x0 ∈ D, allora se f (x0) 6= 0esiste δ > 0 tale che se x ∈ D ∩ I(x0, δ) si ha f(x) f (x0) > 0.
Teorema 7.5 Siano f : D −→ R continua in x0 ∈ D, g : A −→ Dcontinua in t0 ∈ A, x0 = g(t0); allora f (g(·)) : A −→ R è continua in t0.
8 - I TEOREMI SULLA CONTINUITÀ
Dopo questa rapida rassegna di risultati passiamo a studiare le pro-prietà più importanti ed interessanti delle funzioni continue in uninsieme.
La maggior parte delle proprietà che studieremo riguardano le fun-zioni continue su di un intervallo chiuso e limitato. E’ facile vedere,mediante esempi, che se si considerano funzioni continue su insiemiche non soddisfano i requisiti opportuni, tali proprietà possono nonessere soddisfatte.
Teorema 8.1 - degli zeri - Sia f : [a, b] −→ R una funzione continua esupponiamo che f (a) f (b) < 0.
Allora esiste x0 ∈ (a, b) tale che f (x0) = 0.
Dimostrazione.Definiamo le successioni αn e βn nella seguente maniera:
[α0, β0] = [a, b] (8.1)
[αn+1, βn+1] =
[αn, (αn + βn)/2] se f (αn) f ((αn + βn)/2) < 0
[(αn + βn)/2, βn] se f (αn) f ((αn + βn)/2) > 0
[(αn + βn)/2, (αn + βn)/2] se f ((αn + βn)/2) = 0(8.2)
Se, esiste n, f ((αn + βn)/2) = 0 si è trovato lo zero;in caso contrario, per αn e βn si ha:
•αnè crescente, βnè decrescente, (8.3)
•αn, βn ∈ [a, b], f (αn) f (βn) < 0 (8.4)
•
βn − αn =b− a
2n (8.5)
86 ottavio caligaris - pietro oliva
Pertanto si può affermare che
αn ↗ α βn ↘ β α, β ∈ [a, b] (8.6)
e dalla 8.5 si ricava α = β = c .Per la continuità di f e per 8.4 si ha
0 ≥ lim f (αn) f (βn) = ( f (c))2 e f (c) = 0 (8.7)
Si ha anche che c ∈ (a, b) ed inoltre
0 ≤ c− αn ≤ βn − αn ≤b− a
2n (8.8)
e
0 ≤ βn − c ≤ βn − αn ≤b− a
2n (8.9)
2
Il teorema 8.1 ammette come immediato corollario il seguente:
Teorema 8.2 - dei valori intermedi - Sia f : [a, b] −→ R una funzionecontinua e siano c, d ∈ R( f ), c < d, allora
[c, d] ⊂ R( f ).
Dimostrazione. Siano α, β ∈ [a, b] tali che f (α) = c, f (β) = d econsideriamo y ∈ (c, d); la funzione
g(x) = f (x)− y
è continua su [α, β], g(α) < 0, g(β) > 0 e perciò, per il teorema 8.1 ,esiste x0 ∈ (α, β) tale che
g(x0) = f (x0)− y = 0
da cui f (x0) = y e y ∈ R( f ). 2
Corollario 8.1 Sia f : [a, b] −→ R, se f è continua allora R( f ) è unintervallo.
Ci proponiamo ora di dimostrare un teorema di esistenza del mas-simo per una funzione continua su un insieme compatto (cioè chiusoe limitato).
Teorema 8.3 - Weierstraß - Sia f : D −→ R una funzione continua, Dcompatto; allora esistono α, β ∈ D tali che
f (α) = min{ f (x) : x ∈ D}
f (β) = max{ f (x) : x ∈ D}.
analisi matematica 1 november 4, 2013 87
Dimostrazione. Proviamo ad esempio l’esistenza del minimo dellafunzione f . Sia
λ = inf{ f (x) : x ∈ D} = inf R( f );
per il lemma 6.3 esiste yn ∈ R( f ) tale che yn → λ.Sia xn ∈ D tale che yn = f (xn); dal momento che D è compatto
esiste xnk estratta da xn tale che
xnk → α ∈ D.
Pertantoynk = f (xnk )→ f (α)
per la continuità di f ed anche ynk → λ da cui
λ = f (α)
e la tesi. 2
E’ possibile generalizzare il teorema 8.3 senza l’ipotesi di compat-tezza dell’insieme D, ad esempio possiamo provare:
Teorema 8.4 Sia f : (a, b) −→ R continua, a, b ∈ R∗, e supponiamo cheesista x ∈ (a, b) tale che
limx→a+
f (x), limx→b−
f (x) > f (x)
allora esiste α ∈ (a, b) tale che
f (α) = min{ f (x) : x ∈ (a, b)}.
Dimostrazione. Supponiamo a, b ∈ R, essendo la dimostrazionenegli altri casi analoga.
Sianoλ = inf{ f (x) : x ∈ (a, b)}
si haµ = f (x) ≥ λ , µ ∈ R
Se λ = f (x) avremmo che il minimo è assunto.sia δ > 0 tale che
x ∈ (a, a + δ) ∪ (b− δ, b) ⇒ f (x) > µ.
Siayn ∈ R( f ) , yn → λ
poiché µ > λ, definitivamente si ha yn ≤ µ e perciò esiste xn ∈ [a +δ, b− δ] tale che f (xn) = yn.
88 ottavio caligaris - pietro oliva
Ne segue che esiste xnk → α ∈ [a + δ, b− δ] e
ynk = f (xnk )→ f (α).
2
A questo punto sarebbe ragionevole introdurre il concetto di uni-forme continuità, tuttavia poichè si tratta di un concetto fondamentalema difficile da comprendere rimandiamo chi fosse interessato a quantoè contenuto negli approfondimenti.
In parole povere diciamo che una funzione è uniformemente conti-nua su un intervallo [a, b], se, nella definizione di continuità applicataad un punto x ∈ [a, b], il valore di δ si può trovare in funzione di ε, manon dipende anche da x.
Possiamo cioè dire che in un qualunque punto di x0 ∈ [a, b] il modocon cui f (x) si avvicina ad f (x0) quando x si avvicina ad x0 è in questosenso uniforme.
Abbiamo a suo tempo dimostrato che, se una funzione è stretta-mente monotona, allora essa è invertibile; vediamo ora che se ci re-stringiamo alla classe delle funzioni continue, la stretta monotonia èanche necessaria per l’invertibilità.
Teorema 8.5 Sia f : [a, b] −→ R continua, allora f è invertibile se e solo sef è strettamente monotona.
Dimostrazione. Ci limitiamo a provare la parte ’solo se’, in quanto laparte ’se’ è già stata provata nel teorema 3.15.
Se per assurdo f non fosse monotona, per il teorema 3.14
∃x, y, z ∈ [a, b] : x < y < z , [ f (y)− f (x)][ f (z)− f (y)] ≤ 0 (8.10)
se nella 8.10 vale l’uguaglianza, f non è invertibile; se vale ladiseguaglianza stretta possiamo, per fissare le idee, supporre che
f (z)− f (y) < 0 , f (y)− f (x) > 0 , f (z) > f (x) .
Allora, per il teorema dei valori intermedi, poichè f (x) < f (z) <
f (y)∃α ∈ (x, y) : f (α) = f (z)
e ciò è contro l’invertibilità di f . 2
Per concludere con la continuità proviamo i seguenti risultati.
Teorema 8.6 Sia f : (a, b) −→ R, strettamente monotona, siano x0 ∈(a, b) e y0 = f (x0); allora f−1 è continua in y0.
Dimostrazione. Supponiamo, per fissare le idee, che f sia stretta-mente crescente e proviamo che, per ogni ε > 0 esiste δε > 0 taleche
∀y : |y− y0| < δε , si ha | f−1(y)− f−1(y0)| < ε.
analisi matematica 1 november 4, 2013 89
Sia ε0 > 0 tale che (x0 − ε0, x0 + ε0) ⊂ (a, b).Dal momento che f è strettamente crescente si ha, per 0 < ε ≤ ε0
f (x0 − ε) < y0 < f (x0 + ε).
Definiamo
δε = min{y0 − f (x0 − ε), f (x0 + ε)− y0} > 0;
se |y− y0| < δε si ha
y0 + f (x0 − ε)− y0 < y0 − δε < y < y0 + δε < y0 + f (x0 + ε)− y0
ef (x0 − ε) < y < f (x0 + ε).
Poiché f−1 è strettamente crescente si ha
f−1( f (x0 − ε)) < f−1(y) < f−1( f (x0 + ε))
cioèx0 − ε < f−1(y) < x0 + ε
f−1(y0)− ε < f−1(y) < f−1(y0) + ε
e| f−1(y)− f−1(y0)| < ε.
2
Teorema 8.7 Sia f : (a, b) −→ R continua e invertibile; allora f−1 ècontinua.
Dimostrazione. Dal momento che f è continua ed invertibile su (a,b),essa è strettamente monotona e si può applicare il teorema 8.6. 2
Si può verificare che:
1. pa, per a ∈ R è continua in R+
2. pn, per n ∈N è continua in R
3. expa, per a ∈ R+ è continua in R
4. sin è continua in R
5. cos è continua in R
6. rn, per n pari è continua in R+
7. rn, per n dispari è continua in R
8. loga, per a ∈ R+ \ {1} è continua in R+.
90 ottavio caligaris - pietro oliva
La verifica di questi fatti può essere completata usando la defini-zione di limite.
possiamo altresì verificare, usando il teorema dei valori intermediche
Teorema 8.8 Si ha
1. R(pn) = R+, per n pari
2. R(pn) = R, per n dispari
3. R(expa) = R+ per a ∈ R+ , a 6= 1
4. R(pa) = R+ per a ∈ R , a 6= 0
5. R(sin) = [−1, 1]
6. R(cos) = [−1, 1]
7. R(tan) = R
9 - LA DERIVABILITÀ.
Consideriamo una funzione f continua in un punto x0, avremo che,quando x si discosta di poco da x0, f (x) è poco distante da f (x0).
È in questo caso importante valutare come varia f (x) − f (x0)inrapporto a x− x0 cioè il valore del rapporto
f (x)− f (x0)
x− x0(9.1)
Possiamo vedere che 9.1 rappresenta il coefficiente angolare dellacorda che passa per i punti (x0, f (x0)) e (x, f (x)).
Se x è vicino al punto x0 il denominatore tende a 0, ma se f è conti-nua anche il numeratore tende a 0 e quindi è significativo considerareil valore limite di 9.1 per x → x0.
Si stabilisce quindi la seguente definizione.
Definizione 9.1 Sia f : (a, b) −→ R, x0 ∈ (a, b);
g(x) =f (x)− f (x0)
x− x0
è definito per ogni x ∈ (a, b) \ {x0} e si chiama rapporto incrementale relativoalla funzione f nel punto x0.
Dal momento che x0 è in (a, b) ha senso considerare
limx→x0
g(x).
Diciamo che f è derivabile in x0 se
limx→x0
f (x)− f (x0)
x− x0
esiste finito.In tal caso chiamiamo il suo valore derivata di f in x0 e scriviamo
f ′(x0) od fdx
(x0)
Diciamo che f è derivabile in x0 da destra oppure da sinistra se
limx→x+0
f (x)− f (x0)
x− x0
92 ottavio caligaris - pietro oliva
oppure
limx→x−0
f (x)− f (x0)
x− x0
esiste ed è finito,In tal caso chiamiamo tale limite derivata destra o derivata sinistra di
f in x0 e scriviamo f ′+(x0) o f ′−(x0), ovvero
d+ fdx
(x0) od− fdx
(x0).
Diciamo che f è derivabile in (a, b) se è derivabile in ogni punto di (a, b).In tal caso possiamo definire una funzione
f ′ =d fdx
: (a, b) −→ R
che si chiama derivata di f .In maniera del tutto analoga si possono definire le funzioni derivata
destra e derivata sinistra.
Osserviamo che f ′(x) è il limite per x che tende a x0 del coeffi-ciente angolare della corda secante il grafico di f nei punti (x, f (x)),(x0, f (x0)) e che pertanto è ragionevole supporre che sia il coefficienteangolare della retta tangente al grafico in (x0, f (x0)).
La derivata di f , fornisce, vicino ad x0, una stima del variare dif (x)− f (x0) rispetto a x− x0.
Poichè
limx→x0
f (x)− f (x0)
x− x0= f ′(x) (9.2)
si ha
limx→x0
f (x)− f (x0)
x− x0− f ′(x) = 0
da cui
limx→x0
f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0)
x− x0= 0 (9.3)
Se ora poniamo
f (x)− f (x0 − f ′(x0)(x− x0)
x− x0= ω(x− x0) (9.4)
avremo che
f (x)− ( f (x0 + f ′(x0)(x− x0)) = ω(x− x0)(x− x0) (9.5)
analisi matematica 1 november 4, 2013 93
con
limx→x0
ω(x− x0) = 0
In altre parole, alla quantità f (x) è possibile sostituire la quantità
f (x0) + f ′(x0)(x− x0) (9.6)
commettendo un errore
ω(x− x0)(x− x0)
che tende a 0 più velocemente di (x− x0)
Poichè l’equazione y = f (x0) + f ′(x0)(x− x0) rappresenta una ret-ta nel piano con la proprietà di approssimare f (x) con un errore infi-nitesimo di ordine superiore al primo, per x → x0, possiamo definirlaretta tangente al grafico di f nel punto x0.
Resta così giustificato l’uso di f ′(x0) per identificare il coefficienteangolare della retta tangente al grafico di f in x0.
Definiamo pertanto, allo scopo di sviluppare questa idea, la diffe-renziabilità di una funzione.
Definizione 9.2 Sia f : (a, b) −→ R, x0 ∈ (a, b); diciamo che f è differen-ziabile in x0 se esiste a ∈ R tale che
limx→x0
f (x)− f (x0)− a(x− x0)
x− x0= 0.
La funzione lineare L(x) = a(x− x0) si chiama differenziale di f in x0 e siindica con d f (x0)(x).
Teorema 9.1 Sia f : (a, b) −→ R, x0 ∈ (a, b), allora f è derivabile in x0 see solo se f è differenziabile in x0.
Inoltred f (x0)(h) = h f ′(x0)
per ogni h ∈ R.
Dimostrazione. Se f è derivabile in x0 è sufficiente definire
a = f ′(x0)
e si ha
limx→x0
f (x)− f (x0)− a(x− x0)
x− x0= 0.
Se viceversa f è differenziabile in x0 si ha che
limx→x0
f (x)− f (x0)− a(x− x0)
x− x0= 0
94 ottavio caligaris - pietro oliva
e
limx→x0
f (x)− f (x0)
x− x0− a = 0
da cuif ′(x0) = a
ed f (x0)(h) = h f ′(x0)
2
Dalla 9.5 risulta evidente che se f è derivabile in x0 si ha:
f (x)− f (x0) = f ′(x0)(x− x0) + (x− x0)ω(x− x0).
Pertanto
limx→x0
[ f (x)− f (x0)] = limx→x0
[ f ′(x0)(x− x0) + (x− x0)ω(x− x0)] = 0
elim
x→x0f (x) = f (x0).
Si è così provato che
Teorema 9.2 Sia f : D −→ R , D ⊂ R aperto, e sia x0 ∈ D; se f èderivabile in x0 allora f è continua in x0.
Non è però vero il viceversa; esempi che illustrino questo fattonon sono difficili a trovarsi (basta considerare f (x) = |x|), e di più èpossibile costruire una funzione continua su un intervallo ed ivi maiderivabile.
In virtù del teorema 9.1 d’ora in poi, per le funzioni di una variabi-le, useremo indifferentemente i termini derivabilità e differenziabilità;useremo inoltre, per caratterizzare questa proprietà una qualunquedelle condizioni enunciate nelle 9.2, 9.3, 9.5.
Proviamo ora alcuni risultati sulla derivabilità.
Teorema 9.3 Siano f , g : D −→ R, D ⊂ R aperto, e sia x0 ∈ D;supponiamo che f e g siano derivabili in x0 , allora:
1. α f + βg è derivabile in x0 ∀α, β ∈ R e si ha
(α f + βg)′(x0) = α f ′(x0) + βg′(x0);
2. f g è derivabile in x0 e si ha
( f g)′(x0) = f ′(x0)g(x0) + f (x0)g′(x0).
3. Se f (x0) 6= 0 allora (1/ f ) è derivabile in x0 e si ha:(1f
)′(x0) = −
f ′(x0)
f 2(x0).
analisi matematica 1 november 4, 2013 95
Dimostrazione.
1. è banale conseguenza della definizione di derivata e dei risultatiprovati sui limiti.
2. si può provare osservando che
f (x)g(x)− f (x0)g(x0)
x− x0=
f (x)[g(x)− g(x0)]
x− x0+
[ f (x)− f (x0)]g(x0)
x− x0
e passando al limite.
3. Dal momento che f è derivabile in x0, f è ivi continua e per ilteorema della permanenza del segno ∃δ > 0 tale che f (x) 6= 0 se|x− x0| < δ.
Possiamo pertanto considerare la funzione 1/ f in |x − x0| < δ ecostruire il suo rapporto incrementale
1/ f (x)− 1/ f (x0)
x− x0= −
f (x)− f (x0)x−x0
1f (x) f (x0)
.
Passando al limite per x −→ x0 si ottiene che
(1f
)′(x0) = −
f ′(x0)
f 2(x0)
2
Teorema 9.4 Siano f : (a, b) −→ R, g : (c, d) −→ (a, b); sia t0 ∈ (c, d), gderivabile in t0; sia x0 = g(t0) e sia f derivabile in x0.
Allora se ϕ = f (g(·)), ϕ è derivabile in t0 e si ha
ϕ′(t0) = f ′(x0)g′(t0).
Dimostrazione. Per la 9.5 si ha che
f (x) = f (x0) + f ′(x0)(x− x0) + (x− x0)ω1(x− x0) (9.7)
g(t) = g(t0) + g′(t0)(t− t0) + (t− t0)ω2(t− t0). (9.8)
Si ha
ϕ(t) = f (g(t)) = f (g(t0)) + f ′(g(t0))[g(t)− g(t0)]+
+ [g(t)− g(t0)]ω1(g(t)− g(t0)) =
= f (x0) + f ′(x0)[g′(t0)(t− t0) + (t− t0)ω2(t− t0)]+
+ [g(t)− g(t0)]ω1(g(t)− g(t0)) =
= f (x0) + f ′(x0)g′(t0)(t− t0) + (t− t0)ω3(t− t0).
(9.9)
96 ottavio caligaris - pietro oliva
E dal momento che
limt→t0
ω3(t− t0) = 0
si ha la tesi 2
Teorema 9.5 Sia f : (a, b) −→ R, x0 ∈ (a, b), y0 = f (x0); supponiamo fstrettamente monotona in (a,b), derivabile in x0 ed f ′(x0) 6= 0; allora f−1 èderivabile in y0 e si ha
( f−1)′(y0) =1
f ′(x0).
Dimostrazione. Consideriamo il rapporto incrementale
G(y) =f−1(y)− f−1(y0)
y− y0,
avremo cheG(y) = F( f−1(y))
ove
F(x) =x− x0
f (x)− f (x0)=
x− f−1(y0)
f (x)− y0.
Oralim
x→x0
x− x0
f (x)− f (x0)=
1f ′(x0)
elim
y→y0f−1(y) = f−1(y0) = x0
(si ricordi che f−1 è continua in y0 in quanto inversa di una funzionemonotona continua).
Inoltre x0 non appartiene al campo di definizione di F; pertantopossiamo applicare il teorema che consente di calcolare il limite di unafunzione composta per concludere che
limy→y0
G(y) =1
f ′(x0)
e la tesi. 2
Calcoliamo ora le derivate di alcune funzioni elementari;
• ddx xa = axa−1
• ddx ax = ax ln a
• ddx loga x = 1
x ln a
• ddx sin x = cos x
analisi matematica 1 november 4, 2013 97
• ddx cos x = − sin x
• ddx tan x = 1 + tan2 x
• ddx arcsin x = 1√
1−x2
• ddx arccos x = − 1√
1−x2
• ddx arctan x = 1
1+x2 .
Ciascuna delle formule vale per quegli x per cui ha senso e puòessere provata usando la definizione di derivata.
Abbiamo con ciò introdotto quello che si chiama derivata primadi una funzione f ; ovviamente applicando successivamente più vol-te lo stesso procedimento, otterremo quelle che si chiamano derivataseconda, terza, .., n-esima di f .
Indichiamo con
f ′′(x0) od2
dx2 f (x0)
f (3)(x0) od3
dx3 f (x0)
· · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·
f (n)(x0) odn
dxn f (x0)
la derivata seconda, terza, .., n-esima di f in x0.Discorsi e notazioni analoghe vanno bene per le derivate successive
destre e sinistre.Indichiamo infine con Cn(I), I ⊂ R, l’insieme delle funzioni f :
I −→ R derivabili almeno n volte, con derivata n-esima continua.In particolare C0(I) è l’insieme delle funzioni continue, mentre
C∞(I) è l’insieme delle funzioni che ammettono derivate di ogni ordinein ogni punto di I.
Si può facilmente verificare che ognuno di questi insiemi è unospazio vettoriale su R.
10 - I TEOREMI DI ROLLE, LAGRANGE E CAU-CHY.
Le derivate forniscono un’importante strumento per lo studio delleproprietà e del grafico di una funzione.
L’applicazione di tale strumento si concretizza attraverso alcunirisultati dimostrati nel corso del ’700, dei quali ci occupiamo di seguito.
Cominciamo con il provare il seguente lemma.
Lemma 10.1 Sia f : [a, b] −→ R derivabile, sia x1 ∈ [a, b] tale che
f (x1) = min{ f (x) : x ∈ [a, b]}
si ha che
1. se x1 ∈ (a, b) allora f ′(x1) = 0
2. Se x1 = a allora f′+(x1) ≥ 0
3. Se x1 = b allora f′−(x1) ≤ 0
Dimostrazione. L’esistenza del punto di minimo è assicurata dallacontinuità di f in [a,b].
Proviamo la prima affermazione; sia
g(x) =f (x)− f (x1)
x− x1
si hag(x) ≤ 0 se x < x1
g(x) ≥ 0 se x > x1.
Pertanto
0 ≥ limx→x−1
g(x) = f ′(x1) = limx→x+1
g(x) ≥ 0.
Per quanto riguarda la seconda affermazione: se x1 = a si ha che
f ′+(x1) = limx→x+1
g(x) ≥ 0.
100 ottavio caligaris - pietro oliva
La terza affermazione si dimostra in modo simile. 2
È chiaro che un risultato simile si può provare per i punti di mas-simo.
A questo punto siamo in grado di provare un risultato che è, purnella sua semplicità, fondamentale per lo sviluppo del calcolo diffe-renziale.
Teorema 10.1 - Rolle - Sia f : [a, b] −→ R continua in [a, b] e derivabile in(a, b); allora
f (a) = f (b) ⇒ ∃c ∈ (a, b) : f ′(c) = 0.
Dimostrazione. Per il teorema di Weierstraß f ammette massimo eminimo assoluti in [a, b]; se entrambi sono assunti negli estremi si ha
max{ f (x) : x ∈ [a, b]} = min{ f (x) : x ∈ [a, b]}
ed f è costante, da cui f ′(x) = 0 ∀x ∈ (a, b).Se invece il massimo o il minimo è assunto in un punto interno c,
dal lemma 10.1 si ha f ′(c) = 0. 2
Ne segue che
Teorema 10.2 - Lagrange - Sia f : [a, b] −→ R continua in [a, b] e deriva-bile in (a, b); allora esiste c ∈ (a, b) tale che
f (b)− f (a) = f ′(c)(b− a).
Dimostrazione. Consideriamo la funzione
g : [a, b] −→ R
definita da
g(x) = f (x)−(
f (a) +f (b)− f (a)
b− a(x− a)
).
g è continua in [a,b] e derivabile in (a,b) ed inoltre g(a) = g(b) = 0.Per il teorema di Rolle esiste c ∈ (a, b) tale che
0 = g′(c) = f ′(c)− f (b)− f (a)b− a
ef (b)− f (a) = f ′(c)(b− a).
2
Teorema 10.3 - Peano - Siano f , g : [a, b] −→ R, f , g continue in [a, b] ederivabili in (a, b); allora esiste c ∈ (a, b) tale che
det
(f (b)− f (a) f ′(c)g(b)− g(a) g′(c)
)= 0 (10.1)
analisi matematica 1 november 4, 2013 101
Dimostrazione. Consideriamo la funzione h : [a, b] −→ R definita da
h(x) = det
(f (b)− f (a) f (x)g(b)− g(a) g(x)
)= [ f (b)− f (a)]g(x)− [g(b)− g(a)] f (x)
(10.2)h soddisfa le ipotesi del teorema di Rolle e pertanto si può affermareche esiste c ∈ (a, b) tale che
h′(c) = det
(f (b)− f (a) f ′(c)g(b)− g(a) g′(c)
)= 0 (10.3)
2
Teorema 10.4 - Cauchy - Siano f , g : [a, b] −→ R continue in [a, b] ederivabili in (a, b); sia inoltre g′(x) 6= 0 per ogni x ∈ (a, b). Allora esistec ∈ (a, b) tale che
f (b)− f (a)g(b)− g(a)
=f ′(c)g′(c)
Dimostrazione. Per il teorema di Peano si ha che esiste c ∈ (a, b) taleche
[ f (b)− f (a)]g′(c) = [g(b)− g(a)] f ′(c).
Ma g′(x) 6= 0 per ogni x ∈ (a, b) e pertanto anche g(b)− g(a) 6= 0(se così non fosse ci sarebbe, per il teorema di Rolle, un punto ξ ∈ (a, b)tale che g′(ξ) = 0). Possiamo allora dividere per g′(c) e per g(b)− g(a)ed ottenere la tesi. 2
I teoremi appena dimostrati forniscono tutta una serie di risultatimolto utili per lo studio del grafico di una funzione.
Teorema 10.5 Sia f : [a, b] −→ R continua in [a, b] e derivabile in (a, b);allora f è costante in [a, b] se e solo se f ′(x) = 0 per ogni x ∈ (a, b).
Dimostrazione. Se f è costante in [a, b] è immediato provare che f ′ èidenticamente nulla.
Proviamo viceversa che se f ′(x) = 0 per ogni x ∈ (a, b) si ha chef è costante: sia x ∈ (a, b) ed applichiamo il teorema di Lagrangeall’intervallo [a, x]. Per un opportuno valore di c ∈ (a, x) si ha
f (x)− f (a) = f ′(c)(x− a) = 0
e si deduce che f (x) = f (a) 2
Corollario 10.1 Siano f , g : [a, b] −→ R continue in [a, b] , derivabili in(a, b) e tali che
f ′(x) = g′(x) ∀x ∈ (a, b) ;
allora∃c ∈ R : f (x) = g(x) + c ∀x ∈ [a, b].
102 ottavio caligaris - pietro oliva
Teorema 10.6 Sia f : (a, b) −→ R, derivabile; allora f è crescente (de-crescente) in (a, b) se e solo se f ′(x) ≥ 0 ( f ′(x) ≤ 0) per ogni x ∈(a, b).
Dimostrazione. E’ intanto ovvio che se f è crescente allora si haf ′(x) ≥ 0 per ogni x ∈ (a, b); supponiamo viceversa che f ′(x) ≥ 0 perogni x ∈ (a, b), allora se x1, x2 ∈ (a, b), x1 < x2 , si ha
f (x2)− f (x1) = f ′(c)(x2 − x1) , x1 < c < x2
e pertantof (x2)− f (x1) ≥ 0
2
Sottolineiamo che i risultati provati funzionano soltanto per fun-zioni definite su un intervallo.
È infatti facile trovare esempi che contraddicano gli enunciati pre-cedenti se si rinuncia alla condizione di intervallo:
Ad esempio consideriamo le funzioni
f (x) =
1 , x > 0
−1 , x < 0(10.4)
oppureg(x) = 1/x su R \ {0} (10.5)
Si può anche provare che:
Teorema 10.7 Sia f : (a, b) −→ R derivabile e supponiamo che f ′(x) > 0per ogni x ∈ (a, b); allora f è strettamente crescente in (a, b).
La funzione f (x) = x3 ci convince inoltre che possono esistere fun-zioni strettamente crescenti la cui derivata non è sempre strettamentemaggiore di zero.
11 - LA REGOLA DI DE L’HÔPITAL
Dal teorema di Cauchy è possibile ricavare un risultato molto impor-tante usualmente identificato come regola di De L’Hôpital, dal no-me del marchese che pubblicò un trattato che la contiene, ma è piùprobabilmente dovuta a Johann Bernoulli.
Il suo scopo è fornire uno strumento atto a risolvere, in certi casi, ilproblema di trovare il limite di una forma indeterminata.
E’ importante ricordare che l’applicazione di tale regola è subor-dinata, come sempre, alla verifica di alcune ipotesi, in assenza dellequali si possono ottenere dei risultati sbagliati.
La regola di De l’Hôpital è un raffinamento del seguente fatto deltutto elementare.
Teorema 11.1 Siano f , g : D −→ R derivabili in x0 ∈ D, D aperto; allora,se f (x0) = g(x0) = 0 e g′(x0) 6= 0, si ha
limx→x0
f (x)g(x)
=f ′(x0)
g′(x0).
Dimostrazione. E’ sufficiente osservare che
limx→x0
f (x)g(x)
= limx→x0
f (x)− f (x0)
x− x0
x− x0
g(x)− g(x0)=
f ′(x0)
g′(x0)
2
Il risultato appena enunciato si può generalizzare al caso in cui nonsia possibile considerare
f ′(x0)
g′(x0)
ma soltanto
limx→x0
f ′(x)g′(x)
.
Naturalmente tutto ciò è fatto allo scopo di determinare il
limx→x0
f (x)g(x)
nel caso in cuilim
x→x0f (x) = lim
x→x0g(x) = 0.
Non sarà ovviamente restrittivo trattare solo il caso in cui x → x+0 .
104 ottavio caligaris - pietro oliva
Teorema 11.2 Siano f , g : (a, b) −→ R derivabili; supponiamo che
g′(x) 6= 0 ∀x ∈ (a, b)
limx→a+
f (x) = limx→a+
g(x) = 0.
Allora, se
limx→a+
f ′(x)g′(x)
esiste, si ha
limx→a+
f (x)g(x)
= limx→a+
f ′(x)g′(x)
.
Dimostrazione. Sia
limx→a+
f ′(x)g′(x)
= ` ∈ R∗.
Se a < x < a + δε si haf ′(x)g′(x)
∈ I(`, ε).
Ora, se prolunghiamo f e g per continuità in a ponendo
f (a) = g(a) = 0,
si può applicare il teorema di Cauchy nell’intervallo [a, x] con x ∈ (a, b)ed ottenere che
f (x)g(x)
=f (x)− f (a)g(x)− g(a)
=f ′(c)g′(c)
con a < c < x
Perciò, se a < x < a + δε si ha a < c < x < a + δε e
f (x)g(x)
=f ′(c)g′(c)
∈ I(`, ε).
2
Il teorema 11.2 può ovviamente essere rienunciato anche conside-rando limiti per x → a− e per x → a.
Restano fuori da questa trattazione i limiti per x → +∞ e per x →−∞.
Osserviamo che in tali casi può essere utilizzato il fatto che
limx→+∞
f (x)g(x)
= limt→0+
f (1/t)g(1/t)
.
A quest’ultimo limite può essere applicato il teorema 11.2 nonappena si siano verificate le ipotesi in esso richieste.
Enunciamo, per comodità, il risultato che si ottiene seguendo que-sta via.
analisi matematica 1 november 4, 2013 105
Corollario 11.1 Siano f , g : (a,+∞) −→ R derivabili; supponiamo
g′(x) 6= 0 ∀x ∈ (a,+∞)
limx→+∞
f (x) = limx→+∞
g(x) = 0 .
Allora, se
limx→+∞
f ′(x)g′(x)
esiste, si ha
limx→+∞
f (x)g(x)
= limx→+∞
f ′(x)g′(x)
.
Il caso in cui g → +∞ oppure g → −∞ è molto più tecnico ecomplicato; pertanto ci limitiamo ad enunciare il risultato.
Teorema 11.3 Siano f , g : (a, b) −→ R derivabili; supponiamo
g′(x) 6= 0 ∀x ∈ (a, b)
limx→a+
g(x) = +∞.
Allora, se
limx→a+
f ′(x)g′(x)
esiste, si ha
limx→a+
f (x)g(x)
= limx→a+
f ′(x)g′(x)
.
La regola di De L’Hôpital permette di ricavare un risultato moltoutile per calcolare la derivata di una funzione in punti che presentinoqualche criticità.
Corollario 11.2 Sia f : D −→ R, derivabile in D \ {x0} e continua inx0 ∈ D, D aperto, con
limx→x+0
f ′(x) = λ , limx→x−0
f ′(x) = µ.
Allora
1. se λ ∈ R allora f ′+(x0) = λ
2. Se µ ∈ R allora f ′−(x0) = µ
3. Se λ = ±∞ allora f non è derivabile da destra in x0
4. Se µ = ±∞ allora f non è derivabile da sinistra in x0
12 - LA FORMULA DI TAYLOR
La formula di Taylor nasce dall’esigenza di trovare buone approssima-zioni, facilmente calcolabili, per le funzioni elementari.
Si tratta essenzialmente dello sviluppo del concetto di approssi-mazione lineare che è stato introdotto con la definizione di derivata.Infatti se supponiamo che f sia una funzione derivabile in x0; abbiamovisto che
f (x) = f (x0) + f ′(x0)(x− x0) + (x− x0)ω(x− x0)
dovelim
x→x0ω(x− x0) = 0 = ω(0).
Possiamo pertanto affermare che in tale occasione abbiamo trova-to un polinomio di primo grado che approssima la funzione f conun errore che può essere espresso nella forma (x− x0)ω(x− x0), conω(x − x0) → 0 se x → x0, tale errore quindi risulta essere infinite-simo di ordine superiore ad 1 cioè di ordine superiore al grado delpolinomio approssimante.
Poniamoci ora il problema di approssimare la funzione f con unpolinomio di grado n, commettendo un errore che sia infinitesimo diordine superiore ad n, cioè che possa essere espresso nella forma
(x− x0)nω(x− x0) ove lim
x→x0ω(x− x0) = 0 .
Sia pertanto
Pn(x) =n
∑i=0
ai(x− x0)i
un tale polinomio; dovrà aversi
f (x) =n
∑i=0
ai(x− x0)i + (x− x0)
nω(x− x0) (12.1)
con ω(x− x0)→ 0 se x → x0.Se supponiamo f derivabile n volte, affinché la 12.1 sia vera dovrà
esseref (x0) = a0
108 ottavio caligaris - pietro oliva
per cui si avrà
f (x) = f (x0) +n
∑i=1
ai(x− x0)i + (x− x0)
nω(x− x0)
e
f (x)− f (x0)
x− x0= a1 +
n
∑i=2
ai(x− x0)i−1 + (x− x0)
n−1ω(x− x0).
Passando al limite per x → x0 si ottiene
f ′(x0) = a1
e si avrà
f (x) = f (x0) + f ′(x0)(x− x0) +n
∑i=2
ai(x− x0)i + (x− x0)
nω(x− x0)
da cui
f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0)
(x− x0)2 =
= a2 +n
∑i=3
ai(x− x0)i−2 + (x− x0)
n−2ω(x− x0) (12.2)
per cui, applicando la regola di De L’Hôpital, si ottiene che
limx→x0
f ′(x)− f ′(x0)
2(x− x0)= a2 (12.3)
ef ′′(x0)
2!= a2.
Così procedendo si ottiene che
f (n)(x0)
n!= an
e pertanto, affinché il nostro scopo sia raggiunto, sarà necessario che
P(x) =n
∑i=0
f (i)(x0)
i!(x− x0)
i.
Riassumendo possiamo dire che
Affinchè si abbia
f (x) =n
∑i=0
ai(x− x0)i + (x− x0)
nω(x− x0) (12.4)
con ω(x− x0)→ 0 se x → x0. deve essere
an =f (n)(x0)
n!(12.5)
analisi matematica 1 november 4, 2013 109
Ci resta ora da provare che tale polinomio soddisfa effettivamentele condizioni richieste.
Ciò sarà fatto provando il seguente risultato:
Teorema 12.1 - Formula di Taylor con il resto di Peano - Sia f : (a, b) −→R derivabile n-1 volte in (a, b) ed n volte in x0 ∈ (a, b); allora
f (x) =n
∑i=0
f (i)(x0)
i!(x− x0)
i + (x− x0)nω(x− x0) (12.6)
conlim
x→x0ω(x− x0) = 0 = ω(0) .
Dimostrazione. Definiamo
P(x) =n
∑i=0
f (i)(x0)
i!(x− x0)
i
e chiamiamo
ω(x− x0) =f (x)− P(x)(x− x0)n ;
proviamo chelim
x→x0ω(x− x0) = 0
Allo scopo di applicare la regola di De L’Hôpital calcoliamo
limx→x0
f ′(x)− P′(x)n(x− x0)n−1 =
= limx→x0
1n(x− x0)n−1
(f ′(x)−
n
∑i=1
f (i)(x0)
(i− 1)!(x− x0)
i−1
)(12.7)
e proseguendo calcoliamo
limx→x0
f ′′(x)− P′′(x)n(n− 1)(x− x0)n−2 =
= limx→x0
1n(n− 1)(x− x0)n−2
(f ′′(x)−
n
∑i=2
f (i)(x0)
(i− 2)!(x− x0)
i−2
)
(12.8)
fino ad arrivare a
limx→x0
f (n−1)(x)− P(n−1)(x)n!(x− x0)
=
= limx→x0
f (n−1)(x)− f (n−1)(x0)− f (n)(x0)(x− x0)
n!(x− x0)=
= limx→x0
1n!
(f (n−1)(x)− f (n−1)(x0)
x− x0− f (n)(x0)
)= 0 (12.9)
110 ottavio caligaris - pietro oliva
Si può pertanto dedurre che
limx→x0
ω(x− x0) = 0 (12.10)
2
La formula di Taylor con il resto nella forma di Peano permette diestendere la possibilità di approssimare una funzione f con un poli-nomio di primo grado, fino ad ottenere la possibilità di approssimarlacon un polinomio di grado n arbitrario.
Ovviamente il fatto più importante è la valutazione dell’errore com-messo e, se consideriamo il resto nella forma di Peano, tale valutazioneè di tipo qualitativo.
Se vogliamo una valutazione dell’errore di tipo quantitativo ci oc-corre seguire un procedimento diverso dalla definizione di differen-ziabilità. Un rapido sguardo ai risultati di calcolo differenziale fino adora provati ci convincerà ben presto che il risultato da estendere è ilteorema di Lagrange.
Cercheremo in altre parole di valutare la differenza
f (x)−n
∑i=0
f (i)(x0)
i!(x− x0)
i
in funzione di maggioranti di | f (n+1)(x)| .
Teorema 12.2 Formula di Taylor con il resto di Lagrange - Sia f : (a, b) −→R derivabile n + 1 volte in (a, b); siano x, x0 ∈ (a, b), allora esiste c tra x0
ed x, tale che
f (x) =n
∑i=0
f (i)(x0)
i!(x− x0)
i +f (n+1)(c)(x− x0)
n+1
(n + 1)!.
Dimostrazione. Proviamo il teorema nel caso in cui n = 2; dovremoin questo caso provare che esiste c tra x0 ed x, tale che
f (x) = f (x0) + f ′(x0)(x− x0) +f ′′(x0)
2(x− x0)
2 +f ′′′(c)
3!(x− x0)
3
(12.11)Sia
F(x) = f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0)−f ′′(x0)
2(x− x0)
2 − R(x− x0)3
(12.12)Ovviamente R dipende dal fatto che abbiamo fissato n = 3 oltre
che da x e da x0, che comunque sono essi pure fissati,Se consideriamo F sull’intervallo di estremi x0 ed x, possiamo af-
fermare che è derivabile almeno tre volte e si ha
analisi matematica 1 november 4, 2013 111
F′(x) = f ′(x)− f ′(x0)− f ′′(x0)(x− x0)− 3R(x− x0)2 (12.13)
F′′(x) = f ′′(x)− f ′′(x0)− 6R(x− x0) (12.14)
F′′′(x) = f ′′′(x)− 6R (12.15)
Poichè F(x) = F(x0) = 0 per il teorema di Rolle esiste un punto α
tra x0 ed x tale cheF′(α) = 0
Poichè inoltre F′(x0) = 0, sempre per il teorema di Rolle si ha cheesiste un punto β tra x0 ed α tale che
F′′(β) = 0
Ed ancora per il teorema di Rolle, poichè ancora F′′(x0) = 0 esiste unpunto c tra x0 ed β tale che
F′′′(c) = 0
Ne ricaviamo infine che
F′′′(c) = f ′′′(c)− 6R = 0
e ne deduciamo che
R =f ′′′(c)
62
13 - QUALCHE SVILUPPO DI TAYLOR NOTEVOLE
Alcuni sviluppi di funzioni elementari ricorrono spesso e quindi èmolto comodo fare una breve raccolta di risultati in merito
Nel seguito indichiamo con ω una funzione infinitesima per x → x0
13.1 Lo sviluppo di McLaurin di ex
Sia
f (x) = ex
Avremo che f ∈ C+∞(R) e si ha
f (x) = ex f (0) = 1 (13.1)
f ′(x) = ex f ′(0) = 1 (13.2)
f ′′(x) = ex f ′′(0) = 1 (13.3)
f ′′′(x) = ex f ′′′(0) = 1 (13.4)
· · · · · · · · · · · · (13.5)
f (n)(x) = ex f (n)(0) = 1 (13.6)
da cui si ricava che il polinomio di McLaurin Pn di ex di grado n è
Pn(x) =n
∑k=0
xk
k!
ed il resto di Lagrange Rn assume la forma
Rn(x) =ec
(n + 1)!xn+1 |c| ≤ |x|
Possiamo pertanto concludere che
114 ottavio caligaris - pietro oliva
ex =n
∑k=0
xk
k!+ xnω(x) (13.7)
ex =n
∑k=0
xk
k!+
ec
(n + 1)!xn+1 |c| ≤ |x| (13.8)
13.2 Lo sviluppo di McLaurin di sin x
Sia
f (x) = sin x
Avremo che f ∈ C+∞(R) e si ha
f (x) = sin x f (iv)(x) = sin x (13.9)
f ′(x) = cos x f (v)(x) = cos x (13.10)
f ′′(x) = − sin x f (vi)(x) = − sin x (13.11)
f ′′′(x) = − cos x f (vii)(x) = − cos x (13.12)
Pertanto le derivate di f si ripetono di 4 in 4 e si ha
f (0) = 0 f (iv)(0) = 0 (13.13)
f ′(0) = 1 f (v)(0) = 1 (13.14)
f ′′(0) = 0 f (vi)(0) = 0 (13.15)
f ′′′(0) = −1 f (vii)(0) = −1 (13.16)
da cui si ricava che il polinomio di McLaurin Pn di sin x di grado2n + 1 è
P2n+1(x) =n
∑k=0
x2k+1
(2k + 1)!
ed il resto di Lagrange R2n+1 assume la forma
R2n+1(x) =f (2n+3)(c)(2n + 3)!
|c| ≤ |x|
Ricordiamo che il termine di grado 2n + 2 è nullo.Possiamo pertanto concludere che
analisi matematica 1 november 4, 2013 115
sin x =n
∑k=0
x2k+1
(2k + 1)!+ x2n+3ω(x) (13.17)
sin x =n
∑k=0
x2k+1
(2k + 1)!+
f (2n+3)(c)(2n + 3)!
x2n+3 |c| ≤ |x| (13.18)
13.3 Lo sviluppo di McLaurin di cos x
Sia
f (x) = cos x
Avremo che f ∈ C+∞(R) e si ha
f (x) = cos x f (iv)(x) = cos x (13.19)
f ′(x) = − sin x f (v)(x) = − sin x (13.20)
f ′′(x) = − cos x f (vi)(x) = − cos x (13.21)
f ′′′(x) = sin x f (vii)(x) = sin x (13.22)
Pertanto le derivate di f si ripetono di 4 in 4 e si ha
f (0) = 1 f (iv)(0) = 1 (13.23)
f ′(0) = 0 f (v)(0) = 0 (13.24)
f ′′(0) = −1 f (vi)(0) = −1 (13.25)
f ′′′(0) = 0 f (vii)(0) = 0 (13.26)
da cui si ricava che il polinomio di McLaurin Pn di cos x di grado2n è
P2n(x) =n
∑k=0
x2k
(2k)!
ed il resto di Lagrange R2n assume la forma
R2n(x) =f (2n+2)(c)(2n + 2)!
|c| ≤ |x|
Ricordiamo che il termine di grado 2n + 1 è nullo.Possiamo pertanto concludere che
116 ottavio caligaris - pietro oliva
cos x =n
∑k=0
x2k
(2k)!+ x2n+1ω(x) (13.27)
cos x =n
∑k=0
x2k
(2k)!+
f (2n+2)(c)(2n + 2)!
x2n+3 |c| ≤ |x| (13.28)
13.4 Lo sviluppo di McLaurin di ln(1 + x)
Sia
f (x) = ln(1 + x)
Avremo che f ∈ C+∞((−1,+∞)) e si ha
f (x) = ln(1 + x) (13.29)
f ′(x) =1
1 + x(13.30)
f ′′(x) = − 1(1 + x)2 (13.31)
f ′′′(x) =2
(1 + x)3 (13.32)
f (iv)(x) = − 3 · 2(1 + x)4 (13.33)
Possiamo quindi congetturare che
f (n)(x) = (−1)n+1 (n− 1)!(1 + x)n (13.34)
La 13.36 si dimostra per induzione, infatti:
1. per n = 1
f ′(x) =1
1 + x
e la 13.36 è vera.
2. se la 13.36 è vera per n allora è vera anche per n + 1 infatti:
f (n+1)(x) =d
dxf (n)(x) =
ddx
(−1)n+1 (n− 1)!(1 + x)n =
(−1)(−1)n+1 (n− 1)!n(1 + x)n−1
(1 + x)2n (−1)n+2 n!(1 + x)n+1 (13.35)
analisi matematica 1 november 4, 2013 117
Pertanto
f (n)(0) = (−1)n+1(n− 1)! (13.36)
e quindi
Pn(x) =n
∑k=0
(−1)k+1(k− 1)!xk
k!=
n
∑k=0
(−1)k+1 xk
k
ed il resto di Lagrange R2n assume la forma
Rn(x) = (−1)n+2 (n)!(1 + c)n+1
xn+1
(n + 1)!= (−1)n+2 xn+1
(n + 1)(1 + c)n+1 |c| ≤ |x|
Possiamo pertanto concludere che
ln(1 + x) =n
∑k=0
(−1)k+1 xk
k+ xnω(x) (13.37)
ln(1 + x) =n
∑k=0
(−1)k+1 xk
k+ (−1)n+2 xn+1
(n + 1)(1 + c)n+1 |c| ≤ |x|
(13.38)
13.5 Lo sviluppo di McLaurin di√
1 + x
Siaf (x) =
√1 + x
. Avremo che f ∈ C+∞((−1,+∞)) e si ha
f (x) =√
1 + x = (1 + x)1/2 (13.39)
f ′(x) =12(1 + x)−1/2 (13.40)
f ′′(x) =12
(−1
2
)(1 + x)−3/2 (13.41)
f ′′′(x) =12
(−1
2
)(−3
2
)(1 + x)−5/2 (13.42)
f (iv)(x) =12
(−1
2
)(−3
2
)(−5
2
)(1 + x)−7/2 (13.43)
Possiamo quindi congetturare che
f (n)(x) = (−1)n+1 (2n− 3)!!2n (1 + x)−
2n−12 (13.44)
La 13.44 si dimostra per induzione, infatti:
118 ottavio caligaris - pietro oliva
1. per n = 1
f ′(x) =12(1 + x)−1/2
e la 13.44 è vera.
2. se la 13.44 è vera per n allora è vera anche per n + 1 infatti:
f (n+1)(x) =d
dxf (n)(x) =
ddx
(−1)n+1 (2n− 3)!!2n (1 + x)−
2n−12 =
= (−1)n+1 (2n− 3)!!2n
(−2n− 1
2
)(1 + x)−
2n−12 −1 =
= (−1)n+2 (2n− 1)!!2n+1 (1 + x)−
2n+12 (13.45)
Pertanto
f (n)(0) = (−1)n+1 (2n− 3)!!2n (13.46)
e quindi
Pn(x) =n
∑k=0
(−1)k+1 (2k− 3)!!2k
xk
k!=
n
∑k=0
(−1)k+1 (2k− 3)!!k!2k xk
ed il resto di Lagrange R2n assume la forma
Rn(x) = (−1)n+2 (2n− 1)!!(n + 1)!2n+1 (1 + c)−
2n+12 |c| ≤ |x|
Possiamo pertanto concludere che
√1 + x =
n
∑k=0
(−1)k+1 (2k− 3)!!k!2k xk + xnω(x) (13.47)
√1 + x =
n
∑k=0
(−1)k+1 (2k− 3)!!2k
xk
k!+ (−1)n+2 (2n− 1)!!
(n + 1)!2n+1 (1 + c)−2n+1
2 |c| ≤ |x|
(13.48)
13.6 Lo sviluppo di McLaurin di 11−x
Siaf (x) =
11− x
Avremo che f ∈ C+∞((−1, 1)) e si haDefiniamo
Sn(x) =n
∑k=0
xk
analisi matematica 1 november 4, 2013 119
ed osserviamo che
Sn(x) =n
∑k=0
xk =1 + x + x2 + x3 + · · ·+ xn (13.49)
xSn(x) = xn
∑k=0
xk=x + x2 + x3 + x4 + · · ·+ xn+1 (13.50)
Sommando le due uguaglianze otteniamo
(1− x)Sn = 1− xn+1 (13.51)
Sn =1− xn+1
1− x(13.52)
e
Sn =1
1− x− xn+1
1− x(13.53)
Ne deduciamo che
11− x
= Sn +xn+1
1− x=
n
∑k=0
xk +xn+1
1− x(13.54)
ed osservando che
limx→0
xn+1
1− x= 0 (13.55)
di ordine n + 1 ∈N possiamo concludere ricordando la 12.4 che
Pn =n
∑k=0
xk (13.56)
è il polinomio di McLaurin di f (x) = 11−x .
Pertanto
11− x
=n
∑k=0
xk + xnω(x) (13.57)
e
11− x
=n
∑k=0
xk +xn+1
1− x(13.58)
Allo stesso risultato si può pervenire dimostrando per induzioneche
f (n)(x) =1
(1− x)n+1 . f (n)(0) = 1 (13.59)
120 ottavio caligaris - pietro oliva
In questo modo si trova che che
Rn =1
(1− c)n+1 |c| ≤ |x| (13.60)
13.7 Come ricavare altri sviluppi
Le precedenti formule possono essere utilizzate per ricavare nuovisviluppi di Taylor mediante semplice sostituzione.
Ad esempio dalla 13.7 possiamo ricavare, sostituendo x con −x2
che
e−x2=
n
∑k=0
(−1)kx2k
k!+ x2nω(x) (13.61)
e−x2=
n
∑k=0
(−1)kx2k
k!+ (−1)n+1 ec
(n + 1)!x2n+2 |c| ≤ |x2|
(13.62)
Da quest’ultima, osservando che
x2nω(x)
è un infinitesimo di ordine superiore ad 2n e ricordando la 12.4 pos-siamo affermare che
n
∑k=0
(−1)kx2k
k!
è il polinomio di McLaurin di e−x2di grado n.
L’affermazione è giustificata dal fatto che ∑nk=0
(−1)kx2k
k! differisce dae−x2
per infinitesimi di ordine superiore a 2n.Si capisce quindi che può essere utile disporre di criteri che consen-
tano di affermare che la differenza tra un polinomio ed una funzioneè infinitesima di ordine superiore al grado del polinomio.
Possiamo a questo proposito dire che
Se f è derivabile e se
f (x) = Pn(x) + Rn(x) (13.63)
allora
f ′(x) = (Pn(x))′ + (Rn(x))′ (13.64)
analisi matematica 1 november 4, 2013 121
(Rn è derivabile perchè Rn = f − Pn e quindi è la differenza didue funzioni derivabili.)
Ora se (Rn(x))′ è un infinitesimo di ordine superiore ad n− 1si ha
limx→0
(Rn(x))′xn−1 = 0 (13.65)
e, per la regola di De l’Hopital
limx→0
(Rn(x))xn = lim
x→0
(Rn(x))′nxn−1 = 0 (13.66)
14 - LA CONVESSITÀ
Con le definizioni e gli strumenti che abbiamo introdotto fino a questopunto siamo in grado di distinguere una funzione il cui grafico sia deltipo illustrato in figura 14.1(a) da una il cui grafico sia quello illustratonella figura 14.1(b)
(a) (b)
Figura 14.1:
Possiamo infatti osservare che il primo è il grafico di una funzionecrescente mentre il secondo rappresenta una funzione decrescente.
Abbiamo inoltre già sviluppato strumenti (studio del segno del-la derivata prima) che ci consentono di stabilire se una funzione ècrescente o decrescente.
Non siamo tuttavia ancora in grado di distinguere tra i grafici del-le tre seguenti funzioni in quanto, ad un primo esame, possiamo
(a) (b) (c)
124 ottavio caligaris - pietro oliva
osservare che tutte e tre sono funzioni crescenti; è tuttavia chiaro chesi tratta di funzioni il cui grafico presenta caratteristiche molto diver-se, così come è evidente quale è la differenza tra una scodella ed unombrello.
Onde cercare di definire una proprietà che ci consenta di distingue-re tra i tre grafici cominciamo ad esaminare il più semplice dei tre cioèil secondo. Chiaramente si tratta di una retta e quindi il suo grafico èindividuato da due punti.
Indichiamo con ` la funzione e con (x, `(x)), (y, `(y)) due punti delsuo grafico. Possiamo individuare il valore di ` in z semplicementeusando la proporzionalità tra i triangoli indicati in figura.
Avremo infatti che
`(z)− `(x)z− x
=`(y)− `(x)
y− x(14.1)
Poichè`(z)− `(x)
z− x=
`(x)− `(z)x− z
,`(x)− `(y)
x− y=
`(y)− `(x)y− x
la 14.1 non cambia anche nel caso in cui z non sia, come in figura, inter-no all’intervallo di estremi x ed y. Inoltre non è restrittivo considerarex < y.
Avremo pertanto che il valore di ` in z è dato da
`(z) = `(x) + (z− x)`(y)− `(x)
y− x(14.2)
La 22.1 è semplicemente l’equazione di una retta che passa per ilpunto (x, `(x) ed ha coefficiente angolare `(y)−`(x)
y−x .
È utile osservare che, se poniamo
t =z− xy− x
analisi matematica 1 november 4, 2013 125
esprimiamo, nel contempo, la proporzionalità
t1=
z− xy− x
tra le lunghezze dei segmenti di [x, z] e [x, y] ed i valori t ed 1.Pertanto il rapporto tra i segmenti [z, y] e [x, y], sarà uguale a 1− t.Un semplice calcolo mostra infatti che
1− t = 1− z− xy− x
=y− x− z + x
y− x=
y− zy− x
Inoltre se poniamo
t =z− xy− x
(14.3)
avremo
z− x = t(y− x) (14.4)
e quindi
z = x + t(y− x)x = ty + (1− t)x (14.5)
Per t ∈ (0, 1) la 14.5 individua un punto z che si trova all’internodell’intervallo di estremi x ed y, mentre per t > 1 si hanno punti adestra di y e per t < 0 si hanno punti a sinistra di x.
Similmente possiamo scrivere la 22.1 come
`(z) = `(x) + (z− x)`(y)− `(x)
y− x= `(x) + (`(y)− `(x))
z− xy− x
`(x) + t(`(y)− `(x)) = t`(y) + (1− t)`(x) (14.6)
ed infine possiamo scrivere
`(ty + (1− t)x) = t`(y) + (1− t)`(x) (14.7)
ed osservare che al variare di t la 14.7 consente di esprimere il fattoche tutti i valori `(z) = `(ty + (1− t)x) si trovano sulla retta di cuiabbiamo studiato il grafico.
Se ora sovrapponiamo i primi due grafici della figura 14 risultaevidente che, se chiamiamo f la funzione del primo grafico ed x e yi punti di intersezione tra il grafico e la retta, avremo che, all’internodell’intervallo [x, y], il grafico di f sta sotto il grafico della retta.
Chiamiamo una tale funzione convessa ed esprimiamo il fatto cheabbiamo appena individuato semplicemente chiedendo che
f (ty + (1− t)x) ≤ t f (y) + (1− t) f (x) ∀t ∈ (0, 1)
Poniamo in altre parole la seguente definizione
126 ottavio caligaris - pietro oliva
Sia f : (a, b) −→ R; f si dice convessa in (a, b) se
f (ty + (1− t)x) ≤ t f (y) + (1− t) f (x) (14.8)
per ogni x, y ∈ (a, b) e per ogni t ∈ (0, 1)
Inoltre
Diciamo che f è strettamente convessa
f (ty + (1− t)x) < t f (y) + (1− t) f (x) (14.9)
per ogni x, y ∈ (a, b) e per ogni t ∈ (0, 1)
È utile osservare che la 14.8 può essere scritta in diversi modi tuttiutili per comprendere le proprietà delle funzioni convesse.
f (ty + (1− t)x) ≤ t f (y) + (1− t) f (x) (14.10)
f (z) ≤ t f (y) + (1− t) f (x) (14.11)
f (z) ≤ f (x) + (z− x)f (y)− f (x)
y− x(14.12)
Dalla definizione di convessità si ricava sottraendo ad ambo i mem-bri f (y)
analisi matematica 1 november 4, 2013 127
f (z)− f (y) ≤ (t− 1)( f (y)− f (x)) (14.13)
f (z)− f (y) ≤ z− yy− x
( f (y)− f (x)) (14.14)
f (z)− f (y)z− y
≥ f (y)− f (x)y− x
(14.15)
Possiamo pertanto concludere, osservando che abbiamo sempreoperato trasformando una disuguaglianza in una equivalente, che
Sono fatti equivalenti (si veda la figura 14):
• f è convessa in (a, b)
• In ogni punto y ∈ (a, b) il rapporto incrementale
t 7→ f (t)− f (y)t− y
è una funzione crescente
128 ottavio caligaris - pietro oliva
D’altro canto, se f è convessa si ha:
f (z) ≤ t f (y) + (1− t) f (x) (14.16)
f (z)(t + (1− t)) ≤ t f (y) + (1− t) f (x) (14.17)
t( f (z)− f (y)) ≤ (1− t)( f (x)− f (z)) (14.18)
(z− x)( f (z)− f (y)) ≤ (y− z)( f (x)− f (z)) (14.19)
f (y)− f (z)y− z
≥ f (z)− f (x)z− x
(14.20)
Ora, se x < z < w < y si ha
f (z)− f (x)z− x
≤ f (w)− f (z)w− z
≤ f (y)− f (w)
y− w(14.21)
Passando al limite per x → z− e per y → w+ se f è convessa ederivabile allora
f ′(z) ≤ f ′(w) (14.22)
e quindi f ′ è crescente.Viceversa se f è derivabile ed f ′ è crescente allora, usando il teore-
ma di Lagrange si può affermare che
f (z)− f (x)z− x
= f ′(ξ) ≥ f ′(η) =f (y)− f (w)
y− w(14.23)
e quindi f è convessa.Ne concludiamo che se f è derivabile, allora
Sono fatti equivalenti (si veda 14):
• f è convessa in (a, b)
• f ′ è una funzione crescente in (a, b)
analisi matematica 1 november 4, 2013 129
Osserviamo infine che, se f è convessa, allora
f (y)− f (z) ≥ (y− z)f (z)− f (x)
z− x(14.24)
f (y) ≥ f (z) + (y− z)f (z)− f (x)
z− x(14.25)
e passando al limite per x → z
f (y) ≥ f (z) + f ′(z)(y− z) (14.26)
(14.27)
e pertanto il grafico di f sta’ sopra al grafico di ogni sua rettatangente,
Se viceversa il grafico di f sta’ sopra al grafico di ogni sua rettatangente, allora
f (y) ≥ f (z) + f ′(z)(y− z) (14.28)
e
f (x) ≥ f (z) + f ′(z)(x− z) (14.29)
da cui, tenendo conto che y− z > 0, e x− z < 0
f (y)− f (z)y− z
≥ f ′(z) ≥ f (z)− f (x)z− x
(14.30)
130 ottavio caligaris - pietro oliva
e
f (y)− f (z) ≥ (y− z)f (z)− f (x)
z− x(14.31)
e quindi f è convessa.
Ne concludiamo che se f è derivabile, allora
Sono fatti equivalenti (si veda la figura 14):
• f è convessa in (a, b)
• il grafico di f sta’ sopra al grafico di ogni sua retta tangente
I risultati che legano segno della derivata e crescenza della funzionepermettono poi di concludere che
Sia f una funzione derivabile due volte in (a, b); sono condizioniequivalenti:
• f è convessa in (a, b);
• f ′ è crescente in (a, b);
• f ′′ è non negativa in (a, b).
analisi matematica 1 november 4, 2013 131
Definizione 14.1 Sia f : (a, b) −→ R, diciamo che f è concava in (a, b) se− f è convessa in (a, b).
Definizione 14.2 Diciamo che f : (a, b) −→ R ha un punto di flesso inx0 ∈ (a, b) se esiste δ > 0 tale che f è convessa (concava) in (x0 − δ, x0) econcava (convessa) in (x0, x0 + δ).
Semplici esempi mostrano come sia possibile per una funzioneavere un punto di flesso in 0 e
• non essere derivabile in 0 ( f (x) = 3√
x)
• avere derivata non nulla in 0 ( f (x) = sin x)
• avere derivata nulla in 0 ( f (x) = x3).
Teorema 14.1 Sia f : (a, b) −→ R e sia x0 ∈ (a, b), supponiamo f deri-vabile in (a, b); allora x0 è un punto di flesso se e solo se f ′ è crescente (de-crescente) in un intorno destro di x0 e decrescente (crescente) in un intornosinistro.
E’ pertanto evidente che non è possibile caratterizzare un punto diflesso facendo uso soltanto della derivata prima nel punto.
Possiamo tuttavia provare nel successivo paragrafo condizioni ingrado di caratterizzare i punti di flesso.
15 - ESTREMI RELATIVI E ASINTOTI.
Abbiamo già visto cosa si intende per minimo e massimo assoluto diuna funzione e abbiamo già trovato condizioni necessarie e sufficientiper l’esistenza di un minimo o un massimo assoluto. (Si veda il lemma9.1 ed il teorema 7.10).
In questo paragrafo ci occuperemo di stabilire la definizione dimassimo e minimo relativo per una funzione e daremo condizioninecessarie e sufficienti per l’esistenza di un punto di minimo o dimassimo relativo.
Definizione 15.1 Sia f : D −→ R diciamo che x0 ∈ D è un punto diminimo (massimo) relativo per la funzione f se ∃δ > 0 tale che se x ∈D ∩ (x0 − δ, x0 + δ) si ha
f (x) ≥ f (x0) ( f (x) ≤ f (x0))
Usando la formula di Taylor possiamo ottenere uno strumento utilead identificare i punti di massimo e di minimo relativo per una fun-zione. Tutto si fonda sul fatto che il polinomio di Taylor approssimauna funzione a meno di infinitesimi di ordine superiore al grado delpolinomio stesso.
Infatti, sia Pn il polinomio di Taylor di f centrato in x0 di gradon, ( ricordiamo che per scrivere il polinomio di Taylor di f , f deveessere derivabile almeno n volte); per il teorema 12.1 possiamo alloraaffermare che
f (x) = Pn(x) + (x− x0)nω(x− x0) (15.1)
dove, come al solito, qui e nel seguito supponiamo
limx→x0
ω(x− x0) = 0
e se definiamo
P1n(x) =
n
∑k=1
f (k)(x0)
k!(x− x0)
k
si avrà
f (x)− f (x0) = P1n(x) + (x− x0)
nω(x− x0) (15.2)
134 ottavio caligaris - pietro oliva
mentre se
P2n(x) =
n
∑k=2
f (k)(x0)
k!(x− x0)
k
si avrà
f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0) = P2n(x) + (x− x0)
nω(x− x0) (15.3)
Osserviamo che P1 e P2 sono, rispettivamente, i polinomi di Taylordi f (x)− f (x0) e f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0).
Dividendo le 15.1,15.2,15.3 per P, P1 e P2, rispettivamente, ottenia-mo
f (x)Pn(x)
= 1 +(x− x0)
n
Pn(x)ω(x− x0) (15.4)
f (x)− f (x0)
P1n(x)
= 1 +(x− x0)
n
P1n(x)
ω(x− x0) (15.5)
f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0)
P2n(x)
= 1 +(x− x0)
n
P2n(x)
ω(x− x0) (15.6)
(15.7)
Poichè Pn,P1n ,P2
n , sono polinomi di grado n e quindi sono infinitesi-mi, per x → x0 di ordine al più n, tenendo conto che ω è a sua voltainfinitesima, possiamo dedurre che
(x− x0)n
Pn(x)ω(x− x0)
(x− x0)n
P1n(x)
ω(x− x0)(x− x0)
n
P2n(x)
ω(x− x0)
(15.8)sono infinitesimi per x → x0.
Il teorema della permanenza del segno permette quindi di afferma-re che
In un intorno di x0
1. f ha lo stesso segno di P
2. f (x)− f (x0) ha lo stesso segno di P1
3. f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0) ha lo stesso segno di P2
Poichè il segno di Pn in un intorno di x0 è quello di f (x0), la primaaffermazione si riduce semplicemente alla riaffermazione del teore-ma della permanenza del segno, tuttavia le altre due forniscono utiliinformazioni su crescenza e convessità.
Infatti poichè f (x)− f (x0) ha lo stesso segno di P1n in un intorno
di x0 possiamo dire che x0 è un punto di minimo relativo se siamo ingrado di stabilire che P1
n è positivo in un intorno di x0, viceversa pos-siamo dire che x0 non è di minimo relativo se il polinomio P1
n cambiasegno in un intorno di x0.
analisi matematica 1 november 4, 2013 135
Ora se supponiamo che f sia derivabile almeno n volte in (a, b) 3 x0
e che f (n)(x0) sia la prima derivata non nulla di f in x0 possiamoconsiderare il polinomio P1
n che risulta essere definito da
P1n(x) =
f (n)(x0)
n!(x− x0)
n
e quindi risulta evidente che P1n mantiene segno costante o cambia
segno in un intorno di x0 a seconda che n sia pari o dispari; nel casoche n sia pari il segno di P1
n è determinato dal segno di f (n)(x0)
Possiamo allora enunciare il seguente risultato
Teorema 15.1 Sia f : (a, b) −→ R una funzione derivabile almeno n volte esia x0 ∈ (a, b); sia f (n)(x0) 6= 0 la prima derivata che non si annulla, n ≥ 1;allora x0 è punto di minimo relativo per f se e solo se n è pari e f (n)(x0) > 0.
In maniera simile f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0) ha lo stesso segnodi P2
n in un intorno di x0 e quindi si ha che che x0 è un punto di flessose P2
n cambia segno in un intorno di x0, viceversa possiamo dire che x0
non è un punto di flesso se il polinomio P2n è positivo in un intorno di
x0,Ora se, come prima, supponiamo che f sia derivabile almeno n
volte in (a, b) 3 x0 e che f (n)(x0) sia la prima derivata non nulla di fin x0 possiamo considerare il polinomio P2
n che risulta essere definitoda
P2n(x) =
f (n)(x0)
n!(x− x0)
n
e quindi risulta evidente che P2n mantiene segno costante o cambia
segno in un intorno di x0 a seconda che n sia pari o dispari; nel casoche n sia pari il segno di P2
n è determinato dal segno di f (n)(x0)
Possiamo allora enunciare il seguente risultato
Teorema 15.2 Sia f : (a, b) −→ R una funzione derivabile almeno n voltee sia x0 ∈ (a, b); sia f (n)(x0) 6= 0 la prima derivata che non si annulla,n ≥ 2; allora x0 è punto di flesso per f se e solo se n è dispari. Il segnodi f (n)(x0) fornisce poi informazioni sul fatto che il grafico di f sia sopra(funzione localmente convessa) o sotto (funzione localmente concava) la rettatangente al suo grafico
Definizione 15.2 Siano f , g : (a,+∞) −→ R; diciamo che f e g sonoasintotiche se
limx→+∞
f (x)− g(x) = 0.
Nel caso in cui siag(x) = αx + β
diciamo che g è un asintoto per f .
136 ottavio caligaris - pietro oliva
Teorema 15.3 Sia f : (a,+∞) −→ R; la retta di equazione
y = αx + β
è un asintoto per f se e solo se
α = limx→+∞
f (x)x
, β = limx→+∞
f (x)− αx (15.9)
Dimostrazione. E’ immediato verificare che le 15.9 sono sufficientiaffinché la retta sia asintoto.
Viceversa, se la retta è un asintoto, si ha 2
limx→+∞
f (x)− αx− β
x= lim
x→+∞
f (x)x− α = 0 (15.10)
Definizione 15.3 Sia f : (a, b) −→ R, diciamo che la retta di equazionex = c è un asintoto verticale per f se
limx→c| f (x)| = +∞
16 - RICERCA NUMERICA DI ZERI E MINIMI.
Una delle applicazioni più tipiche della convessità consiste nella ricer-ca approssimata degli zeri di una funzione.
Il più semplice dei metodi di ricerca degli zeri è indubbiamente ilmetodo di bisezione di cui abbiamo già dato una dimostrazione in 8.1
Il metodo di bisezione offre indubbi vantaggi di semplicità di ap-plicazione e necessita di ipotesi ridotte alla sola continuità della fun-zione f ; tuttavia, in presenza di migliori condizioni, si possono trovaremetodi che convergono alla soluzione molto più velocemente.
Tali metodi, usualmente utilizzano la convessità della funzione, esono tanto più importanti quanto è più grande la difficoltà di svolgerecalcoli.
Chiaramente, con tempi di calcolo sempre più ridotti, tali metodiperdono parte della loro attrattiva anche se rimangono interessanti perla loro eleganza ed efficienza.
E’ questo il caso del metodo di Newton (o delle tangenti) e delmetodo della ’regula falsi’; essi convergono se le funzioni di cui siricercano gli zeri sono convesse e possono essere generalizzati al ca-so non convesso purché le derivate prime e seconde della funzione fsiano opportunamente maggiorabili o minorabili.
Teorema 16.1 - Metodo di Newton (o delle tangenti)- Supponiamo f : (α, β) −→R, convessa e derivabile due volte in (α, β); supponiamo inoltre che α < a <
b < β e siaf (a) < 0 , f (b) > 0 .
Allora esiste uno ed un solo punto c ∈ (a, b) tale che
f (c) = 0 , f ′(x) ≥ f ′(c) > 0 ∀x ∈ [c, b].
Definiamo la successione xn nella seguente maniera:
x0 = b
xn+1 = xn −f (xn)
f ′(xn);
allora:
138 ottavio caligaris - pietro oliva
• xn è decrescente e inferiormente limitata,
• lim xn = c
• se 0 ≤ f ′′(x) ≤ M per ogni x ∈ [a, b] e se f ′(a) = P > 0 si ha
0 ≤ xn − c ≤ 2PM
(M2P
(b− a))2n
Il precedente metodo può essere generalizzato al caso in cui lafunzione non sia convessa, ma siano verificate opportune condizioni.
Teorema 16.2 -Metodo della regula falsi - Sia f : (α, β) −→ R una funzio-ne convessa e derivabile due volte in (α, β) e siano a, b ∈ (α, β), a < b, taliche f (a) < 0, f (b) > 0.
Allora esiste uno ed un solo c ∈ (a, b), tale che f (c) = 0 e f ′(x) ≥f ′(c) > 0 ∀x ∈ [c, b].
Inoltre, se definiamo una successione xn nella seguente maniera:
x0, x1 ∈ [c, b] , x1 < x0 (16.1)
xn+1 = xn − f (xn)xn − xn−1
f (xn)− f (xn−1)
= xn−1 − f (xn−1)xn − xn−1
f (xn)− f (xn−1)(16.2)
si ha
• xn è decrescente ed inferiormente limitata,
• lim xn = c
• se M, P ∈ R sono tali che
0 ≤ f ′′(x) ≤ M , f ′(x) ≥ P > 0 ∀x ∈ [a, b]
allora
0 ≤ xn − c ≤ 2PM
(M2P
(b− a))δn
ove δn è la successione di Fibonacci.
17 - INTEGRAZIONE.
Consideriamo un punto materiale P che si muove lungo l’asse x diun sistema di riferimento cartesiano, ed è sottoposto ad una forza dirichiamo costante a tratti verso un punto O della retta, che assumiamocome origine degli assi coordinati.
Più precisamente se x è lo spostamento da O del punto P la forzadi richiamo R sarà espressa da:
R(x) = ki se i ≤ x < i + 1 con i = 0, 1, 2, ......
Il lavoro svolto per muovere un punto su cui agisce una forza co-stante, si calcola moltiplicando l’intensità della forza per lo spostamen-to che il punto ha subito, pertanto il lavoro che occorre per spostare ilpunto P dall’origine è dato da:
Λ(x) =i−1
∑j=0
k j + ki(x− i) se i ≤ x < i + 1 con i = 0, 1, 2, ......
Se supponiamo che la forza di richiamo R anzichè costante a trattisia proporzionale alla distanza x di P da O, come ad esempio accadenel caso in cui su P agisca una forza elastica, cioè se ipotizziamo che
R(x) = kx con k ∈ R+
avremo qualche problema in più per il calcolo del lavoro che nonè più svolto da una forza costante, o costante a tratti. Possiamo alloratentare di calcolare il lavoro approssimando la forza di richiamo conuna forza costante su tratti abbastanza piccoli.
Siano0 = x0 < x1 < ... < xn = x
n punti che conveniamo di indicare come
P = {x0, x1, ..., xn}
e possiamo chiamare partizione dell’intervallo [0, x]. Possiamo appros-simare Λ(x) con le quantità
Λ+(P, x) e Λ−(P, x)
140 ottavio caligaris - pietro oliva
definite mediante le
Λ−(P, x) =n
∑i=1
kxi−1(xi − xi−1) (17.1)
Λ+(P, x) =n
∑i=1
kxi(xi − xi−1) (17.2)
Per come sono state definite si ha
Λ−(P, x) ≤ Λ(x) ≤ Λ+(P, x).
ed inoltre se consideriamo le partizioni
Pn = {ix/n , i = 0, 1, 2, .., n}
si ha che
kx2
n2(n− 1)n
2=
kx2
n2
n
∑i=1
(i− 1) = Λ−(Pn, x) ≤
≤ sup{Λ−(P, x) : P} ≤ inf{Λ+(P, x) : P} ≤
≤ Λ+(Pn, x) =kx2
n2
n
∑i=1
i =kx2
n2n(n + 1)
2(17.3)
Per cui passando al limite per n→ +∞ si ottiene che
kx2
2≤ sup{Λ+(P, x) : P} ≤ inf{Λ−(P, x) : P} ≤ kx2
2(17.4)
ed è lecito definire
Λ(x) = inf{Λ+(P, x) : P} = sup{Λ−(P, x) : P} = kx2
2(17.5)
Lo stesso problema si pone non appena cerchiamo di definire l’areadell’insieme
D = {(x, y) ∈ R2 : 0 ≤ x ≤ 1 , 0 ≤ y ≤ x2}
Siano 0 = x0 < x1 < ... < xn = 1 e definiamo
P = {x0, x1, ..., xn};
possiamo approssimare, rispettivamente per eccesso e per difetto, l’a-rea di D mediante le
A(P) =n
∑i=1
x2i (xi − xi−1) , a(P) =
n
∑i=1
x2i−1(xi − xi−1)
e possiamo definire l’area di D come l’eventuale valore comune diinf{A(P) : P} e sup{a(P) : P} dichiarando che D non è misurabilese tali valori non risultano coincidenti.
analisi matematica 1 november 4, 2013 141
Considerata la partizione Pn = {i/n : i = 0, 1, 2, ..., n} si calcolache
1n3
(n− 1)n(2n− 1)6
=1n3
n
∑i=1
(i− 1)2 ≤
≤ sup{a(P) : P} ≤ inf{A(P) : P} ≤
≤ 1n3
n
∑i=1
i2 ≤ 1n3
n(n + 1)(2n + 1)6
(17.6)
e per n→ +∞ si ottiene
13≤ sup{a(P) : P} ≤ inf{a(P) : P} ≤ 1
3(17.7)
onde è lecito definire
area(D) = inf(A(P) : P} = sup{a(P) : P} = 13
La definizione di integrale nasce dall’esigenza di formalizzare pro-cedimenti del tipo che abbiamo esposto; in sostanza si tratta di definirel’estensione del concetto di somma discreta al caso in cui la somma siafatta su insieme continuo di indici.
Definizione 17.1 Sia [a, b] ⊂ R, chiamiamo partizione di [a, b] un insieme
P = {x0, x1, ..., xn}
di punti di [a, b] tali che
a = x0 < x1 < .... < xn = b.
(d) Somme Inferiori (e) Somme superiori
Indichiamo con P(a, b) l’insieme delle partizioni di [a, b].Definiamo
Ik = [xk, xk+1] , ∆Ik = xk+1 − xk (17.8)
I = [a, b] , ∆I = b− a (17.9)
142 ottavio caligaris - pietro oliva
ovviamente si avrà
I =n−1⋃k=0
Ik , [a, b] =n−1⋃k=0
[xk, xk+1] (17.10)
Definiamo inoltre, per ogni P ∈ P(a, b),
∆(P) = max{∆Ik, k = 0..n− 1}
Definizione 17.2 Sia P ∈ P(a, b) e sia f : [a, b] −→ R una funzionelimitata che supporremo sempre;
m ≤ f (x) ≤ M ∀x ∈ [a, b]
poniamoP = {x0, x1, .., xn}
e definiamomk = inf{ f (x) : x ∈ [xk, xk+1]}
Mk = sup{ f (x) : x ∈ [xk, xk+1]}.
Definiamo inoltre
L( f , P) =n−1
∑k=0
mk∆Ik (17.11)
U( f , P) =n−1
∑k=0
Mk∆Ik (17.12)
R( f , P,S) =n−1
∑k=0
f (ck)∆Ik (17.13)
ove si indichi con S = {c1, .., cn} una scelta di punti tale che xk ≤ ck ≤xk+1.
L( f , P) ed U( f , P) si dicono, rispettivamente, somme inferiori e sommesuperiori di f rispetto alla partizione P, mentre R( f , P,S) si dice somma diCauchy-Riemann.
Vale la pena di osservare che le somme di Cauchy-Riemann dipen-dono dalla scelta dei punti S oltre che dai punti ck.
Definizione 17.3 Siano P, Q ∈ P(a, b); diciamo che P è una partizione piùfine di Q, e scriviamo P� Q, se P ⊃ Q.
Diciamo inoltre che Pn ∈ P(a, b) è una successione ordinata di partizionise Pn+1 � Pn
lim ∆(Pn) = 0(17.14)
È evidente dalle figure che valgono i seguenti fatti la cui dimostra-zione può essere scritta formalizzando ciò che è suggerito da esse.
analisi matematica 1 november 4, 2013 143
Figura 17.1: Confronto tra sommesuperiori e somme inferiori
Lemma 17.1 Siano P, Q ∈ P(a, b), Q� P, Allora
m(b− a) ≤ L( f , P) ≤ L( f , Q) ≤≤ R( f , Q,S) ≤≤ U( f , Q) ≤ U( f , P) ≤ M(b− a) (17.15)
Inoltre, comunque si scelgano R, S ∈ P(a, b), si ha
L( f , R) ≤ U( f , S).
Definizione 17.4 Definiamo
∫–b
af (x)dx = inf{U( f , P) : P ∈ P(a, b)} (17.16)∫ b
– af (x)dx = sup{L( f , P) : P ∈ P(a, b)} (17.17)
Le precedenti quantità si dicono, rispettivamente, integrale superiore eintegrale inferiore di f in [a, b]
È immediato verificare che
m(b− a) ≤∫ b
– af (x)dx ≤
∫–b
af (x)dx ≤ M(b− a).
Definizione 17.5 Diciamo che f è integrabile in [a, b] se
∫ b
– af (x)dx =
∫–b
af (x)dx .
In tal caso chiamiamo il valore comune ottenuto integrale di f tra a e b elo denotiamo con il simbolo ∫ b
af (x)dx .
144 ottavio caligaris - pietro oliva
Definiamo ∫ a
bf (x)dx = −
∫ b
af (x)dx
ed osserviamo che ∫ a
af (x)dx = 0.
Definizione 17.6 Diciamo che f soddisfa la condizione di integrabilità in[a, b] se ∀ε > 0 esiste una partizione Pε ∈ P(a, b) tale che
0 ≤ U( f , Pε)− L( f , Pε) < ε (17.18)
Dal momento che la quantità U( f , P)− L( f , P) decresce al raffinarsi dellapartizione, restando non negativa, la precedente condizione è equivalente allaseguente
∀ε > 0 esiste Pε ∈ P(a, b) tale che
0 ≤ U( f , P)− L( f , P) < ε.
∀P ∈ P(a, b), P� Pε
Definizione 17.7 Diciamo che f è integrabile secondo Cauchy-Riemann in[a, b] se esiste I ∈ R per cui esiste una partizione Pε ∈ P(a, b) tale che∀ε > 0 si ha che
|R( f , P,S)− I| < ε (17.19)
per ogni P ∈ P(a, b), P� Pε e per ogni scelta di punti S
Teorema 17.1 Sono fatti equivalenti:
1. f è integrabile su [a, b]
2. f soddisfa la condizione di integrabilità in [a, b]
Dimostrazione. Se f è integrabile allora∫ b
– af (x)dx =
∫ b
af (x)dx =
∫–b
af (x)dx
Ma per definizione
∫ b
– af (x)dx = sup
PL( f , P) ,
∫–b
af (x)dx = inf
PU( f , P) (17.20)
e quindi possiamo trovare due partizioni Pε e Qε tali che
∫ b
af (x)dx− ε
2≤ L( f , Qε) ≤
∫ b
af (x)dx (17.21)∫ b
af (x)dx ≤ U( f , Pε) ≤
∫ b
af (x)dx +
ε
2(17.22)
analisi matematica 1 november 4, 2013 145
Se ne deduce che
U( f , Pε)− L( f , Qε) ≤ ε (17.23)
Se Rε = Qε⋃
Pε, si ottiene che
U( f , Rε)− L( f , Rε) ≤ U( f , Pε)− L( f , Qε) ≤ ε (17.24)
e quindi vale la condizione di integrabilità.Se viceversa si ha
U( f , Pε)− L( f , Pε) ≤ ε (17.25)
alloraU( f , Pε) ≤ L( f , Pε) + ε (17.26)
e pertanto ∫–b
af (x)dx ≤
∫ b
– af (x)dx + ε (17.27)
e, passando al limite per ε→ 0 si ottiene∫–b
af (x)dx ≤
∫ b
– af (x)dx (17.28)
poichè è ovvio che ∫ b
– af (x)dx ≤
∫–b
af (x)dx (17.29)
si può concludere che ∫–b
af (x)dx =
∫ b
– af (x)dx (17.30)
e l’integrabilità di f è dimostrata.2
Teorema 17.2 Se f è integrabile su [a, b] allora f è integrabile secondoCauchy-Riemann ed il valore dell’integrale è lo stesso.
Dimostrazione. Poichè
L( f , P) ≤ R( f , P,S) ≤ U( f , P) (17.31)
ed anche
L( f , P) ≤∫ b
af (x)dx ≤ U( f , P) (17.32)
146 ottavio caligaris - pietro oliva
si ha
|R( f , P,S)−∫ b
af (x)dx| ≤ U( f , P)− L( f , P) (17.33)
Quando f è integrabile U( f , P)− L( f , P) può essere reso piccolo quan-to si vuole, pur di raffinare la partizione e quindi per la precedente di-suguaglianza è possibile verificare la definizione di integrale secondoCauchy-Riemann. 2
Nel teorema 17.2 può essere dimostrata anche l’implicazione oppo-sta per cui
Teorema 17.3 f è integrabile su [a, b] se e solo se f è integrabile secondoCauchy-Riemann ed il valore dell’integrale è lo stesso.
Dimostrazione. Dal momento che vale la definizione 17.7 avremoche se P è abbastanza fine allora
I − ε ≤ R( f , P,S) ≤ I + ε (17.34)
per ogni scelta di punti S .Poichè si ha
U( f , p) =n−1
∑k=0
Mk∆Ik ≤n−1
∑k=0
( f (ck) + ε)∆Ik =
= R( f , P,S1) + ε(b− a) ≤ I + ε(b− a) + ε
(17.35)
L( f , p) =n−1
∑k=0
mk∆Ik ≥n−1
∑k=0
( f (dk)− ε)∆Ik =
= R( f , P,S2)− ε(b− a) ≤ I − ε(b− a)− ε (17.36)
Ne viene allora che
I − ε(b− a)− ε ≤ L( f , P) ≤ U( f , P) ≤ I + ε(b− a) + ε (17.37)
e quindi vale la condizione di integrabilità e∫ b
af (x)dx = I
2
Teorema 17.4 Se f è una funzione integrabile e sia Pn una successione ordi-nata di partizioni di, allora
∫–b
af (x)dx = lim
nU( f , Pn) = lim
nL( f , Pn) = lim
nR( f , Pn, S) (17.38)
analisi matematica 1 november 4, 2013 147
Dimostrazione. Dal momento che f è integrabile, possiamo trovareuna partizione Pε tale che
U( f , Pε)− L( f , Pε) < ε
Se Pε è costituita da N punti, dalla figura 17
Figura 17.2: Confronto tra U( f , Pn) −L( f , Pn) e U( f , Pε)− L( f , Pε)
si vede che
U( f , Pn)− L( f , Pn) ≤ U( f , Pε)− L( f , Pε) + N(M−m)∆Pn (17.39)
infatti è evidente che non si può affermare semplicemente che
U( f , Pn)− L( f , Pn) ≤ U( f , Pε)− L( f , Pε)
a causa del fatto messo in evidenza dalla zona tratteggiata in figura17.
Tuttavia l’area di tale zona può essere maggiorata con
(M−m)∆Pn
e tale evenienza ha luogo al più in tanti casi quanti sono i punti (N) diPε.
Pertanto, fissando opportunamente Pε e scegliendo n abbastanzagrande, si ottiene che U( f , Pn) − L( f , Pn) diventa piccola quanto sivuole e quindi
U( f , Pn)− L( f , Pn)→ 0
Ora, se ricordiamo che
n 7→ L( f , Pn) e n 7→ U( f , Pn) (17.40)
sono successioni crescenti per il fatto che la successione di partizioniP è ordinata, che f è integrabile e che
L( f , Pn) ≤ R( f , Pn,S) ≤ U( f , Pn) (17.41)
148 ottavio caligaris - pietro oliva
possiamo concludere che
limn
U( f , Pn) , limn
L( f , Pn) , limn
R( f , Pn, S) (17.42)
esistono e quindi poichè si ha
L( f , Pn) ≤∫ b
af (x)dx ≤ U( f , Pn)
limn
U( f , Pn) = limn
L( f , Pn) = limn
R( f , Pn, S) =∫ b
af (x)dx (17.43)
2
Teorema 17.5 Se f , g : [a, b] −→ R sono integrabili su [a, b], e se α, β ∈ R;allora α f + βg e f g sono integrabili su [a, b] e∫ b
a[α f (x) + βg(x)]dx = α
∫ b
af (x)dx + β
∫ b
ag(x)dx .
Teorema 17.6 Se f è integrabile in [a, b]; e se c ∈ (a, b), allora f è integra-bile in [a, c] ed in [c, b] e∫ b
af (x)dx =
∫ c
af (x)dx +
∫ b
cf (x)dx .
Teorema 17.7 Se f , g : [a, b] −→ R sono integrabili in [a, b] e se f (x) ≥g(x) ∀x ∈ [a, b]; allora∫ b
af (x)dx ≥
∫ b
ag(x)dx .
Dimostrazione. Sarà sufficiente provare che, se f (x) ≥ 0,∫ b
af (x)dx ≥ 0,
ma questo è ovvia conseguenza del fatto che m = inf{ f (x) : x ∈[a, b]} ≥ 0. 2
Teorema 17.8 Se f : [a, b] −→ R e se definiamo
f+(x) = max{ f (x), 0} , f−(x) = min{ f (x), 0}.
Allora f+ ed f− sono integrabili su [a, b] se e solo se f è integrabile su [a, b]e si ha ∫ b
af (x)dx =
∫ b
af+(x)dx +
∫ b
af−(x)dx.
Dimostrazione. Sia P ∈ P(a, b), allora
U( f+, P)− L( f+, P) ≤ U( f , P)− L( f , P)
in quanto
sup{ f+(x)− f+(y) : x, y ∈ [xi−1, xi]} ≤ sup{ f (x)− f (y) : x, y ∈ [xi−1, xi]}.
Inoltre si ha f = f+ + f−. 2
analisi matematica 1 november 4, 2013 149
Corollario 17.1 Se f : [a, b] −→ R è integrabile in [a, b], allora anche | f | èintegrabile in [a, b].
Dimostrazione. Basta osservare che | f | = f+ − f− 2
Osserviamo che | f | può essere integrabile senza che f sia tale; adesempio
f (x) =
−1 , x ∈ Q
1 , x ∈ R \Q
Teorema 17.9 Se f è integrabile , allora∣∣∣∣∫ b
af (x)dx
∣∣∣∣ ≤ ∣∣∣∣∫ b
a| f (x)|dx
∣∣∣∣ .
Dimostrazione. Si ha −| f (x)| ≤ f (x) ≤ | f (x)| e la tesi segue dairisultati precedenti. 2
Teorema 17.10 Se f è integrabile in [a, b], non negativa, e se [α, β] ⊂ [a, b];allora ∫ β
αf (x)dx ≤
∫ b
af (x)dx.
Teorema 17.11 Siano f , g : [a, b] −→ R, e sia f limitata ed integrabile in[a, b]; se
f (x) = g(x) ∀x ∈ [a, b] \ N , N = {y1, ..., yk}allora anche g è integrabile in [a, b] e si ha∫ b
af (x)dx =
∫ b
ag(x)dx.
Dimostrazione.È sufficiente provare che la funzione
hc(x) =
1 , x = c
0 , x 6= c
con c ∈ [a, b], è integrabile in [a, b] e∫ b
ahc(x)dx = 0.
Sia P ∈ P(a, b); si ha
L(hc, P) = 0 , U(hc, P) ≤ 2∆(P).
Pertantoinf{U(hc, P) : P ∈ P(a, b)} = 0.
La tesi segue tenendo conto del fatto che
f (x) = g(x) +k
∑i=1
hyk (x) [ f (yk)− g(yk)].
2
Ci proponiamo ora di dare alcune condizioni sufficienti per l’inte-grabilità.
150 ottavio caligaris - pietro oliva
Teorema 17.12 Se f è monotona su [a, b], allora f è integrabile in [a, b].
Dimostrazione. Il teorema segue da quanto illustrato nella figura
Figura 17.3: Integrabilità delle funzionimonotone
Supponiamo ad esempio che f sia crescente in [a, b]; si ha
mi = f (xi−1) , Mi = f (xi)
per cui
U( f , P)− L( f , P) =n
∑i=1
[ f (xi)− f (xi−1)](xi − xi−1)
e, scelta Pε ∈ P(a, b) in modo che ∆(Pε) < ε, si ha
U( f , Pε)− L( f , Pε) < εn
∑i=1
[ f (xi)− f (xi−1)] = ε[ f (b)− f (a)].
2
Teorema 17.13 Se f : [a, b] −→ R è continua, allora f è integrabile in[a, b].
Dimostrazione. La dimostrazione di questo teorema si fonda sulconcetto di uniforme continuità.
Poichè non si tratta di un concetto semplice, tanto che agli alboridel calcolo esso era ignorato, è conveniente illustrare la dimostrazio-ne per le funzioni lipschitziane, cioè per le funzioni per cui si puòaffermare che
| f (x)− f (y)| ≤ L|x− y|
In tal caso si ha
U( f , Pε)− L( f , Pε) =n−1
∑k=0
(Mk −mk)∆Ik =n−1
∑k=0
( f (xk)− f (yk))∆Ik ≤
n−1
∑k=0
L|xk − yk|∆Ik (17.44)
analisi matematica 1 november 4, 2013 151
con xk, yk ∈ Ik e se scegliamo ∆P < εL otteniamo che
U( f , Pε)− L( f , Pε) ≤ εn−1
∑k=0
∆Ik = ε(b− a)
2
Possiamo anche dimostrare che
Teorema 17.14 Se f è limitata in [a, b] e continua in [a, b] \ N, N =
{y1, ..., yk}; allora f è integrabile in [a, b].
Teorema 17.15 Se f è continua e non negativa e se
∫ b
af (x)dx = 0
allora f (x) = 0 per ogni x ∈ [a, b]
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che esista α ∈ [a, b] tale chef (α) > 0 ; allora esiste [c, d] ⊂ [a, b] in modo che f (x) ≥ m > 0 in [c, d].
Pertanto ∫ b
af (x)dx ≥
∫ d
cf (x)dx ≥ m(d− c) > 0.
2
Gli sviluppi del calcolo integrale e le sue applicazioni dipendonodal legame strettissimo tra il concetto di integrale e quello di derivatache è espresso dal teorema fondamentale del calcolo integrale e dalleproprietà di cui gode la funzione integrale x 7→
∫ xx0
f (t)dt.Definiamo pertanto
F(x) =∫ x
x0
f (x)dx (17.45)
e dedichiamo un po’ di attenzione allo studio della continuità edella derivabilità di F
Teorema 17.16 Sia f integrabile in [a, b] e consideriamo, per ogni x ∈ [a, b],la funzione definita da
F(x) =∫ x
af (t)dt .
Allora F è lipschitziana in [a, b].
Dimostrazione. Siano x, y ∈ [a, b] e sia | f (x)| ≤ M ∀x ∈ [a, b]; si ha
|F(x)− F(y)| =∣∣∣∣∫ y
xf (t)dt
∣∣∣∣ ≤ ∣∣∣∣∫ y
x| f (t)|dt
∣∣∣∣ ≤ M|y− x|. (17.46)
2
152 ottavio caligaris - pietro oliva
Teorema 17.17 Sia f integrabile in [a, b]; consideriamo la funzione definitada
F(x) =∫ x
af (t)dt.
Se f è continua in x0 ∈ (a, b), allora F è derivabile in x0 e
F′(x0) = f (x0).
Dimostrazione. Per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che se |t− x0| < δε
si ha | f (t)− f (x0)| < ε.Perciò se |h| < δε si ha∣∣∣∣ F(x0 + h)− F(x0)
h− f (x0)
∣∣∣∣ ≤ 1|h|
∣∣∣∣∫ x0+h
x0
| f (t)− f (x0)|dt∣∣∣∣ ≤ ε.
2
Teorema 17.18 della media - Sia f continua, allora esiste c ∈ [a, b] tale che∫ b
af (x)dx = f (c)(b− a).
Dimostrazione. Possiamo applicare il teorema di Lagrange alla Fun-zione F(x) su [a, b] 2
Il precedente teorema può essere generalizzato nella seguente for-ma
Teorema 17.19 - della media - Siano f , g continue, g non negativa; alloraesiste c ∈ [a, b] tale che∫ b
af (x)g(x)dx = f (c)
∫ b
ag(x)dx.
Dimostrazione. Il teorema è banale se g è identicamente nulla. Incaso contrario si ha ∫ b
ag(x)dx > 0
e, posto
m = min{ f (x) : x ∈ [a, b]} , M = max{ f (x) : x ∈ [a, b]}
si ha
m∫ b
ag(x)dx ≤
∫ b
af (x)g(x)dx ≤ M
∫ b
ag(x)dx
e
m ≤∫ b
a f (x)g(x)dx∫ ba g(x)dx
≤ M.
Pertanto la tesi segue dal fatto che f è continua in [a, b] ed assumetutti i valori compresi tra il suo minimo m ed il suo massimo M. 2
I precedenti risultati indicano la necessità di introdurre un nuovoconcetto: quello di funzione la cui derivata è assegnata.
analisi matematica 1 november 4, 2013 153
Definizione 17.8 Diciamo che F è una primitiva di f in (a, b) se F è ividerivabile e risulta
F′(x) = f (x) ∀x ∈ (a, b).
Definiamo integrale indefinito di f e lo indichiamo con il simbolo∫f (x)dx
l’insieme delle primitive di f .
Teorema 17.20 Supponiamo che F e G siano due primitive di f in (a, b),allora esiste k ∈ R tale che
F(x) = G(x) + k ∀x ∈ (a, b).
Dimostrazione. Dal momento che (F − G)′(x) = 0 in (a, b) si puòapplicare il corollario del teorema di Lagrange che assicura che se unafunzione ha derivata nulla allora è costante. 2
Corollario 17.2 Sia F una primitiva di f in (a, b) e sia f continua in (a, b);allora esiste k ∈ R tale che
F(x) =∫ x
af (t)dt + k.
Il precedente corollario permette di determinare l’integrale indefi-nito di una funzione. Ricordiamo tuttavia che la sua validità è limitataa funzioni definite su un intervallo.
Anche il calcolo dell’integrale di f in [a, b] beneficia di questo risul-tato vale infatti il seguente teorema.
Teorema 17.21 Sia f integrabile in [a, b], sia F una primitiva di f in (a, b)e sia [α, β] ⊂ (a, b); allora∫ β
αf (x)dx = F(β)− F(α).
Dimostrazione. Sia P ∈ P(a, b), P = {x0, .., xn}, si ha∣∣∣∣∫ β
αf (x)dx− [F(β)− F(α)]
∣∣∣∣ ==
∣∣∣∣∣∫ β
αf (x)dx−
n
∑i=1
[F(xi)− F(xi−1)]
∣∣∣∣∣ ==
∣∣∣∣∣∫ β
αf (x)dx−
n
∑i=1
F′(ξi)(xi − xi−1)
∣∣∣∣∣ ==
∣∣∣∣∫ β
αf (x)dx− R( f , P, Ξ)
∣∣∣∣ (17.47)
e si può concludere scegliendo una partizione sufficientemente fine. 2
154 ottavio caligaris - pietro oliva
Il teorema precedente consente di usare le primitive di una funzio-ne per calcolare il valore di un integrale definito. È pertanto importan-te conoscere le primitive di alcune funzioni elementari. Rimandandoall’appendice per una informazione più completa, ci limitiamo qui adosservare che la tabella di derivate data nel paragrafo 8, letta da destraverso sinistra, fornisce le primitive delle principali funzioni elementari.
Le funzioni che sono primitive di qualche altra funzione godono diuna certa regolarità che è precisata nel seguente enunciato.
Teorema 17.22 Se f ha una primitiva in (a, b), per ogni c ∈ (a, b) non èpossibile che
limx→c+
f (x) 6= limx→c−
f (x).
Dimostrazione. Sia F una primitiva di f in (a, b); se i limiti in oggettoesistessero, si avrebbe, per le proprietà della derivabilità,
F′(c) = limx→c+
f (x) = limx→c−
f (x).
2
Per il calcolo degli integrali definiti è molto utile servirsi delleseguenti regole di integrazione.
Teorema 17.23 - integrazione per parti - Siano f , g di classe C1 e sia [α, β] ⊂(a, b); allora∫ β
αf ′(x)g(x)dx = f (β)g(β)− f (α)g(α)−
∫ β
αf (x)g′(x)dx.
Dimostrazione. Si ha
( f g)′(x) = f ′(x)g(x) + f (x)g′(x);
pertanto∫ β
αf ′(x)g(x) dx =
∫ β
α( f g)′(x)dx−
∫ β
αf (x)g′(x)dx
ed osservando che f g è una primitiva di ( f g)′ in (a, b) si deduce latesi. 2
Teorema 17.24 - integrazione per sostituzione - Se f ∈ C0, g ∈ C1; sia[α, β] ⊂ (c, d), allora∫ β
αf (g(x))g′(x)dx =
∫ g(β)
g(α)f (x)dx.
Dimostrazione. Sia F una primitiva di f in (a, b), allora F(g(·)) è unaprimitiva di f (g(·))g′(·) in (c, d) e si ha∫ β
αf (g(x))g′(x)dx = F(g(β))− F(g(α)) =
∫ g(β)
g(α)f (x)dx
analisi matematica 1 november 4, 2013 155
2
Se f è una funzione, indichiamo
f (x)∣∣∣ba = f (b)− f (a)
In tal modo risultano semplificati molti enunciati che coinvolgonogli integrali definiti.
Ad esempio si può dire che, se F è una primitiva della funzionecontinua f , allora ∫ b
af (x)dx = F(x)
∣∣∣baCi siamo occupati fino ad ora del problema di integrare una funzio-
ne limitata su di un intervallo limitato che, in genere, è anche suppostochiuso.
Nella pratica è spesso necessario integrare funzioni non limitateo su intervalli non limitati, a questo scopo è necessario definire unaestensione del concetto di integrale, che permetta di considerare anchequesti casi.
La definizione non è strettamente collegata col procedimento diintegrazione definita dato precedentemente, anche se da esso dipen-de in maniera essenziale, e, per questa ragione, viene denominatoprocedimento di integrazione impropria.
Definizione 17.9 Sia f integrabile in [x, b], per ogni x ∈ (a, b]. Diciamoche f ammette integrale improprio (finito) in (a, b] se esiste (finito)
limx→a+
∫ b
xf (t)dt
In tal caso definiamo il suo valore∫ b
af (x)dx
Definizioni analoghe permettono di considerare facilmente l’inte-grale improprio su di un intervallo [a, b] di una funzione f limitata eintegrabile in ogni intervallo [x, y] ⊂ [a, b] \ N, dove N è un insiemefinito di punti
Definizione 17.10 Sia f integrabile in [a, x], per ogni x ≥ a. Diciamo chef ammette integrale improprio (finito) in [a,+∞) se esiste (finito)
limx→+∞
∫ x
af (t)dt
In tal caso definiamo il suo valore∫ +∞
af (x)dx
156 ottavio caligaris - pietro oliva
Definizioni analoghe permettono di considerare l’integrale impro-prio di una funzione limitata e integrabile su ogni intervallo [x, y], in(−∞, a] o (−∞,+∞).
In entrambe le due precedenti definizioni diciamo che f ammetteintegrale improprio convergente o divergente, a seconda che il suovalore sia finito o infinito rispettivamente.
Per semplicità, nel seguito faremo riferimento solo ai casi contem-plati nelle definizioni 17.9, 17.10, tuttavia i risultati che proveremopossono essere facilmente rienunciati e ridimostrati negli altri casi.
Possiamo considerare qualche esempio per illustrare i concetti in-trodotti
Siafα(x) =
1xα
allora:
∫ 1
0fα(x)dx =
11− α
se 0 < α < 1∫ 1
0fα(x)dx = +∞ se α ≥ 1∫ +∞
1fα(x)dx =
1α− 1
se α > 1∫ +∞
1fα(x)dx = +∞ se 0 < α ≤ 1
I risultati esposti si possono ricavare applicando semplicemente ledefinizioni e le regole elementari di integrazione. Partendo da questisemplici punti fermi possiamo ricavare dei criteri che consentono distabilire se una funzione è integrabile in senso improprio.
A questo scopo dobbiamo considerare una conseguenza del criteriodi convergenza di convergenza di Cauchy.
Teorema 17.25 Sia f integrabile in [x, b], per ogni x ∈ (a, b]; allora f am-mette integrale improprio convergente in (a, b] se e solo se per ogni ε > 0esiste δε > 0 tale che se si considerano x′, x′′ ∈ (a, a + δε) allora∣∣∣∣∫ x′′
x′f (t)dt
∣∣∣∣ < ε
Teorema 17.26 Sia f integrabile in [a, x], per ogni x ≥ a; allora f ammetteintegrale improprio convergente in [a,+∞) se e solo se per ogni ε > 0 esisteδε > 0 tale che se x′, x′′ > δε allora∣∣∣∣∫ x′′
x′f (t)dt
∣∣∣∣ < ε
analisi matematica 1 november 4, 2013 157
I due precedenti teoremi seguono immediatamente dal criterio diconvergenza di Cauchy.
Teorema 17.27 Siano f , g integrabili in ogni [x, y] ⊂ I; valgono i seguentifatti:
1. se | f | ammette integrale improprio convergente in I, allora anche f am-mette integrale improprio convergente in I;
2. se | f | ≤ g e g ammette integrale improprio convergente in I, allora anche| f | (e quindi f ) ammette integrale improprio convergente in I.
Dimostrazione. Si ha∣∣∣∣∫ x′′
x′f (x)dx
∣∣∣∣ ≤ ∣∣∣∣∫ x′′
x′| f (x)|dx
∣∣∣∣ ≤ ∣∣∣∣∫ x′′
x′g(x)dx
∣∣∣∣2
Non è tuttavia vero che se f ammette integrale improprio conver-gente anche | f | ammette integrale improprio convergente. Per esem-pio si consideri
f (x) =sin x
xsull’intervallo [0,+∞), (si veda teorema 17.31).
Diamo ora un risultato che sarà di grande utilità per stabilire l’in-tegrabilità in senso improprio di una funzione.
Teorema 17.28 Sia f integrabile in [x, b], per ogni x ∈ (a, b], esupponiamo che f sia infinita per x→ a+ di ordine β.
1. Se esiste α ∈ R, con β ≤ α < 1 allora f ammette integrale improprioconvergente in (a, b].
2. se β ≥ 1 allora f ammette integrale improprio divergente in (a, b].
Dimostrazione. Supponiamo ad esempio f (x)→ +∞ per x → a+
e proviamo (1). Si ha
limx→a+
f (x)1/(x− a)α
= ` ∈ R+
e pertanto esistono k, δ > 0 tali che
0 ≤ f (x) ≤ k(x− a)α
∀x ∈ (a, a + δ)
e la tesi segue dal teorema 17.27 e dalle 17.48, non appena si sia tenutoconto del fatto che
limx→a+
∫ b
xf (t)dt =
∫ b
a+δf (t)dt + lim
x→a+
∫ a+δ
xf (t)dt.
158 ottavio caligaris - pietro oliva
Proviamo ora (2); se x ∈ (a, a + δ), con k, δ > 0 opportunamentescelti, si ha
f (x) ≥ kx− α
e come prima segue la tesi. 2
Teorema 17.29 Sia f integrabile in [a, x], per ogni x ≥ a; supponiamo chef ammetta integrale improprio convergente in [a,+∞) e che
limx→+∞
f (x) = `.
Allora ` = 0.
Dimostrazione. Supponiamo ad esempio che sia ` > 0; allora, sex > δ, f (x) > `/2. Pertanto
limx→+∞
∫ x
af (t)dt =
∫ δ
af (t)dt + lim
x→+∞
∫ x
δf (t)dt ≥
≥∫ δ
af (t)dt + lim
x→+∞(x− δ)`/2 = +∞ (17.48)
2
Osserviamo che f può ammettere integrale improprio convergentein [a,+∞) senza che esista il limite di f per x → +∞, se ad esempio
f (x) =
1 i < x ≤ i + 1/2i
0 i + 1/2i ≤ x ≤ i + 1, i ∈N (17.49)
si ha ∫ +∞
1f (t)dt = lim
n
n
∑i=1
12i = lim
n
12
1− 1/2n
1− 1/2= 1
Si può analogamente provare che
Teorema 17.30 Sia f integrabile in [a, x], per ogni x ≥ a, e supponiamoche f sia infinitesima di ordine β per x → +∞.
1. Se esiste α ∈ R tale che β ≥ α > 1, allora f ammette integraleimproprio convergente in [a,+∞).
2. Se β ≤ 1 allora | f | ammette integrale improprio divergente in[a,+∞).
analisi matematica 1 november 4, 2013 159
Osserviamo, a proposito dei teoremi 17.28,?? che qualora β ∈R, in (1) è sufficiente prendere α = β.
Teorema 17.31 Siano f , g, f ∈ C0, g ∈ C1, e sia F una primitiva di f ;allora le seguenti condizioni sono sufficienti per la convergenza dell’integraleimproprio di f g in [a,+∞):
1. F limitata in [a,+∞) e g monotona a 0 per x → +∞;
2. F convergente per x→ +∞ e g monotona e limitata.
Segue da∫ x
af (t)g(t)dt = F(x)g(x)− F(a)g(a)−
∫ x
aF(t)g′(t)dt.
18 - QUALCHE STUDIO DI FUNZIONE INTEGRA-LE
Lo studio di una funzione che sia data mediante un integrale ricorrein molti casi: ad esempio quando si studiano le soluzioni di equazionidifferenziali in cui compaiono funzioni che non ammettono primiti-ve elementari o che ammettono primitive elementari non facilmentecalcolabili.
Per funzione integrale si intende una funzione definita da
F(x) =∫ x
x0
f (t)dt (18.1)
I risultati che occorre tener ben presenti quando si studia una fun-zione integrale sono i seguenti:
1. I risultati che sono sufficienti a garantire l’integrabilità di una fun-zione: sono quelli contenuti nei teoremi ?? e si possono brevementeriassumere dicendo che:
• f è integrabile su ogni intervallo su cui è continua
• f è integrabile su ogni intervallo su cui è monotona
• f è integrabile su ogni intervallo su cui è limitata e continuaa meno di un numero finito di punti
• f è integrabile su ogni intervallo su cui differisce da unafunzione integrabile a meno di un insieme finito di punti
2. Il risultato che assicura che se f è limitata allora F è continua.
3. il teorema fondamentale del calcolo che assicura che se f è continuain x allora F è derivabile in x e
F′(x) = f (x)
4. la definizione di integrale improprio per cui:
162 ottavio caligaris - pietro oliva
• Se f è integrabile in senso improprio in c+
limx→c+
F(x) =∫ c
x0
f (t)dt
• Se f è integrabile in senso improprio a +∞
limx→+∞
F(x) =∫ +∞
x0
f (t)dt
Vale inoltre la pena di ricordare che se
G(x) =∫ β(x)
x0
f (t)dt (18.2)
alloraG(x) = F(β(x)) (18.3)
e quindi, se le funzioni in gioco sono derivabili
G′(x) = F′(β(x))β′(x) = f (β(x))β′(x) (18.4)
Inoltre se
G(x) =∫ β(x)
α(x)f (t)dt (18.5)
allora se c è scelto nel campo di integrabilità di f , si ha
G(x) =∫ β(x)
α(x)f (t)dt =
∫ c
α(x)f (t)dt+
∫ β(x)
cf (t)dt =
∫ β(x)
cf (t)dt−
∫ α(x)
cf (t)dt
(18.6)e quindi
G′(x) = F′(β(x))β′(x)− F′(α(x))α′(x) = f (β(x))β′(x)− f (α(x))α′(x)(18.7)
18.1 Esempio
Si consideri la funzione
f (x) =∫ x
0
et2
3√
1− et(t− 1)√
t + 2dt
Cominciamo a determinare il dominio di f .La funzione integranda risulta definita e continua (e quindi inte-
grabile) per t ∈ (−2, 0) ∪ (0, 1) ∪ (1,+∞).Inoltre
limt→−2
et2
3√
1− et(t− 1)√
t + 2= −∞
analisi matematica 1 november 4, 2013 163
di ordine 12 in quanto l’integranda è infinita a causa del fattore
√t + 2
presente nel denominatore;
limt→0−
et2
3√
1− et(t− 1)√
t + 2= −∞
di ordine 13 a causa del fattore a denominatore 3
√1− et (si ricordi che
1− et è infinitesimo in zero di ordine 1); analogamente
limt→0+
et2
3√
1− et(t− 1)√
t + 2= +∞
di ordine 13
Infine
limt→1−
et2
3√
1− et(t− 1)√
t + 2= +∞
di ordine 1 a causa del fattore t− 1 a denominatore.Ne segue che la funzione integranda è integrabile (eventualmente
in senso improprio) in [−2, 1) ∪ (1,+∞).Poichè gli estremi di integrazione sono 0 ed x dovrà essere x ∈
[−2, 1).Dal momento che
• la funzione integranda è continua per t ∈ (−2, 0) ∪ (0, 1) ∪ (1,+∞)
• f è definita in [−2, 1))
il teorema fondamentale del calcolo assicura che
f ′(x) =ex2
3√
1− ex(x− 1)√
x + 2
Per ogni x ∈ (−2, 0) ∪ (0, 1)Per quanto riguarda i punti x = −2 e x = 0 si è già visto che
limt→−2
f ′(x) = −∞
limt→0−
f ′(x) = −∞
limt→0+
f ′(x) = +∞
cui f non è derivabile per x = −1 ed x = 0.Per tracciare il grafico di f dobbiamo tenere conto che
• f ′(x) > 0 per x ∈ (0, 1)
• limx→1− f (x) = +∞,
• f non è derivabile in −2 ed in 0
164 ottavio caligaris - pietro oliva
Figura 18.1: Grafico di f (x)
• in −2 ed in 0 il grafico ha tangente verticale
Pertanto il grafico di f risulta:Consideriamo ora
g(x) =∫ |x|
0
et2
3√
1− et(t− 1)√
t + 2dt
Dal momento cheg(x) = f (|x|)
il grafico di g sarà uguale a quello di f per gli x ∈ [0, 1) ed il simme-trico rispetto all’asse y per gli x ∈ (−1, 0].
Figura 18.2: Grafico di g(x)
Se infine consideriamo
h(x) =∫ x2+2
x3
et2
3√
1− et(t− 1)√
t + 2dt
per quanto visto ai punti precedenti, ( f è integrabile in [−2, 1)∪ (1,+∞))L’intervallo di integrazione dovrà essere contenuto nell’insieme in cuiè possibile calcolare l’integrale; dovrà cioè risultare che
[x3, x2 + 2] ⊂ [−2, 1) ∪ (1,+∞)
e quindi la funzione h risulta definita per x3 > 1 ovvero per x > 1.
analisi matematica 1 november 4, 2013 165
Poiché l’integranda è continua per t > 1 e gli estremi di integrazio-ne sono derivabili, si ha, per x ∈ (1,+∞)
h′(x) =2xe(x2+2)2
3√
1− ex2+2(x2 − 1)√
x2 + 4− 3x2ex6
3√
1− ex3(x3 − 1)√
x3 + 2
18.2 Esempio
Consideriamo la funzione
f (x) =∫ 4−x
x
3 + cos(t)(t− 4) 3
√t5 − 1
dt
La funzione integranda è definita e continua (e quindi integrabile)in (−∞, 1) ∪ (1, 4) ∪ (4,+∞).
Inoltre
limt→1
∣∣∣∣∣ 3 + cos(t)(t− 4) 3
√t5 − 1
∣∣∣∣∣ = +∞ di ordine13
mentre
limt→4
∣∣∣∣∣ 3 + cos(t)(t− 4) 3
√t5 − 1
∣∣∣∣∣ = +∞ di ordine 1
Pertanto l’integranda risulta integrabile (anche in senso improprio)in (−∞, 4) ∪ (4,+∞).
Dovrà allora esserex < 4
4− x < 4oppure
x > 4
4− x > 4
ovvero 0 < x < 4.Essendo gli estremi di integrazione due funzioni continue e deri-
vabili, f risulta continua in tutto il suo dominio (perché l’integrandaè integrabile) e derivabile per x 6= 1 e 4− x 6= 1 essendo l’integrandacontinua per t 6= 1 (per t = 1 l’integranda è infinita).
Pertanto l’insieme di continuità è (0, 4) e l’insieme di derivabilità è(0, 1) ∪ (1, 3) ∪ (3, 4).
Dal teorema fondamentale del calcolo integrale e dalla formula diderivazione delle funzioni composte si ha, se x ∈ (0, 1) ∪ (1, 3) ∪ (3, 4)
f ′(x) = − 3 + cos(4− x)(−x) 3
√(4− x)5 − 1
− 3 + cos(x)(x− 4) 3
√x5 − 1
18.3 Esempio
Si considerino le funzioni
h(x) = x4 + 8x + k e g(x) =1
h(x)
166 ottavio caligaris - pietro oliva
Si ha, per ogni k ∈ R,
h : R→ R, continua , limx→±∞
h(x) = +∞
per cui h non è limitata superiormente (e quindi non ammette massimoglobale), mentre, per il teorema di Weierstrass generalizzato, ammetteminimo assoluto, per ogni k ∈ R.
Se g risulta continua allora ha primitive in R ed inoltre, (essendoinfinita dove non è continua, g ammette primitive se e solo se h(x) =x4 + 8x + k 6= 0 per ogni x ∈ R.
Poiché come visto nel punto precedente h ha minimo assoluto, etale valore è assunto nel punto x = − 3
√2 (ove si annulla h′(x) = 4x3 +
8) e si ha h(− 3√
2) = k− 6 3√
2, si conclude che g ha primitive in R se esolo se
k− 6 3√
2 > 0 ovvero k > 6 3√
2
Similmente g ha primitive in [−1,+∞) se e solo se risulta continuain tale intervallo ovvero se e solo se h(x) = x4 + 8x + k 6= 0 per ognix ≥ −1.
Essendo h crescente per x ≥ − 3√
2, e quindi per x ≥ −1, g haprimitive in [−1,+∞) se e solo se h(−1) = k− 7 > 0 ovvero
k > 7
Posto k = 0 si ha g(x) = 1x4+8x , che è definita e continua in
(−∞,−2) ∪ (−2, 0) ∪ (0,+∞).Utilizzando la decomposizione in fratti semplici si ha
1x4 + 8x
=ax+
bx + 2
+cx + d
x2 − 2x + 4=
(a + b + c)x3 + (2c− 2b + d)x2 + (4b + 2d)x + 8ax4 + 8x
da cui a + b + c = 0
2c− 2b + d = 0
4b + 2d = 0
8a = 1
che risolto fornisce a = 18 , b = − 1
24 , c = − 112 , d = 1
12 ; pertanto
1x4 + 8x
=1
24
(3x− 1
x + 2− 2x− 2
x2 − 2x + 4
)Una primitiva di g è quindi
124
ln∣∣∣∣ x3
(x + 2)(x2 − 2x + 4)
∣∣∣∣ = 124
ln∣∣∣∣ x3
x3 + 8
∣∣∣∣Tutte le primitive di g in (−∞,−2) ∪ (−2, 0) ∪ (0,+∞) sono pertanto
124 ln x3
x3+8 + c1 , se x < −21
24 ln −x3
x3+8 + c2 , se − 2 < x < 01
24 ln x3
x3+8 + c3 , se x > 0
analisi matematica 1 november 4, 2013 167
Si consideri ora il problemay′′(x) = g(x)
y(0) = 0
y′(0) = 0
Il problema ha soluzioni in R se e solo se g ha primitive in R,poiché y′ è la primitiva di g che soddisfa y′(0) = 0 e di conseguenza yè la primitiva di
∫ x0 g(t)dt che soddisfa y(0) = 0 cioè
y(x) =∫ x
0
(∫ s
0g(t)dt
)ds
Pertanto il problema dato ha una ed una sola soluzione per k > 6 3√
2.
19 - INTRODUZIONE AI MODELLI DIFFERENZIA-LI
Uno degli argomenti più interessanti del calcolo differenziale è costi-tuito dalle equazioni differenziali: si tratta di equazioni in cui l’inco-gnita è una funzione y(x) di cui sono noti i valori iniziali ed il fatto chedeve essere verificata, per ogni x, una relazione tra la funzione stessae la sua derivata prima y′(x).
L’esempio più semplice e naturale di un problema di questo genereè dato dal modello che descrive la caduta di un grave.
Figura 19.1: Un punto materiale sogget-to alla gravità
Se consideriamo un punto di massa m posto ad un’altezza h dallasuperficie terrestre e trascuriamo gli effetti della resistenza dell’aria,avremo che sul punto agisce solo la forza di gravità F = mg.
L’esperienza mostra che il punto materiale P si muove verso il bas-so; per descrivere il suo moto possiamo considerare un sistema diriferimento che coincide con la retta che il punto percorre cadendo.
Assumiamo l’origine in corrispondenza del suolo e consideriamopositive le altezze misurate dal suolo.
La velocità con cui il punto P si muove verso il basso lungo la rettascelta come asse di riferimento è
v(t) = x(t)
170 ottavio caligaris - pietro oliva
Figura 19.2: Il sistema di riferimento
e la sua accelerazione èa(t) = x(t)
Come già detto, sul punto agisce la sola forza gravitazionale F = mg.Per le leggi di Newton si avrà allora
ma(t) = −mg
e quindix(t) = g (19.1)
La 19.1 è un semplicissimo esempio di equazione differenziale: essaimpone una relazione che coinvolge una funzione e le sue derivate.
Il moto del punto si può ricavare integrando due volte tra t e t0 = 0,es xassumiamo che il moto inizi all’istante t0 = 0.
Si ottiene
x(t) = −gt + c1 (19.2)
ex(t) = −1
2gt2 + c1t + c0 (19.3)
e si vede che per determinare in maniera unica il moto dovremo procu-rarci dei valori per c0 e c1. Questo si può fare utilizzando informazionisulla velocità e sulla posizione iniziale del punto. È subito visto infattidalla 19.2 e dalla 19.3 rispettivamente che
v0 = x(0) = c1 h0 = x(0) = c0 (19.4)
Possiamo osservare che per determinare il moto abbiamo cioè bi-sogno di conoscere posizione e velocità iniziale del punto P e ciòcorrisponde anche all’intuizione.
analisi matematica 1 november 4, 2013 171
Se teniamo conto di tali dati, possiamo affermare che il punto P simuove sull’asse x seguendo la legge
x(t) = −12
gt2 + v0t + h0 (19.5)
Possiamo descrivere lo stesso fenomeno anche usando il principiodi conservazione dell’energia.
L’energia potenziale del punto P, soggetto al solo campo gravita-zionale è, in ogni istante t,
U(t) = mgx(t)
mentre la sua energia cinetica è
12
mx2(t)
e la sua energia totale
E(t) =12
mx2(t) + mgx(t)
si mantiene costante durante il moto
12
mx2(t) + mgx(t) = mk (19.6)
Se conosciamo le condizioni iniziali v0 ed h0 siamo anche in gradodi calcolare
k =12
mv20 + mgh0
La 19.6 è una equazione differenziale, che è in grado di descriverela posizione x(t) del punto P in ogni istante t, tuttavia ricavare x datale relazione è più difficile.
Possiamo riscrivere la 19.6 come
12
x2(t) = k− gx(t) (19.7)
e da questa uguaglianza possiamo ricavare una prima informazione:
la quantità k− gx(t) deve mantenersi positiva e quindi x(t) ≤kg .
Abbiamo così ricavato una limitazione per la soluzione dell’equa-zione senza risolverla, abbiamo ottenuto cioè una limitazione a prioriper la soluzione dell’equazione.
Osserviamo anche che
172 ottavio caligaris - pietro oliva
x(t) = kg è una soluzione costante dell’equazione 19.7
Per cercare soluzioni non costanti possiamo applicare la radice adentrambi i membri
x(t) = ±√
2k− 2gx(t) (19.8)
e dividere per il secondo membro
x(t)√2k− 2gx(t)
= ±1 (19.9)
Ora, se moltiplichiamo per g
gx(t)√2k− 2gx(t)
= ±g (19.10)
ed integriamo tra t0 = 0 e t, otteniamo∫ t
0
gx(s)√2k− 2gx(s)
ds = ±gt (19.11)
dove tuttavia il primo integrale non può essere calcolato in quanto lafunzione integranda dipende dalla funzione incognita x(t).
Possiamo integrare per sostituzione ponendo
u = x(s) , du = x(s)ds
osservando che per s = 0 e s = t avremo x(s) = x(0) = h0 e x(s) =
x(t), da cui si ricava che v0 = ±√
2k− 2gx0, avremo∫ x(t)
x0
gdu√2k− 2gu
= ±gt (19.12)
A questo punto possiamo calcolare l’integrale a sinistra ed ottenereche √
2k− 2gx(t)−√
2k− 2gx0 = ±gt (19.13)√2k− 2gx(t) = ±gt + v0 (19.14)
2k− 2gx(t) = (±gt + v0)2 (19.15)
x(t) =kg− 1
2g(±gt + v0)
2 (19.16)
La 19.16 descrive il moto del punto negli stessi termini ottenuti inprecedenza; il segno ± di ±gt si può determinare dalla 19.8: poichè ilmoto avviene con continuità il segno dovrà essere lo stesso di v0.
La scelta del segno e la validità dell’equazione si mantengono finoa quando la derivata di x(t), cioè la velocità non si annulla; questa
analisi matematica 1 november 4, 2013 173
eventualità non si verifica mai se v0 < 0 mentre ha luogo per t0 = v0g
nel caso in cui v0 > 0.In tal caso dobbiamo riconsiderare le condizioni iniziali che diven-
tanox(t0) = x(t0) = 0
e quindi non forniscono indicazioni sul segno da attribuire alla radiceche rappresenta la velocità nella 19.8.
Dobbiamo quindi esaminare tutti i casi disponibili:
1. se supponiamo che il moto abbia velocità positive
x(t) = +√
2k− 2gx(t) (19.17)
2. se supponiamo che il moto abbia velocità negative
x(t) = −√
2k− 2gx(t) (19.18)
3. se supponiamo che il moto abbia velocità nulla entrambe le prece-denti sono accettabili.
Osserviamo che a questo punto occorre distinguere tra risultato delmodello e soluzione dell’equazione differenziale: infatti
È evidente che per t > t0 la 19.17 non può più rappresentare ilmoto del punto materiale P in quanto il moto avviene con velocitànegativa, il che non è consentito dalla 19.17.
L’unica soluzione prevista dalla 19.17 è quella costante chetuttavia è in contrasto con l’evidenza del fenomeno.
Dovremo pertanto considerare le soluzioni dell’equazione19.18 per trovare la descrizione del seguito del movimento.
20 - EQUAZIONI DIFFERENZIALI A VARIABILI SE-PARABILI.
Risolvere una equazione differenziale a variabili separabili, significatrovare una funzione y, che sia derivabile e per cui si abbia
y′(x) = f (x)g(y(x))
con f , g assegnate.Più precisamente possiamo dire che
Se I, J ⊂ R sono intervalli aperti e non vuoti ed f : I −→ R ,g : J −→ R sono due funzioni, diciamo che risolviamo l’equazionedifferenziale a variabili separabili
y′(x) = f (x)g(y(x)) (20.1)
se troviamo un intervallo I′ ⊂ I ed una funzione y : I′ −→ J taleche la 20.1 sia soddisfatta per ogni x ∈ I′
Quando si cercano soluzioni di un’equazione differenziale che sod-disfino anche un dato iniziale, si parla di problema di Cauchy.
Precisamente se
I, J ⊂ R sono intervalli aperti x0 ∈ I, y0 ∈ J, f : I −→ R
e g : J −→ R sono funzioni; chiamiamo problema di Cauchy avariabili separabili il problema di trovare I′ ⊂ I ed y : I′ −→ R,derivabile, tali chey′(x) = f (x)g(y(x)) , ∀x ∈ I′
y(x0) = y0(20.2)
Vale il seguente teorema di esistenza ed unicità della soluzione delproblema di Cauchy a variabili separabili, per dimostrare il quale pro-
176 ottavio caligaris - pietro oliva
cediamo in maniera costruttiva utilizzando un metodo che, di fatto,consente di risolvere l’equazione.
La dimostrazione è, in questo caso, molto più utile dell’enunciato,ma anche le condizioni di esistenza ed unicità della soluzione sono difondamentale importanza.
Nei teorema che segue giocano un ruolo fondamentale il fatto cheI e J siano intervalli aperti e che g(y) 6= 0 ∀y ∈ J.
Quest’ultima condizione è certamente soddisfatta se g è continua ese g(y0) 6= 0 a meno di considerare un’intervallo J piì piccolo.
Teorema 20.1 Siano I, J ⊂ R, intervalli aperti, siano x0 ∈ I, y0 ∈ Je siano f : I −→ R, g : J −→ R due funzioni continue, supponiamoinoltre che g(y) 6= 0, per ogni y ∈ J.
Allora esiste un intervallo I′ ⊂ I e una ed una sola soluzione y :I′ −→ J del problema di Cauchy 20.2.
Dimostrazione. y è soluzione del problema assegnato se e solose
y′(x)g(y(x)) = f (x)
y(x0) = y0(20.3)
e ciò si verifica se e solo se∫ x
x0
y′(t)g(y(t))
dt =∫ x
x0
f (t)dt (20.4)
se e solo se ∫ y(x)
y0
dsg(s)
=∫ x
x0
f (t)dt (20.5)
se e solo se, dette F e G due primitive di f ed 1/g su I e Jrispettivamente,
G(y(x))− G(y0) = F(x)− F(x0) (20.6)
R(G − G(y0)) e R(F − F(x0)) sono intervalli per la continuitàdelle medesime, entrambi contengono 0 e R(G) contiene 0 al suointerno in virtù del fatto che G è strettamente monotona in quantog = G′ ha segno costante inoltre G è invertibile.
Ciò assicura che esiste un intervallo I′, aperto e contenente x0
in cui l’uguaglianza vale ed in tale intervallo si può scrivere che
y(x) = G−1(F(x) + G(y0)− F(x0)). (20.7)
2
analisi matematica 1 november 4, 2013 177
È importante anche ricordare due risultati di esistenza e di unicitàla cui dimostrazione non è opportuna a questo punto, che possiamotuttavia utilizzare per ottenere informazioni sull’esistenza e l’unicitàdella soluzione di un problema di Cauchy.
Siano I, J ⊂ R, intervalli aperti, siano x0 ∈ I, y0 ∈ J e sianof : I −→ R, g : J −→ R due funzioni continue.
Allora esiste un intervallo I′ ⊂ I e una soluzione y : I′ −→ Jdel problema di Cauchy 20.2.
Se inoltre g ∈ C1,cioè se ammette derivata prima continua,allora la soluzione è anche unica.
L’unicità è anche assicurata dalla lipschitzianità di g cioè dallacondizione
|g(x)− g(y)| ≤ L|x− y| (20.8)
Vale la pena di ricordare che, usando il teorema di Lagrange, sipuò dimostrare che una funzione che abbia derivata prima limitataè lipschitziana: infatti se |g′(c)| ≤ L si ha
|g(x)− g(y)| = |g′(c)||x− y| ≤ L|x− y| (20.9)
Ricordiamo anche che se g ∈ C1, il teorema di Weierstraß assi-cura che |g′| ( che è continua) ammette massimo su ogni intornochiuso e limitato di x0
Possiamo procedere alla soluzione dell’equazione differenziale avariabili separabili anche senza precisi riferimenti ai dati iniziali se-guendo essenzialmente gli stessi passi percorsi in precedenza
Siano f e g continue sugli intervalli aperti I e J e supponiamoche g(y) 6= 0 su J;
Consideriamo l’equazione a variabili separabili
y′(x) = f (x)g(y(x)) (20.10)
Dal momento che g(y) 6= 0 in J, avremo che la 20.10 èsoddisfatta in I′ se e solo se
y′(x)g(y(x))
= f (x)
e, dette F e G due primitive in I e J di f ed 1/g rispettivamente,l’ultima uguaglianza è equivalente a
G(y(x)) = F(x) + c (20.11)
178 ottavio caligaris - pietro oliva
con c ∈ R (ricordiamo che stiamo lavorando su intervalli e quindidue primitive differiscono per costante).
Ora, se fissiamo x0 interno ad I e chiamiamo y(x0) = y0 ∈ J,posto
c = G(y0)− F(x0)
avremo che la 20.11 diventa
G(y(x))− G(y0) = F(x)− F(x0) (20.12)
ed è verificata almeno in un intervallo I′ ⊂ I.Infatti R(G− G(y0)) e R(F− F(x0)) sono intervalli per la con-
tinuità delle medesime, entrambi contengono 0 e R(G) contiene 0al suo interno in virtù del fatto che G è strettamente monotona inquanto g = G′ ha segno costante inoltre G è invertibile.
Pertanto possiamo ricavare
y(x) = G−1(F(x) + c)
per x ∈ I′.
Il procedimento sopra esposto fornisce, al variare di c, l’insiemedi tutte le soluzioni dell’equazione differenziale a variabili separabiliconsiderata. Allorquando necessiti trovare le soluzioni dell’equazioneconsiderata, che soddisfino di più la condizione y(x0) = y0, x0 ∈ I,y0 ∈ J, è sufficiente considerare c = G(y0) − F(x0) ed osservare chetale scelta di c consente di determinare I′ ⊂ I tale che F(I′)+ c ⊂ G(J).In tal caso si risolve un problema di Cauchy.
Per una corretta risoluzione di un’equazione a variabili separabi-li non va trascurato di considerare quanto accade se g si annulla inqualche punto.
Ricordiamo che per separare le variabili occorre dividere per g equindi in questo caso non si può procedere già dall’inizio.
È ragionevole limitarci al caso in cui y0 è uno zero isolato di g, cioèse esiste un intorno di y0 in cui g non si annulla altre volte.
In tal caso possiamo osservare che la funzione
y(x) = y0
è una soluzione dell’equazione, che in presenza di condizioni cheassicurino l’unicità è anche la sola soluzione possibile.
Qualora non sussistano tali condizioni occorre indagare l’esistenzadi altre soluzioni; a questo scopo si procede studiando l’equazione per
analisi matematica 1 november 4, 2013 179
y 6= y0 e, giunti al punto di considerare
∫ y(x)
y0
dsg(s)
=∫ x
x0
f (t)dt (20.13)
prima di procedere, occorre studiare l’esistenza in senso impropriodell’integrale a sinistra.
Le informazioni che abbiamo sull’integrazione impropria ci con-sentono allora di capire che:
• se g è infinitesima in y0 di ordine α ≥ 1. la primitiva G di 1/g nonpuò essere prolungata per continuità in y0 e pertanto la soluzionecostante è l’unica possibile.
• Se invece g è infinitesima in y0 di ordine α ≤ β < 1, β ∈ R . AlloraG può essere prolungata per continuità in y0 e, si può procedereoltre.
Proviamo infine un risultato riguardante una disequazione diffe-renziale che è spesso utile per trovare limitazioni a priori per soluzionidi equazioni differenziali che non si è in grado di risolvere.
Lemma 20.1 - di Gronwall - Siano y, f : I −→ R+ funzioni continue, Iintervallo, e siano c > 0, x0 ∈ I; allora se
y(x) ≤∣∣∣∣∫ x
x0
f (t)y(t)dt∣∣∣∣+ c
per ogni x ∈ I si ha
0 ≤ y(x) ≤ ce|∫ x
xo f (t)dt|
per ogni x ∈ I.
Dimostrazione. Supponiamo x ≥ x0 ; dividendo ambo i membri peril secondo e moltiplicando poi per f (x) si ottiene (si ricordi che f ≥ 0,c > 0)
y(x) f (x)c +
∫ xx0
f (t)y(t)dt≤ f (x)
da cuid
dx
[ln(
c +∫ x
x0
f (t)y(t)dt)]≤ f (x).
Integrando ora tra x0 ed x si ha
ln(
c +∫ x
x0
f (t)y(t)dt)− ln c ≤
∫ x
x0
f (t)dt
ondec +
∫ x
x0
f (t)y(t)dt ≤ ce∫ x
xo f (t)dt.
180 ottavio caligaris - pietro oliva
ey(x) ≤ c +
∫ x
x0
f (t)y(t)dt ≤ ce∫ x
xo f (t)dt
Se x ≤ x0 si procede in modo analogo solo tenendo conto di uncambiamento di segno. 2
Corollario 20.1 Siano y, f : I −→ R+ continue, I intervallo, e sia x0 ∈ I;allora se
y(x) ≤∣∣∣∣∫ x
x0
f (t)y(t)dt∣∣∣∣ ∀x ∈ I
si hay(x) = 0 ∀x ∈ I
Dimostrazione. Si ha
y(x) ≤∣∣∣∣∫ x
x0
f (t)y(t)dt∣∣∣∣+ c ∀c > 0
e pertanto
0 ≤ y(x) ≤ ce|∫ x
xo f (t)dt| ∀c > 0
per cui, al limite per c→ 0+, si ha y(x) ≡ 0 . 2
Se nel lemma di Gronwall si suppone
y(x) ≤∣∣∣∣∫ x
x0
f (t)y(t)dt∣∣∣∣+ c(x)
con c crescente, si prova che
0 ≤ y(x) ≤ c(x)e|∫ x
xo f (t)dt|
21 - ESEMPI NOTEVOLI DI PROBLEMI DI CAU-CHY
21.1 Esempio
Consideriamo l’equazione
y′(x) = y2(x) (21.1)
Osserviamo innanzi tutto che y(x) ≡ 0 è soluzione dell’equazione.Se y(x) 6= 0 possiamo separare le variabili
y′(x)y2(x)
= 1 (21.2)
ed integrando tra x0 ed x
∫ x
x0
y′(t)y2(t)
dt = x− x0 (21.3)
posto s = y(t), avremo ds = y′(t)dt e
∫ y(x)
y(x0)=y0
dss2 = x− x0 (21.4)
Poichè 1s2 è infinita in s = 0 di ordine 2, non è integrabile in s = 0
(intendiamo con ciò che non è integrabile in intervalli che contengano0). Pertanto y ed y0 dovranno avere sempre lo stesso segno: solu-zioni che partono con valori y0 positivi (negativi), rimangono positive(negative).
Sotto tale condizione avremo che
−1y+
1y0
= x− x0 (21.5)
1y=
1y0
+ x0 − x = c− x (21.6)
dove si sia definitoc =
1y0
+ x0
182 ottavio caligaris - pietro oliva
Osserviamo inoltre che al variare di x0 ed y0 c può assumere tutti ivalori reali.
Le soluzioni dell’equazione saranno pertanto date da
y(x) =1
c− x(21.7)
ed il loro grafico è indicato in figura 21.1.
21.2 Esempio
Consideriamo l’equazione
y′(x) =√
y(x) (21.8)
Osserviamo innanzi tutto che deve essere y(x) ≥ 0 e che y(x) ≡ 0è soluzione dell’equazione.
Se y(x) 6= 0 possiamo separare le variabili
y′(x)√y(x)
= 1 (21.9)
ed integrando tra x0 ed x
∫ x
x0
y′(t)√y(t)
dt = x− x0 (21.10)
posto s = y(t), avremo ds = y′(t)dt e
∫ y(x)
y(x0)=y0
ds√s= x− x0 (21.11)
Poichè 1√s è infinita in s = 0 di ordine 1/2, è integrabile in s = 0
(intendiamo con ciò che è integrabile in intervalli che contengano 0).Pertanto y ed y0 potranno assumere anche il valore 0. Avremo
2√
y− 2√
y0 = x− x0 (21.12)√
y =12(x− x0 + 2
√y0) =
12(x + c) (21.13)
analisi matematica 1 november 4, 2013 183
dove si sia definitoc = 2
√y0 − x0
Osserviamo inoltre che la 21.13 impone che deve essere
12(x + c) ≥ 0 cioè x ≥ −c
Osserviamo che al variare di x0 ed y0 c può assumere tutti i valorireali.
Le soluzioni dell’equazione saranno pertanto date da
y(x) =14(x + c)2 per x ≥ −c (21.14)
ed il loro grafico è indicato in figura 21.2.
21.3 Esempio
Consideriamo l’equazione
y′(x) = x√
y(x) (21.15)
Osserviamo innanzi tutto che deve essere y(x) ≥ 0 e che y(x) ≡ 0è soluzione dell’equazione.
Se y(x) 6= 0 possiamo separare le variabili
y′(x)√y(x)
= x (21.16)
ed integrando tra x0 ed x
∫ x
x0
y′(t)√y(t)
dt =∫ x
x0
tdt (21.17)
posto s = y(t), avremo ds = y′(t)dt e
∫ y(x)
y(x0)=y0
ds√s=
x2
2−
x20
2(21.18)
184 ottavio caligaris - pietro oliva
Poichè 1√s è infinita in s = 0 di ordine 1/2, è integrabile in s = 0
(intendiamo con ciò che è integrabile in intervalli che contengano 0).Pertanto y ed y0 potranno assumere anche il valore 0. Avremo
2√
y− 2√
y0 =x2
2−
x20
2(21.19)
√y =
x2
4+ (√
y0 −x2
02) =
x2
4+ c (21.20)
dove si sia definito
c =√
y0 −x2
02
Osserviamo che la 21.19 impone che deve essere
x2
4+ c ≥ 0 cioè
sempre se c > 0
|x| ≥ −2c se c < 0
Osserviamo che al variare di x0 ed y0 c può assumere tutti i valorireali.
Le soluzioni dell’equazione saranno pertanto date da
y(x) =(
x2
4+ c)2
(21.21)
sotto le condizioni indicate per x ed il loro grafico è indicato in figura21.3.
21.4 Esempio
Consideriamo l’equazione
y′(x) = −x√
y(x) (21.22)
Osserviamo innanzi tutto che deve essere y(x) ≥ 0 e che y(x) ≡ 0è soluzione dell’equazione.
Se y(x) 6= 0 possiamo separare le variabili
y′(x)√y(x)
= −x (21.23)
analisi matematica 1 november 4, 2013 185
ed integrando tra x0 ed x
∫ x
x0
y′(t)√y(t)
dt = −∫ x
x0
tdt (21.24)
posto s = y(t), avremo ds = y′(t)dt e
∫ y(x)
y(x0)=y0
ds√s= − x2
2+
x20
2(21.25)
Poichè 1√s è infinita in s = 0 di ordine 1/2, è integrabile in s = 0
(intendiamo con ciò che è integrabile in intervalli che contengano 0).Pertanto y ed y0 potranno assumere anche il valore 0. Avremo
2√
y− 2√
y0 = − x2
2+
x20
2(21.26)
√y = − x2
4+ (√
y0 +x2
02) = − x2
4+ c (21.27)
dove si sia definito
c =√
y0 +x2
02
Osserviamo che la 21.27 impone che deve essere
− x2
4+ c ≥ 0 cioè
mai se c < 0
|x| ≤ −2c se c < 0
Osserviamo che al variare di x0 ed y0 c può assumere solo valoripositivi.
Le soluzioni dell’equazione saranno pertanto date da
y(x) =(− x2
4+ c)2
(21.28)
sotto le condizioni indicate per x ed il loro grafico è indicato in figura21.4.
186 ottavio caligaris - pietro oliva
21.5 Esempio
Consideriamo l’equazione
y′(x) =√
1− y2(x) (21.29)
Osserviamo innanzi tutto che deve essere |y(x)| ≤ 1 e che y(x) ≡±1 è soluzione dell’equazione.
Se y(x) 6= ±1 possiamo separare le variabili
y′(x)√1− y2(x)
= 1 (21.30)
ed integrando tra x0 ed x
∫ x
x0
y′(t)√1− y2(t)
dt = x− x0 (21.31)
posto s = y(t), avremo ds = y′(t)dt e
∫ y(x)
y(x0)=y0
ds√1− s2
= x− x0 (21.32)
Poichè 1√1−s2 è infinita in s = ±1 di ordine 1/2, è integrabile in s =
±1 (intendiamo con ciò che è integrabile in intervalli che contengano±1). Pertanto y ed y0 potranno assumere anche il valore ±1. Avremo
arcsin y(x)− arcsin y0 = x− x0 (21.33)
arcsin y(x) = x− x0 + arcsin y0 = x + c (21.34)
dove si sia definito
c = arcsin y0 − x0
Osserviamo che la 21.34 impone che deve essere
|x + c| ≤ π
2
Osserviamo che al variare di x0 ed y0 c può assumere tutti i valorireali.
Le soluzioni dell’equazione saranno pertanto date da
y(x) = sin(x + c) (21.35)
sotto le condizioni indicate per x ed il loro grafico è indicato in figura21.5.
analisi matematica 1 november 4, 2013 187
21.6 Esempio
Consideriamo il problema di Cauchyy′(x) = e−(y(x))4 − 1
y(x0) = y0(21.36)
Possiamo scrivere
y′(x) = f (x)g(y(x)
se definiamo f (x) = 1 e g(y) = e−y4 − 1;Si ha f ∈ C0(R) e g ∈ C1(R), e quindi si avrà una ed una sola
soluzione per ogni x0 ∈ R ed y0 ∈ R.L’equazione ammette soluzioni costanti che possono essere trovate
ponendo y(x) = c e sostituendo; avremo
0 = e−c4 − 1
per cui la sola soluzione costante è y(x) = c = 0.Nel caso in cui y0 = 0 la soluzione costante è anche l’unica solu-
zione del problema di Cauchy .Se fissiamo x0 = 0 ed y0 = 1. possiamo supporre y(x) 6= 0 in un
intorno di 0 e separando le variabili ed integrando tra 0 ed x si ottiene
y′(x)e−(y(x))4 − 1
= 1 (21.37)∫ x
0
y′(t)e−(y(t))4 − 1
dt =∫ x
0dt (21.38)
ovvero ∫ y(x)
1
dse−s4 − 1
= x
Studiamo ora la funzione integrale a primo membro h(y) =∫ y
1ds
e−s4−1.
Poiché l’integranda è definita e continua per s 6= 0 e
lims→0
1e−s4 − 1
= −∞
di ordine 4, l’integrale è divergente per in 0; ne segue che, essendoil primo estremo di integrazione positivo, la funzione è definita pery > 0.
188 ottavio caligaris - pietro oliva
Inoltrelim
s→+∞
1e−s4 − 1
= −1
da cui l’integrale è divergente anche per y→ +∞.Si ha infine h(1) = 0 e h′(y) =] f rac1e−y4 − 1 essendo l’integranda
continua per y > 0, e tale derivata risulta sempre negativa.Possiamo anche osservare che
h′′(y) =4y3e−y4
(e−y4 − 1)2> 0
per ogni y > 0, per cui la funzione risulterà convessa; inoltre, poiché
limy→+∞
h′(y) = −1
il grafico della funzione tenderà a diventare parallelo alla bisettrice delsecondo e quarto quadrante)
Il grafico della funzione h è indicato nella figura;
(a) Grafico 1 (b) Grafico2 (c) Grafico3
Poichè deve aversih(y(x)) = x
il grafico della soluzione del problema di Cauchy sarà quello dell’in-versa di h, come riportato nella figura 21.6.21.6.
Per disegnare il grafico delle soluzioni del problema di Cauchydato al variare dei dati iniziali x0, y0 ∈ R. possiamo osservare chel’equazione data è un’equazione differenziale autonoma, e quindi sey(x) è soluzione, anche y(x + a) è soluzione per ogni a ∈ R.
Pertanto tutte le traslate (in orizzontale) della soluzione trovatasono ancora soluzioni, per y > 0.
Per quanto riguarda le soluzioni per y < 0, ripetendo i calcoli fatti,ad esempio con x0 = 0 e y0 = −1, si ha∫ y(x)
−1
dse−s4 − 1
= x
analisi matematica 1 november 4, 2013 189
e con considerazioni analoghe si ottengono le curve indicate in figura21.6.21.6
(Si noti che, se y(x) è soluzione dell’equazione differenziale, tale èpure −y(−x), ovvero i grafici delle soluzioni sono simmetrici rispettoall’origine).
21.7 Esempio
Si consideri il problema di Cauchyy′(x) = 6x2√
y(x)
y(x0) = 1
Si tratta di un problema a variabili separabili con f (x) = 6x2 de-finita e continua su tutto R, e g(y) =
√y definita e di classe C1 per
y > 0; pertanto essendo y0 = 1, per il teorema di esistenza ed unicità,esiste una ed una sola soluzione del problema dato, per ogni x0 ∈ R.
Separando le variabili, per y(x) > 0, si ottiene
y′(x)√y(x)
= 6x2
ed integrando tra 0 ed x∫ x
0
y′(t)√y(t)
dt =∫ x
06t2 dt
ovvero
2√
y(x)− 2√
y(0) = 2x3 da cui√
y(x) = 1 + x3
Elevando al quadrato i due membri, dopo aver osservato che 1 +
x3 > 0 e cioè x > −1, si ottiene
y(x) = (1 + x3)2 , x > −1
(si noti che la soluzione è prolungabile, in modo unico, con y(x) = 0per x ≤ −1).
Il grafico delle soluzioni è riportato in figura 21.7
190 ottavio caligaris - pietro oliva
22 - SISTEMI ED EQUAZIONI DIFFERENZIALI LI-NEARI
Un altro tipo importante di equazioni di equazioni differenziali è co-stituito dalle equazioni lineari. La più semplice equazione lineare puòessere scritta nella forma
y′(x) = a(x)y(x) + b(x) (22.1)
Se a, b ∈ Co(I), l’equazione 22.1 ammette una ed una soluzione de-finita su tutto I; questa è forse una delle più importanti caratteristichedi questo tipo di equazioni e si può facilmente verificare, in questocaso, direttamente.
Sia x0 ∈ I, ed y0 ∈ R, e sia A una primitiva di a in I. L’esistenzadi A è assicurata dalla continuità di a; ad esempio possiamo porreA(x) =
∫ xxo
a(t)dt.La 22.1 è vera se e solo se
e−A(x)y′(x)− e−A(x)a(x)y(x) = b(x)e−A(x)
e ciò è equivalente a
ddx
(e−A(x)y(x)
)= b(x)e−A(x).
Integrando tra x0 ed x, si ottiene
e−A(x)y(x) = y0 +∫ x
x0
b(t)e−A(t)dt
ed infine
y(x) = e A(x)(
y0 +∫ x
x0
b(t)e−A(x) dt)
(22.2)
Quanto abbiamo esposto consente di affermare che tutte le solu-zioni dell’equazione 22.1 si ottengono, al variare di y0 ∈ R, dalla22.2.
Osserviamo anche che la 22.2 stessa può essere riscritta nella se-guente maniera:
y(x) = y0e∫ x
xo a(t)dt + e∫ x
xo a(t)dt∫ x
x0
b(t)e−∫ t
xo a(s)dsdt
192 ottavio caligaris - pietro oliva
in accordo con i risultati che proveremo nel seguito per il caso piùgenerale.
La 22.2 costituisce, al variare di y0, l’integrale generale dell’equa-zione 22.1.
I passi successivi consistono nel considerare equazioni lineari diordine superiore oppure sistemi di equazioni del primo ordine.
Un’equazione lineare di ordine n si può scrivere nella forma
y(n)(x) =n
∑i=1
aiy(i−1)(x) + b(x) (22.3)
dove ai, b ∈ C0 mentre un sistema lineare di ordine n si scrive nellaforma
Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x) (22.4)
dove A(x) = {aij(x)} e B(x) = {bi(x)} sono una matrice ed un vettorei cui elementi sono funzioni continue su un intervallo I; (scriviamoA ∈ Ck(I), B ∈ Ck(I) quando intendiamo pertanto affermare che aij ∈Ck(I), bi ∈ Ck(I) per i, j = 1, ..., n).
Il sistema può essere riscritto usando le componenti di Y, A, B,nella seguente maniera
y′1(x)y′2(x)
...y′n(x)
=
a11(x) a12(x) . . . a1n(x)a21(x) a22(x) . . . a2n(x)
......
. . ....
an1(x) an2(x) . . . ann(x)
y1(x)y2(x)
...yn(x)
+
b1(x)b2(x)
...bn(x)
(22.5)
ed anche, in forma più compatta
y′i(x) =n
∑j=1
aij(x)yj(x) + bi(x) , i = 1, ..., n (22.6)
Qualora B ≡ 0 il sistema si dice omogeneo e assume la forma
Y′(x) = A(x)Y(x) (22.7)
Quando n = 1 il sistema si riduce ad una sola equazione differen-ziale lineare del primo ordine che, posto A = (a11) = a e B = b1 = b,si scrive nella forma
y′(x) = a(x)y(x) + b(x)
L’insieme T di tutte le soluzioni di 22.4 si chiama integrale generaledel sistema .
Quando si associa al sistema o all’equazione differenziale un op-portuno insieme di condizioni iniziali parliamo di problema di Cau-chy Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x) , ∀x ∈ I
Y(x0) = Y0(22.8)
analisi matematica 1 november 4, 2013 193
y(n)(x) = an(x)y(n−1)(x) + .... + a1(x)y(x) + b(x) , ∀x ∈ I
y(x0) = y0, y′(x0) = y1, . . . , y(n−1)(x0) = yn−1
(22.9)sono problemi di Cauchy.
Lo studio di un sistema consente di trovare risultati anche perl’equazione di ordine n; sia infatti
y(n)(x) = an(x)y(n−1)(x) + . . . + a1(x)y(x) + b(x) (22.10)
una equazione differenziale lineare di ordine n e poniamo
yi(x) = y(i−1)(x) , i = 1, . . . , n. (22.11)
(Per chiarire le idee osserviamo che si avrà y1(x) = y(x) , .... ,yn(x) = y(n−1)(x) ).
Possiamo riscrivere l’equazione nella seguente forma
y′1(x) = y2(x)
y′2(x) = y3(x)
. . .
. . .
y′n(x) = an(x)yn(x) + .... + a1(x)y1(x) + b(x)
(22.12)
ed anche come
Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x)
non appena si sia definito
A(x) =
0 1 0 . . . 00 0 1 . . . 0...
......
. . ....
a1(x) a2(x) a3(x) . . . an(x)
B(x) =
00...
b(x)
Vale il seguente teorema di cui è importante in questo contesto solo
l’enunciato.
Teorema 22.1 Siano A: I −→Mn, B : I −→ Rn continue e siano x0 ∈ I,Y0 ∈ Rn.
Allora esiste una ed una sola soluzione del problema di CauchyY′(x) = A(x)Y(x) + B(x) , ∀x ∈ I
Y(x0) = Y0(22.13)
Il teorema precedente consente di provare un risultato di esistenzaanche per le equazioni differenziali lineari di ordine n.
194 ottavio caligaris - pietro oliva
Teorema 22.2 Siano ai, b ∈ C0(I), i = 1, ..., n e siano x0 ∈ I, yi ∈ R, i =0, ..., n− 1. Allora esiste una ed una sola soluzione y : I −→ R del problemadi Cauchy y(n)(x) = ∑n
i=1 ai(x)y(i−1)(x) + b(x)
y(i)(x0) = yi , i = 0, ..., n− 1(22.14)
Proviamo ora che l’insieme delle soluzioni di un sistema diffe-renziale lineare, cioè l’integrale generale di un sistema differenzialeomogeneo del primo ordine è uno spazio vettoriale avente dimensioneuguale al numero di equazioni del sistema stesso.
Teorema 22.3 Sia A ∈ C0(I) e consideriamo il sistema differenziale linearedel primo ordine
Y′(x) = A(x)Y(x);
sia S il suo integrale generale. Allora S è uno spazio vettoriale di dimensionen.
Dimostrazione. E’ immediato verificare che S è uno spazio vetto-riale in quanto si vede subito che se y e z sono soluzioni del sistemaassegnato tali risultano anche αy + βz ove α, β sono scalari.
Per provare che dim S = n è sufficiente osservare che, per ilteorema di esistenza ed unicità della soluzione l’applicazione lineare
Γ : S −→ Rn
definita daΓ(Y) = Y(x0) , x0 ∈ I
è un isomorfismo. 2
In base al teorema precedente è possibile affermare che ogni solu-zione di un sistema differenziale lineare omogeneo di n equazioni in nincognite può essere espressa mediante un combinazione lineare di nsoluzioni linearmente indipendenti del sistema stesso.
Siano esse Y1, ..., Yn e sia (yi)j la componente j-esima della i-esimasoluzione.
Possiamo allora costruire la matrice
G =
(y1)1 (y2)1 . . . (yn)1
(y1)2 (y2)2 . . . (yn)2...
.... . .
...(y1)n (y2)n . . . (yn)n
(22.15)
che indicheremo spesso come
G = (Y1, Y2, ....., Yn)
considerando gli Yi come vettori colonna, e che si chiama matricefondamentale del sistema assegnato.
analisi matematica 1 november 4, 2013 195
È possibile verificare che se G è una matrice fondamentale delsistema omogeneo 22.7 allora si ha
G′(x) = A(x)G(x) (22.16)
Il sistema 22.16 è un sistema differenziale lineare di n2 equazioni in n2
incognite.Ogni soluzione del nostro sistema potrà allora essere scritta nella
formaY(x) = G(x)C , C ∈ Rn
ovvero, considerando le componenti,
yi(x) =n
∑j=1
(yj)icj.
Anche lo spazio delle soluzioni di un sistema differenziale lineareordinario del primo ordine non omogeneo è strutturato in manieramolto precisa.
Teorema 22.4 Siano A ∈ C0(I) B ∈ C0(I) e consideriamo il sistema diffe-renziale lineare non omogeneo del primo ordine
Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x)
Sia T l’integrale generale del sistema assegnato e sia S l’integrale generaledel sistema omogeneo ad esso associato
Y′(x) = A(x)Y(x)
sia ancora z ∈ C0(I) tale che
Z′(x) = A(x)Z(x) + B(x)
AlloraT = Z + S
e T è uno spazio lineare affine di dimensione n.
Dimostrazione. E’ evidente che T ⊃ Z + S ; sia viceversa Y ∈ T ,è facile verificare che Y − Z soddisfa il sistema omogeneo associato epertanto Y− Z ∈ S da cui Y ∈ Z + S . 2
Definizione 22.1 Siano Y1, Y2, ....., Yn n soluzioni del sistema differenzialelineare omogeneo
Y′(x) = A(x)Y(x)
Chiamiamo determinante wronskiano, o più semplicemente wronskiano,associato alle n soluzioni assegnate il determinante della matrice
(Y1, Y2, ....., Yn)
196 ottavio caligaris - pietro oliva
In altri termini
W(x) = det
(y1(x))1 (y2(x))1 . . . (yn(x))1
(y1(x))2 (y2(x))2 . . . (yn(x))2...
.... . .
...(y1(x))n (y2(x))n . . . (yn(x))n
(22.17)
Proviamo ora una interessante proprietà del wronskiano.
Teorema 22.5 Siano verificate le ipotesi del teorema di esistenza ed unicitàper il sistema differenziale lineare omogeneo
Y′(x) = A(x)Y(x)
e siano Y1,Y2,...,Yn n soluzioni del sistema stesso.Sono fatti equivalenti:
1. Y1, ..., Yn sono linearmente indipendenti;
2. W(x) 6= 0 per ogni x ∈ I
3. esiste x0 ∈ I tale che W(x0) 6= 0.
Dimostrazione. Consideriamo, per ogni x fissato in I l’applicazionelineare
Γx : S −→ Rn
definita da Γx(Y) = Y(x). Per il teorema di esistenza ed unicità Γx èun isomorfismo.
• (1)⇒ (2)
Se Y1, ..., Yn sono linearmente indipendenti in S , allora
Γx(Y1), ..., Γx(Yn)
sono linearmente indipendenti in Rn e perciò
0 6= det (Γx(Y1), ..., Γx(Yn)) = det (Y1(x), ..., Yn(x)) = W(x)
per ogni x ∈ I
• (2)⇒ (3)
È ovvio.
• (3)⇒ (1)
W(x0) 6= 0 implica che Y1(x0), ..., Yn(x0) sono linearmente indipen-denti in Rn e perciò
Y1 = Γ−1x0
(Y1(x0)), ..., Yn = Γ−1x0
(Yn(x0))
sono linearmente indipendenti in S
analisi matematica 1 november 4, 2013 197
2
Per il teorema precedente è essenziale che Y1, ..., Yn siano soluzionidel sistema; se ciò non fosse, sarebbe vero solo che (2)⇒ (3)⇒ (1)
Che le altre implicazioni siano false è facilmente visto se si con-sidera il wronskiano associato alle funzioni Y1,2 : R −→ R2 definiteda
Y1(x) = (x2, 2x) , Y2(x) = (2x, 2)
oppure
Y1(x) =
(x2, 2x) x ≥ 0
0 x < 0, Y1(x) =
(x2, 2x) x ≤ 0
0 x > 0
Altrettanti risultati possono essere ottenuti per le equazioni di or-dine n.
Teorema 22.6 Siano ai, b ∈ C0(I) , i = 1, ..., n, e consideriamo l’equazionedifferenziale lineare di ordine n
y(n)(x) =n
∑i=1
ai(x)y(i−1)(x)
Sia S il suo integrale generale, allora S è uno spazio vettoriale di dimen-sione n.
Sia
y(n)(x) =n
∑i=1
aiy(i−1)(x) + b(x)
la corrispondente equazione differenziale lineare di ordine n non omogenea, esia T il suo integrale generale.T è uno spazio lineare affine di dimensione n ed inoltre
T = z + S
dove z è una soluzione della equazione non omogenea.
Il teorema precedente consente di affermare che ogni soluzione del-l’equazione differenziale lineare omogenea di ordine n si può esprime-re come combinazione lineare di n soluzioni y1, ..., yn dell’equazionestessa che siano linearmente indipendenti.
L’insieme y1, ..., yn si chiama sistema fondamentale di soluzioni perl’equazione data; in altre parole ogni soluzione y può essere espressamediante la
y(x) =n
∑i=1
ciyi(x)
dove ci ∈ R
198 ottavio caligaris - pietro oliva
Definizione 22.2 Siano y1, ..., yn n soluzioni dell’equazione differenziale li-neare di ordine n, omogenea
y(n)(x) =n
∑i=1
ai(x)y(i−1)(x)
Chiamiamo wronskiano associato alle soluzioni y1, ..., yn il determinante
W(x) = det
y1(x) y2(x) . . . yn(x)y′1(x) y′2(x) . . . y′n(x)
......
. . ....
y(n−1)1 (x) y(n−1)
2 (x) . . . y(n−1)n (x)
(22.18)
Teorema 22.7 Siano verificate le ipotesi del teorema di esistenza ed unicità esiano y1, ..., yn n soluzioni dell’equazione differenziale omogenea di ordine n
y(n)(x) =n
∑i=1
ai(x)y(i−1)(x)
Sono fatti equivalenti:
1. y1, ..., yn sono linearmente indipendenti;
2. W(x) 6= 0 per ogni x ∈ I;
3. esiste x0 ∈ I tale che W(x0) 6= 0.
Come in precedenza, usando lo stesso esempio, si vede che, qualo-ra y1, ..., yn non siano soluzioni dell’equazione, le uniche implicazioniancora vere sono (2)⇒ (3)⇒ (1)
I risultati precedenti assicurano la possibilità di trovare l’integralegenerale di un sistema non omogeneo non appena siano noti l’inte-grale generale del sistema omogeneo ad esso associato ed una solu-zione del sistema non omogeneo; è pertanto molto importante averea disposizione uno strumento che consenta, noto l’integrale genera-le del sistema omogeneo, di trovare una soluzione del sistema nonomogeneo.
Sia G una matrice fondamentale del sistema lineare omogeneo
Y′(x) = A(x)Y(x)
e x0 ∈ I. Una soluzione del sistema non omogeneo
Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x)
è data daZ(x) = G(x)
∫ x
x0
G−1(t)B(t)dt.
analisi matematica 1 november 4, 2013 199
Infatti se cerchiamo soluzioni del sistema non omogeneo della for-ma
Z(x) = G(x)λ(x)
dove λ : I −→ Rn è derivabile, dovrà aversi
Z′(x) = A(x)Z(x) + B(x)
e pertanto, poiché si può verificare che la regola di derivazione delprodotto può essere estesa anche al prodotto righe per colonne, si ha
Z′(x) = G′(x)λ(x) + G(x)λ′(x)
deve essere
G′(x)λ(x) + G(x)λ′(x) = A(x)G(x)λ(x) + B(x)
Ma G è una matrice fondamentale e quindi,
G(x)λ′(x) = B(x) e λ′(x) = G−1(x)B(x).
Se ne deduce che se
λ(x) =∫ x
x0
G−1(t)B(t)dt
Z è soluzione del sistema completo.Osserviamo inoltre che, essendo G(x)λ′(x) = B(x), per il teorema
di Cramer si ha
λ′i(x) =Wi(x)W(x)
essendo
Wi = det
(y1)1 (y2)1 . . . (yi−1)1 b1 (yi+1)1 . . . (yn)1
(y1)2 (y2)2 . . . (yi−1)2 b2 (yi+1)2 . . . (yn)2...
.... . .
......
.... . .
...(y1)n (y2)n . . . (yi−1)n bn (yi+1)n . . . (yn)n
(22.19)
e una soluzione del sistema non omogeneo è data da
Y(x) =n
∑i=1
λi(x)Yi(x).
Come conseguenza se G è una matrice fondamentale del sistemalineare omogeneo
Y′(x) = A(x)Y(x)
l’integrale generale del sistema lineare non omogeneo
Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x)
200 ottavio caligaris - pietro oliva
è dato da
Y(x) = G(x)(
C +∫ x
x0
G−1(t)B(t)dt)
, C ∈ Rn
Dove x0 ∈ I mentre la soluzione del problema di Cauchy relativo aidati Y(x0) = Y0 è
Y(x) = G(x)(
G−1(x0)Y0 +∫ x
x0
G−1(t)B(t)dt)
Il metodo esposto si chiama della metodo di Lagrange di variazionedelle costanti arbitrarie e può ovviamente essere applicato anche alleequazioni differenziali di ordine n non appena le si sia trasformatein un sistema. Tuttavia per le equazioni è più conveniente procederedirettamente; illustriamo qui di seguito, il caso di una equazione delsecondo ordine.
Siano a, b, c ∈ C0(I) e consideriamo l’equazione lineare del secondoordine
y′′(x) = a(x)y′(x) + b(x)y(x) + c(x).
Supponiamo note due soluzioni linearmente indipendenti dell’equa-zione differenziale omogenea associata; avremo allora a disposizionel’integrale generale dell’equazione omogenea nella forma
y(x) = c1y1(x) + c2y2(x)
Cerchiamo soluzioni per l’equazione non omogenea nella forma
z(x) = λ1(x)y1(x) + λ2(x)y2(x)
Avremoz′ = λ′1y1 + λ′2y2 + λ1y′1 + λ2y′2
e postoλ′1y1 + λ′2y2 = 0
si haz′′ = λ′1y′1 + λ′2y′2 + λ1y′′1 + λ2y′′2 .
Sostituendo si ottiene
λ′1y′1 + λ′2y′2 + λ1y′′1 + λ2y′′2 = λ1ay′1 + λ2ay′2 + λ1by1 + λ2by2 + c
e, tenuto conto che y1 e y2 sono soluzioni dell’omogenea,
λ′1y′1 + λ′2y′2 = c.
Ne viene che λ′1 e λ′2 devono soddisfare il seguente sistemaλ′1y1 + λ′2y2 = 0
λ′1y′1 + λ′2y′2 = c(22.20)
analisi matematica 1 november 4, 2013 201
da cui si possono ricavare λ′1 e λ′2 e per integrazione λ1 e λ2.Ricordiamo infine, per sommi capi, un metodo che consente di ri-
durre l’ordine di una equazione differenziale lineare, qualora sia notauna soluzione dell’equazione stessa.
Ci occuperemo qui di mostrare come esso funziona nel caso di unaequazione del secondo ordine, essendo l’estensione del metodo deltutto ovvia per equazioni lineari di ordine superiore.
Consideriamo pertanto a, b ∈ C0(I) e l’equazione differenziale diordine 2
y′′(x) = a(x)y′(x) + b(x)y(x).
Supponiamo nota una soluzione z dell’equazione, tale che z(x) 6= 0∀x ∈ I.
Cerchiamo soluzioni dell’equazione nella forma y(x) = u(x)z(x)Derivando e sostituendo nell’equazione otteniamo che
u′′z + 2u′z′ + uz′′ = au′z + auz′ + buz
e, tenuto conto che z è soluzione,
u′′z + 2u′z′ − au′z = 0
Posto v = u′ si hav′z + v(2z′ − az) = 0
e quindi, poiché z 6= 0,
v′ + v(2z′
z− a) = 0.
Se ne deduce che deve essere
v(x) = e−∫ x
xo 2 z′(t)z(t) dt+
∫ xxo a(t)dt
e quindi
v(x) =(
z(x0)
z(x)
)2
e∫ x
xo a(t)dt.
Pertanto una soluzione sarà
v(x) =1
(z(x))2 e∫ x
x0a(t)dt
eu(x) =
∫ x
x0
1(z(t))2 e
∫ txo a(s)dsdt
da cui si può ricavare la soluzione cercata.La soluzione trovata risulta linearmente indipendente da z. Se
infattic1z(x) + c2z(x)
∫ x
x0
1(z(t))2 e
∫ txo a(s)dsdt = 0
202 ottavio caligaris - pietro oliva
per ogni ∀x si ha, per x = x0
c1z(x0) = 0 e c1 = 0
Ne viene anche che
c2z(x)∫ x
x0
1(z(t))2 e
∫ txo a(s)dsdt = 0
e c2 = 0 in quanto il secondo fattore non può mai annullarsi, se x 6= x0.Possiamo pertanto scrivere l’integrale generale dell’equazione data
come
y(x) = z(x)(
c1 + c2
∫ x
x0
1(z(t))2 e
∫ tx0
a(s)dsdt)
.
Ci occupiamo ora della soluzione di equazioni e sistemi differen-ziali lineari a coefficienti costanti della forma
Y′(x) = AY(x) + B(x)
Y′(x) = AY(x)
y(n)(x) =n
∑k=1
aky(k−1)(x) + b(x)
y(n)(x) =n
∑k=1
aky(k−1)(x)
In pratica l’integrale generale di un’equazione differenziale linearedi ordine n
y(n)(x) =n
∑k=1
aky(k−1)(x)
si può determinare come segue
1. si considera il polinomio caratteristico associato all’equazione data
P(λ) = λn −n
∑k=1
akλk−1
che si ottiene sostituendo formalmente la quantità algebrica λk ady(k)(x)
2. si trovano le n soluzioni, reali o complesse e coniugate, dell’equa-zione (a coefficienti reali)
P(λ) = 0
Consideriamo ogni soluzione λ1, .., λr con la sua molteplicità µ1, .., µr
3. in corrispondenza ad ogni valore λ, avente molteplicità µ,
• se λ è reale si considerano le funzioni
y1(x) = eλx y2(x) = xeλx · · · yµ(x) = xµ−1eλx (22.21)
analisi matematica 1 november 4, 2013 203
• se λ = α+ ıβ è complesso, allora anche il suo complesso coniuga-to λ = α− ıβè autovalore in quanto i coefficienti dell’equazionesono reali, e si considerano le funzioni
u1(x) = eαx sin βx u2(x) = xeαx sin βx · · · uµ(x) = xµ−1eαx sin βx(22.22)
v1(x) = eαx cos βx v2(x) = xeαx cos βx · · · vµ(x) = xµ−1eαx cos βx(22.23)
Si verifica che le soluzioni trovate sono tra loro linearmente indi-pendenti.
4. Si trovano così
• in corrispondenza di ogni soluzione reale λ, µ soluzioni del si-stema linearmente indipendenti
• in corrispondenza di ogni soluzione complessa e della sua coniu-gata, 2µ soluzioni del sistema linearmente indipendenti
5. siano
y1, y2, y3, . . . , yn
le soluzioni trovate nei punti precedenti.
Avremo che le soluzioni sono proprio n in quanto la somma delnumero delle soluzioni, contate con la loro molteplicità, è proprio nper il teorema fondamentale dell’algebra.
La soluzione dell’equazione sarà pertanto
y(x) =n
∑i=1
ciyi(x)
In pratica l’integrale generale del sistema Y′ = AY si può determi-nare come segue
1. si trovano gli autovalori della matrice A, λ1, .., λr e la loro moltepli-cità µ1, .., µr;
2. in corrispondenza ad ogni valore λ di A, avente molteplicità µ,
• se λ è reale si considerano le funzioni
y1(x) = eλx y2(x) = xeλx · · · yµ(x) = xµ−1eλx (22.24)
• se λ è complesso, allora anche il suo complesso coniugato èautovalore in quanto i coefficienti del sistema sono reali, e si
204 ottavio caligaris - pietro oliva
considerano le funzioni
u1(x) = eαx sin βx u2(x) = xeαx sin βx · · · uµ(x) = xµ−1eαx sin βx(22.25)
v1(x) = eαx cos βx v2(x) = xeαx cos βx · · · vµ(x) = xµ−1eαx cos βx(22.26)
Si verifica che le soluzioni trovate sono tra loro linearmente indi-pendenti.
3. Si trovano così
• in corrispondenza di ogni autovalore reale λ, µ soluzioni delsistema linearmente indipendenti
• in corrispondenza di ogni autovalore complesso e del suo coniu-gato, 2µ soluzioni del sistema linearmente indipendenti
4. sianoy1, y2, y3, . . . , yn
le soluzioni trovate nei punti precedenti.
Avremo che le soluzioni sono proprio n in quanto la somma del nu-mero delle soluzioni, contate con la loro molteplicità, è proprio n peril teorema fondamentale dell’algebra e possiamo cercare soluzioni
Y = (Yj)
del sistema omogeneo che abbiano come componenti delle combi-nazioni lineari delle funzioni yi cioè
Yj(x) =n
∑i=1
ci,jyi(x)
5. Le costanti introdotte ci,j sono in numero di n2 e quindi superioreal numero di costanti n necessario e sufficiente per descrivere l’inte-grale generale del sistema differenziale lineare omogeneo di ordinen; onde determinare solo n costanti si procede quindi sostituendonel sistema ed usando le uguaglianze trovate per ridurre il numerodi costanti libere ad n
Abbiamo con ciò gli strumenti per risolvere ogni equazione diffe-renziale ed ogni sistema differenziale lineare omogeneo, a coefficienticostanti; per risolvere i corrispondenti problemi non omogenei saràsufficiente trovare una soluzione particolare dei problemi non omo-genei stessi. Ciò può essere fatto, in generale, usando il metodo divariazione delle costanti di Lagrange, ma, nel caso dei coefficienti
analisi matematica 1 november 4, 2013 205
costanti, possiamo, se inoltre il termine noto è di forma particolar-mente semplice, trovare una soluzione particolare di forma similmentesemplice.
Più precisamente possiamo affermare che:
1. Se consideriamo l’equazione differenziale non omogenea 22.3 e se
b(x) = q(x)eλx
dove λ ∈ C e q è un polinomio di grado m a coefficienti complessi,si può trovare un polinomio r di grado al più m tale che, se µ è lamolteplicità di λ come radice del polinomio caratteristico P ,
y(x) = xµr(x)eλx
sia soluzione dell’equazione 22.3.
2. Se consideriamo il sistema differenziale non omogeneo 22.4 e se
B(x) = Q(x)eλx
dove Q è un vettore colonna i cui elementi sono polinomi a coeffi-cienti complessi, di grado minore o uguale ad m, si può trovare unvettore colonna R i cui elementi sono polinomi a coefficienti com-plessi di grado al più m + µ, dove µ è la molteplicità di λ comeradice del polinomio caratteristico P della matrice A, tale che
Y(x) = R(x)eλx
risolve il sistema 22.4.
Si può inoltre provare che, nel caso in cui i coefficienti siano reali,
1. Seb(x) = eαx[q1(x) cos(βx) + q2(x) sin(βx)]
dove q1 e q2 sono polinomi a coefficienti reali di grado massimo me α± iβ è radice del polinomio caratteristico P di molteplicità µ, sipossono trovare due polinomi r1, r2 di grado al più m tali che
y(x) = xµeαx[r1(x) cos(βx) + r2(x) sin(βx)]
sia soluzione della 22.3.
2. SeB(x) = eαx[Q1(x) cos(βx) + Q2(x) sin(βx)]
dove Q1 e Q2 sono vettori colonna i cui elementi sono polinomi acoefficienti reali di grado al più m e α± i β è radice del polinomiocaratteristico della matrice A con molteplicità µ, si possono trovareR1 ed R2 , vettori colonna i cui elementi sono polinomi a coefficientireali di grado al più m + µ, tali che
Y(x) = eαx[R1(x) cos(βx) + R2(x) sin(βx)]
sia soluzione del sistema 22.4.
206 ottavio caligaris - pietro oliva
22.1 La matrice esponenziale
Per studiare le soluzioni del sistema
Y′(x) = A(x)Y(x)
è quindi essenziale conoscere la matrice fondamentale G che possiamoindividuare come l’unica soluzione del problemaG′(x) = AG(x)
G(0) = I
Possiamo verificare, mediante sostituzione, che, se definiamo
eAt =+∞
∑0
Antn
n!= lim
N
N
∑0
Antn
n!
eAt soddisfa il problema assegnato e quindi, per il teorema di unicità
G(t) = eAt
Pertanto per conoscere la matrice fondamentale G è sufficiente calco-lare eAt.
Allo scopo osserviamo che se D(x) e S(x) sono polinomi di gradon e maggiore di n, rispettivamente, si ha
S(x) = D(x)Q(x) + R(x)
dove Q ed R sono polinomi e il grado di R è inferiore ad n.Tenendo conto che ex = ∑+∞
0xn
n! = limN ∑N0
xn
n! possiamo alloraaffermare che
ex = Q(x)D(x) + R(x)
dove il grado di R è inferiore ad n.Ora, se
D(λ) = det(A− λI)
è il polinomio caratteristico della matrice A,possiamo scrivere che
eλ = Q(λ)D(λ) + R(λ)
e calcolando per λ = λi dove λi è autovalore di A e quindi D(λi) =
0 otteniamo
eλi = Q(λi)D(λi) + R(λi) = R(λi)
Otteniamo così tante equazioni algebriche di grado n − 1 quantisono gli autovalori distinti di A; inoltre possiamo osservare che, se λi
analisi matematica 1 november 4, 2013 207
è un autovalore con molteplicità 2, oltre a D si annulla in λi anche lasua derivata prima e quindi si ha
eλ = Q′(λ)D(λ) + Q(λ)D′(λ) + R′(λ)
per cui
eλi = R′(λi)
Con simili argomenti si trovano quindi esattamente n equazionialgebriche da cui ricavare i coefficienti del polinomio R.
Poichè, per il teorema di Cayley-Hamilton possiamo affermare cheA soddisfa il suo polinomio caratteristico, cioè che
D(A) = 0
possiamo dedurre che anche
eAt = R(At)
e quindi ricavare l’espressione di eAt
22.2 L’oscillatore armonico
Un esempio molto importante di modello matematico che utilizza lateoria delle equazioni differenziali lineari è costituto dall’oscillatorearmonico.
Si consideri l’equazione del secondo ordine
x′′(t) + 2hx′(t) + ω2x(t) = K sin(αt) (22.27)
dove h, K, α > 0.Essa può descrivere il comportamento di diversi sistemi reali quali,
1. un punto materiale soggetto ad una forza di richiamo proporzio-nale alla distanza ed ad forza di attrito proporzionale alla veloci-tà, sollecitato da una forza esterna sinusoidale di ampiezza K e difrequenza α.
2. l’intensità di corrente che circola in un circuito RLC alimentato dauna forza elettromotrice sinusoidale.
Le soluzioni dell’equazione sono date da:
1. Se h > ω
x(t) = c1e(−h+θ)t + c2e(−h−θ)t + x(t)
I grafici di possibili soluzioni sono riportati nelle figure
208 ottavio caligaris - pietro oliva
Figura 22.1: Soluzioni del polinomio ca-ratteristico reali distinte una positiva eduna negativa
Figura 22.2: Soluzioni del polinomio ca-ratteristico reali distinte una positiva eduna negativa
2. Se h = ω
x(t) = c1e−ht + c2te−ht + x(t)
I grafici di possibili soluzioni sono riportati nelle figure
3. Se h < ω
x(t) = e−ht(c1 sin(θt) + c2 cos(θt)) + x(t)
I grafici di possibili soluzioni sono riportati nelle figure
dovex(t) = α sin(αt) + b cos(αt) = A sin(αt− φ)
ed inoltre si è postoθ = |h2 −ω2|1/2
a = Kω2 − α2
4h2α2 + (ω2 − α2)2
b = −K2hα
4h2α2 + (ω2 − α2)2
A =K√
4h2α2 + (ω2 − α2)2
φ = arccos( a
A
)Nel caso in cui h = 0 l’equazione diventa
x′′(t) + ω2x(t) = K sin(αt)
con k, α > 0 e rappresenta un oscillatore armonico non smorzatosollecitato da una forza esterna sinusoidale.
Le soluzioni in questo caso sono
analisi matematica 1 november 4, 2013 209
Figura 22.3: Soluzioni del polino-mio caratteristico reali distinte entrambepositive
Figura 22.4: Soluzioni del polinomio ca-ratteristico complesse e coniugate conparte reale negativa
1. Se α 6= ω
x(t) = c1 sin(ωt) + c2 cos(ωt) +K
ω2 − α2 sin(αt)
2. Se α = ω
x(t) = c1 sin(ωt) + c2 cos(ωt)− K2ω
t cos(ωt)
A =K
(4h2α2 + (ω2 − α2)2)1/2 =
=K/ω2
(4(h/ω)2(α/ω)2 + (1− (α/ω)2)2)1/2 (22.28)
conK/ω2 = .5
210 ottavio caligaris - pietro oliva
Figura 22.5: Soluzioni del polinomiocaratteristico reali coincidenti negative
Figura 22.6: Grafico di A in funzione diα ed ω
23 - Per Andare a Fondo
23.1 Sulla definizione di potenza reale
Teorema 23.1 Se x > 1 e se r ∈ Q, per ogni ε > 0 esiste nε ∈N tale che
0 < xr+1/nε − xr < ε
Dimostrazione. Per il teorema 4.13 è ovvio che
xr+1/n − xr > 0
d’altro canto si ha
xr+1/n − xr = xr(x1/n − 1)
Siayn = x1/n − 1
da cuix = (yn + 1)n > 1 + nyn
ed ancheyn < (x− 1)/n
Per il teorema 2.17 (principio di Archimede) si ha allora che esistenε ∈N tale che
ynε < ε/xr
e si ottiene che
0 < xr+1/nε − xr < (ε/xr)xr = ε
2
Corollario 23.1 Sia x > 1 e sia r ∈ Q, allora per ogni ε > 0 esiste nε ∈ N
tale che0 < xr − xr−1/nε < ε
Dimostrazione. Si ricordi che
xr − xr−1/n = (xr+1/n − xr)/(x1/n)
e chex1/n > 1
2
212 ottavio caligaris - pietro oliva
Siano A = {xr : r ∈ Q, r ≤ a} e B = {xr : r ∈ Q, r < a} allora
sup A = sup B ∈ R
Infatti intanto è ovvio che B ⊂ A ed inoltre che 0 ∈ m(A) edxt ∈ M(A) se t ∈ Q , t > a; con il che si prova subito che i due insiemisono limitati sia superiormente che inferiormente e che posto
α = sup A , β = sup B
α, β ∈ R.Proviamo che α = β.E’ intanto ovvio che α ≥ xr per ogni r ∈ Q, r < a; inoltre ∀ε > 0
∃rε ∈ Q tale che rε ≤ a e xrε > α− ε/2.Sia ora nε ∈N tale che
ε/2 > xrε − xrε−1/nε > 0 ;
si harε − 1/nε < a
ed anche
xrε−1/nε = xrε − xrε + xrε−1/nε > xrε − ε/2 > α− ε/2− ε/2 = α− ε
Ciò è sufficiente per concludere che
∀ε > 0 ∃r′ε ∈ Q tale che r′ε < a e xr′ε > α− ε
e pertantoα = sup B = β
Teorema 23.2 se x, y > 0 e se a, b ∈ R, allora
1. xa > 0
2. xa+b = xaxb
3. (xa)b = xab
4. (xy)a = xaya
5. 1/(xa) = x−a
Dimostrazione. Consideriamo come al solito il caso x, y > 1 .
1. è immediato dalla definizione;
2.xa = sup{xr : r ∈ Q, r < a} = sup A
xb = sup{xs : s ∈ Q, s < b} = sup B
analisi matematica 1 november 4, 2013 213
xa+b = sup{xt : t ∈ Q, t < a + b} = sup C
Dal momento che A, B, C ⊂ R+, avremo concluso se dimostriamoche C = A · B in tal caso infatti si ha
sup C = sup A sup B
.
Intanto è ovvio cheC ⊃ A · B
infatti sia y ∈ A · B allora
y = xrxs con r, s ∈ Q, r < a, s < b
da cuiy = xr+s con r + s < a + b e y ∈ C.
D’altro canto sia w ∈ C, allora
w = xt , t ∈ Q , t < a + b;
scelto r ∈ Q tale che t− b < r < a e posto s = t− r < b si ha
w = xt = xr+s = xrxs , r, s ∈ Q, r < a, s < b
e pertanto w ∈ A · B.
Le dimostrazioni di (3) e (4) possono essere completate seguen-do procedimenti analoghi, ma sono macchinose e non verranno quiapprofondite.
Per quanto riguarda (5) osserviamo che xax−a = 1. 2
23.2 La definizione di limite
Teorema 23.3 Sia f : D −→ R, sia x0 ∈ D(D) e supponiamo che
limx→x0
f (x) = `
allora:
1. se ` ∈ R, allora f è localmente limitata in x0;
2. se ` > 0 (eventualmente ` = +∞ ) allora esiste δ > 0 ed esiste M ∈ R
tale che se x ∈ Io(x0, δ) ∩ D si ha
f (x) ≥ M > 0
Dimostrazione.
214 ottavio caligaris - pietro oliva
1. Sia ε > 0, se x ∈ Io(x0, δε) si ha
`− ε < f (x) < `+ ε
e
| f (x)| ≤ max{|`+ ε|, |`− ε|, | f (x0)|} ∀x ∈ Io(x0, δε) ∩ D
2. Sia ` ∈ R+, se x ∈ Io(x0, δ`/2) ∩ D si ha
f (x) > `− `/2 = `/2 > 0.
Sia invece ` = +∞, se x ∈ Io(x0, δ1) ∩ D si ha
f (x) > 1 > 0.
2
Teorema 23.4 Sia f : D −→ R e sia x0 ∈ D(D); allora, se f ammettelimite per x→ x0, tale limite è unico.
Dimostrazione. Supponiamo che `1 ed `2 siano entrambi limiti dif per x → x0; occorre distinguere alcuni casi:
• se `1, `2 ∈ R, si ha ∀ε > 0, se x ∈ Io(x0, δε/2) ∩ D ,
|`1 − `2| ≤ | f (x)− `1|+ | f (x)− `2| < ε/2 + ε/2 = ε
• Se `1 ∈ R ed `2 = +∞, si ha che se x ∈ Io(x0, δ1) ∩ D
| f (x)| ≤ M
ma essendo `2 = +∞, se x ∈ Io(x0, δM) ∩ D si ha
f (x) > M;
ciò è assurdo per tutti gli x ∈ Io(x0, δ) ∩ D, con δ = min{δ1, δM}.
• Se `1 ∈ R ed `2 = −∞ ci si riconduce facilmente al caso precedente,considerando − f in luogo di f .
Se `1 = +∞ ed `2 = −∞ si ha
x ∈ Io(x0, δ1) ∩ D ⇒ f (x) > 1 e f (x) < −1
il che è assurdo.
2
Teorema 23.5 Siano f , g : D −→ R e sia x0 ∈ D(D); supponiamo che
limx→x0
f (x) = `1 e limx→x0
g(x) = `2 , `1, `2 ∈ R∗
Allora
analisi matematica 1 november 4, 2013 215
1. limx→x0 | f (x)| = |`1|
2. limx→x0 ( f (x) + g(x)) = `1 + `2 tranne che nel caso in cui `1 = ±∞ e`2 = ∓∞
3. limx→x0 f (x)g(x) = `1`2 tranne che nel caso in cui `1 = 0 e `2 =
±∞
4. limx→x01
f (x) =1`1
tranne che nel caso in cui `1 = 0
Dimostrazione. Dimostriamo le varie asserzioni nel caso in cui x0 ∈R, `1, `2 ∈ R.
Per ipotesi abbiamo che ∀ε > 0 ∃δ1ε , δ2
ε > 0 tali che ∀x ∈ Io(x0, δ1ε )∩
D si ha| f (x)− `1| < ε
∀x ∈ Io(x0, δ2ε ) ∩ D si ha
|g(x)− `2| < ε
1. Se x ∈ Io(x0, δ1ε ) ∩ D si ha
|| f (x)| − |`1|| ≤ | f (x)− `1| ≤ ε
2. Sia δε = min{δ1ε/2, δ2
ε/2}, se x ∈ Io(x0, δε) ∩ D si ha
| f (x) + g(x)− (`1 + `2)| ≤ | f (x)− `1|+ |g(x)− `2| < ε/2+ ε/2 = ε
3. Sia δ3 tale che se x ∈ Io(x0, δ3) ∩ D si ha
|g(x)| ≤ M
sia `1 6= 0 (il caso `1 = 0 risulta banale) e sia
δε = min{δ1ε/(2M), δ2
ε/(2|`1|), δ3}
allora se x ∈ Io(x0, δε) ∩ D si ha
| f (x)g(x)− `1`2| = | f (x)g(x)− g(x)`1 + g(x)`1 − `1`2| ≤≤ |g(x)|| f (x)− `1|+ |`1||g(x)− `2| <
< Mε/(2M) + ε|`1|/(2|`1|) = ε
(23.1)
4. Sia δ4 > 0 tale che se x ∈ Io(x0, δ4) ∩ D si ha
| f (x)| ≥ M > 0
sia δε = min{δ1εM|`1|
, δ4}, allora se x ∈ Io(x0, δε) ∩ D si ha∣∣∣∣ 1f (x)
− 1`1
∣∣∣∣ = | f (x)− `1|| f (x)||`1|
≤ εM|`1|M|`1|
= ε
216 ottavio caligaris - pietro oliva
Dimostriamo ora ad esempio la (2) nel caso in cui `1 = +∞ e `2 ∈ R
(da cui `1 + `2 = +∞); la (3) nel caso in cui `1 < 0 e `2 = −∞ (da cui`1`2 = +∞) e la (4) nel caso in cui `1 = ±∞ (da cui 1/`1 = 0).
• (2) Sia `1 = +∞ ed `2 ∈ R , allora, se x ∈ Io(x0, δ3) ∩ D si ha
|g(x)| < M
mentre, se x ∈ Io(x0, δ1ε ) ∩ D si ha
f (x) > ε;
pertanto se δε = min{δ3, δ1ε+M}, se x ∈ Io(x0, δε) ∩ D, si ha
f (x) + g(x) > ε + M−M = ε
• (3) Sia `1 < 0 ed `2 = −∞, allora, se x ∈ Io(x0, δ4) ∩ D si ha
f (x) ≤ −M < 0
mentre se x ∈ Io(x0, δ2ε ) ∩ D si ha
g(x) < −ε;
allora, se δε = min{δ4, δ2ε/M}, per x ∈ Io(x0, δε) ∩ D
f (x)g(x) > −Mg(x) > −M(−ε/M) = ε
• (4) Sia δε = δ11/ε, allora se x ∈ Io(x0, δε) ∩ D si ha
| f (x)| > 1ε
e∣∣∣∣ 1
f (x)
∣∣∣∣ < ε
2
23.3 Le successioni
Lemma 23.1 Sia an una successione e sia ` ∈ R∗ an non converge ad ` see solo se esiste ε0 > 0 ed esiste una successione bk estratta da an tale chebk 6∈ I(`, ε0).
Dimostrazione. La successione an non converge ad ` se e solo seesiste ε0 > 0 tale che ∀m ∈N è possibile trovare n > m con
an 6∈ I(`, ε0)
Sia pertanto
n1 ∈N tale che an1 6∈ I(`, ε0) (23.2)
n2 > n1 tale che an2 6∈ I(`, ε0) (23.3)
· · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · (23.4)
nk > nk−1 tale che ank 6∈ I(`, ε0) (23.5)
(23.6)
La successione bk = ank soddisfa i requisiti richiesti. 2
analisi matematica 1 november 4, 2013 217
Teorema 23.6 Sia an una successione soddisfacente la seguente proprietà:
• esiste ` ∈ R∗ tale che per ogni successione bk estratta da an è possibiletrovare una successione ch estratta da bk con
limh
ch = `
Allora si halim
nan = `
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che
limn
an 6= `
allora esistono ε0 > 0 e bk estratta da an tale che bk 6∈ I(`, ε0)
Ma, per ipotesi, è possibile trovare una successione ch tale che
limh
ch = `
e ciò è assurdo; infatti per h sufficientemente grande si avrebbe con-temporaneamente
ch ∈ I(`, ε0) e ch = bkh6∈ I(`, ε0)
2
Lemma 23.2 Sia bk una successione tale che
limk
bk = b
e supponiamo che, per ogni fissato k, akn sia una successione tale che
limn
akn = bk ;
allora ∃ n : N −→N strettamente crescente tale che
limk
aknk
= b
Dimostrazione. Osserviamo innanzi tutto che ∀ε > 0 esiste kε taleche:
|bk − b| < ε se k > kε
e∀k ∃n′k : |ak
n − bk| < 1/k se n > n′k
Pertanto se scegliamo
n1 > n′1 (23.7)
· · · · · · · · · · · · (23.8)
nk > n′k , nk > nk−1 (23.9)
218 ottavio caligaris - pietro oliva
avremo, se k > kε, k > 1/ε
|aknk− b| ≤ |ak
nk− bk|+ |bk − b| < ε + 1/k < 2ε
2
Teorema 23.7 Si ha che
1. Se λ = lim supn an si ha λ ∈ Φ(an)
2. Se µ = lim infn an si ha µ ∈ Φ(an)
Dimostrazione. Sia λ = sup Φ(an), allora per il lemma 6.13
∃`k ∈ Φ(an) : limk
`k = λ .
Poiché `k ∈ Φ(an)
∀k ∈N ∃akn : lim
kak
n = `k ;
si prova, come nel lemma 6.14, che
∃bk = aknk
estratta da an : limk
bk = λ
cioèλ ∈ Φ(an) .
2
Teorema 23.8 Valgono i seguenti fatti:
1. lim infn an ≤ lim supn an
2. lim infn an ≤ lim infn ank ≤ lim supn ank ≤ lim supn an
3. lim infn an = lim supn an = ` ⇔ limn an = ` ⇔ Φ(an) = {`}
Dimostrazione. (1) segue dalla definizione 6.15.(2) è immediata conseguenza del fatto che essendo Φ(ank ) ⊂ Φ(an)
inf Φ(an) ≤ inf Φ(ank ) ≤ sup Φ(ank ) ≤ sup Φ(an)
(3) segue da (2) e dai teoremi 6.4 e 6.11. 2
Corollario 23.2 Si ha
lim supn
an = −∞ ⇔ limn
an = −∞ (23.10)
lim infn
an = +∞ ⇔ limn
an = +∞ (23.11)
(23.12)
analisi matematica 1 november 4, 2013 219
Teorema 23.9 Si ha
` = lim supn
an , ` ∈ R∪ {+∞} (23.13)
se e solo se
1. ∀ε > 0 esiste nε tale che se n > nε tale che an < `+ ε
2. esiste ank tale che limk ank = `
Dimostrazione.
• La seconda condizione della (2) segue dal teorema 6.16;
la prima condizione della (2) è ovvia se ` = +∞; sia pertanto ` ∈R, se per un certo ε0 > 0 non fosse an ≤ ` + ε0 definitivamente,ci sarebbero infiniti indici per i quali an > ` + ε0 ed esisterebbepertanto una estratta tale che
limk
ank = a ≥ `+ ε0 > `
cioè ` non sarebbe il lim sup di an.
• Per la seconda condizione della (2) ` ∈ Φ(an) da cui
` ≤ lim supn
an
Per la prima condizione della (2), d’altro canto
lim supk
ank ≤ `+ ε
2
Un risultato analogo vale per il lim inf.
Teorema 23.10 Si ha
lim supn
an = infn
supk≥n
ak = limn
supk≥n
ak
Dimostrazione. Evidentemente
bn = supk≥n
ak
è decrescente eλ = inf
nbn = lim
nbn
Inoltre, se k ≥ n > nε
ak < bn ≤ λ + ε
esupk≥n
ak = bn > λ− ε
e si può trovare akh> λ− ε da cui la tesi. 2
220 ottavio caligaris - pietro oliva
Teorema 23.11 Siano an e bn due successioni, si ha
1. lim infn an = − lim supn (−an)
2. an ≤ bn ⇒ lim supn an ≤ lim supn bn.
3. lim supn (an + bn) ≤ lim supn an + lim supn bn
4. limn bn = b > 0 ⇒ lim supn anbn = lim supn an · limn bn
5. an > 0 ⇒ lim supn1an
= 1lim inf an
.
Dimostrazione. (1), (2), (3) seguono dal teorema 6.20; (4) segue daΦ(anbn) = bΦ(an); (5) segue da Φ(1/an) = 1/Φ(an) 2
Un risultato analogo vale per il lim inf.Passiamo ora a dimostrare due risultati estremamente utili per il
calcolo dei limiti di rapporti di successioni, che si presentano in formaindeterminata.
Teorema 23.12 Siano an e bn due successioni tali che
limn
an = limn
bn = 0 .
Supponiamo inoltre che bn sia strettamente monotona, allora
lim infn
an+1 − an
bn+1 − bn≤ lim inf
n
an
bn≤ lim sup
an
bn≤ lim sup
n
an+1 − an
bn+1 − bn
Dimostrazione. Osserviamo innanzi tutto che non è restrittivo con-siderare bn strettamente decrescente (e quindi bn > 0) in quanto, secosì non fosse, potremmo considerare −bn e −an in luogo di bn e an
(rimanendo invariati i rapporti considerati).Osserviamo altresì che è sufficiente provare, ad esempio, l’ultima
disuguaglianza, essendo la prima una sua conseguenza non appena siconsideri −an in luogo di an, ed essendo la seconda ovvia.
Sia` = lim sup
n
an+1 − an
bn+1 − bn
proviamo che
lim supn
an
bn≤ `
Se ` = +∞ non c’è nulla da provare; i casi ` ∈ R ed ` = −∞ sonosoggetti ad una trattazione del tutto simile che esplicitiamo parallela-mente: allo scopo definiamo
`ε =
`+ ε se` ∈ R
−ε se ` = −∞(23.14)
si ha∀ε > 0 ∃nε ∈N : ∀n > nε
analisi matematica 1 november 4, 2013 221
an − an+1
bn − bn+1< `ε
ean − an+1 < (bn − bn+1)`ε
Allora, se m > n > nε , si ha
an − am < (bn − bm)`ε
e, facendo m→ +∞,an ≤ bn`ε
ondean
bn≤ `ε
2
Teorema 23.13 Siano an e bn due successioni e supponiamo che bn sia stret-tamente crescente [decrescente] con
limn
bn = +∞ [−∞]
Allora
lim infn
an+1 − an
bn+1 − bn≤ lim inf
n
an
bn≤ lim sup
n
an
bn≤ lim sup
n
an+1 − an
bn+1 − bn
Dimostrazione. Come per il teorema precedente è sufficiente provarel’ultima disuguaglianza; inoltre possiamo sempre supporre che bn siastrettamente crescente. Pertanto, posto
` = lim supn
an+1 − an
bn+1 − bn
proviamo che
lim supn
an
bn≤ `
Se ` = +∞ nulla è da dimostrare; i casi ` ∈ R ed ` = −∞ sarannoconsiderati parallelamente, ricordando la (6.4):
∀ε > 0 ∃nε ∈N : ∀n > nε
an+1 − an
bn+1 − bn≤ `ε
ean+1 − an ≤ (bn+1 − bn)`ε
Se n > m > nε si ha
an − am ≤ (bn − bm)`ε
222 ottavio caligaris - pietro oliva
ean ≤ am + (bn − bm)`ε
an
bn≤ am
bn+(1− bm
bn
)`ε
Facendo n→ +∞ si ha
lim supn
an
bn≤ `ε
e la tesi. 2
I due precedenti teoremi permettono di provare alcuni interessantirisultati sui limiti delle medie aritmetiche e geometriche dei primi ntermini di una successione.
Corollario 23.3 Sia αn una successione, allora
lim infn
αn ≤ lim infn
α1 + ... + αn
n≤
≤ lim supn
α1 + ... + αn
n≤ lim sup
nαn (23.15)
Dimostrazione. Basta applicare il teorema 6.23 alle successioni
an =n
∑i=1
αi , bn = n .
2
Corollario 23.4 Sia αn una successione allora
lim infn
αn ≤ lim infn
(αn...α1)1/n ≤ lim sup
n(αn...α1)
1/n ≤ lim supn
αn
Dimostrazione. Basta applicare il teorema 6.23 alle successioni
n
∑i=1
log2(αi) ed n
tenere conto del fatto che( n
∏i=1
αi)1/n
= exp2( 1
n( n
∑i=1
log2(αi)))
ed osservare che exp2 è crescente e, se xn → x, si dimostra che exp2(xn)→exp2(x). 2
Corollario 23.5 Sia αn > 0 allora si ha
lim infn
αn+1
αn≤ lim inf
nn√
αn ≤ lim supn
n√
αn ≤ lim supn
αn+1
αn
Dimostrazione. Segue dal corollario 6.25 posto
β1 = α1 , βn+1 =αn+1
αn
2
analisi matematica 1 november 4, 2013 223
23.4 TRIANGOLO DI TARTAGLIA E BINOMIO DI NEW-TON
Si ha
Teorema 23.14 (nk
)+
(n
k− 1
)=
(n + 1
k
)(23.16)
Dimostrazione.(nk
)+
(n
k− 1
)=
n!k!(n− k)!
+n!
(k− 1)!(n + 1− k)!=
=n![(n + 1− k) + k]
k!(n + 1− k)!=
(n + 1)!k!(n + 1− k)!
=
(n + 1
k
)(23.17)
2
La precedente uguaglianza consente di costruire il così detto trian-golo di Tartaglia:
(10
)(11
)(23.18)(
20
)(21
)(22
)(23.19)(
30
)(31
)(32
) (33
)(23.20)
. . . . . . . . . . . . . . . (23.21)(n0
). . .(
nk− 1
) (nk
). . .(
nn
)(23.22)
. . . . . . . . .(
n + 1k
). . . . . . (23.23)
. . . . . . . . . . . . . . . . . . (23.24)
(23.25)
È importante osservare che ogni elemento del triangolo si può ot-tenere dalla somma dei due elementi della riga precedente, che occu-pano la posizione sopra e a sinistra della posizione occupata dall’ele-mento considerato.
Vale inoltre il seguente risultato
Teorema 23.15 (binomio di Newton)
(a + b)n =n
∑k=0
(nk
)an−kbk
Dimostrazione. E’ immediato verificare che la formula vale per n =
1.
224 ottavio caligaris - pietro oliva
Proviamo ora che, se la formula è valida per n, allora è valida ancheper n + 1. Si ha
(a + b)n+1 = (a + b)n(a + b) =
=
(n
∑k=0
(nk
)an−kbk
)(a + b) =
= an
∑k=0
(nk
)an−kbk + b
n
∑k=0
(nk
)an−kbk =
=n
∑k=0
(nk
)an+1−kbk +
n
∑k=0
(nk
)an−kbk+1 =
= an+1 +n
∑k=1
(nk
)an+1−kbk +
n−1
∑k=0
(nk
)an−kbk+1 + bn+1 =
= an+1 +n
∑k=1
(nk
)an+1−kbk +
n
∑k=1
(n
k− 1
)an+1−kbk + bn+1 =
= an+1 +n
∑k=1
((nk
)+
(n
k− 1
))an+1−kbk + bn+1 =
= an+1 +n
∑k=1
(n + 1
k
)an+1−kbk + bn+1 =
=n+1
∑k=0
(n + 1
k
)an+1−kbk (23.26)
2
Teorema 23.16 - Criterio di Cauchy - Sia f : D −→ R e sia x0 ∈ D(D);sono condizioni equivalenti:
1. esiste ` ∈ R tale che limx→x0 f (x) = `
2. per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che se x, y ∈ I0(x0, δε) si ha
| f (x)− f (y)| < ε
Dimostrazione. (1) ⇒ (2) Per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che sex ∈ I0(x0, δε/2) si ha
| f (x)− `| < ε/2
per cui se x, y ∈ I0(x0, δε/2) si ha
| f (x)− f (y)| ≤ | f (x)− `|+ | f (y)− `| < ε/2 + ε/2 = ε.
(2) ⇒ (1) Se per assurdo (1) non fosse vera esisterebbero duesuccessioni xn, yn ∈ D, convergenti ad x0 tali che f (xn) −→ `1 ef (yn) −→ `2 con `1, `2 ∈ R∗ , `1 6= `2.
Pertanto la condizione (2) non potrebbe essere soddisfatta. 2
Teorema 23.17 Sia A ⊂ R, allora
analisi matematica 1 november 4, 2013 225
1. A è aperto se e solo se per ogni x ∈ A e per ogni successione xn, tale chexn → x, si ha xn ∈ A definitivamente;
2. A è chiuso se e solo se per ogni xn ∈ A, xn → x si ha x ∈ A
Dimostrazione. Sia A aperto, x ∈ A, allora esiste ε > 0 tale che(x− ε, x+ ε) ⊂ A; poiché definitivamente |xn− x| < ε ne segue xn ∈ A.
Supponiamo viceversa che A non sia aperto, allora esiste x ∈ A taleche, per ogni n ∈N, esiste xn ∈ (x− 1/n, x + 1/n) \ A e ciò è assurdo.
Sia A chiuso e xn ∈ A, xn → x; allora Ac è aperto e se x ∈ Ac siavrebbe xn ∈ Ac definitivamente e ciò è assurdo.
Viceversa, se A non è chiuso, Ac non è aperto; pertanto esiste x ∈Ac e per ogni n ∈ N esiste xn ∈ I(x, 1/n), xn ∈ A; pertanto xn → x,xn ∈ A ed x 6∈ A 2
Teorema 23.18 Sia A ⊂ R, A è un insieme compatto se e solo se per ognixn ∈ A esiste xnk → x, tale che x ∈ A
Dimostrazione. Il solo se segue banalmente dai teorema 6.8 e 6.39.Se viceversa A non fosse limitato, esisterebbe xn ∈ A, |xn| → +∞,
e qualunque estratta di xn non potrebbe convergere ad x ∈ A. 2
23.5 Teorema degli zeri
Teorema 23.19 - degli zeri - Sia f : [a, b] −→ R una funzione continua esupponiamo che f (a) f (b) < 0.
Allora esiste x0 ∈ (a, b) tale che f (x0) = 0.
Dimostrazione. Sia, per fissare le idee f (a) < 0 ed f (b) > 0 edefiniamo
N = {x ∈ [a, b] : f (x) < 0}.
Si ha N 6= ∅ in quanto a ∈ N; inoltre N è limitato perchè N ⊂ [a, b].Pertanto
x0 = sup N ∈ R
e, per la continuità di f si ha x0 ∈ (a, b).Dimostriamo ora che f (x0) = 0 .Per il lemma 6.13 esiste xn → x0, xn ∈ N, per cui f (xn) < 0.D’altro canto x0 + 1/n 6∈ N da cui f (x0 + 1/n) ≥ 0.Passando al limite per n→ +∞ si ottiene che
f (x0) ≤ 0 e f (x0) ≥ 0
da cui la tesi.2
226 ottavio caligaris - pietro oliva
23.6 L’uniforme continuità
Definizione 23.1 Sia f : D −→ R, diciamo che f è uniformemente conti-nua in D se
∀ε > 0 ∃δε > 0 : ∀x, y ∈ D , |x− y| < δε si ha | f (x)− f (y)| < ε.
Teorema 23.20 - di Heine-Cantor - Supponiamo f : D −→ R continua, Dcompatto, allora f è uniformemente continua in D.
Dimostrazione. Supponiamo che f non sia uniformemente conti-nua in D, allora
∃ε0 > 0 , ∃xn, yn ∈ D : |xn − yn| < 1/n e | f (xn)− f (yn)| ≥ ε0.
Dal momento che D è compatto esiste xnk → x ∈ D e
ynk = (ynk − xnk ) + xnk → x.
D’altro canto, da | f (xnk )− f (ynk )| ≥ ε0, per la continuità di f , si ha
0 = | f (x)− f (x)| ≥ ε0 > 0
il che è assurdo. 2
23.7 La linearità
Definizione 23.2 Sia L : R −→ R, diciamo che L è lineare se:
L(αx + βy) = αL(x) + βL(y) , ∀α, β ∈ R , ∀x, y ∈ R
Più in generale la definizione può essere data per una funzione L : V −→R dove V è uno spazio vettoriale su R. In tal caso L si dice lineare se la (8.2)risulta vera per ogni α, β ∈ R, x, y ∈ V.
Indichiamo con L(R, R) l’insieme delle funzioni lineari da R in R.
Non è difficile verificare che L(R, R) è uno spazio vettoriale su R.Scriveremo spesso L(R) in luogo di L(R, R).Per le applicazioni lineari vale il seguente risultato
Teorema 23.21 Sia L : R −→ R, allora
L ∈ L(R) ⇔ ∃γ ∈ R : L(x) = γx.
Dimostrazione. Evidentemente, se L(x) = γx, L è lineare.Se viceversa L è lineare, si ha
L(x) = L(x · 1) = xL(1) = γx se γ = L(1).
2
analisi matematica 1 november 4, 2013 227
23.8 La derivabilità
Teorema 23.22 Sia f : (a, b) −→ R, x0 ∈ (a, b); sono fatti equivalenti:
1.
limx→x0
f (x)− f (x0)
x− x0= f ′(x0)
2.
limx→x0
f (x)− f (x0)− d f (x0)(x− x0)
x− x0= 0
3.∃ ω : R −→ R, con ω(0) = 0 = lim
h→0ω(h)
ef (x) = f (x0) + f ′(x0)(x− x0) + (x− x0)ω(x− x0)
4.∃ ω : R −→ R, con ω(0) = 0 = lim
h→0ω(h)
ef (x) = f (x0) + d f (x0)(x− x0) + (x− x0)ω(x− x0).
Proviamo ora una estensione del teorema degli zeri alle funzioni,eventualmente non continue, che sono derivate.
Teorema 23.23 Darbôux Sia f : [a, b] −→ R derivabile, allora
f ′+(a) f ′−(b) < 0 ⇒ ∃c ∈ (a, b) : f ′(c) = 0.
Dimostrazione. f è continua in [a, b] e pertanto ivi ammette massimoe minimo assoluti. Se entrambi fossero assunti negli estremi dell’in-tervallo si avrebbe, per il lemma 9.1, f ′+(a) f ′−(b) ≥ 0, e perciò almenouno di essi è interno ad (a, b).
La conclusione segue ancora dal lemma 9.1 2
Osserviamo che il teorema 9.2 è una effettiva generalizzazione delteorema degli zeri, in quanto esistono funzioni non continue che sonoderivate; si consideri ad esempio
f (x) =
2x sin(1/x)− cos(1/x) , x 6= 0
0 , x = 0.(23.27)
Si ha chef (x) = g′(x)
ove
g(x) =
x2 sin(1/x) x 6= 0
0 , x = 0(23.28)
E’ evidente che f non è continua in 0.
228 ottavio caligaris - pietro oliva
23.9 la regola di De l’Hôpital
Teorema 23.24 Siano f , g : (a, b) −→ R derivabili; supponiamo
g′(x) 6= 0 ∀x ∈ (a, b)
limx→a+
g(x) = +∞.
Allora, se
limx→a+
f ′(x)g′(x)
esiste, si ha
limx→a+
f (x)g(x)
= limx→a+
f ′(x)g′(x)
.
Dimostrazione. La dimostrazione è leggermente diversa a secondache
` = limx→a+
f ′(x)g′(x)
sia un numero reale oppure +∞ o −∞ .Cominciamo a considerare il caso ` ∈ R.Sia ε > 0, esisterà δε > 0 tale che, se a < x < a + δε
`− ε <f ′(x)g′(x)
≤ `+ ε
Ora, dal momento che
limx→a+
g(x) = +∞
si ha che, fissato comunque un punto α ∈ (a, a + δε), esiste δ′ > 0 taleche, se a < x < a + δ′ si ha
g(x) > max{g(α), 0}.
Consideriamo ora un punto x tale che
a < x < a + min{δε, δ′, α− a}
e l’intervallo [x, α], (osserviamo che si ha x < (α− a) + a = α).Per il teorema di Cauchy esiste c ∈ (x, α) tale che
f (x)− f (α)g(x)− g(α)
=f ′(c)g′(c)
.
Ora, dal momento che a < x < c < α < a + δε, si ha
`− ε <f (x)− f (α)g(x)− g(α)
< `+ ε
e
f (α) + (`− ε)(g(x)− g(α)) < f (x) < f (α) + (`+ ε)(g(x)− g(α))
analisi matematica 1 november 4, 2013 229
Se ora dividiamo per g(x) otteniamo
(`− ε)
(1− g(α)
g(x)
)+
f (α)g(x)
<f (x)g(x)
< (`+ ε)
(1− g(α)
g(x)
)+
f (α)g(x)
Ora, il primo ed il terzo membro (il secondo) tendono ad `+ ε ed`− ε (ε) rispettivamente e perciò, se a < x < a + δ′′ si ha
`− 2ε <f (x)g(x)
< `+ 2ε
Riportiamo la dimostrazione anche nel caso in cui ` = +∞.Sia ε > 0, esisterà δε > 0 tale che, se a < x < a + δε(
f ′(x)g′(x)
> ε
).
Ora, dal momento che
limx→a+
g(x) = +∞
si ha che, fissato comunque un punto α ∈ (a, a + δε), esiste δ′ > 0 taleche, se a < x < a + δ′ si ha
g(x) > max{g(α), 0}.
Consideriamo ora un punto x tale che
a < x < a + min{δε, δ′, α− a}
e l’intervallo [x, α], (osserviamo che si ha x < (α− a) + a = α).Per il teorema di Cauchy esiste c ∈ (x, α) tale che
f (x)− f (α)g(x)− g(α)
=f ′(c)g′(c)
.
Ora, dal momento che a < x < c < α < a + δε, si ha(f (x)− f (α)g(x)− g(α)
> ε
)e
( f (x) > f (α) + ε(g(x)− g(α)))
Se ora dividiamo per g(x) otteniamo(f (x)g(x)
>f (α)g(x)
+ ε
(1− g(α)
g(x)
)).
Ora, il primo ed il terzo membro (il secondo) tendono ad `+ ε ed`− ε (ε) rispettivamente e perciò, se a < x < a + δ′′ si ha(
f (x)g(x)
>ε
2
)
230 ottavio caligaris - pietro oliva
2
Ecco alcuni esempi che mostrano come la regola di De L’Hôpitalnon dia risultati corretti se viene meno anche una sola delle ipotesifatte.
Esempio 23.1 Siano
f (x) = x + cos x , g(x) = x− (sin x)/2
e consideriamo
limx→+∞
f (x)g(x)
.
La regola di De L’Hôpital non può essere applicata perché
limx→+∞
f ′(x)g′(x)
= limx→+∞
1− sin x1− (cos x)/2
non esiste.Osserviamo anche che tutte le altre ipotesi sono soddisfatte.Una applicazione incauta della regola stessa condurrebbe a concludere che
anche
limx→+∞
f (x)g(x)
non esiste, mentre non è difficile vedere che tale limite esiste e vale 1.
Esempio 23.2 Siano
f (x) = e−2x(2 sin x + cos x) , g(x) = e−x(sin x + cos x)
e consideriamo
limx→+∞
f (x)g(x)
.
La regola di De L’Hôpital non può essere applicata perché esiste una suc-cessione xn tale che xn → +∞ e g′(xn) = 0, tutte le altre ipotesi essendosoddisfatte.
Tuttavia si ha
limx→+∞
f ′(x)g′(x)
= 0
ed una incauta applicazione della regola di De L’Hôpital condurrebbe a con-cludere che
limx→+∞
f (x)g(x)
= 0
ma ciò è falso in quanto tale limite non esiste.Verifichiamo le nostre affermazioni.Si ha
f ′(x) = −5e−2x sin x , g′(x) = −2e−x sin x ,f ′(x)g′(x)
=52
e−x
analisi matematica 1 november 4, 2013 231
per cui
limx→+∞
f ′(x)g′(x)
= 0.
Inoltre, sia c tale che 2 sin c + cos c = 0 e consideriamo la successione
xn = c + 2πn,
xn → +∞ ed f (xn) = 0 per cui si ha
limn
f (xn)
g(xn)= 0.
Sia d’altro canto
an = atn(e−7n) , yn = −π
4+ 2πn + an;
usando le formule di addizione del seno e del coseno si calcola facilmente che
f (yn)
g(yn)= eπ/4−2πn−an
3 sin an − cos an
2 sin an=
= eπ/4−an e−2πn 3 tan an − 12 tan an
= eπ/4−atn(e−7n) 3e−7n − 12
e(7−2π)n −→ −∞ (23.29)
Ciò è sufficiente per concludere che il limite in oggetto non esiste.
23.10 La formula di Taylor
Lemma 23.3 Sia f : (a, b) −→ R derivabile n + 1 volte in (a, b) e siaϕ : [0, 1] −→ R derivabile in (a, b), con ϕ(0) = 0 e ϕ(1) = 1 .
Siano x, x0 ∈ (a, b), allora esiste c, tra x0 ed x, tale che
f (x) =n
∑i=0
f (i)(x0)
i!(x− x0)
i +f (n+1)(c)(x− c)n(x− x0)
n! ϕ′((x− c)/(x− x0)).
Dimostrazione. Sia x ∈ (a, b), posto
Q(t) =n
∑i=0
f (i)(t)i!
(x− t)i
eR = f (x)−Q(x0) = f (x)− P(x)
definiamo F : (a, b) −→ R mediante la
F(t) = Q(t) + ϕ
(x− t
x− x0
)R.
Si haF(x) = Q(x) + ϕ(0)R = Q(x) = f (x)
232 ottavio caligaris - pietro oliva
F(x0) = Q(x0) + ϕ(1)R = f (x);
inoltre F è derivabile in (a, b), pertanto per il teorema di Rolle, esistec, tra x0 ed x tale che F′(c) = 0, ovvero
F′(c) = Q′(c)− 1x− x0
ϕ′(
x− cx− x0
)R = 0.
Notiamo che
Q(t) = f (t) + f ′(t)(x− t) +f ′′(t)
2(x− t)2 + ... + f (n)(t)n!(x− t)n
da cui
Q′(t) =
= f ′(t)− f ′(t) + f ′′(t)(x− t)− f ′′(t)(x− t) +f (3)(t)
2(x− t)2+
+ · · · · · · · · · − f (n)(t)(n− 1)!
(x− t)n−1 +f (n+1)(t)
n!(x− t)n =
=f (n+1)(t)
n!(x− t)n
(23.30)
e
F′(c) =f (n+1)(c)
n!(x− c)n − 1
x− x0ϕ′(
x− cx− x0
)R = 0.
Ne viene
R =f (n+1)(c)(x− c)n(x− x0)
n!ϕ′((x− c)/(x− x0))
2 Il precedente teorema può essere applicato per ottenere diversi resticorrispondenti a diverse scelte della funzione ϕ.
Illustriamo di seguito tre delle quattro più importanti formulazio-ni, rinviando al seguito per la quarta, che coinvolge il concetto diintegrale.
Teorema 23.25 formula di Taylor con il resto di Schlomilch-Ròche Siaf : (a, b) −→ R derivabile n + 1 volte in (a, b) e siano x, x0 ∈ (a, b), α > 0;allora esiste c ∈ (a, b), tra x0 ed x, tale che
f (x) =n
∑i=0
f (i)(x0)
i!(x− x0)
i +f (n+1)(c)(x− c)n+1−α(x− x0)
α
n! α.
Dimostrazione. E’ sufficiente scegliere
ϕ(t) = tα
2
analisi matematica 1 november 4, 2013 233
Teorema 23.26 formula di Taylor con il resto di Cauchy - Sia f : (a, b) −→R derivabile n + 1 volte in (a, b); siano x, x0 ∈ (a, b), allora esiste esiste c,tra x0 ed x, tale che
f (x) =n
∑i=0
f (i)(x0)
i!(x− x0)
i +f (n+1)(c)(x− c)n(x− x0)
n!.
Dimostrazione. E’ sufficiente applicare il teorema precedente conα = 1 . 2
Teorema 23.27 formula di Taylor con il resto di Lagrange - Sia f :(a, b) −→ R derivabile n + 1 volte in (a, b); siano x, x0 ∈ (a, b), alloraesiste c ∈ (a, b), c, tra x0 ed x, tale che
f (x) =n
∑i=0
f (i)(x0)
i!(x− x0)
i +f (n+1)(c)(x− x0)
n+1
(n + 1)!.
Dimostrazione. E’ sufficiente applicare il teorema 11.3 dopo averposto α = n + 1. 2
Le figure 11.1-11.7 rappresentano i grafici di alcune funzioni ele-mentari accompagnati dai grafici dei loro polinomi di Taylor.
L’ordine dei polinomi è indicato dai numeri accanto ai grafici e lafunzione è specificata in ogni figura.
23.11 ESTREMI RELATIVI E ASINTOTI.
Abbiamo già visto cosa si intende per minimo e massimo assoluto diuna funzione e abbiamo già trovato condizioni necessarie e sufficientiper l’esistenza di un minimo o un massimo assoluto. (Si veda il lemma9.1 ed il teorema 7.10).
In questo paragrafo ci occuperemo di stabilire la definizione dimassimo e minimo relativo per una funzione e daremo condizioninecessarie e sufficienti per l’esistenza di un punto di minimo o dimassimo relativo.
Definizione 23.3 Sia f : D −→ R diciamo che x0 ∈ D è un punto diminimo (massimo) relativo per la funzione f se ∃δ > 0 tale che se x ∈D ∩ (x0 − δ, x0 + δ) si ha
f (x) ≥ f (x0) ( f (x) ≤ f (x0)).
Proviamo ora condizioni necessarie e sufficienti per l’esistenza diun minimo o di un massimo relativo.
Essendo evidente l’analogia, ci occuperemo solo del caso dei mini-mi relativi.
Teorema 23.28 Sia f : (a, b) −→ R una funzione derivabile n volte e siax0 ∈ (a, b); sia k il primo numero naturale tale che f (k)(x0) 6= 0; allora x0 èpunto di minimo relativo per f se e solo se k è pari e f (k)(x0) > 0.
234 ottavio caligaris - pietro oliva
Dimostrazione. Sia k il più piccolo numero naturale per cui f (k)(x0) 6=0. Allora, usando la formula di Taylor con il resto di Peano si ha
f (x) = f (x0) +f (k)(x0)
k!(x− x0)
k + (x− x0)kω(x− x0).
Pertantof (x)− f (x0)
(x− x0)k =f (k)(x0)
k!+ ω(x− x0).
Poichè
limx→xo
f (x)− f (x0)
(x− x0)k =f (k)(x0)
k!
per il teorema della permanenza del segno è lecito supporre che in unintorno di x0
f (x)− f (x0)
(x− x0)k
abbia segno costante.Ora, se x0 è di minimo relativo deve essere k pari ed inoltre f (k)(x0) >
0; mentre se f (k)(x0) > 0 e k è pari, si vede, usando il teorema dellapermanenza del segno, che x0 è un punto di minimo relativo. 2
Definizione 23.4 Siano f , g : (a,+∞) −→ R; diciamo che f e g sonoasintotiche se
limx→+∞
f (x)− g(x) = 0.
Nel caso in cui siag(x) = αx + β
diciamo che g è un asintoto per f .
Teorema 23.29 Sia f : (a,+∞) −→ R; la retta di equazione
y = αx + β
è un asintoto per f se e solo se
(12.1). α = limx→+∞
f (x)x
, β = limx→+∞
f (x)− αx
Dimostrazione. E’ immediato verificare che le (12.1) sono sufficientiaffinché la retta sia asintoto.
Viceversa, se la retta è asintoto, si ha
limx→+∞
f (x)− αx− β
x= lim
x→+∞
f (x)x− α = 0
2
Definizione 23.5 Sia f : (a, b) −→ R, diciamo che la retta di equazionex = c è un asintoto verticale per f se
limx→c| f (x)| = +∞.
analisi matematica 1 november 4, 2013 235
23.12 CONVESSITÀ.
Vogliamo ora studiare un argomento di notevole importanza per le sueapplicazioni pratiche e teoriche: la convessità.
In questo paragrafo considereremo, salvo esplicito avviso contrario,una funzione f : (a, b) −→ R.
Definizione 23.6 f si dice convessa in (a, b) se
∀x, y ∈ (a, b) , ∀λ ∈ (0, 1)
(13.1) f (λx + (1− λ)y) ≤ λ f (x) + (1− λ) f (y) .
Diciamo che f è strettamente convessa se la (13.1) vale in senso stretto.
Teorema 23.30 f è convessa se e solo se, ∀n ∈ N, ∀xi ∈ (a, b), ∀λi ≥ 0
n
∑i=1
λi = 1 si ha f
(n
∑i=1
λixi
)≤
n
∑i=1
λi f (xi)
Dimostrazione. Proviamolo per induzione: per n = 2 è ovvio. Sup-poniamolo vero per n e proviamolo per n + 1; sia
Λ =n
∑i=1
λi = 1− λn+1,
si ha
f
(n+1
∑i=1
λixi
)= f
(Λ
n
∑i=1
λixiΛ
+ (1−Λ)xn+1
)≤
≤ Λ f
(n
∑i=1
λiΛ
xi
)+ (1−Λ) f (xn+1) ≤
≤n
∑i=1
λi f (xi) + λn+1 f (xn+1)
2
Definizione 23.7 Sia A ⊂ R2, diciamo che A è un insieme convesso se, perogni P, Q ∈ A, il segmento di estremi P e Q è interamente contenuto in A.
Osserviamo che, se
P = (p1, p2) , Q = (q1, q2)
un qualunque punto R del segmento di estremi P e Q ha coordinate
(λp1 + (1− λ)q1, λp2 + (1− λ)q2) , λ ∈ [0, 1] .
236 ottavio caligaris - pietro oliva
Definizione 23.8 Definiamo epigrafico di f l’insieme
epi f = {(x, α) ∈ R2 : f (x) ≤ α }.
Teorema 23.31 f è convessa se e solo se epi f è convesso.
Dimostrazione. Supponiamo che f sia convessa e siano
(x, α), (y, β) ∈ epi f ;
allora
f (λx + (1− λ)y) ≤ λ f (x) + (1− λ) f (y) ≤ λα + (1− λ)β
per cui(λx + (1− λ)y, λα + (1− λ)β) ∈ epi f .
Viceversa, se epi f è convesso, poiché
(x, f (x)), (y, f (y)) ∈ epi f
si ha(λx + (1− λ)y, λ f (x) + (1− λ) f (y)) ∈ epi f
e la (13.1). 2
Osserviamo che il risultato precedente permette di riconoscere fa-cilmente una funzione convessa.
Teorema 23.32 Sono fatti equivalenti:
1. f è convessa
2. f (y)− f (x)y−x ≤ f (z)− f (x)
z−x ≤ f (z)− f (y)z−y se x < y < z
3. f (y)− f (x)y−x ≤ f (z)− f (y)
z−y se x < y < z .
Dimostrazione. Osserviamo intanto che
y = λx + (1− λ)z ⇔ λ =z− yz− x
e 1− λ =y− xz− x
, λ ∈ (0, 1) .
Pertanto f è convessa se e solo se
(13.2) f (y) ≤ z− yz− x
f (x) +y− xz− x
f (z).
Proviamo che (1)⇒ (2); si ha
f (y)− f (x) ≤ f (x)(
z− yz− x
− 1)+ f (z)
y− xz− x
=y− xz− x
( f (z)− f (x))
e la prima delle (2).
analisi matematica 1 november 4, 2013 237
Inoltre
f (z)− f (y) ≥ f (z)(
1− y− xz− x
)− f (x)
z− yz− x
=z− yz− x
( f (z)− f (x))
e la seconda delle (2).(2)⇒ (3) è ovvio.(3)⇒ (1); si ha
f (y)− f (x) ≤ y− xz− y
( f (z)− f (y))
e la (13.2). 2
Teorema 23.33 Siano x, z ∈ (a, b), x < z, e sia
sx,z(y) = f (x) + (y− x)f (z)− f (x)
z− x= f (z) + (y− z)
f (z)− f (x)z− x
la retta secante il grafico di f nei punti (x, f (x)) e (z, f (z)). f è convessa in(a, b) se e solo se per ogni x, y, z ∈ (a, b)
f (y) ≤ sx,z(y) se x ≤ y ≤ z
f (y) ≥ sx,z(y) se y ≤ x o y ≥ z.
Dimostrazione. Sia f è convessa; se x ≤ y ≤ z si ha la tesi dalla(13.2).
Se y > z > x dal teorema 13.6-(2) si ha
f (z)− f (x)z− x
≤ f (y)− f (z)y− z
e la tesi.Se y < x < z si ha dal teorema 13.6-(2)
f (x)− f (y)x− y
≤ f (z)− f (x)z− x
e la tesi.Viceversa, se x < y < z si ha
f (y) ≤ sx,z(y) =z− yz− x
f (x) +y− xz− x
f (z)
e la tesi. 2
Teorema 23.34 f è convessa se e solo se
rx(h) =f (x + h)− f (x)
h
è crescente per ogni x ∈ (a, b).
238 ottavio caligaris - pietro oliva
Dimostrazione. Basta osservare che la crescenza di rx è equivalentealla (2) del teorema 13.6, e quindi alla convessità. 2
Teorema 23.35 Se f è convessa allora, per ogni x ∈ (a, b), esistono f ′+(x) ef ′−(x). Inoltre
f ′−(x) ≤ f ′+(x).
Dimostrazione. La funzione rx è crescente e, se δ è scelto in modoche
a < x− δ < x < x + δ < b
si harx(−δ) < rx(h) < rx(δ)
se |h| < δ.Pertanto rx è limitata, sia superiormente che inferiormente, ed è
lecito affermare che
limh→0−
rx(h) e limh→0+
rx(h)
esistono e sono finiti. 2
Teorema 23.36 Se f è convessa in (a, b), allora f non è derivabile in uninsieme N ⊂ (a, b) che risulta al più numerabile.
Dimostrazione. Dal momento che f ′−(x) e f ′+(x) esistono finiti, perogni x ∈ (a, b) e si ha f ′−(x) ≤ f ′+(x), possiamo affermare che
N = {x ∈ (a, b) : f ′−(x) < f ′+(x) } .
E’ pertanto possibile associare ad ogni x ∈ N un numero razionaleqx tale che
f ′−(x) < qx < f ′+(x)
ed è immediato provare che, se x 6= y, si ha qx 6= qy.Ciò ed il fatto che l’insieme dei numeri razionali è numerabile,
permettono di concludere. 2
Teorema 23.37 Sia f derivabile in (a, b); sono equivalenti i seguenti fatti
1. f è convessa in (a, b);
2. f ′ è crescente in (a, b) .
Dimostrazione. (1) ⇒ (2) Siano x, y ∈ (a, b), x < y, e siano h > 0 ek < 0 tali che
x < x + h < y + k < y .
Dalla (3) del teorema 13.6 si ha
f (x + h)− f (x)h
≤ f (y + k)− f (x + h)y + k− x− h
≤ f (y)− f (y + k)−k
analisi matematica 1 november 4, 2013 239
e al limite per h→ 0+ e k→ 0− si ha
f ′(x) = f ′+(x) ≤ f ′−(y) = f ′(y).
(2)⇒ (1) Sia a < x < y < z < b, allora
f (y)− f (x)y− x
= f ′(c) , x < c < y
ef (z)− f (y)
z− y= f ′(d) , y < d < z .
Ne viene che, poiché c < y < d
f (y)− f (x)y− x
= f ′(c) ≤ f ′(d) =f (z)− f (y)
z− y.
Da cui la convessità di f per il teorema 13.6. 2
Corollario 23.6 Se f è convessa in (a, b), risulta ivi continua.Se f è convessa e derivabile in (a, b), risulta ivi di classe C1.
Corollario 23.7 Sia f una funzione derivabile due volte in (a, b); sono con-dizioni equivalenti:
1. f è convessa in (a, b);
2. f ′ è crescente in (a, b);
3. f ′′ è non negativa in (a, b) .
Teorema 23.38 Sia f derivabile in (a, b), allora f è convessa se e solo se
(13.3) f (y) ≥ f (x) + f ′(x)(y− x) ∀x, y ∈ (a, b).
Dimostrazione. Sia f convessa in (a, b), per il teorema 13.7 si ha(possiamo sempre supporre y ≤ x a meno di scambiare i ruoli di x ez)
f (y) ≥ f (x) + (y− x)f (z)− f (x)
z− xe, per z→ x si ha la tesi.
Viceversa, se è vera la (13.3) e se x < y < z si ha
f (y)− f (x) ≤ f ′(y)(y− x) , f (z)− f (y) ≥ f ′(y)(z− y)
da cuif (y)− f (x)
y− x≤ f ′(y) ≤ f (z)− f (y)
z− y.
2
Definizione 23.9 Sia f : (a, b) −→ R, diciamo che f è concava in (a, b) se− f è convessa in (a, b).
240 ottavio caligaris - pietro oliva
Definizione 23.10 Diciamo che f : (a, b) −→ R ha un punto di flesso inx0 ∈ (a, b) se esiste δ > 0 tale che f è convessa (concava) in (x0 − δ, x0) econcava (convessa) in (x0, x0 + δ).
Semplici esempi mostrano come sia possibile per una funzioneavere un punto di flesso in 0 e
• non essere derivabile in 0 ( f (x) = 3√
x)
• avere derivata non nulla in 0 ( f (x) = sin x)
• avere derivata nulla in 0 ( f (x) = x3).
E’ pertanto evidente che non è possibile caratterizzare un punto diflesso facendo uso soltanto della derivata prima nel punto.
Possiamo tuttavia provare i seguenti fatti
Teorema 23.39 Sia f : (a, b) −→ R e sia x0 ∈ (a, b), supponiamo f deri-vabile in (a, b); allora x0 è un punto di flesso se e solo se f ′ è crescente (de-crescente) in un intorno destro di x0 e decrescente (crescente) in un intornosinistro.
Corollario 23.8 Sia f : (a, b) −→ R derivabile n volte in (a, b); allora x0 èun punto di flesso per f solo se la prima derivata non nulla in x0 è di ordinedispari.
23.13 RICERCA NUMERICA DI ZERI E MINIMI.
Uno degli scopi più elementari dell’analisi è determinare, con la mas-sima precisione possibile, l’andamento del grafico di una funzione.
In particolare è interessante trovarne zeri e minimi (massimi); tut-tavia non sempre ciò è fattibile usando i metodi fin qui illustrati epertanto è utile conoscere algoritmi che permettano di approssimare ameno di un errore prefissato i punti cercati.
Cominciamo con l’occuparci dei metodi di ricerca degli zeri di unafunzione.
Teorema 23.40 - Metodo di Newton (o delle tangenti)- Supponiamo f :(α, β) −→ R, convessa e derivabile due volte in (α, β); supponiamo inoltreche α < a < b < β e sia
f (a) < 0 , f (b) > 0 .
Allora esiste uno ed un solo punto c ∈ (a, b) tale che
f (c) = 0 , f ′(x) ≥ f ′(c) > 0 ∀x ∈ [c, b].
Definiamo la successione xn nella seguente maniera:
x0 = b
analisi matematica 1 november 4, 2013 241
xn+1 = xn −f (xn)
f ′(xn);
allora:
• xn è decrescente e inferiormente limitata,
• lim xn = c
• se 0 ≤ f ′′(x) ≤ M per ogni x ∈ [a, b] 3 se f ′(a) = P > 0 si ha
0 ≤ xn − c ≤ 2PM
(M2P
(b− a))2n
Dimostrazione. L’esistenza di c è immediata conseguenza del teo-rema degli zeri; per quel che riguarda l’unicità, se esistessero c, d ∈(a, b) tali che c < d, f (c) = f (d) = 0, per il teorema 13.7 si avrebbef (a) ≥ 0 .
Inoltre si ha f ′(c) > 0; infatti se fosse f ′(c) ≤ 0 , dal momento chef ′ è crescente in [a, b], si avrebbe
f ′(x) ≤ f ′(c) ≤ 0 ∀x ∈ [a, c] ;
pertanto f sarebbe decrescente in [a, c] e
f (a) ≥ f (c) = 0 .
Pertanto
f ′(x) ≥ f ′(c) > 0 ∀x ∈ [c, b] .
Proviamo ora per induzione che
c ≤ xn+1 ≤ xn ≤ b .
Per ipotesi c < x0 = b . Proviamo pertanto che, supponendo c ≤xn ≤ b si può dedurre c ≤ xn+1 ≤ xn ≤ b . Sia
s(x) = f (xn) + f ′(xn)(x− xn)
alloras(c) = f (xn) + f ′(xn)(c− xn) ≤ f (c) = 0
es(xn) = f (xn) ≥ 0 .
Inoltres(x) = 0 ⇔ x = xn+1 ;
ciò permette di concludere.Pertanto la successione xn è decrescente ed inferiormente limitata
e si ha che xn → ` , ` ∈ [a, b] .
242 ottavio caligaris - pietro oliva
Per la continuità di f ed f ′ si ha f ′(`) > 0,
` = `− f (`)f ′(`)
e f (`) = 0.
Per l’unicità dello zero di f ne segue c = `.Supponiamo infine vere le ipotesi del punto 3); usando la formula
di Taylor con il resto di Lagrange si ottiene
0 = f (c) = f (xn) + f ′(xn)(c− xn) +f ′′(cn)
2(c− xn)
2 , c < cn < xn ;
e, se teniamo conto che
f ′(xn)(xn − xn+1) = f (xn)
otteniamo
0 = f ′(xn)(xn − xn+1) + f ′(xn)(c− xn) +f ′′(cn)
2(c− xn)
2
e
xn+1 − c =f ′′(cn)(c− xn)2
2 f ′(xn).
Pertanto0 ≤ xn+1 − c ≤ M
2P(xn − c)2
e si può facilmente provare per induzione la tesi della 3). 2
Il precedente metodo può essere generalizzato al caso in cui lafunzione non sia convessa, ma siano verificate opportune condizioni.
Teorema 23.41 - Metodo delle tangenti generalizzato - Supponiamo f deri-vabile due volte in [2a− b, b] e sia f (a) < 0, f (b) > 0 . Supponiamo inoltreche
| f ′′(x)| ≤ M , f ′(x) ≥ P > 0 ∀x ∈ [2a− b, b]
eM2P
(b− a) < 1 .
Allora esiste un unico c ∈ (a, b) tale che f (c) = 0; inoltre se definiamoxn nella seguente maniera:
x0 = b
xn+1 = xn −f (xn)
f ′(xn)
si ha
1. lim xn = c
2. |xn − c| ≤ 2PM
(M2P (b− a)
)2n
.
analisi matematica 1 november 4, 2013 243
Dimostrazione. Esistenza ed unicità di c sono ovvie poiché f ècontinua e strettamente crescente in [a, b].
Si ha inoltre
0 = f (c) = f (xn) + f ′(xn)(c− xn) +f ′′(cn)
2(c− xn)
2,
|cn − c| ≤ |xn − c|.
Si ottiene pertanto, come nel teorema precedente,
|xn+1 − c| ≤ | f′′(cn)|
2 f ′(xn)(xn − c)2 .
Proviamo ora per induzione che
|xn − c| ≤ b− c .
Innanzi tutto si ha
|x0 − c| = b− c ;
inoltre, se |xn − c| ≤ b− c si può affermare che 2a− b ≤ xn ≤ b,
|cn − c| ≤ b− c e 2a− b ≤ cn ≤ b
per cui
|xn+1 − c| ≤ M2P
(xn − c)2 ≤ M2P
(b− a)|xn − c| ≤ |xn − c| ≤ b− c.
Pertanto, dal momento che xn, cn ∈ [2a− b, b] si ha che
|xn+1 − c| ≤ M2P
(xn − c)2
e per induzione si deduce la tesi. 2
Teorema 23.42 -Metodo della regula falsi - Sia f : (α, β) −→ R unafunzione convessa e derivabile due volte in (α, β) e siano a, b ∈ (α, β), a < b,tali che f (a) < 0, f (b) > 0.
Allora esiste uno ed un solo c ∈ (a, b), tale che f (c) = 0 e f ′(x) ≥f ′(c) > 0 ∀x ∈ [c, b].
Inoltre, se definiamo una successione xn nella seguente maniera:
x0, x1 ∈ [c, b] , x1 < x0 (23.31)
xn+1 = xn − f (xn)xn − xn−1
f (xn)− f (xn−1)
= xn−1 − f (xn−1)xn − xn−1
f (xn)− f (xn−1)(23.32)
si ha
244 ottavio caligaris - pietro oliva
• xn è decrescente ed inferiormente limitata,
• lim xn = c
• se M, P ∈ R sono tali che
0 ≤ f ′′(x) ≤ M , f ′(x) ≥ P > 0 ∀x ∈ [a, b]
allora
0 ≤ xn − c ≤ 2PM
(M2P
(b− a))δn
ove δn è la successione di Fibonacci.
Dimostrazione.La prima parte dell’enunciato è comune al metodo delle tangenti
di Newton e pertanto la dimostrazione è identica a quella del teorema14.2.
Passiamo ora a provare la seconda parte; proviamo cioè, per indu-zione, che la successione xn è decrescente ed inferiormente limitata dac.
Intanto si hac ≤ x1 ≤ x0 ≤ b ;
dimostriamo perciò che, se c ≤ xn ≤ xn−1 ≤ b, si ha
c ≤ xn+1 ≤ xn ≤ b .
Definiamo
s(x) = f (xn) + (x− xn)f (xn)− f (xn−1)
xn − xn−1
allora (teorema 13.7)
s(c) = f (xn)− (c− xn)f (xn)− f (xn−1)
xn − xn−1≤ f (c) = 0
es(xn) = f (xn) > 0 ,
inoltres(x) = 0 ⇔ x = xn+1 .
Se ne decuce che c ≤ xn+1 ≤ xn ≤ xn−1 ≤ b .Ora, essendo xn decrescente e inferiormente limitata, posto
` = lim xn ∈ R
si ha, per la continuità di f ed f ′ e per il fatto che
f (xn)− f (xn−1)
xn − xn−1= f ′(cn) , xn ≤ cn ≤ xn−1 ,
analisi matematica 1 november 4, 2013 245
che
` = `− f (`)f ′(`)
.
Ma ` ≥ c in quanto xn ≥ c; pertanto f ′(`) ≥ f ′(c) > 0, per cui sipuò asserire che f (`) = 0 e, per l’unicità dello zero,
` = c.
Supponiamo ora che valgano le ipotesi del punto 3); si ha
xn+1 − c = xn − f (xn)xn − xn−1
f (xn)− f (xn−1)− c =
= (xn − c)(
1− f (xn)− f (c)xn − c
xn − xn−1
f (xn)− f (xn−1)
)=
= (xn − c)(xn−1 − c)xn − xn−1
f (xn)− f (xn−1)
1xn−1 − c
·
·(
f (xn)− f (xn−1)
xn − xn−1− f (xn)− f (c)
xn − c
).
Oraxn − xn−1
f (xn)− f (xn−1)=
1f ′(cn)
, xn < cn < xn−1
mentre
1xn−1 − c
(f (xn)− f (xn−1)
xn − xn−1− f (xn)− f (c)
xn − c
)=
=F(xn−1)− F(c)
xn−1 − c
dove
F(x) =
f (x)− f (xn)
x−xnse 6= xn
f ′(xn) sex = xn
inoltreF(xn−1)− F(c)
xn−1 − c= F′(ξn) , c < ξn < xn−1
e
F′(ξn) =f ′(ξn)(ξn − xn)− f (ξn) + f (xn)
(ξn − xn)2 = − f ′′(dn)
2,
c < dn < xn.
Si ottiene quindi che
xn+1 − c = (xn − c)(xn−1 − c)f ′′(dn)
2 f ′(cn)≤ M
2P(xn − c)(xn−1 − c)
246 ottavio caligaris - pietro oliva
e se definiamoεn = xn − c
avremoε0 = x0 − c ≥ x1 − c = ε1
ed ancheεn+1 ≤ εnεn−1
M2P
da cui si può dedurre per induzione che
εn ≤(
M2P
)δn−1εδn
0
e la tesi. 2
Teorema 23.43 Metodo della regula falsi generalizzato - Sia f derivabile duevolte in [2a− b, b] e sia f (a) < 0, f (b) > 0. Supponiamo inoltre che
| f ′′(x)| ≤ M , f ′(x) ≥ P > 0 ∀x ∈ [2a− b, b]
eM2P
(b− a) < 1 .
Allora esiste uno ed un solo c ∈ (a, b) tale che f (c) = 0. Inoltre, sedefiniamo xn come nel teorema precedente, si ha
1. lim xn = c
2. |xn − c| ≤ 2PM
(M2P (b− a)
)δn
dove δn è la successione di Fibonacci.
Dimostrazione. L’esistenza e l’unicità di c è ovvia dalla continuitàe dalla stretta crescenza di f .
Come nel teorema precedente si prova che
|xn+1 − c| = |xn − c||xn−1 − c| f ′′(dn)
2 f ′(cn)
essendo |cn − xn| ≤ |xn − xn−1|, |dn − c| ≤ |xn − c| .Si può poi provare per induzione che
|xn − c| ≤ b− c
e ne segue
|xn+1 − c| ≤ |xn − c||xn−1 − c|M2P
.
Si conclude come nel caso convesso. 2
Possiamo infine ricavare un metodo per individuare gli zeri di unafunzione osservando che
f (x) = 0 ⇔ x = x + α f (x) .
analisi matematica 1 november 4, 2013 247
Posto
F(x) = x + α f (x)
il nuovo problema è risolvere l’equazione
F(x) = x
e viene usualmente indicato come ricerca di un punto fisso per la fun-zione F.
A questo proposito è immediato provare il seguente risultato:
Teorema 23.44 Sia f : [a, b] −→ [a, b] una funzione continua, allora esistec ∈ [a, b] tale che f (c) = c .
Dimostrazione. Definiamo φ : [a, b] −→ R mediante la
φ(x) = f (x)− x .
Si ha
φ(a) = f (a)− a ≥ 0 , φ(b) = f (b)− b ≤ 0 ;
pertanto applicando il teorema degli zeri, si ottiene
∃c ∈ [a, b] : φ(c) = f (c)− c = 0.
2
Possiamo anche provare il seguente risultato che permette di ri-cavare un semplicissimo algoritmo per approssimare la soluzione delproblema considerato.
Teorema 23.45 - Metodo delle contrazioni - Sia D = [x0 − ρ, x0 + ρ] esupponiamo che f : D −→ R soddisfi le seguenti condizioni
1. | f (x)− f (y)| ≤ k|x− y| , ∀x, y ∈ D , 0 ≤ k < 1 .
2. |x0 − f (x0)| ≤ (1− k)ρ .
Allora esiste uno ed un solo punto c ∈ D tale che f (c) = c.Inoltre, definita una successione xn, mediante la
xn+1 = f (xn)
si ha
lim xn = c
e
|xn − c| ≤ ρkn.
248 ottavio caligaris - pietro oliva
Dimostrazione. Cominciamo con il provare che c, se esiste, èunico; se infatti esistesse d ∈ D tale che f (d) = d si avrebbe
|d− c| = | f (d)− f (c)| ≤ k|d− c|
da cui(1− k)|d− c| ≤ 0
e dal momento che 1− k > 0 si ha d = c.Vediamo ora che è possibile considerare la successione xn; allo
scopo sarà sufficiente provare per induzione che xn ∈ D ∀n ≥ 0.
Osserviamo intanto che x0, x1 ∈ D e dimostriamo che, suppostoxk ∈ D, 0 ≤ k ≤ n, si ha xn+1 ∈ D.
Si ha
|xn+1 − xn| = | f (xn)− f (xn−1)| ≤ k|xn − xn−1| ≤ ... ≤ kn|x1 − x0|
e
|xn+1 − x0| ≤n
∑i=0|xi+1 − xi| ≤
n
∑i=0
ki|x1 − x0| =
=1− kn+1
1− k|x1 − x0| ≤ (1− kn+1)ρ ≤ ρ.
Si ha inoltre
|xn+p − xn| ≤p−1
∑i=0|xn+i+1 − xn+i| ≤
p−1
∑i=0
kn+i|x1 − x0| =
= |x1 − x0|knp−1
∑i=0
ki = |x1 − x0|kn 1− kp
1− k≤ ρkn.
Ciò prova che xn è una successione di Cauchy e pertanto esiste c ∈ Dtale che
c = lim xn .
Per la continuità di f
c = lim xn+1 = lim f (xn) = f (c) .
Infine, passando al limite per p→ +∞ nella precedente disuguaglian-za si ha la tesi. 2
Osservazione. Una funzione soddisfacente l’ipotesi 1) del teorema14.7 si chiama contrazione di costante k.
analisi matematica 1 november 4, 2013 249
Una funzione tale che
| f (x)− f (y)| ≤ k|x− y| , k ≥ 0
si chiama invece lipschitziana di costante k .Osserviamo che una funzione lipschitziana è continua, ed inoltre f
è lipschitziana se e solo se il suo rapporto incrementale è limitato. 2
Possiamo più in generale provare che
Teorema 23.46 Sia f una funzione continua e supponiamo che esista m ∈ Ntale che
φ = f m
soddisfi le ipotesi del teorema precedente.Allora esiste uno ed un solo punto c ∈ D tale che f (c) = c.
Dimostrazione. Applicando il risultato precedente a φ si ottieneche esiste un unico punto c ∈ D tale che f m(c) = φ(c) = c.
Inoltre si haφp( f (c)) = f (φp(c))
e quindi, dal momento che,
φp( f (c))→ c per p→ +∞
si haf (c) = f (φp(c)) = φp( f (c))→ c
da cuif (c) = c.
Pertanto ogni punto fisso di φ è anche punto fisso di f ; il viceversa èdi immediata verifica. 2
Un semplice esempio di applicazione del precedente teorema èdato dalla funzione
f (x) = atn(x + π).
Infatti f non è contrazione, ma f 2 lo è.Si osservi che un metodo rapido e semplice per verificare le ipo-
tesi del teorema 14.7 è usare il teorema di Lagrange, con opportunemaggiorazioni della derivata prima.
Illustriamo infine brevemente un metodo di ricerca degli zeri chesi dimostra particolarmente efficace nell’uso pratico.
Sia f : [a, b] −→ R una funzione continua e supponiamo chef(a) f (b) < 0; in modo che f ammetta almeno uno zero in (a, b).
Definiamo una successione xn di punti di [a, b] nella seguente ma-niera:
x0 = a , x1 = b , f0 = f (x0) , f1 = f (x1)
250 ottavio caligaris - pietro oliva
xn+1 = xn − fnxn − xn−1
fn − fn−1, fn+1 = f (xn+1)
inoltre sefn fn+1 > 0
si sostituisce
xn con xn−1 e fn con fn−1/2.
Il metodo descritto permette di trovare un intervallo di ampiezzaarbitrariamente piccola, di estremi xn−1 e xn, entro il quale è certa-mente localizzato uno zero della funzione in esame; si può inoltreverificare una notevole efficacia, in termini di rapidità di convergenzadel metodo stesso.
Molto spesso non è facile trovare i massimi e minimi relativi odassoluti di una funzione usando i metodi classici in quanto, ad esem-pio, non si possono facilmente valutare gli zeri della derivata prima oaddirittura la funzione in esame non è derivabile. In tali casi si ricorrea metodi per la determinazione numerica approssimata dei punti e deivalori di minimo.
Tali metodi si prefiggono di restringere, fino alla lunghezza desi-derata, l’intervallo in cui c’è il minimo della funzione: in altre parole,assegnata una funzione f su un intervallo [a,b], che ammetta ivi un mi-nimo relativo interno, si cerca un intervallo più piccolo [a1, b1] ⊂ [a, b]in modo che f ammetta ancora in [a1, b1] un minimo relativo inter-no. Iterando il procedimento si può ridurre l’intervallo fino a trovare[ak, bk] in modo che la sua ampiezza sia più piccola della precisionedesiderata.
La possibilità di trovare l’intervallo [a1, b1] a partire da [a, b] è ga-rantita da alcuni semplici risultati che illustriamo di seguito e dipendedalla scelta di opportuni punti in [a,b].
Lemma 23.4 Sia f : [a, b] −→ R continua e supponiamo che esista c ∈(a, b) tale che
f (c) ≤ min{ f (a), f (b)} .
Allora esiste un punto x0 ∈ (a, b) di minimo relativo per f .
Dimostrazione. Per il teorema di Weierstrass esiste x0 ∈ [a, b] tale che
f (x0) ≤ f (x) ∀x ∈ [a, b]
e poichéf (c) ≤ min{ f (a), f (b)}
il minimo assoluto non può essere assunto soltanto in a o in b. 2
Stabiliamo ora un criterio di scelta per passare dall’intervallo [a, b] =[a0, b0] all’intervallo [ak, bk] iterativamente.
analisi matematica 1 november 4, 2013 251
Definizione 23.11 Sia f : [a, b] −→ R continua, diciamo che è data unasuccessione di intervalli [ak, bk] localizzante un minimo relativo se:
• [a0, b0] = [a, b];
• è assegnata una regola che permette di scegliere in (ak, bk) due punti, cheindichiamo con αk, βk, (indichiamo questa regola con il nome di regola discelta);
• è individuato [ak+1, bk+1] nella seguente maniera
[ak+1, bk+1] = [ak, βk] se f (αk) ≤ f (βk)
[ak+1, bk+1] = [αk, bk] se f (αk) > f (βk)
Diciamo inoltre che la regola di scelta è aurea se accade che
βk+1 = αk se f (αk) ≤ f (βk)
αk+1 = βk se f (αk) > f (βk).
Osserviamo che una regola di scelta aurea permette di introdurre ad ogniiterazione un solo nuovo punto e quindi causa ad ogni passo la necessità diun solo nuovo calcolo di funzione anziché due.
Teorema 23.47 Sia f : [a, b] −→ R continua e sia [ak, bk] una successionedi intervalli localizzante relativa ad una scelta di punti aurea; allora se
min{ f (α0), f (β0)} ≤ min{ f (a0), f (b0)},
in ogni intervallo (ak, bk) esiste un punto di minimo relativo per f .
Dimostrazione. Se
f (α0) ≤ f (β0) si ha [a1, b1] = [a0, β0]
ef (α0) ≤ min{ f (a1), f (b1)} ;
sef (α0) > f (β0) si ha [a1, b1] = [α0, b0]
ef (β0) ≤ min{ f (a1), f (b1)} .
Poiché la regola di scelta è aurea risulta
min{ f (α1), f (β1)} ≤ min{ f (a1), f (b1)}
e iterando il procedimento, per il lemma 14.9, si ha la tesi. 2
252 ottavio caligaris - pietro oliva
Corollario 23.9 Se oltre alle ipotesi del teorema 14.11, f ammette un unicopunto di minimo assoluto x0 ∈ (a, b), allora
ak ≤ x0 ≤ bk ∀k ∈ N.
I risultati precedenti sottolineano l’importanza di conoscere unascelta di punti aurea, valutare l’ampiezza di [ak, bk] e conoscere condi-zioni che garantiscano l’unicità del minimo di f .
Una buona scelta aurea dei punti αk e βk può essere fatta seguendodiversi criteri: innanzi tutto deve essere
αk < βk
ebk − αk = βk − ak
in modo che i casi da considerare di volta in volta siano ridotti innumero e affinché l’ampiezza di ogni intervallo sia indipendente daciò che accade nel precedente intervallo.
Ciò premesso imporremo
αk+1 = βk se [ak+1, bk+1] = [αk, bk]
eβk+1 = αk se [ak+1, bk+1] = [ak, βk] .
Per scegliere αk e βk sotto queste condizioni sarà perciò opportunoscegliere θk in modo che
αk = ak + (1− θk)(bk − ak)
βk = bk − (1− θk)(bk − ak)
ed imporre condizioni su θk .Affinché αk < βk si deve avere
−1 + (1− θk) + (1− θk) < 0
e1− 2θk < 0
da cui
(14.1) θk >12
.
Affinché αk+1 = βk quando [ak+1, bk+1] = [αk, bk] deve aversi
ak+1 + (1− θk+1)(bk+1 − ak+1) = bk − (1− θk)(bk − ak)
ak + (1− θk)(bk − ak) + (1− θk+1)[bk − ak − (1− θk)(bk − ak)] =
= bk − (1− θk)(bk − ak)
analisi matematica 1 november 4, 2013 253
da cui
(14.2) θk+1 =1− θk
θk.
La stessa relazione si ottiene per avere αk = βk+1 quando
[ak+1, bk+1] = [ak, βk].
La successione θk dovrà pertanto soddisfare le condizioni (14.1)e (14.2) e dipenderà dalla scelta del primo termine θ1 (dal quale èunivocamente determinata).
Ad ogni iterazione l’intervallo riduce la sua lunghezza di un fattoreθk e dopo n iterazioni la lunghezza sarà ridotta del fattore
n
∏k=1
θk .
Osserviamo che, se
θk =φkψk
deve aversiφk+1ψk+1
=ψk − φk
φk
e ciò è verificato se
(14.3) φk+1 = ψk−1 − φk e ψk+1 = φk , φ0 = ψ1 .
In tal caso si haθk =
φkφk−1
en
∏k=1
θk =φn
φ0.
Pertanto, dopo n iterazioni, la diminuzione della lunghezza dell’inter-vallo è di
φn
φ0,
tale quantità dipendendo dai valori φ0 e φ1 che fino ad ora sono arbi-trari.
Essendo
φkφ0
=1
2√
5
(√
5 + 1)
(√5− 12
)k
+ (√
5− 1)
(−√
5 + 12
)k+
+φ1
φ0
1√5
(√5− 12
)k
− (−1)k
(√5 + 12
)k ,
affinché φn/φ0 sia minimo occorre cheφ1φ0
sia massimo, se n è pari;φ1φ0
sia minimo, se n è dispari.
254 ottavio caligaris - pietro oliva
D’altra parte, affinché
12≤ θn ≤ 1
deve essere12≤ θn−1 ≤
23
35≤ θn−2 ≤
23
e così di seguito.Posto
rk =Fk
Fk+1
dove Fk è la successione di Fibonacci, risultark ≤ θn−k ≤ rk+1 se k è disparirk+1 ≤ θn−k ≤ rk se k è pari
e quindirn−1 ≤ θ1 ≤ rn se n è parirn ≤ θ1 ≤ rn−1 se n è dispari.
Tenendo conto cheθ1 =
φ1
φ0
la massima riduzione dell’intervallo si ha per
φ1
φ0= rn =
Fn
Fn+1
per cui si può scegliere
φ1 = Fn , φ0 = Fn+1
eφk = Fn−k
non appena si ricordi la (14.3).Con questa scelta
n
∏k=1
θk =1
Fn+1.
Una scelta più banale per la successione θk è
θk = costante = θ
ed in tal caso affinché la (14.2) sia verificata deve risultare
θ =
√5− 12
;
dopo n iterazioni la riduzione dell’intervallo di partenza è proporzio-nale ad un fattore (√
5− 12
)n
.
analisi matematica 1 november 4, 2013 255
Osserviamo che
limn
Fn+1
(√5− 12
)n
=3 +√
52√
5≈ 1.17082039324993690892275
per cui il metodo con θ costante, essendo di poco peggiore, ma estre-mamente più semplice, è consigliabile.
Va inoltre notato che se θ è costante, si può migliorare l’approssi-mazione a piacere, proseguendo nelle iterazioni; nell’altro caso inveceil numero di iterazioni va fissato a priori, e per cambiarlo occorre rifaretutti calcoli dall’inizio.
Ai metodi qui illustrati vanno aggiunti quelli che cercano gli ze-ri della derivata, o del rapporto incrementale (si vedano i metodi diricerca numerica degli zeri).
Notiamo fra l’altro che, se f (x+ h)− f (x) = 0 allora ∃c ∈ (x, x+ h)punto di minimo o di massimo relativo per f .
Osserviamo esplicitamente che, a causa degli arrotondamenti concui le macchine eseguono i calcoli, può accadere che una funzionevenga valutata zero anche in punti ’non vicini’ alla soluzione effetti-va: ad esempio, utilizzando meno di 20 cifre significative 1− cos(x10)
risulterà nulla per x = .1 .
22.14 Integrazione
Lemma 22.5 Siano P, Q ∈ P(a, b), Q � P, e sia f : [a, b] −→ R tale chem ≤ f (x) ≤ M ∀x ∈ [a, b]; allora
m(b− a) ≤ L( f , P) ≤ L( f , Q) ≤≤ R( f , Q, Ξ) ≤
≤ U( f , Q) ≤ U( f , P) ≤ M(b− a).
Inoltre, comunque si scelgano R, S ∈ P(a, b), si ha
L( f , R) ≤ U( f , S).
Dimostrazione. Dal momento che
mi ≥ m ∀P ∈ P(a, b)
si ha
L( f , P) ≥ mn
∑i=1
(xi − xi−1) = m(b− a) .
Il fatto che L( f , P) ≤ L( f , Q) lo si può dedurre tenendo conto che seu < v < w, detti
m = inf{ f (x) : x ∈ [u, w]}µ = inf{ f (x) : x ∈ [u, v]}
ν = inf{ f (x) : x ∈ [v, w]}
256 ottavio caligaris - pietro oliva
si ham ≤ µ , m ≤ ν
em(w− u) = m(w− v) + m(v− u) ≤ ν(w− v) + µ(v− u) .
La parte riguardante le somme superiori si prova in maniera analoga.Per provare la seconda parte dell’enunciato, sia T = R ∪ S, ovvia-
mente T � R e T � S; perciò
L( f , R) ≤ L( f , T) ≤ U( f , T) ≤ U( f , S).
2
Teorema 22.48 Siano f , g : [a, b] −→ R limitate e sia c ∈ (a, b); valgono iseguenti fatti:
∫–b
a[ f (x) + g(x)]dx ≤
∫–b
af (x)dx +
∫–b
ag(x)dx(1)∫ b
– a[ f (x) + g(x)]dx ≥
∫ b
– af (x)dx +
∫ b
– ag(x)dx(2)
∫–b
aα f (x)dx = α
∫–b
af (x)dx ∀α > 0(3)∫ b
– aα f (x)dx = α
∫ b
– af (x)dx ∀α > 0(4)
∫ b
– aβ f (x)dx = β
∫–b
af (x)dx ∀β < 0(5)
∫–b
af (x)dx =
∫–c
af (x)dx +
∫–b
cf (x)dx(6)∫ b
– af (x)dx =
∫ c
– af (x)dx +
∫ b
– cf (x)dx.(7)
Dimostrazione. (1) segue dal fatto che
U( f + g, Pn) ≤ U( f , Pn) + U(g, Pn) .
(2) è analoga, (3),(4),(5) seguono da
U(α f , Pn) = αU( f , Pn) , L(α f , Pn) = αL( f , Pn),
L(β f , Pn) = βU( f , Pn).
Per provare (6) e (7) è sufficiente scegliere una successione ordinata dipartizioni di [a,b] tale che P1 = {a, c, b} . 2
Teorema 22.49 Sia f : [a, b] −→ R limitata; sono fatti equivalenti:
(1) f è integrabile su [a, b] secondo Cauchy-Riemann;
analisi matematica 1 november 4, 2013 257
(2) f soddisfa la condizione di integrabilità in [a, b]
(3) f è integrabile in [a, b].
Dimostrazione. (1)⇒ (2) : sia ε > 0, se P ∈ P(a, b), P� Pε, si ha∣∣∣∣∣ n
∑i=1
f (ξi)(xi − xi−1)− I
∣∣∣∣∣ < ε
e ∣∣∣∣∣ n
∑i=1
f (ηi)(xi − xi−1)− I
∣∣∣∣∣ < ε
per ogni ξi, ηi ∈ [xi−1, xi]; perciò∣∣∣∣∣ n
∑i=1
[ f (ξi)− f (ηi)](xi − xi−1)
∣∣∣∣∣ < 2ε .
D’altra parte si ha
Mi −mi = sup{ f (x) : x ∈ [xi−1, xi]} − inf{ f (x) : x ∈ [xi−1, xi]} == sup{ f (x)− f (y) : x, y ∈ [xi−1, xi]}
ed è perciò possibile trovare αi, βi ∈ [xi−1, xi] in modo che
f (αi)− f (βi) ≥ Mi −mi − ε.
Pertanto
U( f , P)− L( f , P) =n
∑i=1
(Mi −mi)(xi − xi−1) ≤
≤n
∑i=1
[ f (αi)− f (βi)](xi − xi−1) + ε(b− a)
≤ 2ε + ε(b− a).
(2)⇒ (3): ∀ε > 0 ∃Pε ∈ P(a, b) : 0 ≤ U( f , Pε)− L( f , Pε) < ε e
U( f , Pε) < L( f , Pε) + ε.
Si ottiene allora che∫–b
af (x)dx ≤ U( f , Pε) < L( f , Pε) + ε ≤
∫ b
– af (x)dx + ε
e, per ε↘ 0, si ottiene∫–b
af (x)dx =
∫ b
– af (x)dx .
(3)⇒ (1) : sia
I =∫ b
af (x)dx;
258 ottavio caligaris - pietro oliva
sia ε > 0 e siano Pε, Qε ∈ P(a, b) tali che
U( f , Pε) < I + ε , L( f , Qε) > I − ε .
Pertanto, se P ∈ P(a, b), P� (Pε ∪Qε), si ha
I − ε < L( f , P) ≤ R( f , P, Ξ) ≤ U( f , P) < I + ε.
2
Corollario 22.10 Sia f : [a, b] −→ R limitata ed integrabile in [a, b] e siaPn una successione ordinata di partizioni di [a, b]; allora∫ b
af (x)dx = lim
nR( f , Pn, Ξn) .
Osservazione. Qualora f non sia integrabile l’asserto del corollarioprecedente può risultare falso; infatti il limite a secondo membro puòdipendere dalla scelta dei punti ξn. Si consideri ad esempio la funzioneche vale 0 sui razionali e 1 sugli irrazionali. 2
Teorema 22.50 Siano f , g : [a, b] −→ R limitate e integrabili su [a, b],siano α, β ∈ R; allora α f + βg e f g sono integrabili su [a, b] e∫ b
a[α f (x) + βg(x)]dx = α
∫ b
af (x)dx + β
∫ b
ag(x)dx .
Dimostrazione. Si ha
α∫ b
af (x)dx + β
∫ b
ag(x)dx ≤
∫ b
– a[α f (x) + βg(x)]dx ≤
≤∫–b
a[α f (x) + βg(x)]dx ≤ α
∫ b
af (x)dx + β
∫ b
ag(x)dx.
Proviamo ora che f g è integrabile. Supponiamo | f (x)| ≤ M, |g(x)| ≤M ∀x ∈ [a, b].
Sia P ∈ P(a, b), sia ε > 0 e siano αi, βi ∈ [xi−1, xi] tali che
Mi −mi ≤ f (αi)g(αi)− f (βi)g(βi) + ε.
Si ha
Mi −mi ≤ f (αi)[g(αi)− g(βi)] + g(βi)[ f (αi)− f (βi)] + ε ≤
≤ M(Mgi −mg
i ) + M(M fi −m f
i ) + ε
e
U( f g, P)− L( f g, P) ≤≤ M[U( f , P)− L( f , P)] + M[U(g, P)− L(g, P)] + ε.
2
analisi matematica 1 november 4, 2013 259
Teorema 22.51 Sia f : [a, b] −→ R limitata ed integrabile in [a, b]; siac ∈ (a, b), allora f è integrabile in [a, c] ed in [c, b] e∫ b
af (x)dx =
∫ c
af (x)dx +
∫ b
cf (x)dx .
Dimostrazione. Si ha∫ b
af (x)dx =
∫ b
– af (x)dx =
∫ c
– af (x)dx +
∫ b
– cf (x)dx ≤
≤∫–c
af (x)dx +
∫–b
cf (x)dx =
∫–b
af (x)dx =
∫ b
af (x)dx
e (∫ c
– af (x)dx−
∫–c
af (x)dx
)+
(∫ b
– cf (x)dx−
∫–b
cf (x)dx
)= 0
da cui f è integrabile su [a, c] e su [c, b]. 2
Teorema 22.52 Sia f : [a, b] −→ R continua, allora f è integrabile in [a, b].
Dimostrazione. Per il teorema di Heine-Cantor la funzione f è uni-formemente continua in [a,b] e pertanto
∀ε > 0 ∃δε > 0 : |x− y| < ε ⇒ | f (x)− f (y)| < ε.
Sia Pε ∈ P(a, b) tale che ∆(Pε) < δε; per il teorema di Weierstraß siha che
mi = f (αi) , Mi = f (βi) con αi, βi ∈ [xi−1, xi] .
Dal momento che |αi − βi| < ∆(Pε) < δε si avrà
Mi −mi < ε
e
U( f , Pε)− L( f , Pε) < εn
∑i=1
(xi − xi−1) = ε(b− a).
2
Teorema 22.53 Sia f : [a, b] −→ R limitata e continua in [a, b] \ N, N =
{y1, ..., yk}; allora f è integrabile in [a, b].
Dimostrazione. Proviamo che f è integrabile in [yi−1, yi] = [α, β].Si consideri [α + ε, β− ε], f è ivi integrabile e pertanto esiste Pε ∈
P(α + ε, β− ε) tale che U( f , Pε)− L( f , Pε) < ε.Sia Qε = Pε ∪ {α, β}, allora
U( f , Qε)− L( f , Qε) ≤≤ U( f , Pε) + 2Mε− L( f , Pε)− 2mε <
< ε + 2ε(M−m).
2
Il secondo teorema della media.
260 ottavio caligaris - pietro oliva
Corollario 22.11 Siano f , g : (a, b) −→ R, f ∈ C1, g ∈ C0, f crescente, esia [α, β] ⊂ (a, b), allora
∃γ ∈ [α, β] :∫ β
αf (x)g(x)dx = f (α)
∫ γ
αg(x)dx + f (β)
∫ β
γg(x)dx.
Dimostrazione. Sia G una primitiva di g in (a, b), si ha
∫ β
αf (x)g(x)dx = f (β)G(β)− f (α)G(α)−
∫ β
αf ′(x)G(x)dx =
= f (β)G(β)− f (α)G(α)− G(γ)[ f (β)− f (α)] =
= f (α)[G(γ)− G(α)] + f (β)[G(β)− G(γ)]
2
Teorema 22.54 formula di Taylor con il resto integrale - Sia f : [a, b] −→R, di classe Cn+1; siano x, x0 ∈ [a, b], allora
f (x) =n
∑i=0
f (i)(x0)
i!(x− x0)
i +∫ x
x0
(x− t)n
n!f (n+1)(t)dt.
Dimostrazione. Sia x ∈ [a, b], posto
Q(t) =n
∑i=0
f (i)(t)i!
(x− t)i
si ha
Q(x) = f (x) , Q(x0) =n
∑i=0
f (i)(x0)
i!r(x− x0)
i = P(x)
e
Q′(t) =(x− t)n
n!f (n+1)(t)
e, dal teorema 15.32
f (x)− P(x) = Q(x)−Q(x0) =∫ x
x0
Q′(t)dt.
2 La formula di Taylor con il resto diLagrange può essere ottenuta dal precedente teorema facendo uso delteorema della media; il resto di Peano può a sua volta essere ottenutodal resto di Lagrange; il tutto però con ipotesi sovrabbondanti.
22.15 EQUAZIONI DIFFERENZIALI A VARIABILI SEPA-RABILI
Nei teoremi 16.2 e 16.4 giocano un ruolo fondamentale il fatto che I eJ siano intervalli aperti e che g(y) 6= 0 ∀y ∈ J.
Quest’ultima condizione è certamente soddisfatta se g(y0) 6= 0 .
analisi matematica 1 november 4, 2013 261
Esaminiamo brevemente cosa accade se mancano queste ipotesi.Cominciamo con il considerare il caso in cui I e J siano intervalli
chiusi; in questa situazione si è naturalmente condotti al concetto disoluzione definita solo a destra o solo a sinistra del punto iniziale.
L’esistenza di una tale soluzione si prova, esattamente come nelteorema 16.4, nel caso in cui si possa invertire G per risolvere rispettoad y(x)
G(y(x)) = G(y0) + F(x)− F(x0) .
Ciò è possibile se e solo se G è localmente monotona in un intornodi y0 e
sgn(G(y)− G(y0)) = sgn(F(x)− F(x0)) .
Una condizione sufficiente affinché ciò accada è che
g(y) f (x)(x− x0)(y− y0) > 0 ∀x ∈ int I, ∀y ∈ int J .
Quando invece g(y0) = 0, lo studio dell’esistenza di una soluzioneper il Problema di Cauchy (16.2) diventa banale in quanto è semprepossibile considerare la soluzione costante
y(x) ≡ y0 ,
mentre si complica lo studio dell’unicità.Accenniamo qui a quanto accade se y0 è uno zero isolato di g, cioè
se g non si annulla in un intorno di y0, e distinguiamo due casi.(1o caso). g è infinitesima in y0 di ordine α ≥ 1. In questo caso
la primitiva G di 1/g non può essere prolungata per continuità iny0 e pertanto la soluzione costante è l’unica possibile. (2o caso). g
è infinitesima in y0 di ordine α ≤ β < 1 , β ∈ R . Questa volta
G può essere prolungata per continuità in y0 e, dal momento che y0
è uno zero isolato di g , si ha che G è localmente monotona in unintorno, anche solo destro o sinistro di y0. Pertanto, fissato x ∈ I,eventualmente x = x0, si può risolvere rispetto ad y(x) l’uguaglianza
G(y(x)) = G(y0) + F(x)− F(x)
non appena si supponga che
f (x)g(y)(x− x)(y− y0) > 0 ∀x ∈ int I′, ∀y ∈ int J .
Postoy(x) = G−1(F(x)− F(x) + G(y0)) x ∈ I′
ove I′ è un intorno eventualmente solo destro o sinistro di x, si puòsubito osservare che
y′(x) = limx→x
f (x)g(y(x)) = f (x)g(y(x)) = 0.
262 ottavio caligaris - pietro oliva
Pertanto y è derivabile in x e si può ivi raccordare con derivabilità allasoluzione y(x) ≡ y0 .
Ciò permette di costruire infinite soluzioni del problema di Cauchy(16.2). Si può provare, nell’ambito di una più generale trattazione delle
equazioni differenziali, che la soluzione del problema di Cauchy (16.2)esiste ed è unica nel caso in cui
f ∈ C0(I) , g ∈ C1(J) .
Usando le tecniche sopra descritte si può provare il seguente risul-tato che, nonostante la sua semplicità, è di fondamentale importan-za quando si trattano equazioni differenziali ordinarie ed anche allederivate parziali.
22.16 SISTEMI ED EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEA-RI
Lemma 22.6 Siano A : I −→Mn e B : I −→ Rn, continue e siano x0 ∈ I, Y0 ∈ Rn. Sono problemi equivalenti:
trovare Y : I −→ Rn derivabile, tale cheY′(x) = A(x)Y(x) + B(x)
Y(x0) = Y0
trovare Y : I −→ Rn continua, tale che
(2) Y(x) = Y0 +∫ x
x0
(A(t)Y(t) + B(t))dt.
Dimostrazione. E’ intanto ovvio che, se vale (1), per integrazione siottiene subito (2). Se viceversa (2) è vera, Y è derivabile ed anche (1)vale come si constata derivando e calcolando in x0. 2
Teorema 22.55 Siano A: I −→Mn, B : I −→ Rn continue e siano x0 ∈ I,Y0 ∈ Rn.
Allora esiste una ed una sola soluzione del problema di CauchyY′(x) = A(x)Y(x) + B(x) , ∀x ∈ I
Y(x0) = Y0
Dimostrazione. Proveremo l’esistenza di una funzione Y soddisfa-cente il problema (2) del lemma precedente. Troveremo Y come limitedella successione di funzioni definita da
Y0(x) ≡ Y0
analisi matematica 1 november 4, 2013 263
Yk(x) = Y0 +∫ x
x0
(A(t)Yk−1(t) + B(t))dt.
Occorrerà pertanto provare innanzittutto che Yk(x) è convergente perogni x ∈ I.
Fissato un intervallo limitato I′ ⊂ I si ha
sup{‖A(x)‖ : x ∈ I′} = L0 ∈ R , sup{‖B(x)‖ : x ∈ I′} = N ∈ R
e pertanto
sup{‖A(x)Y0 + B(x)‖ : x ∈ I′} ≤ L‖Y0‖+ N = M ∈ R
essendo L = nL0 .Proviamo per induzione che
‖Yk+1(x)−Yk(x)‖ ≤ MLk|x− x0|k+1
(k + 1)!, k ≥ 0.
Si ha infatti
‖Y1(x)−Y0(x)‖ =∥∥∥∥∫ x
x0
(A(t)Y0 + B(t))dt∥∥∥∥ ≤
≤∣∣∣∣∫ x
x0
‖A(t)Y0 + B(t)‖dt∣∣∣∣ ≤ M|x− x0|
ed inoltre
‖Yk+1(x)−Yk(x)‖ =∥∥∥∥∫ x
x0
A(t)(Yk(t)−Yk−1(t))dt∥∥∥∥ ≤
≤∣∣∣∣∫ x
x0
n‖A(t)‖‖Yk(t)−Yk−1(t)‖dt∣∣∣∣ ≤
≤ L
∣∣∣∣∣∫ x
x0
MLk−1|t− x0|k
k!dt
∣∣∣∣∣ == M
Lk|x− x0|k+1
(k + 1)!
Pertanto è lecito affermare che
‖Yk+p(x)−Yk(x)‖ ≤p
∑i=1‖Yk+i(x)−Yk+i−1(x)‖ ≤
≤p
∑i=1
ML
Lk+i|x− x0|k+i
(k + i)!=
=ML
k+p
∑i=k+1
(L|x− x0|)i
i!
264 ottavio caligaris - pietro oliva
Ora si ha
‖Yk+p(x)−Yk(x)‖ ≤ ML
k+p
∑i=k+1
(Lδ)i
i!, ∀x ∈ I′
essendo δ scelto in modo che |x− x0| ≤ δ per x ∈ I′.Ma
eLδ =k
∑i=0
(Lδ)i
i!+ eξ (Lδ)k+1
(k + 1)!, 0 < ξ < Lδ
e pertanto
k+p
∑i=k+1
(Lδ)i
i!= eLδ − eξ1
(Lδ)k+p+1
(k + p + 1)!− eLδ + eξ2
(Lδ)k+1
(k + 1)!≤
≤ eξ2(Lδ)k+1
(k + 1)!≤ eLδ (Lδ)k+1
(k + 1)!= E′k
Quindi
‖Yk+p(x)−Yk(x)‖ ≤ E′kML
= Ek , ∀x ∈ I′.
elim Ek = 0 .
Quanto provato, assieme al criterio di convergenza di Cauchy, per-mette di concludere che
lim Yk(x) = Y(x) , ∀x ∈ I′ ;
passando poi al limite per p→ +∞ si ha
‖Y(x)−Yk(x)‖ ≤ Ek , ∀x ∈ I′.
Proviamo ancora che Y è continua in I′ e che per essa risulta
Y(x) = Y0 +∫ x
x0
(A(t)Y(t) + B(t))dt , ∀x ∈ I′.
A questo scopo ricordiamo che è facile provare, per induzione, cheYk è continua su I e quindi anche su I′. Vediamo come da ciò discendeche Y è continua su I′.
Sia x ∈ I′ e sia kε tale che, se k ≥ kε, Ek < ε/3; per |x− x| < δε siha ‖Ykε
(x)−Ykε(x)‖ < ε/3 e perciò
‖Y(x)−Y(x)‖ ≤ ‖Y(x)−Ykε(x)‖+ ‖Ykε
(x)−Ykε(x)‖+
+ ‖Ykε(x)−Y(x)‖ ≤ 2Ekε
+ ‖Ykε(x)−Ykε
(x)‖ ≤≤ 2ε/3 + ε/3 = ε
Inoltre
analisi matematica 1 november 4, 2013 265
lim∫ x
x0
(A(t)Yk(t) + B(t))dt =∫ x
x0
(A(t)Y(t) + B(t))dt , ∀x ∈ I′ .
Infatti∥∥∥∥∫ x
x0
(A(t)Yk(t) + B(t))dt−∫ x
x0
(A(t)Y(t) + B(t))dt∥∥∥∥ ≤
≤∣∣∣∣∫ x
x0
n‖A(t)‖‖Yk(t)−Y(t)‖dt∣∣∣∣ ≤ LδEk → 0
Ciò prova che, essendo
Yk+1(x) = Y0 +∫ x
x0
(A(t)Yk(t) + B(t))dt , ∀x ∈ I′,
si haY(x) = Y0 +
∫ x
x0
(A(t)Y(t) + B(t))dt , ∀x ∈ I′.
Quanto abbiamo fatto per I′ può essere ripetuto per ogni intervallolimitato contenuto in I e ciò consente di affermare che la Y è definita econtinua in I ed ivi risolve il problema assegnato.
Si è con ciò provata l’esistenza della soluzione cercata; per quantoconcerne l’unicità, siano Y e Z due soluzioni del problema assegnato,si ha
‖Y(x)− Z(x)‖ =∥∥∥∥∫ x
x0
A(t)(Y(t)− Z(t))dt∥∥∥∥ ≤≤∣∣∣∣∫ x
x0
L‖Y(t)− Z(t)‖dt∣∣∣∣
e per il corollario 16.6, ‖Y(x)− Z(x)‖ = 0 . 2
Il teorema che abbiamo appena dimostrato consente di provare,senza fatica, un risultato di esistenza anche per le equazioni differen-ziali lineari di ordine n.
Sia infatti
y(n)(x) = an(x)y(n−1)(x) + . . . + a1(x)y(x) + b(x)
una equazione differenziale lineare di ordine n e poniamo
yi(x) = y(i−1)(x) , i = 1, . . . , n.
(Per chiarire le idee osserviamo che si avrà y1(x) = y(x) , .... , yn(x) =y(n−1)(x) ).
Possiamo allora riscrivere la nostra equazione nella seguente forma
y′1(x) = y2(x)
y′2(x) = y3(x)
. . .
. . .
y′n(x) = an(x)yn(x) + .... + a1(x)y1(x) + b(x)
266 ottavio caligaris - pietro oliva
ed anche come
Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x)
non appena si sia definito
A(x) =
0 1 0 . . . 00 0 1 . . . 0...
......
. . ....
a1(x) a2(x) a3(x) . . . an(x)
B(x) =
00...
b(x)
Ci occuperemo qui di mostrare come esso funziona nel caso di una
equazione del secondo ordine, essendo l’estensione del metodo deltutto ovvia per equazioni lineari di ordine superiore.
Consideriamo pertanto a, b ∈ Co(I) e l’equazione differenziale diordine 2
y′′(x) = a(x)y′(x) + b(x)y(x).
Supponiamo nota una soluzione z dell’equazione, tale che z(x) 6= 0∀x ∈ I.
Cerchiamo soluzioni della nostra equazione nella forma y(x) =
u(x)z(x) .Derivando e sostituendo nell’equazione otteniamo che
u′′z + 2u′z′ + uz′′ = au′z + auz′ + buz
e, tenuto conto che z è soluzione,
u′′z + 2u′z′ − au′z = 0.
Posto v = u′ si hav′z + v(2z′ − az) = 0
e quindi, poiché z 6= 0,
v′ + v(2z′
z− a) = 0.
Se ne deduce che deve essere
v(x) = e−∫ x
xo 2 z′(t)z(t) dt+
∫ xxo a(t)dt
e quindi
v(x) =(
z(x0)
z(x)
)2
e∫ x
xo a(t)dt.
Pertanto una soluzione sarà
v(x) =1
(z(x))2 e∫ x
xo a(t)dt
analisi matematica 1 november 4, 2013 267
eu(x) =
∫ x
x0
1(z(t))2 e
∫ txo a(s)dsdt
da cui si può ricavare la soluzione cercata.Proviamo che tale soluzione risulta linearmente indipendente da z.
Se infatti
c1z(x) + c2z(x)∫ x
x0
1(z(t))2 e
∫ txo a(s)dsdt = 0 ∀x
si ha, per x = x0
c1z(x0) = 0 e c1 = 0.
Ne viene anche che
c2z(x)∫ x
x0
1(z(t))2 e
∫ txo a(s)dsdt = 0
e c2 = 0 in quanto il secondo fattore non può mai annullarsi, se x 6= x0.Possiamo pertanto scrivere l’integrale generale dell’equazione data
come
y(x) = z(x)(
c1 + c2
∫ x
x0
1(z(t))2 e
∫ txo a(s)dsdt
).
Osservazione. Notiamo che i risultati fin qui ottenuti possonoessere provati anche nel caso in cui i coefficienti siano complessi.
In particolare si può provare che lo spazio delle soluzioni dellaversione complessa del sistema omogeneo (17.2) è uno spazio vetto-riale di dimensione n su C e di dimensione 2n su R. Rimandiamoall’appendice per precisazioni sulla struttura dello spazio vettoriale S .Ci occupiamo ora della soluzione di equazioni e sistemi differenziali
lineari a coefficienti costanti della forma
(17.8) Y′(x) = AY(x) + B(x)
(17.9) Y′(x) = AY(x)
(17.10) y(n)(x) =n
∑k=1
aky(k−1)(x) + b(x)
(17.11) y(n)(x) =n
∑k=1
aky(k−1)(x).
La possibilità di scrivere esplicitamente l’integrale generale di unsistema differenziale lineare omogeneo a coefficienti costanti (17.9) di-pende dalla conoscenza della decomposizione canonica di Jordan dellamatrice A. In particolare, con argomenti di calcolo matriciale si provache (si veda L.S.Pontryagin, Ordinary differential equations):
268 ottavio caligaris - pietro oliva
Teorema 22.56 - di decomposizione di Jordan - Sia A una matrice n× n acoefficienti complessi e siano
λ1, ..., λr ∈ C
i suoi autovalori; per m = 1, .., r esistono s(m) ∈N, q1, .., qs(m) ∈N e
h11, .., h1
q1; h2
1, .., h2q2
; ...; hs(m)1 , .., hs(m)
qs(m)
vettori linearmente indipendenti tali che
r
∑m=1
s(m)
∑i=1
qi = n
ed inoltre
Ahi1 = λmhi
1 , Ahi2 = λmhi
2 + hi1
(17.12) . . . , Ahiqs(m)
= λmhiqs(m)
+ hiqs(m)−1
m = 1, ..., r , i = 1, ..., s(m)
Osserviamo esplicitamente che ad ogni autovalore λ può corrispon-dere più di una serie di vettori h.
Ora, fissati m = 1, .., r; i = 1, .., s(m) e t = 1, .., qi possiamo conside-rare il polinomio
Pt,im (x) =
t
∑j=1
xt−j
(t− j)!hi
j.
Come si verifica facilmente si ha
ddx
Pt,im (x) = Pt−1,i
m (x)
eAPt,i
m (x) = λmPt,im (x) + Pt−1,i
m (x)
Per cui le funzioni
Yt,im (x) = Pt,i
m (x)eλmx
sono soluzioni del sistema assegnato.Pertanto, dal momento che
Yt,im (0) = Pt,i
m (0) = hit
avremo che
W(0) = [h11, .., h1
q1, h2
1, .., h2q2
, ....., hs(r)1 , .., hs(r)
qs(r)] 6= 0
analisi matematica 1 november 4, 2013 269
in quanto i vettori considerati sono linearmente indipendenti.Pertanto le funzioni Yt,i
m sono in numero di n, risultano linearmenteindipendenti e costituiscono una base per lo spazio delle soluzioni delsistema assegnato.
In pratica l’integrale generale del sistema Y′ = AY si può determi-nare come segue
1. si trovano gli autovalori della matrice A, λ1, .., λr e la loro moltepli-cità µ1, .., µr;
2. in corrispondenza ad ogni valore λ di A, avente molteplicità µ, oc-corre trovare le serie di autovettori associate; ciò può essere fattonella seguente maniera: si trovano i vettori h tali che
(A− λI)h = 0.
Tali vettori generano uno spazio vettoriale V1 di dimensione ν1 ≤ µ;siano h1, .., hν1 i vettori di una base di V1; se ν1 = µ non occorreproseguire; se invece ν1 < µ, in corrispondenza di ogni vettore hi,i = 1, .., ν1, si cercano i vettori h tali che
(A− λI)h = hi.
Sia Vi2 lo spazio affine delle soluzioni trovate e sia νi
2 = dimVi2,
avremo cheν1
∑i=1
νi2 + ν1 ≤ µ.
Se vale l’uguaglianza non occorre proseguire, altrimenti, in corri-spondenza di ognuno dei vettori di una base di Vi
2 si procede comesopra.
3. Si trovano così le serie di Jordan corrispondenti ad ogni autovaloreλ e si costruiscono le soluzioni del sistema come è stato visto inprecedenza.
Osserviamo infine che, con le notazioni usate nel teorema di de-composizione di Jordan, l’integrale generale del sistema Y′ = A Y, èdato da
r
∑m=1
s(m)
∑i=1
q(i)
∑t=1
ct,im Pt,i
m (x) eλmx.
Passiamo ora a considerare il caso di una equazione differenzialelineare di ordine n a coefficienti costanti
y(n)(x) =n
∑k=1
aky(k−1)(x)
e chiamiamo
P(λ) = λn −n
∑k=1
ak λ(k−1)
270 ottavio caligaris - pietro oliva
polinomio caratteristico associato all’equazione assegnata.Osserviamo che, se definiamo,
A =
0 1 0 0 . . . 00 0 1 0 . . . 00 0 0 1 . . . 0...
......
.... . .
...a1 a2 a3 a4 . . . an
e se poniamo
yk(x) = y(k−1)(x) , Y = (y1, y2, ....., yn)
l’equazione data è equivalente al sistema differenziale lineare
Y′(x) = AY(x)
eP(λ) = det(A− λI).
E’ possibile pertanto usare i risultati ottenuti per i sistemi allo scopodi risolvere l’equazione assegnata; tuttavia ciò non risulta conveniente:è infatti molto più facile, data la particolarità della matrice A, seguireuna via più diretta e specifica.
Sia λ una radice di molteplicità µ dell’equazione P(λ) = 0; provia-mo che
eλx , xeλx , x2eλx , ..... , xµ−1eλx
sono soluzioni dell’equazione data.Definiamo, allo scopo, L : Cn(R) −→ Co(R) mediante la:
L(y)(x) = y(n)(x)−n
∑k=1
ak y(k−1)(x);
è immediato verificare che l’equazione assegnata si può riscrivere co-me:
L(y)(x) = 0
e che
L(xreλx) = L(
dr
dλr eλx)=
dr
dλr L(eλx) =dr
dλr (P(λ)eλx) =
=r
∑k=0
(rk
)dk
dλk eλx dr−k
dλr−k P(λ) =
= eλxr
∑k=0
(rk
)xkP(r−k)(λ) = 0
se si sceglie r ≤ µ− 1 , non appena si tenga conto che λ è soluzione diP(λ) = 0 con molteplicità µ.
analisi matematica 1 november 4, 2013 271
E’ inoltre immediato verificare, usando il Wronskiano, che le µ
soluzioni ottenute sono tra di loro linearmente indipendenti.Si può con ciò concludere che se λ1, λ2, ...., λp sono soluzioni del-
l’equazione algebrica P(λ) = 0 con molteplicità µ1, µ2, ...., µp essendoµ1 + µ2+ .... +µp = n, si avrà che
eλkx, xeλkx, . . . xµk−1eλkx , k = 1, 2, ...., p,
sono n soluzioni linearmente indipendenti dell’equazione assegnata ilcui integrale generale può pertanto essere scritto come:
y(x) =p
∑k=1
µk−1
∑r=0
cr,kxreλkx .
Se i coefficienti sono reali, qualora
xmeλx = xme<e λx[cos(=m ˘x) + i sin(=m ˘x)]
sia soluzione dell’equazione assegnata, anche
xme<e λx[cos(=m λx)− i sin(=m λx)]
è soluzione (si ricordi che se un polinomio a coefficienti reali ammet-te una soluzione complessa, ammette anche la soluzione complessaconiugata).
Pertanto se ne deduce che, dette
λ1 , .., λk , α1 ± iβ1 , .., αh ± iβh
le radici del polinomio caratteristico, aventi rispettivamente moltepli-cità µ1, .., µk, ν1, .., νh, una base di S è data da
eλix, xeλix, . . . , xµi−1eλix , i = 1, 2, ...., k
eαix cos(βix), eαix sin(βix), ...., xνi−1eαix cos(βix), xνi−1eαix sin(βix)
i = 1, ..., h.
Qualora il sistema sia di forma generale, e non generato da un’e-quazione, dette
φ1, ...., φn
le n soluzioni linearmente indipendenti precedentemente trovate, sipotranno cercare soluzioni della forma
Y(x) = (y1(x), ...., yn(x))
ove
yi(x) =n
∑j=1
cij φj(x) , ci
j costanti.
272 ottavio caligaris - pietro oliva
Ovviamente le cij sono in numero di n2; per ridurle ad n, come è
necessario, si sostituiscono le yi nel sistema e si eliminano le costantisuperflue. La struttura dello spazio delle soluzioni reali di un siste-ma differenziale lineare a coefficienti reali può anche essere studiata apartire dai risultati sopra esposti per le equazioni non appena si sia ingrado di ridurre ogni sistema ad n equazioni indipendenti. Ciò ver-rà fatto successivamente nell’appendice. Sempre usando la riduzionecitata si possono provare i risultati che enunciamo qui di seguito perequazioni e sistemi, ma proviamo solo nel caso delle equazioni.
Abbiamo con ciò gli strumenti per risolvere ogni equazione diffe-renziale ed ogni sistema differenziale lineare omogeneo, a coefficienticostanti; per risolvere i corrispondenti problemi non omogenei saràsufficiente trovare una soluzione particolare dei problemi non omo-genei stessi. Ciò può essere fatto, in generale, usando i risultati delteorema 17.16, ma, nel caso dei coefficienti costanti, possiamo, se inol-tre il termine noto è di forma particolarmente semplice, trovare unasoluzione particolare di forma similmente semplice.
Più precisamente possiamo affermare che:
1. Se consideriamo l’equazione differenziale non omogenea (17.10) ese
b(x) = q(x)eλx
dove λ ∈ C e q è un polinomio di grado m a coefficienti complessi,si può trovare un polinomio r di grado al più m tale che, se µ è lamolteplicità di λ come radice del polinomio caratteristico P ,
y(x) = xµr(x)eλx
sia soluzione dell’equazione (17.10).
2. Se consideriamo il sistema differenziale non omogeneo (17.8) e se
B(x) = Q(x)eλx
dove Q è un vettore colonna i cui elementi sono polinomi a coeffi-cienti complessi, di grado minore o uguale ad m, si può trovare unvettore colonna R i cui elementi sono polinomi a coefficienti com-plessi di grado al più m + µ, dove µ è la molteplicità di λ comeradice del polinomio caratteristico P della matrice A, tale che
Y(x) = R(x)eλx
risolve il sistema (17.8).
Si può inoltre provare che, nel caso in cui i coefficienti siano reali,
analisi matematica 1 november 4, 2013 273
1. Se
b(x) = eαx[q1(x) cos(βx) + q2(x) sin(βx)]
dove q1 e q2 sono polinomi a coefficienti reali di grado massimo me α± iβ è radice del polinomio caratteristico P di molteplicità µ, sipossono trovare due polinomi r1, r2 di grado al più m tali che
y(x) = xµeαx[r1(x) cos(βx) + r2(x) sin(βx)]
sia soluzione della (17.10).
2. Se
B(x) = eαx[Q1(x) cos(βx) + Q2(x) sin(βx)]
dove Q1 e Q2 sono vettori colonna i cui elementi sono polinomi acoefficienti reali di grado al più m e α± i β è radice del polinomiocaratteristico della matrice A con molteplicità µ, si possono trovareR1 ed R2 , vettori colonna i cui elementi sono polinomi a coefficientireali di grado al più m + µ, tali che
Y(x) = eαx[R1(x) cos(βx) + R2(x) sin(βx)]
sia soluzione del sistema (17.8).
Ci limitiamo a verificare la (1) e la (1’), essendo (2) e (2’) conseguen-za di (1) ed (1’) e dei risultati provati in appendice, in cui si mostracome ridurre un sistema ad n equazioni indipendenti.
Sarà sufficiente provare che se
b(x) = xmeλx
e λ è radice dell’equazione caratteristica associata P(λ) = 0 di molte-plicità µ, si può trovare un polinomio q di grado al più m tale che
y(x) = xµq(x)eλx
sia soluzione dell’equazione (17.10).Si ha
xµq(x) =m
∑j=0
qjxj+µ
274 ottavio caligaris - pietro oliva
e (m
∑j=0
qjxj+µeλx
)=
m
∑j=0
qjL(
dj+µ
dλj+µeλx)=
=m
∑j=0
qjdj+µ
dλj+µL(eλx) =
=m
∑j=0
qjdj+µ
dλj+µP(λ)eλx =
=m
∑j=0
qj
j+µ
∑k=0
(j + µ
k
)dj+µ−k
dλj+µ−k eλxP(k)(λ) =
=m
∑j=0
qj
j+µ
∑k=0
(j + µ
k
)xj+µ−keλxP(k)(λ) =
dal momento che λ è radice di P con molteplicità µ
= eλxm
∑j=0
qj
j+µ
∑k=µ
(j + µ
k
)xj+µ−kP(k)(λ) =
= eλxm
∑j=0
qj
j
∑h=0
(j + µ
j + µ− h
)xhP(j+µ−h)(λ) =
e definito αjh = P(j+µ−h)(λ)( j+µj+µ−h)
= eλxm
∑j=0
qj
j
∑h=0
αjhxh =
= eλxm
∑h=0
xhm
∑j=h
αjhqj
(essendo l’ultima uguaglianza evidente se si somma prima perrighe anziché per colonne).
Dovrà pertanto risultare, affinché L(y(x)) = xmeλx
αmmqm = 1
em
∑j=h
αjhqj = 0 , h = 0, 1, ..., m− 1.
Ciò equivale a risolvere un sistema algebrico di m + 1 equazioni inm + 1 incognite la cui matrice associata è
c =
α00 α10 . . . αm0
0 α11 . . . αm1...
.... . .
...0 0 . . . αmm
analisi matematica 1 november 4, 2013 275
Poiché C è triangolare si ha det C = ∏ αhh ed essendo
αhh = P(µ)(λ) (µ + hµ) 6= 0
perché P ha radice λ di molteplicità µ e non µ+ 1 tale sistema ammetteuna ed una sola soluzione.
Proviamo infine la (1’); sarà sufficiente verificare che, se
b(x) = xmeαx sin(βx)
e se α +i β è radice dell’equazione caratteristica associata P(λ) = 0 dimolteplicità µ, si possono trovare due polinomi q ed r, di grado al piùm, tali che
y(x) = xmeαx[q(x) cos(βx) + r(x) sin(βx)]
è soluzione dell’equazione (17.10).Sia infatti z una funzione a valori complessi tale che
L(z(x)) = xme(α+iβ)x ;
per quanto dimostrato al punto (1) si può asserire che
z(x) = xµq(x)e(α+iβ)x =
= xµeαx[<e q(x) cos(βx)−=m q(x) sin(βx)]+
+ixµeαx[<e q(x) sin(βx) +=m q(x) cos(βx)] =
= z1(x) + iz2(x) .
Si avrà pertanto
L(z1(x) + iz2(x)) = L(z1(x)) + iL(z2(x)) =
= xmeαx cos(βx) + ixmeαx sin(βx)
e la (1’) è verificata.
22.17 Introduzione ai metodi di Integrazione numerica.
Sviluppiamo in questa sezione un caso semplice, ma molto importantee significativo, che illustra il principio su cui si basano le formule diquadratura (integrazione) numerica basate sui polinomi interpolatori.
Consideriamo pertanto una funzione f di classe almeno C3 definitasu un aperto contenente l’intervallo [a, b] e sia c il punto medio di [a, b]per modo che, posto b− a = h si abbia
c− a = b− c =h2
276 ottavio caligaris - pietro oliva
a c b
h
h2
h2
Consideriamo il problema di trovare un polinomio di grado mini-mo che coincida con f nei punti (a, f (a)) (b, f (b)) e (c, f (c)). E’ intantoevidente che occorre imporre 3 condizioni e che quindi sono necessarie sufficienti 3 coefficienti, per cui il grado del polinomio cercato deveessere 2. L’esistenza e l’unicità del polinomio cercato si deduce facil-mente imponendo le condizioni richieste; se ne ottiene un sistema incui la matrice dei coefficienti è del tipoa2 a 1
b2 b 1c2 c 1
ed ha determinante non nullo.
È facile vedere che il polinomio
P(x) = f (a)(x− c)(x− b)(a− c)(a− b)
+ f (c)(x− a)(x− b)(c− a)(c− b)
+ f (b)(x− a)(x− c)(b− a)(b− c)
in quanto, ad esempio(x− c)(x− b)(a− c)(a− b)
si annulla in c e in b e vale 1 in a .
f(a)
f(c)
f(b)
a c bx
Sia ora x fissato in [a, b], distinto da a, b, c, sia R(x) tale che
f (x)− P(x) = R(x)(x− a)(x− c)(x− b)
analisi matematica 1 november 4, 2013 277
Consideriamo la funzione
F(t) = f (t)− P(t) = R(x)(t− a)(t− c)(t− b)
ed osserviamo che F si annulla in 4 punti distinti (a, b, c, x), per cui F′
si annulla in almeno 3 punti distinti, F′′ in almeno due punti distintied F′′′ si annulla in almeno un punto.
Ne deduciamo che esiste almeno un punto ξ(x) (che dipende da x)tale che
0 = F′′′(ξ(x)) = f ′′′(ξ(x))− 3!R(x)
per cui
R(x) =f ′′′(ξ(x))
3!
Integrando tra a e b otteniamo
∫ b
af (x) dx−
∫ b
aP(x) dx =
∫ b
a
f ′′′(ξ(x))3!
(x− a)(x− c)(x− b) dx
Nel caso in cui f ′′′ ≡ k sia costante, cioè nel caso in cui f sia unpolinomio di terzo grado, possiamo calcolare
∫ b
a
f ′′′(ξ(x))3!
(x− a)(x− c)(x− b) dx =∫ b
a
k3!(x− a)(x− c)(x− b) dx = 0
per la simmetria dell’integranda, e quindi si dimostra che ogni polino-mio di grado fino a tre è integrato esattamente dalla formula trovata.
Nel caso si conosca un maggiorante di | f ′′′|
| f ′′′(x)| ≤ M ∀x ∈ [a, b]
possiamo stimare l’errore che si commette sostituendo∫ b
a f (x) dx con∫ ba P(x) dx osservando che
∣∣∣∣∫ b
a
f ′′′(ξ(x))3!
(x− a)(x− c)(x− b) dx∣∣∣∣ ≤ M
6
∫ b
a|(x− a)(x− c)(x− b)| dx
e che, posto b− a = h e x− c = t, si ha
x− a = x− c + c− a = t +h2
x− b = x− c + c− b = t− h2
278 ottavio caligaris - pietro oliva
per cui
M6
∫ b
a|(x− a)(x− c)(x− b)| dx =
M6
∫ + h2
− h2
|t||t2 − h2
4| dt =
M6
∫ + h2
− h2
|t|(h2
4− t2) dt =
2M6
∫ + h2
0t(
h2
4− t2) dt =
M3
(t2h2
8− t4
4
)+ h2
− h2
=M3
(h4
32− h4
64
)=
=M3
h4
64= M
h4
192=
M(b− a)4
192
Inoltre∫ b
af (x)dx =
= f (a)∫ b
a
(x− c)(x− b)(a− c)(a− b)
dx + f (c)∫ b
a
(x− a)(x− b)(c− a)(c− b)
dx+
+ f (b)∫ b
a
(x− a)(x− c)(b− a)(b− c)
dx
e, posto b− a = h e x− c = t, si ha x− a = t + h2 , x− b = t− h
2 e
∫ b
a(x− c)(x− b)dx =
∫ + h2
− h2
t(t +h2) dt =
t3
3+
ht2
4
∣∣∣+ h2
− h2
=2
24h3
∫ b
a(x− a)(x− b)dx =
∫ + h2
− h2
(t2 − h2
4) dt =
=t3
3− h2t
4
∣∣∣+ h2
− h2
=2
24h3 − h3
4= − 4
24h3
∫ b
a(x− c)(x− a)dx =
∫ + h2
− h2
t(t− h2) dt =
t3
3− ht2
4
∣∣∣+ h2
− h2
=2
24h3
Per cui
∫ b
af (x)dx = f (a)
224 h3
h2
2
dx + f (c)− 4
24 h3
− h2
4
dx + f (b)2
24 h3
h2
2
dx =
=h6( f (a) + 4 f (c) + f (b)) =
(b− a)6
( f (a) + 4 f (c) + f (b)) =
1 4 1
a c b
analisi matematica 1 november 4, 2013 279
Possiamo migliorare la stima dell’errore utilizzando una sempliceosservazione.
Siaϕ(x) = (x− c)3
e sia Q(x) il suo polinomio interpolatore rispetto ai punti a, b, c.Possiamo facilmente calcolare che
Q(x) = (c− a)3 (x− c)(x− b)(a− c)(a− b)
+ (b− c)3 (x− a)(x− c)(b− a)(b− c)
per cui, posto b− a = h e x− c = t, si ha x− a = t + h2 , x− b = t− h
2ed anche
Q(x) = (−h2)3 t(t− h
2 )
(h)( h2 )
+ (h2)3 (t +
h2 )t
(h)( h2 )
=h2t4
=(b− a)4
4(x− c)
(Osserviamo che si sarebbe ottenuto con meno calcoli lo stesso ri-sultato ricordando che il polinomio cercato deve avere grado al più 2e che deve assumere i valori P(a) = P(b) = ( h
2 )3 e P(c) = 0; quindi
Q deve essere una retta che passa per i tre punti assegnati ed è imme-diato verificare che il polinomio trovato è l’unico che verifica questecaratteristiche.)
Consideriamo ora, per β ∈ R, e per x ∈ (a, b) \ {c} il valore R(x)per cui si ha
( f (x) + βϕ(x))− (P(x) + βQ(x)) = R(x)(x− c)2(x− a)(x− b)
e la funzione
F(t) = ( f (t) + βϕ(t))− (P(t) + βQ(t)) = R(x)(t− c)2(t− a)(t− b)
Si ha cheF(a) = F(c) = F(b) = F(x) = 0
per cui, per il teorema di Rolle, esistono tre punti distinti da a, b, c, x incui F′ si annulla e
F′(t) = ( f ′(t)+ βϕ′(t))− (P′(t)+ βQ′(t)) = R(x)((t− c)2(t− a)(t− b))′
maF′(c) = f ′(c)− (P′(c) + βQ′(c))
e pertanto si può scegliere β = f ′(c)−P′(c)Q′(c)) per modo che
F′(c) = 0
Ne segue che F′ si annulla ancora in almeno 4 punti per cui F′′, F′′′,F′′′′ si annullano in almeno, rispettivamente, 3, 2 ed un punto in (a, b).
280 ottavio caligaris - pietro oliva
Pertanto esiste ξ ∈ [a, b] tale che
0 = F′′′′(ξ) = f ′′′′(ξ)− R(x)4!
da cui
R(x) =f ′′′′(ξ)
4!Ne deduciamo che
∫ b
af (x)dx + β
∫ b
aϕ(x)dx−
∫ b
aP(x)dx + β
∫ b
aQ(x)dx =
=∫ b
a
f ′′′′(ξ)4!
(x− c)2(x− a)(x− b)dx
e, dal momento che ϕ e Q hanno integrale nullo su [a, b] per ragioni disimmetria, se | f ′′′′(ξ)| ≤ H|, si ha∣∣∣∣∫ b
af (x)dx−
∫ b
aP(x)dx
∣∣∣∣ ≤ H4!
∫ b
a|(x− c)2(x− a)(x− b)|dx
Inoltre possiamo calcolare che
H4!
∫ b
a|(x− c)2(x− a)(x− b)|dx =
H4!
∫ h2
− h2
|t2(t2 − h2
4)|dt =
=H4!
[− t5
5+
t3h2
12
] h2
− h2
=H4!
4h5
480=
H2880
h5 =H
2880(b− a)5
Come si vede la maggiorazione del resto è tanto più precisa quan-to più piccola è la lunghezza dell’intervallo (b − a) in particolare lamaggiorazione è utilizzabile quando
b− a < 1
Pertanto è opportuno suddividere l’intervallo su cui si lavora ed ap-plicare su ogni sottointervallo le formule trovate.
Se [a, b] è suddiviso in n parti uguali dai punti
a = x0 < x1 < · · · xn = b
e se yi è il punto medio di [xi−1, xi] Possiamo calcolare un valoreapprossimato di ∫ b
af (x)dx
mediante la
(b− a)n
∑1
f (xi−1) + 4 f (yi) + f (xi)
6
e possiamo affermare che
analisi matematica 1 november 4, 2013 281
∣∣∣∣∣∫ b
af (x)dx− (b− a)
n
∑1
f (xi−1) + 4 f (yi) + f (xi)
6
∣∣∣∣∣ ≤≤ n
H2880
∣∣∣∣ (b− a)5
n5
∣∣∣∣ = H(b− a)5
2880n4
1 4 11 4 1
1 4 11
11 4 1
1 4 2 4 2 4 2 2 4 1
È ovvio che è possibile fare simili considerazioni anche nel caso incui si usi la maggiorazione che coinvolge la derivata quarta di f .
22.18 METODI DI INTEGRAZIONE NUMERICA
Per eseguire calcoli numerici è spesso opportuno disporre di un po-linomio in grado di approssimare adeguatamente una funzione con-tinua ed è inoltre essenziale conoscere una valutazione qualitativa equantitativa dell’errore che si commette sostituendo il polinomio allafunzione data.
Cominciamo con l’esaminare la definizione e le proprietà dei poli-nomi interpolatori di Lagrange.
Definizione 22.12 Sia f : [a, b] −→ R e siano x0, x1, .., xn ∈ [a, b], x0 <
x1 < .. < xn; si dice polinomio interpolatore di f relativo ai punti {xi : i =0, 1, .., n} il polinomio Pn di grado al più n tale che
Pn(xi) = f (xi) , i = 0, 1, .., n .
E’ immediato provare l’esistenza e l’unicità di tale polinomio.
Teorema 22.57 Sia f : [a, b] −→ R e siano x0 < x1 < .. < xn n + 1 puntidi [a, b]; allora esiste uno ed un solo polinomio Pn interpolatore per f , relativoai punti assegnati, e si ha
Pn(x) =n
∑i=0
f (xi)n
∏j=0j 6=i
x− xj
xi − xj.
Dimostrazione. L’unicità di Pn segue immediatamente dal fatto cheesiste un solo polinomio di grado al più n che si annulla negli n + 1punti assegnati (quello nullo).
Per quanto riguarda l’esistenza è sufficiente constatare che il poli-nomio descritto nell’enunciato soddisfa i requisiti richiesti. 2
Per valutare la differenza tra Pn ed f si può far uso del seguenterisultato.
282 ottavio caligaris - pietro oliva
Facciamo notare che d’ora in poi non menzioneremo più esplici-tamente negli enunciati i punti xi,i = 0, 1, .., n relativamente ai qualil’interpolazione viene effettuata.
Teorema 22.58 Sia f : [a, b] −→ R continua, derivabile n + 1 volte in(a, b) e sia Pn il suo polinomio interpolatore.
Allora, per ogni x ∈ [a, b] esiste c ∈ (a, b) tale che
f (x)− Pn(x) =f (n+1)(c)(n + 1)!
n
∏i=0
(x− xi).
Dimostrazione. La tesi è ovvia se x = xi. Sia pertanto x 6= xi,definiamo
Rn(x) = ( f (x)− Pn(x))
(n
∏i=0
(x− xi)
)−1
.
Si ha allora
f (x)− Pn(x) = Rn(x)n
∏i=0
(x− xi)
e, se consideriamo la funzione g : [a, b] −→ R definita da
g(t) = f (t)− Pn(t)− Rn(x)n
∏i=0
(t− xi)
g si annulla negli n + 2 punti x0, x1, .., xn, x.Pertanto è possibile applicare n + 1 volte il teorema di Rolle ed
asserire che esiste c ∈ (a, b) tale che
g(n+1)(c) = f (n+1)(c)− Rn(x)(n + 1)! = 0
e la tesi. 2
E’ anche di notevole utilità ricordare che la corrispondenza trafunzione ed i rispettivi polinomi interpolatori è lineare, in altre parole
Lemma 22.7 Siano f1, f2 : [a, b] −→ R e siano P1n ,P2
n i polinomi interpo-latori di f1 ed f2, rispettivamente; siano α, β ∈ R. Allora αP1
n + βP2n è il
polinomio interpolatore di α f1 + β f2 .
Dimostrazione. Si può concludere osservando che il polinomio inter-polatore è unico e che quello proposto soddisfa le condizioni richieste.2
Lemma 22.8 Siano x0 < x1 < .. < x2n, 2n + 1 punti di [a, b] tali che
xn+k − xn = xn − xn−k , k = 0, 1, .., n;
consideriamo la funzione
φ(x) = (x− xn)2n+1
ed il suo polinomio interpolatore P2n relativo ai punti citati.Allora
analisi matematica 1 november 4, 2013 283
• 1) P′2n(xn) 6= 0
• 2) P2n(x + xn) è una funzione dispari.
Dimostrazione. Siag(x) = xn
e sia Qn−1 il suo polinomio interpolatore relativo ai punti
(xn+i − xn)2 , i = 1, 2, .., n .
Si haQn−1(0) 6= 0
in quanto, se così non fosse Qn−1 − g sarebbe un polinomio di gradon che si annulla in n + 1 punti.
Verifichiamo che
P2n(x) = (x− xn)Qn−1((x− xn)2);
infatti P2n ha grado al più 2n− 1 (< 2n) e
P2n(xn) = 0 = φ(xn)
P2n(xn+i) = (xn+i − xn)Qn−1((xn+i − xn)2) =
= (xn+i − xn)2n+1 = φ(xn+i)
P2n(xn−i) = (xn−i − xn)Qn−1((xn−i − xn)2) =
= (xn − xn+i)Qn−1((xn+i − xn)2) =
= −φ(xn+i) = φ(xn−i).
InoltreP′2n(xn) = Qn−1(0) 6= 0
e, per come è stato definito, P2n(x + xn) è una funzione dispari. 2
Utilizzando questo risultato si può dimostrare che, qualora i punti
x0, x1, ..., xn
siano scelti opportunamente, è possibile migliorare la valutazione del-l’errore commesso sostituendo alla funzione il suo polinomio interpo-latore; l’applicazione di questo risultato risulta essere molto vantag-giosa nel caso in cui si studino formule di integrazione approssimatarelative ad un numero dispari di punti.
284 ottavio caligaris - pietro oliva
Lemma 22.9 Sia f : [a, b] −→ R una funzione continua, derivabile 2n + 2volte in (a, b); siano x0 < x1 < .. < x2n, 2n + 1 punti di [a, b] tali che
xn+k − xn = xn − xn−k , k = 1, 2, .., n
e sia P2n il polinomio interpolatore di f .Consideriamo inoltre la funzione
φ(x) = (x− xn)2n+1
e sia Q2n il suo polinomio interpolatore.Posto
β =f ′(xn)− P′2n(xn)
Q′2n(xn),
per ogni x ∈ [a, b] esiste c ∈ (a, b) tale che
f (x) + βφ(x)− P2n(x)− βQ2n(x) =f (2n+2)(c)(2n + 2)!
(x− xn)2n
∏i=0
(x− xi).
Dimostrazione. Definiamo
F(x) = f (x) + βφ(x);
avremo che il polinomio interpolatore di F, S2n, è dato da
S2n(x) = P2n(x) + βQ2n(x).
Definiamo ancora, se x 6= xi,
R2n(x) = (F(x)− S2n(x))
((x− xn)
2n
∏i=0
(x− xi)
)−1
,
si ha
F(x)− S2n(x) = R2n(x)(x− xn)2n
∏i=0
(x− xi) in [a, b]
e pertanto la funzione
G(t) = F(t)− S2n(t)− R2n(x)(t− xn)2n
∏i=0
(t− xi)
si annulla nei 2n + 2 punti distinti
x0, x1, ..., x2n, x.
Dal momento che G è derivabile, per il teorema di Rolle, G’ siannulla in 2n + 1 punti distinti di (a,b), tutti diversi da x e da xi, i =0, 1, .., 2n; inoltre, poiché
G′(t) = f ′(t) + βφ′(t)− P′2n(t)− βQ′2n(t)−
− R2n(x)ddt
((t− xn)
2n
∏i=0
(t− xi)
)
analisi matematica 1 november 4, 2013 285
si ha, tenendo conto che xn è uno zero doppio dell’ultimo polinomioda derivare,
G′(xn) = f ′(xn)− P′2n(xn)− βQ′2n(xn) = 0.
Pertanto G’ si annulla ancora in 2n + 2 punti distinti, ed essendoessa derivabile, applicando 2n + 1 volte il teorema di Rolle, si ottieneche esiste c ∈ (a, b) tale che
G(2n+2)(c) = f (2n+2)(c)− R2n(x)(2n + 2)! = 0
e la tesi. 2
Una applicazione molto importante della teoria dei polinomi inter-polatori è data dalle formule di integrazione approssimata.
Tali formule possono essere distinte in due classi: quelle che fannouso dei valori della funzione integranda in punti dell’intervallo di in-tegrazione che sono fra loro equispaziati e quelle che usano punti chesono determinati secondo regole opportune, per migliorare l’ordine diapprossimazione.
E’ subito chiaro che per certe applicazioni sono utilizzabili solole formule appartenenti alla prima classe in quanto, se ad esempio ivalori della funzione integranda sono forniti dalla tabulazione di datisperimentali, è plausibile, e certo più frequente, disporre di tali valoriper punti dell’intervallo d’integrazione tra loro equispaziati.
E’ inoltre opportuno osservare che, al crescere del numero dei puntidi interpolazione considerati, i valori usati per le formule relative al-l’ordine n possono essere riutilizzati per quelle relative all’ordine 2n,soltanto nel caso si usino formule del primo tipo.
Sia f : [a, b] −→ R una funzione sufficientemente regolare e propo-niamoci di trovare una formula che approssimi
∫ b
af (x)dx
e di valutare l’errore che si commette quando in luogo dell’integraleassegnato si consideri il valore fornito dalla formula.
Allo scopo si può procedere nel seguente modo;
• si considerano in [a, b] n+ 1 punti x0, x1, ...xn tra di loro equispaziatie si pone xi − xi−1 = h;
• si considera il polinomio Pn interpolatore di f relativamente ai puntiscelti;
• si integra Pn su [a, b] fino a trovare una formula in cui compaianoesplicitamente solo i valori della funzione f nei punti scelti;
• si valuta, usando i risultati ottenuti in precedenza la differenza tral’integrale effettivo ed il valore fornito dalla formula trovata.
286 ottavio caligaris - pietro oliva
Possiamo operare una ulteriore suddivisione tra le formule di in-tegrazione che abbiamo citato distinguendo tra quelle che compren-dono nei punti di interpolazione anche gli estremi dell’intervallo diintegrazione, formule di integrazione di tipo chiuso , e quelle che conside-rano punti di interpolazione tutti interni all’intervallo di integrazione,formule di integrazione di tipo aperto.
Teorema 22.59 - formule di quadratura chiuse - Sia f : [a, b] −→ R
continua, derivabile n + 1 volte in (a, b) e siano
h =b− a
n, xi = a + ih i = 0, 1, ..., n.
Sia Pn il polinomio interpolatore di f relativo ai punti xi; definiamo
I =∫ b
af (x)dx , In =
∫ b
aPn(x)dx
αi =∫ b
a
n
∏j=0j 6=i
x− xj
xi − xjdx
Rn =∫ b
a
n
∏i=0|x− xi|dx.
Allora
αi = h∫ n
0
n
∏=0j 6=i
t− ji− j
dt
e
Rn = hn+2∫ n
0
n
∏i=0|t− i|dt.
Inoltre
In =n
∑i=0
αi f (xi)
e, se supponiamo che | f (n+1)(x)| ≤ M ∀x ∈ (a, b),
|I − In| ≤M
(n + 1)!Rn.
Teorema 22.60 - formule di quadratura aperte - Sia f : [a, b] −→ R conti-nua, derivabile n + 1 volte in (a, b) e siano
h =b− an + 2
, xi = a + ih i = 1, ..., n + 1.
Consideriamo, come nel teorema precedente, Pn, I, In, αi, Rn; avremoallora
αi =∫ n+2
0
n+1
∏=1j 6=i
t− ji− j
dt
analisi matematica 1 november 4, 2013 287
e
Rn = hn+2∫ n+2
0
n+1
∏i=1|t− i|dt.
Inoltre, se supponiamo | f (n+1)(x)| ≤ M ∀x ∈ (a, b), avremo
|I − In| ≤M
(n + 1)!Rn.
Nel caso in cui il numero dei punti considerati sia dispari, si puòmigliorare la valutazione dell’errore commesso sostituendo In ad I. Intal caso infatti si ha
Teorema 22.61 Se nel teorema 18.7 (e analogamente nel teorema 18.8) sisuppone n = 2m, m ∈N, allora, definito
R′n = hn+3∫ n
0|t− n/2|
n
∏i=0|t− i|dt
si ha|I − In| ≤
M(n + 2)!
R′n , ove | f (n+2)(x)| ≤ M.
Dimostrazione. Definiamo
φ(x) = (x− xm)2m+1
e sia Qn il suo polinomio interpolatore rispetto ai punti xi; si ha, per illemma 18.6, Q′n(xm) 6= 0 e, posto
β =f ′(xn)− P′n(xm)
Q′n(xm),
si ha
I − In =∫ b
a( f (x) + βφ(x)− Pn(x)− βQn(x))dx
poiché φ(x + xm) e Qn(x + xm) sono funzioni dispari, ed hanno per-tanto integrale nullo su [a, b]. 2
Per particolari riguardanti l’applicazione dei risultati qui dimostra-ti, rinviamo all’appendice 9, in cui sono esplicitati i casi più importan-ti e le relative maggiorazioni degli errori, ed è fornita una tabella deicoefficienti di integrazione.
Quanto abbiamo provato nel capitolo 17 ci consente di affermareche la soluzione di un problema di Cauchy associato ad un sistemalineare esiste ed è unica, ma solo nel caso dei coefficienti costanti sipossono ottenere ulteriori risultati che permettono di esplicitare la so-luzione stessa non appena si conoscano gli autovalori e gli autovettoridella matrice A del sistema.
288 ottavio caligaris - pietro oliva
Peraltro, anche in questo più semplice caso, non si hanno indicazio-ni praticamente utilizzabili in quanto occorre preliminarmente risolve-re un’equazione algebrica di grado n ed alcuni sistemi lineari algebricidi n equazioni in n incognite. Queste operazioni, se sono facili pern = 1, 2, diventano possibili, ma lunghe e noiose per n = 3, 4 e spessoimpossibili per n ≥ 5.
Queste considerazioni suggeriscono la necessità di trovare metodisemplici che consentano di ottenere una approssimazione della solu-zione di un problema di Cauchy ed una valutazione dell’errore com-messo in tale operazione.
Allo scopo dimostreremo i risultati seguenti.
Teorema 22.62 - Eulero - Siano A: I −→ Mn e B : I −→ Rn continue esiano x0 ∈ I, Y0 ∈ Rn; consideriamo il problema di CauchyY′(x) = A(x)Y(x) + B(x)
Y(x0) = Y0
Sia Ia = [x0, x0 + a] un intervallo scelto in modo tale che Ia ⊂ I e siaδk ∈ R+; definiamo in Ia una successione di funzioni nella seguente maniera:sia xi = x0 + iδk e poniamo
Yk(x0) = Y0
Yk(x) = Yk(xi) + [A(xi)Yk(xi) + B(xi)](x− xi)
per xi < x ≤ xi+1 ≤ x0 + a
Allora esiste un’unica funzione Y : Ia −→ Rn tale che sia derivabile, siabbia
Yk(x)→ Y(x) per x0 ≤ x ≤ x0 + a
e soddisfi inoltre il problema di Cauchy assegnato.
Dimostrazione. Cominciamo con il definire
L0 = max{‖A(x)‖ : x0 ≤ x ≤ x0 + a} , L = nL0
N = max{‖B(x)‖ : x0 ≤ x ≤ x0 + a}
e proviamo che Yk(xi) è limitato.Si ha infatti
Yk(xi+1)−Yk(xi) = [A(xi)Yk(xi) + B(xi)](xi+1 − xi)
e
‖Yk(xi+1)‖ ≤ ‖Yk(xi)‖+ ‖A(xi)Yk(xi) + B(xi)‖|xi+1 − xi| ≤≤ ‖Yk(xi)‖+ L‖Yk(xi)‖δk + Nδk =
= ‖Yk(xi)‖(1 + Lδk) + Nδk
analisi matematica 1 november 4, 2013 289
e se ne deduce
‖Yk(xi)‖ ≤ (1 + Lδk)i‖Yk(x0)‖+ Nδk
i−1
∑j=o
(1 + Lδk)j =
= (1 + Lδk)i‖Y0‖+ Nδk
1− (1 + Lδk)i
1− (1 + Lδk)=
= (1 + Lδk)1
LδkiLδk‖Y0‖+
+NδkLδk
[(1 + Lδk)1
LδkiLδk − 1] ≤
≤ eLiδk‖Y0‖+NL(eLiδk − 1) ≤
≤ eLa(
NL+ ‖Y0‖
)− N
L= b
non appena si tenga conto che iδk ≤ a per come sono stati scelti xi e δk
.Più in generale si ha che, essendo Yk una spezzata poligonale di
vertici (xi, Yk(xi)), se xi ≤ x ≤ xi+1
‖Yk(x)‖ = ‖λYk(xi) + (1− λ)Yk(xi+1)‖ ≤ λb + (1− λ)b = b.
Ora per xi ≤ x ≤ xi+1 avremo
Y′k(x) = A(xi)Yk(xi) + B(xi) =
= A(x)Yk(x) + B(x)+
+ [A(xi)Yk(xi)− A(x)Yk(x) + B(xi)− B(x)] =
= A(x)Yk(x) + B(x) + ηk(x)
non appena si sia chiamato ηk l’addendo in parentesi quadra.Si ha
‖ηk(x)‖ ≤ ‖[A(xi)− A(x)]Yk(xi)‖+ ‖A(x)[Yk(xi)−Yk(x)]‖++ ‖B(xi)− B(x)‖ ≤
≤ n‖A(xi)− A(x)‖b + n‖A(x)‖‖Yk(xi)−Yk(x)‖++ ‖B(xi)− B(x)‖ ≤
≤ n‖A(xi)− A(x)‖b + L(Lb + N)|xi − x|+ ‖B(xi)−− B(x)‖
e dal momento che le funzioni ‖A(·)‖ e ‖B(·)‖ sono uniformementecontinue su Ia si può asserire che esiste una successione εk → 0 taleche
‖ηk(x)‖ ≤ εk , ∀x ∈ Ia.
Otteniamo con ciò che
Yk(x)−Y0 =∫ x
x0
[A(t)Yk(t) + B(t)]dt +∫ x
x0
ηk(t)dt
290 ottavio caligaris - pietro oliva
e quindi
‖Yk(x)−Yh(x)‖ ≤∫ x
x0
‖A(t)[Yk(t)−Yh(t)]‖dt+
+∫ x
x0
‖ηk(t)− ηh(t)‖dt ≤
≤∫ x
x0
L‖Yk(t)−Yh(t)‖dt + (εk + εh)(x− x0)
Pertanto usando il lemma 16.5 (di Gronwall) otteniamo
‖Yk(x)−Yh(x)‖ ≤ (εk + εh)(x− x0)eL(x−x0)
e deduciamo che la successione Yk(x) è di Cauchy.Esisterà pertanto una funzione Y : Ia −→ Rn tale che Yk(x) →
Y(x), per x ∈ Ia, e passando al limite per h→ +∞ vediamo che
‖Yk(x)−Y(x)‖ ≤ εkaeLa = Ek.
Si può a questo punto fare riferimento al teorema 17.7, per dimo-strare che Y è continua, risolve il problema di Cauchy assegnato ed èunica. 2
Passiamo ora a valutare l’errore che si commette sostituendo lasoluzione Y con una delle sue approssimazioni Yk .
Teorema 22.63 Supponiamo che siano verificate le ipotesi del teorema 18.10,supponiamo inoltre che A e B siano derivabili in Ia e si abbia:
M1 = sup{‖A′(x)‖ : x ∈ Ia}, M2 = sup{‖B′(x)‖ ; x ∈ Ia} ∈ R.
Allora, per x ∈ Ia, si ha:
(18.3) ‖Yk(x)−Y(x)‖ ≤ [nM1b + L(Lb + N) + M2]δk(x− x0)eLa
ove b è dato dalla (18.1).
Dimostrazione. Nelle nuove ipotesi la (18.2) può essere riscritta nellaseguente maniera:
‖ηk‖ ≤ nM1bδk + L(Lb + N)δk + M2δk
e pertanto,procedendo come nel teorema precedente, per il lemma diGronwall si ottiene la (18.3). 2
Osservazione. Nel teorema precedente abbiamo fatto uso dellaseguente disuguaglianza:
‖A(x)− A(y)‖ ≤ M1‖x− y‖
e della disuguaglianza analoga per B.
analisi matematica 1 november 4, 2013 291
Accenniamo qui come può essere dedotta dalle regole di calcoloelementare.
‖A(x)− A(y)‖ = sup{|aij(x)− aij(y)| : i, j = 1, ..., n} == sup{|a′ij(ξ)(x− y)| : i, j = 1, ..., n, x < ξ < y} ≤
≤ M1|x− y|
Il metodo appena descritto nel teorema 18.10 rientra in quelli chesolitamente vengono chiamati metodi di integrazione numerica ad unpasso per equazioni differenziali. Nell’uso di tali metodi si commetto-no, ovviamente, errori di approssimazione che possono essere classifi-cati in due categorie:
• errori di troncamento intrinsechi delle formule usate, che possonoessere controllati determinando maggiorazioni teoriche dell’errore(si veda ad esempio il teorema 18.11);
• errori di arrotondamento dovute all’imprecisione con cui si eseguo-no i calcoli, che possono essere controllati conoscendo la precisionecon cui operano i mezzi di calcolo usati.
Consideriamo il problema di CauchyY′(x) = A(x)Y(x) + B(x)
Y(x0) = Y0
ed indichiamo con Y la soluzione corretta del problema stesso. Indi-chiamo inoltre con Z una soluzione numerica del problema assegnato,relativa ai punti xi = x0 + iδ, e con Zi la soluzione corretta del seguenteproblema Z′i(x) = A(x)Zi(x) + B(x)
Zi(xi) = Z(xi)
si haZ0(x) = Y(x).
Ad ogni iterazione, da xi ad xi+1, supponiamo che
‖Z(xi+1)− Zi(xi+1)‖ ≤ ε = τ + ρ
essendo τ l’errore di troncamento e ρ l’errore di arrotondamento.Possiamo pertanto valutare l’errore commesso nel punto xi nella
seguente maniera
Ei = ‖Z(xi)−Y(xi)‖ = ‖Zi(xi)− Z0(xi)‖ ≤
≤i−1
∑j=0‖Zj+1(xi)− Zj(xi)‖
292 ottavio caligaris - pietro oliva
Ora
Zj+1(xi) = Zj+1(xj+1) +∫ xi
xj+1
[A(x)Zj+1(x) + B(x)]dx
eZj(xi) = Zj(xj+1) +
∫ xi
xj+1
[A(x)Zj(x) + B(x)]dx,
da cui si ottiene
‖Zj+1(xi)− Zj(xi)‖ ≤ ‖Zj+1(xj+1)− Zj(xj+1)‖+
+ L∫ xi
xj+1
‖Zj+1(x)− Zj(x)‖dx
essendo L come nel teorema 18.10 .Pertanto, poiché
‖Zj+1(xj+1)− Zj(xj+1)‖ = ‖Z(xj+1)− Zj(xj+1)‖ ≤ ε
si ha, usando il lemma di Gronwall,
‖Zj+1(xi)− Zj(xi)‖ ≤ εeL(xi−xj+1) = εeL(i−j−1)δ.
Ne deduciamo infine che
Ei ≤ εeLδ(i−1)i−1
∑j=0
e−Lδj = εeLδ(i−1) 1− e−Lδi
1− e−Lδ=
= εeLδi − 1eLδ − 1
≤ εeL(xi−x0) − 1
Lδ
Osserviamo che, in generale, l’errore di troncamento può esserescritto nella forma
τ = cδp
(ad esempio il risultato del teorema 18.11 assicura che si può sceglierep = 2). Si ha pertanto
Ei ≤eL(xi−x0) − 1
L[cδp−1 + ρ/δ]
e si vede come, diminuendo l’ampiezza del passo δ, l’errore di tronca-mento decresce mentre l’errore di arrotondamento aumenta; ciò scon-siglia l’uso di passi eccessivamente piccoli.
22.19 I NUMERI NATURALI, INTERI, RAZIONALI, REA-LI, E COMPLESSI.
In questa appendice ci occupiamo della definizione dei numeri natu-rali e, a partire da essi, della costruzione degli interi, razionali, reali ecomplessi.
analisi matematica 1 november 4, 2013 293
22.19.1 I numeri naturali.
Definizione 22.13 - Peano - Indichiamo con N, insieme dei numeri natu-rali, un insieme soddisfacente i seguenti assiomi, nei quali si fa uso solo deiconcetti primitivi di 1 e successivo:
• 1 ∈N
• ∀n ∈N ∃!n′ ∈N che è il successivo di n
• ∀n ∈N, n′ 6= 1
• n, m ∈N, n′ = m′ ⇒ n = m
• se K ⊂N , 1 ∈ K e k ∈ K ⇒ k′ ∈ K , allora K = N.
Teorema 22.64 ∀n ∈N , n′ 6= n.
Dimostrazione. Sia K = {k ∈N : k 6= k′} , allora
1 ∈ K e k ∈ K ⇒ k′ ∈ K ;
infatti, se k′ 6∈ K, si ha k′ = (k′)′ e k = k′. 2
Provvediamo ora a definire in N le operazioni di addizione e mol-tiplicazione, nella seguente maniera:
Definizione 22.14 Siano n, m ∈N, definiamo
• (1) n + 1 = n′
• (2) n + m′ = (n + m)′ se n + m è definito.
Usando gli assiomi introdotti è possibile provare i seguenti fatti:
Teorema 22.65 Siano n, m, p ∈N, si ha
• m + n ∈N (chiusura di N rispetto a +)
• m + (n + p) = (m + n) + p (proprietà associativa di +)
• m + n = n + m (proprietà commutativa di +)
• m + p = n + p⇒ m = n (cancellazione degli addendi)
Dimostrazione. (1) Sia K = {k ∈ N : n + k ∈ N} , allora 1 ∈ K ,infatti
n + 1 = n′ per la definizione A131
n′ ∈N per la A132
294 ottavio caligaris - pietro oliva
k ∈ K ⇒ k′ ∈ K , infatti
n + k ∈N per ipotesi
n + k′ = (n + k)′ per la definizione A132
(n + k)′ ∈N per la A12
pertanto, per (A1.5), K = N e la tesi.(2) Sia
K = {k ∈N : m + (n + k) = (m + n) + k} ,
allora
1 ∈ K
infatti
m + (n + 1) = m + n′ per la definizione A131
m + n′ = (m + n)′ per la definizione A132
(m + n)′ = (m + n) + 1 per la definizione A131
k ∈ K ⇒ k′ ∈ K , infatti
m + (n + k′) = m + (n + k)′ per la definizione A132
m + (n + k)′ = (m + (n + k))′ per la definizione A132
(m + (n + k))′ = ((m + n) + k)′ per ipotesi
((m + n) + k)′ = (m + n) + k′ per la definizione A132
pertanto, per (A1.5), K = N .(3) Sia
K = {k ∈N : m + k = k + m} ,
allora1 ∈ K , infatti sia H = {h ∈N : h + 1 = 1 + h} , allora1 ∈ H , infatti 1 + 1 = 1 + 1h ∈ H ⇒ h′ ∈ H , infatti
h′ + 1 = (h + 1) + 1 Per la definizione A131
(h + 1) + 1 = (1 + h) + 1 ipotesi
(1 + h) + 1 = 1 + (h + 1) prop. associativa
1 + (h + 1) = 1 + h′ def. A1.3.1
analisi matematica 1 november 4, 2013 295
pertanto, per (A1.5), H = N .k ∈ K ⇒ k′ ∈ K , infatti
m + k′ = m + (k + 1) def. A1.3.1
m + (k + 1) = (m + k) + 1 prop. associativa
(m + k) + 1 = 1 + (m + k) poiché 1 ∈ K
1 + (m + k) = 1 + (k + m) ipotesi
1 + (k + m) = (1 + k) + m prop. associativa
(1 + k) + m = (k + 1) + m poiché 1 ∈ K
(k + 1) + m = k′ + m def. A1.3.1
pertanto, per (A1.5), K = N .(4) Sia K = {k ∈N : m + k = n + k⇒ m = n} , allora1 ∈ K def. A1.3.1 e (A1.4)k ∈ K ⇒ k′ ∈ K , infatti
m + k′ = m + (k + 1) def. A1.3.1
m + (k + 1) = m + (1 + k) pr. commutativa
m + (1 + k) = (m + 1) + k pr. associativa
(m + 1) + k = m′ + k def. A1.3.1
analogamente n + k′ = n′ + kperciò m + k′ = n + k′ ⇒ m′ + k = n′ + k em′ = n′ ipotesiem = n (A1.4)pertanto, per (A1.5), K = N . 2
Definizione 22.15 Siano m, n ∈N, definiamo
1. n · 1 = n
2. n ·m′ = n ·m + n se n ·m è definito.
Con metodi analoghi a quelli usati nel teorema A1.4 possiamo provareil seguente
Teorema 22.66 Siano m, n, p ∈N, valgono i seguenti fatti:
1. m · n ∈N (chiusura di N rispetto a · )
2. m · (n · p) = (m · n) · p (proprietà associativa di · )
296 ottavio caligaris - pietro oliva
3. m · n = n ·m (proprietà commutativa di · )
4. m · p = n · p⇒ m = n (cancellazione dei fattori).
Si può inoltre dimostrare, facendo uso degli assiomi e delle proprietàfino ad ora enunciate, che
Teorema 22.67 Siano m, n, p ∈N, alloram · (n + p) = m · n + m · p (proprietà distributiva).
Definiamo infine in N una relazione d’ordine:
Definizione 22.16 Siano m, n ∈ N, diciamo che m < n se esiste p ∈ N,m + p = n .
Inoltre m > n se n < m .
Lemma 22.10 Valgono i seguenti fatti
1. ∀m ∈N , ∀p ∈N , m 6= m + p
2. ∀m ∈N \ {1} ∃n ∈N tale che m = n′
3. ∀m ∈N , m ≥ 1 .
Dimostrazione. (1): è sufficiente provare per induzione che, fissatop ∈N
{m ∈N : m 6= m + p} = N.
(2): è sufficiente provare per induzione che
{m ∈N : ∃n ∈N, m = n′} ∪ {1} = N.
(3) segue da (2) .2
Teorema 22.68 ∀m, n ∈N vale uno ed un solo dei seguenti fatti:
m < n , m = n , m > n (legge di tricotomia)
Dimostrazione. Dalla (1) del lemma precedente, segue subito che alpiù una delle tre possibilità è verificata.
Per concludere occorre vedere che
N = {m} ∪ {p ∈N : p < m} ∪ {p ∈N : p > m} = A ∪ B ∪ C.
Se m = 1, per la (3) del lemma precedente
A = {1} , B = ∅ , C = N{1} e N = A ∪ B ∪ C.
Se m > 1 si procede per induzione:
1 ∈ B ⊂N;
sia n ∈N = A ∪ B ∪ C , distinguiamo tre casi
analisi matematica 1 november 4, 2013 297
1. n ∈ A⇒ m = n⇒ n′ = m + 1 > m⇒ n′ ∈ C.
2. n ∈ B⇒ m = n + p
(a) p = 1⇒ m = n′ ⇒ n′ ∈ A,
(b) p > 1⇒ p = q + 1⇒ m = n + 1 + q = n′ + q⇒
(c) ⇒ n′ < m⇒ n′ ∈ B,
3. n ∈ C ⇒ n > m⇒ n′ = n + 1 > m⇒ n′ ∈ C .
2
Teorema 22.69 Siano m, n, p ∈N, allora
1. m < n⇒ m + p < n + p
2. m < n⇒ m · p < n · p .
Abbiamo a questo punto definito i numeri naturali i cui elementisono individuati come segue
1, 1′, (1′)′, ((1′)′)′, (((1′)′)′)′, . . . . . .
Allo scopo di alleggerire le notazioni si costruisce una rappresen-tazione dei numeri naturali che fa uso di un limitato numero di cifre(si veda capitolo 2).
22.19.2 I numeri interi.
Definizione 22.17 Chiamiamo insieme dei numeri interi l’insieme
Z = {(m, n) : m, n ∈N}.
Se a, b ∈ Z, a = (m, n) e b = (p, q), diciamo che
a = b ⇔ m + q = n + p.
Definizione 22.18 Siano a, b ∈ Z, a = (m, n) , b = (p, q); definiamo
a + b = (m + p, n + q)
a · b = (m · p + n · q, m · q + n · p).
Teorema 22.70 Siano a, b, c, d ∈ Z, allora
a = c e b = d ⇒ a + b = c + d e a · b = c · d.
Inoltre le operazioni di addizione e moltiplicazione godono delle proprietàassociativa, commutativa, distributiva e della legge di cancellazione.
298 ottavio caligaris - pietro oliva
Teorema 22.71 Si haZ = Z+ ∪Z0 ∪Z−
oveZ+ = {(m, n) ∈ Z : m > n}
Z0 = {(m, n) ∈ Z : m = n}
Z− = {(m, n) ∈ Z : m < n}.
Dimostrazione. Segue dalla legge di tricotomia dei numeri naturali.2
E’ possibile identificare in Z, mediante una applicazione bigettivache conserva la somma ed il prodotto, i numeri naturali.
Teorema 22.72 Sia φ : N −→ Z+ definita da
φ(n) = (n′, 1);
allora
1. φ è bigettiva
2. φ(m + n) = φ(m) + φ(n)
3. φ(m · n) = φ(m) · φ(n).
Dimostrazione. Proviamo solo (1). Ovviamente φ è iniettiva.Inoltre
R(φ) = {(p, q) ∈ Z : ∃n ∈N, (n′, 1) = (p, q)} == {(p, q) ∈ Z : ∃n ∈N, n + 1 + q = p + 1} =
= {(p, q) ∈ Z : ∃n ∈N, n + q = p} == {(p, q) ∈ Z : p > q} = Z+
2
Identificheremo pertanto in Z, Z+ con N, e agli elementi di Z+
daremo lo stesso nome degli elementi di N.In particolare (1′, 1) = 1 .
Teorema 22.73 Z0 è costituito da un solo elemento che indicheremo con ilsimbolo 0
Dimostrazione. Siamo (m, m), (n, n) ∈ Z0, si ha
(m, m) = (n, n)
in quanto m + n = m + n . 2
Teorema 22.74 Si verificano i seguenti fatti:
analisi matematica 1 november 4, 2013 299
1. ∀a ∈ Z a + 0 = a
2. ∀a ∈ Z a · 1 = a
3. ∀a ∈ Z a · 0 = 0
4. ∀a ∈ Z+ ∃b ∈ Z− : a + b = 0
5. ∀a ∈ Z− ∃b ∈ Z+ : a + b = 0.
Dimostrazione. Per quel che riguarda (4) e (5) osserviamo che sea = (p, q) è sufficiente scegliere b = (q, p). 2
Osservazione. Riferendoci al precedente teorema, osserviamo chela (1) si esprime dicendo che 0 è un elemento neutro per la somma; la (2)si esprime dicendo che 1 è un elemento neutro per il prodotto. 2
(1), (4) e (5) mostrano che
∀a ∈ Z ∃!b ∈ Z : a + b = 0
b si chiama inverso di a rispetto alla somma e si indica solitamente con ilsimbolo −a.
Se a, b ∈ Z si usa scrivere a− b in luogo di a + (−b).
Definizione 22.19 Siano a, b ∈ Z, diciamo che a > 0 se a ∈ Z+; diciamoche a > b se a− b > 0.
Ne segue ovviamente che a < 0 se e solo se a ∈ Z−.
Osservazione. L’applicazione φ definita nel teorema A1.16 conserval’ordine, cioè
m < n ⇔ φ(m) < φ(n).
2
Teorema 22.75 Siano a, b ∈ Z, allora vale uno ed uno solo dei seguentifatti:
a < b , a = b , a > b.
Teorema 22.76 Siano a, b, c ∈ Z, allora
1. a + c < b + c ⇔ a < b
2. c > 0, a · c < b · c ⇔ a < b
3. c < 0, a · c < b · c ⇔ a > b
4. c 6= 0, a · c = b · c ⇔ a = c
5. a · b = 0 ⇔ a = 0 oppure b = 0 .
300 ottavio caligaris - pietro oliva
22.19.3 I numeri razionali.
Definizione 22.20 Chiamiamo insieme dei numeri razionali l’insieme
Q = {(m, n) : m ∈ Z, n ∈N}.
Siano a, b ∈ Q, a = (m, n), b = (p, q), diciamo che
a = b ⇔ m · q = n · p
Definizione 22.21 Siano a, b ∈ Q, a = (m, n), b = (p, q), definiamo
a + b = (m · q + n · p, n · q)
a · b = (m · p, n · q).
Teorema 22.77 Siano a, b, c, d ∈ Q, allora
a = c , b = d ⇒ a + b = c + d , a · b = c · d .
Inoltre le operazioni di somma e prodotto sono associative, commutative,distributive e valgono le leggi di cancellazione.
Teorema 22.78 Sia φ : Z −→ Q definita da
φ(a) = (a, 1).
Allora
1. φ è iniettiva
2. φ(a + b) = φ(a) + φ(b)
3. φ(a · b) = φ(a) · φ(b).
Pertanto φ(Z) può essere identificato in Q con Z e gli elementi di φ(Z)
assumeranno lo stesso nome degli elementi di Z.
In particolare(0, 1) = 0 , (1, 1) = 1.
Osserviamo pure che, per l’uguaglianza definita in Q, si ha
(0, n) = 0 e (n, n) = 1.
Teorema 22.79 Sia a ∈ Q, allora
1. a + 0 = a
2. a · 1 = a
3. ∃!b ∈ Q : a + b = 0
analisi matematica 1 november 4, 2013 301
4. a 6= 0⇒ ∃!b ∈ Q : a · b = 1.
Osserviamo che la (1) e la (2) affermano, rispettivamente, l’esisten-za di un elemento neutro per la somma ed il prodotto. (3) e (4) espri-mono l’esistenza in Q di un unico elemento inverso per la somma edil prodotto.
L’inverso di a rispetto alla somma verrà indicato con −a, quellorispetto al prodotto con a−1 oppure 1/a.
Conseguentemente
a− b = a + (−b) , a/b = a · (1/b) = a · b−1.
Definizione 22.22 Sia a ∈ Q, a = (m, n), diciamo che a > 0 se m > 0;diciamo che a > b se a− b > 0.
Osserviamo che l’applicazione φ definita nel teorema A1.25 conser-va l’ordine.
Teorema 22.80 Siano a, b ∈ Q, vale uno ed uno solo dei seguenti fatti:
a < b , a = b , a > b.
Teorema 22.81 Siano a, b, c ∈ Q, allora valgono le (1), (2), (3), (4), (5) delteorema A1.21.
Teorema 22.82 Valgono i seguenti fatti:
1. ∀a, b ∈ Q ∃c ∈ Q : a < c < b (densità)
2. ∀a, b ∈ Q, a, b > 0 ∃p ∈N : p · a > b (Archimedeità)
Dimostrazione. (1) : E’ sufficiente scegliere c = (a + b)/(1 + 1) .(2) : Sia b/a = (m, n), allora è sufficiente scegliere p = m + 1. 2
22.19.4 I numeri reali.
Definizione 22.23 Chiamiamo sezione di Dedekind un sottoinsieme D ⊂Q, D 6= ∅, D 6= Q, tale che
∀p ∈ D {q ∈ Q : q < p} ⊂ D ed ∃r ∈ D, r > p.
Chiameremo R l’insieme di tutte le sezioni di Dedekind.
E’ ora nostro scopo definire in R le operazioni di addizione emoltiplicazione, ed un ordinamento in modo che siano soddisfatti gliassiomi (2.1),...,(2.13).
Cominciamo provando un lemma strumentale:
Lemma 22.11 Sia D ∈ R, allora
∀ε ∈ Q, ε > 0 ∃p ∈ D, ∃q ∈ Dc : q− p = ε.
302 ottavio caligaris - pietro oliva
Dimostrazione. Si può equivalentemente dimostrare che
∃d ∈ D : d + ε 6∈ D.
Se infatti così non fosse, si avrebbe
∀d ∈ D, d + ε ∈ D
e per induzione, d + nε ∈ D ∀n ∈ N , ma ciò è assurdo in quanto Q èarchimedeo e Dc 6= ∅. 2
Definizione 22.24 Definiamo in R un ordinamento nella seguente maniera:siano D, C ∈ R, diciamo che
D < C se D ⊂6= C.
Teorema 22.83 L’ordinamento definito in R soddisfa la legge di tricotomia.
Dimostrazione. Siano D, C ∈ R, D 6= C; se fosse vero che
∃d ∈ D \ C ed ∃c ∈ C \ D
si avrebbe, ad esempio, d < c e d ∈ C, il che è assurdo.Ma allora una delle due affermazioni è falsa e
D ⊂6= C oppure C ⊂6= D.
2
Definizione 22.25 Sia p ∈ Q, definiamo
D(p) = {q ∈ R : q < p};
evidentemente D(p) è una sezione di Dedekind e pertanto D(p) ∈ R. Indi-cheremo D(p) e p con lo stesso simbolo p.
E’ importante identificare in R gli elementi D(0) = 0 e D(1) = 1.Indichiamo con
R+ = {D ∈ R : D > 0} , R− = {D ∈ R : D < 0}.
Per il teorema A1.34 si avrà ovviamente
R = R+ ∪ {0} ∪R−.
Definizione 22.26 Siano D, C ∈ R, definiamo
D + C = {d + c : d ∈ D, c ∈ C}
−D = {p ∈ Q : ∃q ∈ Dc, p < −q} =⋃
q∈Dc
{p ∈ Q : p < −q}.
analisi matematica 1 november 4, 2013 303
Teorema 22.84 Valgono i seguenti fatti:
1. l’addizione in R è commutativa e associativa;
2. 0 è un elemento neutro per l’addizione;
3. −D è l’inverso rispetto all’addizione di D;
4. D < C ⇒ D + B < C + B .
Dimostrazione. (1) è ovvia. Proviamo (2); deve aversi
D + D(0) = D.
Se d ∈ D ∃c ∈ D, c > d; allora
d = c + (d− c) ∈ D + D(0).
Se viceversa d ∈ D + D(0) si ha
d = c + r , c ∈ D , r ∈ Q , r < 0
da cuid < c equindi d ∈ D.
(3) Occorre provare che
D− D = D + (−D) = D(0).
Se d ∈ D e c ∈ (−D) si ha che ∃r ∈ Dc, c < −r, onde
0 > c + r > c + d e c + d ∈ D(0).
Se viceversa r ∈ D(0), allora esiste p ∈ Q, r < p < 0, esiste d ∈ Ded esiste c ∈ Dc tale che c − d = −p < −r, da cui r − d < −c er− d ∈ (−D)
r = d + (r− d).
(4) è ovvia.2
Definizione 22.27 Siano D, C ∈ R+, definiamo
D · C = {p ∈ Q : p ≤ 0} ∪ {d · c : d ∈ D, c ∈ D, d > 0, c > 0}.
Definiamo inoltre
D−1 = {p ∈ Q : p ≤ 0} ∪ {q ∈ Q : ∃d ∈ Dc, 0 < q < d−1}.
Lemma 22.12 Sia D ∈ R+ e sia 0 < r < 1, r ∈ Q; allora
∃d ∈ D, ∃c ∈ ∆c : d · c−1 = r.
304 ottavio caligaris - pietro oliva
Dimostrazione. Si può provare equivalentemente che
∃d ∈ D : d/r ∈ Dc.
Se per assurdo si avesse d/r ∈ D∀d ∈ D, avremmo, per induzio-ne, d · (1/r)n ∈ D ∀n ∈ N e ciò è assurdo poiché Dc 6= ∅ e Q èarchimedeo. 2
Teorema 22.85 Siano B, C, D ∈ R+; valgono i seguenti fatti
1. il prodotto in R+ è commutativo e associativo
2. 1 è un elemento neutro per la moltiplicazione
3. D−1 è l’inverso rispetto alla moltiplicazione di D
4. D < C ⇒ D · B < C · B
5. B · (D + C) = B · D + B · C .
Dimostrazione. (1) è ovvio. Proviamo (2); deve aversi
D · D(1) = D.
Sia pertanto d ∈ D, r ∈ D(1) , d, r > 0; si ha r < 1 e
d · r < d onde d · r ∈ D.
Se viceversa d ∈ D, d > 0, preso c ∈ D, c > d > 0, si ha che
0 < d/c < 1 e d = (d/c) · c.
(3) Occorre provare che D · D−1 = D(1) .Se d ∈ D e c ∈ D−1, d, c > 0, si ha che esiste r ∈ Dc, c < r−1, e
d · c < r · c < 1.
Se viceversa r ∈ D(1), r > 0, sia 1 > p > r e siano d ∈ D , d > 0 ec ∈ Dc tali che d/c = p > r . Ne viene che 1/c > r/d onde r/d ∈ D−1
e r = (r/d) · d .(4) e (5) sono ovvie. 2
Definizione 22.28 Definiamo
∀D, C ∈ R− , D · C = (−D) · (−C)
∀D ∈ R+, ∀C ∈ R− , D · C = −(D · (−C)).
Definiamo D · 0 = 0 .Ricordando che R = R+ ∪ {0} ∪ R− e che R− = −R+ si può con-
cludere che con la definizione A1.41 è definita la moltiplicazione su tuttoR.
analisi matematica 1 november 4, 2013 305
E’ inoltre facile estendere il teorema A1.40 a tutto R.Possiamo infine provare che l’assioma (2.13) è verificato.
Teorema 22.86 Siano A,B ⊂ R tali che
A ≤ B ∀A ∈ A, ∀B ∈ B.
Allora∃C ∈ R : A ≤ C ≤ B ∀A ∈ A, ∀B ∈ B.
Dimostrazione. E’ sufficiente definire
C =⋃
A∈AA.
2
22.19.5 I numeri complessi.
Diamo infine un brevissimo cenno sull’insieme dei numeri complessi.
Definizione 22.29 Chiamiamo insieme dei numeri complessi l’insieme
C = {(x, y) : x, y ∈ R}
dotato delle operazioni di addizione e moltiplicazione definite come segue:
(x, y) + (u, v) = (x + u, y + v)
(x, y) · (u, v) = (x · u− y · v, y · u + x · v).
Osserviamo che C si distingue dal prodotto cartesiano R2, conil quale condivide la struttura vettoriale, proprio per l’operazione diprodotto ivi definita.
E’ facile verificare che
Teorema 22.87 Sia φ : R −→ C definita da
φ(x) = (x, 0);
allora φ immerge R in C, conservando le operazioni di somma e prodotto.
Teorema 22.88 Valgono in C tutte le proprietà di somma e prodotto chesussistono in R, tranne quelle che coinvolgono la relazione d’ordine.
Osserviamo esplicitamente che C non è ordinato.
Definizione 22.30 Poniamo 1 = (1, 0) = φ(1) ed inoltre definiamo i =
(0, 1) .
Teorema 22.89 Valgono i seguenti fatti
306 ottavio caligaris - pietro oliva
1. i2 = −1
2. ∀z ∈ C ∃x, y ∈ R : z = x + iy.
x si dice parte reale di z e si indica con <e z .y si dice parte immaginaria di z e si indica con =m z .
Definizione 22.31 Sia z ∈ C, definiamo modulo di z,
|z| =√(<e z)2 + (=m z)2.
Rappresentando C mediante un piano cartesiano recante in ascis-sa la parte reale ed in ordinata la parte immaginaria, non è difficileconcludere che, preso z = x + iy ∈ C e definito ρ =
√x2 + y2, la
distanza di z dall’origine O, e θ come l’angolo formato da Oz con ilsemiasse positivo delle ascisse, si ha
z = x + iy = ρ(cos θ + i sin θ).
Poiché si prova, formula di Eulero, che
eiθ = cos θ + i sin θ
si ottiene purez = ρeiθ
e si possono verificare facilmente i seguenti fatti
zn = ρneinθ = ρn(cos nθ + i sin nθ)
e
z1/n =
{ρ1/n
(cos
(θ + 2kπ
n
)+ i sin
(θ + 2kπ
n
))k = 0, 1, .., n− 1
}
22.19.6 La Numerabilità.
Definizione 22.32 Diciamo che A è numerabile se esiste una applicazioneφ : N −→ A bigettiva.
Ovviamente N è numerabile, ma di più tali risultano anche Z e Q.Per rendersi conto di ciò è sufficiente osservare che si possono toccaretutti gli elementi di Z e di Q una ed una sola volta, con un percorsodel tipo di quelli indicati al termine del paragrafo.
Si può tuttavia provare con un semplice ragionamento, dovuto aCantor, che R non è numerabile.
Osserviamo innanzi tutto che si può mettere in corrispondenzabiunivoca R e (0, 1) (si veda figura A.1.1).
analisi matematica 1 november 4, 2013 307
Se R fosse numerabile, si potrebbe trovare una applicazione φ :N −→ (0, 1) bigettiva.
Per quanto visto nel capitolo 2, potremmo rappresentare φ(k) ∈(0, 1), k ∈N, mediante un allineamento infinito di cifre
ck ∈ {0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9}
non definitivamente uguali a 9.Con queste premesse possiamo costruire un numero c ∈ (0, 1) di-
verso da tutti gli elementi φ(k), k ∈ N, nella seguente maniera: con-sideriamo φ(1) e la sua prima cifra decimale φ1, definiamo la primacifra decimale di c, c1 scegliendola nell’insieme
{1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8} \ {φ1};
analogamente definiamo ck, scegliendola nell’insieme
{1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8} \ {φk}
essendo φk la k-esima cifra di φ(k).Il numero ottenuto differisce per almeno una cifra da qualunque
elemento di φ(k).
22.20 I NUMERI FLOATING POINT.
E’ ben noto che, fissato b ∈ N, b ≥ 2, ogni elemento x ∈ R può essererappresentato mediante un allineamento infinito di cifre c0, c1, ..., cn ,con c0 ∈ Z e 0 ≤ ci < b , ci ∈N ∀i ∈N.
Come provato nel paragrafo 2 infatti si possono costruire le appros-simazioni xn di x in base b, e si ha
lim xn = sup xn = x.
Poiché
xn = c0 +n
∑i=1
cib−i
si può definire, al limite per n→ +∞
x = c0 ++∞
∑i=1
cib−i
e pertanto, poiché c0 ∈ Z per i risultati del paragrafo 2,
x =N
∑i=0
γibi ++∞
∑i=1
cib−i, 0 ≤ γi, ci < b.
Osserviamo qui che diversi allineamenti possono generare lo stessonumero reale, infatti
c0 = 1 , ci = 0 ∀i ∈N
308 ottavio caligaris - pietro oliva
ec0 = 0 , ci = b− 1 ∀i ∈N
sono entrambe rappresentazioni del numero reale 1 in quanto
1 = 1 ++∞
∑i=1
0b−i
ed anche
1 = (b− 1)1/b
1− 1/b= 0 +
+∞
∑i=1
(b− 1)b−i.
Poiché non è possibile operare algoritmicamente in R, a causa delnumero infinito di cifre con cui ogni numero reale deve essere rap-presentato, si elaborano calcoli algoritmici solo su una ben precisa elimitata classe di numeri reali: quelli che sono rappresentati da unnumero finito di cifre in base b.
Sia pertanto RN l’insieme dei numeri reali che si possono scriverenella forma
x = c0 +N
∑i=1
cib−i.
In RN si possono definire degli algoritmi atti a fornire il risultato del-le usuali operazioni +,−, ·, : in R; se indichiamo con ⊕,,�,� talialgoritmi, avremo ovviamente che
x + y = x⊕ y ∀x, y ∈ RN
e fatti analoghi per −, ·, : .Semplici esempi di algoritmi del tipo prima introdotto sono dati
dalle usuali regole di calcolo in base b = 10.Se x, y ∈ R+ \RN si possono eseguire calcoli tenendo conto che,
per ogni N ∈N
x− 1bN < xN ≤ x , y− 1
bN < yN ≤ y,
operando su xN ed yN ∈ RN e tenendo conto degli errori introdotti.Allo scopo di eseguire le operazioni sopra descritte è utile intro-
durre due operazioni
ρN , τN : R+ −→ RN
dette rispettivamente arrotondamento e troncamento, definite nella se-guente maniera:
ρN(x) = b−N E(xbN + 1/2)
τN(x) = b−N E(xbN) = xN .
Considerare RN non è tuttavia la migliore soluzione quando si han-no a disposizione un numero finito di cifre in base b, in quanto i nu-meri di RN avendo tutti una precisione assoluta di 1/bN hanno un
analisi matematica 1 november 4, 2013 309
numero di cifre che può variare arbitrariamente: si pensi ad esempioche
1000000000000.1 e 0.1
sono entrambi elementi di R1, con b = 10, e che mentre il secondo hasolo due cifre, il primo ne ha 14.
E’ d’altro canto ovvio che, mentre un errore di 1/10 è rilevante peril secondo, lo stesso errore non è di alcun conto per il primo.
E’ pertanto evidente come sia più interessante valutare anzichél’errore assoluto che si commette sostituendo x ad y, definito come
Eass = |x− y|
il corrispondente errore relativo
Erel =|x− y||y| .
La necessità e la convenienza a trattare errori relativi conduce adintrodurre una nuova sottoclasse di numeri reali, in modo da avere ache fare con un numero di cifre fisso, mantenendo così costante l’errorerelativo anziché quello assoluto.
Definiamo pertanto, fissati M, N ∈ N, l’insieme R f dei numeri invirgola mobile, i cosiddetti numeri floating point, mediante la
R f = {0} ∪ {x ∈ R : x = mba, a ∈ Z, |a| < M, |m| =N
∑i=1
cib−i, 0 ≤ ci < b, ci ∈N, c1 6= 0}
Per le definizioni poste si ha ovviamente
1b≤ m < 1.
Se x ∈ R, x > 0, si ha
E(logb x) ≤ logb x < E(logb x) + 1
onde, posto a = E(logb x) + 1 si ha
a− 1 ≤ logbx < a
ba
b≤ x < ba
da cui1b≤ x
ba < 1
e si può definire
m = τN(x/ba) oppure m = ρN(x/ba).
Abbiamo in questo modo costruito una, o meglio due, applicazionida R in R f che indicheremo con φτ e φρ, o più in generale con φ, che
310 ottavio caligaris - pietro oliva
permettono di identificare in R f un rappresentante di ogni elementox ∈ R, x 6= 0, con
b−M < |x| < bM,
essendo tali applicazioni non iniettive; è infatti ovvio che non è possi-bile, dato un numero di R f , identificare un unico elemento di R di cuiè immagine, essendocene infiniti.
In R possiamo definire le operazioni �,�,�,�: nella seguentemaniera:
x � y = φ(φ(x) + φ(y)).
Valgono i seguenti fatti
|x− φτ(x)| ≤ ba−N
|x− φρ(x)| ≤ ba−N/2
x = φ(x) ∀x ∈ R f
x ≤ y ⇒ φ(x) ≤ φ(y)
φρ(−x) = −φρ(x).
Se x, y ∈ R f si ha
|(x � y)− (x + y)| ≤
ba−N seφ = φτ
ba−N/2 se φ = φρ
Va espressamente notato che, mentre alcune proprietà delle opera-zioni +,−, ·, : sono trasferite alle �, .., altre vengono perse.
Ad esempio è vero che
x � y = y � x
ma non è sempre vero che
(x � y)� z = x � (y � z),
si osservi che, con N = 10, si ha
(1 � 1011)� 1011 = 1011 � 1011 = 0
1 � (1011 � 1011) = 1 � 0 = 1
analisi matematica 1 november 4, 2013 311
22.21 TRIANGOLO DI TARTAGLIA E BINOMIO DI NEW-TON.
In questa appendice ci occupiamo di due semplici, ma utili, fatti tecni-ci.
Nel paragrafo 6 è stato definito il coefficiente binomiale (nk)
Si ha
(nk
)+
(n
k− 1
)=
n!k!(n− k)!
+n!
(k− 1)!(n + 1− k)!=
=n![(n + 1− k) + k]
k!(n + 1− k)!=
(n + 1)!k!(n + 1− k)!
=
(n + 1
k
).
Questo semplice fatto è noto da tempo ed è solitamente presentatosotto il nome di triangolo di Tartaglia:
(10
)(11
)(
20
)(21
)(22
)(
30
)(31
)(32
) (33
). . . . . . . . . . . . . . .(
n0
). . .(
nk− 1
) (nk
). . .(
nn
). . . . . . . . .
(n + 1
k
). . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
Come si rileva facilmente ogni elemento del triangolo si può otte-nere dalla somma dei due elementi della riga precedente, sopra e asinistra.
Proviamo ora che (binomio di Newton)
(a + b)n =n
∑k=0
(nk
)an−kbk.
E’ immediato verificare che la formula vale per n = 1.Proviamo ora che, se la formula è valida per n, allora è valida anche
312 ottavio caligaris - pietro oliva
per n + 1. Si ha
(a + b)n+1 = (a + b)n(a + b) =
=
(n
∑k=0
(nk
)an−kbk
)(a + b) =
= an
∑k=0
(nk
)an−kbk + b
n
∑k=0
(nk
)an−kbk =
=n
∑k=0
(nk
)an+1−kbk +
n
∑k=0
(nk
)an−kbk+1 =
= an+1 +n
∑k=1
(nk
)an+1−kbk +
n−1
∑k=0
(nk
)an−kbk+1 + bn+1 =
= an+1 +n
∑k=1
(nk
)an+1−kbk +
n
∑k=1
(n
k− 1
)an+1−kbk + bn+1 =
= an+1 +n
∑k=1
((nk
)+
(n
k− 1
))an+1−kbk + bn+1 =
= an+1 +n
∑k=1
(n + 1
k
)an+1−kbk + bn+1 =
=n+1
∑k=0
(n + 1
k
)an+1−kbk
22.22 QUALCHE CURIOSITA’ .
Teorema 22.90 Siano a0, r ∈ R, r > 0 e sia an la successione definita da
an+1 = an + r
(progressione aritmetica di ragione r) .Posto
Sk =n
∑i=1
aki
si ha
Sk =1
(k + 1)r
((a1 + nr)k+1 − ak+1
1 −k−1
∑j=0
(k + 1
j
)Sjrk+1−j
).
Dimostrazione. Si ha
ak+1i+1 = (ai + r)k+1 =
k
∑j=0
(k + 1
j
)aj
irk+1−j + ak+1
i
da cui, sommando per i = 1, .., n
ak+1n+1 =
k
∑j=0
(k + 1
j
)Sjrk+1−j + ak+1
1 =
analisi matematica 1 november 4, 2013 313
=k−1
∑j=0
(k + 1
j
)Sjrk+1−j + (k + 1)Skr + ak+1
1
e la tesi. 2
Se ad esempio, a1 = r = 1 avremo
Sk =n
∑i=1
ik
onde
S0 = n , Sk =1
k + 1
((n + 1)k+1 − 1−
k−1
∑j=0
(k + 1
j
)Sj
)e
S1 =n(n + 1)
2
S2 =n(n + 1)(2n + 1)
6
S3 =n2(n + 1)2
4.
Teorema 22.91√
2 non è razionale.
Dimostrazione. Se infatti fosse√
2 =pq
, p ∈ Z , q ∈N
potremmo supporre p e q primi tra loro e avremmo
p2 = 2q2.
Allora p2 è pari, onde p è pari e p = 2m . Ne viene
4m2 = 2q2 e 2m2 = q2.
Ne deduciamo che q2, e quindi q, è pari, e ciò non è possibile perché pe q sono primi tra loro. 2
Teorema 22.92 il numero ‘e’ non è razionale.
Dimostrazione. Supponiamo che
e =pq
, p, q ∈N.
Si hapq=
q+1
∑i=0
1i!+
ec
(q + 2)!, 0 < c < 1
314 ottavio caligaris - pietro oliva
e, moltiplicando ambo i membri per (q + 1)! si ha
p(q + 1)(q− 1)! =q+1
∑i=0
(q + 1)!i!
+ec
q + 2.
Poiché tutti i termini sono interi, tranne l’ultimo, ciò è assurdo.2
Teorema 22.93 lim supn cos n = 1 .
Dimostrazione. Allo scopo, poiché ovviamente cos n ≤ 1, è sufficien-te trovare un’estratta nk tale che
cos nk → 1.
Sia k ∈N e sia θk ∈ [0, π/2] tale che
cos θk ≥ 1− 1k
e consideriamo m ∈N tale che
2π
m≤ θk.
Sia nk−1 ∈N e sia xi = 2nk−1i , i = 0, 1, ..., m ed anche
yi = xi − 2πE( xi
2π
)= xi − 2πqi.
Dal momento che gli yi sono in numero di m + 1 e sono tali che0 ≤ yi ≤ 2π, si ha che, per almeno due indici ik e jk, ik > jk,
|yik − yjk | ≤2π
m≤ θk
onde
cos(2nk−1(ik − jk)) = cos(xik − xjk ) = cos(yik − yjk ) ≥ cos θk ≥ 1− 1/k
e si può definire nk = 2nk−1(ik − jk) > nk−1 e si ha la tesi. 2
analisi matematica 1 november 4, 2013 315
Elenchiamo qui di seguito i valori approssimati di alcune costantidi un certo interesse.
ln 2
0. 69314 71805 59945 30941 72321 21458 17656 80755 00134 36025
52541 20680 00949 33936 21969 69471 56058 63326 99641 86875
ln 3
1. 09861 22886 68109 69139 52452 36922 52570 46474 90557 82274
94517 34694 33363 74942 93218 60896 68736 15754 81373 20887
ln 5
1. 60943 79124 34100 37460 07593 33226 18763 95256 01354 26851
77219 12647 89147 41789 87707 65776 46301 33878 09317 96107
ln 10
2. 30258 50929 94045 68401 79914 54684 36420 76011 01488 62877
29760 33327 90096 75726 09677 35248 02359 97205 08959 82983
√2
316 ottavio caligaris - pietro oliva
1. 41421 35623 73095 04880 16887 24209 69807 85696 71875 37694
80731 76679 73799 07324 78462 10703 88503 87534 32764 15727
35013 84623 09122 97024 92483 60558 50737 21264 41214 97099
93583 14132 22665 92750 55927 55799 95050 11527 82060 57147
01095 59971 60597 02745 34596 86201 47285 17418 64088 91986
09552 32923 04843 08714 32145 08397 62603 62799 52514 07989
68725 33965 46331 80882 96406 20615 25835 23950 54745 75028
77599 61729 83557 52203 37531 85701 13543 74603 40849 88471
60386 89997 06990 04815 03054 40277 90316 45424 78230 68492
93691 86215 80578 46311 15966 68713 01301 56185 68987 23723
e
2. 71828 18284 59045 23536 02874 71352 66249 77572 47093 69995
95749 66967 62772 40766 30353 54759 45713 82178 52516 64274
27466 39193 20030 59921 81741 35966 29043 57290 03342 95260
59563 07381 32328 62794 34907 63233 82988 07531 95251 01901
15738 34187 93070 21540 89149 93488 41675 09244 76146 06680
82264 80016 84774 11853 74234 54424 37107 53907 77449 92069
55170 27618 38606 26133 13845 83000 75204 49338 26560 29760
67371 13200 70932 87091 27443 74704 72306 96977 20931 01416
92836 81902 55151 08657 46377 21112 52389 78442 50569 53696
77078 54499 69967 94686 44549 05987 93163 68892 30098 79312
π
analisi matematica 1 november 4, 2013 317
3. 14159 26535 89793 23846 26433 83279 50288 41971 69399 37510
58209 74944 59230 78164 06286 20899 86280 34825 34211 70679
82148 08651 32823 06647 09384 46095 50582 23172 53594 08128
48111 74502 84102 70193 85211 05559 64462 29489 54930 38196
44288 10975 66593 34461 28475 64823 37867 83165 27120 19091
45648 56692 34603 48610 45432 66482 13393 60726 02491 41273
72458 70066 06315 58817 48815 20920 96282 92540 91715 36436
78925 90360 01133 05305 48820 46652 13841 46951 94151 16094
33057 27036 57595 91953 09218 61173 81932 61179 31051 18548
07446 23799 62749 56735 18857 52724 89122 79381 83011 94912
22.23 LE FORMULE DI WALLIS E DI STIRLING-DE MOI-VRE.
Intendiamo qui provare due formule che sono di grande utilità edinteresse.
La prima, nota come formula del prodotto di Wallis, consente diindividuare una successione di razionali che ha per limite π, la secon-da, dovuta a Stirling e De Moivre, consente di valutare, con notevoleprecisione, n!.
Lemma 22.13 Si ha
(2n)!! = 2nn! , (2n− 1)!! =(2n)!2nn!
.
Teorema 22.94 - Wallis - Posto
wn =((2n)!!)2
((2n− 1)!!)2(2n + 1)
si ha
lim wn =π
2.
Dimostrazione. Sia
sn =∫ π/2
0(sin x)ndx
si ha
s0 = π/2 , s1 = 1
318 ottavio caligaris - pietro oliva
ed anche
sn =∫ π/2
0(sin x)n−1(sin x)dx = −(sin x)n−1 cos x
∣∣π/20 +
+∫ π/2
0(n− 1)(sin x)n−2(cos x)2dx =
= (n− 1)∫ π/2
0((sin x)n−2 − (sin x)n)dx = (n− 1)(sn−2 − sn)
onde
sn =n− 1
nsn−2 , n ≥ 2.
Pertanto
s2n =2n− 1
2ns2n−2 =
2n− 12n
2n− 32n− 2
s2n−4 =
=2n− 1
2n2n− 32n− 2
....12
s0 =(2n− 1)!!(2n)!!
π
2
Analogamente
s2n+1 =2n
2n + 12n− 22n− 1
....23
s1 =(2n)!!
(2n + 1)!!.
Ora, poiché
0 ≤ sn =∫ π/2
0(sin x)ndx ≤ π
2,
mentre
sn+1 =∫ π/2
0(sin x)n+1dx ≤
∫ π/2
0(sin x)ndx = sn,
si ha che
lim sn = s ∈ R.
Ma, come si verifica facilmente
wn =s2n+1
s2n
π
2
e pertanto
lim wn =ss
π
2=
π
2.
2
Corollario 22.12 Si ha
lim(n!)222n
(2n)!√
n=√
π.
analisi matematica 1 november 4, 2013 319
Dimostrazione. Si ha
wn =(2nn!)2(2nn!)2
((2n)!)2(2n + 1)
da cui
vn =(n!)222n
(2n)!√
n=
√wn
(2n + 1)n
−→√
π.
2
Teorema 22.95 Si ha
limnne−n
√2πn
n!= 1
da cuin! = nne−n
√2πn θn , con lim θn = 1 .
Dimostrazione. Applicando il teorema A9.2 alla funzione 1/x in[n, n + 1] ne deduciamo che
22n + 1
=1
n + 1/2≤∫ n+1
n
dxx
= ln(
1 +1n
).
Ne segue che1 ≤ (n + 1/2) ln(1 + 1/n)
ed
e ≤(
1 +1n
)n+1/2.
Tenendo conto che ln è una funzione concava, si ottiene, sempredal teorema A9.2
1 + (ln 2 + ln 3 + ... + ln(n− 1)) +12
ln n ≥
≥∫ 3/2
1ln xdx +
∫ n−1/2
3/2ln xdx +
∫ n
n−1/2ln xdx =
=∫ n
1ln xdx = n ln n− n + 1 =
= ln(nne−n) + 1
da cui
ln(
n!√n
)≥ ln(nne−n)
0 ≤ un =nne−n√n
n!≤ 1.
Pertanto un è limitata e possiamo di più provare che è crescente,verificando che un+1/un ≥ 1 . Si ha infatti
un+1
un=
(n + 1)n+1e−n−1√
n + 1(n + 1)!
n!nne−n√n
=1e
(1 +
1n
)n+1/2≥ 1.
320 ottavio caligaris - pietro oliva
Possiamo a questo punto affermare che
un → u ∈ R
e ne consegue cheu2
nu2n→ u.
Mau2
nu2n
=n2ne−2nn(n!)2
(2n)!(2n)2ne−2n
√2n
=(2n)!
√n
(n!)222n1√2
.
Da cui, per il corollario A5.3,
u = limu2
nu2n
= lim1
vn√
2=
1√2π
e si conclude chenne−n√n
n!−→ 1√
2π.
2
Osserviamo che, ∀n ∈N
.367879 ≤ 1e= u1 ≤ un ≤ lim un =
1√2π≤ .398943.
La costante di Eulero.
Teorema 22.96 - Eulero - Si ha
lim
(n
∑k=1
1k− ln n
)= γ ∈ R.
Dimostrazione. Per il teorema A9.1, ∃ξk ∈ [k− 1, k] tale che
− 16
n
∑k=2
1ξ3
k=∫ n
1
dtt− 1
2
n
∑k=2
(1k+
1k− 1
)=
= ln n−(
12+
n−1
∑k=2
1k+
12n
)=
= ln n−(
n
∑k=1
1k− 1
2− 1
2n
)Pertanto
16
∫ n+1
2
1t3 dt ≤ 1
6
n
∑k=2
1k3 ≤
n
∑k=1
1k− ln n− 1
2− 1
2n≤
≤ 16
n
∑k=2
1(k− 1)3 =
16+
16
n−1
∑k=2
1k3 ≤
≤ 16+
16
∫ n−1
1
1t3 dt
analisi matematica 1 november 4, 2013 321
Quindi
112
(14− 1
(n + 1)2
)+
12+
12n≤
n
∑k=1
1k− ln n ≤
≤ 23+
12n
+1
12
(1− 1
(n− 1)2
)
da cui, per n→ +∞2548≤ γ ≤ 3
4.
2
Si ha, con 100 cifre decimali esatte γ
0. 57721 56649 01532 86060 65120 90082 40243 10421 59335 93992
35988 05767 23488 48677 26777 66467 09369 47063 29174 674955
22.24 EQUAZIONI ALLE DIFFERENZE FINITE
In questa appendice ci occupiamo di studiare un problema abbastanzasemplice, ma di grande utilità pratica: risolvere una equazione alledifferenze finite.
Definizione 22.33 Siano c0, c1, ..., cn ∈ R, cn 6= 0; diciamo di risolvere unaequazione alle differenze finite lineare omogenea se troviamo una successionea valori reali ak , k ∈N∪ {0}, tale che
n
∑i=0
ciak+i = 0 , ∀k ∈N.
Se definiamo
L(ak) =n
∑i=0
ciak+i
possiamo riscrivere la nostra equazione nella forma
L(ak) = 0
Teorema 22.97 L’operatore L è lineare, cioè se ak,bk sono due successionireali e se α, β ∈ R si ha
L(αak + βbk) = αL(ak) + βL(bk).
PostoS = {ak : L(ak) = 0}
S è uno spazio vettoriale su R.
322 ottavio caligaris - pietro oliva
Teorema 22.98 Siano c0, c1, ..., cn ∈ R e siano
α0, α1, ..., αn−1 ∈ R.
Allora esiste una ed una soluzione del problema alle differenze finiteL(ak) = 0
a0 = α0 , a1 = α1 , ... , an−1 = αn−1.
Possiamo chiamare il problema considerato nel teorema A6.3 proble-ma alle differenze finite relativo ai dati iniziali α0, ..., αn−1.
Il teorema A6.3 e procedimenti del tutto analoghi a quelli usatiper i sistemi di equazioni differenziali lineari (si veda il capitolo 17)permettono di dimostrare che
Teorema 22.99 S è uno spazio vettoriale su R di dimensione n.
Il teorema A6.4, a sua volta, consente di affermare che, se sono noten soluzioni di
L(ak) = 0,
cioè n elementi di S linearmente indipendenti, è possibile trovareogni altra soluzione come combinazione lineare delle soluzioni note(si confronti con il capitolo 17).
Definizione 22.34 Siano a1k , ..., an
k ∈ S ; definiamo la matrice
Ck =
a1
k . . . ank
. . .. . . . . .
a1k+n−1 . . . an
k+n−1
Ck è analogo al wronskiano per le equazioni differenziali lineari e si chiamamatrice di Casorati.
Esattamente come per le equazioni differenziali lineari si può ancheprovare che
Teorema 22.100 Siano a1k , ..., an
k ∈ S ; sono condizioni equivalenti:
1. a1k , ..., an
k sono linearmente indipendenti (cioè γ1a1k + ...+γnan
k = 0 ∀k ⇒γ1 = ... = γn = 0 )
2. det(Ck) 6= 0 ∀k
3. det(C0) 6= 0.
Definizione 22.35 Siano c0, c1, ..., cn ∈ R e sia L come nella definizioneA6.1, sia inoltre bk una successione reale.
analisi matematica 1 november 4, 2013 323
Diciamo di risolvere una equazione alle differenze finite lineare non omo-genea se troviamo una successione reale ak tale che
L(ak) = bk .
Denoteremo con T l’insieme delle soluzioni dell’equazione non omogenea
T = {ak : L(ak) = bk}
Teorema 22.101 Siano L ed ak come nella definizione precedente e sia dk
una successione reale tale che L(dk) = bk.Allora
T = dk + S
Il teorema A6.8, con il teorema A6.4, mostra che T è uno spaziolineare affine su R e pertanto mette in luce l’importanza, allo scopo ditrovare tutte le soluzioni dell’equazione
L(ak) = bk
delle due seguenti questioni:
• trovare n soluzioni linearmente indipendenti di L(ak) = 0
• trovare una soluzione di L(ak) = bk .
Per trovare una risposta al primo quesito cerchiamo soluzioni di
L(ak) = 0
della formaak = λk con λ ∈ C.
Affinchè L(λk) = 0 deve aversi
λkn
∑i=0
ciλi = 0
e perciò λ deve essere soluzione della seguente equazione algebrica digrado n
P(λ) =n
∑i=0
ciλi = 0 .
Siano pertanto λ1, λ2, ..., λr le soluzioni di P(λ) = 0 ciascuna conmolteplicità µ1, µ2, ..., µr ; osserviamo che
r
∑i=0
µi = n
ed inoltre se λ = α + iβ è soluzione di P(λ) = 0 allora anche il suocomplesso coniugato α− iβ è soluzione in quanto i coefficienti di P(λ)sono tutti reali.
324 ottavio caligaris - pietro oliva
Ciò permette di associare ad ogni radice
λ = α± iβ = ρeiθ
con molteplicità µ le soluzioni
ρk sin kθ , ρk cos kθ , ........ , kµ−1ρk sin kθ , kµ−1ρk cos kθ .
Si ottengono complessivamente n soluzioni, che si possono verifi-care linearmente indipendenti.
Per quanto riguarda la seconda questione, possiamo dare due ri-sposte di tenore diverso.
Innanzi tutto si può dire che, se
bk = αk(p1(k) sin kβ + p2(k) cos kβ)
ove p1 e p2 sono polinomi di grado al più m, si può cercare unasoluzione dk dell’equazione non omogenea, nella forma
dk = kµαk(q1(k) sin kβ + q2(k) cos kβ)
ove µ è la molteplicità di αeiβ come soluzione di P(λ) = 0 e q1 e q2
sono polinomi di grado m con coefficienti da determinarsi mediantesostituzione nell’equazione assegnata.
Se invece bk non è del tipo particolare sopra descritto, si può pro-cedere come segue: siano a1
k , ..., ank ∈ S linearmente indipendenti, pos-
siamo cercare dk ∈ T nella forma
dk =n
∑i=0
λikai
k
dove λik sono successioni da determinarsi.
Esplicitiamo questo procedimento solo nel caso n = 2, essendoanalogo, ma più laborioso, il caso n > 2.
Consideriamo pertanto l’equazione alle differenze finite
c2ak+2 + c1ak+1 + c0ak = 0
e supponiamo che αk e βk siano due sue soluzioni linearmente indi-pendenti.
Allora ogni soluzione è data da
ak = λαk + µβk .
Cerchiamo una soluzione di L(ak) = bk nella forma
ak = λkαk + µkβk
imponendo opportune condizioni su λk e µk.
analisi matematica 1 november 4, 2013 325
Osserviamo innanzi tutto che, posto
∆ak = ak+1 − ak
∆2ak = ∆(∆ak) = ∆ak+1 − ∆ak = ak+2 − 2ak+1 + ak
si ha
c2ak+2 + c1ak+1 + c0ak =
= c2∆2ak + (c1 + 2c2)∆ak + (c2 + c1 + c0)ak =
= γ0∆2ak + γ1∆ak + γ2ak
non appena si siano fatte le opportune identificazioni.Pertanto
γ0∆2αk + γ1∆αk + γ2αk = 0
e altrettanto dicasi di βk .Possiamo anche calcolare che
∆ak = λk∆αk + µk∆βk + ∆λkαk+1 + ∆µkβk+1
e, posto∆λkαk+1 + ∆µkβk+1 = 0
∆2ak = λk∆2αk + µk∆2βk + ∆λk∆αk+1 + ∆µk∆βk+1 .
Onde, per sostituzione nell’equazione data, tenendo conto che αk e βk
sono soluzioni dell’omogenea, si haγ0(∆αk+1∆λk + ∆βk+1∆µk) = bk
αk+1∆λk + βk+1∆µk = 0
ed è possibile da esse ricavare
∆λk e ∆µk
e λk e µk successivamente. A titolo di esempio consideriamo il proble-
ma ak+2 = ak+1 + ak
a0 = a1 = 1
Si ha
P(λ) = λ2 − λ− 1 = 0
λ =1±√
52
ak = λ
(1 +√
52
)k
+ µ
(1−√
52
)k
326 ottavio caligaris - pietro oliva
Imponendo a0 = a1 = 1 si ottiene
λ =1 +√
52√
5, µ =
−1 +√
52√
5
e
ak =1√5
(1 +√
52
)k+1
− 1√5
(1−√
52
)k+1
.
Tale successione è nota con il nome di successione dei numeri diFibonacci. Sia ancora
ak+2 = 2ak+1 cos 1− ak
a0 = 0 , a1 = sin 1
Si ha
P(λ) = λ2 − 2λ cos 1 + 1 = 0
e
λ = cos 1 + i sin 1 = ei
da cui, tenendo anche conto delle condizioni iniziali
ak = sin k.
22.25 QUALCHE INTEGRALE ELEMENTARE.
Forniamo qui una tabella di primitive F delle principali funzioni ele-mentari f , essendosi trascurato di precisare l’insieme di definizionedelle funzioni stesse.
analisi matematica 1 november 4, 2013 327
f (x) F(x)
0 1
1 x1x
ln |x|
xa xa+1
a + 1
ax ax
ln asin x − cos x
cos x sin x1
sin2 x−cos x
sin x1
cos2 x= 1 + tan2 x tan x
1√(1− x2)
arcsin x
− 1√(1− x2)
arccos x
11 + x2 arctan x
sinh x =ex − e−x
2cosh x
cosh x =ex + e−x
2sinh x
1sinh2 x
−cosh xsinh x
1cosh2 x
sinh xcosh x
1√(1 + x2)
sinh−1 x
1√(x2 − 1)
cosh−1 x
Per l’integrazione indefinita, oltre che della precedente tabella, sifa uso delle usuali regole di integrazione (linearità dell’integrale, in-tegrazione per parti e per sostituzione). Inoltre esistono una serie diintegrali che possono essere studiati in maniera standard; ne elenchia-mo qui i principali, rimandando ad un libro di tavole matematiche,per un più completo assortimento.
• se
f (x) =P(x)Q(x)
328 ottavio caligaris - pietro oliva
dove P e Q sono polinomi, si procede come segue
– ci si riduce, eventualmente effettuando una divisione di polino-mi, al caso in cui il grado di P sia inferiore al grado di Q (siricordi che, se P(x) = A(x)Q(x) + B(x), si ha P(x)/Q(x) =
A(x) + B(x)/Q(x) con grado di B minore del grado di Q).
– si trovano le radici di Q; siano esse
λ1, .., λn e α1 ± iβ1, .., αm ± iβm
con molteplicità ν1, .., νn e µ1, .., µm. Osserviamo che, se α + iβ èuna soluzione di Q(x) = 0, allora tale è anche α− iβ in quanto Qha coefficienti reali. Se
p =n
∑i=1
νi e q =m
∑j=1
µj
risulterà p + 2q uguale al grado di Q.
– In corrispondenza di una radice reale λ, con molteplicità ν, siconsiderano le seguenti frazioni (dette fratti semplici)
A1
x− λ,
A2
(x− λ)2 , ... ,Aν
(x− λ)ν.
In corrispondenza di una radice complessa α± iβ, con moltepli-cità µ, si considera il trinomio di secondo grado a coefficientireali
t(x) = (x− α)2 + β2
ed i fratti semplici
B1x + C1
t(x),
B2x + C2
(t(x))2 , ... ,Bµx + Cµ
(t(x))µ .
– Si determinano poi, imponendo le opportune uguaglianze, le co-stanti A, B e C in modo che P(x)/Q(x) sia la somma dei frattisemplici relativi a tutte le radici, cioè
P(x)Q(x)
=n
∑i=1
νi
∑h=1
Ah,i
(x− λi)h +m
∑j=1
µj
∑k=1
Bk,jx + Ck,j
(tj(x))k .
– Gli integrali dei fratti semplici possono essere catalogati comesegue: (x − λ)−1 ammette come primitiva ln |x − λ| ; (x − λ)−h
ammette come primitiva [(1− h)(x− λ)h−1]−1
Ax + B(ax2 + bx + c)m =
A2a
(2ax + b
(ax2 + bx + c)m +
+(2aB/A)− b
(ax2 + bx + c)m
)
analisi matematica 1 november 4, 2013 329
Una primitiva della prima frazione entro parentesi può esseretrovata mediante la sostituzione
t = ax2 + bx + c
mentre una primitiva della seconda frazione può essere trovatamediante la sostituzione
t =2ax + b√4ac− b2
che riduce il problema alla ricerca delle primitive della funzione
1(t2 + 1)m .
Una primitiva di tale funzione si trova infine osservando che
1(t2 + 1)m =
1(t2 + 1)m−1 −
t2(d/dt)(t2 + 1)
(t2 + 1)m
e ricavando una formula iterativa.
– Un modo alternativo per decomporre la frazione P(x)/Q(x) èdato dal metodo di Hermite: si determinano Ah, Bk, Ck ∈ R, h =
1, .., n, k = 1, .., m, e due polinomi N(x) e D(x) in modo che
D(x) =n
∏i=1
(x− λi)νi−1
m
∏j=1
(tj(x))µj−1 ,
N abbia grado inferiore di una unità al grado di D e
P(x)Q(x)
=n
∑h=1
Ahx− λh
+m
∑k=1
Bkx + Cktk(x)
+d
dxN(x)D(x)
.
• xm sin x , xm cos x , sinm x , cosm x , xnaαx sin mx , xnaαx cos mx,xmaαx , xα logm
a x , xn arctanm x , con n, m ∈ N, si integrano itera-tivamente per parti.
• sin(mx) cos(nx) si integra usando le formule di prostaferesi.
• cos(a1x + b1) . . . cos(anx + bn) si integra usando le formule di Wer-ner iterativamente.
Molti integrali possono essere risolti per sostituzione: indichiamoqui di seguito le sostituzioni più comuni. Nelle righe che seguonoR indica una funzione razionale dei suoi argomenti.
• R(xp1/q1 , .., xpn/qn) si integra ponendo x = tµ dove
µ = m.c.m.(q1, ..., qn) .
330 ottavio caligaris - pietro oliva
• Lo stesso vale se in luogo di x c’è
ax + bcx + d
.
• R(x,√
ax2 + bx + c) ; se α, β sono radici di ax2 + bx+ c = 0 si esegueuna delle seguenti tre sostituzioni (di Eulero), purché possibile√
ax2 + bx + c = (x− α)t√ax2 + bx + c =
√ax + t√
ax2 + bx + c = xt +√
c.
• R(x,√
ax + b,√
cx + d) ; si pone√
ax + b = t e ci si riconduce aduno dei precedenti
• xq(a + bxr)s , q, r, s ∈ Q, s = m/n (integrali binomi).
– se (q + 1)/r ∈ Z si pone a + bxr = tn
– se s + (q + 1)/r ∈ Z si pone b + ax−r = tn .
– qualora q, r, s ∈ R, le sostituzioni indicate sono ancora validepurché
(q + 1)/r ∈N e s + (q + 1)/r ∈ (−N)
e si ponga n = 1 .
• R(aαx) ; si pone aαx = t
• R(ap1x/q1 , .., apnx/qn) ; si pone ax = tµ dove
µ = m.c.m.(q1, ..., qn) .
• R(sin x, cos x); si pone t = tan(t/2)
• sinm x cosn x; si pone t = sin x e diventa un integrale binomio.
• R(x, f (x)), dove R è una funzione razionale, si può ridurre per so-stituzione ad un integrale razionale se esiste una parametrizzazionerazionale
x = φ(t)
y = ψ(t)
della curvay = f (x)
cioè se esistono due funzioni φ e ψ razionali tali che
ψ(t) = f (φ(t)).
analisi matematica 1 november 4, 2013 331
In tal caso infatti è sufficiente operare la sostitizione x = φ(t).
Aggiungiamo che una parametrizzazione razionale della curva y =
f (x) può essere ottenuta trovando al variare di t l’intersezione dellaretta
y− y0 = t(x− x0)
con il grafico di y = f (x), essendo (x0, y0) scelto in modo che y0 =
f (x0) e l’ulteriore intersezione sia unica.
Osserviamo ancora che nel caso in cui la curva y = f (x) sia unaconica o una parte di conica ciò può essere sempre fatto eventual-mente scegliendo come (x0, y0) un punto improprio.
COMPLEMENTI SU SISTEMI ED EQUAZIONI DIFFERENZIALI LI-NEARI.
Qualche preliminare sugli spazi Euclidei.Per il trattare i sistemi differenziali ci occorrono alcune nozioni che
riguardano gli spazi vettoriali e le funzioni a valori vettoriali (reali ecomplessi).
Allo scopo ricordiamo qui, sommariamente, le proprietà e le defi-nizioni di cui faremo uso.
Denotiamo con Rn lo spazio euclideo ad n dimensioni, per cui ognielemento x ∈ Rn è individuato da una n− pla ordinata di numeri realii cui elementi saranno indicati con xi , i = 1, ..., n.
Denotiamo inoltre con Mn lo spazio delle matrici n× n e se A ∈Mn individueremo A scrivendo
A = (aij)
e intendendo con ciò che aij è l’elemento della i − esima riga e dellaj− esima colonna di A, e che i, j = 1, ..., n.
E’ pertanto naturale stabilire cheMn è isomorfo ad Rn2.
Sia V uno spazio vettoriale su R (C). Definiamo in V una funzioneche chiamiamo norma ed indichiamo con
‖ · ‖ : V −→ R+
soddisfacente le seguenti proprietà:
1. ‖x‖ ≥ 0 ∀x ∈ V ; ‖x‖ = 0 ⇔ x = 0
2. ‖αx‖ = |α|‖x‖ ∀x ∈ V , ∀α ∈ R (C)
3. ‖x + y‖ ≤ ‖x‖+ ‖y‖ ∀x, y ∈ V .
Se ad esempio V = Rn, possiamo definire
‖x‖ = max {|xi| : i = 1, ..., n } ;
332 ottavio caligaris - pietro oliva
tale scelta non è l’unica possibile, né la più usuale, ma è quella di cuifaremo uso nel perché è la più semplice per i nostri scopi.
Analogamente si può definire inMn la norma come
‖A‖ = max {|aij| : i, j = 1, ..., n } .
E’ evidente che quando n = 1 si ha Rn = R e ‖x‖ = |x|.Se A ∈ Mn e x ∈ Rn definiamo
(Ax)i =n
∑j=1
aijxj
e
(xA)j =n
∑i=1
aijxi .
Osserviamo che, mentre xA è un vettore riga, Ax è un vettore co-lonna; in altre parole xA è una matrice ad una riga ed n colonne,mentre Ax è una matrice ad n righe ed una colonna.
Ci è indispensabile provare il seguente risultatoLemma A8.1 - Sia A ∈ Mn e sia x ∈ Rn , allora
‖Ax‖ ≤ n‖A‖‖x‖ .
Dimostrazione. Si ha
‖Ax‖ = max{|n
∑j=1
aijxj| : i = 1, ..., n } ≤
≤ max{‖x‖n
∑j=1|aij| : i = 1, ..., n } ≤ n‖A‖‖x‖
Ricordiamo anche alcuni risultati e definizioni.Sia xk una successione a valori in Rn. diciamo che
limk
xk = x
e scriviamo anchexk → x , x ∈ Rn
selim
k‖xk − x‖ = 0.
E’ immediato dimostrare che:Lemma A8.2 - Se xk ∈ Rn è una successione, limk xk = x se e solo
se limk (xk)i = xi. Dimostrazione. |(xk)i − xi| ≤ ‖xk − x‖ , per ogni
i = 1, ..., n e pertanto è provato che se xk → x si ha (xk)i → xi , i = 1, ..., n.Se viceversa (xk)i → xi , per k > kε
i si ha |(xk)i − xi| ≤ ε; ora sek > kε = max{ kε
i : i = 1, ..., n} si ha ‖xk − x‖ < ε e la tesi.
analisi matematica 1 november 4, 2013 333
Se x : R→ Rn , per a, b ∈ R, si definisce in modo ovvio
(∫ b
ax(t)dt)i =
∫ b
axi(t)dt e (
ddt
x(t))i =ddt
xi(t).
Queste poche considerazioni permettono di vedere come per studiare lefunzioni definite su R a valori in Rn o le successioni a valori in Rn, ci sipossa generalmente ricondurre alle funzioni e alle successioni reali che sonodefinite dalle componenti delle funzioni o successioni stesse.
Un ultimo cenno sulle funzioni e sulle successioni complesse: C, comespazio vettoriale, è isomorfo ad R2 (ma si ricordi e si tenga presente che dipiù C è un’algebra). Pertanto quanto detto sopra può essere riscritto per lefunzioni e le successioni a valori complessi.
Ricordiamo soltanto che, nel caso in cui x ∈ C, indicheremo con <ex e=mx la sua parte reale e la sua parte immaginaria; avremo pertanto che
x = <ex + i=mx .
Richiamiamo infine alcune nozioni sugli spazi vettoriali.Sia V uno spazio vettoriale su R o C. Siano v1, v2.., vn ∈ V , diciamo che
v1, ..., vn sono linearmente dipendenti se esistono n scalari αi ∈ K non tuttinulli tali che
n
∑i=1
αivi = 0 .
Al contrario n vettori si dicono linearmente indipendenti se non sonolinearmente dipendenti.
Chiamiamo base di uno spazio vettoriale un insieme massimale di elementilinearmente indipendenti. Si prova che comunque si scelgano due basi di V,esiste una corrispondenza biunivoca tra di loro. Pertanto, se V ammette unabase costituita da un numero finito di elementi, diciamo che V ha dimensionefinita e chiamiamo dimensione di V ( dim V ) il numero di elementi della basestessa.
Equazioni e sistemi differenziali lineari a coefficienti costanti. Ci occupere-
mo qui della soluzione di equazioni e sistemi differenziali lineari a coefficienticostanti.
A questo scopo è più utile considerare, sia dal punto di vista pratico che daquello teorico, equazioni e sistemi i cui coefficienti siano complessi e pertantobisognerà cercare soluzioni a valori, esse pure, complessi.
Ciò non è concettualmente molto complicato e riposa sui risultati ottenutinel caso reale, a meno dell’usuale isomorfismo di spazi vettoriali che si puòdefinire tra Cn ed R2n mediante la corrispondenza che ad ogni elemento a +ib ∈ Cn associa (a, b) ∈ R2n.
Per quanto ci riguarda portiamo avanti questo argomento solo nel casoin cui i coefficienti siano costanti, ma le idee e i metodi usati sono per lo piùvalidi anche nel caso di coefficienti non costanti.
334 ottavio caligaris - pietro oliva
Per tutto il seguito avremo a che fare con due problemi che enunciamoqui per la prima, ed unica, volta ed a cui faremo riferimento d’ora innanzi.Ricordiamo anche alcune notazioni di cui faremo abbondante uso.
Sia A una matrice n× n a valori complessi e sia B ∈ Cn; indichiamo con<eA ed =mA la parte reale e la parte immaginaria di A, e cioè le matrici icui elementi sono, rispettivamente, la parte reale e la parte immaginaria deglielementi di A.
Avremo ovviamenteA = <eA + i=mA
ed in maniera del tutto analoga
B = <eB + i=mB .
Consideriamo il sistema differenziale lineare
(A8.1) Y′(x) = AY(x) + B(x)
dove ovviamente Y è cercato a valori in Cn e consideriamo l’equazione diffe-renziale lineare di ordine n
(A8.2) y(n)(x) =n
∑k=1
aky(k−1)(x) + b(x)
dove ak ∈ C, b è a valori complessi ed y è cercato esso pure a valori complessi.Tanto l’equazione (A8.2) che il sistema (A8.1) possono essere facilmente
ridotte al caso reale e quindi possono avvalersi dei risultati provati nel casoreale.
Provvediamo qui di seguito a studiare il sistema (A8.1) nel nuovo ambitoscelto. Indichiamo, in accordo con quanto sopra, Y = <eY + i=mY ; avremoche il sistema (A8.1) è equivalente a
<eY′ + i=mY′ = (<eA + i=mA)(<eY + i=mY) +<eB + i=mB
e tenuto conto che un numero complesso è nullo se e solo se sono nulle la suaparte reale e la sua parte immaginaria, si ha che il sistema (A8.1) è equivalenteal seguente sistema reale:<eY′ = <eA <eY−=mA =mY +<eB
=mY′ = =mA <eY +<eA =mY +=mB
la cui matrice dei coefficienti è di dimensione 2n× 2n.Se ora poniamo Z = (<eY,=mY) ∈ R2n e definiamo
D =
(<eA −=mA=mA <eA
)E =
(<eB=mB
)avremo D ∈ M2n, E ∈ R2n ed il sistema in questione si può riscrivere, nelcampo reale, come
Z′ = DZ + E
analisi matematica 1 november 4, 2013 335
o più esplicitamente come
(A8.3)
(<eY′
=mY′
)=
(<eA −=mA=mA <eA
)(<eY=mY
)+
(<eB=mB
)
non appena si ricordino le regole di calcolo per le matrici a blocchi.Consideriamo ora il problema di CauchyY′(x) = AY(x) + B(x)
Y(x0) = Y0 x0 ∈ R , Y0 ∈ Cn
Tale problema risulta equivalente al problema di Cauchy reale
<eY′
=mY′
=
<eA −=mA
=mA <eA
<eY
=mY
+
<eB
=mB
(<eY(x0),=mY(x0)) = (<eY0,=mY0)
e pertanto è conseguenza del teorema di esistenza ed unicità (17.7) chela soluzione dei problemi (A8.4) e (A8.5) esiste ed è unica in Cn ed R2n
rispettivamente.A seguito di ciò si può facilmente provare che lo spazio Σ delle solu-
zioni della versione omogenea del sistema (A8.1) è uno spazio vettoriale didimensione n su C e di dimensione 2n su R.
Siano ora Y1, ..., Yn n soluzioni a valori complessi di tale sistema che ri-sultino linearmente indipendenti su C; chiameremo matrice fondamentale delsistema omogeneo (A8.1) la matrice
G =
(Y1)1 (Y2)1 . . . (Yn)1
(Y1)2 (Y2)2 . . . (Yn)2
. . . . . .. . . . . .
(Y1)n (Y2)n . . . (Yn)n
Ora se consideriamo
(<eY1,=mY1), (<eY2,=mY2), . . . , (<eYn,=mYn)
è ovvio che esse risultino linearmente indipendenti su R e risolvano il sistemaomogeneo corrispondente ad (A8.3), ma di più si può osservare che anche
(−=mY1,<eY1), (−=mY2,<eY2), . . . , (−=mYn,<eYn)
sono soluzioni dello stesso sistema. Infatti è facile verificare che si ha(−=mY′
<eY′
)=
(<eA −=mA=mA <eA
)(−=mY<eY
)
336 ottavio caligaris - pietro oliva
in quanto ciò equivale a dire−=mY′ = −<eA=mY−=mA <eY
<eY′ = −=mA =mY +<eA <eY
Di più si può verificare che le nuove soluzioni sono linearmente indipen-denti dalle prime; infatti supponiamo che esistano αk, βk ∈ R, k = 1, ..., ntali che
n
∑k=1
αk
(<eYk
=mYk
)+
n
∑k=1
βk
(−=mYk
<eYk
)= 0
Si avrebbe ∑nk=1 (αk<eYk − βk=mYk) = 0
∑nk=1 (αk=mYk + βk<eYk) = 0
e pertanton
∑k=1
(αk + iβk)(<ek + i=mYk) = 0
da cui αk = βk = 0 perché Y1, ..., Yn sono linearmente indipendenti su C.Pertanto una matrice fondamentale del sistema omogeneo associato ad
(A8.3) sarà dato da
F =
(<eY1)1 . . . (<eYn)1...
. . ....
(<eY1)n . . . (<eYn)n
(−=mY1)1 . . . (−=mYn)1...
. . ....
(−=mY1)n . . . (−=mYn)n
(=mY1)1 . . . (=mYn)1...
. . ....
(=mY1)n . . . (=mYn)n
(<eY1)1 . . . (<eYn)1...
. . ....
(<eY1)n . . . (<eYn)n
F =
ed avremo che F può essere scritta (a blocchi)
F =
(<eG −=mG=mG <eG
)Pertanto l’integrale generale del sistema omogeneo associato ad (A8.1) può
essere scritto, per λ ∈ Cn,
Y = Gλ = (<eG + i=mG)(<eλ + i=mλ) =
= (<eG <eλ−=mG =mλ) + i(=mG <eλ +<eG =mλ)
analisi matematica 1 november 4, 2013 337
mentre l’integrale generale del sistema omogeneo ad esso equivalente (A8.3)si può scrivere, per (λ1, λ2) ∈ R2n
Z = F
(λ1
λ2
)=
(<eG−=mG=mG<eG
)(λ1
λ2
)=
= <eG λ1 +=mG λ2 −=mG λ1 +<eG λ2
il che mostra, a meno del solito isomorfismo tra Cn e R2n, come i risultatiottenuti siano equivalenti.
Senza maggiormente indagare il sistema reale omogeneo (A8.3) ricordiamoche, detto W(x) il determinante associato ad n soluzioni del sistema omogeneo(A8.1) come nel caso reale, si può affermare che sono fatti equivalenti
1. Y1, ..., Yn sono linearmente indipendenti su C;
2. W(x) 6= 0 ∀x ∈ R ;
3. ∃x0 ∈ R tale che W(x0) 6= 0.
Diamo infine uno sguardo a quanto accade se cerchiamo soluzioni com-plesse di un sistema i cui coefficienti siano reali.
In tal caso il sistema omogeneo omogeneo associato ad (A8.3) assumerà laforma, tenuto conto che =mA = 0,<eY′ = <eA <eY
=mY′ = <eA =mY
Risulta pertanto essere costituito di due equazioni completamente indi-pendenti tra di loro e relative alla stessa matrice <eA = A; quindi ogni suasoluzione complessa sarà della forma
Y(x) = <eY(x) + i<eY(x) = =mY(x) + i=mY(x) .
Lo spazio vettoriale Σ delle soluzioni complesse avrà dimensione n su C esarà della forma
Σ = S + iS
dove S è lo spazio vettoriale su R, di dimensione n, delle soluzioni reali delsistema a coefficienti reali considerato.
In particolare, se
(A8.6) ρ1 + iσ1, ...., ρn + iσn
è una base di Σ su C, avremo che
(A8.7); ρ1, ..., ρn, σ1, ..., σn ∈ S
338 ottavio caligaris - pietro oliva
poiché dim S = n avremo che al più n tra essi sono linearmente indipendenti.D’altro canto almeno n tra essi sono linearmente indipendenti perché, dalmomento che i vettori della (A8.6) formano una base di Σ, i vettori della(A8.7) generano S .
Infatti sia s ∈ S , esistono α1, .., αn , β1, .., βn ∈ R tali che
is =n
∑k=1
(αk + iβk)(ρk + iσk)
e pertanto si ha
n
∑k=1
(αk ρk − βk σk) = 0 en
∑k=1
(αk σk + βk ρk) = s .
Si può inoltre affermare che, se ρ + iσ ∈ Σ , ρ, σ,−ρ,−σ ∈ S , per cuiρ− i σ ∈ Σ.
Riduzione dei sistemi a coefficienti costanti ad equazioni indipendentiNostro scopo in questa parte è mostrare come ogni sistema lineare a coef-
ficienti costanti può essere ricondotto ad un insieme di equazioni di ordinesuperiore che coinvolgono una sola delle variabili in gioco.
Questo risultato riposa su alcuni fatti che riguardano la teoria delle ma-trici a coefficienti polinomiali.
Consideriamo una matrice A, n× n, a coefficienti complessi e supponiamodi voler risolvere il sistema differenziale lineare
Y′(x) = AY(x) + B(x) ;
indicando con D il simbolo di derivazione, possiamo formalmente riscrivere ilsistema assegnato nella forma
(DI)Y = AY + B
ed anche come(DI − A)Y = B .
Pertanto, osservando che il simbolo D può essere trattato formalmentecome una variabile numerica, possiamo ridurre il nostro sistema ad una formapiù semplice, con trasformazioni elementari sulla matrice DI − A .
Chiamiamo trasformazioni elementari su una matrice le seguenti:
1. scambio di due righe o due colonne;
2. moltiplicazione di una riga o di una colonna per un polinomio non nullo;
3. addizione ad una riga o ad una colonna di un’altra riga od un’altra colon-na.
Ciascuna delle trasformazioni si può ottenere moltiplicando a destra, se latrasformazione è sulle colonne, o a sinistra, se è sulle righe, per una opportunamatrice non singolare.
analisi matematica 1 november 4, 2013 339
Si può provare (si veda A. Maltsev,Fondamenti di algebra lineare) che,mediante trasformazioni elementari, è possibile ridurre la matrice DI − Aalla matrice diagonale
N(D) =
f1(D) 0 . . . 0
0 f2(D) . . . 0...
.... . .
...0 0 . . . fn(D)
dove fi è un polinomio che divide fi+1; gli fi si chiamano invarianti dellamatrice A e si può provare che fn(D) è il polinomio minimo della matrice Ache, come è noto, divide il polinomio caratteristico det (DI − A).
Più precisamente si può provare l’esistenza di due matrici non degeneri acoefficienti polinomiali S(D) e T(D) tali che
S(D)(DI − A)T(D) = N(D) ,
essendo S(D) il prodotto delle matrici che generano le trasformazioni sullerighe e T(D) il prodotto delle matrici che generano le trasformazioni sullecolonne, operate per passare da (DI − A) ad N(D).
Ora, se Z soddisfa
N(D)Z(x) = S(D)B(x)
avremo cheS(D)(DI − A)T(D)Z(x) = S(D)B(x)
eY(x) = T(D)Z(x)
soddisfaS(D)(DI − A)Y(x) = S(D)B(x)
ed anche(DI − A)Y(x) = B(x) .
Osserviamo che, per poter ricondurre i risultati provati per le equazioni alcaso dei sistemi, è sufficiente osservare che:
• se Z(x), B(x) sono della forma Q(x)eλx , dove Q è un vettore colonnai cui elementi sono polinomi di grado al più m, tali restano S(D)B(x) eT(D)Z(x);
• i polinomi caratteristici delle n equazioni ottenute sono
fi(λ) , i = 1, .., n,
e pertanto hanno come radici tutte e sole le radici di P(λ) = 0 conmolteplicità minore o uguale a quella con cui ivi compaiono.
340 ottavio caligaris - pietro oliva
22.26 Dipendenza dai dati iniziali e stabilità dei sistemi diffe-renziali lineari.
Ci occupiamo ora di un problema di estremo interesse applicativo. I sistemidifferenziali sono di grande utilità per simulare modelli di fenomeni fisici eprevederne l’evoluzione futura; la costruzione del modello però dipende dalladeterminazione dei dati del sistema, nel nostro caso la matrice A, il vettore Bed il dato iniziale Y0, e la sua affidabilità è collegata alla precisione con cui idati sono stati rilevati.
Poiché deve prevedersi un errore nella determinazione dei dati, la soluzio-ne fornita dal sistema rappresenterà non tanto l’evoluzione del fenomeno cuisiamo interessati, bensì l’evoluzione di un fenomeno del tutto analogo relativoa dati che differiscono di poco, l’errore con cui si effettuano i rilevamenti, daidati effettivi.
E’ pertanto importante conoscere come variano le soluzioni dei sistemidifferenziali in funzione delle variazioni dei dati inziali.
Lo studio di questo problema viene indicato come studio della dipenden-za dai dati iniziali nel caso in cui si consideri l’evoluzione del fenomeno inun intervallo finito, mentre si definisce studio della stabilità del sistema seci interessa il comportamento della soluzione per grandi valori della variabileindipendente, cioè su un intervallo infinito. Cominciamo col dare alcuni risul-
tati che precisano la dipendenza dai valori iniziali della soluzione dei sistemilineari.
Teorema 22.102 Sia I = [x0, x0 + a] , a > 0 , e siano A : I −→ Mn,B : I −→ Rn continue; siano inoltre Y0, Z0 ∈ Rn.
Consideriamo le soluzioni dei seguenti problemi di Cauchy:Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x)
Y(x0) = Y0
Z′(x) = A(x)Z(x) + B(x)
Z(x0) = Z0
allora‖Y(x)− Z(x)‖ ≤ ‖Y0 − Z0‖e
n∫ x
x0‖A(t)‖dt.
Dimostrazione. Si ha
‖Y(x)− Z(x)‖ ≤ ‖Y0 + Z0‖+∫ x
x0
n‖A(t)‖‖Y(t)− Z(t)‖dt
e si può concludere usando il lemma di Gronwall. 2
Teorema 22.103 Sia I = [x0, x0 + a], a > 0 , siano A1, A2 : I −→Mn, B1, B2 : I −→ Rn, continue e sia Y0 ∈ Rn.
Consideriamo le soluzioni Y e Z dei problemi di CauchyY′(x) = A1(x)Y(x) + B1(x)
Y(x0) = Y0
Z′(x) = A2(x)Z(x) + B2(x)
Z(x0) = Y0
analisi matematica 1 november 4, 2013 341
Si ha allora
‖Y(x)− Z(x)‖ ≤
≤(∫ x
x0
‖(A1(t)− A2(t))Z(t)‖dt+
+∫ x
x0
‖B1(t)− B2(t)‖dt)
en∫ x
x0‖A1(t)‖dt
Dimostrazione. Si ha
‖Y(x)− Z(x)‖ ≤
≤∫ x
x0
‖A1(t)Y(t)− A2(t)Z(t) + B1(t)− B2(t)‖dt ≤
≤∫ x
x0
(‖A1(t)(Y(t)− Z(t))‖+
+ ‖(A1(t)− A2(t))Z(t)‖+ ‖B1(t)− B2(t)‖)dt ≤
≤ n∫ x
x0
‖A1(t)‖‖Y(t)− Z(t)‖dt+
+∫ x
x0
‖(A1(t)− A2(t))Z(t)‖dt+
+∫ x
x0
‖B1(t)− B2(t)‖dt
e si può concludere usando il lemma di Gronwall. 2
Corollario 22.13 Nelle condizioni del teorema A8.3, ∀ε > 0 ∃δε > 0 taleche, se ‖Y0 − Z0‖ < δε si ha ‖Y(x)− Z(x)‖ < ε per ogni x ∈ I.
Corollario 22.14 Nelle condizioni del teorema ., ∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che, sesup{‖A1(x)− A2(x)‖ : x ∈ I} < δε e sup{‖B1(x)− B2(x)‖ : x ∈ I} <δε , si ha ‖Y(x)− Z(x)‖ < ε
Possiamo infine discutere brevemente la stabilità dei sistemi differenzialilineari.
Definizione 22.36 Supponiamo che I = [x0,+∞) ; A: I −→ Mn, B :I −→ Rn continue, e consideriamo il sistema differenziale lineare
Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x) .
Diciamo che la soluzione Y è stabile per il sistema se, detta Z un’altra suasoluzione, ∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che, se ‖Y(x0)− Z(x0)‖ < δε si ha ‖Y(x)−Z(x)‖ < ε ∀x ≥ x0.
Diciamo che Y è asintoticamente stabile per il sistema se è stabile ed inoltrelimx→+∞ ‖Y(x)− Z(x)‖ = 0.
Dal momento che Y e Z sono soluzioni di un sistema lineare non omoge-neo si ha, per i precedenti risultati, che Y− Z è soluzione del sistema lineare
342 ottavio caligaris - pietro oliva
omogeneo corrispondente. E’ pertanto evidente che studiare la stabilità di Yper il sistema assegnato è equivalente a studiare la stabilità della soluzioneidenticamente nulla per il sistema lineare omogeneo ad esso associato. Solita-mente inoltre ci si limita a studiare, per quanto riguarda la stabilità, il casoautonomo; di conseguenza considereremo soltanto sistemi lineari a coefficienticostanti.
In tal caso si può provare il seguente risultato.
Teorema 22.104 Si consideri il sistema Y′(x) = AY(x) . Se la matrice A hatutti gli autovalori con parte reale negativa, allora la soluzione identicamentenulla è asintoticamente stabile.
Se la matrice A ha tutti gli autovalori con parte reale negativa o nulla, edinoltre gli autovalori con parte reale nulla hanno molteplicità 1, la soluzioneidenticamente nulla è stabile.
Negli altri casi la soluzione identicamente nulla non è stabile.
22.27 L’oscillatore armonico.
Si consideri l’equazione differenziale lineare del secondo ordine
x′′(t) + 2hx′(t) + ω2x(t) = K sin(αt) h, K, α > 0.
Essa descrive il comportamento di un oscillatore armonico smorzato, cioèdi un punto materiale soggetto ad una forza di richiamo proporzionale alladistanza ed ad forza di attrito proporzionale alla velocità, sollecitato da unaforza esterna sinusoidale di ampiezza K e di frequenza α.
Le soluzioni dell’equazione sono date da:
1. h > ω
x(t) = c1e(−h+θ)t + c2e(−h−θ)t + x(t)
2. h = ω
x(t) = c1e−ht + c2te−ht + x(t)
3. h < ω
x(t) = e−ht(c1 sin(θt) + c2 cos(θt)) + x(t)
dovex(t) = α sin(αt) + b cos(αt) = A sin(αt− φ)
ed inoltre si è postoθ = |h2 −ω2|1/2
a = Kω2 − α2
4h2α2 + (ω2 − α2)2
b = −K2hα
4h2α2 + (ω2 − α2)2
analisi matematica 1 november 4, 2013 343
A =K√
4h2α2 + (ω2 − α2)2
φ = arccos( a
A
).
Nel caso in cui h = 0 l’equazione diventa
x′′(t) + ω2x(t) = K sin(αt) k, α > 0
e rappresenta un oscillatore armonico non smorzato sollecitato da una forzaesterna sinusoidale.
Le soluzioni in questo caso sono
1. α 6= ω
x(t) = c1 sin(ωt) + c2 cos(ωt) +K
ω2 − α2 sin(αt)
2. α = ω
x(t) = c1 sin(ωt) + c2 cos(ωt)− K2ω
t cos(ωt) .
Il comportamento delle soluzioni di queste due equazioni è illustrato nellefigure A.8.1-A.8.2-..-A.8.11. Più precisamente le figure A.8.1-A.8.2-A.8.3-A.8.4-A.8.5 riguardano la funzione
A =K
(4h2α2 + (ω2 − α2)2)1/2 =
=K/ω2
(4(h/ω)2(α/ω)2 + (1− (α/ω)2)2)1/2
conK/ω2 = .5 .
Le figure A.8.1-A.8.2-A.8.3-A.8.4 rappresentano, da diversi punti di vista, ilgrafico di A in funzione di h
ω e αω , mentre la figura A.8.5 ne rappresenta le
curve di livello.E’ facile vedere come per valori di α
ω vicini ad 1 e di hω vicini a 0, la
funzione diventi molto grande (risonanza).Le figure A.8.6-A.8.7 riguardano la funzione
x(t, α) =K
ω(α2 −ω2)(α sin(ωt)−ω sin(αt))
che è la soluzione dell’equazione dell’oscillatore armonico non smorzato sod-disfacente le condizioni iniziali x(0) = x′(0) = 0.
Le costanti K ed ω sono fissate: K = 2, ω = 2 ed i grafici mostranol’andamento di x in funzione di t e di α.
Le figure A.8.8-A.8.9 riguardano la funzione
x(t, ω) =K
2ω2 (ωt cos(ωt)− sin(ωt))
344 ottavio caligaris - pietro oliva
che è la soluzione dell’oscillatore armonico non smorzato, nel caso α = ω
(risonanza) soddisfacente le condizioni iniziali x(0) = x′(0) = 0.Le figure A.8.9 e A.8.10 riguardano la funzione x(t, h), soluzione dell’e-
quazione dell’oscillatore armonico smorzato, per valori di K e ω fissati: K = 2,ω = 3, soddisfacente i dati iniziali x(0) = 4, x′(0) = 0.
E’ evidente l’effetto dello smorzamento al crescere di h .
22.28 COEFFICIENTI DI INTEGRAZIONE NUMERICA.
In questa appendice intendiamo precisare alcuni risultati provati nel paragrafo18, riguardo alle formule di integrazione numerica, relativamente al caso incui il polinomio interpolatore sia di grado 0, 1, 2, 4.
Teorema 22.105 Sia f : [a, b] −→ R continua, derivabile due volte in (a, b);se P1 è il polinomio interpolatore di f relativo ai punti a e b, allora
I1 =∫ b
aP1(x)dx =
f (a) + f (b)2
(b− a)
e|I − I1| ≤
M12
(b− a)3
essendo | f ′′(x)| ≤ M e
I =∫ b
af (x)dx .
Inoltre, se f è convessa e 0 ≤ m ≤ f ′′(x) ≤ M
I1 −M12
(b− a)3 ≤ I ≤ I1 −m12
(b− a)3 ≤ I1.
Dimostrazione. Per il teorema 18.3 si ha
I = I1 +∫ b
a
f ′′(c)2
(x− a)(x− b)dx.
2
Teorema 22.106 Sia f : [a, b] −→ R continua, derivabile due volte in (a, b);se P0 è il polinomio interpolatore di f relativo al punto (a + b)/2, allora
I0 =∫ b
aP0(x)dx = (b− a) f
(a + b
2
)e
|I − I0| ≤M24
(b− a)3
essendo | f ′′(x)| ≤ M e
I =∫ b
af (x)dx .
Inoltre, se f è convessa e 0 ≤ m ≤ f ′′(x) ≤ M
I0 ≤ I0 +m24
(b− a)3 ≤ I ≤ I0 +M24
(b− a)3 .
analisi matematica 1 november 4, 2013 345
Dimostrazione. Per il lemma 18.6 si ha
I = I0 +∫ b
a
f ′′(c)2
(x− (b− a)/2)2.
2
Teorema 22.107 Sia f : [a, b] −→ R continua, derivabile tre volte in (a, b);sia P2 il polinomio interpolatore di f relativo ai punti
a ,a + b
2, b .
Allora, se
I2 =∫ b
aP2(x)dx =
b− a6
[ f (a) + 4 f(
a + b2
)+ f (b)]
si ha|I − I2| ≤
M192
(b− a)4
essendo| f (3)(x)| ≤ M
e
I =∫ b
af (x)dx .
Se di più supponiamo che f sia derivabile quattro volte in (a, b) e che siabbia
| f (4)(x)| ≤ H
possiamo affermare che
|I − I2| ≤H
2880(b− a)5 .
Dimostrazione. E’ sufficiente integrare le uguaglianze ottenute nei teoremi18.7 e 18.9 rispettivamente. 2
Teorema 22.108 Sia f : [a, b] −→ R continua, derivabile sei volte in (a, b),e sia P4 il polinomio interpolatore di f relativo ai punti
a , a +b− a
4,
a + b2
, a + 3b− a
4, b
allora, se
I4 =∫ b
aP4(x)dx =
=b− a
90[7 f (a) + 32 f
(a +
b− a4
)+ 12 f
(a + b
2
)+
+ 32 f(
a + 3b− a
4
)+ 7 f (b)]
346 ottavio caligaris - pietro oliva
si ha|I − I4| ≤
H1474560
(b− a)7
essendo| f (6)(x)| ≤ H
e
I =∫ b
af (x)dx .
I teoremi A9.3 ed A9.4 sono tanto più efficaci quanto più piccola è l’am-piezza b-a dell’intervallo di integrazione.
E’ pertanto opportuno suddividere [a, b] in n parti uguali
[a +(k− 1)(b− a)
n, a +
k(b− a)n
]
ciascuno di ampiezzab− a
napplicare le formule di cui sopra in ogni singolo intervallo e sommare infine irisultati ottenuti.
Dal teorema A9.1 si ha
In1 =
b− an
n
∑k=1
12
(f(
a +(k− 1)(b− a)
n
)+ f
(a +
k(b− a)n
))=
=b− a
n
(12
f (a) +n−1
∑k=1
f(
a +k(b− a)
n
)+
12
f (b)
)e
|I − In1 | ≤
n
∑k=1
M12
(b− a)3
n3 =M12
(b− a)3
n2 .
Dal teorema A9.2 si ha
In0 =
b− an
n
∑k=1
f(
a +(2k− 1)(b− a)
2n
)e
|I − In0 | ≤
n
∑k=1
M24
(b− a)3
n3 =M24
(b− a)3
n2 .
Dal teorema A9.3 si ha
In2 =
b− a6n
n
∑k=1
(f(
a +(k− 1)(b− a)
n
)+
+4 f(
a +(2k− 1)(b− a)
2n
)+ f
(a +
k(b− a)n
))=
=b− a
6n
(f (a) + 4 f
(a +
b− a2n
)+ 2 f
(a +
2(b− a)2n
)+
+4 f(
a +3(b− a)
2n
)+ +... + f (b)
)
analisi matematica 1 november 4, 2013 347
e
|I − In2 | ≤
n
∑k=1
M192
(b− a)4
n4 =M
192(b− a)4
n3
oppure
|I − In2 | ≤
n
∑k=1
H2880
(b− a)5
n5 =H
2880(b− a)5
n4 .
Dal teorema A9.4 si ha
In4 =
b− a90n
n
∑k=1
(7 f(
a +(4k− 4)(b− a)
4n
)+
+ 32 f(
a +(4k− 3)(b− a)
4n
)+ 12 f
(a +
(4k− 2)(b− a)4n
)+32 f
(a +
(4k− 1)(b− a)4n
)+ 7 f
(a +
b− an
))e
|I − In4 | ≤
n
∑k=1
M1474560
(b− a)7
n7 =M
1474560(b− a)7
n6
Diamo qui di seguito i coefficienti ed una valutazione del resto relativialle formule di integrazione numerica chiuse ed aperte. Per la lettura delletabelle relative all’integrazione chiusa, ci riferiremo alla formula
b− aβ
n
∑i=0
αi f (a + ih) , h =b− a
n
e valuteremo il resto nella forma
|Rn| ≤ (b− a)n+2γn M , | f (n+1)(x)| ≤ M
oppure, se n è pari, nella forma
|Rn| ≤ (b− a)n+3δn H , | f (n+2)(x)| ≤ H .
Osserviamo che vengono riportati solo i coefficienti αi, 0 ≤ i ≤ E(n/2),essendo i rimanenti ottenuti mediante la
αi = αn−i .
Per la lettura delle tabelle relative all’integrazione aperta, ci riferiremo allaformula
b− aµ
n+1
∑i=1
λi f (a + ih) , h =b− an + 2
e valuteremo il resto nella forma
|Rn| ≤ (b− a)n+2θn M , | f (n+1)(x)| ≤ M
oppure, se n è pari, nella forma
|Rn| ≤ (b− a)n+3ηn H , | f (n+2)(x)| ≤ H .
Osserviamo che vengono riportati solo i coefficienti λi , 0 ≤ i ≤ 1 +
E(n/2) , essendo i rimanenti ottenuti mediante la
λi = λn+2−i .
348 ottavio caligaris - pietro oliva
22.29 Formule di integrazione chiuse.
n = 1
β =2
α0 =1
γ1 =1
12≤ 10−1
n = 2
β =6
α0 =1
α1 =4
γ2 =1
192≤ 10−2
δ2 =1
2880≤ 10−3
n = 3
β =8
α0 =1
α1 =3
γ3 =49
174960≤ 10−3
n = 4
analisi matematica 1 november 4, 2013 349
β =90
α0 =7
α1 =32
α2 =12
γ4 =19
1474560≤ 10−4
δ4 =1
1474560≤ 10−6
n = 5
β =288
α0 =19
α1 =75
α2 =50
γ5 =2459
4725000000≤ 10−6
n = 6
β =840
α0 =41
α1 =216
α2 =27
α3 =272
γ6 =71
3762339840≤ 10−7
δ6 =983
1142810726400≤ 10−9
350 ottavio caligaris - pietro oliva
n = 7
β =17280
α0 =751
α1 =3577
α2 =1323
α3 =2989
γ7 =91463
146435169081600≤ 10−9
n = 8
β =28350
α0 =989
α1 =5888
α2 =− 928
α3 =10496
α4 =− 4540
γ8 =18593
974098582732800≤ 10−10
δ8 =47
60881161420800≤ 10−12
n = 9
β =89600
α0 =2857
α1 =15741
α2 =1080
α3 =19344
α4 =5778
analisi matematica 1 november 4, 2013 351
γ9 =1631797
3006315552481274880≤ 10−12
n = 10
β =598752
α0 =16067
α1 =106300
α2 =− 48525
α3 =272400
α4 =− 260550
α5 =427368
γ10 =55337
3832012800000000000≤ 10−13
δ10 =106276187
204324120000000000000000≤ 10−15
n = 11
β =87091200
α0 =2171465
α1 =13486539
α2 =− 3237113
α3 =25226685
α4 =− 9595542
α5 =15493566
γ11 =32579530343
90288931568921790921216000≤ 10−15
n = 12
352 ottavio caligaris - pietro oliva
β =63063000
α0 =1364651
α1 =9903168
α2 =− 7587864
α3 =35725120
α4 =− 51491295
α5 =87516288
α6 =− 87797136
γ12 =58689413
690924801108010755686430≤ 10−16
δ12 =117907
431828000692506722304000≤ 10−18
n = 13
β =402361344000
α0 =8181904909
α1 =56280729661
α2 =− 31268252574
α3 =156074417954
α4 =− 151659573325
α5 =206683437987
α6 =− 43111992612
γ13 =788106931
4172539031545978956131942400≤ 10−18
n = 14
analisi matematica 1 november 4, 2013 353
β =5003856000
α0 =90241897
α1 =710986864
α2 =− 770720657
α3 =3501442784
α4 =− 6625093363
α5 =12630121616
α6 =− 16802270373
α7 =19534438464
γ14 =792462703
199280729181576203247550464000≤ 10−20
δ14 =218545454111
1906415981954155286239515770880000≤ 10−21
n = 15
β =2066448384
α0 =35310023
α1 =265553865
α2 =− 232936065
α3 =1047777585
α4 =− 1562840685
α5 =2461884669
α6 =− 2000332805
α7 =1018807605
γ15 =250582204083791
3154005370882522406250000000000000000≤ 10−22
n = 16
354 ottavio caligaris - pietro oliva
β =976924698750
α0 =15043611773
α1 =127626606592
α2 =− 179731134720
α3 =832211855360
α4 =− 1929498607520
α5 =4177588893696
α6 =− 6806534407936
α7 =9368875018240
α8 =− 10234238972220
γ16 =2194164799877
1453574759554607320114205672079360000≤ 10−23
δ16 =181280279
4613396453664525185909344174080000≤ 10−25
n = 17
β =3766102179840000
α0 =55294720874657
α1 =450185515446285
α2 =− 542023437008852
α3 =2428636525764260
α4 =− 4768916800123440
α5 =8855416648684984
α6 =− 10905371859796660
α7 =10069615750132836
α8 =− 3759785974054070
γ17 =25677692814137083
939571998956906973070954084068363632640000≤ 10−25
22.30 Formule di integrazione aperte.
analisi matematica 1 november 4, 2013 355
n = 0
µ =1
λ1 =1
θ0 =14≤ 100
η0 =124≤ 10−1
n = 1
µ =2
λ1 =1
θ1 =11
324≤ 10−1
n = 2
µ =3
λ1 =2
λ2 =− 1
θ2 =5
1536≤ 10−2
η2 =1
3072≤ 10−3
n = 3
356 ottavio caligaris - pietro oliva
µ =24
λ1 =11
λ2 =1
θ3 =551
2250000≤ 10−3
n = 4
µ =20
λ1 =11
λ2 =− 14
λ3 =26
θ4 =19
1244160≤ 10−4
η4 =1181
1058158080≤ 10−5
n = 5
µ =1440
λ1 =611
λ2 =− 453
λ3 =562
θ5 =40633
49807880640≤ 10−6
n = 6
analisi matematica 1 november 4, 2013 357
µ =945
λ1 =460
λ2 =− 954
λ3 =2196
λ4 =− 2459
θ6 =9679
253671505920≤ 10−7
η6 =139
63417876480≤ 10−8
n = 7
µ =4480
λ1 =1787
λ2 =− 2803
λ3 =4967
λ4 =− 1711
θ7 =2231497
1405871470483200≤ 10−8
n = 8
µ =9072
λ1 =4045
λ2 =− 11690
λ3 =33340
λ4 =− 55070
λ5 =67822
θ8 =17257
290304000000000≤ 10−10
358 ottavio caligaris - pietro oliva
η8 =419179
149688000000000000≤ 10−11
n = 9
µ =7257600
λ1 =2752477
λ2 =− 6603199
λ3 =15673880
λ4 =− 17085616
λ5 =8891258
θ9 =7902329
3904707049181199360≤ 10−11
n = 10
µ =23100
λ1 =9626
λ2 =− 35771
λ3 =123058
λ4 =− 266298
λ5 =427956
λ6 =− 494042
θ10 =36991
585847240120074240≤ 10−13
η10 =1657
659078145135083520≤ 10−14
n = 11
analisi matematica 1 november 4, 2013 359
µ =958003200
λ1 =348289723
λ2 =− 1126407423
λ3 =3371637557
λ4 =− 5718293865
λ5 =6277879038
λ6 =− 2674103430
θ11 =1439788039057
792124027191914150942208000≤ 10−14
n = 12
µ =833976000
λ1 =329062237
λ2 =− 1497122214
λ3 =6058248882
λ4 =− 16159538710
λ5 =32215733235
λ6 =− 47966447844
λ7 =54874104828
θ12 =4114475173
84728201182642943557632000≤ 10−16
η12 =911150843
544908243855872430755020800≤ 10−17
n = 13
360 ottavio caligaris - pietro oliva
µ =516612096
λ1 =181146041
λ2 =− 737951959
λ3 =2671853466
λ4 =− 6013831334
λ5 =9451804423
λ6 =− 9336416457
λ7 =4041701868
θ13 =2375965520519
1963277541788062500000000000000≤ 10−17
n = 14
µ =1915538625
λ1 =722204696
λ2 =− 3892087348
λ3 =18150263624
λ4 =− 57468376538
λ5 =137035461016
λ6 =− 249560348012
λ7 =355819203336
λ8 =− 399697102923
θ14 =292141856009
10338143313533949996435505152000≤ 10−19
η14 =17295277
20191686159245996086788096000≤ 10−21
n = 15
analisi matematica 1 november 4, 2013 361
µ =62768369664000
λ1 =21326772142769
λ2 =− 104877906799553
λ3 =445971895176889
λ4 =− 1240671085036521
λ5 =2495772757288517
λ6 =− 3536302597392469
λ7 =3330684963199261
λ8 =− 1380520613746893
θ15 =16436560611150289
26481506505103135541974319650529280000≤ 10−21
n = 16
µ =19059040000
λ1 =6912171129
λ2 =− 43087461474
λ3 =227788759000
λ4 =− 834322842510
λ5 =2317367615100
λ6 =− 4988390746282
λ7 =8524579147752
λ8 =− 11696802277350
λ9 =12990970309270
θ16 =274490126369
21330624437003369856327368048640000≤ 10−22
η16 =12305121193453969
35336338938974825344115411316029521920000≤ 10−24
n = 17
362 ottavio caligaris - pietro oliva
µ =64023737057280000
λ1 =21156441141866149
λ2 =− 121972899306097215
λ3 =596043470364791516
λ4 =− 1967193294708433100
λ5 =4792224378449610000
λ6 =− 8635040534820624232
λ7 =11419549616838153340
λ8 =− 10248543211438519308
λ9 =4175787902007892850
θ17 =25534744478669295197
101079324218714384442170318511086524661760000≤ 10−24
22.31 RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI ALGEBRICHEDI GRADO INFERIORE A 5.
Il problema di trovare le radici una equazione algebrica può essere risolto se ilgrado dell’equazione è minore o uguale a 4.
Equazioni di primo grado.Si tratta di equazioni del tipo
ax + b = 0
e si possono risolvere mediante la formula
x = − ba
22.31.1 Equazioni di secondo grado.
Si tratta di equazioni del tipo
ax2 + bx + c = 0 ;
si ha che
ax2 + bx + c = a((
x2 +ba
x +b2
4a2
)− b2
4a2 +ca
)=
= a
((x +
b2a
)2− b2 − 4ac
4a2
)= 0
analisi matematica 1 november 4, 2013 363
e ciò accade se e solo se
x =−b±
√b2 − 4ac
2ache è la formula risolutiva delle equazioni di secondo grado.
22.31.2 Equazioni di terzo grado.
Si tratta di equazioni del tipo
ax3 + bx2 + cx + d = 0
Cerchiamo soluzioni del tipo
x = y− b3a
dovrà essere:
ay3 +
(c− b2
3a
)y +
2b3
27a2 −bc3a
+ d = 0
Definiamo
p =ca− b2
3a2 , q =2b3
27a3 −bc
3a2 +da
Allora y dovrà essere soluzione dell’equazione
y3 + py + q = 0
Tale equazione è equivalente al sistema seguentey = u + v
p = −3uv
q = −u3 − v3
non appena si sia osservato che
(u + v)3 − 3uv(u + v)− (u3 + v3) = 0
pertanto u3 e v3 devono essere soluzioni dell’equazione
z2 + qz− p3
27= 0
Allora
u3 = − q2+
√q24+
p3
27, v3 = − q
2−
√q24+
p3
27
Per concludere occorre estrarre le radici cubiche complesse e scegliere u ev in modo che uv sia reale.
Fatto ciò si ricavano immediatamente x ed y.
364 ottavio caligaris - pietro oliva
22.31.3 Equazioni di quarto grado.
Si tratta di equazioni della forma
ax4 + bx3 + cx2 + dx + e = 0
Cerchiamo soluzioni del tipo
x = y− b4a
Allora y dovrà essere soluzione dell’equazione
y4 + py3 + qy + r = 0
dove si sia definito
p =ca− 3b2
8a2 , q =b3
8a3 −bc
2a2 +da
r =b2c
16a3 −3b4
256a4 −bd4a2 +
ea
Osservato che vale la seguente identità
(u + v + w)4 − 2(u2 + v2 + w2)(u + v + w)2 − 8uvw(u + v + w)−− 4(u2v2 + u2w2 + v2w2) + (u2 + v2 + w2)2 = 0
possiamo asserire che tale equazione è equivalente al sistema:u + v + w = y
u2 + v2 + w2 = − p2
uvw = − q8
(u2 + v2 + w2)2 − 4(u2v2 + u2w2 + v2w2) = r
ed anche a u + v + w = y
u2 + v2 + w2 = − p2
u2v2w2 = q2
64
(u2v2 + u2w2 + v2w2) = p2
16 −r4
pertanto u2, v2 e w2 dovranno essere scelti tra le soluzioni dell’equazione diterzo grado
z3 +p2
z2 +
(p2
16− r
4
)z− q2
64= 0
analisi matematica 1 november 4, 2013 365
Potremo infine ricavare y e poi x avendo la sola cura di scegliere u, v e w in
modo che uvw abbia segno opposto a quello di q.Tavole di addizione e moltiplicazione in base b
b = 2
+ 1 101 10 1110 11 100
× 1 101 1 1010 10 100
b = 8
+ 1 2 3 4 5 6 7 101 2 3 4 5 6 7 10 112 3 4 5 6 7 10 11 123 4 5 6 7 10 11 12 134 5 6 7 10 11 12 13 145 6 7 10 11 12 13 14 156 7 10 11 12 13 14 15 167 10 11 12 13 14 15 16 1710 11 12 13 14 15 16 17 20
× 1 2 3 4 5 6 7 101 1 2 3 4 5 6 7 102 2 4 6 10 12 14 16 203 3 6 11 14 17 22 25 304 4 10 14 20 24 30 34 405 5 12 17 24 31 36 43 506 6 14 22 30 36 44 52 607 7 16 25 34 43 52 61 7010 10 20 30 40 50 60 70 100
366 ottavio caligaris - pietro oliva
b = 10
+ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 101 2 3 4 5 6 7 8 9 10 112 3 4 5 6 7 8 9 10 11 123 4 5 6 7 8 9 10 11 12 134 5 6 7 8 9 10 11 12 13 145 6 7 8 9 10 11 12 13 14 156 7 8 9 10 11 12 13 14 15 167 8 9 10 11 12 13 14 15 16 178 9 10 11 12 13 14 15 16 17 189 10 11 12 13 14 15 16 17 18 1910 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
× 1 2 3 4 5 6 7 8 9 101 1 2 3 4 5 6 7 8 9 102 2 4 6 8 10 12 14 16 18 203 3 6 9 12 15 18 21 24 27 304 4 8 12 16 20 24 28 32 36 405 5 10 15 20 25 30 35 40 45 506 6 12 18 24 30 36 42 48 54 607 7 14 21 28 35 42 49 56 63 708 8 16 24 32 40 48 56 64 72 809 9 18 27 36 45 54 63 72 81 9010 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100
analisi matematica 1 november 4, 2013 367
b = 16
+ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 A B C D E F 101 2 3 4 5 6 7 8 9 A B C D E F 10 112 3 4 5 6 7 8 9 A B C D E F 10 11 123 4 5 6 7 8 9 A B C D E F 10 11 12 134 5 6 7 8 9 A B C D E F 10 11 12 13 145 6 7 8 9 A B C D E F 10 11 12 13 14 156 7 8 9 A B C D E F 10 11 12 13 14 15 167 8 9 A B C D E F 10 11 12 13 14 15 16 178 9 A B C D E F 10 11 12 13 14 15 16 17 189 A B C D E F 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19A B C D E F 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 1AB C D E F 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 1A 1BC D E F 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 1A 1B 1CD E F 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 1A 1B 1C 1DE F 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 1A 1B 1C 1D 1EF 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 1A 1B 1C 1D 1E 1F10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 1A 1B 1C 1D 1E 1F 20
× 1 2 3 4 5 6 7 8 9 A B C D E F 101 1 2 3 4 5 6 7 8 9 A B C D E F 102 2 4 6 8 A C E 10 12 14 16 18 1A 1C 1E 203 3 6 9 C F 12 15 18 1B 1E 21 24 27 2A 2D 304 4 8 C 10 14 18 1C 20 24 28 2C 30 34 38 3C 405 5 A F 14 19 1E 23 28 2D 32 37 3C 41 46 4B 506 6 C 12 18 1E 24 2A 30 36 3C 42 48 4E 54 5A 607 7 E 15 1C 23 2A 31 38 3F 46 4D 54 5B 62 69 708 8 10 18 20 28 30 38 40 48 50 58 60 68 70 78 809 9 12 1B 24 2D 36 3F 48 51 5A 63 6C 75 7E 87 90A A 14 1E 28 32 3C 46 50 5A 64 6E 78 82 8C 96 A0B B 16 21 2C 37 42 4D 58 63 6E 79 84 8F 9A A5 B0C C 18 24 30 3C 48 54 60 6C 78 84 90 9C A8 B4 C0D D 1A 27 34 41 4E 5B 68 75 82 8F 9C A9 B6 C3 D0E E 1C 2A 38 46 54 62 70 7E 8C 9A A8 B6 C4 D2 E0F F 1E 2D 3C 4B 5A 69 78 87 96 A5 B4 C3 D2 E1 F010 10 20 30 40 50 60 70 80 90 A0 B0 C0 D0 E0 F0 100
Elenco delle figure
2.1 Costruzione della somma di due numeri reali 132.2 Costruzione del prodotto di due numeri reali 142.3 Sistema di riferimento Cartesiano 28
4.1 Potenze ad esponente naturale 374.2 Radici ad esponente naturale 384.3 Potenze ad esponente negativo 394.4 Potenze ad esponente positivo 404.5 Potenze ad esponente reale 424.6 Esponenziali di base a > 1 444.7 Esponenziali di base a, 0 < a < 1 444.8 Esponenziali 454.9 Logaritmi in base maggiore di 1 464.10 Logaritmi in base minore di 1 464.11 Logaritmi 474.12 Una poligonale inscritta 484.13 Definizione di radiante 494.14 Definizione di sin e cos 504.15 Grafico della funzione sin 504.16 grafico della funzione cos 514.17 grafico della funzione tan 524.18 Grafico della funzione arcsin 534.19 Grafico della funzione arccos 534.20 Grafico della funzione arctan 544.21 Grafico della funzione arctan(tan) 554.22 grafico della funzione arcsin(sin) 554.23 Grafico della funzione arccos(cos) 56
14.1 123
17.1 Confronto tra somme superiori e somme inferiori 14317.2 Confronto tra U( f , Pn)− L( f , Pn) e U( f , Pε)− L( f , Pε) 14717.3 Integrabilità delle funzioni monotone 150
370 ottavio caligaris - pietro oliva
18.1 Grafico di f (x) 16418.2 Grafico di g(x) 164
19.1 Un punto materiale soggetto alla gravità 16919.2 Il sistema di riferimento 170
22.1 Soluzioni del polinomio caratteristico reali distinte una positiva ed unanegativa 208
22.2 Soluzioni del polinomio caratteristico reali distinte una positiva ed unanegativa 208
22.3 Soluzioni del polinomio caratteristico reali distinte entrambe positive 20922.4 Soluzioni del polinomio caratteristico complesse e coniugate con parte
reale negativa 20922.5 Soluzioni del polinomio caratteristico reali coincidenti negative 21022.6 Grafico di A in funzione di α ed ω 210
Indice
1 UN PO’ DI LOGICA 3
2 I NUMERI REALI 9
3 FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE 29
4 LE FUNZIONI ELEMENTARI 35
5 DEFINIZIONE DI LIMITE E SUE CONSEGUENZE 57
6 LE SUCCESSIONI 65
7 LA CONTINUITÀ 83
8 I TEOREMI SULLA CONTINUITÀ 85
9 LA DERIVABILITÀ. 91
10 I TEOREMI DI ROLLE, LAGRANGE E CAUCHY. 99
11 LA REGOLA DI DE L’HÔPITAL 103
372 ottavio caligaris - pietro oliva
12 LA FORMULA DI TAYLOR 107
13 QUALCHE SVILUPPO DI TAYLOR NOTEVOLE 113
14 LA CONVESSITÀ 123
15 ESTREMI RELATIVI E ASINTOTI. 133
16 RICERCA NUMERICA DI ZERI E MINIMI. 137
17 INTEGRAZIONE. 139
18 QUALCHE STUDIO DI FUNZIONE INTEGRALE 161
19 INTRODUZIONE AI MODELLI DIFFERENZIALI 169
20 EQUAZIONI DIFFERENZIALI A VARIABILI SEPARABILI. 175
21 ESEMPI NOTEVOLI DI PROBLEMI DI CAUCHY 181
22 SISTEMI ED EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI 191
23 Per Andare a Fondo 211