Algoritmi multidisciplinari dell’emorragia post partum · 2018-10-16 · - l’identificazione...
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Master di alto perfezionamento Anno Accademico 2017/18
Direttore Prof. Giorgio Capogna
Algoritmi
multidisciplinari
dell’emorragia post
partum
Dr.ssa Viviana Marcellino
12 ottobre 2018
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INTRODUZIONE
Il ruolo dell'anestesista ostetrico non è più confinato all' esecuzione
dell’anestesia per il taglio cesareo o dell’ analgesia del travaglio di parto,
l’anestesista ha infatti una posizione cruciale nella gestione clinica delle
complicanze del peripartum (1).
Tra queste, maggior rilievo riveste l'emorragia postpartum (EPP)che è una
delle cause più frequenti di mortalità e morbilità nella popolazione ostetrica
a livello globale, causando circa un quarto delle morti materne ogni anno, ed
è la principale causa di morte materna in tutto il mondo.
L’emorragia ostetrica in generale, e in particolare la EPP, è risultata essere
la prima causa di mortalità e grave morbosità materna anche in 8 regioni
italiane tra il 2006 il 2012 (51,6%). Dal 2013 al 2015 è stata registrata una
importante riduzione (26,2%) e, nonostante i due sistemi di rilevazione
differiscano nel metodo, il consistente decremento dei casi di morte materna
attribuibili a EPP induce a ritenere che le tante iniziative di prevenzione
realizzate in Italia abbiano iniziato a migliorare la pratica assistenziale di
questa emergenza ostetrica .(2,3)
Le morti materne da EPP si sono verificate nonostante le donne avessero
partorito in presidi sanitari dotati di professionisti competenti, fortemente
motivati ed esperti. Questa emergenza assistenziale rappresenta un evento
drammatico, il cui trattamento richiede una precisa strutturazione in termini
di appropriatezza, tempi e di performance del team assistenziale, e un ruolo
cruciale deve avere la comunicazione tra i vari medici specialisti.
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In una condizione in cui la tempestività risulta vitale per ridurre
complicanze a carico della paziente, un algoritmo di trattamento ad impronta
multidisciplinare è l’ideale per contribuire ad ottimizzare la gestione
dell’evento, uno strumento indispensabile per una diagnosi precoce ed un
trattamento tempestivo e appropriato.
La maggior parte degli incidenti mortali associati all'emorragia ostetrica
infatti sono prevenibili e sono stati attribuiti a diversi fattori evitabili inclusi
la sottostima di perdita di sangue, la mancanza di disponibilità di sangue, la
scarsa comunicazione interdisciplinare e il ritardo nell’attivazione ed
esecuzione di interventi radiologici, chirurgici e trasfusionali.
L’algoritmo deve rappresentare una proposta pratica nel supportare i medici
nella gestione di un evento particolarmente complesso e deve prevedere
l'intervento di un team multidisciplinare e l’implementazione di protocolli di
gestione dedicati.
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DEFINIZIONE
L'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’emorragia primaria del
post partum(EPP) come perdita di sangue maggiore o uguale a 500 ml nelle
prime 24 ore dopo il parto vaginale se supera i 1000 ml dopo un taglio
cesareo;la secondaria si riferisceinvece ai casi che insorgono tra le 24 ore e
le 12 settimane dopo il parto.
Oggetto di questa tesi è la gestione della emorragia tinta in due gradi in base
alla quantità della perdita ematica stimata:
-EPP minore quando la perdita è compresa tra 500 e 1000 ml di sangue;
-EPP maggiore quando la perdita è maggiore di 1000 ml di sangue.
L’EPP maggiore a sua volta è distinta in due condizioni di diversa gravità
che comportano un’allerta e una prognosi diversificate:
- EPP maggiore controllata in caso di perdita ematica controllata, con
compromissione delle condizioni materne che richiede un monitoraggio
attento;
-EPP maggiore persistente in caso di perdita ematica persistente e/o segni di
shock clinico con una compromissione delle condizioni materne che
comporta un pericolo immediato per la vita della donna(4).
La diagnosi può essere difficile a causa dei problemi legati alla
quantificazione della perdita ematica,talvolta difficile da diagnosticare
prima che le condizioni della donna risultino critiche.
Alcuni cambiamenti fisiologici che avvengono in gravidanza quali un
incremento di circa il 40% del volume plasmatico e di circa il 20% dei
globuli rossi in donne per lo più giovani, sane e con buona riserva cardiaca,
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fanno si che i segni vitali possano non mostrare alcun cambiamento fino a
quando la perdita ematica non raggiunge i 2000 ml. La perdita di sangue in
questo contesto può essere rapida e difficile da quantificare e la madre
potrebbe diventare criticamente e pericolosamente ipovolemica fino allo
shock.(4)
A causa di fisiologici adattamenti in gravidanza, le donne possono mostrare
pochi segni cardiovascolari persino fino a fino a perdite del 30% e 50% del
volume ematico.
Fattori coesistenti, come l’anemia materna prima del parto, o un basso
indice di massa corporea (IMC), possono condurre a un’instabilità
emodinamica anche in caso di perdita ematica contenuta. Questa
compromissione può essere rilevata più precocemente in caso di
ipertensione gestazionale con proteinuria, anemia e disidratazione della
donna. Inoltre, spesso l’utero e la vagina possono trattenere grandi coaguli
non visibili e anche un sanguinamento contenuto, ma persistente, può essere
responsabile di una perdita ematica considerevole. Considerata la scarsa
accuratezza della stima visuale della perdita ematica, per valutare la gravità
della EPP la linea guida SNLG-ISS raccomanda di prendere in
considerazione oltre ai metodi di quantificazione - sacche trasparenti
graduate, peso di garze e teli, poster visuali - anche i sintomi, i segni clinici
dell’ipovolemia e il grado di shock.
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CAUSE DELL’EMORRAGIA DEL POST PARTUM
Le cause della EPP possono essere molteplici. Nella pratica clinica le più
comuni possono essere prese in esame facendo riferimento alla regola delle
4 T che, in ordine di frequenza decrescente, distingue le seguenti cause
secondarie:
Tono uterino (circa il 70% dei casi): atonia uterina
Trauma (circa il 20% dei casi): lacerazioni della cervice, della vagina, del
perineo; estensione di lacerazioni durante il taglio cesareo; rottura o
inversione dell’utero; sanguinamento extragenitale, per esempio rottura
epatica sottocapsulare
Tessuto (circa il 10% dei casi): ritenzione di placenta (cotiledoni o lobi
succenturiati) membrane o coaguli, anomalie della placentazione
Trombina (<1% dei casi): anomalie della coagulazione o congenite
(malattia di von Willebrand, emofilia e disturbi piastrinici).
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PREVENZIONE
I tre cardini di prevenzione della EPP sono:
- l’identificazione delle donne a rischio di sviluppare una emorragia post
partum durante la gravidanza ed il travaglio;
- il management attivo del terzo stadio del travaglio,
- sorveglianza del quarto stadio del travaglio.
FATTORI DI RISCHIO
Sebbene molte donne con emorragia non abbiano fattori di rischio
identificabili, la stratificazione del rischio di una EPP consente strategie di
prevenzione mirate e terapie efficaci e tempestive.(5)
L’attenta valutazione anamnestica per identificare le donne a maggior
rischio di sanguinamento deve essere effettuata di routine non solo durante
l’assistenza in gravidanza, ma anche al momento del ricovero per travaglio
di parto, per facilitare il ricorso tempestivo alle eventuali terapie mediche e
chirurgiche e l’organizzazione dell’assistenza in caso di emergenza.
L’attenta valutazione anamnestica in epoca pre, intra e post natale deve
essere eseguita facendo riferimento alla regola delle 4 T (Tono, Trauma,
Tessuto, Trombina).
I fattori di rischio antepartum più comuni sono la presenza di placenta
previa, placenta accreta, un precedente taglio cesareo, una pregressa
miomectomia, l'età materna avanzata, la presenza di malattie odisturbi
ereditari o acquisiti della coagulazione, la macrosomia fetale, la multiparità,
il polidramnios, le comorbilità cardiopolmonari, la preeclampsia . Esistono
poi fattori di rischio identificabili durante il travaglio e il parto quali la
mancata progressione del secondo stadio del travaglio, il prolungamento del
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terzo stadio del travaglio, la placenta ritenuta, o una placentazione anomala
invasiva, l’esecuzione di una episiotomia o la presenza di lacerazioni
perineali.(6)
In caso di presenza di fattori di rischio per EPP in gravidanza è necessario
indirizzare le donne a strutture sanitarie di livello appropriato per la gestione
della complessità assistenziale e di monitorarle con particolare attenzione
durante il post partum.
Durante la gravidanza, vi è un aumento dell'attività procoagulante
(caratterizzata da aumenti dei fattori V, VII, VIII, IX, X, XII e XII, fattore di
von Willebrand, fibrinogeno), diminuzione dell'attività endogena
anticoagulante (caratterizzata da aumenti nel cofattore eparinico II, 1-
antitripsina, della proteina S e della proteina C attivata) e attività
fibrinolitica depressa. I livelli di fibrinogeno aumentano con la progressione
della gestazione e nel terzo trimestre sono più alti rispetto a quelli delle
donne non gravide.In particolare, i livelli di fibrinogeno aumentano
progressivamente, raggiungendo valori di 4-6 g/L, circa doppi rispetto a
quelli ante partum. L’aumento è invece modesto o assente per i fattori II, V,
IX ed è incostante per il fattore XI, mentre si ha una riduzione nei livelli
plasmatici del fattore XIII. Le concentrazioni plasmatiche dei fattori tornano
ai livelli precedenti la gravidanza entro 7-21 giorni dal parto.(6)
I disordini ereditari della coagulazione quali malattia di von Willebrand,
emofilia e disturbi piastrinici, alterano questo assetto procoagulante,
esponendo le donne a maggior rischio di sanguinamenti ostetrici
significativi. Un basso livello di fibrinogeno è stato identificato come un
importante fattore predittivo per la EPP grave. Le Malattie Emorragiche
Congenite (MEC) possono riguardare deficit dei fattori della coagulazione o
difetti della funzione piastrinica o della fibrinolisi e costituiscono un noto
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fattore di rischio di EPP primaria e secondaria. I difetti di più frequente
riscontro nelle donne sono la malattia di von Willebrand (VW) e la
condizione di portatrice di emofilia A (deficit di fattore VIII) ed emofilia B
(deficit di fattore IX); più rari sono il deficit di fattore VII, fibrinogeno,
fattore II, fattore V, fattore V e VIII combinato, fattore X, fattore XI, fattore
XIII.
Nelle donne affette da disordini emorragici la terapia sostitutiva profilattica
è indicata quando, in caso di procedure chirurgiche o invasive incluso il
parto, i livelli degli specifici fattori della coagulazione risultano al di sotto di
valori soglia.
I dati disponibili in letteratura non permettono di fornire indicazioni precise
per le donne in gravidanza e nel post partum sui tempi per il monitoraggio
del livello dei fattori della coagulazione, sul dosaggio dei fattori concentrati
da somministrare, sul livello ematico dei fattori della coagulazione da
raggiungere con la terapia sostitutiva, e sul tempo di prosecuzione. Altri
farmaci disponibili per la profilassi, sono:
- la desmopressina acetato per la profilassi delle emorragie in caso di malattia
di VW di tipo 1, casi selezionati di malattia di VW di tipo 2, nella emofilia
A lieve-moderata e nei difetti della funzione piastrinica anche acquisiti.
- l’acido tranexamico, utilizzato per la prevenzione e il trattamento dell’EPP
in donne sane, è utilizzabile come adiuvante anche nelle donne con emofilia
o altri difetti dell’emostasi lievi.
Le linee guida raccomandano di controllare le concentrazioni ematiche dei
fattori della coagulazione specifici nel terzo trimestre e possibilmente il
giorno del ricovero per il parto nelle donne affette da malattie emorragiche
congenite, per stabilire la necessità di profilassi in caso di livelli inferiori a
quelli raccomandati.
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L’anemia è un fattore di rischio riconosciuto per atonia uterina. Lo
screening è raccomandato alla prima visita, a 28 settimane e a 33-37
settimane. Dovrebbero essere valutate e trattate le donne con livelli di
emoglobinemia inferiori a 11 g/dl prima del parto, anche con il fine di
ridurre il rischio di trasfusioni.
È necessario escludere la presenza di emoglobinopatie e considerare il
deficit di ferro. La supplementazione di ferro per via orale è il trattamento di
prima scelta in caso di anemia sideropenica.
MANAGEMENT DEL TERZO STADIO
Il management attivo del terzo stadio del travaglio prevede le tre seguenti
componenti assistenziali: la somministrazione routinaria di farmaci utero
tonici, il clampaggio precoce ed il taglio del cordone ombelicale ed infine la
trazione controllata del cordone.
Il management fisiologico del terzo stadio del travaglio non prevede l’uso
routinario di farmaci utero-tonici, raccomanda il clampaggio del cordone
solo al cessare della pulsazione, raccomanda l’espulsione della placenta
grazie al solo contributo della madre.
L’ intervento più efficace nel ridurre l’incidenza di EPP in donne che
partoriscono per via vaginale è sicuramente il trattamento attivo del terzo
stadio del travaglio.
Sulla base di nuove conoscenze, l’intervento per la prevenzione dell’EPP in
donne che presentano fattori di rischio risulta attualmente essere: la
somministrazione di 10 UI di ossitocina per via intramuscolare (IM) dopo
l’espulsione della spalla anteriore, la trazione controllata del cordone
ombelicale viene considerata opzionale mentre il taglio immediato del
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cordone ombelicale risulta controindicato per motivi diversi dalla
prevenzione dell’EPP. Il clampaggio precoce, effettuato immediatamente o
entro 30 secondi, è stato messo in discussione da più recenti evidenze che
descrivono il beneficio del clampaggio effettuato dopo i 30 secondi
raccomandati, per ridurre l’anemia del neonato, specie se pretermine, grazie
alla trasfusione del sangue placentare. Del resto il clampaggio ritardato del
cordone non appare incrementare il rischio di EPP e la riduzione delle
emorragie e la riduzione delle emorragie, descritta in letteratura in caso di
management attivo del travaglio, è ascrivibile interamente alla
somministrazione di ossitocina. Una disamina attenta e routinaria dei fattori
di rischio individuali per EPP facilita l’appropriatezza nella scelta della
modalità assistenziale del terzo stadio del travaglio. In presenza di fattori di
rischio è opportuno ricorrere sempre al trattamento attivo, in loro assenza
può invece essere messo in atto un management fisiologico.
. La linea guida ISS-SNLG raccomanda, in assenza di segni di
compromissione fetale, di non clampare il cordone ombelicale prima che
siano trascorsi 1-3 minuti dalla espulsione del feto, attendendo se la donna
lo desidera fino alla fine della pulsazione del funicolo.Nel caso si decida di
ricorrere, nelle donne a basso rischio di sanguinamento, a un management
fisiologico del terzo stadio è bene assicurare la disponibilità di un
trattamento uterotonico in caso di eccessivo sanguinamento e/o in caso di
ritardo nell’espulsione della placenta di oltre 1 ora e/o in caso di richiesta
della donna di ridurre il tempo di durata del terzo stadio. In caso di taglio
cesareo, la linea guida ISS-SNLG raccomanda sempre l’ossitocina come
farmaco di prima scelta per la prevenzione dell’EPP. Nelle donne a basso
rischio una dose di 3-5 UI di ossitocina in bolo endovenoso lento (non meno
di 1-2 minuti; non meno di 5 minuti in donne con rischio cardiovascolare)
seguita da un’infusione lenta di 8-10 UI/ora in soluzione isotonica per 2-4
12
ore. Nel taglio cesareo è raccomandata la trazione controllata del cordone
per la rimozione della placenta.
SORVEGLIANZA DEL QUARTO STADIO
Tutte le donne con fattori di rischio intra partum per EPP devono essere
sorvegliate con attenzione per 2 ore dopo il parto, controllando i segni vitali,
il tono del fondo uterino e la perdita ematica.
Le modalità della sorveglianza raccomandate dopo il parto vanno distinte in
base al rischio materno di EPP. In caso di donne a basso rischio di EPP è
raccomandata la rilevazione della temperatura durante la prima ora dopo il
parto, il controllo del polso e della pressione arteriosa una singola volta, la
valutazione del fondo uterino e della lochiazione ogni 30 minuti, la
valutazione del dolore da ripetere qualora indicato e il controllo della diuresi
nelle prime 2 ore. In caso di donne ad alto rischio di EPP è raccomandata la
rilevazione della temperatura ogni 30 minuti, il controllo del polso e della
pressione arteriosa ogni 15 minuti o come indicato, la valutazione del fondo
uterino e della lochiazione ogni 15-30 minuti, la valutazione del dolore da
ripetere qualora indicato e il controllo della diuresi nelle prime 2 ore. In caso
di taglio cesareo occorre includere la sorveglianza nell’osservazione post
operatoria di routine.
La stima accurata della perdita ematica è uno dei principali obiettivi della
gestione dell’emorragia ostetrica, tuttavia la rilevazione a occhio è spesso
associata a un rischio di sottostima. Per cercare di minimizzare questo
rischio è bene pesare le pezze e i tamponi operatori sporchi di sangue,
utilizzare sacche trasparenti per la raccolta del sangue e disporre di
protocolli e guide illustrate per aiutare i professionisti a stimare la perdita
ematica. Per facilitare una stima appropriata della perdita ematica è
consigliabile ricorrere alla sistematica valutazione dell’Indice di Shock
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Ostetrico (ISO), che in caso di emorragia maggiore è un utile indicatore di
instabilità emodinamica. L’indice è dato dal rapporto tra la frequenza
cardiaca e la pressione arteriosa sistolica per cui rappresenta un sistema di
valutazione di semplice rilevazione in qualunque setting assistenziale. Un
ISO >1 è un indicatore di gravità clinica e un predittore della necessità di
trasfondere la paziente. A livello internazionale è inoltre largamente
promossa l’adozione di sistemi grafici di monitoraggio dei parametri vitali
come il ModifiedEarlyObstetricsWarning System (MEOWS) che
dovrebbero essere introdotti nella pratica assistenziale per facilitare
l’identificazione di indicatori suggestivi di rischio di emergenza ostetrica in
grado di allertare precocemente i clinici.
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VALUTAZIONE E TRATTAMENTO
La gestione dell’EPP prevede un approccio multidisciplinare nell’ambito del
quale l’anestesista gioca un ruolo cruciale nel mantenere la stabilità
emodinamica della paziente e, quando necessario, nello scegliere e praticare
la tecnica anestesiologica più appropriata. È necessaria una comunicazione
rapida ed efficiente tra professionisti di diverse specialità (per esempio
ostetrici, anestesisti, ematologo, personale del centro trasfusionale). È bene
ricordare sempre che anche una EPP minore, talvolta non identificata, può
facilmente progredire in EPP maggiore. (7)
La comunicazione è parte integrante della gestione dell’emergenza:bisogna
garantire fin dall’esordio del quadro clinico la comunicazione tra i vari
operatori e la comunicazione con la donna e i suoi familiari. Ogni presidio
sanitario deve dotarsi di appropriati protocolli che prevedano
informazione/allerta/chiamata dei professionisti necessari in base alla
gravità della EPP.
Nella gestione delle misure assistenziali iniziali, la rianimazione per
ristabilire le condizioni emodinamiche della donna e la valutazione e il
trattamento delle cause dell’emorragia devono procedere parallelamente.
Nella prima figurasono descritte le misure assistenziali iniziali da adottare in
caso di EPP. Le raccomandazioni di buona pratica clinica prevedono il
mantenimento della donna distesa ela normotermia ela rapida valutazione
dell’entità della perdita ematica. Una volta rilevate le condizioni della donna
e la gravità del quadro clinico, occorre attivare tempestivamente la risposta
multidisciplinare all’emergenza contattando tutti gli specialisti necessari. In
presenza di emorragia grave o persistente è vitale che i giovani ostetrici e
anestesisti non temano di chiamare i colleghi anziani che devono essere
prontamente disponibili.
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In caso di emorragia post partum sono sempre indicate le seguenti azioni in
parallelo:
-la valutazione della pervietà delle vie aeree e della frequenza respiratoria e
la somministrazione di ossigeno, in caso di emorragia post partum maggiore
controllato o persistente si può rendere necessaria la ventilazione assistita o
meccanica;
-la valutazione dell’emodinamica con il monitoraggio della pressione
arteriosa, della frequenza cardiaca. Se necessari ore integrare il volume
circolante con cristalloidi (Ringer lattato/acetato come prima linea) o
colloidi fino a correzione dell’ipoperfusione valutando i parametri clinici e
di laboratorio (sensorio, diuresi, lattati, base deficit). Impostare il
proseguimento della terapia trasfusionale e di supporto emostatico in base
alla disponibilità o meno di monitoraggio point-of-care (POC);
- il trasferimento della donna in sala operatoria;
-la predisposizione di un accesso endovenoso con 2 cannule da 14-16
gauge ed il prelievo ematico urgente per emocromo, gruppo sanguigno
e prove crociate, profilo della coagulazione (PT, PTT, INR e fibrinogeno),
uricemia, elettroliti e lattati. La prima linea endovenosa è dedicata al
ricambio di fluidi e sangue per favorire la perfusione tessutale e la capacità
di trasporto dell’ossigeno. La seconda linea endovenosa è dedicata ai
farmaci per il trattamento dell’atonia uterina;
-l’applicazione di una compressione bimanuale, specie in caso di
trattamento tardivo o collasso materno;
-l’inserimento di un catetere vescicale con monitoraggio del bilancio idrico
cercando di mantenere una diuresi di 30 ml/h o più;
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- la valutazione precoce della necessità di un intervento chirurgico e
dell’attivazione di un protocollo trasfusionale massivo in caso di persistenza
del sanguinamento. Ove disponibile l’assemblaggio dell’apparechhio per
l’emorecupero.
Contemporaneamente al monitoraggio ed alla rianimazione,devono essere
valutate le quattro T.
TONO
In caso di fondo atonico, bisogna effettuare il massaggio del fondo uterino e
somministrare uterotonici. La terapia farmacologica di prima linea prevede
una delle seguenti alternative(4):
-la somministrazione di 5 UI di ossitocina in bolo endovenoso lento (non
meno di 1-2-minuti; 5 minuti in donne con rischio cardiovascolare). I
principali vantaggi sono legati alla sua rapidità d’azione e al fatto che, a
differenza della metilergometrina, non causa aumenti della pressione
arteriosa o contrazioni tetaniche. La somministrazione rapida (in 30 secondi)
e/o una singola dose > 5 UI è associata a tachicardia transitoria, ipotensione
e alterazioni ischemiche all’elettrocardiogramma;
- la somministrazione di ergometrina 2 fiale da 0,2 mg per via
intramuscolare. Il farmaco è controindicato in caso di preeclampsia e
disturbi cardiovascolari maggiori e può avere effetti collaterali quali cefalea,
vomito e ipertensione
-la combinazione di ossitocina 5 UI per via endovenosa da associare a una
terapia di mantenimento con ossitocina per infusione (10 UI in soluzione
isotonica per 2 ore).
In caso di EPP maggiore persistente al trattamento di prima linea, la terapia
di seconda linea prevede (4):
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-la somministrazione di ergometrina (2 fiale 0,2 mg intramuscolare) e/o
- la somministrazione di sulprostone (1 fiala 0,50 mg per via endovenosa in
250 cc, da 0,1 a 0,4 mg/h fino a un massimo di 1,5 mg nelle 24 ore).
Non disponendo di prove che permettano di raccomandare un intervento
farmacologico di seconda linea come più efficace rispetto agli altri, si
raccomanda di scegliere il trattamento in base alle condizioni cliniche della
paziente, all’expertise del professionista, alla disponibilità dei farmaci e alle
loro controindicazioni. Il misoprostolo alla dose di 800-1000 mcg per via
rettale o 600-800 mcg per via orale è un farmaco usato off label. Ha
recentemente ricevuto l’approvazione per il trattamento dell’emorragia post
partum dovuta ad atonia uterina in pazienti nelle quali non sia praticabile la
somministrazione di ossitocina per via endovenosa e solo nei paesi fuori
dall’Unione Europea. Il suo impiego nei paesi del Sud del mondo è infatti
particolarmente prezioso perché si tratta di un farmaco poco costoso, attivo
per via orale e stabile senza necessità di refrigerazione. La dose può essere
ripetuta una seconda volta. Il farmaco è controindicato in caso di donne forti
fumatrici, asmatiche e/o con fattori di rischio cardiovascolare è può causare
come effetto collaterale la bronco costrizione (4).
TRAUMA
In caso di fondo ben contratto e presenza di coaguli di sangue, deve valutare
la presenza e l’eventuale riparazione delle lesioni tissutali. Il trauma
rappresenta, per frequenza, la seconda causa di EPP e può riguardare l’utero,
la cervice, la vagina e/o il perineo. Occorre sempre accertare che l’utero sia
ben contratto prima di valutare un eventuale trauma. In caso di utero ben
contratto il trauma del tratto genitale è la causa più frequente di EPP. Se la
donna è in condizioni stabili, tentare il clampaggio delle arterie sanguinanti
prima di procedere con la riparazione della lesione. Altra causa di
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sanguinamento può essere il trauma cervicale che non impedisce la
contrazione del segmento superiore dell’utero tranne quando la cavità
uterina è piena di coaguli. Il travaglio precipitoso, la dilatazione manuale, il
parto vaginale operativo sono dei fattori di rischio, ma il trauma cervicale
può verificarsi anche in loro assenza. Si presenta con un’emorragia profusa
durante o dopo il terzo stadio del travaglio. La diagnosi è rafforzata
dall’esclusione di altre cause di EPP.
La rottura d’utero può verificarsi spontaneamente o a seguito di pregressa
chirurgia ostetrica o pregresso taglio cesareo,inoltre la somministrazione di
ossitocina, l’uso della manovra di Kristeller e la presentazione anomala
rappresentano altri fattori di rischio. I segni della rottura d’utero
intrapartum possono includere:
-nella madre: tachicardia e segni di shock, improvviso fiato corto, dolore
addominale continuo, possibile dolore all’apice della spalla, dolorabilità
uterina/sovrapubica, modificazione del contorno uterino, anello di Bandl
patologico, arresto o mancata coordinazione delle contrazioni, ematuria
franca, sanguinamento vaginale anomalo, palpazione addominale di parti
fetali
-nel feto: tracciato cardiotocografico anormale, risalita del livello della parte
presentata.
I segni della rottura d’utero postpartum possono includere dolore, shock,
distensione addominale e sanguinamento vaginale persistente ed ematuria in
caso di rottura estesa alla vescica. La conferma della diagnosi è
intraoperatoria.
Un altro evento gravato da alto rischio emorragico è rappresentato
dall’inversione uterina che può essere associata a immediata emorragia e
shock gravissimi. Il ritardo nel trattamento aumenta il rischio di mortalità, i
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fattori di rischio per questa condizione sono rappresentati da una
sovradistensione uterina, una placentazione invasiva, un cordone ombelicale
corto, la tocolisi, l’uso di ossitocina, la primiparità, la manovra di Kristeller,
l’estrazione manuale della placenta, l’eccessiva trazione del cordone
ombelicale, e la manovra di Credè troppo vigorosa. I segni dell’inversione
uterina possono includere: l’insorgenza improvvisa di EPP, un fondo uterino
assente o palpabile irregolarmente, una massa grigio bluastra all’introito
vaginale in caso di inversione completa, l’instabilità emodinamica, un
dolore lancinante e uno shock sproporzionato rispetto alla perdita ematica
rilevata. La diagnosi si basa sull’esecuzione di un esame bimanuale per
localizzare il fondo uterino nel segmento uterino inferiore o in vagina.
Successivamente alla manovra di riduzione bisogna tentare l’espulsione
della placenta ed iniziare immediatamente una terapia uterotonica per la
contrazione dell’utero e per prevenire le recidive. Nel caso la compressione
o il tamponamento risultino inefficaci, considerare la legatura bilaterale
delle arterie uterinee l’eventuale legatura bilaterale delle arterie utero-
ovariche. L’embolizzazione arteriosa selettiva per via angiografica ha
analoga efficacia rispetto al tamponamento e alle suture emostatiche, ma
necessita di un radiologo interventista e delle infrastrutture necessarie oltre a
condizioni relativamente stabili della paziente, visto che la procedura
richiede circa un’ora di tempo. La scelta dei diversi approcci chirurgici
descritti deve essere fatta in base alle condizioni cliniche della paziente, alla
modalità di espletamento del parto, all’esperienza dei professionisti sanitari
e alle risorse disponibili. Se la donna è in pericolo di vita e/o nel caso il
sanguinamento persista nonostante i trattamenti conservativi adottati,
occorre eseguire senza indugio un’isterectomia che deve essere realizzata
tempestivamente specie in caso di placenta accreta o rottura uterina con la
garanzia di una concomitante adeguata terapia massiva trasfusionale
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TESSUTO
In presenza di EPP e di sospetta ritenzione di frammenti di tessuto amnio
coriali viene raccomandato di effettuare l’esplorazione manuale della cavità
uterina. Bisogna assicurarsi che la donna sia informata e abbia ricevuto
un’appropriata analgesia prima di procedere con le manovre necessarie per
la rimozione del tessuto. In presenza di placenta ritenuta associata a
sanguinamento persistente dopo parto vaginale è raccomandata la
somministrazione di ossitocina (10 UI in bolo endovenoso lento, non meno
di 1-2 minuti; non meno di 5 minuti in donne con rischio cardiovascolare)
ed una terapia di mantenimento (ossitocina 10 UI/ ora per 2 ore). La
ergometrina non è raccomandata perché le contrazioni tetaniche possono
ritardare l’espulsione della placenta. Non devono essere utilizzati di routine
farmaci ossitocici per via endovenosa né eseguire un’infusione endovenosa
attraverso la vena ombelicale. Dopo la procedura è necessario controllare
l’emostasi e riparare eventuali lesioni cervicali, vaginali e perineali.
Altra condizione gravata da un alto rischio emorragico è rappresentata dalla
presenza di una placenta anomala invasiva,condizione clinica in cui la
placenta non si separa spontaneamente al momento del parto e non può
essere rimossa senza provocare una eccessiva perdita di sangue. In
letteratura, il termine generico placenta accreta viene ancora impiegato per
descrivere le condizioni cliniche in cui una parte della placenta, o l’intera
placenta, invade e diviene inseparabile dalla parete uterina. In realtà, il
termine “placenta accreta” sarebbe appropriato unicamente in presenza di
villi coriali che invadono solo parzialmente il miometrio, mentre l’invasione
completa del miometrio sarebbe meglio definita “placenta increta” e quella
della sierosa e, occasionalmente, di organi adiacenti come la
vescica“placenta percreta” (6). Clinicamente, la placentazione anomala
invasiva costituisce una grave complicanza del parto, quando la mancata
21
separazione della placenta dalla parete uterina è seguita da una massiccia
emorragia ostetrica che può portare a coagulopatia da consumo, la quale –
nei casi più gravi – può evolversi in coagulazione intravascolare
disseminata, necessità di isterectomia, lesione chirurgica di ureteri, vescica,
intestino o strutture neurovascolari, sindrome da distress respiratorio
dell’adulto, reazione trasfusionale acuta, squilibrio elettrolitico e
insufficienza renale. I principali fattori di rischio per la placentazione
anomala invasiva sono la placenta previa e il precedente taglio cesareo. La
diagnosi prenatale permette di programmare la presa in carico
multidisciplinare, ed è risultata associata a una prognosi migliore. In caso di
placentazione anomala invasiva diagnosticata al momento del parto, il
tentativo di rimozione forzata della placenta va evitato e il trattamento
dell’eventuale emorragia è analogo a quello di altre cause di emorragia post
partum. È possibile anche un trattamento conservativo con parziale
resezione della parete uterina sede della invasione anomala dopo
scollamento della vescica e ricostruzione della parete uterina anteriore
residua. Se la donna è in pericolo di vita e/o nel caso il sanguinamento
persiste nonostante i trattamenti conservativi adottati, occorre eseguire senza
indugio un’isterectomia che deve essere realizzata tempestivamente specie
in caso di placenta accreta o rottura uterina con la garanzia di una
concomitante adeguata terapia massiva trasfusionale
22
TROMBINA
La donna al momento del secondamento è da un punto di vista ematologico,
ipercoagulante ed iperfibrinolitica con un aumento di molti fattori della
coagulazione e una diminuzione dell'attività dei fattori anticoagulanti e
fibrinolitici. Recentemente, gli investigatori hanno focalizzato la loro
attenzione sui dei cambiamenti nel profilo della coagulazione materna
durante il corso dell'emorragia ostetrica. La EPP comporta una coagulopatia
che in parte è esogena, in caso di emorragia grave e persistente. Si tratta di
una coagulopatia da diluizione che può svilupparsi quale esito della rapida
somministrazione di cristalloidi e/o colloidi utilizzati nell’emergenza per il
ripristino del volume circolante, con conseguente diluizione dei fattori della
coagulazione e delle piastrine e diluizione degli agenti antifibrinolitici.
La coagulazione nella EPP si altera soprattutto in termini di consistenza e
stabilità del coagulo più che nella sua formazione e l’emodiluizione con
fluidi e la trasfusione di plasma fresco congelato ed emazie non migliora
questa condizione, anzi può peggiorarla poichè comporta una coagulopatia
diluizionale. Questa coagulopatia esogena si innesca su una coagulopatia
endogena causata da tre meccanismi: attivazione della proteina C;
attivazione dell’endotelio;acidosi.
È fondamentale ottimizzare il quadro metabolico, poichè l’ipotermia e
l’acidosi insieme alla coagulopatia formano una triade letale che aumenta il
rischio di mortalità. Per migliorare il quadro metabolico della donna e la sua
probabilità di sopravvivenza si raccomanda di utilizzare riscaldatori per
fluidi e riscaldatori ad aria forzata, minimizzando l’esposizione, rimuovendo
eventuali panni bagnati, utilizzando coperte calde e controllando la
temperatura corporea almeno ogni 15 minuti. Per evitare l’acidosi si
raccomanda di mantenere l’ossigenazione, l’output cardiaco e la perfusione
23
tessutale e di controllare il pH e l’eccesso di basi attraverso l’EGA. Gli
obiettivi target del laboratorio sono: pH>7,2; eccesso di basi >-6,lattato 1,1
mmol/l .
Nella EPP il problema principale da affrontare è la iperfibrinolisi, e questo
può essere controllato con l’utilizzo di antifribrinolitici e con la correzione
dell’ipofibrinogenemia (5). La letteratura sottolinea l’importanza in uno
scenario di emorragia ostetrica della somministrazione precoce dell’acido
tranexamico e dell’utilizzo di fibrinogeno concentrato (8,9). In pazienti con
trauma non ostetrico l’acido tranexamico aumenta la sopravvivenza
riducendo il rischio di morte da emorragia e la mortalità per tutte le cause. Il
World Maternal Antifibrinolytic Trial ha valutato la sua efficacia e sicurezza
nella EPP in oltre 20.000 donne,rilevando che l’acido tranexamico riduce le
morti materne da emorragia senza causare eventi avversi(10). Nel post
partum si raccomanda di somministrare 1 g di acido tranexamico subito
dopo l’insorgenza dell’emorragia e comunque entro 3 ore dal suo inizio e 1
g da infondere in 8 ore. Considerando il rapido decremento della
fibrinogenemia in corso di EPP grave con paziente emodinamicamente
instabile, in mancanza di tromboelastografia/metria che possa guidare il
trattamento, potrebbe essere suggerita la supplementazione precoce con
concentrato di fibrinogeno (30 mg/kg) o crioprecipitato (1 unità ogni 10 kg
di peso corporeo).Un sanguinamento massivo di qualsiasi eziologia, in caso
di sottostima della perdita ematica e/o di diagnosi tardiva, si può associare a
CID, sindrome caratterizzata dall’attivazione sistemica della coagulazione,
con il formarsi di depositi intravascolari di trombina e fibrina che
determinano la trombosi di vasi di piccolo e medio calibro con conseguente
disfunzione d’organo e sanguinamento. Occorre distinguere la coagulopatia
da consumo nella quale il deficit emocoagulativo è conseguente alla perdita
di fattori della coagulazione a causa dell’emorragia senza alcuna attivazione
24
della coagulazione all’interno del circolo, dalla CID in cui esiste
un’attivazione primaria intravascolare della coagulazione che porta, solo
secondariamente, a consumo di fattori della coagulazione. Dal punto di vista
ostetrico, più che rianimatorio, tale distinzione è cruciale anche in termini
prognostici. La coagulopatia da consumo si verifica infatti a seguito di una
importante emorragia che produce un consumo eccessivo dei fattori della
coagulazione e non causa atonia uterina. La CID, al contrario, viene sempre
scatenata da una patologia primaria (preeclampsia, sepsi, distacco di
placenta, embolia di liquido amniotico, ritenzione di feto morto) che la
attiva e, tramite i prodotti di degradazione del fibrinogeno/fibrina (FDP)
circolanti, può causare atonia uterina. In conseguenza di questa distinzione
patogenetica, in caso di CID il clinico deve aspettarsi sempre l’insorgenza di
una atonia uterina che aggraverà il quadro clinico, mentre in caso di
coagulopatia da consumo l’atonia non complicherà il quadro clinico tranne
quando l’atonia è primariamente la causa dell’emorragia .
La coagulopatia può avere un’evoluzione rapida, e la ripetizione dei test e
l’osservazione del loro andamento nel tempo sono più utili di una singola
determinazione. L’assetto emostatico può essere monitorato nel tempo
mediante osservazione clinica, valutazione di PT/aPTT, dosaggio del
fibrinogeno e conta piastrinica, ma se disponibili il monitoraggio più
efficace ed immediato è sicuramente il point of care (POCT) basato su
tromboelastografia (TEG) o tromboelastometria (ROTEM) (5,11,12). La
coagulopatia è un criterio per l’attivazione di un protocollo di trasfusione
massiva. I segni clinici della coagulopatia possono includere: lo stillicidio
dalle sedi di puntura/iniezione o dal campo operatorio, l’ematuria, le
petecchie, le emorragie della congiuntiva o delle mucose, il sangue che non
coagula, l’atonia uterina secondaria a un aumento dei prodotti di
degradazione del fibrinogeno. In caso di segni clinici di coagulopatia non
25
bisogna attendere i risultati del laboratorio per iniziare il trattamento. In caso
di EPP maggiore e qualora i test dell’emostasi (APTT, fibrinogeno,
TEG/ROTEM) non siano disponibili, si raccomanda dopo aver
somministrato 4 unità di emazie, di infondere plasma fresco congelato alle
dosi di 15-20 ml/kg. In caso invece di presenza di un point of care la terapia
trasfusionale deve essere guidata dai risultati del ROTEM o del TEG (vedi
tabella 1).
In caso di EPP maggiore persistente in atto e di test dell’emostasi (APTT,
fibrinogeno, TEG/ROTEM) alterati si raccomanda di valutare l’infusione di
plasma fresco congelato (15-20 ml/kg), con l’obiettivo di mantenere il
tempo di protrombina (PT) ratio e il tempo di tromboplastina attivata
(APTT) ratio a meno dell’1,5 del normale; la trasfusione di concentrati
piastrinici (1 unità random ogni 10 kg di peso o equivalente da donatore
unico) in presenza di conte piastriniche inferiori a 50x109/l ,
l’emoglobinemia maggiore di 8g/dl.
Nel caso in cui il gruppo sanguigno e lo screening per anticorpi non fossero
conosciuti, inviare urgentemente sangue per la ricerca di anticorpi e per le
prove crociate e trasfondere emazie zero negative. Nel caso in cui il gruppo
sanguigno fosse noto e lo screening per anticorpi fosse negativo trasfondere
emazie compatibili se disponibili in sede, in caso contrario trasfondere
emazie zero negative e attendere quelle gruppo specifiche. Nel caso in cui il
gruppo sanguigno fosse noto e lo screening per anticorpi fosse positivo
attendere la ricerca degli anticorpi e le prove crociate necessarie per
l’approvvigionamento di sangue compatibile. Nell’attesa e in caso di
urgenza trasfondere le emazie più adatte avvalendosi della consulenza
dell’ematologo. Nel caso in cui il sangue compatibile non fosse disponibile
in tempo utile, trasfondere uno stock di emergenza di emazie zero negative.
26
L’utilizzo del fattore VII attivato ricombinante può avere un ruolo in casi
selezionati non responsivi ad altri trattamenti/procedure o, ove la radiologia
interventistica non sia disponibile in emergenza, come opzione adiuvante
prima di procedere all’isterectomia oppure nel caso di una paziente che per
motivi personali rifiuta la somministrazione di prodotti del sangue.
Va ricordato che è un farmaco usato off label pertanto prima della
somministrazione è fondamentale controllare la presenza di altre cause di
coagulopatia e assicurarsi che le concentrazioni di fibrinogeno e piastrine
siano adeguate.
Le donne con EPP massiva e coagulopatia devono ricevere eparina a basso
peso molecolare come profilassi del troemboembolismo venoso (TEV) non
appena possibile dopo il controllo del sanguinamento e la correzione della
coagulopatia. È anche raccomandabile che, qualora la profilassi
farmacologica non sia attuabile per un rischio emorragico troppo elevato, sia
attuata una profilassi con mezzi meccanici (calze elastiche e/o compressione
pneumatica intermittente).
27
CONCLUSIONI
I cardini del trattamento dell’EPP sono:
1) il mantenimento della contrattilità uterina, ottenuto tramite mezzi fisici o
farmacologici;
2) il mantenimento o sostegno del circolo con opportuna idratazione;
3) la prevenzione o la terapia della coagulopatia emorragica instauratasi.
È inoltre necessario intervenire nella “golden hour” per aumentare la
probabilità di sopravvivenza della donna. La difficoltà a quantizzare la
perdita ematica e la mancata tempestività di un trattamento rappresentano
ancora i punti critici di questa complicanza ostetrica. Il trattamento della
EPP prevede la capacità di tutta l’equipe di integrarsi progressivamente in
procedure sempre più complesse e gestite da più persone per definire in
prima istanza l’origine del sanguinamento, identificando le cause e
predisponendo le opportune misure terapeutiche: a questo scopo sarebbe
opportuno che le unità operative preparassero un protocollo comune di
comportamento, da condividere tra tutti i reparti coinvolti.
28
Misure assistenziali iniziali da adottare in caso di EPP
29
ALGORITMO 1.Gestione della EPP minore (perdita ematica tra 500 e 1.000 ml) senza segni clinici di shock.
30
ALGORITMO 2 Gestione della EPP maggiore (superiore a 1.000 ml) controllata
31
ALGORITMO 3. Gestione della EPP maggiore (superiore a 1.000 ml) persistente
32
APPENDICE 1. TERAPIA TRASFUSIONALE
33
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