a.a. 2016-2017 N. 2 Aiaie Tib. Mila del // LA VOCE...

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Autorizzazione Trib. Milano 812 del 30/11/1987 LA VOCE UALZ LA VOCE UALZ a.a. 2016-2017 N. 2 DELLA La mimosa messaggera della Primavera

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Autorizzazione Trib. Milano 812 del 30/11/1987

LA VOCE UALZLA VOCE UALZa.a. 2016-2017 N. 2

DELLA

La mimosa messaggera della Primavera

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Sommario

Progetto e realizzazione: Nuccia Razzini con Alba Toté

Copertina e retrocopertina: Alba Toté e Daria Cavallini

LA VOCE UALZPeriodico di informazione della Università Adulti e Anziani di Legnano e Zona - C.F. 92003200158Direttore responsabile: Maria Teresa Maggiolini APS - D.P. Regione Lombardia N. 51076/94Presidente: Diego Dabergami

Sede e segreteria: Legnano, via Calatafimi,1 - tel. 0331 544.358 - fax 0331 544.272Informazioni: feriali (escluso il sabato) dalle ore 10 alle 12 e martedì / giovedì dalle ore 14,30 alle 16,30 e-mail: [email protected] - web: www.ualz.org

Redazione Nuccia Razzini, Direzione Alba Toté, Daria Cavallini,Trattamento testi e ricerca iconografica Marilia Paoli, Mario Seveso, Collaboratori

Testi e illustrazioni non possono essere riprodotti, neppure parzialmente, senza autorizzazione.Gli articoli firmati non impegnano la rivista, ma solo gli autori.DISTRIBUZIONE GRATUITA

DELLA

Legnano (MI) Via Carducci, 58- Tel. 0331.596.590 Fax 0331.540.892 - e-mail: [email protected] - www.centrostampaolgiati.com

stampati commerciali di ogni tipocataloghi, opuscoli, depliant etc.stampati editoriali e pubblicitariricevute e fatture fiscaliideazioni e realizzazioni grafichepartecipazioni nozze

MOSTRE IN SEDEpag. 21: Incisioni di Paolo Marinoni

03 Editoriale del Presidente

04 Editoriale del Rettore

05 Gli incontri del Lunedì - Cercherò lontana terra - La cultura, l’ambiente e i valori - Stati di alterazione - Smartphone e tablet - La scuola per la terza età - Lo zea mais salverà il pianeta? - Il Cardinale Richelieu - Noi e i vulcani - Viaggio in Antartide - L’Albero di Natale - Coro Ualz - Class enemy - Rubens e la nascita del Barocco - Anime nere

15-47 Biblioteca e d’intorni - Dogo, una delicata storia d’amore - Alla ricerca dell’orizzonte perduto

22 Notizie dai corsi - L’incisione vista da un incisore - Tecnica della stampa da incisione - Cronistoria di due aspiranti ballerini

25 I soci collaborano - Angelo Pinciroli, pittore legnanese - “Nocciolino”, ovvero “Sciurus carolinensis” - Storie segrete, storie dimenticate: la Guerra d’Inverno - Come difendersi dalle “domande importune” - Medicina indiana - Ritorno in India - Govindo. Il dono di Madre Teresa

“La mimosa messaggera della Primavera... e non solo!”

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Alla ricerca dell’orizzonte perduto

Valentina Terravazzi non scrive, amio parere, con l'intento di co-struire un'opera letteraria, nonha come riferimento un pubblico a cui de-stinare il suo lavoro. Valentina scriveprima di tutto per se stessa. Anche seviene calato nelle forme della narrazionetradizionale, il suo approccio alla scritturaé essenzialmente quello della medita-zione.Ne è indizio già la citazione che apre laprima pagina del suo ultimo "prodotto",un libriccino molto espressivo della suapersonalità e della sua specificità, anchenell'impaginazione, nella scelta dei carat-teri, persino nel ritmo dei vuoti e dei pieni:"Vivere é come scalare una torre, la vista ametà strada è meglio della vista dal bassoe diventa progressivamente più completa aman mano che l'orizzonte si espande”.

William PhelpsE’, quindi, ovvio che alla protagonista di questo racconto, Amanda, l'autrice doni molto di se stessa a partire dallasua sensibilità d'artista per la natura, per le sue forme e i suoi colori, che Valentina sa cogliere e "dipingere" anchecon le parole."Quel giorno il mondo era tutto in bianco e grigio...le nuove gemme si stavano generando in quel silenzio interrottosolo, di tanto in tanto, dal cinguettio di qualche pettirosso".Ma Valentina non si limita ad osservare e a far emergere le emozioni che la natura le suggerisce: lei ha bisogno di ca-pire l’origine e il significato delle sue sensazioni. Così con pochi tratti ci descrive lo stato d'animo della sua protago-nista raggelata dal grigiore invernale, come le piante del suo giardino."Era come se un gelido strato di neve si fosse depositato sul suo animo, dandole l'impressione che tutto fosse noiosoe monotono." Amanda “era in quella fase in cui non si é più giovani e non si é ancora vecchi ed emergevano in lei in-quietudini esistenziali", anche perchè, a causa di una recente perdita "...il senso della mortalità aveva perso la va-ghezza del riferimento generico per irrompere nella sua vita come fatto concreto e questo l'aveva portata a metterein profonda discussione il senso dell'esistenza".Talvolta accade che, in situazioni di crisi, un suggerimento inaspettato ci giunga casualmente da un libro riemersoda ricordi lontani. Ad Amanda questo accade con un libro scoperto ed amato ai tempi del liceo:"Orizzonti perduti" diJames Hilton. Insieme al libro riemerge anche l'antica preziosa amicizia per una compagna particolare, Giulia, che,dopo aver molto viaggiato, aveva scelto di stabilirsi in Bhutan per dare un significato nuovo alla sua vita. Amandadecide di accettare l'invito di Giulia e si trova così in un mondo che la sorprende: il PIL, croce e delizia dell'Occidente,là è sostituito dal FIL, Felicità Interna Lorda. In Bhutan Amanda scopre "una comunità che, nella semplicità della vita

che conduce, é felice e per questo invidiata nel mondo”.Comincia così un percorso di ricerca di senso, aiutata da Giulia, che le confida il cammino da lei a suo tempo seguito,un cammino che l'ha condotta a dare un significato positivo anche al dolore."Con la sofferenza il cuore si spacca e da questa apertura nasce la compassione, qualcosa che rende più grandi...piùcapaci di comprendere e di perdonare".Anche l'ambiente naturale ed umano, insieme ai biglietti di Giulia, accompagna Amanda ad approfondire il confrontotra il modo di essere delle persone che incontra in Buthan e lo stile di vita occidentale. Giunge a concludere che "la

felicità ci sfuggirà finché penseremo che potremo raggiungerla solo se cambieranno le circostanze esterne. Si tratta in-vece di modificare lo stato di coscienza e le condizioni esterne si adegueranno allo stato interiore."Amanda comunque alla fine ritorna nel suo Occidente, ma porta con sé un convincimento nuovo "che la chiave ditutto sia uscire dalla mente ed entrare nel cuore.Così si conclude il viaggio interiore della protagonista. "Sa che lei, l'Amanda che ritornava a casa, era profondamentecambiata".Così, penso, si concluda anche il viaggio che Valentina ha compiuto "dentro la sua stanza", studiando e meditandouna cultura diversa, ma capace di tante sorprendenti intuizioni ed insegnamenti. Segnalo, infine, la copertina di questo piccolo libro, che, come quelle dei precedenti, è essenziale per capire il signi-ficato del testo. Anche questa ha il segno distintivo del gusto artistico di Valentina, nella grazia del tratto come nel-l'armonia dei colori

Nuccia Razzini

.....la copertina di questo piccolo libro è essenziale per capire il significato del testo

Biblioteca e dintorni

Proprio in occasione della Festa della Donna,l’8 marzo, è stato creato un dolce speciale:

la torta mimosa.

Il nome della torta deriva proprio dal fatto che la copertura con cui viene decorata è fatta con il Pan di Spagna sbriciolato che ricorda appunto

il fiore della mimosa.

La mimosa è stata scelta come fiore simbolo dellafesta della donna nel 1946 dall’U.D.I. (UnioneDonne Italiane) nel corso dei preparativi dei primifesteggiamenti in Italia. Le donne riunite a Romafurono affascinate dai fiori di un giallo intenso e daquel profumo particolare tipico della mimosa e che inquei giorni di marzo davano bella mostra di sé neigiardini romani. Da allora la consuetudine vuoleche nel giorno della festa della donna gli uomini regalino alle donne mazzetti di mimosa.

La mimosa messaggera della Primavera

... e non solo!

EDITORIALE del PRESIDENTE

Gentili Soci,è iniziato un altro triennio della nostra attività sociale e il Consiglio Di-rettivo UALZ da voi nominato ha approvato un cambiamento nel segnodella continuità. Rettore e Presidente “nuovi” che hanno come obiettivoprincipale l’ampliamento e l’innovazione dell’offerta didattica e iltrasferimento della nostra associazione ad una Sede funzionale allacrescita registrata in questi ultimi anni.Sono in UALZ da dieci anni e per otto mi sono occupato della contabilitàcon Fedeli e della Tesoreria insieme a Giuseppe Trani. La nostra Associazione è sana e, con l’aiuto di tutti i Soci, pronta ad af-frontare la sfida del cambiamento. L’obiettivo, lo sapete, è il trasferimentodella Sede presso le Scuole Cantù, come avete avuto occasione di valutarenell’incontro del 7 Novembre 2016 con l’Amministrazione Comunale.Abbiamo ancora molta strada da percorrere prima di dare il via al traslocoed all’inaugurazione della nuova struttura. Abbiamo impegni burocraticilegati al bando comunale in corso di emissione e, in caso di aggiudica-zione della gara, accordi e tempistica relativi alle opere di ristrutturazionea carico della Pubblica Amministrazione. Vi sono poi oneri economici connessi con le migliorie sia strutturali chedidattiche per cui stiamo prevedendo accantonamenti già a partire da que-sto anno accademico. Tanti fronti aperti che richiedono unità di intenti e condivisione a tutti i Consiglieri e Soci.Il futuro della UALZ è ancora da scrivere, ma i successi del passato sono un buon terreno su cui costruire e vi chiedo diunirvi al Direttivo Ualz nel ringraziare il Rettore uscente Architetto Turri per l’opera svolta con assiduità e dedizione persedici anni, ricordando che l’attuale Sede di Via Calatafimi è stato un suo “regalo” in un momento di particolare necessitàdella UALZ e che l’individuazione della “Cantù” ha avuto origine dal suo personale e costante impegno di ricerca e sviluppodel progetto con l’attuale Amministrazione Comunale. Un grazie anche ai Presidenti che mi hanno preceduto, con particolare affetto e riconoscenza ad Alberto Simontacchi.Per ultimo, ma non meno importante, un augurio al Consiglio Direttivo nominato che, come avete potuto notare, è compostoda validi personaggi anche già noti per altri incarichi sia nelle Associazioni sia nelle istituzioni pubbliche. Il Consiglio ha nominato tre Vice Presidenti a cui sono assegnati, nel segno della continuità, compiti ben individuati:- Rapporti con la PA a Franco Crespi, persona da tutti conosciuta per i suoi meriti e trascorsi come Primo Cittadino; - Relazioni esterne ad Alberto Simontacchi, Presidente uscente;- Organizzazione e Gestione Risorse e Volontari a Pierantonio Sinelli, punto focale della Madonnina dei Cedri.

I Volontari!!! Persone assolutamente vitaliper UALZ, siano esse docenti o assistenti.Un grazie infinito per il lavoro che fate contanta passione e costanza, non posso nomi-narvi tutti ma tutti vi conoscono. Noi, alla fine, siamo come una squadra dicalcio: gli attaccanti segnano i gol, ma è lasquadra che difende la porta e costruiscel’azione vincente. I nostri tifosi sono i Sociche ne garantiscono la forza economica emorale nonché la continuità nel tempo.

Grazie fin d’ora per il vostro sostegno, lavoriamo insieme per una grande UALZ.

Il Presidente Diego Dabergami

I risultati delle elezioni

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Al centro: Nuccia Razzini, Rettore, con i Vice RettoriKetty Piarulli e Armando De Luca

Il Presidente Diego Dabergami

Accettando il voto del Consiglio Direttivo, mi sono trovata ad essere il primo rettore "al femminile" nella storia diUALZ, dopo esserne stata la seconda "presidente", succedendo ad Edda Gasparri, negli anni accademici tra il2007 e il 2013, durante i quali fu ampliata e rinnovata la programmazione dei corsi e avviato un processo di poten-

ziamento dell’offerta didattica, da cui è partita la crescita delle iscrizioni.Voglio, perciò, pensare che la fiducia espressami dal Consiglio Direttivo sia stata motivata dalla mia ultraventennale parte-cipazione alle attività di contenuto culturale dell'Associazione: come docente, come ideatrice di diversi corsi e laboratori,per la cui attuazione ho portato in UALZ molti volontari, come componente del Comitato Didattico e relatore in numeroseconferenze, oltre che come responsabile della redazione per la pubblicazione del nostro periodico. Con lo stesso spirito di fattiva adesione ai principi fondativi di UALZ, cercherò d'interpretare il mandato del Consiglio Di-rettivo, attuando il nuovo modello organizzativo delineato nel progetto "Innovazione nella continuità", basato sulla colla-borazione e l'interazione. A tal fine sarà mio precipuo impegno creare un clima di serenità, di rispetto reciproco, di coesione,di ascolto dei docenti e dei soci, per raccogliere e tesaurizzare suggerimenti, richieste, osservazioni, ed inserirli ìn un coerentepiano capace di dare risposte efficaci alle loro aspettative.Le nuove iniziative saranno tempestivamente illustrate nell'ambito di una riorganizzazione della procedure di comunicazione.Ho, pertanto, provveduto a nominare due vicerettori, i prof. Caterina Piarulli e Armando De Luca, le cui competenze edesperienze professionali costituiscono una sicura garanzia dell'operatività che essi potranno da subito esercitare a vantaggiodell'associazione.Rettore e vicerettori saranno a disposizione di soci e docenti ogni Lunedì dalle 10 alle 11, oltre che su appuntamento daconcordare con la Segreteria.Il progetto "Innovazione nella continuità" è già stato sottoposto al nuovo Comitato Didattico e ai docenti, che hannoespresso la loro soddisfazione e il loro completo sostegno. I soci eventualmente interessati ad approfondirne i contenuti pos-sono rivolgersi al rettore, che sarà lieto di parlarne con loro. Infatti una delle finalità che il piano si propone è sollecitare gliiscritti ad una partecipazione attiva sia alla programmazione, sia alla realizzazione delle iniziative UALZ, di cui i soci dovrebbero sentirsi non tanto dei fruitori quanto dei protagonisti. Ne deriva per me e per i miei collaboratori I'impegnoa scoprire e valorizzare le tante competenze e i preziosi talenti di cui gli iscritti sono portatori. Sarà così più agevole pervenireanche ad un'impostazione interdisciplinare di iniziative e corsi, che favorisca l'approdo alla formazione di una visione cul-turale più aperta ed integrata.Mi associo alla riconoscenza espressa dal Presidente nei confronti del precedente Direttivo e in particolare dell’arch. Turri,che resterà nella storia della UALZ come uno dei principali protagonisti, accanto ai fondatori, ai presidenti e ai rettori chesono stati il sostegno dell’associazione.

Nuccia Razzini

EDITORIALE del RETTOREInnovazione nella continuità

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Dal verbale della Commissione elettorale

Consiglio direttivoDABERGAMI DIEGO PresidenteCRESPI FRANCO Vice PresidenteSIMONTACCHI ALBERTO Vice PresidenteSINELLI PIERANTONIO Vice PresidenteGUIDOMANDRI MARIELLA TesoriereD’URBANO GIANNI ConsigliereFORTE SALVATORE ConsigliereLANGE’ GISELLA ConsigliereTESTA CARLO Consigliere

RevisoriGASPARRI SERGIO PresidenteMUNARETTO LUIGI RevisoreTRANI GIUSEPPE Revisore

ProbiviriCOLOMBO MASSIMOLANNI CARMELASALAROLO ROSANGELA

A seguito delle votazioni del 14 Novembre 2016 per il rinnovo degli organi direttivi, sono risultati eletti (in sequenza per numero diconsensi): Consiglio Direttivo - Razzini Annunciata, Simontacchi Alberto, Crespi Franco, Sinelli Pier Antonio, Langé Gisella, Guido-mandri Mariella, Dabergami Diego, D’Urbano Gianni, Trani Giuseppe. A Trani, che ha presentato motivata rinuncia all’incarico, èsubentrato Forte Salvatore.Per i Revisori dei conti sono risultati eletti: Testa Carlo, Gasparri Sergio, Munaretto Luigi.Per i Probiviri: Lanni Carmela, Colombo Massimo, Salarolo Rosangela. Nella prima seduta il Consiglio ha offerto l’incarico di Rettore a Nuccia Razzini, la quale, dopo aver sciolto alcune riserve, ha accettola carica. Conseguentemente, ha rinunciato alla sua posizione nel Consiglio direttivo. Testa Carlo le è subentrato, rinunciando allacarica di Revisore, nella quale è stato sostituito da Giuseppe Trani.

CERCHERO’ LONTANA TERRAGaetano Donizetti

narrato sulla scorta di documenti autografi, quale sia stata laveramente rettilinea vita del nobile e grande nostro artista.A quel tempo gli studiosi di rango si occupavano anche delracconto, della “fenomenologia” umana e caratteriale deglioggetti indagati. Poi, purtroppo, le cose sono cambiate, edin anni più recenti, salvo rare eccezioni, si è fatto strada ilpregiudizio che gli esperti dovessero comunicare solo nellaforma canonica del saggio o della monografia scientifica.Eppure, da più parti si avverte che la divulgazione, la nar-razione, la divagazione attorno a soggetti illustri non solopossa, ma addirittura debba, essere firmata da chi ben co-nosce la materia. E che Giorgio Appolonia non fosse undonizettiano avventizio, ma un meticoloso ricercatore della

tradizione esecutiva giàlo sapevamo. Quel che sorprende pia-cevolmente è che recu-perando un filoneapparentemente estinto,quello dell’autobiografiadi fantasia, l’autore ri-vela facilità di raccontoe immaginifica elabora-zione del dato storico.La trama di questa “mes-sinscena” si organizzadunque per quadri ordi-nati cronologicamente,scene teatrali vive e assaigradevoli. Certo è l’espe-rienza di fabulatore ra-diofonico che guida lapenna, eppure le paginesono sincere e riverbe-rano anche il sentire del-l’autore.

Appolonia, ad esempio, si tradisce medico compassione-vole quando preannuncia la terribile malattia che sarà la ro-vina familiare, fisica e mentale del compositore:

“Qui rincantucciato in quest’angolo sto bene. Stringole ginocchia fra le braccia e la testa tra le ginocchia edè come se mi sia concesso di vegliare l’agonia di Tor-quato. [...] Sono Torquato! [...] Un’altra fitta al capo,come il lampo che precede un tuono. E dopo ancora ilbuio, il piombo che riempie le ossa. Parlo senza bencomprendere quello che dico. Ma ho lo vaga sensazionedi aver mutato d’argomento. Non connetto. Farfuglio aVirginia che non dovrebbe mostrarsi prona ai miei ca-pricci. Io sono un uomo pericoloso e porto un pericoloaddosso. Un sospetto. Ho letto che il padre sifilitico puògenerare direttamente un figlio infetto senza aver primacontaminato la madre.”

L’inaugurazione dell’a.a. è stata accolta con molto in-teresse dagli iscritti sia grazie alla nuova “location”,che incuriosiva per la sua recente apertura, sia per la

“performance” proposta. Giorgio Appolonia, che raccontavala vita romanzesca di Donizetti, a cui ha dedicato un libro, el’attore Tiziano Ferrari, che leggeva i testi, hanno raccolto unampio consenso tra il numeroso pubblico presente.

Accanto alla Laurea in Medicina e Chirurgia ed alla profes-sione medica, Appolonia si è dedicato alla ricerca musicolo-gica e storica del teatro in musica pubblicando saggi e articoliper riviste specializzate (Edizioni ERI-RAI, Museo del Teatroalla Scala, Società Italiana di Foniatria, Opera, Opera Interna-tional, Donizetti SocietyNewsletter, etc.) e pro-grammi di sala (SanCarlo di Napoli, Comu-nale e Accademia Filar-monica di Bologna,Olimpico di Vicenza, Fe-nice di Venezia, Donizettidi Bergamo etc).Collabora da quindicianni con la RSI–RTSI–ReteDue dove conducesettimanalmente “Il ri-dotto dell’opera” ed hapreso parte a dirette radio-foniche dalla Scala di Mi-lano (“Lucrezia Borgia”di Donizetti, “Il trionfodel Tempo e del Disin-ganno” di Haendel) e te-levisive da Basilea(“Aida” di Verdi), Berna(“Bohème” di Puccini),Bregenz (“Turandot” di Puccini).Ha pubblicato monografie su interpreti e musicisti dell’Ot-tocento (“Le voci di Rossini”, “Il dolce suono mi colpì disua voce”, “Giuditta Pasta gloria del belcanto”, “Dome-nico Reina tenore luganese”, “Carlo Guasco un tenore perVerdi”). È autore e performer di originali radiofonici (“LaScala si racconta”, “Farinello”, “Profondo Scarlatto”, “Ilsignait Frycek”, “Liszt et Marie”) e pièces teatrali accantoall’attore Claudio Moneta. Collabora inoltre con DeniaMazzola Gavazzeni, Giuseppe Clericetti, Paola Moroni,Davide Rocca.Guido Zavadini (Museo donizettiano di Bergamo) l’indi-menticabile musicografo che ha avuto il grandissimo me-rito di scovare e pubblicare l’epistolario di GaetanoDonizetti, ebbe a scrivere in apertura di un delizioso libellodal titolo “Donizetti l’uomo” (Secomandi, 1958) d’aver

Luigi Deleida detto il Nebbia (1774-1853), Gaetano Donizetti, Simone Mayr, Antonio Dolci,

l'oste Michele Bettinelli e il pittore Deleide.Olio su tela, 1840 circa. Bergamo, Museo Donizettiano.

Gli incontri del Lunedì

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Oppure riecheggia spiritosamente il carattere di Donizettiframmischiando continuamente l’alto e il basso: e così l’in-contro con il rivoluzionario Pietro Maroncelli viene acco-stato ad un piatto di casoncelli; la gigantesca presenza diGiovanni Simone Mayr ad una buffa lingua tedesca mac-cheronica; l’amico fraterno Dolci ha nome succulento, fac-cia da pane e salame ed un panzone che lo precede al passodi mezzo metro. Naturalmente anche lo storico d’opera lascia la traccia, ren-dendo plausibile il ritratto con episodi che si innestano sullabiografia di Donizetti, ad esempio la storia d’amore traMario e la Grisi; l’incendio della Salle Favart oppure la de-scrizione dell’aspetto fisico della Lalande al tempo di Lu-crezia Borgia.

“Lo stratagemma di introdurre la protagonista a voltomascherato voleva essere un escamotage. Sarebbe ap-parsa con una bauta proprio per nascondere certe inop-portune fattezze, tenuto conto che quando cinque annifa ha dato alla luce una bimba si è come tutta sdentata.”

O ancora, quando si esplicita il rivoluzionario proclamaestetico per Gilbert Duprez, il primo Edgardo in Lucia di Lammermoor, tenore pioniere di un nuovo stile:

“Gaetano non vuole che utilizzi il falsetto. Pas du tout.Basta con le effeminatezze nel canto.”

In effetti, uno dei dati più interessanti di “Cercherò lontanaterra” è che la ricostruzione è continuamente disseminata

di dati cronistici, e così nei dialoghi emergono lacerti te-stuali da monografie, articoli, cronache e documentid’epoca. Le citazioni nascoste, le vere parole dei testimoni,diventano nell’itinerario di Appolonia fonte di vivacità ecolore, appiglio per creare scene immaginate e però – semi si perdona l’ossimoro logico – autentiche, come, adesempio, nel caso della prima di Maria Stuarda e della ce-leberrima lite fra le primedonne:

- Grassona! M’hai spaccato un femore, m’hai spaccato. - Malafemmina! Sei qui solo perché Donizetti ti protegge.- Sei tu che slarghi con tutti in Napoli per occupare il

trono del San Carlo. - Solo invidia! Tutto perché non slarghi tu con Colui!

A questo punto mi sono fatto strada tra le gentildonne,le ho scostate garbatamente l’una dall’altra e conestrema nonchalance enunciai il verdetto:

- Io non proteggo alcuna voi, ma p... erano quelle due,e due p... siete voi.

Parafrasando Verdi, in arte è bene saper “Inventare ilvero”.In questa luce, commuove infine il racconto, largamentebasato su osservazioni cliniche, degli ultimi momenti divita di Donizetti. Un exitus che si salda all’esordio dellibro: e così l’autore ci ricorda che la nascita del genio èpossibile quando si incontrano dei padri – maestri comeGiovanni Simone Mayr.

Francesco Bellotto(Teatro Donizetti, Fondazione Donizetti, Bergamo)

LA CULTURA, L’AMBIENTE E I VALORI

Partiamo da queste considerazioni del filosofo RemoBodei che ci paiono riassumere abbastanza bene quelloche di solito viene dimenticato, quando si parla nel no-

stro infuocato teatro massmediatico italiano. Sembra proprioche il tono del dibattito, soprattutto politico, ma anche in tuttigli altri settori di interesse sociale, si stia surriscaldando oltreil limite della misura. E’ dunque giusto che ci si fermi un po’ ariflettere, poiché anche noi apparteniamo al pubblico dei “con-nessi” al flusso mediatico, che imperversa oramai in modo co-stante a partire dalle prime ore del mattino fino quasi a nottefonda. La teoria della comunicazione sostiene che, quando isegnali sono troppo forti e addirittura si sovrappongono, al-lora, invece di percepire un messaggio, l’ascoltatore percepi-sce unicamente un rumore.

Il guaio è che il rumore mette in moto un meccanismo di rea-zioni a catena, come avviene nel processo di fissione atomica.Per sovrastare chi parla forte, se si vuole farsi sentire, si gridaancora più forte e questo peggiora il grado di comprensione. Non ci stiamo dilungando, stiamo semplicemente indicandouna delle prime caratteristiche della cultura attuale: il tono al-tissimo con cui viene comunicata e l’aspetto di confusione cheviene generato in chi deve percepire. E questo ci porta a unsecondo aspetto che fa rientrare di nuovo la cultura in un’ot-tica quantitativa. Infatti si sente dire in continuazione: leggete,leggete più libri. Come si fa ad essere contrari a questo slogan? A me però favenire in mente quello relativo all’igiene di tanto tempo fa e

cioè che il grado di civiltà di un popolo veniva misurato con iquintali di sapone che consumava. Fermarsi a riflettere vuol dire a mio parere in primo luogo farsiuna domanda sul senso.Io trovo che uno dei problemi della cultura contemporanea siaproprio quello del senso, insomma del perché. In modo un po’azzardato direi che abbiamo bisogno di una cultura consape-vole e dunque, si potrebbe dire, di una cultura di qualità. Per avere qualche spunto di riflessione si potrebbe pensarea quello che è forse la nota dominante della nostra cultura eparlo del giornalismo, del cinema, della letteratura, dell’arte ingenerale, anzi soprattutto dell’arte. Ebbene mi sembra che l’aspetto prevalente sia proprio il ca-rattere di negatività, di negazione più che di affermazione, divuoto più che di pieno, di pessimismo più che di ottimismo…Tutto questo può essere forse giustificato da quello che diceBodei e cioè che "l’uomo è l’essere confinario che non ha con-fini”, proprio perché nel trovarli, per lo più, li supera.

Anche di questo si parlerà oggi, senza dimenticare però lacomplessità del tema che ci viene proposto dal fil rouge delnuovo anno accademico. E’ un tema che ci invita a coniugare concetti apparentementediversi, come cultura e ambiente, che invece trovano una loropiù che giustificata convergenza. Soprattutto se li proiettiamo nel terzo concetto proposto e cioèi valori.

Artemio Magistrali

“La condizione della specie umana è contraddistinta dall’essere circoscritta da limiti che sono mobili e cangianti, in quanto – a differenzadegli altri animali - ha una storia articolata in culture che si modificano nel corso del tempo. Con un paradosso si è detto che l’uomo èl’essere confinario che non ha confini, proprio perché nel trovarli, per lo più, li supera”.

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Gli incontri del Lunedì

*bauta: maschera tipica del Carnevale veneziano

STATI DI ALTERAZIONE

Il computer acceso davanti, la mano destra impegnata adigitare messaggi sullo smartphone, la sinistra a sfo-gliare le pagine di un manuale scolastico, le orecchie

del ragazzo o della ragazza collegate con le cuffiette a unIpod: è un’immagine che molti genitori si stanno abituandoad accettare quando vedono i loro figli muoversi disinvol-tamente tra un’attività e l’altra di un complesso grovigliodi iperconnessioni tecnologiche. Frequentemente sentiamoparlare di “Generazione multitasking” o di “GenerazioneApp”, in riferimento all’uso diffusissimo di quelle applica-zioni progettate di solito per un dispositivo “mobile”, soft-ware che permettono all’utente diportare a termine rapidamente certeoperazioni senza nemmeno passare piùper un motore di ricerca su Internet.

Howard Gardner , esperto discienze cognitive, si dice convintoche i giovani pensino oggi a sé stessicome “a una parte integrante del-l’apparecchio tecnologico più nuovo,più trendy e potente”. Addirittura essi sono quasi costante-mente impegnati ad auto confezionareuna propria identità mediatica da esi-bire e presentare agli altri in temporeale. Alla fine, però, il risultato èquello di concentrarsi più sul fare chesul pensare e sull’essere. Mentre siaccresce un narcisismo smisurato eteatrale, la difficoltà di capire a fondoi propri sentimenti produce agita-zione, nervosismo, malumore, insod-disfazione e persino tristezzedepressive. Falsi rimedi a tali inquie-tudini possono diventare la ricercadell’esperienza adrenalina, eccitante e la voglia di forzarei limiti della prudenza ragionevole.

Un personaggio del recente libro di Aldo Nove, “Ante-prima mondiale”, decide di iscriversi a Facebook per poteravere un tot numero di destinatari a cui raccontare la pro-pria decisione di morire, convinto che ormai solo ciò cheviene detto e rimasticato sui social network realmente ac-cade, può dirsi accaduto. Si vive e si muore per raccontarlosu Facebook, dunque. Un altro personaggio dello stessolibro ricorda che si sta vivendo in un tempo in cui sogno erealtà sono la stessa cosa e in cui “non c’è più bisogno dicapire”. Basta comprare e lasciare che le cose comprateesistano più dell’individuo che le ha volute. E in una se-quenza di ossessioni leggiamo persino di una nuova formadi bisogno: quella di scaricare da Internet quanti più bytespossibili per accumulare repertori di file che nemmeno ver-ranno aperti (basta stiparli nel nostro potente PC).In questo panorama complicato irrompe, e avrà ben prestouno ruolo determinante, la cosiddetta “Realtà Virtuale”:

uno spazio tridimensionale generato e modellato al com-puter in cui un soggetto, munito di certe protesi ottico-tat-tilo-uditive (occhiali speciali, casco, guanti con sensoriecc.), può entrare esplorandolo dall’interno. Volendo defi-nire le cose in modo un po’ brusco, si potrebbe ricordare ladefinizione del filosofo Carlo Sini che intende per realtàvirtuale “una realtà posticcia”, “qualcosa che sta al postodi qualcos’altro mimandolo, cioè rappresentandolo”. Ma le applicazioni della realtà virtuale che puntano all’in-trattenimento hanno la straordinaria capacità sia di ripro-durre fedelmente ambienti realistici sia di rendere del tutto

credibili e realistiche anche le imma-gini più oniriche (un po' come av-viene nel film “Inception” del 2010di Christopher Nolan).Per essere rigorosi dovremmo distin-guere tra “realtà immersiva” e “realtà aumentata” (che consistenell’apparizione di informazioni edelementi virtuali attraverso dispositividigitali nello stesso spazio concreto incui ci muoviamo, in modo da inte-grarli in ciò che vediamo e facciamonella vita reale). Un grande esperi-mento di realtà aumentata su vastascala sociale è stato promosso dal-l’App dei Pokemon Go, prodotta daNiantic e Nintendo, che sembra avercoinvolto più di 100 milioni di utentinel mondo.Secondo il fondatore di Facebook larealtà virtuale, immersiva o aumen-tata che sia, si candida ad essere lapiattaforma informatica del futuro esono numerose le multinazionali im-pegnate con investimenti miliardari

alla produzione di un ricco materiale che verrà impiegatonei settori dell’educazione, della ricerca scientifica, del te-lelavoro, degli armamenti, della modellistica progettualema soprattutto, com’era lecito attendersi, dell’intratteni-mento spettacolare.Con quali effetti non è ancora dato sapere, naturalmente. Già oggi, del resto, il Web è diventato per i giovani una si-rena di seduzioni pericolose, un immenso serbatoio di am-bigui emissari della violenza. Dobbiamo immaginarci per il “Cyberspazio” scenari allaMatrix o alla William Gibson lo scrittore americano che,per primo ha mosso sullo scacchiere narrativo hackers spre-giudicati, pedine di labirintici giochi di potere avviati daIntelligenze Artificiali in lotta tra loro, come succede nelromanzo “Neuromante”?Non ci sarà il rischio di incrementare esponenzialmente unanuova forma di tossica ricerca del male, nelle sue più di-verse manifestazioni, come possiamo leggere nel preveg-gente racconto di Daniele del Giudice “Evil Live!”, nellaraccolta “Mania”, del 1997?

Il cinema e la letteratura d’oggi riflettono sul rapporto reale/virtuale nelle inquietudini dei giovani

Locandina del film “Inception” di Christopher Nolan

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Gli incontri del Lunedì

In una società che si svuota di significati e in cui il cultodell’azione fine a sé stessa e le risorse tecnologiche più po-tenti oscurano un processo di conoscenza e affinamento disé stessi, non è difficile arrivare a progettare persino unastrage folle come fosse un videogame. Casi di cronaca piùo meno recenti l’hanno già segnalato, purtroppo. L’analisi di alcune sequenze, magistrali e terribili, del filmcapolavoro di Gus Van Sant, “Elephant” (Palma d’oro aCannes, nel 2003), ci permetterà di capire (a partire dalleardite sperimentazioni dello stile, che rendono il film in séuna metafora di eccezionale intensità del mondo come puòessere percepito dai nostri adolescenti) che cosa dobbiamoaspettarci e temere da un futuro assai prossimo, se la parola

SMARTPHONE E TABLET

Il nuovo mondo della comunicazione globale

Il mondo nuovo verso il quale stiamo avanzando sollecitain tutti noi dubbi e speranze, aspettative e incertezze e cipone di fronte ad un sistema complesso di sentimenti, anzi,

quasi ad un senso di disorientamento.

Certo sarebbe molto più rassicurante poter individuare unpunto di partenza ed un punto di arrivo in un tracciato così ar-ticolato. Ma il senso della storia ci indica percorsi sovrapposti,concomitanze, concause, casualità e scelte consapevoli, va-riabili di varia natura, ovvero le ragioni e le dinamiche chehanno sempre accompagnato la storia dell’uomo e che hannoavuto nella comunicazione e nell’innovazione i motori pro-pulsori del cambiamento.Se guardiamo alla comunicazione, per millenni saperi e ci-viltà sono stati accompagnati dalla parola, dalla lettura edalla scrittura, tre codici familiari e alla portata di ognicomprensione. I graffiti nelle caverne, il linguaggio, la scrittura, la nume-razione decimale, la stampa tracciano punti di civiltà di-stanti a volte secoli tra loro, più rarefatti prima, piùravvicinati poi, al punto che è stato sufficiente solo pocopiù di un secolo per spostare l’intera umanità nell’era at-tuale del Cyberspazio.

Dal telegrafo di Morse del 1838 alla nascita della Ar-panet, incubatore di Internet di fine anni Cinquanta, è

tutto un susseguirsi di scoperte che hanno cambiato il nostro vecchio mondo:dal telefono alla radio, dalla televisione alla programmazione, dal transistor alla fibra ottica e ai satelliti,

consentendo le comunicazioni da un continente all’altro e rendendo così il pianeta più piccolo.

E tra i protagonisti contemporanei che stanno cambiando il mondo, e con esso le nostre abitudini vi sono certamente i cel-lulari di ultima generazione (i cosìdetti smartphone) e la forma più compatta e leggera di computer chiamati tablet.Questa conferenza vuole essere una chiacchierata, il meno possibile formale ed il più possibile interattiva su questo mondoche ha ampliato esponenzialmente la capacità di comunicare, coinvolgendo non solo la comunicazione uomo-uomo, maanche uomo-macchina e, più recente frontiera, macchina-macchina in una disciplina chiamata l’internet delle cose.

Michele Daniele

“uomo” non coinciderà più con la coscienza del tempo, deiluoghi, di quanto valgano la cultura e il rispetto della vitae soprattutto se non si porrà più in relazione con la capacitàdi esprimere e sentire il dolore altrui come nostro e con ciòche un poeta di due secoli fa osava ancora, splendidamente,definire come “celeste corrispondenza di amorosi sensi”.La scuola in cui si muovono gli studenti di “Elephant” èun freddo labirinto di corridoi che si trasforma in una gab-bia mortale. Nessuna realtà immersiva sarà mai desiderabile, se ci iso-lerà in uno spazio similmente allucinante.

Walter Genoni

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Gli incontri del Lunedì

LA SCUOLA PER LA TERZA ETA’Le possibili soluzioni

Per l'incontro con il Sindaco, all'abituale pubblico delle conferenze si sono aggiuntiparecchi soci che frequentano raramente questa programmazione. Perciò la Sala Rattiera al completo, compresa la galleria, quando è arrivato Alberto Centinaio, accom-

pagnato dal direttore dell'ufficio tecnico comunale, ing. Edoardo Zanotta.I nostri iscritti attendevano infatti con vivo interesse l'incontro, promesso nel precedentea.a. al termine di un'interessante conferenza, nella quale il sindaco aveva chiarito un argo-mento complesso di grande attualità: "La città metropolitana", con una competenza ed unalinearità molto apprezzate dai presenti. Lo stesso approccio ha caratterizzato anche questosecondo incontro. Il Sindaco ci ha fatto comprendere come l'iter che il Comune dovrà seguire per poter metterea disposizione delle associazioni e degli enti interessati la scuola Cantù, tornata nella sua

disponibilità, non sarà tanto semplice e rapido quanto avevano sperato i nostri soci, incoraggiati dall'entusiasmo dell'arch.Turri. L'Ente pubblico, per affidare il suo edifico ad un'associazione, deve prima emanare un bando.Quello che riguarderà la scuola Cantù, coinvolgerà altre tre costruzioni; pertanto richiederà una preparazione adeguata allacomplessità dell'intervento. Si prevede che potrà essere pronto per Marzo 2017. Le autorità preposte esamineranno poi le ri-sposte al bando e procederanno alle assegnazioni. Nel frattempo il Comune provvederà ai lavori necessari per adeguare l'edi-ficio alle norme di legge.La scuola Cantù è stata costruita nel 1904 su progetto dell'ingegnere comunale Renato Cuttica. Aveva dieci aule sudue piani che potevano ospitare 700 scolari, ma, per l'incremento degli iscritti. già tre anni dopo si dovettero aggiungerealtre quattro nuove aule. É, dunque, una costruzione ultracentenaria, ma solida, razionale, luminosa e, tenuto conto dell'usointensivo che ne è stato fatto, in buone condizioni. Allora si costruiva con l'intento di realizzare un bene pubblico durevole:concezione (e conseguente senso di responsabilità di amministratori, tecnici e maestranze) che purtroppo non ci sembra piùaltrettanto presente oggi nel nostro Paese.Il Sindaco ha dimostrato, anche rispondendo esaurientemente alle domande dell'arch. Turri e del pubblico, di essere davverosensibile all'annoso problema di una sede adeguata ad accogliere dignitosamente i tanti cittadini che frequentano le attivitàorganizzate da UALZ. Noi siamo fiduciosi, che con il sostegno della pubblica Amministrazione, il nostro problema possatrovare una soluzione il più possibile rapida.

Nuccia Razzini

La Scuola Cantù ha avuto un ruolo importante nella storia dell’istruzione pubblica di Legnano. Ci stupisce leggere che le sue prime dieci aule ospitassero ben 700 allievi. Supponiamo che fossero suddivisi in turni;sappiamo, però, che le classi erano allora formate da numerosi alunni, anche più di quaranta.La Cantù ci ricorda il Risorgimento, attraverso il suo progettista, l’ing. Renato Cuttica, e l’intellettuale a cui si riferiscela sua denominazione: Cesare Cantù.

Renato Cuttica (1842-1921) fu forse la più luminosa figura del Risorgimento legnanese: con Garibaldi in Sicilia, di-ciottenne, poi ferito in Aspromonte nel 1862, di nuovo con lui nel 1866 nella Terza guerra d’indipendenza e poi nel’67 a Mentana per ritentare la liberazione di Roma. Cuttica diventò un importante politico locale, fu ingegnere-capodel Comune di Legnano e disegnò i primi padiglioni dell’Ospedale. Sulla sua tomba nel Cimitero monumentale diLegnano si legge: “Ho creduto nel bene e nella vita futura”.Renato apprese il patriottismo da sua madre Ester (1807-1898) che, per la sua militanza mazziniana, fu condannataa tre anni di carcere. Le sofferenze però non l’allontanarono dalla politica. Amnistiata nel 1857, intrattenne una fittacorrispondenza con Mazzini, Garibaldi, Cairoli, Cavallotti.

Due vie a Legnano ricordano Renato Cuttica e sua madre.

Cesare Cantù, scrittore, polemista, storico, educatore, non senza incursioni nella politica, in gioventù fu arrestatoperchè vicino alla Giovane Italia. Operò, quindi, come organizzatore di cultura in un arco di tempo eccezionalmentelungo, ricco di eventi e trasformazioni. Forte fu il suo legame con la Lombardia e soprattutto con Milano, crogiuolodi idee cui, per altro, guardò da conservatore, piuttosto che per trarne occasione di apertura e progresso. Conobbe grande popolarità in tutta la penisola e anche all’estero ed entrò in contatto con pressoché tutti i prota-gonisti della vita culturale del suo tempo. Eppure in una prospettiva storica rimane figura particolarissima, in uncerto senso isolata. La sua eclettica, torrentizia produzione, ricca di polivalenze e spesso di ambiguità, sfugge arigide catalogazioni. Sotto il profilo ideologico si caratterizzò per un “atteggiamento antipiemontese”, da neoguelfo,perchè sostenitore di un municipalismo locale nelle cui tradizioni riteneva di ravvisare le doti di laboriosità, religiosità,morigeratezza di cui era fautore.

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Gli incontri del Lunedì

LO ZEA MAIS SALVERA’ IL PIANETA?Il quartiere “degli Ambrosini” a Legnano.

Noi conosciamo, da migliaia di anni, il grano chenasce nelle pianure tra il mar Caspio e il Mar Nero.In Italia si diffonde moltissimo con i Romani; è in-

credibilmente energetico e prezioso, ha quattro volte i genidell’uomo: infatti si forma tra fusioni genetiche di due gra-minacee e un’erba. Nei tempi antichi, Italiani ed Etruschi si cibavano di farroma anche di miglio, avena, segale, sorgo, ecc. La polentaantica ed il pane si facevano con sementi miste. Con l’Impero i grandi commercianti romani importaronoil grano, prezioso e raffinato, che non sostituì nelle classipovere le vecchie graminacee. La polenta romana era chia-mata puls, ed a Busto Arsizio uno dei piatti ancora oggipreparato è la pulti: specie di polenta con verdure e farinadi farro (oggi di mais) e grano. Cristoforo Colombo tornò dalle Indiecon pannocchie di mais (nere e rosse)chiamato ZEA Mais o granoturco. Colombo lo presentò in Spagna dovevenne piantato con poco successo es-sendo il terreno carente d’acqua, men-tre si diffuse largamente in Franciaessendo i terreni più umidi. In Italia gli storici riscontrano questaproduzione nel modenese e nel ferra-rese intorno al 1530/1560 e già nel1600, come risulta da una citazionenegli archivi della bergamasca, si trovail “piatto di Arlecchino” derivato dallacoltivazione del mais.La popolazione più povera si accorge che il mais ha unaresa altissima. Con una spiga di grano si coltiva 1 mq diterreno e si fa un pane da 0,6/7 Kg, ma il seme del mais,essendo piantato molto più rado, richiede l’utilizzo di unaquantità minore di semenza: con una pannocchia di maissi ottengono 17 Kg di granoturco, 1,7 Kg al mq ossia 2 ber-narde, con 8,4 bernarde si ottengono147 Kg di mais.La proprietà terriera non lo considerautile perchè, mentre il grano nobileviene tassato e requisito, il granturco,non essendo di alta qualità, impove-risce i campi così come il farro e ilmiglio. In Spagna e in Francia viene consi-derato tossico poichè l’uso continua-tivo causa la pellagra (il mal dellarosa).

Ma nelle classi povere la fame uccideva durante l’invernomolto più della pellagra e i contadini presero a piantare neiloro piccoli orti le sementi di mais che crescevano molto

in fretta e in abbondanza. Anche se non era di ottima qualità eportava malattie, il mais cresceva velo-cemente, non era tassato, toglieva lafame dallo stomaco vuoto dei poveri enon li obbligava a comprare le sementidai latifondisti. A Legnano uno dei quartieri più antichiera quello “delli Ambrosini” (Chiesa diSant’Ambrogio del V° sec.). Erano tuttiagricoltori per conto della nobiltà legna-nese, vivevano di decima di grano, dimiglio, di farro, di segale e con questiprodotti poveri facevano, dai tempi di

Cesare, la loro puls (polentina con verdure). Quando alla fine del 1500 i nobili non apprezzarono più ilmais, gli Ambrosini lo coltivarono ampiamente nei loro ortidiventando la salvezza dalla fame. Ma presto si presentò il problema sanitario della carenza divitamina B, e niacina (vitamina PP, o del triptofano, un am-minoacido necessario per la sua sintesi): il sorgo e il mais

sono infatti la causa della pellagra. Grazie alla famiglia Vismara in Le-gnano viene dato al ducato di Milanoun ex convento per ricoverare i pel-lagrosi; ne accoglie 100/120 per im-postare lo studio della malattia, male richieste sono infinitamente supe-riori. Gaetano Strambio, medico del-l’Ospedale Maggiore di Milano, as-sunto come direttore dell'ospedale,viene accusato di mancanza di carità

Le terre della Mezzaluna fertile

Gaetano Strambio (Cislago, 1752 – Milano, 3 maggio 1831) è stato un medico italiano importante negli ambienti dell'Ospedale Maggiore diMilano, che visse e operò tra il Varesotto e Milano a cavallo tra il XVIII e XIX secolo.La svolta della sua vita avviene nel 1784, quando l'imperatore austro-ungarico Giuseppe II d'Asburgo decide di aprire a Legnano un centro perstudiare e curare la malattia che affliggeva le popolazioni contadine lombarde: la pellagra. Gaetano Strambio viene assunto come direttore dell'ospedale, su raccomandazione del Rettore dell'Università di Pavia, quando ha solo 32 anni. All'apertura del centro si recarono subito circa50 contadini della zona afflitti da pellagra (una malattia allora paragonata alla peste) che permisero l'immediato inizio degli studi del medico ci-slaghese. Ne fu direttore fino al 1788.

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Gli incontri del Lunedì

per il numero chiuso dei pa-zienti. Strambio lascia l’incarico,ma lascia anche la scoperta cheigiene e dieta con verdure efrutta, facevano guarire il maldella rosa.Solo alla fine del 1937 poteronodare un nome alla vitamina PP(Prevenzione Pellagra). Sempre di recente i biologihanno potuto constatare come,nel caso delle celiachie, la po-lenta sia un cibo rispettoso di chisoffre insofferenza al glutine;pertanto il fenomeno sempre cre-scente delle patologie da cilia-cosi trova rimedio in questoprodotto eccellente: lo Zea Mais. Malattia a parte, il consumo dimais, unitamente a quello dellapatata, era divenuto la baseesclusiva nutrizionale del 60%della popolazione. La pulti romana, quindi, divennela polenta. Cotta e unita a mille in-gredienti forma piatti gustosi, ti-picamente differenti in ogni vallealpina. Oggi da piatto povero è di-venuto una specialità ricercata,unita al maiale, al formaggio, aifunghi, alle verdure. Nel borgo degli Ambrosini siraccoglieva il mais e le pannoc-chie venivano appese alle gratedei ballatoi del cortile per farleessiccare.D’inverno nelle serate fredde lefamiglie si riunivano nelle stalle assieme agli animali, lì alcaldo attorno ad un fuoco si raccontavano i fatti del giorno,i pettegolezzi, arrivavano i lumaconi a sbirciare le ragazzeda marito in vista della Candelora, si raccontavano le fa-vole ai bambini, comprese quelle sui lupi o sull’uomo neroche mangiava i bambini cattivi.

Mentre si intrecciavano le con-versazioni, animate spesso daqualche mattacchione, donne,bimbi e fanciulle pulivano lepannocchie e le sgranavano conle bratte messe da parte; con lebratte stesse riempivano le fo-dere dei materassi e abili manicreavano cesti, cappelli, impa-gliature per le sedie, da vendereal mercato. Gli uomini prepara-vano gli attrezzi che in estate sa-rebbero serviti, durante lasemina e i raccolti, per zappare,arare, mietere e trebbiare Tutti questi prodotti venivanoportati a novembre alla Fiera deimorti assieme al bestiame. Il borgo degli Ambrosini era tal-mente dedito alla lavorazionedel mais da prendere il nome diBorgo dei Melegazzi (da meli-cone o melegun) poi storpiato inborgo di Maragasc (foglie cheavanzavano dopo la mietitura delmais, usate per mangime deglianimali), con una punta di di-sprezzo per la povertà di chi nonaveva il fieno. Ma, pellagra a parte, il mais eraormai entrato nell’alimentazionelegnanese, tanto da essere elen-cato, nel 1805, ufficialmente dalComune di Legnano tra i pro-dotti necessari per la sussistenzadella città. Oggi, prodotto indispensabile

per il genere umano, ha generato nel mondo tanti cibi e be-vande: dal pane alla polenta, dai dolci alle tortillas, dallamaizena alla farina integrale, dalle birre al whisky o al cla-rito o chica messicana, insomma uno degli alimenti più dif-fusi al mondo dopo il grano e il riso.

Marco Turri

Chiesa di Sant’Ambrogio

Articoli casalinghi - Canestraio, secchionaio, ombrellaioSecondo De Giovannini (Foto d’epoca originale)

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Gli incontri del Lunedì

IL CARDINALE RICHELIEU

vrana a prendere la via dell'esilio. Ella finirà per morire,ospite mal tollerata, a Colonia. Ad un frate cappuccino,molto apprezzato dai potenti a Parigi ed a Roma, va il me-rito della nomina di Richelieu, nel 1621, a cardinale, con-sigliere del re e ministro. Molti nobili francesi, tuttavia,congiurano contro di lui. Il giovine marchese di Chalais hal'incarico di ucciderlo ma, scoperto, è condannato a mortee decapitato sulla piazza del mercato di Nantes. Nel 1630,Richelieu paga una forte somma perché Gustavo Adolfo di

Svezia si batta contro gliAustriaci, grandi nemicidella Francia. Vittorioso inparecchi scontri, il re sve-dese perderà la vita in bat-taglia a soli 37 anni.Una delle imprese più dif-ficili per Richelieu, ormaicomandante supremo del-l'esercito francese, è laconquista, nel 1638, dellapiazzaforte della città dellaRochelle, tenuta dagliUgonotti con l'appoggio ditruppe inglesi. Un altrocomplotto contro Riche-lieu è scoperto nel 1642.

I congiurati sono cappeggiati dalla moglie di Enrico IV,Anna d'Austria e dal fratello del re, Gastone d'Orleans. Mai due sono intoccabili ed allora perde la vita, decapitato inuna piazza di Lione, il ventiduenne marchese di Cinq Mars.Richelieu proviene da una famiglia psichicamente tarata.Una sorella è morta pazza, il fratello Alphonse a volte crededi essere Dio Padre. Egli stesso soffre di terribili emicraniee di crisi epilettiche. Ama le lettere (meno i letterati). Per suo incarico, un me-dico fonda la Gazzetta di Francia, che uscirà fino al 1914.Sempre per sua volontà, nasce l'Accademia Nazionale, conl'incarico di compilare il Dizionario della lingua francese. A 45 anni Richelieu si ritira in un magnifico palazzo a Pa-rigi. Indica al re il nome del cardinale Urbano Giulio Maz-zarino come il più adatto a sostituirlo nell'incarico di capodel governo.Nell'ottobre del 1638, per Richelieu inizia una lunga ago-nia, che si protrarrà fino al 4 dicembre dello stesso anno.Come da suo desiderio, egli verrà sepolto nella cappelladella Sorbona. Il 5 dicembre del 1793, la sua tomba verràprofanata dai rivoluzionari della Convenzione e le sue ossaverranno disperse e mai più ritrovate.

Mario Seveso

Nel 1500, in Francia, il re esercita un potere assoluto, assistito dai nobili ed appoggiato dagli ecclesiastici. Il popolo è privodi ogni diritto, composto da contadini, artigiani, servi della gleba. Costoro sono anche costretti a fornire soldati per le fre-quenti guerre, decise dal sovrano e dai capi dell'esercito, per essi senza limiti di luogo e di tempo.

Un figlio di Francesco I (lo sconfitto nel 1525, a Pavia, dall'imperatore spagnolo Carlo V) sposa Caterina De' Medici e, nel 1547,diventa re di Francia col nome di Enrico II. Muore nel 1559, ferito gravemente durante un torneo. La vedova, Caterina, favorisce il massacro di più di 15.000 Ugonotti (protestanti francesi in aspra lotta coi cattolici) che avviene il24 agosto 1569, durante una cerimonia nuziale. La tragedia passerà alla storia come "la notte di S. Bartolomeo".

Il protagonista della mia conversazione appartiene ad unafamiglia di antica ma modesta nobiltà, i du Plessis, prove-nienti dalla Turenna e residenti in un piccolo villaggio: Richelieu. Questo sarà il nome col quale verranno cono-sciuti tutti i discendenti di François du Plessis, padre delnostro futuro cardinale. François è costretto all'esilio in Po-lonia, per aver ucciso un vicino a causa di banali motivi. A Varsavia conosce Enrico di Valois e lo aiuta a rientrare inFrancia ed a diventare re, nel 1574, col nome di Enrico III.Ma, il 1° agosto 1580, Enrico III viene pugnalatoed ucciso da un monacofanatico. François di-sarma ed arresta il frate epassa al servizio delnuovo re, Enrico IV. Unafebbre violenta si portavia François a soli 42anni, nel 1599.Egli lascia 3 figli maschi:Henri, che eredita titoloed averi, Alphonse, cheseguirà la carriera eccle-siastica, ed Armand, de-stinato alla vita militare.Quest'ultimo nasce a Pa-rigi il 9 settembre 1585. A 12 anni entra nel famoso collegioNavarra della capitale, dove si distingue per la facilità e ra-pidità di apprendimento. Ma il fratello Alphonse, nominatovescovo giovanissimo, rinuncia alla mitria. Armand ne oc-cupa il posto, si reca a Roma ove è accolto benevolmenteda papa Paolo V e da molti cardinali. Non ancora ventitre-enne è consacrato vescovo e nominato dottore alla Sor-bona.Il re Enrico IV, nel 1598, promulga l'Editto di Nantes, nelquale si riconosce agli Ugonotti libertà di culto ed il pos-sesso di alcune piazzeforti. In seconde nozze, Enrico IVsposa Maria de Medici. Il 14 maggio 1610 il re viene as-sassinato da un pazzo fanatico, Ravaillac, subito arrestatoe sottoposto ad un orribile supplizio. Il nuovo sovrano, Luigi XIII, è molto giovane e si occupain prevalenza di andare a caccia.Sua madre, la vedova Maria de' Medici, si fida di consi-glieri malvagi che minacciano l'autorità reale. Il capo deicongiurati, tale Concini, viene eliminato per decisione delre. Richelieu deve attendere parecchi mesi prima di esserenominato ministro, nel 1616.Maria de' Medici, nel novembre 1630, tenta di estromettereRichelieu, ma costui, col consenso del re, costringe la so-

Luigi XIII, re di Francia, con accanto il suo ministro il cardinale Richelieu

Ministro e consigliere del re

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Gli incontri del Lunedì

NOI E I VULCANI Soltanto nemici?

Nei tempi antichi, una diffusa credenza comune a vari popoli vedeva nei vulcani luoghi ove oscure divinità sotterraneeerano impegnate a trafficare con il fuoco e a produrre fulmini da usare per l'occasione nel corso di sagre paesane,divinità che, quando litigavano tra loro, producevano scuotimenti del terreno che potevano raggiungere anche la

superficie. Moderni studi hanno dimostrato che gli antichi avevano ragione solo in parte, in quanto, pur cogliendo il concettodi base secondo cui le profondità della Terra sono il dominio del calore e dell'energia, avevano trascurato di indagare più afondo sul fenomeno, sorvolando sul fatto che sotto i vulcani sicelano immense masse di materiale fuso e caldo chiamate"magmi". Naturalmente i geologi moderni non si sono fermati a questascoperta, ma hanno cominciato a indagare sull'origine deimagmi stessi, su come si formano e si muovono e sul motivoper cui aree particolarmente ricche di magmi e vulcani sianospesso distribuite lungo estesi archi di isole, catene di monta-gne, fosse oceaniche e luoghi di elevata attività sismica. Tali coincidenze hanno portato gli studiosi a ipotizzare l'esi-stenza di un singolo motore geologico di rilevanza planetaria,azionato da energia e calore, di sufficiente potenza e persi-stenza nel tempo, in grado di erigere intere catene di montagne,spingere a grandi profondità le fosse oceaniche, sca-tenare terremoti e far nascere intere popolazioni divulcani: il tutto nello stesso tempo e luogo. Vulcani eattività sismiche hanno trovato così una comuneorigine che richiede di essere esplorata se si vuolecomprendere a fondo il fenomeno.Ma, come e quando i vulcani esplodono? Sono peri-colosi? E se sì, come possiamo salvarci di fronte a fe-nomeni esplosivi di grande potenza?Sappiamo che, in taluni casi, delle nubi ardenti fuoriu-scite dal cratere di alcuni vulcani hanno ucciso mi-gliaia di persone in pochi istanti, per cui possiamoaffermare con assoluta certezza che con i vulcani non si scherza e che l'unicavia di salvezza è la fuga, sempre ammesso che i segni premonitori conce-dano tempo sufficiente per consentire l'evacuazione immediata di tutte lepersone esposte a rischio. E' chiaro che, quando si rende necessario evacuarein breve tempo grandi quantità di popolazione, è indispensabile disporre diun piano esecutivo già preparato, attuato nella componente preliminare neiminimi dettagli e conosciuto da tutte le persone a rischio, in modo che cia-scuno, attenendovisi strettamente, possa mettersi in salvo senza ostacolarei movimenti degli altri.Ma le nubi ardenti sono l'unico evento in grado di minacciare la vita dellepersone che vivono in prossimità dei vulcani? Certamente no! Ci sono colate di fango di enormi proporzioni (lahars) che,durante l'eruzione, irrompono a valle lungo i fianchi del vulcano, comepure le onde anomale dette tsunami, che possono colpire a distanze di mi-gliaia di chilometri dal vulcano che le ha generate, onde anomale di talepotenza da distruggere interi segmenti di coste continentali. E ancora, l'attività dei vulcani è in grado di modificare la composizionechimica e fisica dell'atmosfera, così da provocare significativi cambiamenti climatici a livello planetario? Nel passato geologico sono stati osservati importanti cambiamenti climatici e identificate le loro cause?E' questa sicuramente una questione di estrema importanza che merita di essere esplorata, in modo da poter disporre di tuttigli elementi utili per prendere le decisioni adeguate in fatto ambientale.I vulcani però non sono sempre così cattivi e perversi come può sembrare. Spesso costituiscono fonti di energia e calore chenoi possiamo utilizzare mediante impianti sicuri e di semplice concezione ingegneristica, capaci di erogare enormi quantitàdi energia elettrica geotermica, come nel caso di Larderello in Italia, come pure grandi quantità di calore ad alta temperatura,con cui vengono riscaldate le case, ad esempio quelle islandesi.

Frank Gentile

Napoli, Vesuvio

Larderello, colonne di vapori bianchi, acqua che ribolle,un panorama suggestivo da superficie lunare.

Hawaii, eruzione del vulcano Kilauea

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VIAGGIO IN ANTARTIDE

La mia non vuole essere una vera e propria conferenza,ma un racconto della fantastica esperienza che ho avutola fortuna di fare in Antartide.

Attraverso le mie foto montate in video cercherò di accompa-gnarvi in uno dei posti più belli e remoti del pianeta.Perchè in Antartide? Perché l’uomo ha deciso di spingersi fino all’estremo Sud delnostro pianeta?Perché la curiosità e lo spirito di avventura e scoperta è insitonell’essere umano.Ma soprattutto, a che cosa serve un vigile del fuoco in Antartidedove tutto è ricoperto di ghiaccio?Vi dirò con sincerità che la stessa domanda me la posi io stessoquando lessi la richiesta di candidati per la spedizione. Poi miinformai e decisi che dovevo partecipare.

L’Italia è presente in Antartide da ben trentadue anni. Oggi è in corso la XXXIIspedizione. I lavori di costruzione della base permanente iniziarono nel 1985. Sichiama MZS - Mario Zucchelli Station in memoria di un dirigente ENEA che ha for-temente voluto l’Italia in Antartide. Vi si effettuano ricerche ed esperimenti a caratterescientifico, perché in Antartide si può solo fare “ricerca scientifica”, grazie ad unTrattato Antartico stipulato da tutte le nazioni che sono presenti con basi.Da svariati anni presso la base, vi è la presenza di Vigili del Fuoco, di militari dellaMarina, dell’Esercito e dell’Aeronautica Italiana, perché il trattato permette l’uso dimilitari, solo a scopo pacifico. Infatti ognuno di questi corpi ricopre uno specificocompito.La Marina si occupa della gestione e conduzione delle imbarcazioni per permettereai ricercatori di andare in mare. L’Esercito con le sue Guide Alpine accompagna i ricercatori fuori dalla base presso iCampi Remoti, ossia gli accampamenti lontani dalla base anche parecchie ore di volo. L’Aeronautica si occupa di gestire i voli che giornalmente si effettuano dalla base,oltre alle previsioni meteorologiche, che in Antartide hanno una particolare importanza.

I Vigili del Fuoco si occupano della sicurezza. Dispongono didue mezzi antincendio che vengono utilizzati durante le opera-zioni di rifornimento dell’aeromobile che, due volte a settimana,atterra sul Pack per portare viveri, attrezzatura e personalescientifico. Uno dei mezzi antincendio funge anche da auto-mezzo di soccorso generico, proprio come le nostre autopompecittadine.Il mio compito istituzionale presso la base era di gestire e co-ordinare la squadra di emergenza, formata da personale ENEAdebitamente formato presso le nostre scuole antincendio diRoma.La mia seconda occupazione era la gestione del carburante edil rifornimento degli elicotteri (4) e dei piccoli velivoli (2) pre-senti in base. Pur non essendo il mio compito istituzionale, eral’attività che più mi impegnava durante la giornata lavorativa

che durava 12 ore, dalle 7.00 alle 19.00, senza giorni di riposo, e soprattutto senzamai vedere il buio. Infatti la base italiana è aperta da metà Ottobre a metàFebbraio, l’estate antartica. Le temperature vanno dai -25°gradi di Ottobre agli 0° di Natale, per poi ritornare ai-20° a Febbraio, il tutto in assenza di vento: in tal caso si scende drasticamente ai -40°. Durante l’inverno antartico nella base le temperature scendono fino a -60°, mentrepiù all’interno del continente dove abbiamo una base in collaborazione con i Francesie dove sono presenti ricercatori per tutto il periodo dell’anno, le temperature nell’in-verno raggiungono i -80°.

Andrea Cavalleri

All’estremo Sud del nostro Pianeta

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Gli incontri del Lunedì

Foto di A. Cavalleri

Il suo ultimo libro "Dogo. Una delicata storia d'amore", Silvana Scanagatta detta Sissi, l'ha presentato nella gra-ziosa palazzina dell'Associarma, una testimonianza dellavecchia Legnano, che non c'è più: era, infatti, una dipen-denza del Cotonificio De Angeli Frua, abbattuto negli anniSessanta. E a quegli anni ci riconduce in parte anche la vi-cenda del romanzo che Sissi ha composto con una modalitàinsolita, che è già in sé una delicata storia d'amore.Perciò il libro va letto tenendo presenti due livelli: quelloletterale e quello sottotraccia. Infatti la stesura del libronasce dal rapporto affettivo tra Sissi e il marito, così pro-fondo da far nascere in lei l'idea di un simpatico gioco in-tellettuale, pensato proprio per tener vive le passioni e lecompetenze che avevano animato la vita di Gualtiero, gior-nalista e scrittore: comporre insieme un romanzo che i dueelaboravano di giorno in giorno in un gioco di rimandi eche Sissi poi trascriveva e arricchiva.Così Sissi è rimasta accanto al marito, con lo stesso immu-tato sentimento anche nei lunghi anni della sua malattia ma in un modo esemplarmente creativoed originale. Nella trama del suo ultimo romanzo incentrata sulla vicenda di due antichi innamorati, che si ri-trovano inaspettatamente in una casa di riposo, Sissi ha inserito le passioni che hanno accompa-gnato la vita del marito e che lei ha fatte anche proprie, come il volo e il tennis, con unacompetenza ed una ricchezza d'informazioni che stupiscono piacevolmente.Nel discorso di presentazione del suo ultimo lavoro, mi ha molto colpito il modo in cui Sissi ha sa-puto motivare con ammirevole lucidità e chiarezza, le finalità del suo impegno. L'autrice, infatti,intendeva dimostrare con questo dono estremo d'amore e di dedizione, che anche chi è anziano,chi è molto malato, invece di trascorrere il suo prezioso tempo ultimo nel rimpianto e nella tri-stezza può estrarre dalla sua esperienza di dolore frutti preziosi. Sissi lo sintetizza in una citazioneautorevole di Aristotele "La materia che giace, sta, assorbe e rielabora in autonomia".Non ha perciò abbandonato alla nostalgia del passato la coppia anziana (ma giovanissima nei sen-timenti) protagonista del suo libro, ma l'ha guardata misurarsi con il presente, con le sue "novità",con le giovani generazioni, a cui trasmettere un dono prezioso capace di fornire una guida sicura:la certezza che il bene che si è fatto e si fa per amore può dare la speranza di un futuro migliore,perchè più ricco di umanità.

Nuccia Razzini

Una delicata storia d’amore

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Biblioteca e dintorni

L’ALBERO DI NATALE

Quando mi fu chiesto di parlare dell'albero di Natale in occasione degli auguri perle feste natalizie, il primo pensiero che mi venne fu che si trattava di una tradi-zione nordica, abbastanza recente per noi italiani che siamo orgogliosi di secoli

di storia, di una lunga tradizione cattolica, di arte che il mondo ci invidia, tanto da renderciun po' "supponenti" nei confronti di tradizioni che non abbiano perlomeno qualche mil-lennio....invece..Alla ricerca delle fotografie più sensazionali sugli alberi di Natale nei vari Paesi, mi si èaperto un mondo che solo parzialmente intuivo, estremamente affascinante e pieno disignificati che mi ha spinto ad approfondire la storia di questa tradizione che superficial-mente consideravo come una moda "importata".Gli alberi, soprattutto i più possenti e longevi, sono sempre stati considerati, sin daglialbori dell'umanità e in tutte le religioni arcaiche, il simbolo della vita che travalica l'im-manente per raggiungere il trascendente. Il pino è il più rappresentativo di questo sim-bolismo perché, oltre ad essere sempre verde, i suoi frutti, le pigne, possono conteneresia elementi maschili sia femminili presenti sul medesimo albero, dimostrazione tangibiledella vita che continua attraverso la riproduzione.

Oggi, oltre al presepe, l'albero Natale è una delle più diffuse usanze natalizie, ed è curioso il modo con cui si è affermata. Si narra che San Bo-nifacio, nato in Inghilterra intorno al 680 e noto per l'evangelizzazione delle popolazioni germaniche, con alcuni discepoli si recò in una raduradove i pagani, riuniti presso la "Sacra Quercia di Tuono di Geismar", stavano per fare un sacrificio umano in onore del dio Thor. Irruppe nelgruppo lanciando una croce e gridando "la croce di Cristo spezzerà il martello del falso dio Thor". Presa una scure cominciò a colpire l'alberosacro. Un forte vento si levò all'improvviso, l'albero cadde e si spezzò in quattro parti. Dietro l'imponente quercia stava un giovane abete verde.San Bonifacio si rivolse ai pagani e disse: "Questo piccolo albero, un giovane figlio della foresta, sarà il vostro albero sacro per questa notte. Chequesto sia chiamato l'albero di Cristo bambino. Riunitevi intorno ad esso, non nella selva, ma nelle vostre case; là non si compiranno più riti disangue, ma doni d'amore e riti di bontà". Bonifacio riuscì a convertire i pagani e il capo del villaggio mise nella sua casa un abete sui cui ramipose delle candele.Questo racconto è molto suggestivo e intrigante ma la nostra mente ha bisogno di argomenti più concreti e allora ci rivolgiamo ai documentistorici. Sembra che l'albero di Natale, come lo intendiamo noi, sia nato in Estonia nel 1441, quando fu eretto un grande abete nella piazza delMunicipio, attorno al quale giovani, uomini e donne, ballavano insieme alla ricerca dell'anima gemella. Questa usanza viene ripresa in Germania:una cronaca di Brema del 1570 racconta di un albero che veniva decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta. Un'altra cronaca di Salisburgoannota che nel 1605: "per Natale i cittadini si portano in casa degli abeti, li mettono nelle stanze ornandoli con rose di carta di vari colori, mele,zucchero, oggetti similoro".É ormai accertato che il grande successo che questa tradizione ha avuto in Europa è iniziato quando, nel 1841, la regina Vittoria sposò il principeAlberto di Sassonia, che introdusse a corte l'usanza tedesca dell'albero di Natale.Facile fu la sua diffusione in Inghilterra e da lì in tutte le corti europee. Anche la regina Margherita, la moglie del Re d'Italia Umberto I°, feceallestire al Quirinale un albero di Natale sontuosamente adornato. Si trattava di una novità, piacque moltissimo e divenne di casa tra le famigliearistocratiche italiane.E in ambito ecclesiastico? La Chiesa aveva ormai superato l'iniziale diffidenza presente nel medioevo e vide anch'essa nell'albero un simbolo dirinnovamento tanto da far dire a Papa Ratzinger "Il Signore è presente: così sapevano e credevano i nostri antenati; perciò gli alberi devono an-dargli incontro, inchinarsi davanti a Lui, diventare una lode al Signore".Il primo albero di Natale eretto in piazza San Pietro, circondato dalla bellezza dello splendido colonnato del Bernini, fu sotto il pontificato diGiovanni Paolo II° a cui fu regalato da un suo conterraneo che lo portò dalla Polonia a Roma con un camion. Da allora anche altri Paesi feceroa gara nel regalare al Papa l'abete di Natale. La tradizione continua e sotto l'albero vengono allestiti splendidi presepi, dono anch'essi di Paesio associazioni che vogliono ricordare avvenimenti particolari.

Pierantonio Sinelli

L’albero, come simbolo della vita, è presente in tutte le religioni arcaiche

L’ALBERO DI NATALE

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Gli incontri del Lunedì

1 - Puer natusArmonizzazione Gianni Malatesta

2 - Adeste fidelesArmonizzazione Gianni Malatesta

3 - Stille nachtArmonizzazione Gianni Malatesta

4 - Fate la ninna nannaArmonizzazione Paolo Bon

5 - Mezzanot de NatalArmonizzazione Piero Soffici

6 - PastoriParole e musica di Bepi De Marzi

7 - Bianco NataleArmonizzazione Gianni Malatesta

8 - Jingle bellsArmonizzazione Gianni Malatesta

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Centro Parrocchiale S. MagnoLegnano

Lunedì, 19 Dicembre 2016ore 15,00

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Gli incontri del Lunedì

Adorazione dei Magi: dipinto a tempera e oro su tavoladi Gentile da Fabriano, datato 1423 e conservato allaGalleria degli Uffizi di Firenze. L'opera è stata firmatasopra la predella: "OPVS GENTILIS DE FABRIANO"

Primo lungometraggio del giovane regista sloveno Rok Biček (30 anni), ClassEnemy è un film che parte dal microcosmo scolastico per affrontare unaserie di tematiche legate a una società sempre più alla ricerca di se stessa.

L’idea nasce da un’esperienza personale del regista, il suicidio di una ragazza chefrequentava il suo liceo e che scatenò la ribellione di una classe.Attraverso la riproposizione parziale di quanto avvenne realmente, emerso inseguito a un attento lavoro di analisi basato anche sulle interviste ai compagnidella giovane, Rok Biček si focalizza principalmente sul concetto di gruppo, esa-minandone lo sfaldamento dovuto in gran parte alle differenze sociali e all’esserecontinuamente soggetti all’individualismo. Con uno sguardo calibrato ma al contempo in grado di suscitare emozioni, il re-gista, nonostante la giovane età, riesce a ridurre lo scarto generazionale, inter-pretando con grande efficacia i punti di vista sia degli studenti che degliinsegnanti e dei rappresentanti della scuola in quanto istituzione. Il suicidio è il punto di non ritorno, il motore che porta alla reazione e all’emer-gere di una serie di frustrazioni sopite, pronte a deflagrare. Non è uno scontrotra ragazzi e adulti quello rappresentato, è più una lotta di tutti contro tutti, comeemerge da una frase pronunciata da uno studente asiatico: “Gli sloveni, se nonsi ammazzano da soli, si ammazzano l’un l’altro”.

A trionfare è, infatti, la logica della ricerca e dell’emarginazione del colpevole, una regola che sembra conforme non soltantoall’ambiente di riferimento, bensì alla stessa società. Robert, l’insegnante autoritario e portatore di una cultura di matricetedesca, appare inizialmente il capro espiatorio più idoneo, il colpevole perfetto. In realtà è semplicemente l’elemento esternoche ha portato alla luce i conflitti e che ha smascherato la classe. Il suo concetto di insegnamento, ancorato alla tradizione, ha come principale obiettivo quello di formare i ragazzi, di condurli auna scelta nella loro vita, di farli crescere. Questo perché “essere uno studente non è un diritto ma un grande privilegio”. Nel tratteggiare questa figura, come con gli altri personaggi, Rok Biček mantiene la giusta distanza: non la demonizza né santifica,semplicemente si limita a raccontarla nelle sue convinzioni ed eventuali contraddizioni. La scuola diventa la palestra della vita, una tappa fondamentale nel percorso di crescita di ciascuno individuo. Class Enemy mette in evidenza come non esistano delle scelte giuste o sbagliate e nemmeno delle soluzioni. Il sistema, controil quale si scagliano alcuni studenti, non è nient’altro che un meccanismo freddo, quasi matematico, che non è pronto ad acco-gliere alcuna lamentela e che non può essere modificato. E questo vale non solo per la scuola ma, su scala più ampia, anche perla Slovenia stessa (tra i primi tre Paesi al mondo per numero di suicidi). Allontanandosi da una qualsiasi presa di posizione, ilgiovane regista riesce così a realizzare un film che pone molte domande e che invita a riflettere sulla deriva che sta ammorbandola nostra società. Professori e alunni: un binomio che ha da sempre affascinato il cinema che, più volte nel corso della sua storia, è tornato a ri-flettere sul mondo della scuola. Class Enemy è quindi uno dei punti di arrivo di un lungo viaggio, destinato a proseguire anchein futuro. A cura di Flavio Giranzani

CLASS ENEMYLa scuola come microcosmo sociale

Locandina del film Class Enemy

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Gli incontri del Lunedì

RUBENSE LA NASCITA DEL BAROCCO

La conferenza focalizza l'attenzionesulla mostra "Rubens e la nascita delBarocco" al Palazzo Reale di Milano,

visibile sino al 26 Febbraio 2017, allargandola visione ad altre opere, non in mostra mafondamentali, per comprendere l'apporto delpittore fiammingo al Barocco.

Pieter Paul Rubens nasce nel 1577 da famiglia fiamminga in Germania, a Siegen, dove il padre avvocato calvinista trova rifugio per sfuggire alla perse-cuzione spagnola contro i protestanti. A 12 anni, alla morte del padre, torna conla madre ad Anversa, riceve una educazione umanistica e si converte al cattoli-cesimo. Fa apprendistato di pittura in bottega e a 21 anni è "libero maestro". Nel 1600 viene in Italia, rimanendovi per otto anni. Prima è a Venezia dovestudia Tiziano, Veronese e Tintoretto, poi presso il duca Vincenzo I° Gonzagaa Mantova nel ruolo di pittore di corte che conserva fino alla fine del suo sog-giorno italiano. Arricchisce la sua cul-tura figurativa studiando la collezionedei Gonzaga e copiando opere famose. Soggiorna tre volte a Roma, dove copiamodelli di Michelangelo e Raffaello,studia le sculture greco-romane, maguarda anche alla coeva produzione ar-tistica di Carracci e Caravaggio, le duefigure che dominano la scena pittoricaromana agli inizi del '600. Soggiorna inaltre città italiane (Firenze, Genova,ecc.) e in Spagna.Rientra nel 1608 ad Anversa dovemuore nel 1640: mentre non torna piùin Italia, sarà in altri paesi europeianche con incarichi diplomatici. La sua produzione, che conta quasi unmigliaio di opere, sarà guardata e stu-diata in Italia dai protagonisti del nascente Barocco: lo stile dinamico e coinvolgente che in pittura nasce a Roma verso il1630 coi lavori di Giovanni Lanfranco e di Pietro da Cortona, che raccolgono e sviluppano una serie di fermenti culturali,tra cui le suggestioni scultoree di Bernini e, appunto, quelle pittoriche di Rubens.L'esposizione si basa soprattutto su un confronto tra le opere di Rubens e quelle sia dei grandi maestri dell'antichità eitaliani che l'hanno preceduto, sia dei successivi esponenti di rilievo del nostro primo Barocco. Non é proposto un percorsocronologico bensì un percorso tematico sviluppato in quattro sezioni:

1 -Nel mondo di Rubens: comprende ritratti di famigliari, di committenti e, come modelli di riferimento, di "teste di carattere”.2 - I santi come eroi: pittura sacra e Barocco. Le figure sacre ed i loro ambienti sono spesso trattati con grandiosità edorientati ai principi della Controriforma. Fondamentali sono i lavori per l'altare maggiore della Chiesa Nuova di SantaMaria in Vallicella a Roma terminati nel 1608. Esemplare l'Adorazione dei pastori.

3 -La furia del pennello: l'idea che rimanda la pittura di Rubens, e che ritroviamo nel Barocco, é quella di una visione uni-taria e concitata in cui si può sacrificare il dettaglio in favore di un effetto d'insieme, in cui conta la velocità di lettura edi esecuzione. Scene con cavalli e cavalieri, così come con soggetti mitologici e storie di santi, sono composti secondoun dinamismo irrefrenabile ed un movimento vorticoso.

4 -La forza del mito: mediante i soggetti profani (mitologici, della storia e biblici) Rubens mette in scena una complessarivisitazione del passato. In particolare emergono le figure di Ercole, Sansone, Romolo e le bellezze muliebri. Nellacelebre volta di Palazzo Barberini a Roma, Pietro da Cortona più tardi orchestrerà oltre cento personaggi in scene cheevocano la grandiosità del mito e della storia di Roma, unite nel trionfo della provvidenza e della religione, nella visioneunitaria di un passato reinterpretato al presente in accordo con il sacro. Fabrizio Rovesti

Rubens, autoritratto (1623)Windor Castle collection

Ritratto della figlia Clara (1618)Collezione Principe di Liechtenstein,

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Milano - Palazzo Reale

Gli incontri del Lunedì

Il giovane regista romano FrancescoMunzi, in questa sua “impresa”, na-sconde un "trucco": il racconto dal "di

dentro". Ci sono delle terre e delle genti che, più dialtre, non si lasciano raccontare facilmente.La Calabria e la sua gente sono fra queste.Non nel senso dispregiativo del termine, nelsenso "chi la fa, l'aspetti". No. Non si fidano, da sempre. Perché dasempre chi avrebbe dovuto difenderli nonera neanche "altrove", era "dall'altraparte".Una "malfiducia" (e non "sfiducia": questaimplica una rassegnazione se non buona al-meno non carica della rabbia feroce dei mal-fidati) atavica, che affonda giustificatamentele sue radici nelle vicende storiche e socialidi questa terra. Ora il racconto, nella sua ac-cezione più alta, per essere taledeve essere credibile, quindi vero-simile, così inteso quindi non puòprescindere dalla conoscenza.La Calabria è forse la regionemeno raccontata perché la più“sconosciuta” d'Italia.Per poterla conoscere penso oc-corra spostare le coordinate clas-siche del reportage dall'alto ecollocare il racconto all'interno diquello stesso mondo. Questa po-trebbe essere una via. Magari nonl'unica. E' quella che, però, ha certamente in-trapreso il quarantaseienne registaFrancesco Munzi (Samir, Il resto della notte) quando hadeciso di girare Anime Nere.Munzio, romano, coraggiosamente racconta filmicamente laCalabria. Ma la racconta "da dentro", ricorrendo all'omo-nimo romanzo di Gioacchino Criaco, da molti consideratoil più attento storico dell'Aspromonte, scrittore calabrese, diAfrico, avvocato, con un fratello prima latitante, ora rinchiusoin un carcere di massima sicurezza.Il film riassume una storia di sangue e soprattutto di legamidi sangue.Poco si parla della vita malavitosa, e quindi di ’Ndrangheta,che pure é inequivocabilmente presente e anzi guardata conlucida serietà, tanto da essere dislocata dagli scenari più con-

ANIME NERERaccontare la Calabria

venzionali, prima Amsterdam, poi Milano,e solo successivamente l'Aspromonte. Di più, invece, l'attenzione del regista si fo-calizza sull'animo umano, su quegli anfrattidell'animo umano dove si cela il dolore, sicova il rancore, si annida il rimorso, si con-serva il ricordo: le anime nere della gented'Aspromonte, impenetrabili ed impermea-bili uomini di campagna, che hanno dedicato,e forse anche sacrificato, la vita al malaffare,ombre a cui la luce solare é sconosciuta.Come coagulare cinematograficamente que-sto racconto fatto di conoscenza profonda?Non certo con uno scontato gangster movie,ma intelligentemente con un noir; un noir incui immergere suspense, realismo e denunciain tonalità atemporali e fatalistiche, mitiche esimboliche come nella migliore tragediagreca. In lingua calabra, con necessari sotto-

titoli, a sottolineare la veridicità ela crudeltà del racconto. Perché se non sono veri i perso-naggi, sono vere e cruente le si-tuazioni e le circostanze narrate.Vero il rapporto nelle terre di'Ndrangheta tra cultura arcaica ele tentazioni della modernizza-zione (soldi, droga). Vera, in queste terre, l'incapacitàdello Stato e della Legge, disprez-zati nei loro rappresentanti, di me-diare politicamente in terminilegali. Vera l'eco, sempre presente ed inagguato, di un destino che sente

solo le ragioni del sangue e della vendetta.L'opera di Munzi ha ben poche sbavature, dalle musiche,alla bellissima fotografia, al montaggio, tutto è funzionale allastraordinaria ed incisiva linea registica. Innegabile.La riuscita del film sta però tutta nella sua sceneggiatura. Unasceneggiatura di ferro che trova il suo fondamenteo nel ro-manzo da cui é tratta (annosa questione questa, anche tramembri storici del direttivo del nostro Cineforum) e che rendemerito del finale, un colpo al cuore.Se é vero che il sangue é difficile da lavarsi, né con acqua nécon altro sangue, allora bisogna distruggerlo, annietarlo.Soprattutto se é malato.

A cura di F. Giranzani, E. Piro, A. Magistrali

Locandina del libro da cui è statotratto il film di Francesco Munzi

Luciano, in una delle ultime scene del film

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Gli incontri del Lunedì

Nuccia: Quando Paolo ha cominciato a manifestare interesse per l’arte?Alba: Già da ragazzo e poi soprattutto durante la lunga convale-

scenza seguita ad un incidente occorsogli mentre prestava ilservizio militare di leva, Paolo iniziò a dipingere, raffigurandoquei paesaggi di montagna, che aveva frequentato fin da bam-bino nei campeggi Tosi e poi seguendo il padre, appassionatoescursionista e sciatore. Nei tempi eroici del dopoguerra, pur diraggiungere la domenica i campi innevati di Alagna, Macu-gnaga, Gressoney, il papà di Paolo aveva promosso un gruppoautorganizzato, che vi si recava con un camion.

Nuccia: Quindi Paolo iniziò con la pittura ad olio, Frequentò qualchecorso per imparare le tecniche?

Alba: No, lo fece da autodidatta, cercando di riprodurre con realismoforme e colori di quei paesaggi che tanto amava. Dopo il matri-monio nel 1966, però, assorbito dal suo lavoro di disegnatore,abbandonò gli hobby artistici, ma non quelli sportivi.

Nuccia: Però cominciò ad appassionarsi alla fotografia.Alba: Fu a causa dei viaggi, che in quel periodo cominciammo ad ef-

fettuare con un piccolo gruppo di conoscenti.Nuccia: E tu poi utilizzasti quelle foto, insieme a tue ricerche, per comporre

ricchi album su quei viaggi indimenticabili.Alba: Fu il pensionamento a riportare Paolo verso l’arte. Si iscrisse al

primo corso d’incisione, che Pinciroli propose in UALZ nel 2004e si dedicò subito con impegno e pazienza ad incidere le lastrinedi zinco con le tecniche della punta secca prima e poi dell’ac-quaforte e dell’acquatinta.

Nuccia: Tu lo hai sempre affiancato in quest’attività?Alba: Insieme cercavamo i soggetti per le incisioni. Paolo mi orientava

sulla tipologia e sulle caratteristiche del soggetto ed io eseguivoil lavoro di ricerca, partendo dalle foto e dai quadri eseguiti daPaolo, ma esplorando anche libri, cartoline...

Nuccia: Hai poi anche raccolto in un catalogo le riproduzioni delle sueopere. Quante ne hai selezionate?

Alba: Circa 120.Nuccia: Come hai scelto quelle da esporre in questa mostra UALZ?Alba: Sia pensando ai soggetti a cui Paolo era più affezionato, sia va-

lutando, secondo il mio personale gusto, quelli in cui mi parevache fosse riuscito ad esprimersi più efficacemente.

Nuccia Razzini

Ho rivisto con piacere le incisioni di Paolo Marinoni nella mo-stra in sede di Dicembre: una piccola mostra, un piccolo“assaggio” dell’ampia produzione di Paolo, che, comunque,

consentiva di apprezzare la varietà dei soggetti, l’equilibrio dellecomposizioni e soprattutto la sensibilità del segno, capace di tra-smettere con immediatezza l’atmosfera dei paesaggi, specialmentedi quelli invernali o nordici.I visitatori l’hanno percepita: i loro commenti l’hanno ben testimo-niato. Perciò, dal momento che molti di loro non hanno conosciutopersonalmente Paolo e ne chiedevano notizie, ho intervistato bre-vemente su di lui Alba Toté, che non solo ne è stata la moglie perquarantatré anni, ma che lo ha affiancato e sostenuto nella sua at-tività artistica.

Mostre in Sede Le incisioni di Paolo Marinoni

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Borgo riflessoAcquatinta - 2006

Il Naviglio a BereguardoAcquatinta, 2006

L’INCISIONE VISTA DA UN INCISORE

Ero ancora un bambino quando sfogliando, delle ri-viste d’arte, andavo alla ricerca di “disegni” belli, emi incuriosivano le nomenclature delle tecniche: ac-

quaforte, puntasecca, acquatinta ecc., nomi strani che nonconoscevo e che non avevo la più pallida idea di cosa fos-sero. Ogni tanto capitava la parola incisione. Con gli anni ero sempre più innamorato di quei “disegni “così speciali. Mi ero informato sulle tecniche ma non co-noscevo chi potesse insegnarmele e, dopo anni di studi pit-torici, un giorno mi si presenta un caro amico, anche luipittore, il quale, per convincermi a frequentare un istitutod’arte, mi dice: “Tra i vari corsi c’è pure quello di inci-sione!”E così, appena pronunciata la parola magica, ero già iscrittoe dopo un anno di preparazione alle varie tecniche final-mente il laboratorio calcografico e un mondo mi si è aperto.Quello che comunemente viene chiamata incisione ha lesue origini in Oriente: in Egitto, già nel VII secolo primadi Cristo, con le xilografie, incisioni su tavole di legno: laparte in piano veniva inchiostrata mentre quella incisa no.Ma questa è storia antica; in Europa la tecnica xilograficaviene usata nel 1400 per la produzione di carte da gioco eimmagini religiose.Nella seconda metà del 1400 si iniziò a incidere con deibulini su lastre metalliche e qui inizia la differenza tra l’in-cisone in piano e quella calcografica; la seconda è l’esattocontrario, e cioè l’inchiostro viene raccolto dal tratto incisoe non più in piano. Un’altra grande evoluzione pochi anni dopo, quando graziead esperimenti alchemici, si iniziò ad utilizzare l’acido ni-trico (allora chiamato acquaforte) per incidere non solo ledecorazioni orafe, ma anche le lastre metalliche.

Tra i grandi maestri incisori non si può non ricordare Dürer,il Parmigianino, Agostino Carracci, il Veronese, il Correg-gio, il Canaletto, il Tiepolo, Rubens e Van Dyck, e ovvia-mente Rembrandt che fu uno dei più bravi incisori. Meritosuo se tecniche come l’acquaforte presero vita propriasenza più imitare il tratto preciso del bulino. E come non ricordare Piranesi, uno dei più bravi e produt-tivi incisori della storia, o Goya che, con le sue incisioni,utilizzando varie tecniche, riusciva a rendere magiche lesue visioni.In tempi più vicini ad oggi molti grandi pittori, ma preferi-rei dire grandi disegnatori, si sono dedicati alla calcografia.Tra questi un paio di nomi che non si possono non citare:Picasso e Dalì. Ma questa è solo una piccola parte di storia di un mondoin continua evoluzione, ma che affonda le radici nell’animadi chi si appassiona del tratto, dell’odore degli inchiostri edegli acidi, di chi vuole sporcarsi le mani per raggiungerel’equilibrio tra il bianco e il nero, tra i pieni e i vuoti, e dichi si sente ancora un pò alchimista e si ritrova a sperimen-tare nuove soluzioni. In Italia l’incisione non è apprezzata come meriterebbe, no-nostante ci siano alcuni tra i migliori incisori al mondo.Basti pensare ai francobolli o alle banconote e scopriamol’arte incisoria dei maestri italiani.L’universo UALZ ha il privilegio di avere un laboratoriodi incisione che, con il maestro Pinciroli, eleva ad eccel-lenza quest’arte antica e sempre moderna che non necessitadi colori ma che con tratti o macchie per magia ci coinvolgenel mondo monocromatico dell’incisione pura.

Dario Zalunardo

Paolo Marinoni - Cairo 1839, vecchio acquedottoAcquatinta, 2009

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Notizie dai Corsi

Si inizia con la prepara-zione della lastrache, prima di venire in-

cisa, ha bisogno di esserecarteggiata e lucidata concarta abrasiva per metalli, perottenere una perfetta superfi-cie liscia e a specchio. Segue la smussatura dei latie l’arrotondamento degli an-goli, operazione necessariaper evitare che, nel momentodella stampa, gli spigoli dellalastra lacerino la carta sotto laforte pressione impressa daicilindri del torchio.Si procede poi alla puliturae sgrassatura, operazionemolto importante perché lalastra, anche se toccata conle mani, lascia un velo digrasso sulla superficie chenon assicura il completo fis-saggio della vernicetta de-scritta poi nella fase successiva. Con il bianco di Spagna (polvere abrasiva finissima) si sgrassa tutta la superficie utilizzando un panno carta e suc-cessivamente si sciacqua con acqua, facendo attenzione, quando si asciuga, di non toccarla nuovamente con le mani.Si stende con un pennello morbido uno strato di vernice a base di pece sulla superficie della lastra. Una volta progettato e realizzato il bozzetto su carta, si ricalca il disegno con carta carbone bianca/gialla sul latoverniciato della lastra. Il disegno tracciato va realizzato specularmente. A questo punto, per incidere la lastra, c'è bi-sogno di alcune punte d'acciaio, più o meno sottili secondo il tratto che si vuole ottenere.Si passa alla morsura con acido, fase delicatissima che richiede esperienza sui tempi di immersione per non com-promettere il lavoro L'acido incide il metallo solo dove non è stato protetto dalla mascheratura. Dopo la morsura, la lastra viene sciacquata ed asciugata con un panno carta e si controllano i solchi che l'acido halasciato sul metallo. A questo punto, se il bagno d'acido è risultato completo, si pulisce accuratamente la lastra con unsolvente (acquaragia) e si può fare la prima prova di stampa.Per trasformare l'opera in "acquatinta", si usa la colofonia (pece greca o giudaica). Questa deve essere depositatain maniera uniforme sulla superficie della lastra sgrassata. Successivamente la lastra va scaldata sopra una sorgentedi calore per far raggrumare i piccolissimi granelli di pece. A questo punto, si fanno le mascherature dove non neces-sita l'acidatura. La tecnica continua allo stesso modo dell'acquaforte, con più bagni d'acido fino a quando si creanodelle zone più chiare e più scure. (Paolo, per "Riflessi a New York", ha effettuato ben 15 bagni nell’acido).Con una spatola d'acciaio si prende un quantitativo di inchiostro e lo si lavora per ammorbidirlo aiutandosi con oliospecifico. Riscaldata un poco la piastra, si procede alla stesura dell'inchiostro su tutta la superficie, aiutandosi conuna spatola di plastica, con movimenti incrociati. Si passa il tampone sopra l'inchiostro con movimenti ondulatori, cer-cando di farlo penetrare ancora di più dentro tutte le tracce. Con una spatola di plastica si rimuove l'inchiostro in eccesso e si procede alla pulitura della superficie e dei bordidella lastra, strisciando con giornali e/o con tela di tarlatana col palmo della mano.La lastra è pronta per essere stampata.Tagliata la carta secondo il formato desiderato, la si mette a bagno dentro ad una bacinella d'acqua per almeno 15minuti, e quindi va appoggiata sopra a dei giornal per togliere l'acqua in eccesso. Una volta pulita, la lastra va appoggiata sopra al piano del torchio eseguendo la centratura sulla sagoma predispostain precedenza. Anche il foglio di carta umido va centrato sulla stessa sagoma. Dopo aver posizionato tutto sul pianod'appoggio, la carta, passando in mezzo ai rulli d'acciaio del torchio, con la sua umidità, pesca l'inchiostro dentro aicanalini della lastra e se lo incorpora.L'artista, ultimata la stampa, la mette ad asciugare per almeno 48 ore tra fogli di cartone.Le prove di stampa vengono fatte per vedere l'esito dell'incisione. La tiratura deve portare il numero progressivo e to-tale, con una numerazione in caratteri arabi (es. 15/30) oppure romani (es. XV/XXX). Ogni stampa deve essere firmata dall'artista; avere un titolo e riportare la data dell’incisione: il tutto rigorosamentea matita. A tiratura eseguita, è consuetudine che l'incisore stesso faccia dei segni indelebili sulla matrice (lastra) inmodo da evitare che vengano fatte altre stampe.

Alba Toté

Tecnica della stampa da incisione all'acquaforte e all'acquatinta

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Paolo Marinoni - Lago di Mergozzo - Acquatinta, 2005

Notizie dai Corsi

Era l’a.a. UALZ 2005/2006 quando vidi che nell’elenco, già molto nutrito, dei corsi c’era anche il ballo: liscio, di salae di gruppo. Non ci pensai due volte e mi iscrissi, unitamente alla mia dolce metà. Il corso era tenuto da Rosa MariaIntrieri, plurimedagliata insieme al marito Antonio Altomare (circa dodici volte campioni italiani).

Abbiamo incominciato con molto entusiasmo e passione, ma ballare, come per tante altre discipline, non è facile: ci vuoleorecchio, postura, memoria, etc. Dopo quattro anni di apprendistato coi corsi UALZ arrivò il nostro “esordio” in una gara amatoriale del 2010 dove arrivammoprimi. L’anno dopo partecipammo al tour dei “corsisti” ma non andò molto bene. Nel 2012/2013 vincemmo al tour corsisti(principianti). Nel 2014 passammo in serie C e le cose cominciarono ad essere più difficili, ma non ci scoraggiammo: pas-sione, forza di volontà e sacrificio ci spinsero ad andare avanti. Finalmente il 23 Novembre 2014 vincemmo la prima garadi Coppa Italia a Biella; il 7 Febbraio 2015 la seconda Coppa Italia a Trento: il 24 maggio 2015 la terza Coppa Italia a Gorle(BG), oltre al Campionato regionale a Treviglio (BG) l’8 marzo del 2015.A questo punto ci voleva la ciliegina sulla torta e la ottenemmo a Rimini: primo, secondo e terzo posto combinata nazionale- B sala - B liscio il 7 luglio 2015. Un’emozione e una soddisfazione che non dimenticheremo mai.Nel 2016 abbiamo quasi eguagliato il 2015 vincendo il circuito di Coppa Italia: primi nella “Sala” e secondi nel “Liscio”;primo nella “Regionale” e a Rimini primo, terzo e quarto piazzamento.Per il 2017 non facciamo progetti: comunque vada, va bene.Spero di non avervi annoiato e non vorrei passare per presuntuoso, ma di una cosa sono certo: malgrado le difficoltà ches’incontrano in questa disciplina “Ballare è un modo piacevole di far ginnastica con la musica. E’ anche un modo per in-vecchiare meglio e superare gli acciacchi”..Ciao e l’augurio che tutti trovino in UALZ altrettante soddisfazioni.

Fernando e Maddalena

Cronistoria di due aspiranti ballerini... per caso

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Notizie dai Corsi

Angelo Pincirolipittore legnanese

primo docente di pittura alla UALZ

San Martino di Castrozza, 1962Donato alla UALZ

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Quest’anno mi sono iscritta alla UALZ e, passando nei corridoi dellasede, ho notato due quadri esposti; osservandone i colori e il tipo dipennellata ho subito riconosciuto la mano del papà, Angelo Pinciroli,

pittore e insegnante di materie artistiche nelle scuole legnanesi. Nato nel 1911 e morto nel 1987, ha sempre partecipato attivamente alla vitaculturale della sua città e ha contribuito a fondare, nel 1947, l’AssociazioneArtistica Legnanese.Io e mia sorella Tiziana siamo sempre rimaste affascinate dai racconti della suavita che ci appariva straordinaria, quasi come un romanzo.Proveniva da una famiglia contadina e, non potendo continuare gli studi, hainiziato giovanissimo a lavorare presso la bottega di un sarto. Essendo però do-tato di spiccate doti artistiche e di una vivace intelligenza, fu aiutato e spronatoda alcuni insegnanti a proseguire la sua formazione.

Studiando come autodidatta, si presentò come privatista in pos-sesso della sola licenza elementare e ottenne a pieni voti l’am-missione presso l’Accademia di Brera di Milano, dove studiò e sidiplomò a ventinove anni in condizioni durissime, alternandolavoro, studio e ore al cavalletto. Ebbe come maestri Carpi, Funi,Carrà, Disertori, De Rocchi.Nel corso della sua vita ha assistito alla tragedia delle due guerremondiali, la prima quando ancora era nel pieno dell’infanzia ela seconda vissuta invece in prima persona. Ha combattuto perl’esercito italiano sul fronte greco-albanese, dove gli è stato affi-dato l’incarico di documentare gli eventi come pittore di guerra;tali lavori furono pubblicati nel 1942 nel volume “Artisti Italianiin armi”, a cura del Ministero della Guerra. Successivamente entrò volontario nel CIL (Comitato Italiano diLiberazione), nel corpo dei Paracadutisti, divisione “Nembo”,distinguendosi nella guerra di liberazione, tanto che gli venneattribuita la “Croce di guerra” come riconoscimento dei sacrificisostenuti.

ANGELO PINCIROLI Primo docente di pittura alla UALZ

Sopra: “Autoritratto” (1942)A destra: “Paesaggio marino” (1983)

Donato alla UALZ, esposto in sede

Il ricordo in UALZ del prof. Pinciroli si è conservato duraturo sia attraverso isuoi primi allievi sia grazie alla costante partecipazione alle attività associa-tive di sua moglie, Piera Pagani, iscritta fin dalla fondazione e ancora oggivivacemente ed esemplarmente presente nel Coro e agli Incontri del Lunedì. A lei si è ora aggiunta la figlia Donatella, autrice di questo di articolo.

Pinciroli: “Pittore di guerra sul fronte greco-albanese” (1942)

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Al termine del conflitto ha lavorato come insegnante e ha potutofinalmente dedicarsi alla sua carriera artistica partecipando anumerose mostre personali e collettive nelle più importanti gal-lerie nazionali e internazionali, ottenendo diversi premi.Ha sempre rifiutato l’appartenenza ad una precisa corrente arti-stica e, pur rifacendosi alla tradizione novecentesca, ha sviluppatouno stile del tutto personale, senza rincorrere le mode.La guerra ha rappresentato una “parentesi” drammatica nella suaattività e tornava spesso nei suoi racconti, come noi figlie ancoraricordiamo. Tuttavia il papà, con la sua voglia di cambiamento, hasaputo voltare pagina e meravigliarsi ancora per le bellezze dellanatura, colte con pochi tratti di pennello nei suoi acquerelli, qua-dri “estemporanei, dipinti a diretto contatto del reale nel giro diun paio d’ore” (Augusto Marinoni, 1975).Abbiamo ben impresso nella mente, soprattutto quando eravamoin vacanza tutti insieme, la sua immagine con cavalletto e tavo-lozza che erano per lui immancabili compagni di viaggio, stru-menti preziosi per trasferire sulla tela le emozioni e le suggestionidi un momento, rese ancora più intense, forse, proprio per lo stri-dente contrasto con il ricordo delle atrocità vissute.La sua ampia produzione artistica, tuttavia, non si è limitata a cat-turare le sensazioni di un istante. Moltissime delle sue opere sonostate costruite lentamente, nel suo studio, un piccolo locale nelcentro di Legnano, impregnato del classico odore misto di coloriad olio ed acquaragia, in cui si rifugiava isolandosi dal mondo, trauna sigaretta e l’altra. Noi talvolta facevamo delle brevi incursioniper curiosare e scambiare impressioni sulle sue opere, spesso ca-ratterizzate da un “profondo lavoro di scavo dentro la realtà”(Augusto Marinoni, 1975). Sono nate così opere intense, dipinte con colori ad olio, che ri-flettono lo stato d’animo dell’artista, dalle quali traspare un velodi tristezza e malinconia, il “male di vivere”, come “L’ultimo platano” tutto giocato sui toni freddi del grigio, azzurro e blu, dovesi manifesta il pessimismo nel ritrarre questi alberi spogli, soffocati da una selva di abitazioni.Profondamente sensibile, ha saputo toccare, inoltre, i più diversi aspetti della condizione umana, cogliendo momenti di vitaquotidiana, rappresentando gente semplice dedita al lavoro (pescatori, muratori, spaccapietre...), indugiando con affetto suivolti delle persone a lui più care e sui suoi studenti, per i quali nutriva un interesse sincero. L’insegnamento era la sua seconda passione; infatti diceva sempre: “La scuola per me è stata felicità; felicità di poter insegnareai ragazzi a guardarsi dentro per imparare ad esprimere il loro mondo interiore, i loro ideali; il lavoro dell’insegnante permettedi aprire le menti dei giovani alla comprensione del mondo, del bello e alla possibilità di comunicare, che è quanto di più impor-tante ci sia, poiché l’arte è certamente comunicazione, trasmissione di idee che gli altri possono recepire.”

(De Giovannini: Intervista)

La sua passione per l’insegnamento l’ha portato anche ad accettare, nonostante le ormai precarie condizioni di salute, il ruolodi docente del primo corso di disegno e pitturapresso la UALZ, incarico che ricoprì per due annidal 1985 all’87. Solitario e riflessivo, ha affrontato nelle sue opereanche temi filosofici, come nella complessa operaallegorica “Chi siamo e dove andiamo?”, che rap-presenta la condizione umana raffigurata dallacoppia (in basso al centro) che deve scegliere tra ilbene (Mosé che mostra le tavole dei Comanda-menti, a destra, e Cristo in croce) ed il male (Cainoche uccide Abele, nell’angolo in basso a destra; ipiaceri mondani, simboleggiati dalle danzatrici, inalto a sinistra), tra il passato e il futuro, raffiguratodall’astronauta, nell’angolo in basso a sinistra.Il papà aveva una visione dell’uomo sempre allaricerca della verità e del progresso, combattutotra la razionalità della scienza e la fede religiosa. Uomo del suo tempo, profondamente attento aicambiamenti in atto nella società, attivo nella vitapolitica e culturale della sua città (ritenuta troppoprovinciale e poco stimolante), è stato un intellet- “Chi siamo e dove andiamo?” (1970)

“ Contestazione studentesca a Pavia” (1971)

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tuale che ha voluto con la sua arte tradurre il suo pensiero e la sua concezionedel mondo, seguendone i continui mutamenti. L’arte era quindi vista anche comedenuncia e come stimolo a porsi interrogativi e a soffermarsi con attenzione sullarealtà, ma doveva anche essere capace di esaltare quanto ancora c’è di bello:“E’ ciò che nella mia pittura voglio esprimere come ho sempre fatto, al di là dellemode e delle correnti” – ci ripeteva sempre. Spesso in famiglia commentavamofatti di attualità e il papà sosteneva che nella società contemporanea mancavanole certezze, gli ideali, la fede e la speranza nel futuro.Negli ultimi vent’anni della sua vita, divenne sempre più pensieroso e inquieto,preoccupato e amareggiato per la situazione politica e sociale e per la mancanzadi valori che notava in molti giovani. “Suscettibile ai fermenti popolari e studente-schi, indirizza la sua produzione artistica verso una tematica di contenuto: nasconoperciò opere riguardanti la scuola, i tumulti di piazza, le contestazioni. Opere que-ste di grande valore culturale e pittorico, dove il colore supera il disegno ed esprimelo stato d’animo dell’artista.” (A. De Gregorio) Riaffiora in questi dipinti l’amaro pessimismo di colui che osserva impotente lacomplessa realtà italiana sconvolta da atti di terrorismo, occupazioni studenteschee scioperi di operai in fabbrica. Sicuramente la straordinaria storia artistica delpapà, ricca di sensibilità e frutto di una vita intensa e a tratti difficile, è stata sem-pre vissuta con grande passione e curiosità per tutti gli aspetti della natura umana.

Con il suo esempio ci ha trasmesso l’amore per le bellezze naturali ed artistiche, la dedizione al lavoro e l’interesse per tutti gliavvenimenti della società; la sua dirittura morale, l’amore per la libertà di pensiero e di espressione e l’impegno per il raggiun-gimento dei propri ideali, sono sempre stati per noi la sua “eredità” e il suo più grande insegnamento.

Donatella e Tiziana Pinciroli

L’ultimo platano

“NOCCIOLINO”ovvero “Sciurus carolinensis”

SCIURUS CAROLINENSIS GMELLINFermate lo scoiattolo grigio: Francia e Svizzera contro l'Italia

Il caso dello scoiattolo grigio in Liguria (e non solo) tra verità: e mezze verità e…. inesattezze istituzionali.Questo scoiattolo potrebbe passare fino a 12 o anche 24 ore consecutive in condizione di terrore e di stress estremo a seconda della frequenza dicontrollo delle gabbie trappola. Poi, se ligure, verrà sterilizzato, deportato e costretto all'estinzione forzata; se piemontese o lombardo, verrà uccisocon il gas. Tali trattamenti sono considerati "umani" da alcuni assessori all'ambiente e docenti, universitari, ma questa definizione è corretta soloa patto di precisare che si sta parlando del" loro" concetto di umanità, del tipo di umanità di cui loro sono rappresentanti. Abbiamo l'ambizione diappartenere ad un altro tipo di umanità, quello che considera inaccettabile questo tipo di trattamenti e intende lottare per impedirli.

Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa per la rivista della Ualz; perciò, essendo molto ignorantesu argomenti storici e musicali, ho scelto un tema che mi sta a cuore: amo gli animali e ulti-mamente ho notato nel giardino della Ualz un animaletto, che molti disprezzano e vorrebberoeliminare, perché si dice sia portatore di malattie pericolose per noi umani e anche per altrespecie consimili. Ma “Nocciolino”, così l’ho chiamato, è molto dolce. E’ uno scoiattolo grigio, con macchie ros-siccie. Come mi scorge, mi viene incontro. Guarda subito le mie mani per vedere se ho qual-cosa da mangiare per lui: noci, nocciole, pistacchi o altro. Poi, delicatamente con la boccaprende il cibo e si lascia anche accarezzare.Alcuni mi dicono di non toccarlo: ha la pancia un po’ gonfia e spelacchiata, potrebbe essereammalato. Mi domando se qualcuno sia disposto ad aiutarmi per proteggere questo piccolo essere, chefa tanta tenerezza. Perciò ho cercato delle informazioni sulla sua specie, per poterlo conosceree pormi meglio in relazione con lui. Ho appreso che in Liguria viene catturato perché si ritienesi sia eccessivamente riprodotto e diffuso. Il modo in cui viene trattato è però deplorato daFrancia e Svizzera, come ho letto in un articolo che qui riassumo.Si tratta di animali per lo più diurni, che hanno picchi di attività nelle prime ore del mattinoed al tramonto, mentre passano le ore centrali della giornata in stato di inattività: durante lanotte dormono nei nidi che si costruiscono su grandi alberi alle biforcazioni dei rami, utiliz-zando sterpaglie oppure nelle cavità degli alberi. Non vanno in letargo.

Carla Campagnoli

Lo scoiattolo grigio nordamericano, o scoiattolo grigio orientale per distinguerlo dalla specie occidentale, che ha dimensioni più ridotte e mantello rossiccio, è un mammifero della famiglia degli SciuridiNome scientifico: Sciurus carolinensisPeso: 400 – 600 g (Adulto)Periodo gestazione: 44 giorniLunghezza: 23 – 30 cm (Adulto, Testa e corpo)

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STORIE SEGRETE,

STORIE DIMENTICATE

La Guerra d’Invernoin Finlandia

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STORIE SEGRETE, STORIE DIMENTICATE

propria escalation: prima la vendita di materiale bellico ein particolare aerei, poi la creazione dell’Ufficio Finlandiapresso il Ministero degli Affari Esteri ed infine la missione.

Gli aiuti italiani furono così consistenti da risultare secondisoltanto a quelli svedesi e furono accompagnati dall’inviodi due gruppi di volontari (tecnici e militari): uno di aviatoriincaricati di assistere i finlandesi nell’uso e manutenzionedegli aerei Fiat G.50, l’altro di artiglieri della contraerea.La Regia Aeronautica fu comunque la vera protagoni-sta della missione segreta che cercheremo di ricostruirenella sue fasi principali.

Già dagli anni Trenta le affermazioni dell’arma aerea ita-liana avevano attirato l’interesse internazionale.L’attenzione della Suomen Ilmavoimat (l’aviazione finlan-dese) si indirizzò sul Fiat G.50 Freccia, velivolo presen-tato per la prima volta alla Fiera di Milano nel 1937.Consapevole dell’approssimarsi di un attacco sovietico, laFinlandia fu costretta ad acquistare con la massima urgenzatutte le armi immediatamente disponibili, senza troppo ba-dare al prezzo o alla qualità: le sue forze armate mancavanodi tutto, in particolare di artiglieria pesante, armi anticarroe aerei.Nel 1939, i finlandesi inviarono una missione militare

La guerra d’inverno

Per i caduti delle Termopili

Di coloro che alle Termopili morirono,gloriosa è la sorte, bello il destino,altare la tomba, ricordo prima che lamento, e lode è il compianto.Tal veste funebre né la ruggineoscurerà né il tempo che tutto doma:è di uomini valorosi. Questo luogo sacrosi prese come abitatrice la gloria dell’Ellade.E lo attesta pure Leonida re di Sparta,che gran ornamento di virtù ha lasciatoe gloria eterna.

Simonide di Iuli

La similitudine tra la Guerra d’Inverno e le Termopili fu creata dai contemporanei per sottolineare l’eroismo dimo-strato dai Finlandesi nel combattere contro l’Armata Rossa e rispecchiò il grande impatto emotivo che questaguerra ebbe sull’opinione pubblica mondiale. Questa similitudine tra la guerra russo-finnica ed i Trecento Spartanidi Leonida fu utilizzata tra i primi dal deputato inglese Harold Mac Millan nel 1940.

Spesso la Storia cela avvenimenti silenziosi e segreti cosicché alle volte ci giungono qua e là solo riverberi della loro esistenza.Presso la Farnesina esistono ancora incartamenti che provano fatti della nostra Storia recente anche se, ormai, da ascrivereal secolo scorso.Nelle buste protocollate e titolate vivono in silenzio vicende che hanno coinvolto l’Italia nell’ultimo conflitto. Tra esse unepisodio che, pur segreto, ci onora.

La Regia Aeronautica nella Guerra d’Inverno: dalla missione segreta all’escalation militare

Il 30 Novembre 1939 l’Urss, senza una formale dichiara-zione di guerra attaccò la Finlandia che, con il patto Mo-lotov-Ribbentrop, le era stata assegnata come zonad’influenza.Iniziava così la Guerra d’Inverno, conclusasi il 13Marzo 1940, che impose alla Finlandia, non vinta sulcampo di battaglia ma stremata per la mancanza di uominie mezzi, drammatiche amputazioni territoriali.Molte furono le dichiarazioni di solidarietà pervenute allaFinlandia ma pochi gli aiuti concreti.

In Italia, mentre l’opinione pubblica si mobilitava a favoredella nazione aggredita, la Guerra d’Inverno diede nuovovigore all’antibolscevismo dell’ideologia fascista, spinseverso l’avvicinamento agli anglo-francesi e contribuì apeggiorare i rapporti con Berlino, che erano già in crisidopo l’accordo di Hitler con Stalin e l’attacco alla Polo-nia, interpretato dall’Italia come una violazione del Pattod’Acciaio.

Il governo fascista, che aveva proclamato la “non belli-geranza”, assunse una posizione “anomala”: a dispettodell’alleato tedesco, legato al patto con l’Urss, l’Italia nonsi limitò a manifestare alla Finlandia una solidarietà ge-nerica, ma decise l’invio di aiuti, che ebbero una vera e

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in Italia, nell’ambito del programma di riarmo, per acquistare materiale bellico.I finlandesi furono così positivamente impressionati dalle prestazioni dei Fiat G.50Freccia che sottoscrissero un contratto per 25 velivoli – più 10 aggiunti successi-vamente - firmato il 23 Ottobre 1939 con il consenso del Duce.I venticinque velivoli da consegnare furono prelevati dal XX Gruppo del 52°Stormo Caccia di stanza a Roma.

Trasferiti in volo a Pisa, furono riportati alla C.M.A.S.A (Costruzioni MeccanicheAeronautiche Società Anonima) per essere revisionati e smontati per la spedizione.Gli aerei non partirono tutti insieme. Per i primi due non vi furono problemi di consegna; la consegna degli altri invece subì forti ritardi per il divieto di transitoopposto dalla Germania per cui, dopo varie vicende, alcuni (cheerano bloccati a Sassnitz) furono smontati e inoltrati per ferro-via, attraverso il territorio francese fino al porto di Anversa, edi restanti vennero spediti direttamente via mare dal porto di Li-vorno per ordine del Duce.Giunti in Svezia, gli aerei furono assemblati da tecnici italiania Malmö, Torslanda e Trollhättan, di qui trasferiti in volo aVästeras, località svedese dove venne effettuata la consegna aipiloti finlandesi.Il contratto del 23 ottobre segnò l’inizio di un intenso scambiodi materiale bellico e, nonostante le difficoltà diplomatiche con i tedeschi che siopponevano ad ogni tipo di aiuto alla Finlandia, i vari uffici ministeriali coinvolticoncessero sempre il nulla osta alle forniture. Mussolini autorizzò personalmenteuna maxi-fornitura di materiale e mezzi bellici e il 15 gennaio 1940, per iniziativadel ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, fu costituito l’Ufficio Finlandia chenacque in analogia all’Ufficio Spagna creato in occasione della guerra civile spa-gnola per coordinare gli aiuti ai franchisti.

Di fronte al conflitto russo-finnico, il governo italiano sceglieva dunque di inter-venire con un’azione pianificata, preparandosi ad un’escalation. Il 2 gennaio Ciano annotò nel Diario “Persuado il Duce a lasciar partire volontariper la Finlandia ove abbisognano soprattutto di aviatori da caccia e di artiglieri”La missione di piloti e tecnici per istruire i finlandesi nell’uso delle armi fornite, fuideata da Ciano ma approvata ed autorizzata da Mussolini e può essere ricostruitadai documenti (purtroppo parziali) conservati presso la Farnesina, l’Archivio Cen-trale di Stato e l’Archivio dell’Esercito.Si tratta di una missione progettata prima dell’inizio della Guerra d’Inverno: infattiun rapporto redatto da due militari, probabili agenti del SIM ( Servizio InformazioneMilitare – ebbe fama di straordinaria efficienza e non svolse mai compiti di poliziapolitica assegnati invece all’OVRA), fornisce la prima testimonianza sull’idea diinviare un gruppo di volontari in Finlandia per conseguire i seguenti obiettivi: man-tenere l’equilibrio geo-politico nel Baltico, impedire la diffusione dell’ideologiacomunista, favorire scambi commerciali vantaggiosi per le esportazioni italiane,sperimentare nuovi apparecchi di volo.Emergeva inoltre l’esigenza di tenere segreta l’azione per motivi di opportunitàpolitica.

Per gestire nel modo migliore l’operazione, furono mandati sul fronte di guerra dueufficiali italiani: il maggiore del Regio Esercito Anchisi ed il Capitano GiovanniAlberto Bechi Luserna.I loro viaggi ebbero un significato diverso: Anchisi fu in missione dal 21 dicembre1939 al 13 gennaio 1940, prima della costituzione dell’Ufficio Finlandia e non èanzi da escludere che proprio i suoi rapporti al Ministero abbiano contribuito alladecisione di Ciano di investire di più sugli aiuti creando un ufficio ad hoc.Il Capitano Bechi Luserna, direttore dell’Ufficio Finlandia, svolse la propria mis-sione più tardi, dal 15 al 23 febbraio 1940, quando il fronte stava per essere sfondatodalla massiccia offensiva sovietica, e quindi il suo viaggio rivestì un carattere piùdiplomatico che militare.Anchisi giunse al quartier generale di Mikkeli ai primi di gennaio. Le sue relazionioffrivano un dettagliato resoconto delle condizioni del fronte: la perfetta organiz-

Caratteristiche Aereo: Fiat G.50Costruttore: FIAT/CMASATipo: cacciaMotore: Fiat A.74 RC.38-840CVApertura alare: 10,96 mLunghezza: 7.79 mAltezza: 3,27 mSuperficie alare: 18,15 mq Peso a vuoto: 1975 kgPeso totale: 2.415 kgVelocità massima: 472 km/hSalita a: 6.000 m in 7’30’’Tangenza: 9.835 mAutonomia: 670 kmArmamento: 2 mitragliatrici

Per il divieto di transito opposto dalla Germania, alcuni aerei furono smontati e inoltrati per ferrovia.

La missione in Finlandia era finalizzata a mantenere l’equilibrio geopolitico nel Baltico, impedire la diffusionedell’ideologia comunista, favorire scambi commercialivantaggiosi.

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zazione dell’esercito finnico aveva limitato le perdite di uomini e mezzi contri-buendo a sollevare il morale dei combattenti che erano peraltro motivati dal de-siderio di difendere la patria. Tra i sovietici, invece, si notavanodisorganizzazione e scarsa motivazione.Anchisi metteva in evidenza che il calcolo dello Stato Maggiore finlandese dipoter resistere fino a primavera era condizionato dall’arrivo degli aiuti stranieri.A soffrire era in particolare la difesa contraerea, ben organizzata ma dotata dipochi mezzi. Inoltre il numero di armi era ben inferiore al necessario.Oltre ai vertici dell’esercito finlandese, Anchisi incontrò per due volteMannerheim che definì un “comandante calmo, freddo ragionatore, e sicuroconoscitore possibilità forze armate finniche”.

Il direttore dell’Ufficio Finlandia, il capitano Giovanni Alberto Bechi Luserna,uomo del Sim, era considerato uno degli ufficiali più brillanti dell’esercitoitaliano. Negli archivi della Farnesina, si trova un fascicolo pressochè vuoto (aulteriore dimostrazione che quanto riguarda la Guerra d’Inverno è stato mano-messo e nascosto, oppure archiviato già incompleto) sulla cui copertina apparesoltanto la scritta U.F. (Ufficio Finlandia) 1940 e l’annotazione “Missione delCapitano Bechi in Finlandia”.Mentre Anchisi aveva compiti soprattutto di collegamento con il teatro delle opera-zioni militari, la missione di Bechi ebbe fin dall’inizio precisi connotati politici.A Helsinki incontrò il primo ministro Risto Ryti il 19 febbraio 1940. Durante illungo colloquio Ryti ringraziò l’Italia per l’aiuto militare ricevuto; poi dichiaròche la resistenza finlandese poteva durare ancora poco tempo e concludeva “E’ per noi questione di vita o morte. Tempestivo intervento vostro governo può,pur giovando vostro generale interesse, impedire spartizione Finlandia dallacarta Europa”.Il rapporto di Bechi Luserna mette in luce quanta importanza fosse attribuita al-l’Italia a livello diplomatico per la salvaguardia non solo della Finlandia maanche degli equilibri internazionali.Ryti sperava che l’Italia, in quanto paese alleato della Germania, avrebbe po-tuto convincere il governo nazista a modificare la propria politica estera ea riconoscere che era d’interesse comune contrastare l’espansionismo dell’Urssnel Baltico. Durante il viaggio di ritorno, il capitano Bechi si fermò a Berlinotra il 24 ed il 26 febbraio, senza ottenere tuttavia dai tedeschi niente di quelloche aveva auspicato il governo finlandese.

Il contratto sottoscritto in ottobre per la consegna dei G.50 prevedeva che gliitaliani si impegnassero anche a montare e collaudare gli apparecchi in Sve-zia.Oltre a due meccanici della Fiat era stato deciso l’invio di due ufficiali piloti,il Maggiore Luigi Bianchi e il Tenente Carlo Cugnasca, i quali erano arrivatiin Svezia già il 30 novembre ma dovettero attendere parecchi giorni prima chearrivassero i primi aerei.Con questo gli italiani avevano già onorato le condizioni di consegna concordatema Ciano, d’intesa con Mussolini, decise d’imprimere un’accelerazione agliaiuti: dopo la costituzione dell’Ufficio Finlandia e i contatti presi da Anchisi, fuorganizzata una missione tecnico-militare al comando del Colonnello Giuseppe Casero per fornire assistenza specialistica ai piloti finlandesi.Questa decisione era in linea con la posizione di non belligeranza del governofascista, che veniva rafforzata dal conflitto russo-finnico: era infatti l’occasioneper sganciarsi dallo scomodo alleato tedesco e riprendere una politica estera fi-nalizzata a frenare l’espansionismo della Germania e dell’Urss.

Alla missione italiana parteciparono membri sia dell’esercito che dell’avia-zione. Per l’esercito fu presente un’unità della Milizia Artiglieria Contraerea, ci-tata in una nota dall’ambasciatore a Helsinki Bonarelli avente oggetto “Missioneitaliana aeronautica e per artiglieria antiaerea in Finlandia”. Purtroppo gli ar-chivi sono stati distrutti fra il 25 luglio e l’8 settembre 1943 per cui al momentonon è possibile reperire informazioni sui membri della missione Milizia che rea-lizzarono la difesa antiaerea di città importanti come Helsinki e Tampere ed eranoincaricati di addestrare il personale finlandese sull’uso dei cannoni antiaerei.

Carl Gustaf Emil Mennerheim (1867-1951)

Generale di Capo d’Armata, ufficialedell’ex esercito zarista rientrato inpatria dopo la Rivoluzione d’Ottobre.Il presidente Svinhufvud gli affidò ilcompito di creare una forza politicain grado di riportare l’ordine inPaese e fu nominato capo dell’Esercito Bianco.

Maresciallo motorista Ettore Cavallini di stanza a Pyhaniemi

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La parte più cospicua dell’intervento italiano fu comunque rap-presentata dalla missione degli aviatori. Il fascicolo “Finlandia– invio personale italiano” contiene indicazioni preziose: il Mi-nistero dell’Aeronautica disponeva la partenza di 4 motoristi, 3montatori, 1 armiere tutti alle dipendenze del Tenente Colon-nello Pilota Giuseppe Casero.Il 13 febbraio 1940 il Ministero dell’Aeronautica ordinava cheil personale segnalato per la missione fosse subito convocatoalla caserma Cavour di Roma a disposizione del Maggiore LuigiBianchi.

L’elenco dei militari e delle loro partenze fu il seguente:Partenza in aereo il giorno 27 Febbraio 1940Tenente Colonnello G. Casero

Partenza in treno il giorno 26 Febbraio 1940Capitano Pelli LuigiMaresciallo Motorista Cavallini Ettore (54° stormo C.T. Treviso)Sergente Maggiore Motorista Morelli Michele (44° stormo C.T. Gorizia)Sergente Maggiore Motorista Capurro Luigi (43° stormo Mirafiori)Sergente Maggiore Motorista Gaggio Dante (53° stormo Aer. Torino Caselle)Sergente Maggiore Armiere Bartolini Enrico (51° stormo Ciampino) Sergente Maggiore Armiere Sabatini Ugo (51° stormo Ciampino)

L’Aeronautica chiese al Ministero degli Esteri il rilascio dei passaporti per tutti imembri della missione e, per motivi di riservatezza, sui documenti le foto dovevanoritrarre gli interessati in abiti civili omettendo il grado militare.

Giunti il 5 marzo, gli italiani iniziarono le loro attività il giorno dopo. Casero prese immediatamente contatto con le autorità civili e militari. Si attendeval’arrivo delle parti di ricambio e del resto del personale civile partito il 1° marzo.Allo squadrone 26, del quale entrarono a far parte gli specialisti italiani, era stataaffidata la difesa della regione Kouvola, a nord di Helsinki e non lontana da Lahti.La base aerea principale dello squadrone 26 era situata ad Utti ma per motivitattici gli aerei erano dislocati anche in altre località sui laghi ghiacciati, comea Haukkajärvi e a Pyhäniemi, nei pressi di Hollola. Qui esisteva ed esiste ancora oggi una tenuta, dotata di un bel palazzo del Sette-cento, famosa al tempo per essere stata uno dei set cinematografici preferiti dai re-gisti nazionali. I proprietari della tenuta di Pyhäniemi, il signor Paavo Pätiälä e suamoglie Laina, misero il luogo a disposizione degli aviatori finlandesi e stranieri,fra cui gli italiani, che avevano la base sul lago poco distante.

Casero trovò una situazione difficile dal punto di vista operativo. Come basi dellaSuomen Ilmavoimat erano apprestati settori di laghi interamente gelati sui qualiera facile creare piste di decollo e atterraggio comprimendo la neve fresca sullacrosta compatta di ghiaccio.Le rive di questi laghi, ricche di grandi abeti, offrivano agli aerei un naturale riparo,dal momento che “i pochi campi di aviazione attrezzati di cui disponeva l’aviazionefinnica erano stati tutti abbandonati perché oggetto di bombardamenti da partedell’aviazione russa”.

L’attrezzatura di queste basi improvvisate apparve tuttavia a Casero assolu-tamente “primitiva”: l’organizzazione logistica si limitava a rifornire i reparti dicarburante e liquido antigelo, mancavano attrezzature e officine; inoltre i piloti lo-cali non apparivano in grado di sfruttare al meglio i G.50 e i tecnici erano profes-sionalmente impreparati.

Queste considerazioni possono offrire lo spunto per un rapido esame della discus-sione che si accese sulla qualità dei G.50 italiani.In un primo momento si registrò un generale entusiasmo all’arrivo degli apparecchima in breve tempo la situazione si fece problematica: i FIAT G.50, appena giunti

Passaporto del maresciallo motoristaEttore Cavallini 26° stormo CT Treviso.

Notizie: rilasciato il 15 Feb. 1940 registra il passaggio di numerosefrontiere.....per motivi di riservatezza, sui documenti le foto dovevano ritrarregli interessati in abiti civili omettendo il grado militare.

La base aerea principale dello squadrone26 era situata ad Utti ma per motivitatticigli aerei erano dislocati anche in altrelocalità sui laghi ghiacciati

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La resistenza finlandese assunse al-l’epoca dimensioni epiche: soltanto gra-zie alla grande cronaca giornalistica diIndro Montanelli, in Italia la memoriadella Guerra d’Inverno è stata traman-data e manutenuta viva, diventando unemblema della lotta di un popolo per lalibertà. Tuttavia, dopo la seconda guerramondiale, la storia degli aiuti militari edella missione di volontari inviati dal go-verno fascista in soccorso ai Finlandesi,è stata a lungo ignorata e dimenticata.

Tutti i testi degli storici finlandesi consul-tati sull’argomento si soffermano sugliaiuti italiani e sulla posizione diplomaticaitaliana con parole di apprezzamento.L’amicizia e la riconoscenza che i Finlandesi hanno per gli Italiani è lar-gamente percepibile ancora oggi pressoqualunque Finlandese conoscitore dellastoria patria.

Conclusione

in Finlandia erano stati utilizzati in combattimento ma, inmancanza di manutenzione adeguata, furono presto co-stretti a rimanere a terra.Le difficili condizioni climatiche e le carenze tecnico-lo-gistiche penalizzarono i FIAT più di altri aerei. Caserosi mostrava tuttavia fiducioso sul miglioramento della resadel G.50 grazie alla missione avviata, in particolare all’ad-destramento del personale e alla messa a punto delle tecni-che più idonee per utilizzarlo. Con il proseguimento della missione, i toni divennero piùottimistici. Oltre ad elogiare più volte il personale militare,alla fine dell’aprile 1940 Casero riferiva che le performan-ces degli apparecchi G.50 erano decisamente migliorate, ilche confermava l’importanza dell’aviazione e ne decretavail successo. Il 28 aprile 1940 Casero comunicò che la mis-

sione poteva ritenersi conclusa e suggerì il rimpatrio dei mi-litari nella prima settimana di maggio e del personale re-stante alla fine dello stesso mese, come in effetti avvenne.Il successo della missione italiana non trovò tuttavia riscon-tri sul piano politico perché il 12 marzo 1940, i finlandesi,avendo esaurito ogni riserva di uomini e mezzi, furono co-stretti a firmare la pace di Mosca.Terminava così anche la fase più critica dei rapporti italo-tedeschi.Non casualmente il 18 marzo 1940, vale a dire a soli seigiorni dalla fine del conflitto russo-finnico, si svolse l’in-contro al Brennero tra Mussolini e Hitler, che ricompose lacrisi tra Roma e Berlino.Svanivano le speranze di sfuggire alla fatale alleanza conla Germania.

Un emblema della lotta di un popolo che lotta per la libertà

Le renne finlandesi contro i carriarmati russi

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Questa fase della Storia con l’episodio-chiave dell’intervento italiano deisuoi volontari, ha affascinato un giovane uomo che ne ha fatto oggetto diuna ricerca veramente appassionata, diventata la sua Tesi di Laurea.

Personalmente devo ringraziare Maurizio Pasqualetti per avermi per-messo di attingere alle 300 pagine della sua Tesi* per estrapolarne le in-formazioni storiche di questo articolo che, pur breve per ragioni di spazioeditoriale, ci rivela un passato inedito, scivolato sotto discreto silenzioanche da parte dei protagonisti.

La Farnesina ha permesso a Pasqualetti di accedere agli archivi dove hapotuto trovare anche note curiose come la lettera che Casero inviò a Romain cui diceva..”viviamo in una baracca di legno ai bordi del lago ghiac-ciato con una temperatura di circa -45°C, dormiamo su pagliericci di pa-glia, abbiamo poco più che latte di renna come cibo ma il morale èaltissimo ed abbiamo stretto una forte amicizia con i finlandesi: per favoremandateci un po’ di scatolette e qualche bottiglia di vino.”

Oppure la lettera che un giovane ufficiale scrisse alla moglie di GaleazzoCiano, Edda Mussolini, chiedendole di intercedere affinchè egli fosse trail personale scelto per essere inviato in missione.Stupisce infatti, che siano state più di duecento le domande inoltrate davari ufficiali: i selezionati furono solo dieci.

Maurizio Pasqualetti è riuscito a met-tersi in contatto con i famigliari dei re-duci: purtroppo ciò che ne è scaturito èstata una singolare rimozione della me-moria da parte loro.

Nessuno ha raccontato in famiglia dellamissione in Finlandia. Come nella suatesi Pasqualetti scrive ..”i ricordi sonosolo legati a puri oggetti come foto omedaglie. La Finlandia rimane nelcuore di questi reduci che ebbero unsentimento di ammirazione e stima neiconfronti di questo Paese, mala guerra combattuta non fumai raccontata”.

E questi ricordi, questa stima,questa profonda ammirazionemio padre l’espose solo inrare occasioni: mi parlò deglianziani e dei bambini messiin salvo con treni speciali di-retti in Svezia.

Mi parlò del coraggio delledonne finlandesi che furonola spalla indispensabile alletruppe impegnate al fronte:donne capaci di fare anchequaranta chilometri sugli sci,portando nello zaino muni-zioni e cibo.

Riflessioni

...”viviamo in unabaracca di legno ai bordi del lagoghiacciato...

...eccolo improvvisamente apparirmi con il suo sorriso scanzonato...

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Flashes

Confermo quanto scrive questo giovane studioso, verso ilquale provo una profonda ammirazione per aver portatoavanti, tenacemente, una ricerca impegnativa per la diffi-coltà di reperimento delle informazioni: il silenzio che av-volge l’episodio avrebbe potuto scoraggiarlo findall’inizio. Ribadisco la mia riconoscenza per aver rice-vuto da lui un regalo inaspettato.Mi rintracciò e mi chiese di riceverlo. Non avrei mai cre-duto che con quell’intervista mi avrebbe regalato una fettadella vita di mio padre a me completamente sconosciuta oquasi: eccolo improvvisamente apparirmi con il suo sor-riso scanzonato, eccolo il Maresciallo Motorista Ettore Ca-vallini - 54° stormo C.T.Treviso.

Seppi che i Finlandesi gli avevano riconosciuto una grandeprofessionalità (maturata in Etiopia e Spagna) ed erano di-vertiti e stupiti dal fatto che potesse riparare i motori senzautilizzare la scaletta grazie alla sua eccezionale statura(1,98 cm)

Simpatico, educato (non avrebbe potuto non esserlo) e ga-lante, piaceva molto per il suo aspetto distinto e facevabreccia nei cuori femminili ma…nel suo cuore ci fu postoper un solo, grande, unico ed inossidabile Amore: l’Avia-zione, fino alla fine.

Ora per me è più che mai preziosa quella levigatissima esobria medaglia in bronzo che, sul bordo riporta la frasein latino: “la Finlandia riconoscente a coloro che l’hannoaiutata nel momento del bisogno”.

Daria Cavallini

* Maurizio PasqualettiUniversità degli Studi di FirenzeFacoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”Tesi di Laurea in: Storia delle Relazioni Internazionali:L’ITALIA, LA “GUERRA D’INVERNO” e UNA MISSIONE DIMENTICATA: TRA STORIA E MEMORIA

Post scriptumIn seguito a questa tesi, il Governo finlandese ha offerto aMaurizio Pasqualetti un dottorato di ricerca presso l’univer-sità di Turku.

23 Ottobre 1939La Finlandia firma un contrattoper 25 velivoli Fiat G.50 Freccia.Altri 10 velivoli sarannoaggiuntisuccessivmente

30 Novembre 1939L’URSS attacca la Finlandia.Inizia la Guerra d’Inverno.

21 Dicembre 1939Anchisi, maggiore del RegioEsercito,va in missione in Finlandia.

2 Gennaio 1940Ciano persuade il Duce a lasciarpartire volontari per la Finlandia(aviatori da caccia e artiglieri)

15 Gennaio 1949Ufficio Finlandia costituitoda Galeazzo Ciano ministrodegli Esteri

13 Febbraio 1940Ministero dell’Aeronauticaordina la convocazionedel personale della missionepresso la Caserma Cavour adisposizione del Maggiore LuigiBianchi

15-23 Febbraio 1949Il Capitano Becchi Luserna, direttore Ufficio Finlandia, va inmissione in Finlandia rivestendoun carattere più diplomatico chemilitare

26 Febbraio 1940Partenza in treno del personale della missione

27 Febbraio 1940Partenza in aereo del TenenteColonnelloCasero

6 Marzo 1940Il personale italiano inizia l’attività

12 Marzo 1949La Finlandia firma la pace conl’URSS

18 Marzo 1940Incontro al Brennero fra Mussolini ed Hitler che ricompone la crisi fra Roma e Berlino

28 Aprile 1940Casero comunica che la missione può ritenersi conclusa

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La Guerra d’Inverno fu preceduta da una lungatrattativa diplomatica, inficiata fin dall’inizio daequivoci e sottovalutazioni. La aprì Stalin chie-dendo alla Finlandia di cedergli alcuni territori, perestendere la fascia di protezione intorno a Lenin-grado.“Noi non possiamo cambiare la geografia, né lopotete voi. Siccome Leningrado non può essere tra-sportata via, la frontiera dev’essere spostata piùlontano”.Stalin era convinto che ad un attacco russo l’eser-cito finlandese avrebbe potuto opporre solo unaresistenza simbolica e che la popolazione avrebbeaddirittura accolto a braccia aperte l’Armata Rossa. Lo scrisse anche Chrušcëv nelle sue memorie:“Tutto ciò che avevamo da fare era alzare appenaun po’ la nostra voce e i finlandesi avrebbero ob-bedito. Se ciò non avesse funzionato, ci sarebbebastato sparare un colpo e i finlandesi si sarebberoarresi…Ci si potrebbe chiedere se avevamo qualchediritto morale o legale per le nostre azioni controla Finlandia: di certo non avevamo alcun diritto legale. Per quanto riguarda la moralità il nostro desiderio di proteggere noistessi era una sufficiente giustificazione ai nostri occhi”.Invece i Finlandesi opposero una resistenza eroica pur di difendere la loro indipendenza e la loro identità dal loro nemico storico.Approfittando dell’inverno più freddo dopo quello del 1828, con medie di -30° e punte di -70°, i finlandesi, muovendosi agil-mente con gli sci, inflissero dolorose sconfitte ai russi, nonostante l’inferiorità di uomini (circa 300.000 contro 540.000) e dimezzi (32 carri armati contro 2485, 115 aerei contro 350).Stalin affidò allora il comando al generale Tymošenko, che introdusse tattiche più efficaci (slitte corazzate, piastre blindate susci, palloni frenati per localizzare il nemico).I finlandesi avrebbero forse potuto resistere ancora, se fossero arrivati i 57.000 soldati promessi da Francia e Gran Bretagna,ma Norvegia e Svezia rifiutarono loro il permesso di transito.Non bastarono gli 11.500 volontari giunti dai Paesi occidentali (8275 dalla Svezia) e le armi spedite dalla Francia (tra cui 145aerei), oltre che dall’Italia. La Finlandia fu costretta alla resa. Aveva perso, secondo le stime più recenti, 48.243 militari. Sulleperdite russe ci sono valutazioni diverse che vanno dal milione sostenuto da Chrušcëv ai 126.875 morti registrati dagli archivimilitari.Per capire quanto fu devastante il conflitto con la Finlandia, basta pensare che le sue perdite, rapportate alla popolazione,equivalevano ad un milione di morti per l’URSS. Ebbero severe conseguenze anche le perdite in risorse economiche ed indu-striali.

La Guerra d’Inverno

Mi sembra appropriato chiudere questo articolo con le parole che Gőran Brunn, figlio di Carl Eric eroe dell’aviazione finlandese durante la Seconda Guerra Mon-diale ed autore di un prezioso libro di memorie, scrisse a Maurizio Pasqualetti:

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La zona dei combattimenti

Turku, 27 of December 2005

Here comes a copy of my father’s book.

Unfortunately in Finnish only but I hope you like it.

Many years have passed from these days but they will

never be forgotten. Thanks to my father and his fellows, we can

live in a free Europe!

Let us never forget!Gőran

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Dove vai in vacanza?Non so se capita anche a voi, ma io comincio a sentirmi unpo’ perseguitata dalla curiosità del mio prossimo sulle mievacanze.

A Dicembre (sì, avete letto bene: Dicembre) dell’annoscorso è iniziata la prima indagine. Durante una conversa-zione telefonica una mia amica all’improvviso mi ha chie-sto: "Hai già fatto programmi per l'estate?". No che non liho fatti, non è ancora arrivato Natale!!A Gennaio si ricomincia:”Questa estate dove pensi di andare?” A Febbraio c’è stata unapausa.Marzo. Durante una telefo-nata la stessa amica, che giàa Dicembre aveva dato ilvia alle danze, nel belmezzo del discorso, dipunto in bianco mi chiede:”Hai qualche progetto perle vacanze?”Passa qualche giorno. Unamattina, sono in palestra.L’ora è finita, sto racco-gliendo in silenzio il miotappetino e sto mentalmentepregustando un buon caffè,quando la mia “vicina ditappetino” esordisce, anchelei di punto in bianco comefolgorata da improvvisa ispirazione, con un perentorio:”Dove vai in vacanza?”Ovvio che rispondo (spero educatamente, ma non ne sonoben sicura) che non lo so ancora.Ma (parolaccia) io non chiedo a nessuno dove andrà fra tre,quattro, cinque mesi, non per un eccesso di discrezione, maperché non mi viene nemmeno in mente di porre la do-manda. E siamo solo a Marzo. Adesso me lo chiederanno senz’altro la parrucchiera el’estetista (sì, perché? anch’io ci vado qualche volta, anchese non si vede). Loro lo chiedono sempre, ma sempre, sem-pre, sempre. Quando poi le fatidiche vacanze estive sonopassate, già chiedono dove andrò a Natale e dopo Natalevogliono sapere cosa farò a Pasqua, passata la quale sonointeressate al mio Ferragosto e così via: come un serpenteche si morde la coda.Infatti. Stamattina, proprio dall’estetista, la nuova ragazza,Jessica, nel giro di mezz’ora mi ha chiesto:1 “E’ nonna?”2 “Dove va in vacanza?”3 “Quando va in vacanza sceglie sempre lo stesso posto,

“o cambia?”4 “Dove va a Pasqua?”5 E, dulcis in fundo, vuol sapere anche cosa mangerò amezzogiorno.

COME DIFENDERSI DALLE “domande importune”Dove vai in vacanza?

Hai capito?

Capisco: la Ragazzina sta facendo un goffo tentativo di fareconversazione perché, forse, la imbarazza lavorare in si-lenzio. Io invece apprezzerei. Le mie risposte sono ovvia-mente laconiche, ma non la scoraggiano.E intanto s’allunga l’elenco di chi vuol sapere se vado viae dove vado. Man mano che la stagione avanza, infatti, ladomanda ha le seguenti varianti: "Dove vai in vacanza?""Quando vai in vacanza?" "Con chi vai in vacanza? e“Quanti giorni stai via?" in un crescendo che culmina inun incontro a luglio in cui, senza nemmeno dirmi “Ciao”,una conoscente esordisce con un diretto: ”Vacanze?” chescoppia come un petardo. Io non manifesto altrettanta cu-

riosità sull’argomento, mareplico con la stessa do-manda, non perché mi inte-ressi veramente conoscerela sua meta, ma solo per pa-reggiare la partita. Mi sento rispondere: ”Ah, non so … noi pren-diamo la macchina e gi-riamo”.Oppure: ”Ah, al solitoposto” e io mi chiedo qualesia il solito posto che ovvia-mente non ricordo, ma…non indago.Tutta questa curiosità arrivaanche da parte di sempliciconoscenze, persone che in-contro casualmente due o tre

volte in un anno. Eppure non sono una viaggiatrice acca-nita, di quelle che raggiungono ogni anno mete esotiche osperdute in capo al mondo, il che potrebbe essere un motivodi giustificata curiosità da parte del mio giro di amicizie,ansiose di sapere quale sarà la mia prossima inconsueta de-stinazione. Giugno: e così anche oggi il giorno non è passato senza lafatidica domanda. Dopo aver soddisfatto la curiosità dellaSignora di turno, rispondendo che andrò a Sirmione, eccoche arriva, implacabile, l’approfondimento: "A fare le curetermali?"No, non vado a fare le cure, vado perché mi piaceil posto. Agli incontri seguenti mi preparo a precisare su-bito: ”Vado a Sirmione, ma non per le cure termali”.Se dicessi che la mia meta è la Lapponia, mi chiederebberose vado a trovare Babbo Natale?Arriviamo a Settembre e penso di poter tirare il fiato, ma……. ti pare? Un mattino sono in Posta, in fila aspettandoil mio turno. Davanti a me c’è una signora che ho visto qual-che volta. Non è un’amica e nemmeno una conoscente. Credo che passino anni tra un incontro casuale e il successivo.Si volta verso di me, la saluto e lei mi chiede subito:”Sei stata al mare?” A domanda risposta immediata:”No”, che è la verità, perché sono stata al lago, ma nonglielo dico. Probabilmente era già pronta a chiedermi, seavessi risposto “Sì” , dove ero stata, e quando, ma il mio

Illustrazione di Tiziana Gironi

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“No” la lascia letteralmente senza parole. Non replica, eper fortuna non indaga oltre.Potreste obiettare che in fondo la domanda “Dove vai invacanza?” non è indiscreta. E’ vero, ma mi costringe achiedermi cosa ci sia in me che scateni la curiosità irrefre-nabile del mio prossimo su questo lato della mia vita.E voi? Siete già andati in vacanza? Dove andrete in va-canza?..... Fate parte degli inquisitori o degli inquisiti?

P.S. – Ultimissima di oggi, martedì 6 Dicembre 2016: sonoandata dalla parrucchiera che non ha dimenticato di chie-dermi: ”Vai via in questo ponte?”Bastaaaaa!!!!

Hai capito?C'è un'altra domanda, oltre a quella sulle vacanze che miinquieta, ed è: "Hai capito?" che mi viene puntualmente eripetutamente posta da chi mi sta raccontando qualcosa,qualsiasi cosa sia. A furia di sentirmi chiedere se ho capito, comincio ad averedubbi sulla mia capacità di recepire quanto mi viene detto.Questo “Hai capito?” inserito come un intercalare nellaconversazione, mi ricorda il famoso “Cioè” che punteg-giava i discorsi credo negli anni ’80 o ’90…..Di solito sto zitta, ma bisognerebbe rispondere a questo in-tercalare, che mi sembra diventato di moda: "No, non hocapito. Ti spiacerebbe spiegarti meglio?" che costringe-rebbe il nostro interlocutore a ricominciare da capo.Questo suggerimento, che purtroppo non ho ancora messoin pratica, (eppure mi piacerebbe vedere la reazione) l'hotrovato in un libro interessantissimo, almeno per me, inti-tolato "Il linguaggio segreto del linguaggio - Cosa sinasconde dietro le parole" di Anna Guglielmi. Un libro il-luminante e spiritoso, che consiglio di leggere. Personalmente ho sempre pensato che ogni cosa che civiene detta, (ma anche ogni cosa che noi diciamo ad altri),vada sempre tradotta, anche se parliamo tutti in italiano.Quando ho trovato questo libro, l’ho subito acquistato eleggendolo ho avuto la conferma che la mia ipotesi non erapoi così strana.E voi? Avete capito? Lo chiedono anche voi? O siete voiche lo chiedete ai vostri interlocutori? .

Tutto OK?Estate. Sto guidando, fa caldo. Finestrino abbassato. Mi fermo davanti alle strisce zebrate per lasciar passare unasignora. La guardo e la riconosco: era con me al corso diPilates. Anche lei mi guarda e io le sorrido e la saluto. Sorriso ricambiato, e lei sporgendosi un po’ verso la miaauto, quasi mi grida “Tutto OK?”Annuisco vigorosamentee riparto, dopo averla lasciata passare, ovviamente. Mentre guido mi chiedo come avrei potuto rispondere di-versamente. Potevo forse spegnere il motore, scendere e lìsulle strisce, spiegarle che no, non tutto era proprio “OK”e raccontarle come stava andando la mia vita?Qualche tempo dopo, sempre sulle strisce pedonali. Questa volta sono a piedi e sto attraversando. A metà percorso incrocio un mio conoscente che ha evi-

dentemente fretta dato che cammina spedito. Sorridendo,mi saluta e chiede “Tutto OK?”. Sorpresa dal ripetersi dellascena, saluto, sorrido e rispondo ”Tutto Ok” ma dentro dime sono tentata di fermarmi in mezzo alla strada e raccon-targli come va davvero.L’ultima replica di questo spettacolino è andata in scenapoche settimane fa nel negozio Kasanova, in centro a Le-gnano. Entro insieme a una mia amica a curiosare tra i tanti articolioriginali per la casa. Il negozio è affollato. Vedo, all’altraestremità del locale, una mia antica compagna della scuolaelementare. La chiamo per nome e la saluto con un nor-male: ”Ciao Maria” (nome di fantasia). Di più non potreidire, siamo separate da tavoli pieni di oggetti e da moltepersone, ma lei replica con un “Ciao, tutto OK?” Dentro di me annoto l’ennesimo saluto secondo me senzasenso e senza un vero interesse nei miei confronti, data laconoscenza superficiale in tutti e tre i casi, che non sonogli unici, ma sono quelli che ricordo di più. Non sarebbe meglio limitarsi ad un semplice “Ciao?”

Meteo condominialeNel mio condominio per fortuna viviamo in pace: ci cono-sciamo tutti e ci salutiamo quando ci incontriamo. Con al-cune persone ho rapporti più stretti, quasi di amicizia: conla maggior parte solo rapporti di normale cordialità.Quando incontro nell’atrio le seconde, ecco che scatta inloro una molla. Le prende un “horror vacui” per cui de-vono per forza riempire quei pochi secondi dicendo qual-cosa. Dato che la fantasia non le soccorre, l’unicoargomento di conversazione a cui si aggrappano invaria-bilmente è il tempo atmosferico.“Ma che freddo in questi giorni” – “Eh ma non smette piùdi piovere. Prevedono un’altra settimana di pioggia”.Oppure: ”Ma che caldo! Speriamo che venga un temporale”.Queste acute osservazioni mi vengono elargite di solito nel-l’atrio ma anche nell’ascensore. Sembra che nessuno sia ingrado di sopportare senza angosciarsi qualche secondo disilenzio mentre l’ascensore sale. Io abito al quinto e ultimo piano, perciò la maggior partedei miei compagni di “viaggio” scende prima di me, ra-gione per cui il loro tragitto è molto più breve del mio, ep-pure … niente da fare, non resistono alla tentazione disostituirsi all’Aeronautica Militare.Di solito rispondo ai commenti sul tempo dando loro sem-pre ragione: ”Eh sì, è proprio vero, speriamo che cambi”.Recentemente però ho cambiato tattica.Al signore che si lamentava del fatto che siamo in inverno,“Che non piace a nessuno”, ho risposto: ”A me piace l’in-verno, mi piacciono le giornate nebbiose, grigie e rac-colte”.Meraviglia: ”Ah sì?... beh” ed è rimasto a corto di argo-menti.

Tiziana Gironi

Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti

NON è puramente casuale

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La medicina indiana, nel lontano passato,comprende tre distinte fasi. La prima èdetta magica, durante la quale un dio detta

le regole fondamentali. Segue un periodo in cuialtre divinità, gli Asvini, scendono dal cielo surombanti carri d'oro per prodigare a piene maniguarigioni e fecondità. I loro rappresentanti fra gliuomini si distinguono in medici e chirurghi. Laseconda è la fase sacerdotale, detta anche brah-minica, gestita dai fedeli del dio Brahma. Essi siconsiderano depositari di ogni scienza, dalla edu-cazione alla religione. Infine giunge la terza fase,durante la quale soltanto dei praticoni esercitanol'attività di guaritori.Lo sviluppo di una forma di scrittura, presente nella Valledell'Indo già tremila anni prima di Cristo, ha permesso ditramandare ed aumentare le conoscenze mediche di gene-razione in generazione. Fra il 1500 e l'800 a.C. sono statiscritti e diffusi gli Ayurveda (libri del sapere). Poi viene ilperiodo mongolico, legato all'influenza cinese. L'arrivodegli Inglesi in India nel XVIII secolo della nostra era fi-nisce per soppiantare ogni scienza ed attività medica lo-cale.Tra il 600 a.C. ed il 600 d.C. il popolo degli Ariani inva-sori ha il sopravvento sugli Indù. Il più famoso tra di loroè Sushruta, del quale si conoscono libri sulla salute ancorabasati su di una medicina teologica. I medici ariani porta-vano sempre appeso al collo un sacchetto di erbe aromati-che ritenute utili per la guarigione di ferite, scrofola,epilessia, gotta, itterizia, reumatismo, cardiopatia, rabbia,malattie veneree, vaiolo. Sushruta usa anche abortivi, afro-disiaci e sostanze per favorire la fecondità.Gli antichi testi medici sono sempre stati ristampati estudiati fino ai nostri tempi. Anche gli odierni praticoniindigeni si attengono rigidamente alle tradizioni e essi go-dono della fiducia della popolazione. Il divieto delle leggireligiose di avere contatto coi cadaveri ha ridotto al minimolo studio della anatomia. La salma della quale si devonoesaminare gli organi interni viene esposta per sette giorniad uno spontaneo processo di decomposizione nell'acquadi un fiume, rinchiusa in una gabbia. Dopo di ciò di pos-sono scollare le parti interne, senza l'uso di un coltello, conun bastoncino. Lo studente deve esercitarsi in chirurgia su sacchi di pellee vesciche ripiene d'acqua e di fango. Il decorso dei vasisanguigni si studia su animali, i sondaggi sulle piante.Sushruta è depositario e dispensatore di una dottrinarelativamente avanzata per il tempo. Secondo lui, ilcorpo umano possiede 107 parti vitali e 700 vasi sanguigni,che originano dalla regione ombelicale e si estendono atutto il corpo. Le ossa sono 300, 900 i legamenti, 500 i mu-scoli (ma la donna ne avrebbe 20 più dell'uomo) nonchévari canali: 36 nella lingua, 24 nel naso, 38 negli occhi e10 nelle orecchie preposti alla conduzione dei suoni. Nelcorpo umano circolano umori, secrezioni e principi fonda-mentali: aria, bile e "flegma".

MEDICINA INDIANA

Il cuore è il centro del potere e fornisce succhi "focosi" al-l'intero organismo.Col respiro si originano cinque venti: il primo trasporta ilcibo nell'addome; il secondo consente la parola; il terzo ac-cende il fuoco e cuoce il cibo: il quarto porta via le feci ele urine, ma anche lo sperma e, nelle donne, contribuiscead espellere il feto; il quinto mette in movimento gli arti.Le sostanze fondamentali che costituiscono il corpo si for-mano dalla "coltura" (metabolismo) degli alimenti. Il ciboproduce il sangue, il sangue la carne, la carne il grasso, ilgrasso le ossa, le ossa il midollo, il midollo il seme.Il vento, motore delle funzioni corporee, è lo spirito delmondo, cioè Brahma, che mantiene l'eterno ciclo vitale: na-scita, morte e resurrezione. Ogni turbamento di questo si-stema porta alla malattia (come nella concezione diIppocrate degli umori)Per formulare la diagnosi, Sushruta consiglia di ricorrere,oltre all'ispezione e all'auscultazione, anche al rilievo dialtri parametri, come l'aspetto della pelle e della lingua. Af-ferma che la febbre diventa pericolosa quando persiste alsettimo, decimo e dodicesimo giorno (riferimento chiaronelle febbri malariche "terzana e quartana"). Egli osservaanche un aspetto importante della lebbra, la perdita dellapercezione del tatto. Nello scorbuto le gengive sanguinanoe poi subiscono infezioni.Nell'infarto del miocardio il dolore è avvertito nella re-gione cardiaca, che sembra come pressata e stirata, tra-fitta e spezzata. La tubercolosi polmonare si manifesta conmolti sintomi: dimagramento spinto, raucedine, dolore altorace, febbre, emottisi, inappetenza. Per la terapia, ancora Sushruta mostra di conoscere ben760 piante medicinali, tra le quali l'oppio, la cassia, l'aco-nito, l'acacia, il melograno, l'olio di ricino, lo zenzero e lacanapa indiana. Ricorre anche a rimedi di origine mineralecome il solfato di rame, il mercurio, l'argento. Contro la ce-falea, l'ansia, le coliche renali ha introdotto l'uso della Rau-wolfia serpentina.Il mahatma Gandhi beveva l'infuso di radici di questapianta prima di ogni incontro importante, per mantenersisereno.La "reserpina", un alcaloide ricavato dalla Rauwolfia ser-pentina, fa parte del trattamento della ipertensione arteriosa.

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E' consigliata anche dall'odierna medicina. In un impor-tante testo scritto in sanscrito si raccolgono gli insegna-menti di un altro grande medico indiano, Charaka, vissutointorno all'anno 1000 a.C.. In un trattato ha osservato chel'urina di alcuni individui attrae api, insetti e formiche. As-saggiandola (sic!), Charaka si rende conto che è dolce comeil miele (da cui l'epiteto "mellito" che sarà dato al diabete).Un altro dotto, Samhita, espone ampie conoscenze di chi-rurgia, disponendo di ben cento strumenti divisi fra ottusie aguzzi: bisturi, cauteri, seghe, forbici, tenaglie, sonde,aghi e fili per sutura (in cotone, canapa, crini di cavallo otendini di animali). Diversi sono i tipi di interventi chirur-gici proposti: escissione, scarificazione, aspirazione, svuo-tamento, sutura. Per attenuare il dolore nel paziente ricorread estratti di piante come il giusquiamo e la canapa indiana.Spesso applica sanguisughe e cauterizza le ferite con ferriroventi. I tipi più frequenti di interventi riguardano il trat-tamento delle ernie, del labbro leporino, l'amputazione diarti e le riduzioni delle fratture. Si estraggono denti, calcoliurinari e si elimina la cataratta.Originale è la teoria di Samhita sul concepimento: essoavviene quando il seme maschile si mescola col sangue me-struale. Altrimenti, nei giorni non fertili, detto seme sta-ziona nel corpo femminile il quale è "in attesa".La differenziazione del corpo del feto inizia al terzo mese:compaiono prima la testa e gli arti, al quarto si sviluppanoil torace, il cuore e l'addome, al sesto si formano i capelli,le unghie, le ossa, i tendini e i vasi sanguigni. Il sangue,che decorre ad alimentare il feto nell'utero, ritorna al cuoredella madre. Si possono notare anche influenze di caratterematerno sul feto. Da una donna violenta e collerica può na-scere un bambino epilettico; se la madre è alcolizzata, ilpiccolo è debole e con una memoria labile. Addirittura dauna dissoluta può nascere un depravato od anche un omo-sessuale.Il medico deve essere esclusivamente di sesso maschile,vestire abiti puliti, essere ben rasato, "con le unghie benpulite", calzare sandali, sopra l'abito mettere una vestebianca, tenere in mano un bastone e rivolgere a tutti unosguardo gentile ed amichevole. Soprattutto gli è assoluta-mente vietato di "contattare donnine allegre ed eseguiregiochi amorosi". Obbligatoria è la profonda conoscenza dimedicina e chirurgia: altrimenti sembrerebbe "un uccellocon una sola ala". Indispensabile è l'aggiornamento, soprat-tutto egli deve conservare la riservatezza sulle proprie co-noscenze relative ai suoi pazienti.In India già nel III secolo a.C. si creano i primi ospedali.Nel XVI sec., i grandi medici sono ricevuti a corte con grandionori. Un tale Jivaka si reca a palazzo solo a bordo di unelefante sontuosamente bardato. Essi dispongono di un gran-dissimo numero di tinture, polveri, unguenti, infusi, pillole,empiastri, candellette, lozioni, sciroppi, clisteri e medica-menti di origine minerale come oro, argento, rame, stagno,piombo e zinco. Si impegnano anche ad isolare pazienti af-fetti da malattie contagiose come la lebbra ed il vaiolo. Per prevenire il vaiolo, per primi usarono l'inoculazionesottocute di una piccola quantità di pus, proveniente dauna pustola vaiolosa umana, nel braccio dei bambini, ondeprocurare una forma molto lieve di vaiolo che l'avrebbeprotetto da una grave infezione. Tale metodo è stato importato in Gran Bretagna nel 1820

da Lady Mary Wartley Montagu.La lista delle operazioni chirurgiche nella medicina in-diana è sempre stata ampia. Si eseguono tonsillectomie,legatura di vasi, interventi per fistole anali, estrazione delfeto per presentazione irregolare (taglio cesareo), trattamentodi fratture e lussazioni, esportazione di calcoli vescicali.Molto frequente la correzione del labbro leporino, comepure la rinoplastica. Quest'ultimo intervento era frequenteperché fra i popoli dell'India spesso avveniva l'amputazionedel naso per punizione o per vendetta.

L'igiene ha prescrizioni severissime ed i lavacri sono ab-bondanti però limitati alle parti inferiori del corpo. L'alimentazione deve essere quasi esclusivamente vege-tariana. La carne degli animali morti non è permessa maanche taluni vegetali come le cipolle, i funghi e l'aglio sonoproibiti. Frequente è la cremazione dei cadaveri umani.Leggi severissime proibiscono l'uso di liquidi alcoolici.L'ubriaco è punito con l'impressione di un marchio sullafronte.Si tende a sopportare il dolore con animo sereno. La mortenon è considerata una punizione ma è il passaggio ad unavita nuova e migliore. La pratica dello yoga, analogamentea quelle della mistica cristiana, mirano al dominio delleforze vitali col prevalere dello spirito. Nelle vie delle cittàe dei villaggi molti medici, accanto al titolo universitarioin inglese, pongono lettere L.M.I. cioè licenziato anche inmedicina indiana.

Mario Seveso

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Rauwolfia serpentina

La Medicina Tradizionale in India è diffusa ancora oggi più della medicina di derivazione occidentale

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RITORNO IN INDIA...un viaggio ancor più coinvolgente ed emozionante

Nell’ottobre del 2016 per la seconda volta sono partita per l’India.Tre anni fa vi ero andata per scoprire un nuovo Paese e cono-scere una cultura diversa dalla mia; quest’anno per approfon-

dirla e per fare altri incontri con persone che mi hanno ulteriormentedimostrato come l’ospitalità, in India, sia veramente uno dei principi ba-silari dei loro riti sacri. In ogni casa in cui sono entrata, sia di famigliecristiane, sia di indù, ho sempre ricevuto un’accoglienza davvero cor-diale e rispettosa, che mi ha fatto percepire il calore di quella gente e illoro sereno, profondo misticismo.

Sono stata ospite dei signori Arockiam,i genitori di Don Antony, un sacerdoteindiano che sta facendo il dottorato inItalia. Pur avendo avuto problemi di co-municazione per il fatto che essi siesprimono solo in Tamil, lingua del tuttoincomprensibile per me, mi hanno fattosentire a mio agio, trattandomi propriocome una della famiglia.Ho aiutato la signora Therèse a prepa-rare pranzi e cene, a base di riso (bi-ryani, con pollo), verdure e salse

piccanti come sambar e chutney, accompagnati da dosa o chiappati (pane).La loro abitazione si trova nel quartiere Nagar, di recente costruzione, in zona peri-ferica, con case dai vivaci colori che mettono allegria. Tutte le mattine venivo sve-gliata molto presto dal canto del gallo e dall’invito alla preghiera del muezzin; poierano i cani randagi che abbaiavano a disturbarmi il sonno. E non è finita: sotto la fi-nestra della mia cameretta le mucche venivano a darmi il buongiorno con il loro so-noro muggito. Anche le persone che andavano al lavoro con le motociclette non miconsentivano di dormire perchè suonavano il clacson per richiamare l’attenzione deglianimali in mezzo alla strada. Infine, verso le otto, l’allegro chiacchiericcio dei bambiniche andavano a scuola mi diceva che era proprio l’ora di alzarmi.

Sono andata a fare acquisti in diversi negozi del centro di Madurai - una città dello Statodel Tamil Nadu, al Sud dell’India, che conta più di un milione e duecentomila abitanti - sulle

cui strade, polverose e congestionate, cir-colano miriadi di furgoncini, auto, carri,moto, biciclette, toto (taxi Ape-car gialli),risciò a motore e a pedale, che suonano al-l’impazzata senza rispettare, apparente-mente, alcuna precedenza o norma stradalee che devono vedersela anche e soprattuttocon le vacche sacre le quali, incuranti deltraffico disordinato, attraversano pacifica-mente la carreggiata, consapevoli di averela precedenza assoluta.

Madurai. abitanti del Quartiere Nagar

Tipico negozio di sari

L’ artigiano di strada al lavoro

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Tra gli oggetti che siamo andati a comperare i materassi, che hanno so-stituito quelli vetusti, ormai in cattivo stato. Il loro acquisto ha richiestoun certo tempo per la scelta e la trattativa; poi sono stati sistemati sultetto del taxi Ape-car e hanno proseguito con noi, per le vie della città,perchè dovevamo effettuare altre compere.In un grande negozio del centro ho acquistato per me abiti indiani e,mentre venivo aiutata nella scelta da una gentile commessa, ero osser-vata con curiosità dai numerosi presenti. Il signor Arockiam ha comperato un paio di pantaloni: solitamente in-dossa il lungi (un indumento simile al dhoti) realizzato in materiale piùleggero da utilizzare quando le temperature sono particolarmente caldee in occasioni non formali.

Un gesto di riguardo per la mia persona è stato quello di portarmi, neiprimi giorni dopo l’arrivo a Madurai, in montagna, in quanto mi sierano gonfiati i piedi a causa del lungo viaggio in aereo e in auto, edanche per il caldo che in quei giorni raggiungeva i 34 gradi.

Abbiamo trascorso così il week-end a Kodaikanal, una località tu-ristica situata a 2000 metri, nota per la sua ricca flora. Abbiamo fattoun piacevole giro in barca sul lago Kodai, che è a forma di stella. Poi,in mezzo a tantissima gente qui convenuta per la festa Diwali, abbiamopasseggiato tra le bancarelle che vendevano di tutto: dal vestiario alcibo. Numerose erano le rivendite di cioccolata, di ogni tipo: al cocco,bianca, con le noci, con le spezie; nonchè quelle di pannocchie abbru-stolite, o di fagioli cotti, serviti sulla carta di giornale.

Don Antony, la domenica mattina, ha concelebrato la Messa nellaChiesetta della Madonna de “La Salette”, che, man mano, si è riem-pita di donne avvolte nei loro coloratissini e bellissimi sari.

Santuario della Madonna di La Salette E’ stata la prima chiesa cattolica in Kodaikanal, finan-ziata dalla generosa donazione di una signora belga,che volle ringraziare la Madonna de La Salette per laguarigione della figlia.Questo Santuario, esempio di eccellenza architettonicatamil-francese, richiama la Basilica di Nostra Signorade La Salette in Francia, che si trova nella regione sud-orientale Rodano-Alpi a 1800 metri, costruita nel 1846sul luogo delle apparizioni della Santa Vergine a duegiovani pastori: Maxim Giraud e Mélanie Calvat.

La festa Diwali si celebra negli ultimi giorni di Ottobre e occupa un posto di profondo e particolare rilievo in India, specialmente al Sud.Il suo nome in sanscrito significa “fila di luci” e simboleggia, secondo l’antica cultura indiana, l’insegnamento a sconfiggere l’ignoranza chesottomette l’umanità e a scacciare l’oscurità che avvolge la luce della conoscenza.Durante il Diwali, le piccole lampade di argilla (dyias) che illuminano ogni casa, l’incenso che satura l’aria con il suo profumo, i fuochi diartificio che brillano e i petardi che scoppiano, sono segni di obbedienza al cielo, al fine di ricevere prosperità, salute, ricchezza, conoscenza,pace.Secondo la mitologia indù del grande poema epico Ramayana, Diwali commemora il ritorno ad Ayodhya, dopo quattordici anni di esilio,del re Rama insieme alla moglie Shita, che era stata rapita da Ravana, re dello Sri Lanka; in suo onore il popolo accese file di lampade.Magnifici rangolis (disegni colorati) vengono composti all'esterno di case e negozi, sempre punteggiati da miriadi di luci. Nel giorno del Diwalitutti gli uffici sono chiusi, trattandosi di festa nazionale. Nella tradizione induista, si festeggia per cinque giorni consecutivi, ognuno dei quali rap-presenta una storia divina, una leggenda o un mito.

Kodaikanal - Fedeli all’uscita dalla Chiesa della Madonna di La Salette

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Madurai è uno dei più importanti centri di pel-legrinaggio per gli Indù: vi si trova, infatti, il Tem-pio dedicato alla dea Meenakshi, la bellaprincipessa dagli occhi di pesce, assimilata alla deaParavati. Come in altri templi, anche qui si entra senza scarpe

per rispetto della tradizione. I controlli all’ingresso sono parecchiorigidi e non si possono portare borse o altri oggetti, né tanto meno èconsentito fotografare, ma all’interno decine e decine di indianifanno foto a più non posso con lo smartphone!L’interno del tempio assume un’atmosfera particolare dopo il tra-monto. Le luci soffuse trasformano ogni superficie, i colori diventanopiù cupi, le ombre delle statue si allungano, l’ambiente è pervasodall’odore del ghee (burro fuso), usato per far ardere centinaia di ceriche illuminano le cappelle incavate nelle pareti che ospitano le divi-nità. In sottofondo si sente ripetere “OM”, il lamento che precedetutte le preghiere. Sta per iniziare la cerimonia serale, in cui, al suonodi trombe e tamburi, Shiva, portato tra i fedeli su un palanchino d’ar-gento, viene lavato, profumato, incensato e poi condotto nella cameradi Paravati.

Nel tempio di Madurai c’è un elefante, tutto bardato a festa, che bene-dice le persone. Senza esitare, mi sono avvicinata; ho messo nella suaproboscide una piccola offerta in denaro, che prontamente è stata rac-colta dal suo mahout e, mentre mi soffermavo a guardare i suoi occhipiccolissimi sepolti nell’immenso faccione, l’elefante mi ha restituitocol suo lungo naso una carezza sulla testa come segno propiziatorio.

Madurai - Tempio Meenakshi - cerimonia della “puja”

Meenakshi TempleIl Tempio fu costruito durante il dominio Nayak (XVI e XVII sec.), un periodo di grande splendore per l’arte e l’architettura. Le entrate, poste ai quattro punti cardinali, sono sovrastate dai famosi gopuram, piramidi lanciate verso il cielo, ornate da sculture mi-tologiche, colorate di rosso, argento e oro, che celebrano la bellezza eterea della principessa Meenakshi. Grandi statue in pietra vigilanosui lunghi e imponenti corridoi ricchi di affreschi color pastello.La leggenda narra che la figlia del re Pandya, Meenakshi, la bella dagli occhi di pesce, nacque con tre seni. Quando la principessa salì altrono disse che avvrebbe concesso la sua mano a colui che l’avesse vinta in duello. Dopo vari scontri, Shiva la sfidò e la vinse. Accaddecosì che alla donna sparì il terzo seno.

Elefante benedicente

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Intorno al tempio è pieno di negozi dove è possibile anchefarsi confezionare un abito in poco tempo e per pochisoldi. Mi sono limitata ad acquistare pashmine fatte amano, scegliendo tra tipi e colori diversi.Don Antony, davanti a un banchetto sulla strada, non hasaputo rinunciare al suo dolce preferito, che mangiavaquando era bambino: halva, servito su una foglia di ba-nano. E’ a base di semola, con mandorle, uvetta, carda-momi verdi. A me ha ricordato il castagnaccio che sicomprava in inverno, insieme alle caldarroste, davanti allescuole e in corso Garibaldi. L’ho assaggiato, ma l’ho tro-vato troppo dolce per i miei gusti.

In occasione della visita agli zii che abitano a Puvandi,abbiamo visitato un altro celebre Tempio in cui è ve-nerata la divinità protrettrice degli occhi. Ella trasferisceil suo potere ad altre entità inferiori, incaricate, a lorovolta, di portare fuori dal tempio i suoi benefici. All’interno, un brahmano ci ha porto pasta di sandalo damettere sulla fronte e abbiamo assistito alla cerimoniadella Puja, l’offerta di fiori, frutta, foglie, riso, dolci e allarecita di formule sacre: i mantra.

Sono andata a far visita ad altri parenti ed amici nellaRegione dello Chettinad, ricca di templi e di antiche di-more dotate di cortili con pilastri in legno e porte inta-gliate, dove si svolgeva la vita pubblica.

A Karaikudi sono entrata nel Tempio Pillaiyarpati, de-dicato a Ganesha, proprio mentre era in corso la cerimo-nia in cui viene versato del latte sulla testa del dio elefanteal suono assordante di trombe e tamburi.Nel Sud dell’India questa divinità è conosciuta comeGanapati, figlio del dio Shiva e di Paravati, una delle di-vinità più adorate del Pantheon induista. Tempio Pillaiyarpati, dedicato a Ganesha

Da Shiva Purana, la storia di GaneshaIl dio Shiva si era assentato per molto tempo in una delle sue battute di caccia eaveva lasciato sola la dea Paravati, sua consorte. Ella, in assenza del marito, pertimore di essere importunata da forze malefiche, aveva creato da uno strato di sporcodella sua pelle Ganesha, come un essere bianco puro. Paravati, per sua tranquillità,aveva posto Ganesha di guardia all’entrata del bagno, e gli aveva ordinato di non far passare nessuno. Ganesha era molto fedele agli ordini di suamadre e quando uno sconosciuto si presentò e chiese di entrare, lui gli impedì l’accesso. Ma chi voleva entrare non era altri che suo padre che non aveva mai visto.Anche Shiva ignorava l’esistenza di Ganesha. Shiva, furioso per essere stato respinto,ingaggiò un’aspra battaglia con il ragazzo, che dimostrò tutto il suoardore e resistenza, tanto che Shiva dovette chiamare aiuti esterni. Infine con il suoTrishul (tridente), riuscì a tagliagli la testa.Paravati, alla notizia della decapitazione del figlio, andò su tutte le furie. QuandoShiva seppe quello che aveva fatto rimase molto turbato e chiese consiglio a Brahma,il quale gli suggerì di rimpiazzare la testa di Ganesha con quella del primo animaleo essere vivente che stesse dormendo con la testa rivolta verso Nord.Immediatamente Shiva inviò la sua squadra (gana) alla ricerca di tale testa. La prima creatura che incontrarono fu un elefantino che dormiva. Gli tagliarono latesta, che venne attaccata al corpo del ragazzo. Shiva gli ridiede vita e, per il valoredimostrato, lo nominò capo (pati) delle sue truppe. Ecco quindi l’origine del suo secondo nome “Ganapati”. Shiva inoltre decise di concedere favori a chiunqueavesse invocato il nome di Ganesha prima di intraprendere qualsiasi pratica. Per questa ragione Ganesha viene adorato come Vigneshwara, colui che rimuovegli ostacoli dalla vita materiale e dalla vita spirituale.

Puvandi, casa degli zii

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GOVINDOIL DONO DI MADRE TERESA

Una storia d’amore vera e puraEnrico Mentana

A Natale mi è stato regalato un libro bellissimo e commovente, cheho letto tutto d’un fiato.Si intitola: “Govindo”, che è il nome di un bambino, e nella riga sotto c’è l’in-dicazione: “ll dono di Madre Teresa”. L’ha scritto Marina Ricci, storica vatica-nista del Tg5, ed è pubblicato da Edizioni San Paolo, con la premessa diEnrico Mentana e la presentazione di Padre Brian Kolodiejchuk.Nel libro l’autrice racconta con estrema chiarezza che fu proprio Govindo,con il suo essere, i suoi occhi e le sue mani a sceglierla, ad entrare nella suavita. Era il 1996. Marina Ricci era stata mandata dal suo direttore a Calcuttaper realizzare un reportage sulle case di Madre Teresa che in quel momentostava affrontando una grave malattia e molti pensavano che fosse prossimaalla morte. Un viaggio accettato quasi con indifferenza, con la sufficienzadi chi aveva tante altre cose da fare. Fu durante la visita all’orfanotrofio Shishu Bhavan che la giornalista conobbeGovindo, un bambino indiano con una grande forma di disabilità, che nes-

suna famiglia intendeva adottare. Marina scelse, invece, di “concepirlo nel cuore”, di accoglierlo, di diventare la suamamma. Nei quasi due anni necessari perché l’adozione venisse conclusa, mille sono stati gli interrogativi e i dubbi chel’hanno “martellata”. Ma poi c’è stata la fede e soprattutto la convinzione che Madre Teresa avesse tessuto la trama perportarla a Calcutta ad incontrare il suo quinto figlio. Alla fine i dubbi e le incertezze sono caduti per far spazio all’amoresenza riserve, da cui si sono lasciati travolgere anche il marito Tommaso e i figli. Il libro è una testimonianza del dono prezioso che “Gogo” (com’era chiamato da tutti) è stato per l’intera famiglia Riccie, leggendo l’appendice, dove tutti e quattro i fratelli hanno scritto un proprio contributo, ci si può accorgere di cosa ve-ramente sia stato questo bambino per la loro vita. Ognuno ha instaurato un rapporto personale con lui: chi lo curava,chi giocava, chi gli restava a fianco in silenzio o chi lo stuzzicava. Marina Ricci ha dichiarato di aver scritto il libro perdire semplicemente che “nella vita di ciascuno possono accadere fatti che ti riaccendono il cuore, che ti allargano lo sguardo, cheti permettono di guardare a te stesso e agli altri in un modo differente. Attenti! Se non state attenti magari può sfuggirvi l’occasioneche davvero può darvi la felicità… Mio figlio mi ha insegnato tanto. E’ stato un maestro, anche se non sapeva parlare se non con gliocchi e col sorriso…. Govindo, il bambino abbandonato e reietto, ci ha uniti, ci ha tenuti insieme con una tenerezza e una bellezzaindescrivibili”. Così come Madre Teresa si definiva “la matita di Dio”, si potrebbe dire che anche Govindo è diventato la matita che hascritto le pagine della famiglia di Marina: una storia d’amore vera e pura.

Alba Toté

Nell'Induismo Vaishnava "Govinda" è un nome di divinità e, letteralmente, signifca: "colui che è amico delle mucche e le accudisce". Può essere interpretato come "colui che porta gioia e felicita' a tutti".

La sua peculiarità è quella di avere la testa di elefante su un corpo umano. Ma non è stato sempre così. La Shiva Purana (testo sacro dell’Induismo) racconta la sua storia che contiene molti simboli. Il bagno di Paravati è la purifi-cazione della suprema energia che si spoglia delle impurità e fa sì che Dio si manifesti in noi. La lotta di Ganesha contro il proprio padre, è la lotta simbolica del nostro sé contro il nostro ego, che cerca sempre di domi-narci. Grazie alla compassione finale del Guru, ritroviamo la nostra essenza, la pace, e siamo pronti per avviarci verso lastrada della luce.

Anche durante le visite effettuate agli zii di Trichy e di Manappari sono stata accolta con tanto calore ed attenzioni: entratanella loro casa, mi hanno fatto indossare un’ampia sciarpa di seta gialla, ponendomi intorno al collo una ghirlanda di fioridi carta; mi hanno offerto un mazzo di fiori colorati, realizzato anch’esso in carta; poi mi hanno apposto tra le sopraccigliail tilak, o meglio, il bindi adesivo, cioè l’inconfondibile ornamento rosso, simbolo religioso, che indica anche lo stato sociale.Per la verità, la mia condizione vedovile ne escluderebbe l’uso, ma in quella particolare occasione ero un ospite di riguardo,ed è prevalsa l’accoglienza e la cortesia sulla tradizione.Un altro gesto di gentilezza è stato quello dei fiori di jasmine che mi sono stati più volte offerti per fissarli tra i capelli. Ionon li ho lunghi, neri e setosi come quelli delle donne indiane, anzi: i miei sono corti e bianchi; quindi ho dovuto sistemarela coroncina di fiori in un modo inusuale, appuntandola con una molletta su un lato della testa. Per strada, le ragazze mi os-servavano incuriosite e poi si rivolgevano a me con questo complimento: super, super!

Alba TotéLe fotografie che illustrano l’articolo sono dell’autrice

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