A Martina Femia - Athene Noctua · un’ortodossia cristiana profondamente critica nei confronti...

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Tertulliano interprete di Valentino Di Federico Della Sala Athene Noctua I nostri saggi Numero III www.Athenenoctua.it

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Tertulliano interprete di Valentino Di

Federico Della Sala

Athene Noctua I nostri saggi

Numero

III

www.Athenenoctua.it

A Martina Femia

3

Indice

Introduzione .............................................................................................VI

Capitolo primo - La speculazione valentiniana 1.1. Introduzione allo Gnosticismo..........................................................10

1.2. I tratti distintivi della gnosi valentiniana ..........................................13

1.3. Il sistema valentiniano ......................................................................17

1.4. Il meccanismo dei due dispositivi in Valentino................................29

Capitolo secondo – Tertulliano tra ortodossia e montanismo

2.1. Vita, opere e contesto storico............................................................35

2.2. Il periodo protocattolico: il De Praescriptione Haereticorum...........40

2.3. Il periodo pre – montanista e l’Adversus Valentinianos...................52

2.4. La conversione al montanismo .........................................................74

Conclusioni ..............................................................................................79

Bibliografia..............................................................................................82

VI

Introduzione

La storia del cristianesimo non è unitaria ed omogenea, bensì è un processo

articolato e tortuoso, caratterizzato da profonde controversie di cui le eresie, ad

esempio, sono evidenti manifestazioni. E’ possibile affermare che la storia del

cristianesimo si articola nel rapporto tra il dono gratuito della Grazia e la facoltà

del libero arbitrio, sicché anche le più radicali risposte teologiche debbono

riconoscere, pure in minima parte, anche l’elemento opposto, che viene sempre e

comunque accolto, anche se in modo subordinato, di modo ché, chi opterà per

l’onnipotenza divina, dovrà riconoscere il ruolo relativo anche alla libertà

dell’individuo mentre chi opterà per il libero determinarsi della creatura non potrà

misconoscere il ruolo relativo della Grazia di Dio.

Le ricerche teologiche dei cristiani del II secolo d.C. erano tutte indirizzate e

finalizzate alla soluzione del dilemma che esiste nel rapporto tra Grazia e libero

arbitrio. Il protocattolicesimo cercava di conseguire un precario equilibrio tra

tradizione giudaico – cristiana e novità escatologica, subordinando la novità

carismatica all’interpretazione legalista di continuità tra Antico e Nuovo

testamento. Al contrario gnosticismo e marcionismo evidenziavano la violenta

opposizione tra vangelo di Grazia e antica legge giudaica, irrigidendo il dualismo

spirituale in dualismo ontologico.

Quanto appena esposto è rintracciabile e confermato in uno dei rapporti

polemici più intensi del II secolo d.C. : quello di Tertulliano interprete di

Valentino. Tertulliano, come vedremo in seguito, si erige ad alfiere di

un’ortodossia cristiana profondamente critica nei confronti dell’eresia gnostica.

Tertulliano, lettore attento di Ireneo, scrive l’Adversus Valentinianos con l’intento

di irridere i temi della speculazione valentiniana. La cristologia valentiniana, il

dualismo che sottostà all’intero sistema ontologico, la radicalizzazione

dell’elezione e il senso apocalittico sono i temi principali di Valentino che

Tertulliano interpreta e critica con maggior vigore.

Prima di definire i termini di questa controversa relazione è opportuno

introdurre il concetto di doppio dispositivo che permette di comprendere più a

fondo la paradossalità del dono di Grazia e del rapporto di questo con il libero

VII

arbitrio. Focault e Deleuze prima e Agamben1 dopo, definiscono ‹‹dispositivo››

quel meccanismo concettuale capace di operare anche a distanza di tempo dal suo

innesto e di agire impersonalmente anche senza la coscienza dei soggetti

praticanti. Il cristianesimo si fonda quindi su due differenti dispositivi: il primo,

escatologico, kenotico, carismatico, è emblematico della prospettiva paolina2.

Questo primo dispositivo annuncia il nuovo regno di Dio, che mette in crisi, quasi

sconfessando, la dimensione culturale tradizionale. Il Dio che si palesa nel

messaggio del Cristo non è più il “Dio tremendo dell’antico testamento”, bensì è

buono e giudicante. La speranza escatologica porta con sé un forte principio

anarchico e sovvertitore di ogni ordine tradizionale. La fede stessa è incentrata su

un messianismo kenotico di “un messia alla rovescia” che da Figlio di Dio muore

sulla Croce. L’avvento del Nuovo Regno per effusione carismatica dello Spirito

Santo porta alla nuova alleanza tra il Dio che dona la sua Grazia e un nuovo

popolo pronto ad abbandonarsi nella gratuità del suo dono. Il secondo dispositivo,

definibile come archeo – ontologico e politico, evidenzia un’anima

completamente diversa del cristianesimo. La speranza di fede e di carità, la

gratuità del dono non possono qui che ibridarsi con la cultura greco – romana per

appoggiarsi su una tradizionale ristrutturazione religiosa capace di custodire il

dirompente kerygma originario. L’intreccio di questi due dispositivi

assolutamente inscindibili e bisognosi l’uno dell’altro, nonostante le loro nature

differenti, caratterizza la molteplicità delle risposte teologiche offerte dai cristiani

del II secolo d.C. . I due dispositivi, lungi dall’essere concepiti come radicalmente

stabili, producono una perenne oscillazione sicché anche l’assolutizzazione di uno

dei due dispositivi conserverà comunque, seppur ridimensionato e subordinato,

anche il secondo dispositivo. Il rapporto tra dono di Grazia e libero arbitrio passa

attraverso il meccanismo del doppio dispositivo cosicché maggiore sarà

l’attenzione sulla gratuità del dono, maggiore risulterà l’importanza del

dispositivo escatologico. Maggiore sarà l’interesse per il libero arbitrio e le facoltà

di scelta degli individui, maggiore sarà l’utilizzo del dispositivo archeo –

ontologico. Eppur tuttavia anche la formulazione più ardita o in senso

VIII

escatologico, o in senso archeo – ontologico, non potrà mai fare a meno della

rispettiva controparte.

Ecco dunque che il grandioso mito gnostico di Valentino, lungi dal

rappresentare una mera esaltazione del solo dispositivo archeo – ontologico, come

farebbero pensare l’imponente impianto ontologico, la filiazione divina, la

suddivisione in tre specie umane, è rappresentativo dell’alchimia dei due

dispositivi. Ed anzi, paradossalmente, è proprio il dispositivo escatologico e

carismatico ad essere esaltato nella grandiosa speculazione ontologica dei

Valentiniani. Lo stesso Tertulliano può essere compreso solo alla luce di quanto

sostenuto sino ad ora, sicché ad essere esaltato nella sua teologia è il dispositivo

archeo – ontologico e politico, fondamentale per lo sviluppo della chiesa

protocattolica. La sua svolta montanista, cui approdano le intransigenti posizioni

moraliste da lui sostenute, rivelano, paradossalmente, l’impossibilità di distaccarsi

proprio dal dispositivo escatologico. Scopo di questa tesi è analizzare il rapporto

che Tertulliano instaura con la teoria valentiniana alla luce del meccanismo del

doppio dispositivo. Utilizzando questa metodologia è possibile esaltare gli aspetti

di questa appassionata controversia. È infatti indispensabile osservare che se gli

scritti neotestamentari sono soprattutto di carattere escatologico, la produzione del

II secolo evidenzia una mediazione del kerygma originario. In questo periodo si

assiste infatti ad una riduzione del potente messaggio cristiano. Tali riduzioni, che

partono da prospettive assai differenti, mediano eticamente, ontologicamente e

legalisticamente il carismatico e l’escatologico. In particolare i padri apologeti

iniziano a concepire la gratuità del dono in sostanziale continuità con l’Antico

Testamento e il messaggio dirompente di Cristo viene riformulato culturalmente

adattandolo alle categorie del mondo pagano per essere diffuso rapidamente. Le

risposte di Tertulliano e Valentino, seppur estremamente differenti l’una dall’altra,

rappresentano al meglio questo delicato passaggio. Il pleroma valentiniano e la

soluzione legalista di Tertulliano rispondono, diversamente, alla medesima

necessità. Il fatto che la riduzione archeo – ontologica e politica di entrambe gli

autori non elimini affatto la dipendenza dal kerygma primordiale è la conclusione

cui vuole approdare questa tesi. La necessità gnostica di utilizzare il dispositivo

archeo – ontologico non elimina affatto l’importanza del dispositivo escatologico.

IX

La necessità di Tertulliano, che dei Valentiniani è avversario dichiarato, di

utilizzare il dispositivo archeo - ontologico non elimina affatto il fondamento

carismatico.

10

Capitolo primo

La speculazione valentiniana

11

1.1. Introduzione allo gnosticismo

All’inizio dell’era cristiana e per tutti i due secoli precedenti la venuta di

Cristo, il mondo mediterraneo orientale è pervaso da un profondo fermento

spirituale. La genesi stessa del cristianesimo e l’accoglienza del suo messaggio

escatologico sono manifestazioni evidenti di tale agitazione. La crisi spirituale

trovò la sua più ardita ed estrema rappresentazione nella moltitudine di sètte

gnostiche che iniziarono a svilupparsi e fiorire durante l’espansione cristiana.

Ma cosa si intende per gnosticismo? Hans Jonas, uno dei maggiori studiosi del

movimento, nell’opera Lo gnosticismo definisce la gnosi in questi termini:

“ Il termine ‹‹gnosticismo›, che è stato assunto come termine collettivo per disegnare una

molteplicità di dottrine settarie che sorsero all’interno o intorno al cristianesimo durante i primi

due secoli della sua travagliata storia, deriva da gnosis, nome greco che significa ‹‹conoscenza››. Il

significato di conoscenza nel senso di mezzo per raggiungere la salvezza o persino come forma

della salvezza stessa, e la pretesa di possedere tale conoscenza nella propria formulazione

dottrinale, sono caratteristiche comuni alle numerose sètte nella quali storicamente si espresse il

movimento gnostico.” 3

Una definizione di questo tipo spiega perché l’area gnostica possa essere

ampliata o ridotta a seconda del criterio utilizzato. Allo stesso tempo è

storicamente certo che i Padri della Chiesa considerarono lo gnosticismo come

un’eresia cristiana. Da un lato essi si limitarono a confutare quelle posizioni

dottrinarie, come il sistema valentiniano, che avevano adattato la figura del Cristo

ad insegnamenti eterogenei precedenti, dall’altro cercarono di colpire quelle sètte,

che avendo un comune fondamento giudaico potevano essere considerate come

scomode competitrici. Il fatto che i Padri della Chiesa assimilarono da subito la

portata del movimento gnostico alle eresie cristiane, non rende giustizia ad un

movimento, che indubbiamente nasce sulla scia del cristianesimo, ma che in modo

altrettanto evidente è frutto di un profondo processo di sincretismo religioso4.

Gnosis significa conoscenza di Dio, di un Dio radicalmente trascendente e non-

conoscibile naturalmente. In questo senso la conoscenza gnostica è legata

3 Hans Jonas, Lo gnosticismo, Società editrice internazionale, Torino 1991. p. 52. 4 Ivi, p. 53.

12

all’esperienza escatologica della rivelazione, ora custodita nella dottrina sacra e

segreta, grazie a cui viene tramandata; ma la conoscenza non è solo uno strumento

teorico di trasmissione: è la stessa gnosi conoscitiva a modificare la condizione

umana attuando la salvezza. In questo secondo senso la conoscenza ha anche, e

soprattutto, funzione pratica perché essa stessa coincide con la salvezza5.

Tuttavia è presente anche un rimando all’occidente greco come sarà

evidenziato successivamente. Ciò che è stato qui sostenuto viene, ad esempio,

colto anche da Spengler che, pur non occupandosi specificatamente di

gnosticismo, teorizza il singolare concetto di “pseudomorfismo”, secondo cui se

un nuovo e diverso materiale cristallino viene ad occupare lo spazio - cavità - di

uno strato geologico costituito da cristalli disintegrati, esso sarà inevitabilmente

costretto a ricalcarne lo stampo e di conseguenza a prendere la forma del cristallo

precede. In questo esempio il cristallo ormai disintegrato che lascia la sua forma

nello strato geologico è la tradizione greca, mentre il nuovo cristallo formatosi

nello stampo precedente è la nuova tradizione orientale tipica del fermento

spirituale dei primi due secoli d.C. 6.

È dunque evidente il sincretismo religioso su cui si innesta il principio

gnostico. Da un lato esso è inseparabile dall’avvento escatologico del Cristo,

dall’altro esso attinge al concetto di conoscenza mistica orientale pur rimanendo

necessariamente incastrato all’interno dell’orizzonte ontologico greco. Ciò che qui

deve essere evidenziato è la dipendenza della speculazione gnostica dal kerygma

cristiano. Se è vero che lo gnosticismo utilizza parte del precedente “materiale

filosofico” greco, è altrettanto vero che questa forma di conoscenza dipende e

deve la sua origine al messaggio escatologico e carismatico. Valentino e i

Valentiniani sono i più arditi sostenitori di questo meccanismo. Prima di

analizzare nello specifico il sistema valentiniano è opportuno definire meglio

l’intreccio gnostico tra l’escatologia del kerygma e l’ontologizzazione “platonica”.

Ciò è possibile esaminando il dualismo che caratterizza il grande mito

valentiniano: se è vero che il sistema di Valentino dipende maggiormente dalla

tensione escatologica, il risultato dualistico cui approda è paradossalmente in

5 Ivi. pp. 54 – 55. 6 Ivi, p. 57.

13

disaccordo con il monoteismo professato da Cristo, ma in continuità con

l’eccedenza del dono. La teologia di Tertulliano, nonostante dipenda

maggiormente dalla tensione archeo-ontologica, giunge al monoteismo in

paradossale continuità con il kerygma primordiale.

Possiamo definire il dualismo come il “limite” teologico che divide il

protocattolicesimo dalle correnti gnostiche. Il primo utilizza il dispositivo archeo-

ontologico per approdare all’escatologia monoteista, il secondo, al contrario,

adopera il dispositivo escatologico-carismatico per giungere ad un dualismo

ontoteologico.

1.2. I tratti distintivi della gnosi valentiniana

Valentino nacque nel II secolo d.C. ; l’esatta data di nascita e il luogo

rimangono assolutamente incerti. È possibile che Valentino sia nato o a Cartagine

o a Phrebonis, in Egitto. Sappiamo però che si trasferì ad Alessandria d’Egitto che

era un importante centro di diffusione della filosofia ellenistica neo e medio

platonica. Intorno al 140 – 160 d.C. soggiornò a Roma dove divenne diacono nel

periodo dei pontificati di papa Ignino e Aniceto. Venne espulso dalla chiesa

cattolica per la prima volta nel 143 sotto il pontificato di Pio I. Morì a Cipro

probabilmente intorno al 165 d.C. dal momento che Tertulliano cita un’opera di

Valentino uscita post mortem e databile 175 d.C. circa. Che l’insegnamento di

Valentino si sia diffuso durante il principato di Antonio Pio, che assunse l’impero

nel 138, è attestato dalla notizia di Tertulliano nel De Praescriptione

Haereticorum7. Valentino e la sua scuola rappresentano il culmine della

speculazione gnosticismo del II secolo d.C. . Il tratto distintivo di questa corrente

gnostica è costituito dal tentativo di porre l’origine delle tenebre, e quindi

l’origine della frattura dualistica dell’essere, all’interno della divinità stessa. Da

questa frattura dualistica prende origine la tragedia divina, che avrà termine solo

grazie al modello salvifico di cui si fanno portavoce i Valentiniani. Nella sua

declinazione più radicale lo gnosticismo valentiniano si trova a dover affrontare la

difficile convivenza tra dualismo platonico e unicità della divinità. Anche la

nascita della materia va dunque spiegata in termini di storia divina e, più

7 Tertulliano, Contro gli eretici, Città Nuova Editrice, Roma 2002. p. 36.

14

precisamente, in termini di errore o fallimento divini. Proprio questo dualismo

radicale è la minaccia più grande per la chiesa protocattolica. Il dualismo

valentiniano, esattamente come quello marcionita, malgrado rappresentino

un’esasperazione teologica di carattere ellenista del kerygma originario,

testimoniano, paradossalmente, un tentativo di fedeltà ad alcuni dei temi

neotestamentari. Negli gnostici il dualismo evidenzia l’eccedenza del dono divino

fino al punto che la stessa elezione diventa intimità ontologica con la divinità.

Da questo punto di vista la conoscenza assume uno stato ontologico di rilievo,

che va molto oltre la semplice importanza morale. La conoscenza riceve nella

dottrina valentiniana un fondamento metafisico tale da costituire l’unico e

sufficiente veicolo di salvezza. La salvezza di ogni singola anima diviene così un

evento cosmico garantito da una solida base metafisica. Per tale motivo ogni

illuminazione individuale mediante la conoscenza gnostica è in grado di annullare

metafisicamente il prodotto materiale dell’ignoranza. L’integrazione dell’Io

individuale nel regno divino è quindi importante non solo per l’individuo che

beneficia di tale assunzione, ma diviene emblematico di un processo cosmico di

reintegrazione della stessa sostanza divina andata perduta ed inquinata dalla

creazione materiale ad opera dell’ignoranza8.

Con la pretesa che la propria speculazione fornisca le basi per la conoscenza

mistica indispensabile per raggiungere la salvezza, i Valentiniani, come ci

tramanda Ireneo, potevano, respingendo tutto il rituale misterioso e sacramentale

cattolico, affermare:

“Non si deve compiere il mistero del potere ineffabile e invisibile per mezzo delle cose visibili

e corruttibili della creazione, né quello degli esseri impensabili e immateriali per mezzo delle cose

sensibili e corporee. La salvezza perfetta è la conoscenza stessa dell’ineffabile grandezza: perché

essendo venuti attraverso l’Ignoranza, il Difetto e la Passione, tutto il sistema generato

dall’Ignoranza è dissolto dalla conoscenza. […] per mezzo della conoscenza l’uomo interiore,

spirituale, è salvato perciò a noi è sufficiente la conoscenza dell’essere universale questa è la vera

salvezza.” 9

8 Ivi, pp. 191-192. 9 Ibidem.

15

Questa è la grande ‹‹equazione pneumatica›› del pensiero valentiniano:

l’evento umano individuale della conoscenza salvifica è l’equivalente opposto

dell’evento pre-cosmico dell’ignoranza divina, e nel suo effetto redentivo

appartiene intimamente al medesimo ordine ontologico.

Appare dunque chiaro che i due punti essenziali della gnosi di Valentino

corrispondono al duplice obiettivo della speculazione valentiniana : da una parte

quello di dimostrare il motivo intrinseco, assolutamente interno, della tragica

degenerazione divina senza introdurre alcun agente esterno, dall’altra parte di

giustificare la gnosi stessa come conoscenza elettiva destinata solo a coloro che

sono ontologicamente spirituali. Malgrado l’imponente mitizzazione speculativa, i

due aspetti ora evidenziati appaiono in paradossale continuità con l’annuncio di

grazia. Per ciò che concerne la tragedia divina i Valentiniani traducono in eoni,

trascendenti, decaduti, rivelati, assunti, la dottrina della giustificazione. Rispetto il

secondo punto il mito valentiniano è ancor più radicale. Il dono di grazia subisce

un processo di ontologizzazione tale che l’evento gratuito diviene eterno. L’uomo

spirituale, in quanto fatto della stessa sostanza trascendente del Padre e del Figlio,

è naturalmente graziato, eletto e redento.

Prima di analizzare in dettaglio il sistema valentiniano è però opportuno fare

almeno due precisazioni essenziali per contestualizzare lo gnosticismo

valentiniano. È fondamentale ricordare che Valentino è l’unico degli Gnostici che

ebbe tutta una serie di discepoli conosciuti per nome, tra cui i più noti sono

Tolomeo, Eracleone e Marco. Lo sviluppo di una vera e propria scuola di

formazione valentiniana è confermata sia da Ireneo che da Tertulliano che parlano

appunto di Valentino e dei ‹‹Valentiniani››. Tolomeo, Eracleone e Marco furono

effettivamente dei capiscuola ed insegnarono le loro versioni della dottrina

valentiniana. La divergenza, ed in alcuni casi la discordanza, dalla dottrina

valentiniana dimostrata dai capiscuola successivi è di fatto connaturata ed insita

nel metodo speculativo adottato da Valentino stesso. Gli sviluppi continuamente

differenti della dottrina originaria sono tali che le poche fonti dirette ed indirette

di cui disponiamo, altro non sono che molteplici rielaborazioni e versioni della

seconda generazione valentiniana. Ad esempio, solo della dottrina di Pleroma

sono disponibili almeno sette versioni riportate o riferite da Ireneo, Ippolito,

16

Epifanio e Teodoro. Proprio Ireneo ironicamente nota che: ‹‹Ogni giorno ciascuno

di loro inventa qualche cosa di nuovo, e nessuno è considerato perfetto se non è

produttivo in tal senso››10.

Questo problema porta alla seconda precisazione indispensabile prima di

introdurre il sistema valentiniano. La sovrabbondanza di versioni della medesima

teoria implica anche l’estrema problematicità a rintracciare le fonti che si rifanno

alla versione originale ed autentica di Valentino. La dottrina e il nome di

Valentino compaiono in molteplici testimonianze dell’epoca come nell’Apocrifo

di Giovanni o nel Vangelo della Verità, che secondo alcuni studiosi è stato redatto

proprio da Valentino. È però opportuno riferirsi soprattutto all’opera critica di

Ireneo di Lione, uno dei principali Padri della Chiesa11. Ireneo nasce a Smirne nel

130 d.C. e muore a Lione nel 202 d.C. . La sua opera principale è l’ Adversus

haereses, “Contro le eresie”, in cui il Vescovo di Lione sviluppa un’approfondita

critica allo gnosticismo valentiniano, confutando, ad esempio, l’esistenza di due

Cristi, uno di natura divina e l’altro di natura umana, il possesso ontologico della

Salvezza e riaffermando l’unicità di Dio e la finitezza delle sue creature.

Il delirio del mito gnostico viene combattuto a favore dell’armonia tra Grazia e

Legge, tra fede e libertà razionale e responsabile. Nel corso di tutta l’opera è

chiaro l’intento di arginare il pericolo gnostico che, nel II secolo d.C. ,

rappresentava una concreta minaccia per le comunità protocattoliche. La

speculazione valentiniana era emblematica del rischio spirituale che poteva

portare un’eresia con un impianto dottrinale solido e ben articolato, capace di

affascinare molti cristiani. La confutazione messa in atto da Ireneo cerca di colpire

lo gnosticismo sul terreno delle Sacre Scritture e della teologia. Questo aspetto è

fondamentale perché proprio la radicale polemica di Ireneo sui temi teologici ha

permesso alla dottrina di Valentino di arrivare quasi intatta sino ai giorni nostri.

Successivamente anche Tertulliano, che attinge a piene mani dall’ Adversus

haereses per conoscere la gnosi valentiniana, finisce per contrastare e contestare

Valentino sui medesimi temi teologici trattati da Ireneo anche se, come vedremo

approfonditamente in seguito, in modo profondamente diverso. Per analizzare la

10 Ivi, pp. 194 -195. 11 Ibidem.

17

speculazione valentiniana è quindi preferibile rimanere fedeli alla ricostruzione di

Ireneo.

1.3. Il sistema valentiniano

I misteri ancestrali dei primordi vengono introdotti da queste parole solenni:

‹‹Lo spirito indistruttibile saluta gli indistruttibili! A voi svelo segreti senza nome,

ineffabili, sopracelesti, che non possono essere compresi […] dagli esseri

inferiori››12. Già dall’inizio è palese l’aura misteriosa ed esoterica che caratterizza

la produzione gnostica dei Valentiniani. In che cosa consiste questa dottrina

assolutamente elitaria e segreta?

Nelle altezze invisibili e senza nome c’è un perfetto Eone preesistente. Questo

viene definito con molteplici nomi: Pre – principio, Progenitore, Padre. Questo

Eone conserva molti dei tratti dell’Uno teorizzato da Plotino nelle Enneadi.

Questo eterno Eone, assolutamente unico, incorruttibile, totalmente trascendente e

sussistente per sé stesso, ovvero non generato da nessun altro Eone. Valentino

chiama questo principio primo Bythos (dal greco Βυθός), Abisso. Nessuno può

comprenderlo e per innumerevoli eternità rimane nel più profondo riposo. Con lui,

e più precisamente dentro di lui, è presente un’Ennoia chiamata a seconda delle

versioni Grazia o Silenzio (dal greco Σιγὴν). Per i Valentiniani si tratterebbe del

principio femminile interno alla sostanza primordiale. È altamente probabile che

l’Ennoia come principio femminile sia introdotto da Valentino per giustificare la

successiva generazione degli Eoni. D’altro canto il fatto di inserire un principio

femminile all’interno di Bythos garantisce l’assoluta unicità del pre – principio

senza far venir meno l’assoluta e perfetta compattezza dell’essere13. Dall’altra,

come vedremo successivamente, è proprio la generazione di Abisso e Silenzio a

produrre la frattura dualistica tra Pleroma e mondo esterno.

Bythos -Abisso-, ormai stanco di non poter essere ammirato se non da sé

stesso, pensò di proiettare fuori di sé tutte le cose, che vennero gettate sottoforma

di seme nel grembo di Silenzio. Essa concepì e generò Nous, la mente (in greco

nous è emblematico del principio maschile): l’unico Eone in tutto simile ed eguale

12 Hans Jonas, Lo gnosticismo, Società editrice internazionale, Torino 1991. pp. 195 – 196. 13 Ibidem.

18

al Padre, nonché il solo a comprendere la sua assoluta grandezza. Insieme a Nous

venne generata anche Aletheia, Verità, rappresentativa del secondo principio

femminile. Abisso e Silenzio, Mente e Verità costituiscono la prima Tetrade

fondamentale del Pleroma o regno divino.

Nous, comprendendo immediatamente il proposito con cui era stato generato,

assieme ad Aletheia originò una terza coppia di Eoni: Logos e Vita,

rispettivamente padre di tutte le cose venute dopo di lui e forma – madre di tutto il

Pleroma14. Da loro discende un’altra sizigia o coppia di Eoni: l’Uomo e la Chiesa.

Tutti insieme costituiscono la prima Ogdoade originaria. Questi Eoni, prodotti per

la gloria del Padre, vollero, a loro volta, celebrarlo con proprie creazioni ed

emanazioni. Da Logos e Vita si generarono altri dieci Eoni supplementari, mentre

da uomo e Chiesa discesero dodici Eoni, cosicché la somma complessiva di questi

con l’Ogdoade , costituisce una famiglia perfetta di trenta Eoni suddivisi in

quindici coppie. La pienezza della perfezione divina è così compiuta ed il Pleroma

definitivamente costituito.

Tralasciando i particolari di questo processo generativo è qui importante

sottolineare almeno un punto fondamentale che costituisce la base della

successiva crisi del Pleroma. Il primo decisivo aspetto è che il Pleroma, pur

rappresentando la perfezione del regno divino non deve essere concepito ed

interpretato come un insieme omogeneo; piuttosto, esso è definito e costituito da

una molteplicità totalmente dispiegata di caratteristiche divine, ordinate

gerarchicamente dal grado più alto a quello più basso15. Solo L’Unigenito Nous

ha la capacità di esplorare la grandezza del Padre, essendo direttamente generato

da lui. Per tutti gli altri Eoni, Abisso rimane assolutamente invisibile e

incomprensibile. Tutti gli Eoni sanno dell’esistenza di Abisso, ma solo Nous ha la

possibilità di ammirarlo completamente. Ai restanti Eoni non è concessa questa

possibilità.

Proprio in virtù di questa differenza conoscitiva Nous desidera comunicare la

grandezza del Padre anche ai livelli inferiori della gerarchia, ma viene

prontamente zittito da Silenzio per volontà stessa di Abisso, che vuole condurli

14 Ivi, p. 197. 15 Ibidem.

19

alla conoscenza mediante un processo di ricerca. Così facendo gli Eoni

desiderano ardentemente di poterlo conoscere e di rintracciare finalmente la radice

senza principio.

“ In verità il Tutto era alla ricerca di Colui dal quale essi provenivano. Ma il tutto era in Lui,

quell’Uno Incomprensibile, Inconcepibile, che è superiore ad ogni pensiero.” 16

Proprio nell’ardente desiderio di una conoscenza inaccessibile risiede il

principio della crisi del Pleroma. La sua perfezione deriva dall’armonia

dell’ordine gerarchico in cui ogni parte osserva scrupolosamente i propri limiti. Il

desiderio e la passione, sviluppatesi nelle vette più alte della gerarchia, prossime

al Nous, discesero fino a penetrare Sophia, l’ultima Ennoia generata nel Pleroma.

Sophia impazzì completamente, in apparenza per amor di conoscenza, ma in

verità per la folle presunzione di superare i propri limiti nel tentativo di conoscere

l’essenza. La passione coincide dunque con la ricerca angosciosa del Padre.

Tuttavia Sophia fallì in questo tentativo estremo cadendo in disgrazia ed in

agonia. Essendo penetrata per brama di conoscenza nelle profondità di Abisso,

Sophia avrebbe corso il rischio di essere completamente assorbita nell’essere

generale. Per salvare Sophia e la stabilità del Pleroma intervenne Horos, il Limite.

Il Limite trattenne Sophia, riportandola in sé, convincendola dell’inconoscibilità

del Padre.

La passione e il successivo ristabilimento di Sophia si concretizzano in un

effetto che si estende anche al di fuori del Pleroma. L’entità informe, che ha fatto

nascere nell’impossibile tentativo di cogliere il Padre è l’oggettivazione della sua

componente passionale. Alla vista di questa sua morbosa creazione, Sophia è

scossa da diverse emozioni: angoscia, paura, sorpresa, pentimento. Anche queste

emozioni, chiaramente dannose per l’equilibrio del Pleroma, vengono incorporate

nell’uniformità ed espulse oltre il Limite del Pleroma17.

La prima Sophia viene così definitivamente purificata e consolidata dal Limite

all’interno del regno divino. La sua intenzione e le sue emozioni, una volta

16 Ivi, p. 198. 17 Ivi, p. 199.

20

divenute effettive, non possono essere annullate in quanto prodotto divino. In tal

modo viene a generarsi una seconda Sophia, inferiore perché cacciata fuori dalla

perfezione del Pleroma dal Limite. Questo complesso intreccio espulso e separato

è una sostanza spirituale ipostatizzata che rimane tuttavia priva di forma essendo

‹‹un aborto prodotto senza concepimento››18.

Come è stato precedentemente espresso l’importanza della speculazione

valentiniana risiede soprattutto nella portata dualistica delle sue tesi. È dunque

opportuno considerare con estrema cura l’importanza di Horos, il Limite, e del

suo meccanismo dualistico che segue l’accadimento di Sophia.

Dall’analisi del dramma divino e del potenziale crollo del sistema del Pleroma,

appare evidente la doppia funzione di Limite: una stabilizzante, l’altra separatrice.

Nel primo caso Horos è chiamato Croce, nel secondo Limite. Le due funzioni

sono esercitate anche in due luoghi differenti del sistema valentiniano. La Croce è

il limite che divide Abisso dal resto degli Eoni. La Croce delimita l’ingenerato dal

generato e mantiene gli Eoni separati dall’essenza in cui potrebbero rischiare di

perdersi. È qui che la Croce incontra Sophia nel cieco e disperato tentativo di

conoscere Abisso ed è qui che Sophia viene ricondotta al livello gerarchico che le

spetta. Horos è però anche il Limite che separa e tutela il Pleroma da quello che

esiste all’esterno, cioè la sostanza passionale espulsa per salvaguardare il regno

divino dal rientro di un’eventuale perturbazione esterna. Come vedremo in

seguito, con il procedere del dramma divino il Limite acquisisce anche la funzione

di confine tra Pleroma e Cosmo. Non è comunque casuale che Horos faccia la sua

comparsa solo dopo la vicenda di Sophia19. È anzi proprio a causa di questa

anomalia che si rileva un cambiamento decisivo avvenuto nell’ordine divino

introducendo la funzione del Limite.

“ Il Pleroma non possiede più la sua integrità semplicemente e senza contrasto, ma soltanto in

opposizione ad una negatività posta all’esterno. Tale negatività è il residuo di una perturbazione

18 Ibidem. 19 Ivi, p. 200.

21

che attraverso la conversione della Sophia e la separazione che ha implicato, si è ipostatizzata

come regno positivo a sé.” 20

Per tale motivo il Limite non era concepito nella creazione originaria del

pleroma, ma si è reso necessario come principio di consolidamento

successivamente alla crisi divina. La necessità del Limite è quindi l’ennesima

radicalizzazione del dualismo che caratterizza l’intero sistema valentiniano ben

prima della comparsa di Horos.

L’ignoranza che generò Sophia all’interno del Pleroma, nonché la produzione,

anche se espulsa, della materia informe, preoccupava gli Eoni che rimproveravano

costantemente Sophia per il suo sbaglio. Per ristabilire l’armonia spirituale

all’interno della famiglia divina, gli Eoni pregano il Padre di creare un’altra

coppia formata da Cristo e da Spirito Santo. Questa ulteriore coppia ha duplice

funzione: da un lato quella di completare la missione del Limite ristabilendo una

vera serenità all’interno del Pleroma, dall’altro quello di prendersi cura del

residuo informe che, nonostante sia esterno al limite, preoccupava gli Eoni. Cristo

è quindi l’unico Eone che ha una missione sia interna al Pleroma sia esterna,

all’estremo confine del limite. All’interno ristabilisce la serenità richiesta dagli

Eoni, all’esterno è chiamato a dare forma all’informe. Per prima cosa Cristo

illumina gli Eoni sull’inconoscibilità del Padre. Cristo dona loro la gnosi,

ordinandoli così nei ranghi loro inizialmente assegnati, di modo che la

consapevolezza dell’unità spirituale e la comprensione delle loro diversità non

permetta il sorgere di aspirazioni individuali21.

Quale frutto di questa unione e della riacquisita consapevolezza, gli Eoni, tutti

insieme danno vita ad un prodotto divino addizionale, non in coppia: Gesù, nel

quale è simbolizzata l’unità riconquistata. Questo nuovo e solitario Eone deve:

“ […]portare nella sua persona la Pienezza al di fuori nel Vuoto, in cui il residuo della

perturbazione passata, nel frattempo formato da Cristo, attende ancora la salvezza.” 22

20 Ibidem. 21 Ivi, p. 201. 22 Ibidem.

22

Infatti, inizialmente è Cristo che si prende cura della sostanza residuale ed

informe. Per ristabilire la pace nel Pleroma egli è necessariamente costretto ad

operare anche sulla ‹‹triste condizione dell’aborto e l’angoscia della sua colpevole

madre››. L’intenzione e il desiderio di Sophia, ormai espulsi dal Pleroma e

separati da esso, diventano un nuovo essere personale e ugualmente divino:

Sophia inferiore o Achamoth.

Cristo, disteso sulla Croce (limite esterno del Pleroma), per mezzo del potere

divino impartisce a questa sostanza una forma. L’operazione così svolta porta alla

creazione di una sostanzialità, ma non vi è ancora traccia né di conoscenza né di

un cosmo formato ed organizzato. Cristo, dopo aver svolto questo compito, torna

infatti nel Pleroma lasciando viva in Achamoth la consapevolezza della sua

separazione dal regno divino e il desiderio in lei ardente di raggiungerlo.

Cristo, una volta svolto il suo compito, non deve più abbandonare il posto

all’interno della gerarchia divina e visto che l’imperfetta Achamoth non può

divenire perfetta se non tramite un permanente accoppiamento spirituale, la sua

formazione sul limite esterno della Croce, rappresenta tutto quello che Cristo può

fare per lei.

Divenuta cosciente per mezzo della formazione di Cristo, Sophia inferiore -

Achamoth - si mette disperatamente alla ricerca della luce perduta che non può

raggiungere, perché il Limite le impedisce di entrare nel Pleroma. Achamoth è

quindi costretta a rimanere nell’oscurità esterna in preda a tutte le sofferenze

esistenti. Sophia inferiore - Achamoth -, malgrado si trovi all’esterno del perfetto

regno spirituale, ripete, al suo livello, la scala di emozioni che sua madre provò

all’interno del Pleroma, con l’importante differenza che ora ‹‹tali passioni

assumono la forma di stati definitivi di essere e come tali possono diventare la

sostanza del mondo››23. La generazione del mondo avviene dunque per una

solidificazione psichico – materiale delle emozioni provate da Sophia inferiore.

Questo punto del dramma divino è forse uno dei più dibattuti anche all’interno

della sètta valentiniana:

23 Ivi, p. 203.

23

“Quanto questo punto fosse fondamentale nella speculazione dei Valentiniani è dimostrato

dalla considerazione del numero di varianti in cui la scala di passioni è stata sviluppata e dai

rispettivi corrispondenti assegnati a ciascuna di esse in termini di ‹‹sostanza››. Il fatto stesso che la

correlazione tra emozioni ed elementi non è stata fissata nei particolari ma varia da autore ad

autore, e forse anche nel pensiero di un medesimo autore, mostra quanto si sia a più riprese

meditato su tale soggetto.” 24

Dopo che Sophia inferiore ha provato tutte le passioni, supplichevole cerca la

luce di Cristo. Questo, impossibilitato ad abbandonare nuovamente il Pleroma, si

accorda con gli altri Eoni per mandare Gesù come consorte della Sophia esteriore,

per curarla dalle passioni e dissuaderla dalla folle ricerca del Cristo. Con lui

discendono anche gli angeli, emanati da Gesù come scorta divina nella discesa

verso l’esterno. Passato il Limite, Gesù incontra Sophia inferiore -Achamoth -

disperata nelle quattro primitive passioni: il timore, l’angoscia, la confusione e la

supplica. Gesù cura Achamoth donandole la gnosi, la conoscenza, separando da

lei le passioni, senza commettere l’errore di Cristo, abbandonando le emozioni a

loro stesse come era avvenuto precedentemente nella vicenda di Sophia superiore.

Le passioni, che non possono essere annullate in quanto prodotto effettivo della

divinità inferiore, vengono solidificate da Gesù in sostanze indipendenti.

Con l’avvento di Gesù il meccanismo dualistico che sottostà alla struttura

valentiniana viene addirittura radicalizzato. L’apparizione del Salvatore da un lato

permette la liberazione di Sophia inferiore -Achamoth- dalle sue sofferenze,

dall’altra si erige a fondamento di tutte le cose esterne. Gesù rende possibile ‹‹in

potenza›› la susseguente creazione demiurgica. Da affezioni incorporee

abbandonate da Cristo, Gesù trasforma le passioni in materia, impartendo loro la

capacità di entrare in composizione formando i corpi25. Questa

“materializzazione” della sostanza incorporea espulsa avviene secondo due

differenti direttrici: da un lato si forma una sostanza maligna, proveniente dalle

passioni, dall’altro viene generata una seconda sostanza, benigna, derivante dal

processo di conversione e preghiera.

24 Ibidem. 25 Ivi, p. 205.

24

Dall’unione di Achamoth, ormai purificata, e Gesù origina un nuovo frutto

spirituale a loro somiglianza da cui deriva l’elemento pneumatico nel mondo

inferiore.

Come abbiamo già notato esiste una forte correlazione tra passioni divine e

generazione elementare. Generalmente i Valentiniani concordano che dalla

conversione si genera l’anima del mondo, il Demiurgo e tutto ciò che di psichico

esiste in natura. Dalle passioni derivano, in gradi e misure differenti a seconda

delle versioni, tutti gli elementi materiali del cosmo. In conclusione è possibile

constatare che dall’esperienza di Sophia inferiore prendono origine tre tipi di

essenze: dalla passione deriva la materia, dalla conversione l’anima e dall’avvento

del Salvatore Gesù lo pneuma. Quest’ultima essenza non può essere quindi

soggetta ad alcun processo generativo da parte di Sophia inferiore, dal momento

che deriva dalla discesa dell’Eone Gesù nello spazio extra – pleromatico. Perciò

Sophia si impegna a formare solo l’essenza psichica, prodotta nell’atto della sua

conversione.

Come è stato precedentemente osservato da Sophia inferiore -Achamoth- non

deriva solo l’essenza psichica, ma anche il Demiurgo, padre e re di tutte le cose

psichiche e materiali. È infatti il Demiurgo ad aver creato il cosmo, guidato, pur

non sapendolo, dalla madre Sophia. Il Demiurgo crea sette cieli al di sopra dei

quali egli risiede. In questo senso il Demiurgo viene definito dai Valentiniani

anche come il ‹‹Luogo del mezzo››26 in quanto si trova in una posizione

intermedia tra la Sophia inferiore e il mondo terreno da lui formato. Risulta qui

doveroso ricordare che in altre versioni valentiniane ‹‹Luogo del mezzo›› sta ad

indicare la posizione intermedia della Sophia inferiore situata tra il Pleroma, da

cui è tenuta fuori, e il Demiurgo, suo figlio e re delle cose materiali.

Il Demiurgo valentiniano conserva quasi tutti i tratti del ‹‹Dio del mondo››

delle altre sètte gnostiche. Egli è assolutamente ignorante nel senso che ignora

completamente non solo l’esistenza del Pleroma, ma addirittura l’esistenza della

Sophia inferiore, sua madre. L’ignoranza del Demiurgo viene però enfatizzata dai

Valentiniani anche sotto un altro aspetto: la creazione del Demiurgo non è frutto

di una qualche forma di conoscenza, anzi egli è assolutamente inconsapevole di

26 Ivi, p. 206.

25

tutto quanto. Il Demiurgo che qui viene descritto è assolutamente ‹‹pazzo, e non

sa quello che fa e quello che produce››27.

Proprio sulla sua estrema ignoranza poggia la seconda caratteristica che il

Demiurgo valentiniano condivide con le altre interpretazioni gnostiche: l’orgoglio

e la presunzione di essere l’unico e supremo Dio. Però, necessitando di una

correzione rivelativa, il Demiurgo viene illuminato dalla gnosi grazie

all’intervento della madre e tramite la sua conoscenza viene portato alla scoperta e

alla consapevolezza di ciò che c’è ed è sopra di lui. Tuttavia il Demiurgo conserva

per sé il mistero del Padre e degli Eoni del Pleroma non comunicandolo ai suoi

profeti. Se ciò avviene per decisione di Sophia inferiore o meno non è specificato

in nessuna delle fonti, tanto che anche Ireneo rimane dubbioso nell’analisi di

questo punto. Quel che risulta evidente è che Sophia inferiore deve per questo

motivo ricorrere ad un agente esterno al mondo e della sua stessa specie divina.

Come nel caso del limite, anche qui è presente la necessità di una creazione ad

hoc per la risoluzione della tragedia divina. L’incarnazione degli Eoni di Cristo e

di Gesù porta alla creazione demiurgica del Gesù storico28. Prima di analizzare la

funzione del Gesù storico all’interno del processo salvifico che pone fine alla

tragedia divina, è opportuno soffermarsi su alcuni aspetti del sistema valentiniano

circa la generazione del cosmo e il Demiurgo.

La creazione del mondo ad opera del Demiurgo introduce il grosso problema se

vi sia o meno un’esposizione platonica celata dietro l’impianto gnostico. Il fatto

che lo gnosticismo utilizzi, al pari dei Padri della Chiesa, gli strumenti filosofici

offerti dal patrimonio greco, non implica affatto che questo riutilizzo coincida tout

court con l’idea greca a cui si riferisce. È plausibile che Valentino conosca il

sistema filosofico platonico ed è altrettanto plausibile che da esso ne tragga

ispirazione. Rimane comunque evidente come pur ispirandosi a Platone, il

Demiurgo valentiniano sia profondamente diverso dal corrispettivo platonico per

scopo, natura e rilevanza. Su quest’aspetto risulta fondamentale l’analisi critica di

Ireneo che cerca di affrontare la delicata questione del rapporto tra Platone e

Valentino:

27 Ivi, p. 207. 28 Ibidem.

26

“Quando il Demiurgo volle inoltre imitare anche la natura senza limiti, esterna, infinita e senza

tempo dell’Ogdoade superiore (gli otto Eoni originari del Pleroma), ma non poteva esprimere la

loro immutabile eternità, essendo egli stesso un prodotto dell’imperfezione, incarnò la loro eternità

in tempi, epoche e gran numero di anni, nell’illusione che con la quantità di tempi avrebbe potuto

rappresentare la loro infinità. Così gli sfuggì la verità e seguì la falsità. Perciò la sua opera passerà

quando i tempi saranno compiuti.” 29

Il problema temporale espresso in questo passo rimanda con tutta evidenza al

ben più celebre brano del Timeo di Platone dove il filosofo ateniese descrive la

creazione del tempo come ‹‹l’immagine mutevole dell’eternità››30. Il fatto che lo

gnosticismo si formi in quel vuoto lasciato dalla tradizione greca non deve

ingannare sulla profonda differenza che distingue la struttura gnostica da quella

platonica. Lo spirito dell’imitazione valentiniana è assolutamente dissimile

dall’originale platonico sia per struttura che per fine. Se il rimando al Timeo è

infatti evidente, sono altrettanti i punti di estrema diversità. Il Demiurgo platonico

è assolutamente consapevole, re del mondo e del cosmo mentre il corrispettivo

valentiniano si trova in una posizione mediana tra Pleroma e mondo terreno che

crea solo dopo una rivelazione gratuita della madre Sophia, comunque esterna al

Pleroma. Che il Demiurgo platonico si basi su un forte dualismo è fur di

discussione, il corrispettivo valentiniano radicalizza il dualismo fino ad esaltare il

senso apocalittico del mito gnostico: il Demiurgo valentiniano è infatti costretto a

perire insieme all’intero cosmo materiale alla fine dei tempi. La creazione

demiurgica è, in Valentino, il peggiore degli inganni. Il Demiurgo crea l’illusoria

trappola dell’Eden, un cosmo assolutamente materiale e psichico, da cui lo

gnostico si allontana perché gratuitamente graziato e redento. Lo gnostico, al

contrario, rappresenta proprio quel principio anarchico e sovvertitore di ogni

ordine e gerarchia che spezza l’illusione della creazione demiurgica per rivelare la

grandiosa trascendenza del Pleroma.

Tornando al sistema valentiniano è ora opportuno affrontare l’ultimo passaggio

del mito gnostico; quello della Salvezza. Le tre essenze presenti in natura sono di

29 Ibidem. 30 Ivi, p. 210.

27

ordine materiale, psichico e spirituale, ma come è stato analizzato

precedentemente, solo le prime due potevano essere formate da Sophia inferiore

dal momento che lo pneuma è della sua stessa natura e discende grazie all’avvento

dell’Eone Gesù. Questa essenza entra e attraversa il mondo materiale tramite la

creazione del Demiurgo, che soffia ed instilla all’interno dell’uomo materiale

l’elemento psichico. L’elemento pneumatico, che la Madre aveva prodotto dalla

visione degli angeli e dall’unione con l’Eone Gesù, non poteva essere conosciuto

dal Demiurgo in quanto sostanza superiore alla propria natura. Sophia inferiore

decide quindi di depositarlo segretamente nel Figlio. Per mezzo di una produzione

inconsapevole il seme spirituale viene depositato nell’anima e nel corpo per essere

qui protetto fino a quando non diviene sufficientemente maturo per ricevere il

Logos. Lo pneuma, per così dire, alberga nel mondo preformandosi in vista

dell’effettiva formazione per mezzo della gnosi. È precisamente questo lo scopo

segreto che Sophia inferiore si propone di raggiungere tramite la creazione

demiurgica.

La gnosi viene infine portata sulla terra, unicamente per gli uomini spirituali

capaci di accoglierla, dal Gesù storico. A questo punto è interessante notare come

la passione del Gesù storico sia in realtà un grande stratagemma cosmico. La

passione reale è infatti il dramma fra Sophia superiore e inferiore. La passione

celeste è ciò che ha reso necessaria la salvezza, non ciò che positivamente ha

portato alla salvezza. Come è assolutamente apparente la passione di Gesù, così è

solo un inganno il peccato originale dell’anima umana. L’unico reale peccato,

prima del tempo e del mondo, è quello dell’Ennoia Sophia, persuasa di

comprendere Abisso, nonché causa sovvertitrice dell’intero ordine divino. La

creazione del cosmo e dell’uomo sono passaggi necessari e propedeutici alla

restaurazione dell’ordine divino e non una creazione benevola del Dio. L’oggetto

della salvezza è la divinità stessa, il suo scopo l’armonia celeste31.

La salvezza finale ha luogo solo quando tutti gli elementi pneumatici hanno

raggiunto la gnosi, perfezionandosi. Solo allora questi spiriti, ormai spogliati

dell’anima e della carne, torneranno con la Madre nel Pleroma che diviene ‹‹la

camera nuziale dove ha luogo il matrimonio della Sophia con Gesù e quello degli

31 Ivi, p. 211.

28

spiriti con gli angeli››. Con ciò la perfezione è definitivamente stabilita e la

violazione originaria completamente riparata. Materia ed anima, espressioni di

quella tragica caduta divina, organizzate nella creazione cosmica del Demiurgo,

cessano così di esistere.

“Come l’ignoranza di una persona, nel momento che essa viene a conoscere scompare

spontaneamente; come la tenebra si dissolve all’apparire della luce, così anche la Deficienza si

dissolve di fronte al fatto della Pienezza. Quindi da quel momento in poi, la Forma non è più

apparente, ma scompare nella fusione con l’Unità – perché ora le loro opere sono divenute uguali

l’una all’altra – nel momento in cui l’Unità perfeziona gli spazi.” 32

È qui opportuno soffermarsi tanto sulla figura del Gesù storico sia sulla

suddivisione in tre classi umane. Nel Cristo crocifisso, sofferente e morente, viene

rivelato il segreto del Dio trascendente di grazia. Il mito valentiniano coincide con

la rivelazione che “nulla di ciò che è umano è estraneo al Dio che ama”. È il Dio a

generare il Figlio, donato agli uomini gratuitamente per chiamarli alla verità

trascendentale, salvandoli dall’inganno demiurgico. Il dualismo teologico che

percorre tutto il sistema valentiniano porta ad un’antropologia divisiva che separa

gli uomini in tre differenti classi. L’opposizione neotestamentaria tra gli uomini

pervasi dallo Spirito Santo e gli uomini naturali viene esasperata nel sistema

valentiniano ove la natura pneumatica definisce una classe di uomini eletti e

redenti in quanto della stessa sostanza divina del Dio. La salvezza è quindi

predestinata per onnipotente volontà del Dio di grazia con cui lo gnostico

condivide ontologicamente la filialità. Ecco la grande differenza che preoccupa i

Padri della Chiesa protocattolica: la Salvezza, essendo predestinata, viene

raggiunta indipendentemente dall’osservanza dei precetti morali. L’obbedienza a

leggi morali viene concepita dai Valentiniani come un’esteriore osservanza di

precetti validi solo all’interno del paradigma demiurgico, illusorio ed ingannevole.

Inoltre, se l’uomo materiale rappresenta la miserabile nudità corporea destinata

alla morte, l’uomo psichico è invece identificato con la più elevata proprietà di

questa stessa creatura materiale, perennemente sospeso tra il nulla della materia e

32 Ivi, p. 212.

29

l’impossibilità di raggiungere la trascendenza dell’uomo spirituale o pneumatico.

L’uomo psichico esercita la sua libertà nell’atto di fede, ma il libero arbitrio viene

qui declassato a forza mediana rivolta verso l’altezza del Pleroma che non può

comprendere perché limitato dalla sua sessa natura inferiore e corporea. La fede

stessa viene degradata a relazione imperfetta e parziale, nonché ancora limitata

legalisticamente all’interno dell’ingannevole cosmo demiurgico. La fede cerca il

Dio di grazia senza avere mai la capacità di coglierlo e, soprattutto, di accoglierlo

in quanto sua filiazione. La gnosi è quindi grazia rivelativia che redime l’uomo

pneumatico e rivela la profonda intimità con la generosità del Padre. Lo gnostico

assume così i tratti dell’anarchico libero in quanto conosce la trappola della

finitezza e della creaturalità, illusorie ed alienanti subordinazioni demiurgiche

negatrici della filialità stessa con Dio.

“ Il cristiano uscito dal battesimo sorride superiore a tutto, capace di disprezzare il mondo,

libero perché ormai riunito a quel pleroma di grazia, che ontologicamente gli appartiene.”

1.3. Il meccanismo dei due dispositivi in Valentino

L’analisi sin qui svolta dell’intero sistema valentiniano rientra, come mostrato

all’inizio di questa ricerca, nel più vasto movimento gnostico. Sono molti i temi

trattati dai Valentiniani, che tornano con decisa frequenza anche nelle altre

dottrine gnostiche dell’epoca. Valentino e la sua speculazione rappresentano però

il tentativo più audace ed estremo di questo movimento. L’intero impianto

ontologico, la minuzia con cui sono descritti i passaggi della tragedia e della

salvezza divina, la complessa struttura cosmogonia e cristologia, nonché

l’immensa elaborazione simbolica sono testimonianza del monumentale sforzo

che i Valentiniani fecero per creare un sistema religioso, indubbiamente

complesso, ma assai solido e sviluppato.

Non è un caso che Valentino e la sua scuola vengano immediatamente presi di

mira dalle chiese apostoliche che proprio in quel momento andavano

espandendosi all’interno dell’impero romano. Lo gnosticismo di Valentino

rappresenta per i Padri della Chiesa il tentativo più pericoloso dell’eresia di

30

conquistare ampie fette di cristiani colti, affascinati dai segreti della teoria e dal

grandioso apparato che la compone33.

L’avversione dei Padri della Chiesa, come quella dimostrata da Ireneo prima e

da Tertulliano dopo, non è solo emblematica di un rischio, quello eretico,

tangibile ed effettivo. Il problema che costoro rilevano nel mito gnostico

valentiniano è una questione di ben più vasta portata, che riguarda gli gnostici in

particolare ed il cristianesimo primitivo in generale. La speculazione valentiniana

è presa come esempio lampante di un rischio più grande: l’escatologia,

sovvertitrice di ogni ordine, è qui ontologicamente estremizzata. Il dualismo

ontoteologico valentiniano non può che essere apertamente osteggiato dalla

teologia protocattolica e dai padri apologeti. È infatti innegabile che Valentino e le

sètte gnostiche, che in linea generale rappresenta, fanno abbondante uso di un

sistema ontologico sofisticato ed imponente, ma questo ha senso solo alla luce

della rivelazione storica del Cristo morto sulla croce e del kerygma originario. Il

messaggio escatologico, carismatico, kenotico del Cristo storico irrompe nella

storia degli uomini con una potenza dirompente. Il movimento gnostico si

sviluppa a partire dall’accadimento storico della venuta di Cristo. A differenza del

cristianesimo del II secolo d.C. però il mito gnostico rimane, paradossalmente,

legato ed in continuità con i maggiori temi del cristianesimo primitivo

caratterizzato da una profonda escatologia . Il complesso intreccio che sta alla

base dello gnosticismo non implica che il kerygma originario venga imbrigliato

all’interno di una struttura archeo – ontologica, piuttosto questo risulta rafforzato

ed esaltato proprio in virtù dell’apparato ontoteologico.

In effetti come si evince dalla valutazione del sistema valentiniano, al termine

del processo di salvezza, l’importanza dell’avvento escatologico di Gesù viene

addirittura estremizzato in un intimità ontologica e filiale dello gnostico con il Dio

di grazia. La stessa gnosi, lungi dall’essere un mero strumento conoscitivo, viene

innalzata a strumento redentivo ed elettivo. La stessa struttura valentiniana, che si

fonda sulla caduta divina a causa di un peccato avvenuto nel regno delle divinità,

porta ad una conclusione paradossalmente in continuità con quella contenuta nel

33 Tertulliano, Contro gli eretici, Città Nuova Editrice, Roma 2002. p. 16.

31

kerygma originario, dove si palesa un Dio assolutamente buono e generoso che

dona gratuitamente un figlio divino, redentore e salvatore.

Se l’avvento di Cristo annuncia la venuta di un Nuovo regno di Dio, la

speculazione valentiniana, pur inserendo il peccato in una grandiosa tragedia

divina interna al Pleroma, radicalizza il kerygma tramite il dualismo ontologico e

la divisione degli uomini in pneumatici, gli eletti del Nuovo regno, psichici, dotati

del solo libero arbitrio, e materiali, che scompariranno con tutta la materia a

seguito dell’apocalisse e della ritrovata armonia all’interno del Pleroma.

Insomma, l’evento di grazia non viene affatto negato dai Valentiniani, eppure

ontologizzato nel grandioso mito gnostico, dunque paradossalmente proclamato

come fondamento del mistero di Dio e della rivelazione di Cristo. E’ opportuno

fare un’altra precisazione circa la metodologia utilizzata dai Valentiniani. Che lo

gnosticismo sia un risultato sincretico di più componenti è dato certo. Che gli

gnostici riprendano l’originaria nozione giudaica di elezione appare

sufficientemente chiaro, ma il fatto che questa venga assolutizzata fino alla

filialità con Dio, provoca un movimento teogonico che genera un Figlio – Uomo,

non solo persino carnale, ma addirittura fragile, peccatore, mortale. Dall’altro lato

però la nozione di grazia viene inserita in un paradigma dualistico tale da risultare

addirittura separata, e quindi consumata all’interno di un sistema che rimane

platonico o neoplatonico.

La novità del dono finisce per coincidere con la riscoperta della propria filialità

con Dio e della propria natura “sovrastorica”, sicché l’eversiva gratuità di grazia

diviene reminescenza platonica, ricordo della propria nascosta identità. La

conseguenza diretta di questa relazione tra platonismo e gnosticismo ha portato i

Padri della Chiesa ad avvalorare l’idea che non solo gli gnostici avessero distorto

il messaggio di Cristo nelle loro speculazioni mitologiche, ma che questo risultato

fosse stato ottenuto anche con gli strumenti che la filosofia greca e pagana aveva

donato loro. Tertulliano in particolare è assai critico su questo punto e, come

vedremo in seguito, non nasconde una profonda avversione nei confronti della

filosofia colpevole di aiutare i Valentiniani nella loro distruzione del messaggio

originale di Gesù34. Al di là delle critiche che gli apologeti rivolsero agli gnostici,

34 Tertulliano, Contro gli eretici, Città Nuova Editrice, Roma 2002. pp. 35 – 37.

32

è qui importante sottolineare proprio il delicato intreccio dei due dispositivi

esposti in precedenza. Lungi dal distorcere il kerygma primitivo, i Valentiniani si

collocano in estrema continuità con la logica eversiva del dono, con il senso

escatologico e apocalittico dei primi scritti neotestamentari, nonché con

l’avversione a qualsiasi ordine gerarchicamente costituito. Il dualismo ontologico

su cui si struttura l’intero sistema valentiniano enfatizza l’avversione escatologica,

anarchica, carismatica del Dio gratuito del Nuovo Testamento.

Si potrebbero fare altri innumerevoli esempi di differenze sostanziali tra

dottrina valentiniana e cristianesimo, ma quello che a questo punto è importante

sottolineare è lo stretto legame che intercorre tra i due dispositivi e la speculazione

valentiniana, per poi confrontare, solo in seconda battuta, questo risultato con il

differente intreccio proposto dai Padri della Chiesa e, nello specifico, da

Tertulliano. È stato osservato come la storia del cristianesimo poggi sul

meccanismo del doppio dispositivo, kenotico-carismatico da un lato, archeo –

ontologico dall’altro: dopo una prima fase neotestamentaria, povera

filosoficamente e teologicamente, sul finire del II secolo d.C. si è reso necessario

l’utilizzo del dispositivo archeo – ontologico. Valentino e Tertulliano, gli gnostici

e i padri apologeti, utilizzano entrambe il dispositivo archeo – ontologico e

politico, ma le risposte cui approdano sono profondamente differenti, come

diversi sono gli scopi che determinano queste risposte. Così, malgrado la

mitizzazione speculativa ontoteologica cui i Valentiniani sottopongono il

kerygma, essi sono da considerarsi in paradossale continuità con l’annuncio di

grazia escatologico e carismatico. In Valentino si assiste ad una paradossale

ontologizzazione del dono di grazia in cui il dispositivo archeo – ontologico

s’intreccia con la dirompente forza del dispositivo escatologico e carismatico.

Come è stato osservato in precedenza il meccanismo dei due dispositivi prevede

l’inscindibilità dell’uno dall’altro: malgrado subordinato, un dispositivo non potrà

mai annullare l’altro. Ciò risulta evidente anche nel sistema valentiniano dove

questa continua e paradossale oscillazione tra l’eversione della grazia e il libero

determinarsi dell’uomo è un tratto distintivo di tutto il sistema teologico.

È chiaro che i Valentiniani, rimanendo in continuità con la novità escatologica,

prediligano l’onnipotenza del Dio di grazia rispetto al libero arbitrio, ma questo,

33

lungi dall’essere misconosciuto, diviene fondamento, pur mediato e subordinato,

dell’uomo psichico. In conclusione il mito speculativo gnostico traduce in eoni la

dottrina della giustificazione, radicalizzandone il dualismo e affiancando una

cristologia elaborata e complessa.

Se in Valentino l’accento è posto sul dispositivo escatologico e sull’importanza

della gratuità del dono di grazia, pur utilizzando anche il dispositivo archeo –

ontologico per la creazione del grande mito speculativo, in Tertulliano il discorso

cambia radicalmente. Come Valentino anche Tertulliano si cimenta con la

problematicità del rapporto tra dono di grazia e libero arbitrio, ma le risposte cui

approda portano a risultati completamente diversi da quelli ora esposti in

riferimento al sistema valentiniano. Tertulliano è uno dei padri apologeti più

rilevanti della storia della Chiesa tanto che lo sviluppo del concetto di trinità si

deve al suo imponente lavoro teologico. La sua proposta, indispensabile per la

formazione della chiesa protocattolica, non solo differisce da quella di Valentino,

ma vi si oppone su più fronti. Preme qui sottolineare come tale opposizione non è

caratterizzata da una mera avversione teologica, ma, al contrario, evidenzia ancora

una volta la molteplicità d’intrecci dei due dispositivi. Se l’avversione di

Tertulliano si riducesse ad un differente impianto teologico, si rischierebbe di non

rendere giustizia a questa appassionata disputa, molto più profonda in quanto

tocca i delicati temi della relazione tra grazia e libero arbitrio, della continuità tra

Antico e Nuovo Testamento, del rapporto con l’escatologia e il carisma del

kerygma e del sistema ontoteologico utilizzato.

Il radicale dualismo marcionita e valentiniano, l’escatologia portata sino alla

filialità ontologica con la divinità, il senso apocalittico ed eversivo, nonché la non

curanza dei precetti morali sono i maggiori temi cui Tertulliano dedica aspre

critiche e cerca di confutare. La novità del kerygma originario viene

ridimensionata e pensata in sostanziale continuità con l’Antico Testamento, il

senso apocalittico ed elettivo viene mediato in favore dell’importanza della Chiesa

in quanto struttura gerarchica e depositaria della verità di Dio, l’anarchia del

messaggio primordiale viene limitata legalisticamente all’interno di un ristretto

numero di precetti ed obblighi morali. È dunque chiaro come Tertulliano, almeno

in una prima fase, ponga l’accento sul dispositivo archeo – ontologico e politico,

34

pur non eliminando il corrispettivo escatologico. Il libero arbitrio diviene

fondamentale in quanto immagine e somiglianza della divinità, a scapito

dell’onnipotente volontà di Dio, ridimensionata e relativizzata. Con queste

premesse la relazione con i Valentiniani non può che risultare problematica. Certo

non è possibile affermare che nella produzione teologica di Tertulliano

l’escatologia e il carisma primitivo siano del tutto scomparsi. Indubbiamente essi

sono subordinati all’urgenza legalistica, ma nient’affatto svaniti.

È chiaro che lo scopo principale di Tertulliano, in quanto Padre apologeta, sia

difendere la Chiesa e la sua tradizione. È altrettanto evidente che questa difesa

poggi su una proposta teologica decisamente ridimensionata rispetto

all’entusiasmo eversivo della produzione neotestamentaria. Il fatto che

Tertulliano, sulla scia di Ireneo e Giustino, proponga una teologia del libero

arbitrio, della continuità tra legge e grazia, della disciplina pedagogica e morale,

non implica che la dimensione escatologica risulti completamente assente. In

Tertulliano la Legge è già grazia e non rivela, come per gli gnostici, un’identità

divina sovrastorica. La legge è grazia perché educa progressivamente la creatura

ad una profonda intimità con Dio. La legge, offerta una prima volta ad Adamo e

da lui smarrita, viene donata una seconda volta con la rivelazione di grazia di

cristo. Inoltre grazie al libero arbitrio la creatura può scegliere se obbedire o meno

alla Legge, può decidere se volgersi al bene o al male.

Certamente il libero arbitrio è un limite all’eccedenza del dono e distingue

nettamente il credente di Tertulliano, impegnato pedagogicamente in una

disciplina salvifica capace di redimerlo definitivamente, dall’eletto valentiniano,

poco attento a qualsiasi disciplina perché già ontologicamente in possesso della

Salvezza. Tuttavia, seppur ridimensionato, l’orizzonte escatologico non è

assolutamente scomparso: il libero arbitrio rimane il dono supremo che Dio ha

concesso alla sua immagine creata, la sola degna di riflettere la potenza del Dio

creatore. La forza della ragione è tale che la creatura può servirsene persino per

emanciparsi dalla stessa divinità. La grazia di Dio è dunque certamente ridotta, ma

nient’affatto eliminata.

35

Capitolo secondo

Tertulliano tra ortodossia e montanismo

2.1. Vita e contesto storico:

Quinto Settimo Fiorente Tertulliano nacque tra il 155 d.C. e il 160 d.C. a

Cartagine. Dalle fonti e dalle testimonianze pare che il padre fosse centurione al

servizio del proconsole d’Africa. Tertulliano ebbe un’educazione assolutamente

romana, studiando lettere e sviluppando una buona conoscenza retorica e

giuridica. Prima del 197 d.C., alcuni sostengono addirittura nel 190 d.C. , si

convertì dal paganesimo al cristianesimo, diventando prete. Circa a metà della sua

vita si allontanò dal cristianesimo cattolico per avvicinarsi al montanismo, di cui

entrò a far definitivamente parte intorno al 213 d.C.35 .

All’interno della sètta dei montanisti pare che Tertulliano divenne ben presto

figura di rilievo e personaggio di spicco tanto da creare una propria corrente

all’interno del movimento religioso. Tertulliano morì circa nel 230 d.C. ma le

fonti sono scarse e le testimonianze discordi. Quello che sappiamo di lui proviene

direttamente dai suoi innumerevoli scritti. Proprio dall’analisi di questi testi è

possibile descrivere Tertulliano come figura assai complessa e poliedrica.

Tertulliano non può infatti essere definito né filosofo, né asceta, né retore36. La

peculiarità di Tertulliano è quella di percepire, facendo propri, molti fra questi

aspetti, senza peraltro abbracciarne uno in maniera totalitaria e definitiva. È però

possibile affermare con certezza che tutta la sua produzione ha carattere polemico

e apologeta. Tertulliano, fin dalla sua conversione al cristianesimo, si colloca su

posizioni profondamente moraliste e sviluppa un pensiero chiaramente ortodosso

ed intransigente. La polemica apologetica e anti - eretica viene affrontata da

Tertulliano in modo singolare, distinguendosi anche per questo motivo dagli altri

Padri della Chiesa. La sua intolleranza nei confronti di gnostici ed eretici lo porta

a strutturare l’opera apologetica su vari e differenti piani: ora giuridico, ora

satirico – letterario, senza mai affrontare l’avversario sul piano prettamente

35 Il pensiero di Q.S.F. Tertulliano, a cura di P. Zama, R. Barabba Editore, Lanciano 2010. p. 5. 36 Ivi, p. 7.

36

teologico. Questa personalissima scelta, lungi dal celare una eventuale e presunta

ignoranza di Tertulliano in materia teologica, è frutto di un pensiero consapevole

e apertamente polemico che nega sin dal principio all’avversario il diritto di

dibattere su un piano conoscitivo che giuridicamente - secondo Tertulliano -, non

gli appartiene. Questo punto verrà affrontato successivamente in maniera più

dettagliata. allo stato attuale serve unicamente a sottolineare ed evidenziare

l’assoluta specificità del pensatore cartaginese.

Il fatto che Tertulliano sia un personaggio assolutamente poliedrico trova

giustificazione seguendo due direttrici: la prima che indaga il contesto storico nel

quale egli vive e si forma, la seconda che analizza le vicende personali dell’autore

evidenziando tre singoli, differenti momenti: quello cristiano, pre – montanista ed

infine definitivamente montanista.

Per ciò che riguarda il primo aspetto è d’obbligo la contestualizzazione storica

di Tertulliano. Come detto in precedenza il II secolo d.C. è un periodo di grande

fermento spirituale. Il cristianesimo non è stato ancora accettato come religione

avente diritto di culto nell’impero romano, ciò nonostante vive un periodo di

relativa tolleranza. La parte orientale dell’impero romano, nello specifico le

regioni dell’Egitto, Palestina e Siria, sono pervase da un profondo rinnovamento

anche dal punto di vista culturale: il vento dell’ellenizzazione soffia ora dal vicino

Oriente verso le regioni del mediterraneo orientale; la filosofia neo e medio

platonica si diffonde rapidamente nelle scuole e nelle classi colte della

popolazione; la vicenda di Cristo, lungi dall’essere un fenomeno isolato

all’interno della piccola comunità cristiana, agita la gran parte della popolazione

orientale dell’impero. In questo periodo storico apparentemente caotico, ma

culturalmente e spiritualmente estremamente produttivo, come testimoniano il

fiorire di scuole, dottrine e sètte, la comunità cristiana, inizialmente perseguitata,

cerca di formare una propria e solida struttura37.

Tertulliano nasce in un contesto dove il tentativo cristiano di dare una struttura

capillare alla propria comunità ha già portato alla creazione e formazione di

importanti chiese come quella Romana e, appunto, quella cartaginese. Inoltre non

è un dato da sottovalutare il fatto che sul finire del II secolo d.C. la religione

37 Hans Jonas, Lo gnosticismo, Società editrice internazionale, Torino 1991, p. 51.

37

cristiana sia ormai ampiamente diffusa e strutturata in maniera autonoma.

Nonostante Tertulliano operi solo qualche decennio dopo la morte di Valentino,

ciò non implica che il contesto non sia già sufficientemente cambiato. Le chiese

apostoliche, che fin da principio si proclamavano autentiche ed uniche discendenti

degli apostoli e del messaggio di Gesù, debbono, sul finire del secolo, combattere

contro il pullulare di eresie e movimenti gnostici, originatisi dalla scia del

cristianesimo. Non è quindi casuale che i primi Padri apologeti, prima ancora di

convincere e tentare di convertire i romani pagani, abbiano il dichiarato intento di

difendere la religione cristiana, nella sua forma più autentica38. La missione

apologetica dei Padri della chiesa è dunque paradossalmente rivolta soprattutto

verso coloro che sono già cristiani, che vanno messi in guardia dal pericolo eretico

e gnostico ancor prima che dalla persecuzione pagana.

Le posizioni ortodosse, moraliste ed intransigenti dei Padri della chiesa

evidenziano solo la necessità di tutelare un patrimonio conquistato e che a fatica si

stava erigendo. Tertulliano, che occupa un posto importante tra i Padri apologeti,

non è estraneo a questo contesto e tutta la sua produzione è volta ad una strenua e

serrata difesa del cristianesimo con tutti gli strumenti e i mezzi necessari. Questo

può spiegare il motivo che porta Tertulliano ad essere figura assolutamente

poliedrica e di difficile collocazione. Egli, forse meglio di altri, riassume con la

sua opera, lo strenuo tentativo di rintracciare ed utilizzare tutti gli strumenti

disponibili atti a creare un’apologia perfetta. La passione giuridica, l’attenzione

letteraria e teatrale, lo studio delle dottrine degli avversari gnostici, l’adesione al

montanismo e l’avversione alla filosofia sono tutti tratti espressione di una chiara

volontà apologeta volta ad affinare tutte le proprie conoscenze , il proprio sapere

per la difesa dell’autentico cristianesimo.

Anche le vicende personali della vita di Tertulliano concorrono alla definizione

di persona poliedrica ed allo steso tempo di difficile collocazione. In effetti è

possibile schematizzare la vita di Tertulliano in tre periodi: il primo, dal 197 d.C.

al 207 d.C. circa, è il periodo dichiaratamente cristiano; il secondo, dal 207 d.C. al

212 – 213 d.C. circa, coincide con il primo contatto con la sètta montanista e il

terzo, dal 213 d.c. fino al 220 d.C. circa, corrisponde alla definitiva adesione al

38 Tertulliano, Contro le eresie, Città nuova editrice, Roma 2002. pp. 15 – 16.

38

montanismo39. Occorre specificare che questo costante avvicinamento al

montanismo, ed il conseguente abbandono delle posizioni cristiane, è frutto della

medesima missione apologetica che Tertulliano intende perseguire. Il passaggio

da cristianesimo a montanismo non deve essere quindi letto ed interpretato come

una frattura spirituale, ma come un iter coerente verso una apologia del messaggio

di Gesù sempre più radicale e polemica nei confronti di eretici e gnostici.

Il nemico principale di Tertulliano è Marcione, fautore di un dualismo radicale,

ma anche la scuola valentiniana che, come è stato spiegato precedentemente,

costituisce il tentativo più audace ed, allo stesso tempo riuscito, della speculazione

gnostica, viene apertamente criticata. E’ opportuno evidenziare che ai tre periodi

della vita di Tertulliano, cui si è appena fatto riferimento, corrispondono anche tre

diversi metodi di apologia e di critica. Nella prima fase Tertulliano combatte

l’avversario valentiniano sul piano giuridico, negando loro alcun diritto sulle

Sacre Scritture40. L’intera opera De Praescriptione Haereticorum è basata su

questo tipo di confutazione. L’idea di fondo che anima questo primo periodo è che

l’economia neotestamentaria, lungi dall’essere interpretata come novità eversiva

ed escatologica, venga interpretata come “buon consiglio”; monito suasivo che

esorto l’uomo a rivolgere il proprio libero arbitrio verso il bene. La grazia viene

così fatta dipendere dalla capacità etica umana, subordinando il messaggio

kerygmatico ad una vera e propria disciplina morale legalisticamente intesa. Il

dono supremo di Dio è aver concesso il libero arbitrio alla creatura umana, fatta

così a sua immagine e somiglianza. Si può quindi comprendere come l’intento di

Tertulliano sia profondamente diverso da quello di Marcione e di Valentino. Il

dispositivo escatologico viene ridimensionato e subordinato, senza per questo

scomparire, a quello archeo – ontologico e politico. Nello stesso periodo infatti,

Tertulliano sviluppa una ‹‹trinitas animae››, interpretabile moralmente e non

ontologicamente, proprio opponendosi ai Valentiniani. Ad essere qui esaltato è

l’elemento psichico, unico e naturale strumento umano capace tanto di avere fede,

quanto di volgersi al bene. La stessa critica radicale del dualismo marcionita e

valentiniano passa per una dura critica antiplatonica che dimostra l’immensa

39 Il pensiero di Q.S.F. Tertulliano, a cura di P. Zama, R. Barabba Editore, Lanciano 2010. pp.

10 – 11. 40 Tertulliano, Contro le eresie, Città nuova editrice, Roma 2002. pp. 10 – 11.

39

conoscenza e abilità teologica di Tertulliano. La rivelazione salvifica si risolve

nell’adesione ad una ferrea disciplina morale, in una continua esortazione

pedagogica alla libertà di scelta umana, fino ad adeguarsi al suo modello eterno e

divino.

Il Dio di grazia valentiniano e marcionita rivelava la sua natura come

eccedenza eversiva a qualsiasi ordine, il Dio protocattolico di Tertulliano

armonizza grazia e giustizia, dono e legge, rivelazione ed educazione. Risulta

evidente la profonda differenza che distingue Tertulliano da Valentino: il

dispositivo archeo – ontologico non porta affatto ad un’esaltazione dei temi

escatologici e neotestamentari. La sistematica razionalizzazione del dono di grazia

evidenzia anzi la subordinazione di questa al libero arbitrio; la grazia di Dio viene

certamente ridotta, ma nient’affatto eliminata.

Il dispositivo archeo – ontologico che Tertulliano utilizza non elimina la

rilevanza di quello carismatico: la bontà di Dio è tale che fa persino violenza a sé

stessa, ritirandosi dalla sua funzione di giudice per amore della sua creatura, anche

a costo di apparire impotente o severo. In conclusione la proposta protocattolica di

Tertulliano si basa sull’importanza della libertà di coscienza dell’individuo

dimostrando così come la grazia non contraddice affatto la Legge dell’Antico

testamento, ma, anzi, la compie dal momento che il dono deve perfezionarsi

nell’esercizio della disciplina di fede.

Nella fase pre – montanista Tertulliano scrive l’Adversus Valentinianos.

Questo scritto, che verrà analizzato in dettaglio, è utile non solo per comprendere

il passaggio di Tertulliano dal cristianesimo al montanismo, ma soprattutto per

comprendere nel dettaglio l’interpretazione della dottrina valentiniana. La

struttura dell’Adversus Valentinianos si rifà quasi completamente all’ Adversus

haereses di Ireneo da Lione. Le tematiche trattate e l’analisi del sistema

valentiniano si ispirano con estrema chiarezza allo scritto di Ireneo, ma

Tertulliano sviluppa una propria metodologia critica colpendo i Valentiniani con

gli strumenti della satira, dell’ironia e della letteratura41 dietro cui si cela un

imponente critica teologica. Proprio nell’adozione di questo metodo polemico è

possibile rilevare il cambiamento a livello spirituale che porta Tertulliano ad

41 Giuliano Chiapparini, Valentino gnostico e platonico, Vita e pensiero, Milano 2012. p. 29.

40

avvicinarsi al montanismo. L’ortodossia e l’intransigenza morale del periodo

protocattolico non scompaiono affatto, ma anzi vengono riproposti con maggior

vigore dietro la pungente satira teologica che ispira tutta l’opera.

In un terzo momento Tertulliano si converte definitivamente alla sètta

montanista, caratterizzata tanto dalle posizioni intransigenti professate dal

teologo cartaginese, quanto da una maggior tendenza escatologica rispetto alla

proposta protocattolica. La conversione al montanismo, in continuità con le

posizione moralistiche sostenute con veemenza del teologo cartaginese, è

l’inevitabile esito “di un’opzione rigoristica sempre più radicalizzatasi”. La

disciplina di fede cui Tertulliano approda nei due periodi precedenti diviene la

premessa teologica per un recupero della dimensione escatologica e carismatica

prima subordinata. Questo aspetto verrà analizzato in dettaglio successivamente,

ci basti qui notare che le opere di esaltazione del martirio come il De fuga in

persecuzione e le opere più moraliste come il De Monogamia o il De pudicizia

evidenziano un inevitabile riavvicinamento al paradigma escatologico –

carismatico42, senza tuttavia eliminare l’idea di una rigida disciplina di fede.

L’intera produzione di Tertulliano, dedicata alla difesa del cristianesimo contro le

eresie, porta come conseguenza paradossale alla conversione al montanismo, dove

ad essere ripreso è il dispositivo kenotico ed escatologico, e ad essere subordinato,

ma nient’affatto eliminato, quello archeo – ontologico. Occorre quindi analizzare

tutte e tre le fasi dell’interpretazione polemica dell’opera di Valentino per cogliere

il lento e paradossale cambiamento della posizione di Tertulliano.

2.2. Il periodo protocattolico: il De Praescriptione Haereticorum:

Il termine “eresia” proviene dal greco hairesis che sta ad indicare la “scelta

personale” di una determinata dottrina. L’eresia è quindi la scelta di una dottrina

religiosa all’interno dell’insegnamento cristiano. Gli eretici insegnano dunque una

dottrina che non è quella della Chiesa e conseguentemente che non è nemmeno

quella di Cristo, perché solo la Chiesa possiede la conoscenza del kerygma

primordiale.

42 Elémire Zolla, I mistici dell’occidente vol.I, Adelphi, Milano 2010. p. 264.

41

Tertulliano dedica l’intera vita a smascherare e combattere le eresie interne ed

esterne al cristianesimo. Nella fase della sua vita che va dal 197 d.C. al 207 d.C.

circa, Tertulliano è un convinto ed ortodosso sostenitore della Chiesa. Nell’opera

De Praescriptione Haereticorum l’autore sostiene che l’insegnamento cristiano

della chiesa derivi direttamente dagli apostoli e da Cristo per tradizione43. Si tratta

di un insegnamento che risale alle origini ed è comune a tutte le Chiese. Pertanto

siccome le Chiese hanno origine apostolica, sono tra loro sorelle come accade tra

la Chiesa di Roma e quella di Cartagine, tra quella di Atene e di Efeso. Lo scopo

fondamentale dell’opera è quello di difendere l’unione delle Chiese a partire dalla

loro tradizione apostolica.

Che cosa sia la tradizione cristiana è una riflessione che si sviluppa già nei

secoli precedenti a Tertulliano, ma solo con lui si approda ad una definizione

organica e complessiva, essenziale per tutta la patristica del II secolo d.C. . Gran

parte dell’opera De Praescriptione Haereticorum è incentrata sulla difesa della

tradizione contro l’eresia e lo gnosticismo valentiniano. L’intera confutazione

poggia su un assunto teorico fondamentale: la verità dell’insegnamento non può

essere in possesso di chi ignora o, peggio, distorce la tradizione. Prima di

Tertulliano anche Ireneo nell’ Adversus haereses aveva teorizzato l’esistenza di

una tradizione squisitamente apostolica che sta alla base e determina la veridicità

dell’insegnamento44.

“Dunque, la tradizione degli apostoli, che è stata manifestata in tutto il mondo, la possono

vedere in ogni chiesa coloro che vogliono vedere la verità, e noi possiamo enumerare nelle varie

chiese quei vescovi che sono stati istituiti dagli apostoli, e le loro successioni fino ai nostri

tempi.” 45

La tradizione coincide quindi con la trasmissione dell’autentica parola di Dio.

La fede è stata trasmessa dagli apostoli ai vescovi e ai loro successori. Ecco

palesarsi il secondo aspetto della tradizione: essa discende dagli apostoli fino ai

43 Tertulliano, Contro le eresie, Città nuova editrice, Roma 2002. pp. 6 – 7. 44 Giuliano Chiapparini, Valentino gnostico e platonico, Vita e pensiero, Milano 2012. p. 46. 45 Tertulliano, Contro le eresie, Città nuova editrice, Roma 2002. p. 7.

42

vescovi. In una chiesa attraversata da diverse correnti eterogenee e colpita dalle

eresie, bisogna essere in grado di orientarsi individuando chi conserva

autenticamente la parola e la fede in Dio. La stretta connessione temporale tra

apostoli e vescovi permette che il messaggio cristiano si conservi, trasmettendosi

intatto, per successione.

Tertulliano riprende la riflessione di Ireneo sopra descritta, ma il tema assume

nella sua trattazione una differente rilevanza. Tertulliano non è il primo apologeta

a formulare una dottrina organica e complessiva sulla tradizione, ma a differenza

di Ireneo, inserisce il concetto di tradizione all’interno di un sistema chiaramente

giuridico. Egli ha quindi cercato di dare una valenza giuridica al concetto di

tradizione. Tertulliano riprende a piene mani la formulazione di Ireneo circa

l’importanza della successione apostolica dei vescovi, utilizzando però lo

strumento tecnico – giuridico della ‹‹praescriptio›› o prescrizione, termine che

compare già nel titolo dell’opera facendo così chiaro riferimento al diritto

romano46.

Pertanto è necessario spiegare che cosa sono giuridicamente le prescrizioni e

fino a che punto tale norma legale entri nel discorso religioso dell’autore,

soprattutto per ciò che concerne la violenta polemica contro i Valentiniani.

Nel diritto romano, il pretore incaricato dell’amministrazione giuridica, e

quindi, della preparazione del processo, inviava al giudice la cosiddetta

‹‹formula››, la quale conteneva le condizioni indispensabili e necessarie cui

attenersi per il regolare svolgimento del processo. Questo procedimento prende

nome di ‹‹intentio›› tramite cui, per l’appunto, si “intendeva” un processo.

All’interno di questo quadro giuridico le ‹‹Praescriptiones›› erano delle clausole

che potevano essere utilizzate tanto dall’accusato, quanto dall’accusatore, per

favorire la propria posizione. Il loro intento è quello di sollevare delle obiezioni,

di modo che un nuovo principio giuridico si opponesse a quello dell’‹‹intentio››47.

Una delle prescrizioni più utilizzate in epoca romana era la ‹‹longi temporis

praescriptio›› ovvero la “prescrizione dovuta alla lunghezza del tempo trascorso”;

essa permetteva a colui che possedeva qualche bene, a parer di altri in modo

46 Ivi, p. 11. 47 Ibidem.

43

illegale, di respingere l’azione giuridica qualora egli avesse posseduto tale bene

per un determinato periodo di tempo fissato dalla legge.

Tertulliano utilizza proprio la norma della ‹‹longi temporis praescriptio›› per

applicarla alla polemica antieretica e anti – valentiniana. L’argomento che

Tertulliano intende affrontare, ricorrendo all’espediente delle prescrizioni, è il

seguente: a chi spetta legittimamente il possesso delle scritture? Agli eretici o agli

ortodossi? La grande differenza d’intenti e proponimenti con Ireneo sta proprio in

questa formulazione giuridica. Prima di affrontare gli eretici sul piano religioso e

teologico, Tertulliano intende, sin da principio, dimostrare che essi non hanno

diritto alcuno di basarsi sulle Sacre Scritture. Per questo motivo Tertulliano insiste

molto sull’anteriorità cronologica della Grande Chiesa in opposizione alla recente

fioritura gnostica. L’anteriorità temporale della Chiesa apostolica rispetto alle

sètte eretiche e alla scuola valentiniana non si risolve solo in un mero dato

cronologico; essa ha soprattutto valore storico e valenza giuridica, perché

testimonia tanto l’esistenza della tradizione cristiana quanto, soprattutto, il suo

legittimo possesso delle Scritture. Le chiese apostoliche e non quelle eretiche sono

le dirette depositarie della verità e del messaccio di Cristo. Solo in questo modo

Tertulliano può trasformare la polemica con gli eretici, da dottrinale come è in

Ireneo, in discussione di carattere storico e giuridico.

L’utilizzo del concetto di tradizione e l’impiego dello strumento giuridico sono

aspetti importanti su cui vale la pena soffermarsi. Il fatto che Tertulliano attinga a

piene mani dal diritto romano testimonia quanto sia rilevante l’impianto legalista

della sua teologia. Precedentemente è stato espresso come la facoltà del libero

arbitrio si strutturi in una vera e propria disciplina pedagogica di fede.

L’utilizzo dello strumento giuridico sottolinea come questa tendenza archeo –

ontologica sia indispensabile anche nella polemica antignostica. Il fatto stesso che

Tertulliano utilizzi la longi temporis praescriptio per definire una tradizione

cristiana dimostra come la forma giuridica, più che essere concepita come

strumento della confutazione, sia invece una necessità di carattere teologico. Il

concetto stesso di tradizione ripropone quel tentativo di armonizzare grazia e

legge cui si faceva riferimento precedentemente. Il kerygma viene mediato e

ridimensionato, pensato in continuità con la legge dell’Antico testamento.

44

La necessità giuridica di difendere la tradizione cattolica evidenzia anche la

necessità teologica di ridimensionare l’escatologica all’interno della tradizione

gerarchica della Chiesa. La novità del regno di Dio viene armonizzata nella

tradizione della chiesa cristiana.

Il motivo per cui Tertulliano utilizza lo strumento giuridico è chiaramente

spiegato anche dallo stesso autore. Affrontare gli eretici e i Valentiniani sul piano

teorico e dottrinale poteva, potenzialmente, aprire il rischio di una discussione

infinita e fine a sé stessa dal momento che la Grande Chiesa e le sètte minori non

avrebbero mai accettato l’una i presupposti degli altri 48. Era quindi urgente ed

indispensabile introdurre uno strumento metodologico esterno alla discussione

teorica-dottrinale, ma non indipendente da essa; metodo che Tertulliano, educato

sin da giovane alla conoscenza giuridica, non poteva che trovare nel diritto

romano. Per Tertulliano è dunque evidente che il metodo della prescrizione è

sufficiente a tutelare la Chiesa dalla minaccia eretica, la quale viene

semplicemente espulsa da ogni dibattito interno al cristianesimo. Tuttavia il finale

dell’opera contraddice questa apparente certezza e rimette in discussione la

validità aprioristica della prescrizione49.

Tertulliano ammette infatti che in successive opere dovrà trattare caso per caso

le varie sètte eretiche e gnostiche. Quest’ultima promessa d’intenti viene poi

effettivamente portata a termine negli anni seguenti con la stesura delle opere

contro Ermogene, Marcione e Valentino.

Sono però due i temi che vale la pena approfondire nel contesto del De

Praescriptione Haereticorum. Il primo aspetto concerne l’inizio del rapporto

conflittuale con i Valentiniani. Tertulliano, che come abbiamo dimostrato in

precedenza è un attento lettore di Ireneo, conosce, direttamente o indirettamente,

la sètta dei Valentiniani. Il fatto stesso che sul finire dell’opera affermi di voler

scrivere delle opere polemiche contro l’eretico Valentino, testimonia che già nella

prima fase della sua produzione Tertulliano conosce la speculazione valentiniana

e sa altrettanto bene che i risultati di questo sistema non possono che portare ad

una dichiarata ostilità.

48 Ivi, p. 15. 49 Ivi, p. 92.

45

È quindi indubbio che già nella prima fase della sua produzione Tertulliano

conoscesse i pericoli concreti della diffusione dello gnosticismo valentiniano e

conoscesse altrettanto bene la profonda differenza teologica che ispira la proposta

di Valentino, troppo eversivo e settario per la chiesa protocattolica. Pare quindi

probabile che dopo la stesura del De Praescriptione Haereticorum Tertulliano

cercasse di accrescere la propria conoscenza della dottrina valentiniana per

addentarsi nella polemica con maggior vigore. Lo studio di Ireneo, nemico giurato

di Valentino, ha permesso a Tertulliano di affinare la propria conoscenza e con

essa la portata critica e polemica. Come vedremo in seguito, la genesi dell’

Adversus Valentinianos deve indubbiamente tanto alla precedente opera di Ireneo,

ma il fatto che l’opera di Tertulliano si collochi nel periodo pre – montanista

dell’autore, porta ad interpretazioni e critiche assai differenti. Per dimostrare che il

rapporto conflittuale tra Tertulliano e Valentino abbia inizio già nel primo periodo

cristiano, è utile analizzare i seguenti passi del De Praescriptione Haereticorum.

“Che la filosofia è la materia della sapienza terrena, interprete temeraria della natura e della

disposizione divina. Pertanto, le eresie stesse sono subordinate dalla filosofia. Dalla filosofia

derivano gli eoni e non so che forme infinite di numero e la triade dell’uomo secondo Valentino:

era stato filosofo platonico.” 50

Questo è il primo passo del De Praescriptione Haereticorum in cui viene citato

direttamente Valentino. Ed inoltre gli aspetti importanti del brano sono molteplici

e tra loro collegati. Il primo dato che conferma come l’analisi della speculazione

valentiniana da parte di Tertulliano sia solo nella sua fase embrionale è la

presenza di “non so che forme infinite”. Tertulliano onestamente afferma che non

dispone ancora di tutte le nozioni sul sistema valentiniano, dati che, come

vedremo successivamente, verranno analizzati uno ad uno nell’opera successiva

dell’ Adversus Valentinianos.

Un secondo aspetto di cruciale importanza è il nesso evidentissimo tra filosofia

ed eresia. Il passo in questione compare nel VII capitolo dell’opera. Il fatto che

una constatazione così forte compaia già nelle prime pagine dell’opera introduce

50 Ivi, pp. 35 – 36.

46

un secondo tema fondamentale del De Praescriptione Haereticorum: la definitiva

condanna della filosofia come strumento dell’eresia. Dire che Tertulliano rigetta

completamente la filosofia non è però del tutto corretto. Tertulliano da giovane

aveva studiato tanto il diritto quanto la filosofia ed è inesatto affermare che la

filosofia venga criticata e definitivamente abbandonata. Da buon romano anche

Tertulliano si avvicina, pur non convenendo su molti aspetti, allo stoicismo come,

dimostrano i suoi trattati sulla materialità dell’anima. La filosofia criticata da

Tertulliano è piuttosto la filosofia platonica che nel II secolo d.C. vive un periodo

di importante ripresa e diffusione nelle filosofie neo e medio platoniche.

“Dalla filosofia deriva il dio di Marcione, un dio migliore del nostro grazie alla sua mitezza:

era un dio proveniente dallo stoicismo. E perché si dica che l’anima perisce, si osserva Epicureo; e

perché si neghi la ricostruzione della carne, si attinge all’insegnamento unanime di tutti i filosofi; e

quando si pone la materia sullo stesso piano di Dio, è la dottrina di Zenone; e quando si introduce

qualche nozione di un dio di fuoco, interviene Eraclito.” 51

Da questo secondo passo risulta chiaro l’atteggiamento assolutamente

ortodosso di Tertulliano. La sua polemica si sviluppa non solo sul piano teorico,

ma anche su quello sintattico. Si noti infatti che quando la parola “dio” è

affiancata ad una teoria filosofica essa compare in minuscolo, mentre quando

questa viene accostata al Dio della Grande Chiesa essa compaia in maiuscolo.

Ancora:

“ […] donde il male, e perché il male? E donde l’uomo, e in qual modo? E la questione che non

molto tempo fa propose Valentino: done Dio? Si capisce, dall’enthymesis e dall’ectroma. Povero

Aristotele! Ha insegnato loro la dialettica, architetta nel costruire e nel distruggere, versipelle nelle

affermazioni, forzata nelle ipotesi, incomprensibile nelle argomentazioni, produttrice di contese,

molesta anche a se stessa, pronta a riesaminare tutto per paura di aver trascurato del tutto qualche

punto.” 52

51 Ivi, pp. 36 – 37. 52 Ibidem.

47

Tertulliano fa qui riferimento all’enthymesis e all’ectroma che sono due termini

tecnici della dottrina valentiniana. Precisamente il Demiurgo proviene

dall’enthymesis, la saggezza esterna al Pleroma, mentre l’ectroma è l’aborto

espulso oltre il Limite. Il fatto che Tertulliano ne faccia brevemente riferimento è

testimone del fatto che i due aspetti citati lo abbiano colpito in negativo. Non a

caso ai Padri della Chiesa la teoria del Demiurgo appare come una pericolosa

duplicazione del Dio da cui deriva un’altrettanto rischiosa duplicazione qualitativa

del Cristo. È qui evidente una prima grande critica di ordine teologico.

Tertulliano, che come è stato espresso in precedenza sostiene la continuità tra Dio

di grazia e Dio della legge, non può accettare le posizioni dualistiche degli

gnostici. Il dualismo valentiniano è così radicale da proporre l’esistenza di due

Cristi, uno storico ed incarnazione materiale del secondo, pneumatico ed interno

al Pleroma. Tertulliano professa l’unicità di Dio e combatte il dualismo marcionita

tanto quello valentiniano, sconfessando qualsiasi frattura ontologica sostenuta

dagli eretici.

In questo passo viene anche sviluppata la polemica alla dialettica aristotelica,

utilizzata dagli eretici come strumento assolutamente retorico e ridondante per

convincere, tramite ragionamenti vuoti, della validità delle proprie dottrine.

“Cercate e troverete, infatti, non deve essere interpretato senza un metodo razionale. Ma il

significato di questa frase di Cristo si basa su tre punti: sul contenuto, sulla circostanza e sul modo.

Sul contenuto, nel senso, cioè, che si consideri che cosa si debba cercare, sì da considerare quando;

sul modo, sì da considerare fino a che punto può giungere un’interpretazione. Pertanto bisogna

cercare quello che Cristo ha insegnato, vale a dire, per tutto il tempo che tu non lo abbia trovato,

vale a dire, finché tu non lo abbia trovato. E una volta che tu hai cominciato a credere, tu lo hai

trovato. […] Dove sarà, infatti, un termine della ricerca? Dove sarà il punto fisso del credere?

Presso Valentino?” 53

Questo passo merita di essere analizzato in dettaglio perché rappresenta la

chiave di lettura dell’intero De Praescriptione Haereticorum. Questo brano

definisce l’oggetto della ricerca per l’autentico cristiano. Seguendo il consiglio del

Cristo ‹‹cercate e troverete››, Tertulliano cerca di salvare la ricerca da una

53 Ivi, p. 43.

48

condanna totale come avvenuto per la filosofia. Per questo Tertulliano insiste sul

fatto che, arrivati ad un certo punto, la ricerca si debba fermare, trovando così

l’oggetto della sua ricerca. L’oggetto della ricerca cristiana è la fede nel

messaggio del Cristo; non vi è nulla di più prezioso che si debba andare a

ricercare oltre. Pertanto la ricerca termina nel momento in cui essa approda ad una

coscienza di fede. Tertulliano sviluppa una metodologia dichiaratamente razionale

che termina nella fede cristiana.

La ricerca della conoscenza viene quindi ridimensionata nella scoperta della

fede. Inutile ribadire che la conoscenza gnostica si basa su posizione

completamente opposte come sta ad indicare l’ironica domanda conclusiva del

passo. Come si affermava precedentemente, l’atto di fede per Tertulliano ha una

rilevanza di prim’ordine rispetto a quanto sostenuto da Valentino. Come si evince

dal passo citato l’approdo alla dimensione spirituale della fede avviene tramite un

percorso razionale e di scelta individuale. È chiaro come a prevalere sia il libero

arbitrio umano, mentre l’avvento escatologico di grazia risulti ridimensionato,

senza per questo scomparire. Il dono escatologico di grazia coincide con la bontà

di un Dio che, gratuitamente e per mezzo della rivelazione di Cristo, offre alla sua

creatura la potenza della libertà di scelta. Il libero arbitrio è dunque il dono che

Dio ha concesso alla sua immagine creata, la sola degna di riflettere la potenza del

creatore stesso. Per questo Tertulliano sottolinea più volte l’importanza di porre

un limite alla propria ricerca, limite che, a suo dire, non è affatto presente nella

speculazione gnostica. La presenza di un limite razionale permette di approdare

alla dimensione di fede.

È qui teorizzato un primo abbozzo di quella “disciplina di fede” cui si faceva

riferimento poc’anzi. Il fatto che la libertà di determinarsi sia un dono divino non

porta, come avviene per gli gnostici, né ad una filialità con Dio né ad una

Salvezza ontologicamente posseduta. In Tertulliano Dio creatore e uomo creato

non sono affatto posti sul medesimo piano ontologico. Il fatto che la ricerca debba

limitarsi per giungere all’atto di fede testimonia di una differenza qualitativa tra

divinità e creato. L’uomo possiede la libertà di scelta per volontà divina, ma

questa, proprio perché finita, limitata nella creatura, deve abbandonarsi in un atto

di pura fede nella rivelazione.

49

Da questo momento e per quasi tutto il resto dell’opera, Tertulliano sviluppa la

sua confutazione giuridica a partire dal metodo delle prescrizioni fino ad arrivare

alla formulazione del concetto di tradizione apostolica e Grande Chiesa. In questa

parte centrale non sono presenti particolari riferimenti a Valentino, ma agli eretici

in generale. Valentino viene menzionato solo una volta insieme a Marcione nel

seguente frammento:

“ In qualunque modo si sia errato, tuttavia l’errore ha regnato per tutto il tempo che non vi

furono le eresie. La verità aspettava dunque di essere liberata dai Valentiniani e dai Marcioniti!

Nel frattempo, era errata l’evangelizzazione, errata le fede, errato il modo in cui migliaia e

migliaia furono battezzati […]. Dove era allora Valentino, seguace del platonismo? Sì, perché è

noto che essi non furono tanto antichi […].” 54

Questo passo è interessante sia dal punto di vista teologico che da quello

letterario. Tertulliano sta qui sostenendo l’ipotesi della tradizione apostolica

contro la recente speculazione gnostica. L’idea che la grande Chiesa sia anteriore

al fiorire delle sètte eretiche, avvalora la tesi giuridica circa il diritto di possesso

sulle Sacre Scritture. La risoluzione giuridica del diritto di possesso sulle Sacre

Scritture proietta il ben più rilevante tema della tradizione cristiana a livello

teologico. Qui preme analizzare il concetto di tradizione in riferimento al

meccanismo dei due dispositivi. Nella produzione neotestamentaria, caratterizzata

da una forte escatologica, un concetto di tradizione è difficilmente rintracciabile.

L’accento viene piuttosto posto sul tema dell’elezione e sul nuovo ed imminente

regno che spetta agli eletti graziati e gratuitamente redenti. Ben diversa è l’idea di

Tertulliano che sente la necessità archeo – ontologica e politica di giustificare e

difendere la Chiesa madre di tutti i fedeli.

Lo scopo di Tertulliano è quello di affermare una tradizione che leghi

indissolubilmente la parola redentrice del kerygma alla missione terrena della

Chiesa. È chiaro che in quest’ottica venga disperso il senso anarchico del

messaggio primordiale, sovvertitore di ogni ordine e gerarchia. Anzi è proprio

l’apologia dell’ordine della Chiesa ed essere sviluppato come punto essenziale ed

54 Ivi, p. 66.

50

indispensabile. Da sottolineare che anche rispetto a questo tema la dialettica tra i

due dispositivi non produce una mera assolutizzazione di uno dei due. Il

dispositivo escatologico e carismatico ne risulta certamente mediato e

ristrutturato, ma non scompare affatto. Anzi è proprio l’avvento di Cristo e la

diffusione del suo messaggio agli apostoli ad essere la necessaria base della

tradizione che Tertulliano si impegna a difendere.

L’aspetto rilevante in questo passo è però l’uso dell’ironia, addirittura del

sarcasmo, per l’esposizione della propria teoria. Questo dato è da tenere presente

per ciò che riguarda la produzione del successivo Adversus Valentinianos.

Sul finire del trattato Tertulliano utilizza il principio di anteriorità per colpire

giuridicamente i Valentiniani:

“Oltre a queste considerazioni mi servo, per il mio intento, anche di un esame delle dottrine

degli eretici, di quelle che esistettero allora al tempo degli apostoli e che furono dagli apostoli

smascherate e condannate. […] Insegnando a Timoteo, condanna anche coloro che proibiscono le

nozze: questa è la dottrina di Marcione e di Apelle, suo seguace. Ugualmente, si rivolge contro

coloro che dicevano che la resurrezione era già avvenuta: questo lo dichiarano i Valentiniani su se

stessi. E quando l’apostolo accenna a delle genealogie infinite, vi si riconosce Valentino, secondo

il quale quel non so quale Eone, dotato di un nome inaudito e molteplice, genera dalla sua grazia il

senso e la Verità, e questi analogamente procreano da sé il Verbo e la Vita, quindi anche questi

generano l’Uomo e la Chiesa.” 55

In questo passo Tertulliano fa riferimento ad una parte della produzione

neotestamentaria di Paolo. Nello specifico egli si riferisce alla prima epistola ai

Corinti, alla prima lettera a Timoteo e alla lettera ai Galati. In questi scritti Paolo

affronta molti temi cruciali del cristianesimo primitivo, da quello dei matrimoni e

della verginità a quello circa le ritualità necessarie per la celebrazione

dell’eucaristia, ma non solo. Paolo sviluppa anche i temi circa la legge, la

redenzione e la resurrezione. Riferendosi al materiale neotestamentario di Paolo,

Tertulliano cerca di creare una relazione temporale tra le nuove eresie e i pericoli

cui metteva in guardia l’apostolo. Così come esiste una tradizione che lega Cristo,

gli apostoli e la Chiesa, così esiste una continuità ideale anche tra i nemici di

55 Ivi, pp. 73 – 75.

51

quest’ultima. Marcione, Valentino e Apelle rappresentano, in modi differenti,

questa continuità tra l’antico e il nuovo. Le accuse che Tertulliano muove agli

eretici e agli gnostici sono già rintracciabili, secondo il teologo cartaginese, negli

ammonimenti paolini.

È curioso notare come i testi cui si riferisce Tertulliano sono tutti caratterizzati

da una marcata tensione escatologica, mentre, come si è visto, in Tertulliano

questa viene decisamente rivisitata. Valentino viene poi citato più volte con fare

sarcastico e accostato più volte a Marcione. L’ultimo frammento meritevole di

attenzione è il seguente:

“L’uno ha sconvolto le Scritture di proprio pugno, l’altro ha sconvolto il senso con la sua

interpretazione. Infatti, anche se Valentino apparentemente lascia intatto il testo scritturale di cui si

serve, non ha assalito la verità con un ingegno meno astuto di Marcione. Chè Marcione

dichiaratamente e apertamente si è servito non della penna ma del coltello, poiché ha fatto strage

delle Scritture per adattarle al suo sistema. Valentino, invece, le ha risparmiate, poiché non ha

adattato le Scritture al suo sistema, ma ha escogitato un sistema adattato alle Scritture.” 56

Il passo risulta importante perché Tertulliano non solo pone una differenza di

genere tra l’eresia marcionita e l’eresia valentiniana, ma perché lo fa proprio a

partire dal rapporto che gli eretici hanno con le Scritture. Effettivamente

Valentino non interviene direttamene sulle Sacre Scritture modificandone la

struttura o il messaggio di fondo. Egli crea piuttosto un sistema mitologico e

ontoteologico che conserva molti aspetti escatologico-carismatici. Valentino, a

differenza di Marcione, non modifica né “pugnala” le scritture; stando a

Tertulliano si rende piuttosto colpevole di aver creato un sistema scorretto capace

di adattarsi alla verità sacra contenuta nei testi57. Il fatto che il “nemico giurato” di

Tertulliano sia Marcione non implica che anche i Valentiniani vengano criticati

aspramente. L’avversione di Tertulliano non è data solo dal fatto che Valentino

crei un sistema ontoteologico profondamente diverso dal sistema proposto dalla

chiesa protocattolica, ma che i Valentiniani utilizzavano alcuni testi

neotestamentari come conferma delle proprie affermazioni circa la natura di Dio,

56 Ivi, p. 83. 57 Ibidem.

52

del Pleroma e di Cristo. Il ricorso alle scritture non si limita all’individuazione di

semplici coincidenze numerologiche, ma prende consistenza in un’imponente

esegesi allegorica.

Il fatto che i Valentiniani non utilizzino testi sacri, ma si limitino ad adattare le

loro teorie ad essi tramite l’esegesi allegorica, sembrerebbe estrometterli dalla

grande confutazione giuridica eretta da Tertulliano. Certamente l’autore del De

Praescriptione Haereticorum vede in questo sistema di adattamento un atto

giuridico illecito di appropriazione dei medesimi testi sacri cristiani, tuttavia la

posizione valentiniana, opposta a quella marcionita, è forse meritevole per

Tertulliano di ulteriori approfondimenti come dichiara nella conclusione del suo

trattato: ‹‹Ma ora noi abbiamo terminato di discutere in generale contro tutte le

eresie […].Per quel che resta, risponderemo ad alcuni anche su questioni

particolari, se la grazia di Dio ce lo permetterà››58.

È qui teorizzata, in fase embrionale, la stesura dell’ Adversus Valentinianos che

caratterizzerà il periodo pre – montanista di Tertulliano.

2.3. Il periodo pre – montanista e l’Adversus Valentinianos

L’ Adversus Valentinianos di Tertulliano, composto attorno al 206 d.C., è

costituito da una libera trasposizione di una parte consistente dell’Adversus

Haereses59. Tertulliano utilizza quasi esclusivamente il materiale messo a

disposizione da Ireneo, ma stila un libello polemico indirizzato ai Valentiniani

segnato da una critica ironico – sarcastica dietro cui si articola una attenta e

meditata confutazione teologica.

L’intento dichiarato non è solo quello di evidenziare gli sbagli della dottrina

valentiniana e correggerli, piuttosto è quello di denunciare l’insensatezza

dell’intero sistema e nello specifico alcuni aspetti radicali cui porta la

speculazione proposta da Valentino. L’Adversus Valentinianos è caratterizzato

dall’esasperazione degli aspetti che più si prestano ad ottenere una caricatura della

speculazione valentiniana60, ma l’intento è dichiaratamente teologico. Rispetto al

De Praescriptione Haereticorum, Tertulliano approfondisce il mito gnostico

58 Ivi, p. 92. 59 Giuliano Chiapparini, Valentino gnostico e platonico, Vita e pensiero, Milano 2012. p. 29. 60 Ivi, p. 47.

53

colpendo con gli strumenti della satira e del sarcasmo proprio gli aspetti di

maggior rilievo teologico.

I capitoli introduttivi dell’opera dimostrano come l’autore disponga anche di

altre fonti oltre a quella di Ireneo, ma il loro utilizzo è raro, se non in alcuni

preziosi passaggi.

Lungo tutta l’opera emergono a più riprese gli echi di un dibattito non ancora

sopito circa la natura eretica del Valentinismo. Come è stato già evidenziato

precedentemente in riferimento al De Praescriptione Haereticorum, Tertulliano è

assolutamente convinto che il sistema valentiniano rappresenti lo sviluppo del

“seme dell’eresia” che già aveva condannato l’apostolo.

L’ Adversus Valentinianos risale ad un periodo in cui le ansie ortodosse di

Tertulliano non lo avevano già spinto troppo al di là delle posizioni

protocattoliche, pur simpatizzando, benché non ne facesse ancora parte, per il

montanismo; sètta a cui aderì definitivamente solo intorno al 213 d.C. circa. Il

fatto che l’Adversus Valentinianos si collochi nel periodo pre – montanista di

Tertulliano è dimostrabile anche grazie a due riferimenti cronologici rintracciabili

direttamente nel testo. Nell’opera viene menzionato ‹‹Proclo, nostro››,

identificabile con il Proclo presente nell’opera antimontanista del presbitero

romano Gaio, La Ricerca e che compare anche nella testimonianza di Eusebio61.

Un secondo dato cronologico è rintracciabile nel capitolo sedicesimo, in cui viene

menzionata l’opera Adversus Hermogenem, scritta da Tertulliano sul finire del

periodo protocattolico. Di conseguenza l’Adversus Valentinianos è sicuramente

successivo al tale periodo.

In quest’opera Tertulliano preferisce spingere la sua confutazione teologica

fino a mettere a nudo le assurdità dell’impianto valentiniano, ridicolizzandolo. È

lo stesso Tertulliano ad illustrare questa dichiarazione d’intenti: ‹‹Se riusciremo a

suscitare qualche volta il riso, otterremo lo scopo: molte cose son degne di essere

smentite così, perché non siano adornate da serietà››62. Del resto, la sètta

valentiniana si basa su un insegnamento esoterico che estremizza il piano

escatologico tramite un marcato dualismo ontoteologico, inoltre, i componenti

61 Riley M.T., Q.S.Fl. Tertulliano Adversus Valentinianos,Text, translation and commentary,

Dissertation, Stanford University 1971. 62 Fredouille J., Tertullien, Contre les Valentiniens, Paris 1980. pp. 91 – 92.

54

della sètta sia lasciavano spesso andare a comportamenti disdicevoli poiché

convinti di essere già ontologicamente salvati e redenti per filialità con Dio, ed è

quindi naturale che Tertulliano guardi con estremo sospetto alle loro dottrine, in

così evidente contrasto con l’orizzonte teologico dell’apologista. Il fatto che

Tertulliano preferisca deridere l’avversario per confutarlo teologicamente è

supportato anche da altre nitide affermazioni dell’autore. Nel sesto capitolo

dell’opera Tertulliano svela che il libello è in realtà un ‹‹ludus ante pugnam››63,

una finta scaramuccia come quelle dei gladiatori prima del vero e sanguinoso

scontro.

L’intento di deridere l’avversario implica che la struttura dell’opera si basi

anche su un sistema retorico e letterario oltre che dottrinale e teologico.

Escludendo i capitoli 1 – 6, in cui Tertulliano utilizza una forma proemiale, il

resto dell’opera si struttura in una concitata, a tratti addirittura violenta, narrazione

del sistema valentiniano. Occorre fare però due importanti precisazioni.

Per prima cosa si deve sottolineare il fatto che l’Adversus Valentinianos non è

un’opera indirizzata direttamente agli gnostici, ma alle comunità cristiane della

Grande Chiesa. L’intento è quindi quello di convincere, per mezzo della retorica e

del sarcasmo, il maggior numero di cristiani a diffidare dell’insegnamento della

scuola valentiniana.

Del resto, e questo è il secondo punto da tenere in considerazione, la derisione

teologica qui utilizzata può, in una certa misura, preannunciare la conversione al

montanismo come conseguenza settaria cui portano le posizioni moralistiche – in

questo caso addirittura violentemente sarcastiche – di Tertulliano. Il fatto che la

disputa di carattere teologico sui grandi temi del mito valentiniano vengano

proposti con gli strumenti della retorica e del sarcasmo, oltre ad evidenziare una

scelta “strategica” circa il metodo di confutazione, possono lasciar intravedere

anche l’imminente svolta montanista. È certamente riduttivo spiegare la

conversione di Tertulliano unicamente in base ad una scelta di carattere letterario

ed anzi l’estremizzazione di una simile ipotesi non renderebbe giustizia al

percorso spirituale dell’autore cartaginese. È però possibile ipotizzare che anche la

63 Ibidem.

55

scelta letteraria sia una delle conseguenze dell’avvicinamento di Tertulliano al

montanismo.

Un’ipotesi di questo tipo, senza avere la pretesa di essere esaustiva, può aiutare

a capire in che misura le posizioni intransigenti di Tertulliano approdino alla

conversione montanista. L’intera opera, che verrà analizzata di seguito, oltre a

sviluppare i temi della controversia, offre dunque anche un’ipotesi per spiegare

questa conversione. Con la successiva adesione alla sètta montanista Tertulliano si

dedicherà in modo nuovo ai temi della resurrezione della carne e del martirio,

abbandonando l’aspra critica contro l’eresia e contro Valentino. L’Adversus

Valentinianos è quindi l’opera maggiore per comprendere tanto l’avversione

ortodossa di Tertulliano allo gnosticismo, quanto il suo lento ed inesorabile

percorso verso una dimensione sempre più marcatamente escatologica, prima

meno rilevante nel periodo protocattolico.

Non deve quindi stupire che dopo l’Adversus Valentinianos Tertulliano non

metta più mano alla confutazione valentiniana, come non deve stupire che

l’esempio più alto della polemica antivalentiniana è rappresentato proprio

dall’esperimento letterario e retorico dell’Adversus Valentinianos stesso. La vera

novità rispetto ad Ireneo coincide con la trasposizione in declamazione del testo

dell’Adversus Haereses64. La veemenza polemica di Tertulliano necessita di una

narrazione convulsa basata sulla ricerca della ‹‹brevitas›› come frase coincisa e

pregnante. Tertulliano espone il mito valentiniano come se stesse sollecitando la

reazione di un pubblico immaginario, quasi si trattasse di un’opera teatrale in cui

il dramma di Sophia viene riletto con l’ironia prepotente e violenta dell’autore. La

serietà del dramma divino di Valentino, diventa qui strumento di una satira

spietata. Tertulliano riesce così nella novità di introdurre la satira, la teatralità e la

polemica retorica all’interno del contesto teologico e dottrinale della chiesa del II

secolo d.C.

Inoltre il fatto che l’autore metta alla berlina i propri avversari gnostici

evidenzia una tendenza solo apparentemente marginale. Se in precedenza, con la

stesura del De Praescriptione Haereticorum, Tertulliano si era addentrato nella

polemica antivalentiniana con gli strumenti giuridici del diritto romano per negare

64 Giuliano Chiapparini, Valentino gnostico e platonico, Vita e pensiero, Milano 2012. p. 47.

56

la legittimità del possesso delle Scritture, nell’Adversus Valentinianos, egli

raggiunge il risultato, ancor più radicale, di questa tendenza legalista e moralista

che procede di pari passo al suo avvicinamento al montanismo.

Per dimostrare ciò è opportuno svolgere un’analisi comparata di alcuni

frammenti dell’Adversus Haereses e dell’Adversus Valentinianos, in modo da

rendere emblematica questa tendenza evidenziando i punti di maggior tensione tra

la speculazione valentiniana e l’impianto teologico di Tertulliano. Nei successivi

frammenti ad essere enfatizzato è proprio il differente modo in cui i due

dispositivi s’intrecciano nei due autori.

Nel tentativo di dimostrare quanto sostenuto sino ad ora si farà diretto

riferimento al secondo capitolo dell’opera Valentino gnostico e platonico in cui

l’autore, Giuliano Chiapparini, riporta la traduzione di Rousseau-Doutreleau

dell’Adversus Haereses di Ireneo e all’opera Tertullien, Contre les Valentiniens di

J. Fredouille dove è riportata la traduzione francese dell’Adversus Valentinianos.

Sono di seguito riportati i passi più rappresentativi di ciò che è stato affermato

sino ad ora:

S1.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 28-29:

I Valentiniani affermano che i luoghi altissimi, che non si possono osservare né descrivere,

esiste un certo Eone perfetto, che viene prima di ogni cosa: chiamiamo costui sia Pre - Padre sia

Pre - Inizio sia Bythòs.65

S1.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 92-93:

Primo fra tutti, il poeta romano Ennio parlò semplicemente di “grandissimi cenacoli del cielo”

in quanto l’espressione indicava un luogo assai elevato oppure perché aveva letto in Omero che

Giove pranzava lì. Ma gli eretici è sorprendente quante altezze delle altezze ed elevatezza delle

elevatezze abbiano sospese in alto e spinte sempre più su e sviluppate in lungo e in largo per dare

una dimora ad ognuno dei loro dei. Anche per il nostro creatore dovrebbero essere stati disposti dei

“cenacoli” enniani sottoforma di una piccola abitazione. Dato che questi appartamenti instabili,

distribuiti a ciascun dio, sono costruiti uno sull’altro e sono raggiungibili attraverso tante scale

quante sono le eresie, è sorto un universo di appartamenti in affitto. Tutti questi piani collocati non

so dove nei cieli, si potrebbero confondere con il condominio di Felicle. Lì nella soffitta più in alto

abita anche il dio Valentiniani. Lo chiamano, in quanto sostanza, Eone perfetto; mentre in quanto

65 Ivi, p. 61.

57

persona Pre - Padre e Pre - Inizio, e pure Bythòs, termine che non si adatta per nulla a chi abita

così in alto.66

Come risulta dalla comparazione dei due passi, Tertulliano inserisce un’ampia

divagazione, prettamente ironica nei confronti della tendenza dei Valentiniani a

collocare le divinità in cieli sempre più alti e trascendenti. La successiva

immagine degli “appartamenti instabili e vacillanti” rende, in modo sarcastico

l’idea dell’instabilità metodologica che Tertulliano rileva nel sistema valentiniano.

Il fatto che l’autore africano sia, diversamente da Ireneo, concentrato anche a

denigrare l’avversario valentiniano è confermato anche dal singolare riferimento

al ‹‹condominio di Felicle››67, con cui si allude ad un enorme stabile costruito da

un certo Felicle a Roma nella zona tra il Pantheon e la Colonna Aurelia sul finire

del II secolo d.C. . La notizia della costruzione di questo “grattacielo

dell’antichità” sembra si sia diffusa velocemente in tutto l’impero, tanto da entrare

nell’immaginario collettivo dei cittadini romani.

L’immagine suggestiva qui evocata offre un primo spunto di critica teologica.

Vi è qui un netto rifiuto dell’astrazione metafisica, della fuga nel puramente

astratto e trascendente. Per Tertulliano il dono di grazia ha un peso rilevante nella

misura in cui esso viene donato all’uomo pronto ad accoglierlo razionalmente e

che, tramite il libero arbitrio, è capace di amministrarlo legalisticamente

all’interno di una disciplina di fede. Rimane quindi netta la separazione tra il Dio

e l’uomo che accoglie il suo dono. Per Tertulliano, contrariamente, gli gnostici

identificano Dio e creatura in un vero e proprio delirio che divinizza l’uomo fino a

concepirlo come della medesima sostanza del Padre. L’esasperazione

trascendentale, che in Valentino determina la natura elettiva degli gnostici, per

Tertulliano diviene misconoscimento della distanza che separa Dio e creatura e

che sola permette di spiegare la gratuità del dono.

S6.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 32-33:

[…]questi eoni, prodotti per mostrare la gloria del Padre, intendono anch’essi recare gloria al

Padre con qualcosa di proprio, producono produzioni a coppie: il Logos e la Vita, dopo Uomo e

66 Ivi, p. 62. 67 Ibidem.

58

Chiesa, producono altri dieci eoni, i cui nomi dicono siano i seguenti: Bythios e Mescolanza, Mai -

Vecchio e Unione, Auto - Cresciuto e Voluttà, Mai - Mosso e Commistione, Unigenito e Felicità.

Questi sono dieci eoni che dicono di essere stati prodotti da Logos e Vita.68

S7.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 96-99:

[…]a questo punto mi trovo costretto ad illuminare, a partire da un’adeguata esemplificazione,

che cosa comportino questi nomi: nelle scuole di Cartagine c’era un retore latino del tutto insulso,

di nome Stella del Mattino. Mentre parlava di un uomo coraggioso, disse: “Vengo a voi, cittadini

illustrissimi, dalla battaglia insieme con la mia vittoria, insieme con la vostra esultanza,

accresciuto di importanza, pieno di gloria, baciato dalla Fortuna, pronto per il più grande trionfo”.

E subito gli allievi gridarono: “A servizio di Stella del Mattino, evviva!”. Hai sentito parlare di

Fortunata, Hedonè, Achinetos e Theletos: grida “A servizio di Tolomeo, evviva!”. Questo sarà

quell’arcano Pleroma, pienezza di una divinità suddivisa in trenta parti. Potremmo vedere quali

siano le caratteristiche di questi numeri, dei quattro, otto, dodici. Nel frattempo col numero trenta

viene a mancare tutta quanta la fecondità: negli eoni la forza, la capacità e il desiderio di procreare

sono stati castrati, quasi non rimanessero ancora altre combinazioni di numero e qualche altro

nome da giardino d’infanzia. Perché, infatti, non vengono procreati anche cinquanta o cento?

Perché non si sentono nominare anche delle “Balie–pulisciculetto o dei Fratelli-di-latte”?69

Bisogna evidenziare come il passo di Ireneo, volutamente trascritto solo

parzialmente per non riproporre per esteso il sistema valentiniano analizzato in

precedenza, è decisamente più attento all’esposizione di questa dottrina. Appare

evidente la volontà di Ireneo di descrivere puntualmente l’esagerata gerarchia

delle coppie divine. Tertulliano, al contrario, Ripropone un’ironica critica

teologica volta a colpire, anche personalmente, i Valentiniani.

L’obiettivo polemico principale è criticare Tolomeo, uno dei capiscuola della

sètta valentiniana. Tertulliano, con il solito sarcasmo, paragona Tolomeo al retore

‹‹Stella del Mattino››70. Fredouille suggerisce che, il modo migliore per tradurre il

nome nel linguaggio moderno, sia ‹‹Fosforo››71, ma una simile interpretazione

non renderebbe giustizia all’ironia dell’autore che accosta l’insulsaggine di questo

retore al nome altisonante, al fine di poter denigrare il caposcuola valentiniano.

68 Ivi, p.69. 69 Ivi, pp. 71 – 72. 70 Ibidem. 71 Ibidem.

59

Inoltre sul finire del passo, Tertulliano abbandona il piano dell’ironia per

lasciarsi andare ad una retorica invettiva, atta a sminuire, anche volgarmente,

l’intero sistema. L’effettivo problema della dottrina numerologica72 e della sua

estensione viene, attraverso questa violenta e pungente derisione, nient’affatto

banalizzato, ma anzi colpito duramente. Tertulliano, che come è stato osservato

più volte è il nemico principale di Marcione, non accetta la l’opposizione tra

Vangelo di grazia e Legge al punto da farli marcionamente dipendere da due

divinità nettamente differenti. Una critica simile viene mossa anche rispetto al

sistema valentiniano colpevole di scindere in un’infinità di Eoni l’unicità di Dio.

Per Tertulliano Dio è unico e il monoteismo che egli propone non prevede né

differenze qualitative tra Antico e Nuovo testamento, come è nel caso di

marcione, né esasperati sistemi numerologici emblematici di una complessa

filiazione divina, come avviene nella dottrina valentiniana.

S19.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 40-41:

[…](Narrano) che essa, essendosi impiegata in un’impresa impossibile e irrealizzabile, partorì

un essere senza forma di natura femminile quale era in grado di partorire.73

S19.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 100-103:

[…] dopo tentativi inutili e dopo aver perso la speranza, essa cambiò d’aspetto; per il pallore,

credo, per la consunzione e l’incuria. A dire il vero si doleva del fatto che le era stato negato il

Padre non meno certamente di averlo perduto. Perciò, in quella tristezza da sé sola, senza il

concorso del marito, restò incinta e partorì una femmina. Ciò ti sorprende? Anche ad una gallina è

toccato di partorire da sé, ma si dice pure che esistono soltanto avvoltoi femmine.74

Ireneo e Tertulliano si stanno qui riferendo alla passione e tragedia di Sophia,

incapace di comprendere il Padre e per questo motivo caduta in disgrazia. Anche

in questo caso risulta palese la diversa metodologia critica proposta da i due Padri

della Chiesa. Il primo, ancora una volta, cerca di attenersi ad un modello sobrio

per un’analisi dettagliata ed esaustiva capace di dimostrare l’inconsistenza e la

falsità della dottrina gnostica.

72 Ibidem. 73 Ivi, p. 84. 74 Ivi, p. 85.

60

Il secondo, non meno interessato di Ireneo a dimostrare teologicamente

l’inganno valentiniano, irride l’avversario gnostico con l’introduzione di metafore

ed immagini pittoresche e folcloristiche come avviene con il simpatico, ed allo

stesso tempo inusuale, esempio della gallina a cui è toccato partorire da sé in

solitudine. Questo frammento è meritevole d’attenzione perché Tertulliano, in

questo frangente, porta all’estremo la propria satira e comicità proprio in

concomitanza con il momento di massima tragicità del sistema valentiniano.

È qui interessante evidenziare, oltre alla critica dottrinale, l’aspetto letterario

teatrale che caratterizza l’opera. L’espediente satirico di invertire il picco di

massima tragicità della speculazione valentiniana con una breve e irridente battuta

è, forse, uno dei più riusciti dell’intera opera.

S27.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 44-45:

[…](Spiegano) che, dopo che essa fu relegata all’esterno del Pleroma degli eoni e sua Madre fu

ricollocata accanto al proprio compagno, di nuovo Unigenito produsse un’altra coppia secondo la

previdente preveggenza del Padre, affinché nessuno degli eoni fosse sottoposto a delle passioni

come lei, cioè Cristo e Spirito Santo.75

S27.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 104-105:

Pertanto, dopo l’esilio Enthymesis e il ritorno di sua madre Sophia presso il compagno, di

nuovo quel tal Monoghenes, quel Nous del tutto tranquillo, dato che a partire da una provvida

preoccupazione del Padre doveva consolidare tutto quanto ed il Pleroma andava rafforzato se non

fissato, affinché un sommovimento di quel genere non potesse sopravvenire nuovamente, mise alla

luce una nuova coppia, Cristo e Spirito Santo, che considererei del tutto indecorosa visto che è

composta da due maschi. O Spirito Santo sarà una femmina ed il maschio viene penetrato dalla

femmina?76

E’ evidente che si fa riferimento alla generazione della coppia Cristo e Spirito

Santo. In questo passo Tertulliano rimane fedele alla narrazione analitica di Ireneo

se non per l’ultima uscita finale polemica e squisitamente moralista. Dopo aver

criticato la presunta omosessualità dei due eoni Valentiniani, Tertulliano utilizza

pesantemente il sarcasmo con rimandi volgari a sfondo sessuale. L’autore

75 Ivi, p. 93. 76 Ivi, p. 94.

61

probabilmente ignora il fatto che Spirito nella lingua ebraica è, invece, di genere

femminile77. Al di là degli aspetti puramente letterari, questo passo è importante

per almeno un’altro motivo. Qui, come in altri passi, risulta evidente

l’intransigenza etico – morale di Tertulliano.

Il teologo cartaginese risolve il dono di grazia e la novità del Vangelo nella

riproposizione di quella legge che sola può garantire la libertà umana. Questa

disciplina salvifica esposta da Cristo per “reformare et inluminare” la Lgge, e

nient’affatto per abrogarla, si risolve in una maturazione morale dell’individuo.

Sono da leggere in questi termini tutti i trattati teologici che Tertulliano dedica

alla monogamia, al martirio, al pentimento come il De spectaculis, il De

exhortatione castitatis, il De corona o il De Monogamia e tanti altri. È dunque

chiara l’idea teologica che si cela dietro all’accusa della presunta omosessualità

dei due Eoni Valentiniani.

S34.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 48-49:

[…] il quale è indicato anche col nome di Salvatore, Cristo e Logos, in base al nome di suo

Padre, e il Tutto, a motivo del fatto che esiste grazie a tutti gli eoni; inoltre (afferma che) in suo

onore come guardie del corpo furono emessi per lui anche degli angeli uguali per nascita.78

S34.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 108-111:

Lo chiamano Sotèr, Cristo e Discorso, dalla denominazione paterna, e, infine, Tutto, in quanto

conosciuto con il meglio di ognuno: Cornacchia di Esopo, Pandora di Esiodo, Pasticcio di Accio,

Mistura di Nestore, Miscellanea di Tolomeo. Quanto più facile sarebbe stato, per questi tanto vacui

inventori di nomi, chiamarlo Centone di Pancarpo prendendo spunto da certi buffoni osci. Inoltre

per adornare anche dal di fuori una così importante statuina, come guardie del corpo producono

per lei degli angeli di egual genere: se si intende uguali fra loro, si può accettare; ma se li si

intende della stessa sostanza di Sotèr, in che cosa egli potrà essere superiore alle guardie del corpo

dato che sono uguali a lui?79

Con la consueta vivacità, Tertulliano offre in questo passo riguardante la

creazione dell’eone Gesù due immagini satiriche tra le più riuscite di tutta l’opera.

La narrazione analitica di Ireneo non viene modificata, ma arricchita da

77 Ibidem. 78 Ivi, p. 102. 79 Ivi, p. 103.

62

Tertulliano. Viene riproposta la polemica contro Tolomeo, caposcuola

valentiniano, ironicamente complice di aver descritto il suo Gesù con l’ausilio

delle atellane, commedie originariamente recitate in dialetto osco. Tertulliano non

solo dipinge il Gesù valentiniano con i tratti di un personaggio teatrale e comico,

ma lo ricollega anche al ‹‹sigillarium››80, statuetta raffigurante una divinità,

solitamente venduta nei mercati di Roma in occasione delle feste Sigillari o dei

Saturnali. Tertulliano usa il termine in senso ovviamente dispregiativo suggerendo

l’accostamento dell’elenco di denominazioni degli Eoni Valentiniani a quello,

peraltro caotico e confusionario di un mercato romano dove sono esposte

disordinatamente statuette di vacue divinità pagane.

Aspetto teologicamente pregnante, già affrontato nel corso di questa indagine,

è la critica che Tertulliano rivolge alla filialità divina della speculazione

valentiniana. Come detto in precedenza, il rapporto filiale non solo nega l’abisso

che divide Dio e creature, ma entra addirittura in errore, come nel caso degli

angeli qui segnalato da Tertulliano. Se gli angeli rappresentano un grado inferiore

della gerarchia divina valentiniana come possono essere della medesima sostanza

di Sotèr?

S59.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 64-65:

[…] e non fu in grado di raggiungerla in quanto impedita dal Limite. Inoltre che in

quell’occasione il Limite, impedendola nel suo slancio irruente in avanti, esclamò: “I-a-o”; da

questa circostanza dicono che sia sorto il nome “I-a-o”. Poiché non era stata in grado di

oltrepassare il Limite per il fatto che si trovava unita strettamente con la passione, e poiché era

stata lasciata fuori da sola, sia stata sottoposta ad ogni genere di passione, molteplice per genere e

aspetto […].81

S59.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 114-115:

Tuttavia ci provò e forse l’avrebbe raggiunta, se il medesimo Horos, che era arrivato tanto

opportunamente per la madre di costei, non fosse accorso tanto inopportunamente per la figlia,

così da gridarle pure contro: ‹‹Iaò!››, come se dicesse ‹‹Occhio, gente! ›› oppure ‹‹In nome di

Cesare! ››. Perciò si trova “Iao” nei loro scritti. Così, impedita di proseguire e non essendo in

grado di superare in volo la Croce, cioè Horos, dato che non aveva interpellato il Laureolus di

80 Ibidem. 81 Ivi, p. 128.

63

Catullo, come un donna abbandonata, dato che era implicata in quella sua passione molteplice e

intricata, prese ad essere afflitta ad ogni sua manifestazione: […].82

Entrambi i frammenti si riferiscono all’improvvisa comparsa del Limite

all’interno del Pleroma valentiniano. Nel passo, Tertulliano rimane

profondamente fedele all’esposizione di Ireneo. Tuttavia, al di là della consueta

ironia tipica della narrazione di Tertulliano, sono inoltre presenti due allusioni

sarcastiche celate nell’impianto simbolico del sistema valentiniano sopra

riportato. Il primo aspetto si riferisce al termine ‹‹Iaò›› che per i Valentiniani

rappresentava ben più di una semplice esclamazione letteraria. Probabilmente

‹‹Iaò››83 rappresentava una vera e propria formula nel contesto segreto e

misterioso della dottrina. Questo è supportato dal fatto che Ireneo non sembra

cogliere questo aspetto, mentre Tertulliano non solo coglie la forma simbolica

dell’esclamazione, ma la ironizza, trasformandola in un’esclamazione di carattere

militare quasi se il Limite valentiniano esclamasse a Sophia ‹‹altolà! ››.

In secondo luogo Tertulliano menziona Laureolus84, una delle opere più

conosciute del mimografo Catullo. La trama di questa commedia si sviluppava

intorno alla figura di un protagonista che finisce miseramente sulla croce. È chiaro

che Tertulliano in questo modo deride uno dei capisaldi della dottrina

valentiniana, quello del limite inteso come Croce, ovvero come difesa

impenetrabile del Pre - Principio o Abisso.

S77.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 78-81:

Pertanto, dicono che egli è Padre e Dio di quanto si trova fuori dal pleroma, dal momento che è

l’artefice di tutte le cose, sia psichiche sia iliche; (spiegano), infatti, che egli, dopo aver separato le

due entità, che erano mescolate assieme, e dopo aver prodotto dei corpi a partire da elementi non

corporei, fece sia le realtà celesti sia le realtà terrene; (aggiungono) che il Demiurgo delle realtà

iliche e psichiche, di quelle di destra e di sinistra, leggere e pesanti, di quelle che tendono verso

l’alto e di quelle che tendono verso il basso; infatti, dicono che il Demiurgo abbia costituito sette

cieli, sopra i quali si trova […].85

82 Ivi, p. 129. 83 Ivi, p. 130. 84 Ibidem. 85 Ivi, p. 155.

64

S77.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 122-125:

Poiché sento dire che le immagini di quei tre sono così importanti, chiedo: non vuoi ora che io

sorrida delle immagini del loro assai stravagante pittore? Del fatto che Achamoth, che è una

femmina, sia immagine del Padre? Che il Demiurgo, ignaro della Madre e ancor più del Padre, sia

immagine di Nous, cui il Padre non era affatto sconosciuto? Che gli angeli, che sono dei servi,

siano raffigurazioni di padroni? Ciò è come dipingere un mulo, prendendo a modello un asino, e

ritrarre Tolomeo, prendendo a modello Valentino. Comunque, il Demiurgo, collocato fuori dai

confini del Pleroma, nella vergognosa solitudine di un esilio eterno, fondo una nuova provincia,

cioè questo mondo, dopo aver eliminato la commistione e dopo aver separato le due diverse

componenti di quella sostanza, che era stata espulsa, cioè delle realtà psichiche e iliche. A partire

da elementi incorporei struttura dei corpi, pesanti e leggeri, che vanno verso l’alto e volgono in

basso, celesti e terreni. Quindi porta a compimento quella scena composta da sette cieli ponendovi

sopra il suo trono.86

Tertulliano, distinguendosi in questo excursus da Ireneo, definisce la natura

assolutamente contraddittoria della dottrina appena illustrata. Achamoth, pur

essendo femmina, rappresenta un maschio, il Demiurgo, pur non conoscendo né la

Madre né il Padre, rappresenta nel mondo esterno proprio Nous, l’unico che

conosce il Padre ed infine gli angeli, che Valentino specifica essere delle guardie

del corpo con funzioni servili, sono della medesima sostanza di chi li comanda.

Tertulliano nota che Achamoth, il Demiurgo e gli angeli rappresentano in modo

deformato il Padre, Nous e gli altri eoni. In questo passo risulta evidente la

polemica antiplatonica di Tertulliano. Egli fa dipendere il dualismo gnostico

direttamente dal dualismo platonico tra l’anima che, in quanto puramente

immateriale, partecipa della divinità e corpo, materiale, inattendibile e mortale. Lo

stesso dualismo platonico si riflette anche nella cristologia del mito speculativo

valentiniano sicché Achamoth, il Demiurgo e gli angeli finiscono per

rappresentare, dualisticamente ed in grado inferiore, il Padre, Nous e gli altri Eoni.

S61.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 66-67:

Dicono che questo è stato il modo per comporre e portare all’esistenza la materia grezza, dalla

quale è composto questo mondo. Infatti, tutta l’anima del mondo e del Demiurgo ha tratto la

propria origine da quel ritorno, mentre le cose rimanenti hanno avuto inizio da quella paura e da

86 Ivi, p. 156.

65

quel dolore. Infatti, dalle lacrime di essa è derivato tutto ciò che di umido esiste, dal riso tutto ciò

che è luminoso, dal dolore e dalla sorpresa gli elementi corporei del mondo.87

S61.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 114-117:

Suvvia! Ora imparino i Pitagorici, sappiano gli Stoici e Platone stesso da dove la materia, che

essi pretendono non sia nata abbia tratto origine ed esistenza in vista di tutta l’attuale struttura del

mondo; e ciò non lo escogitò nemmeno Mercurio, il famoso Trismegisto, maestro di tutti coloro

che studiano la natura. Hai sentito del ritorno, un genere particolare di passione; si afferma che da

esso sia formata tutta l’anima di questo mondo e anche del Demiurgo stesso, cioè del nostro Dio.

Hai sentito della sofferenza e del timore; da essi ha avuto inizio tutto il resto; infatti, dalle lacrime

di Enthymesis sono derivati tutti gli elementi liquidi.88

I due passi si riferiscono entrambe ad un tema rilevante come quello della

generazione della materia. Per i Valentiniani la materia non era eterna, ingenerata,

innata, come invece ritenevano i neopitagorici, gli stoici e i medio - platonici.

Anzi, come è stato rilevato nel capitolo precedente, la materia viene a generarsi a

seguito di una tragedia divina all’interno del Pleroma. Se per Marcione la

creazione del mondo è un vero e proprio inganno pensato dal Dio dell’Antico

Testamento, per i Valentiniani la generazione della materia è opera del Demiurgo,

parzialmente ignaro, in quanto la madre Sophia gli tiene nascosto l’elemento

pneumatico che egli adopera inconsapevolmente nella sua produzione. È

importante notare come anche Tertulliano sia persuaso che i Valentiniani

identifichino nella figura del Demiurgo il Dio dell’Antico Testamento.

Effettivamente, come afferma Chiapparini nella sua indagine, il dualismo

valentiniano presuppone che vi sia un divino, Abisso, contrapposto al Dio

dell’Antico Testamento, inteso come “diabolico demiurgo cosmico”89. La somma

divinità non può operare direttamente a contatto con il mondo, ma ciò è anzi

compito di una divinità minore. Sorge qui l’innovativa ed inaudita scissione tra il

Dio di Abramo e il Dio di Gesù Cristo. Il primo presiede alla formazione del

mondo, ma appare limitato ed imperfetto, il secondo si rivela come buono ed

eccedente.

87 Ivi, p. 132. 88 Ibidem. 89 Ivi, p. 350.

66

C’è qui da osservare che se da un lato questo radicale dualismo porta ad una

svalutazione del Demiurgo, dall’altro lato egli mantiene comunque i tratti

dell’ordine e della giustizia che ne fanno un vero e proprio esecutore della volontà

superiore. Inoltre l’inconsapevolezza del Demiurgo valentiniano è garanzia della

sua innocenza ed esclude ontologicamente la possibilità che esso si ribelli alla

volontà del Pleroma.

S97.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 90-91:

Peraltro,dicono che fra i tre elementi esistenti, quello ilico, che chiamano anche di sinistra,

viene necessariamente distrutto, per il fatto che non è in grado di accogliere nessun soffio di

incorruttibilità; affermano, invece, che l’elemento psichico, che definiscono anche di destra, dal

momento che sta in mezzo fra quello spirituale e quello ilico, va dalla parte verso cui si è pur

mostrato proclive […].90

S97.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 132-133:

Così pure assegnano un esito differente per ognuna: per quella materiale, cioè carnale, che

chiamano anche di sinistra, (ritengono che) sia indubbia la distruzione; invece, per quella psichica,

che chiamano anche di destra, (affermano) che il destino è dubbio, dal momento che oscilla fra

materiale e quella spirituale ed è destinata dalla parte verso cui si è inclinata di più […]91

Questi due passi si riferiscono alle tre nature umane teorizzate ed esposte nel

sistema valentiniano. Nei due passi non ci sono sostanziali differenze tra Ireneo e

Tertulliano. È qui interessante soffermarsi però sulla descrizione dell’uomo

psichico. Come si evince dal passo di Tertulliano l’uomo psichico si trova a metà

strada tra il destino apocalittico dell’uomo materiale e l’uomo spirituale,

ontologicamente redento perché della medesima sostanza della divinità. L’uomo

psichico è inoltre emblematico del libero arbitrio tant’è che è capace di inclinarsi

tanto verso “destra”, quanto verso “sinistra”, ovvero tanto verso il bene, quanto

verso il male. Come è stato osservato più volte nel corso di questa analisi anche

nel momento in cui l’accento è posto sulla gratuità del dono di grazia, il libero

determinarsi dell’uomo, seppur subordinato, mantiene un ruolo relativo. Questo

90 Ivi, p. 186. 91 Ivi, p. 187.

67

passo evidenzia perfettamente quanto sostenuto ora. Valentino, che

indubbiamente sostiene con maggior vigore l’onnipotenza del Dio di grazia, non

elimina la libertà umana, ma subordina il libero arbitrio a funzione mediana tipica

dell’uomo psichico. Dal passo si evince chiaramente che il libero arbitrio

valentiniano non è affatto teologicamente eliminato, ma solo ridimensionato

all’interno delle tre stirpi umane. Gli uomini psichici, tra i quali i Padri della

Chiesa, possono accedere alla salvezza, ma ad un rango inferiore. Tale accesso è

inoltre garantito solo tramite una buona condotta etica. La disciplina di fede

teorizzata da Tertulliano è certo molto diversa, ma è interessante notare come,

seppur in misura minima, anche Valentino inserisca il libero arbitrio all’interno

del mito gnostico. Chiaramente gli uomini psichici, per timor di Dio, approdano

ad una fede “semplice” malgrado si attengano ad una disciplina salvifica, al

contrario degli uomini spirituali che accedono alla conoscenza perfetta.

S102.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 132-133:

Dicono anche che egli non ha assunto in sé nemmeno una piccola quantità dell’elemento

materiale grezzo; infatti, affermano che la materia grezza non è adatta ad accogliere la salvezza.92

S102.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 134-135:

Invece, in lui non ci fu nulla di materiale, perché è estraneo alla salvezza, come se egli fosse

stato necessario ad altri piuttosto che a quanti hanno bisogno di salvezza; e tutto ciò col risultato,

rendendo la nostra condizione carnale estranea a Cristo, di privarla anche di ogni speranza di

salvezza.93

Questi due passi sono teologicamente molto rilevanti. Sia Ireneo che

Tertulliano riportano il fatto che per i Valentiniani la resurrezione non contempla

la materia, il corpo. Effettivamente Valentino nega con forza la resurrezione della

carne dal momento che questa è frutto di una degenerazione di un errore divino.

La materia resta dunque esclusa anche nel Salvatore, composto di sostanza

psichica e spirituale. I Valentiniani erano infatti convinti che il divino non potesse

mescolarsi intimamente con la materia. Gli eletti Valentiniani si salvano tornando

all’unità del Pleroma in quanto spirituali e non certamente perché materiali. Il

92 Ivi, p. 194 93 Ibidem.

68

corpo viene visto platonicamente come “prigione”, come mero involucro entro cui

la sostanza spirituale cresce fino a maturazione. La stessa passione di Cristo viene

spiegata partendo da tali presupposti. Nell’Adversus Valentinianos è infatti

spiegato come la parte spirituale di Cristo si distacchi dal corpo prima

dell’incontro con Pilato. La parte “eonica” ormai distaccata permette a Cristo di

non soffrire la passione terrena, materiale ed imperfetta. A Tertulliano preme

sottolineare questo punto poiché propone una teologia completamente opposta.

Per Tertulliano non solo l’anima è materiale, ma nella resurrezione a

resuscitare è anche la materia, il corpo. Il Padre apologeta dedica un intero trattato

alla resurrezione della carne. Il fatto che Tertulliano non condivida affatto le

posizioni valentiniane è ribadito dal paragrafo successivo dove il padre africano

ribadisce il concetto appena esposto: ‹‹quindi là in primo luogo quegli uomini

stessi, cioè gli interiori, vengono spogliati: esser spogliati significa deporre le

anime, di cui si erano rivestiti, e restituirle al loro Demiurgo››.

Tertulliano sostiene l’idea che la carne sia uno dei pilastri della salvezza. Egli

infatti afferma che: ‹‹se l'anima diventa tutta di Dio è la carne che glielo rende

possibile! La carne vien battezzata, perché l'anima venga mondata; la carne viene

unta, perché l'anima sia consacrata; la carne viene segnata della croce, perché

l'anima ne sia difesa; la carne viene coperta dall'imposizione delle mani, perché

l'anima sia illuminata dallo Spirito; la carne si nutre del corpo e del sangue di

Cristo, perché l'anima si sazi di Dio››.

D’altra parte difficilmente Tertulliano potrebbe sostenere una tesi differente.

La necessità archeo-ontologica e politica di definire una disciplina salvifica

contempla non solo una rigidità spirituale, ma anche uno sforzo fisico, corporeo;

dunque materiale. L’accrescimento spirituale della disciplina di fede passa anche

per una dimensione di prova. Il Dio di Tertulliano ama i suoi figli mettendoli alla

prova, temprandoli e in questa rigida disciplina di fede anche il corpo fa la sua

parte guadagnando, al pari dell’anima, anch’essa materiale, la resurrezione.

D’altro canto una disciplina senza sforzo, fisico e spirituale, farebbe sì che la

bontà divina cessi d’essere un dono autentico, diventando piuttosto elezione

fortuita, casuale, violenta ed impersonale redenzione.

69

S105.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 92-95:

Sostengono, invece, che essi in tutto e per tutto verranno salvati, non a motivo della propria

condotta, ma per il fatto di essere spirituali di natura. Come, infatti, l’elemento choico non è in

grado di partecipare della salvezza, così a sua volta l’elemento spirituale non è in condizione di

subire distruzione, qualunque possa essere stato il genere di azione in cui si siano trovati

coinvolti.94

S111.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 142-143:

Tuttavia, costoro rivendichino pure la loro nobile razza in base a una vita in balia delle passioni

e al compiacimento per le proprie cattive azioni; assecondano Achamoth con questi loro errori, dal

momento che anch’essa si fa strada commettendone. Infatti, presso costoro si insegna anche che,

poiché si devono onorare le coppie superne, va praticato e celebrato sempre il mistero dell’unione

con una compagna, cioè una donna.95

Molto interessanti sono anche questi due passi perché offrono una

testimonianza della condotta di vita dei Valentiniani. Nei precedenti passi è stata

evidenziata l’avversione di Tertulliano ad una troppo forzata eccedenza del dono;

un’eccedenza tale da risultare addirittura causale ed impersonale redenzione. Ad

una simile idea Tertulliano oppone la fede come disciplina.

Il fatto che gli gnostici si sentissero degli eletti in profonda intimità con Dio,

tanto da essere della medesima sostanza del Padre, apriva loro ad una salvezza che

Tertulliano stesso definisce come “dovuta”, ontologicamente e spiritualmente

certa. Una simile condizione portava i Valentiniani ad assumere anche

atteggiamenti amorali dal momento che le azioni terrene non avrebbero mai

inficiato la loro Salvezza.

La distanza teologica da Tertulliano è quindi immensa. Sostenendo una vera e

propria disciplina pedagogica di fede, Tertulliano propone un atteggiamento

perennemente esortativo che porta il fedele a scegliere il giusto per non cadere in

peccato. L’impianto rigido e legalista cui sottopone la pratica di fede porta a un

moralismo intransigente e severo. L’entusiasmo escatologico dei Valentiniani

giustifica solo parzialmente la dissolutezza di alcuni componenti della sètta. Come

94 Ivi, p. 198 95 Ivi, p. 205.

70

vedremo successivamente i montanisti, veri e propri entusiasti “folli di Dio”,

propongono, contrariamente agli gnostici, una ferrea disciplina morale in

sostanziale continuità con quanto affermato dall’ortodosso Tertulliano.

S120.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 102-103:

Ci sono, peraltro, coloro che dicono che egli ha prodotto pure Cristo, suo figlio, ma chiamato

anche Cristo psichico; spiegano che di costui egli ha parlato per mezzo dei profeti; che è costui che

è passato attraverso Maria, come l’acqua passa attraverso un canale.96

S120.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 134-137:

Adesso do conto di Cristo nel quale certuni inseriscono Gesù con tanta spigliatezza quanta è

quella con cui introducono il seme spirituale nella componente psichica con un soffio,

inventandosi un non so qual ripieno sia per gli uomini sia per i loro dei; affermano che anche il

Demiurgo possiede un suo Cristo, figlio naturale e, quindi, psichico, prodotto da lui stesso,

annunciato per mezzo dei profeti […]. 97

I due testi si riferiscono alla presenza nel sistema Valentiniani di due Cristi,

uno di natura divina, l’altro di natura psichica e corporea, creato dal Demiurgo e

presentatosi al mondo nella persona del Gesù storico morto sulla croce. Nel corso

di quest’analisi è stato trattato più volte il tema del dualismo gnostico; è chiaro

che anche l’esistenza di due Cristi sia una conseguenza del dualismo radicale

proposto da Valentino. In ogni caso è qui opportuno soffermarsi su un aspetto del

dualismo che sino ad ora era stato descritto solo marginalmente: quello

dell’esegesi allegorica e neotestamentaria. Tertulliano, poco dopo il passo

riportato, scrive che:

“ Invece, fu sottoposto alla passione il Cristo psichico e corporeo, formato per riprodurre il

Cristo che sta in alto, cioè quello che, nel dare ad Achamoth una formazione relativa all’essere e

non relativa alla conoscenza, aveva trovato appoggio nella Croce, cioè in Horos. Così costringono

tutto in immagini, evidentemente Cristiani immaginari pure loro stessi.” 98

96 Ivi, p. 220 97 Ivi, p. 221 98 Ivi, p. 226.

71

È qui chiaro il dualismo valentiniano che evidenzia la simmetria tra la

passione storica di Cristo e la passione spirituale dell’Eone Cristo, posto sul limite

Horos, o Croce, per illuminare Sophia. Quello che è importante sottolineare, oltre

al dualismo, più volte preso in considerazione, è l’esegesi allegorica valentiniana.

Nel De Praescriptione Haereticorum Tertulliano aveva affermato che i

Valentiniani, diversamente da Marcione, non “pugnalavano” le Sacre Scritture,

ma, piuttosto, le utilizzavano per confermare le loro dottrine false ed eretiche.

Questa constatazione confuta sul piano dell’esegesi il sistema valentiniano. Solo

dopo l’analisi di alcuni passi dell’Adversus Valentinianos è però possibile cogliere

l’importanza teologica di questa critica.

Come risulta sufficientemente chiaro dall’analisi di questo passo e degli altri

prima riportati, accanto alla presenza di significative connessioni filosofiche è da

sottolineare anche la fondamentale componente cristiana della riflessione

valentiniana. L’utilizzo delle Scritture da parte dei Valentiniani è un aspetto

davvero rilevante, a maggior ragione se si considera che l’esegesi valentiniana si

concentra su testi che sarebbero stati poi riconosciuti come canonici dai Padri

della Chiesa. Come osserva attentamente Tertulliano i Valentiniani sono dei

“cattivi” esegeti perché solo apparentemente usano i tesi di Paolo e di Giovanni

per ricavarne contenuti teologici. È anzi vero l’esatto contrario: i discepoli di

Valentino partono da una dottrina predefinita cercando di rintracciare delle

conferme nelle Sacre Scritture. L’esegesi valentiniana, che Tertulliano bolla

semplicemente come eretica e falsa, rimane tuttavia un aspetto interessante di

quell’intreccio ontoteologico ed escatologico che caratterizza la speculazione

gnostica. Se è possibile affermare che il sistema valentiniano si basa su una

visione creazionista e su una concezione di Dio come trascendente, al punto da

subordinare la Scrittura alla dottrina predefinita, è anche possibile sostenere che

tale subordinazione non dipende interamente da una necessità dottrinale, ma anche

da una tensione escatologica.

L’esegesi valentiniana è dunque parte integrante sia del meccanismo

ontoteologico che caratterizza l’imponente mito gnostico, sia della ricerca

escatologica a cui questo sistema mira. Secondo i Valentiniani l’esegesi allegorica

permette di confermare teologicamente il proprio sistema ontologico, ma, al

72

tempo stesso, di creare una stabile relazione con gli scritti neotestamentari e di

carattere escatologico.

Il confronto tra questi passi dell’Adversus Haereses e dell’Adversus

Valentinianos ha dimostrato ciò che si è sostenuto ed affermato sin da principio.

In effetti, al di là delle differenze metodologiche, il confronto tra Ireneo e

Tertulliano, entrambi interpreti della dottrina valentiniana, permette di delineare

con maggior chiarezza la complessa dialettica tra dispositivo escatologico e

dispositivo archeo – ontologico che si palesa dietro l’ironia, la comicità, la critica

teologica e la tagliente invettiva di Tertulliano. Il montanismo, sètta a cui aderirà

pochi anni dopo la stesura di questo trattato polemico – sarcastico, ha già

indubbiamente influito sulle posizioni teologiche di Tertulliano. L’aspra critica

nei confronti della speculazione valentiniana e il deliberato utilizzo del metodo

appena esposto fanno presagire una svolta assolutamente inaspettata, eppure

inevitabile, verso una dimensione maggiormente escatologica. L’Adversus

Valentinianos non solo permette di cogliere il grande intreccio che anima la

controversia tra Tertulliano e i Valentiniani, ma consente di stabilire un’ipotesi

circa la conversione dell’apologeta al montanismo. Se in Valentino l’orizzonte

escatologico viene sviluppato all’interno di un grandioso sistema ontoteologico,

nella proposta apologeta di Tertulliano l’entusiasmo escatologico viene mediato

all’interno della disciplina di fede. Se Valentino mantiene l’eccedenza del dono di

grazia, estremizzandola in un dualismo radicale, Tertulliano preferisce

salvaguardare il libero arbitrio, fatto ad immagine di Dio, concependolo in

sostanziale continuità con la legge. Sarebbe però scorretto pensare che Valentino e

Tertulliano si limitino ad assolutizzare uno dei due dispositivi. Se è vero che

l’escatologia valentiniana è decisamente più presente che in Tertulliano, non si

può dire che il dispositivo archeo – ontologico e politico ne esca completamente

svilito. Esso è sicuramente subordinato, ma nient’affatto eliminato. Valentino

riconosce un ruolo relativo anche al libero arbitrio che, seppur insufficiente, è

sostanzialmente la qualità posseduta dall’uomo psichico. Inoltre il fatto che i

Valentiniani avessero fondato una scuola dove venivano insegnate le dottrine

segrete apre ad una forma, seppur primitiva e subordinata alla novità elettiva della

gnosi, di organizzazione gerarchica. Lo stesso si può dire anche di Tertulliano: se

73

è vero che egli sviluppa una teologia protocattolica fondata sul libero arbitrio,

sulla disciplina salvifica, sulla trinità morale e sulla risoluzione della grazia nella

legge, è altrettanto vero che il dispositivo escatologico e carismatico non ne esce

completamente svilito. Esso è sicuramente subordinato, ma nient’affatto

eliminato. La grazia di Dio, seppur razionalizzata e legalizzata in una disciplina

pedagogica di fede che educa il libero arbitrio, compare ancora con una certa

insistenza nella novità escatologica della Chiesa Madre e nell’infinito amore della

divinità, capace di ritirarsi dalla sua funzione di giudice pur di donare la libertà

alle sue creature. Questa dialettica complessa emerge con evidenza nell’

dell’Adversus Valentinianos dove la teologia di Tertulliano si confronta con quella

valentiniana.

Per ciò che concerne l’eventuale relazione tra l’Adversus Valentinianos e la

conversione al montanismo l’analisi si fa più complessa. Come è stato ricordato

precedentemente si tratta solo di un’ipotesi capace di spiegare solo parzialmente la

grande svolta spirituale di Tertulliano. L’idea che qui sostenuta è che l’Adversus

Valentinianos offra l’esempio più ardito dell’intransigenza teologica di

Tertulliano. Ciò non vuol dire che non esistano opere caratterizzate da una

maggior intransigenza morale e da una radicale ortodossia; l’Adversus

Valentinianos offre però l’esempio critico più veemente e vibrante, ove le rigide

posizioni di Tertulliano vengono esasperate dal registro linguistico e dallo stile.

Solo in questo senso l’espediente letterario diviene testimone di una radicale

ortodossia, in alcuni tratti addirittura esasperata ed irriverente. Come si è cercato

di dimostrare nell’analisi dell’opera la scelta letteraria non nasconde affatto la

grandiosa critica teologica di Tertulliano. È possibile che proprio nel serrato

confronto con la dottrina valentiniana, Tertulliano sviluppi una certa attenzione a

quell’orizzonte escatologico che sino ad allora aveva subordinato al grandioso

impianto ontoteologico ed ortodosso.

Per essere più chiari, è possibile ipotizzare che proprio la satira a sfondo

teologico applicata da Tertulliano abbia portato l’autore a confrontarsi con i temi

escatologici e carismatici esposti da Valentino e che proprio questo contatto così

vibrante ed intenso abbia spinto Tertulliano ad una differente rielaborazione del

materiale escatologico.

74

2.4. La conversione al montanismo:

Il montanismo fu un movimento religioso che si sviluppò nel II secolo d.C. , in

concomitanza con la diffusione del cristianesimo. Il nome deriva da quello del suo

fondatore Montano; questi sosteneva di avere visioni profetiche e di parlare per

voce dello Spirito Santo. Il montanismo appare come un movimento di resistenza

escatologica rispetto alla razionalità ontoteologica e all’istituzionalizzazione del

kerygma proposto dai Padri apologeti e dalla corrente protocattolica. Il

montanismo ripropone l’eccedenza eversiva della grazia, l’abbandono del vecchio

mondo e delle sue strutture corrotte, l’imminente ed estatico ritorno escatologico

alla fine dei tempi; lo stesso Montano affermava di avere spesso visioni profetiche

sull’imminente ritorno in terra di Cristo. Questo movimento religioso ebbe la sua

massima espansione proprio nel II secolo d.C., nell’epoca in cui visse per

l’appunto Tertulliano. Seppur tra i Padri della Chiesa vi fossero teologi ortodossi

che avevano dichiarato eretico tale movimento, in linea generale veniva tollerato

dalle chiese protocattoliche.

Il montanismo non sviluppò una vera e propria dottrina religiosa; il movimento

poggiava sugli stessi fondamenti dell’esperienza cristiana modificandone tuttavia

precetti e comportamenti. Questa rappresenta una delle grandi differenze che

contraddistingue il montanismo dalle altre correnti eretiche. I contrasti con il

cristianesimo sorsero perché i montanisti proponevano una libertà assoluta come

diretta fruizione di Dio. La chiesa gerarchicamente istituzionalizzata veniva

quindi concepita come mero inganno di potere. Un altro motivo di contrasto era

costituito dalla partecipazione femminile ai riti religiosi. Per i montanisti le donne

non solo potevano partecipare al rito comune, ma spesso erano fondamentali nelle

rivelazioni e nelle profezie. Questo secondo punto è confermato ed avvalorato dal

fatto che due tra i più importanti profeti montanisti erano donne: Massimilia e

Priscilla.

L’unico vero punto di contrasto dottrinale si basa quindi sull’importanza

dell’estasi. I montanisti erano convinti che i loro profeti, una volta entrati in estasi,

profetizzassero per bocca del Verbo, ne derivano, conseguentemente, verità in

grado di integrare l’insegnamento apostolico. Il dispositivo kenotico e cristiano

75

trova nei montanisti la sua formulazione più radicale. I montanisti vengono

descritti come dei veri e propri “folli di Dio”, capaci di rinnegare patria, famiglia,

chiesa pur di abbandonarsi con entusiasmo nel dono redentivo di grazia. Per i

montanisti non esiste più nessuna struttura rassicurante e di identificazione se non

all’interno dell’annuncio liberatorio dello Spirito Santo. È evidente quindi

l’opposizione dei montanisti al protocattolicesimo,: opposizione che porta alla

denuncia delle chiese in quanto negatrici della gioia carismatica dell’annuncio e in

quanto struttura legalizzata che svuota l’imminente nascita del Regno di Dio.

All’ortodossia morale proposta dai padri apologeti viene opposta così

l’eccedenza escatologia, l’ascetismo e l’esperienza estatica. Ciò appare evidente

se si analizzano le posizioni dei montanisti rispetto ai temi del peccato,

matrimonio e martirio99.

I discepoli di Montano sono assolutamente persuasi, in contrasto con le

posizioni protocattoliche, che il peccato equivale alla rinuncia del dono di Grazia.

A coloro che lasciavano la grazia divina non era concessa alcuna forma di

redenzione, in contrasto con l’idea protocristiana che consente ai pentiti di essere

redenti dalla chiesa stessa. Per ridurre al minimo la possibilità di peccare, i

montanisti adottavano rimedi, in alcuni casi estremi ed intransigenti; ad esempio

praticando la castità, evitando i secondi matrimoni e, delle volte, addirittura i

primi. Osservavano periodi di digiuno; non accettavano nella sètta chi

commetteva peccati quali omicidio o adulterio e denunciavano violentemente

coloro che fuggivano dalle persecuzione. Nei confronti di quest’ultimo aspetto,

alcuni di essi giungevano addirittura a lodare il martirio come forma di coraggio

estremo e presa di coscienza della propria e totale subordinazione al kerygma

originario.

Il fulcro del montanismo è lo spirito millenarista100 e profetico; l’idea

costantemente sottolineata nei vari rituali religiosi dell’imminente ritorno di Gesù

sulla terra alla fine dei tempi. L’attesa per il ritorno del Figlio porta in sé

l’inevitabile conseguenza della totale svalutazione del mondo storico, destinato, di

99 Gaetano Lettieri, Il nodo cristiano, Edizioni Carocci, Roma 2009. pp. 124 - 126 100 Ivi, p. 127.

76

li a poco, a scomparire definitivamente. Le intolleranti posizioni moralistiche sono

motivate e giustificate dal millenarismo montanista.

Come detto in precedenza Tertulliano aderisce al montanismo intorno al 213

d.C. circa. Secondo diverse fonti Tertulliano non impiegò molto a diventare figura

di spicco della sètta, tanto che pare abbia creato un movimento autonomo, i

tertullianisti, che sopravvissero come sètta autonoma sino ai tempi di Agostino.

Le principali opere del periodo montanista di Tertulliano ricalcano le

fondamentali tematiche della sètta, descritte sopra. Per ciò che riguarda il tema del

martirio Tertulliano scrive il De fuga in persecutione e rispetto al matrimonio il

De Monogamia e il De pudicitia. Altra opera interessante di questo periodo è il

De pallio, scritto in cui Tertulliano dichiara le ragioni che lo hanno portato alla

conversione montanista, abbandonando la chiesa protocattolica.

Le motivazioni riportate nel De pallio sono in realtà riprese in quasi tutti gli

scritti di questo periodo. È quindi importante soffermarsi sul motivo di questa

conversione. Precedentemente è stato dimostrato come Tertulliano faccia parte di

quei Padri apologeti che risposero alle grandi correnti dualistiche del II secolo

d.C. . La proposta di Tertulliano, sulla scia di Ireneo e di altri padri, è quella di

mediare l’orizzonte escatologico. L’accento viene posto sulla disciplina di fede e

sul libero arbitrio e ad essere relativizzato è proprio la gratuità del dono. Con la

conversione al montanismo Tertulliano approda a conclusioni paradossalmente

opposte alle precedenti. Come è stato possibile questo improvviso ritorno

escatologico? L’Adversus Valentinianos può forse aiutare a spiegare questo

delicato passaggio. Come si rileva da quest’opera lo posizioni moralistiche di

Tertulliano sono estremizzate al punto di sfociare in una vera e propria invettiva

satirico – teologica. Come è stato appena osservato il montanismo, pur non

condividendo con il protocattolicesimo la struttura archeo – ontologica e politica,

ha in comune con la teologia di Tertulliano la rigidità e l’intransigenza sul piano

morale. È dunque possibile che le posizioni moralistiche del periodo ortodosso di

Tertulliano vengono estremizzate al punto tale da assistere ad un ritorno

dell’orizzonte escatologico. La nuova dialettica che si viene a formare tra i due

dispositivi può essere l’esito settario della stessa intransigente disciplina di fede,

ora radicalizzato, proposta da Tertulliano nel precedente periodo ortodosso. I

77

nemici del teologo cartaginese non sono più solo gli eretici Valentiniani, ma la

stessa chiesa protocattolica. È pur vero che Tertulliano continua a chiamare la

Chiesa con l’appellativo di Madre, ma è altrettanto innegabile la polemica nei

confronti della gerarchia ecclesiastica e clero, colpevoli di non aver colto la vera

essenza del kerygma cristiano e di praticare quei comportamenti, negati dal

movimento montanista. È inoltre possibile ipotizzare che la conversione al

montanismo non sia emblematica solo dell’esito settario a cui porta la rigida

disciplina di fede. Come appare dall’analisi dell’Adversus Valentinianos,

Tertulliano è sempre stato attento a come l’orizzonte escatologico e le tematiche

neotestamentarie influenzassero le risposte teologiche tanto dei suoi avversari,

quanto degli altri Padri apologeti. È dunque plausibile sostenere che la

conversione al montanismo rappresenti un riavvicinamento al piano escatologico

senza, però, che una simile svolta possa decadere nel dualismo marcionita e nel

mito speculativo gnostico. Il riavvicinamento alle tematiche neotestamentarie,

come evidenziano gli scritti montanisti sul martirio, sull’estasi, sui profeti, non

mettono affatto in crisi i due capisaldi teologici che Tertulliano aveva difeso

strenuamente nella sua produzione spiccatamente protocattolica: l’unicità di Dio e

la necessità di una disciplina pedagogica di fede. Il montanismo offre quindi a

Tertulliano la possibilità di avvicinarsi ad una dimensione kenotica, escatologica e

carismatica senza mettere in discussione le sue conquiste ontoteologiche. I

montanisti, a differenza di Marcione, sono monoteisti e, a differenza dei

Valentiniani, mantengono una rigida disciplina salvifica.

Altro aspetto interessante è il fatto che Tertulliano applica, una volta convertito

al montanismo, la stessa metodologia polemica dell’Adversus Valentinianos nei

suoi nuovi scritti critici. Nelle opere montaniste di Tertulliano balza subito

all’occhio l’irriverenza e l’ironia contro preti e vescovi dell’epoca. Appare

doveroso evidenziare il fatto che anche nella svolta montanista la dialettica tra i

due dispositivi non porta alla scomparsa del dispositivo archeo . ontologico. Che

l’accento venga ora posto sul piano escatologico e carismatico non implica

l’annullamento del secondo dispositivo che, seppur subordinato, rimane

comunque presente. La produzione teologica circa i matrimoni, il martirio, la

monogamia testimoniano che la disciplina di fede non è nient’affatto scomparsa,

78

ma, tutt’al più, riconvertita all’interno di una nuova dimensione escatologica. Il

fatto che trattati come il De pudicizia o il De fuga in persecuzione vengano scritti

in concomitanza ai trattati, in parte perduti, sull’estasi non fa che avvalorare

questa ipotesi. Certo la svolta montanista non permette certo di accostare

Tertulliano all’escatologia esasperata ed eretica di Marcione e di Valentino. Il

dono gratuito di Dio rimane comunque fruibile soltanto quando l’uomo è capace

di educarsi razionalmente verso il bene. In questo senso il modello del martire,

miles cristiano proprio perché incapace della violenza del miles romano, evidenzia

tanto la necessaria freddezza razionale della disciplina salvifica, quanto

l’indispensabile ascetismo escatologico.

L’analisi sino qui svolta del percorso spirituale di Tertulliano evidenzia quanto

sostenuto nella tesi iniziale. L’analisi di Tertulliano offre la possibilità di

dimostrare la paradossale e complessa dialettica tra i due dispositivi nonché

l’intrigato intreccio che ne deriva. La disputa teologica con Valentino offre la

possibilità di indagare come le risposte dei cristiani del II secolo d.C. siano tra

loro profondamente differenti. È proprio l’appassionata controversia qui esposta

che permette di evidenziare con maggior chiarezza il complicato intreccio dei

dispositivi che sottostà ed influenza la teologia di entrambe gli autori. La disputa

con Valentino permette inoltre di abbozzare, in tal senso, un’ipotesi sulla

successiva conversione al montanismo, dimostrando non solo la paradossalità che

caratterizza il rapporto tra dono di grazia e libero arbitrio, dispositivo

escatologico-carismatico e dispositivo archeo – ontologico, ma anche come questa

dialettica provochi una perenne oscillazione in uno o nell’altro senso. Se nella

prima fase della sua vita Tertulliano legalizza l’eccedenza di grazia in una

disciplina di fede capace di educare il libero arbitrio, al termine della sua vita, con

l’adesione al montanismo, questa stessa disciplina è ora la base necessaria in vista

dell’imminente avvento del Regno di Dio, annunciato dai profeti montanisti e

comunicato dallo Spirito Santo durante l’estasi.

79

Conclusioni

L’analisi del sistema valentiniano, del percorso spirituale di Tertulliano,

nonché la valutazione, per quanto possibile approfondita della relazione che

intercorre tra i due autori, può essere emblematica della complessità e della

molteplicità delle risposte teologiche dei cristiani del II secolo d.C..

L’appassionata relazione tra Valentino e Tertulliano non può che aiutare a

comprendere l’intricato nodo sui cui si articola l’intera storia del cristianesimo. Il

tentativo protocattolico di conseguire un precario equilibrio tra tradizione

giudaico – cristiana e novità escatologica, subordinando la novità carismatica

all’interpretazione legalista di continuità tra Antico e Nuovo testamento, passa per

un tortuoso processo. La produzione teologica di Tertulliano si fa testimone di

questa difficoltà. La dialettica tra ontoteologia ed escatologia non si esaurisce in

un netto e statico sistema dottrinale. Nella figura di Tertulliano ciò è risultato

chiaramente evidente sia in relazione al periodo protocattolico dell’autore, sia in

riferimento al successivo periodo montanista.

Al contrario gnosticismo e marcionismo evidenziavano la violenta

opposizione tra vangelo di Grazia e antica legge giudaica, irrigidendo il dualismo

spirituale in dualismo ontologico. Anche in questo caso però è da osservare come

a prevalere sia la continua oscillazione tra meccanismo ontoteologico ed orizzonte

carismatico – escatologico. Nemmeno la risposta valentiniana si esaurisce in una

netta presa di posizione, ma, al contrario, si articola in una costante dialettica tra i

due dispositivi-

È stato infatti documentato e quindi dimostrato come Valentino sia il

rappresentante più ardito di un intero movimento, quale quello gnostico, basato

tanto sull’estremizzazione del dispositivo archeo – ontologico, quanto su una

ripresa radicale dell’orizzonte escatologico, apocalittico e carismatico. Il kerygma

primordiale non viene affatto abolito dall’impalcatura ontologica gnostica. La

salvezza, ad esempio, rimanere strettamente connessa al messaggio kenotico di

Cristo ed anzi viene escatologicamente estremizzata in un possesso non solo

spirituale, ma addirittura ontologico.

80

L’analisi di Tertulliano, attento interprete di Valentino, offre invece la

possibilità di indagare la dialettica del doppio dispositivo a partire da presupposti

differenti. La suddivisione in tre fasi della vita religiosa dell’autore cartaginese

descrive il suo travagliato percorso spirituale che partendo da posizioni ortodosse

e protocattoliche termina nell’adesione al montanismo. Lo studio delle questioni

teologiche proposte da Tertulliano, nonché l’analisi degli strumenti utilizzati nelle

diverse opere, partendo da quelli giuridici e retorici, evidenzia la complessità

dell’intreccio tra i due dispositivi. L’analisi del percorso spirituale di Tertulliano

offre la possibilità di soffermarsi su almeno due aspetti rilevanti.

Il primo punto su cui soffermarsi è il rapporto tra ontoteologia ed escatologia

nella produzione protocattolica. È indubbio che l’escatologia venga

ridimensionata all’interno di un sistema ontoteologico che mira ad armonizzare le

componenti più sovversive del kerygma, ma, come risulta dall’analisi svolta,

l’escatologia non viene affatto annullata. Anzi, proprio l’interpretazione

tertullianea della speculazione valentiniana offre una pietra di paragone per

dimostrare come Tertulliano siamo comunque attento ai risvolti escatologici ed è

questo il secondo aspetto fondamentale. La dialettica tra le due forze sino a qui

descritte raggiunge in Tertulliano picchi di indubbio interesse analitico. La

conversione al montanismo rappresenta in tal senso un marcato riavvicinamento al

paradigma kerygmatico ed escatologico, prima subordinato, senza tuttavia scadere

nelle grandiose correnti dualistiche del II secolo d.C. . Con la conversione al

montanismo Tertulliano può mantenere il rigido sistema disciplinare proposto nel

periodo protocattolico, ma, al tempo stesso, può riprendere le tematiche

neotestamentarie prima marginali. Non solo, il montanismo rappresenta in questo

senso la risposta più ardita di mantenere vive le basi escatologiche senza far venir

meno i capisaldi della teologia protocattolica. Se è indubbiamente vero che

l’ascetismo, l’esaltazione del martirio, l’attenzione per l’estasi e le profezie sono

tratti distintivi della sètta montanista, è altrettanto vero che l’enfasi escatologica

non sconfina né nel dualismo marcionita né nel mito gnostico valentiniano.

La conversione al montanismo è una conseguenza settaria dell’intransigenza

morale di Tertulliano, ma è anche emblematica di una tendenza di avvicinamento

81

ad una dimensione maggiormente escatologica che non metta in discussione né

l’unicità di Dio, né la disciplina di fede.

Lo scopo della tesi, partendo dalla presentazione della speculazione di

Valentino e dall’interpretazione di questa operata da Tertulliano, non è solo quello

di esporre ed analizzare l’intensa e polemica relazione tra i due, ma di poter

asserire come in fine le conclusioni complesse e peraltro differenti a cui giungono

i due autori, siano emblematiche di una dialettica comune ad entrambe, pur

articolandosi in modo diverso nelle proposte dei due autori.

Il Cristianesimo ha bisogno contemporaneamente di entrambi i due dispositivi

e la sua storia si basa e fonda sul funzionamento di questo meccanismo, che

poggia sull’intreccio fra il dispositivo archeo – ontologico e quello kenotico –

escatologico. Il rapporto tra dono di Grazia e libero arbitrio passa attraverso il

meccanismo del doppio dispositivo cosicché Valentino e Tertulliano

rappresentano, in modi profondamente differenti, le possibili risposte a questo

delicato problema.

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