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FILOLOGIA ROMANZA – DI GIROLAMO L'EPICA L'EPICA MEDIEVALE La nozione di poesia epica è presente sin dalla filosofia greca al pensiero contemporaneo, ma varia il suo significato. Questo e da attribuirsi al suo rapporto con la realtà rappresentata, il contesto culturale e letterario. Si può comunque, tramite criteri di disposizione creativa, raggruppare un certo numero di elementi componenziali come manifestazione di poesia epica, pur appartenenti ad epoche differenti. La triade dei generi basilari è composta da Lirica, Dramma ed Epica. I tratti componenziali dell'epica sono la storicità, in primis, vera o simulata, del tema, anche se sia smarrita ogni consapevolezza circa gli eventi e i personaggi in azione; il disporsi di un complesso di azioni intorno a uno scontro fra parti contrapposte, rappresentato come decisivo per un'intera comunità e i suoi ideali con un forte senso di destino collettivo; la presenza di un eroe in cui quella comunità si riconosce, che per essa si batte e può morire e che nell'azione trova il senso del proprio onore. Da analizzare subito è l'anonimato che caratterizza i testi: la voce dell'autore come individuo non compare, il testo è destinato ad una dizione pubblica ad opera di un professionista della narrazione (aedo, giullare) che lo memorizza e che effettua la sua performance, con intonazione melodica accompagnandosi con uno strumento musicale. Spesso la narrazione avviene in un luogo di culto o una reggia di corte. La realizzazione del verso presenta un carattere topico e formulare da consentire amplificazioni e varianti. Così concepita l'Epica appare diffusa in varie culture lontane fra loro. Ogni testo sarà dunque da valutare in relazione al contesto culturale che gli è proprio. Il Medioevo europeo appare caratterizzato da una varia fioritura di testi eroici e celebrativi. Nella cultura monastica e medievale si erano tramandati i modelli epici latini; e alcune opere mediolatine ad essi ispirate erano nel quadro di cui dobbiamo far conto: la tradizione germanica. Il prodotto più significativo di quest'epica è l'Alexandreis, in esametri dattilici, di Gautier de Chatillon. Fin dagli Annales di Tacito ci è attestata un'attività poetico-celebrativa delle popolazioni germaniche, come rito collettivo di canto, auto-celebrazione nel ricordo delle gesta eroiche proprie e degli avi. Di questa tradizione il poema più antico è il Beowulf, un testo anglosassone dell'inizio dell'VIII secolo, che canta le gesta dell'eroe in combattimenti con una creatura mostruosa e con un drago. Seguono i carmi dell'Edda, di tradizione nordica, che ci provengono da un'area insulare, quella islandese. Lla redazione è posteriore alla Chanson de Roland e ad altra epica francese. La forma originaria dell'epica germanica sarebbe stata quella della canzone eroica bifronte, ossia poemi di 200 versi, in parte narrativi e in parte dialogici, caratterizzati dal continuo spostamento dell'angolo di visuale dal narratore all'eroe che parla. Il testo epico germanico più famoso è sicuramente il Nibelungenlied (La rotta dei Nibelunghi); di 39 canti che rappresenta una sintesi di materiali epici di lunga tradizione. Il metro è una strofa di quattro versi lunghi rimati aabb. Nelle sue viicende si rintraccia una parabola dello sfacelo del feudalesimo tedesco nei secoli in cui gli imperatori stavano imponendo sempre più decisamente la loro politica accentratrice. É tutt'oggi in corso un intenso dibattito sulle origini del genere dell'epica romanza. Per molto tempo la filologia romanza ha seguito nozioni tipicamente romantiche come quella della popolarità/nazionalità delle nuove culture volgari, della spontaneità e genuinità delle loro manifestazioni poetiche. Pareva che nell'epos si manifestasse appieno la specificità delle nuove nazioni, che in quei testi esse celebrassero i propri ideali e rinsaldassero le proprie tradizioni. Sempre più Roland e Cid saranno concepiti quali i poemi nazionali dei francesi e degli spagnoli, come il Nibelungenlied lo è dei tedeschi. Ma l'intervallo tra fatti cantati e testo costituiva un problema tormentoso, che la penuria dei documenti affidava ad astrazioni teoriche e deduzioni non sempre comprovabili. La che vede nell'epica romanza la continuazione del genere delle popolazioni germaniche stanziatesi in territorio latino ha ancora alcuni sostenitori. Di fatto gli elementi accertati sono scarsi e appartengono all'ordine tematico. L'omogeneità del principio dominante di codificazione formale sembra indicare con chiarezza che quest'area poetica rappresenta l'esito della

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FILOLOGIA ROMANZA – DI GIROLAMO

L'EPICA

L'EPICA MEDIEVALE La nozione di poesia epica è presente sin dalla filosofia greca al pensiero contemporaneo, ma varia il suo significato. Questo e da attribuirsi al suo rapporto con la realtà rappresentata, il contesto culturale e letterario. Si può comunque, tramite criteri di disposizione creativa, raggruppare un certo numero di elementi componenziali come manifestazione di poesia epica, pur appartenenti ad epoche differenti. La triade dei generi basilari è composta da Lirica, Dramma ed Epica. I tratti componenziali dell'epica sono la storicità, in primis, vera o simulata, del tema, anche se sia smarrita ogni consapevolezza circa gli eventi e i personaggi in azione; il disporsi di un complesso di azioni intorno a uno scontro fra parti contrapposte, rappresentato come decisivo per un'intera comunità e i suoi ideali con un forte senso di destino collettivo; la presenza di un eroe in cui quella comunità si riconosce, che per essa si batte e può morire e che nell'azione trova il senso del proprio onore. Da analizzare subito è l'anonimato che caratterizza i testi: la voce dell'autore come individuo non compare, il testo è destinato ad una dizione pubblica ad opera di un professionista della narrazione (aedo, giullare) che lo memorizza e che effettua la sua performance, con intonazione melodica accompagnandosi con uno strumento musicale. Spesso la narrazione avviene in un luogo di culto o una reggia di corte. La realizzazione del verso presenta un carattere topico e formulare da consentire amplificazioni e varianti. Così concepita l'Epica appare diffusa in varie culture lontane fra loro. Ogni testo sarà dunque da valutare in relazione al contesto culturale che gli è proprio. Il Medioevo europeo appare caratterizzato da una varia fioritura di testi eroici e celebrativi. Nella cultura monastica e medievale si erano tramandati i modelli epici latini; e alcune opere mediolatine ad essi ispirate erano nel quadro di cui dobbiamo far conto: la tradizione germanica. Il prodotto più significativo di quest'epica è l'Alexandreis, in esametri dattilici, di Gautier de Chatillon. Fin dagli Annales di Tacito ci è attestata un'attività poetico-celebrativa delle popolazioni germaniche, come rito collettivo di canto, auto-celebrazione nel ricordo delle gesta eroiche proprie e degli avi. Di questa tradizione il poema più antico è il Beowulf, un testo anglosassone dell'inizio dell'VIII secolo, che canta le gesta dell'eroe in combattimenti con una creatura mostruosa e con un drago. Seguono i carmi dell'Edda, di tradizione nordica, che ci provengono da un'area insulare, quella islandese. Lla redazione è posteriore alla Chanson de Roland e ad altra epica francese. La forma originaria dell'epica germanica sarebbe stata quella della canzone eroica bifronte, ossia poemi di 200 versi, in parte narrativi e in parte dialogici, caratterizzati dal continuo spostamento dell'angolo di visuale dal narratore all'eroe che parla. Il testo epico germanico più famoso è sicuramente il Nibelungenlied (La rotta dei Nibelunghi); di 39 canti che rappresenta una sintesi di materiali epici di lunga tradizione. Il metro è una strofa di quattro versi lunghi rimati aabb. Nelle sue viicende si rintraccia una parabola dello sfacelo del feudalesimo tedesco nei secoli in cui gli imperatori stavano imponendo sempre più decisamente la loro politica accentratrice. É tutt'oggi in corso un intenso dibattito sulle origini del genere dell'epica romanza. Per molto tempo la filologia romanza ha seguito nozioni tipicamente romantiche come quella della popolarità/nazionalità delle nuove culture volgari, della spontaneità e genuinità delle loro manifestazioni poetiche. Pareva che nell'epos si manifestasse appieno la specificità delle nuove nazioni, che in quei testi esse celebrassero i propri ideali e rinsaldassero le proprie tradizioni. Sempre più Roland e Cid saranno concepiti quali i poemi nazionali dei francesi e degli spagnoli, come il Nibelungenlied lo è dei tedeschi. Ma l'intervallo tra fatti cantati e testo costituiva un problema tormentoso, che la penuria dei documenti affidava ad astrazioni teoriche e deduzioni non sempre comprovabili. La che vede nell'epica romanza la continuazione del genere delle popolazioni germaniche stanziatesi in territorio latino ha ancora alcuni sostenitori. Di fatto gli elementi accertati sono scarsi e appartengono all'ordine tematico. L'omogeneità del principio dominante di codificazione formale sembra indicare con chiarezza che quest'area poetica rappresenta l'esito della

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progressiva diffusione, sia diretta che mediata, di un modello autorevole redatto in quella forma. Gaston Paris, Pio Rajna e Joseph Bedier hanno fatto da pietre miliari nel dibattito sull'origine della chanson de geste. La tesi sostenuta da Gaston Paris vede: le cantilene coeve ai fatti storici come la base di una poetica ininterrotta che attraverso l'operato dei rapsodi (cantori professionisti) approda per gradi alla forma della canzone di gesta, così come quella elaborata da Pio Rajna che vedeva nei nostri poemi l'ultimo prodotto di una tradizione già formata in epoca merovingia e strettamente allacciata a remote tradizione germaniche. I due condividono la concezione romantica della creazione spontanea e popolare di una ispirazione suscitata dall'impatto degli eventi storici sulla memoria collettiva. Joseph Bedier, spiega l'origine delle canzoni di gesta come il frutto della collaborazione di monaci e giullari maturato a partire dall'XI secolo sui rami tracciati dalle vie dei pellegrinaggi e delle fiere, spezzava la presunta tradizione ininterrotta di cantilene e poemi con cui si giustificava la presenza nei testi dei personaggi di epoche così lontane: gli elementi delle chanson de geste riportabili alla storia carolingia andavano collegati a leggende fiorite attorno alla fondazione dei monasteri e divulgate dai pellegrinaggi. M.Mila y Fontanals è il primo a dare indicazioni per una lettura storico-sociologica dei testi medievali a proposito del carattere aristocratico dell'epica e del suo declassamento successivo. La fortuna della teoria bédieriana che respinge la tesi romantica di una ispirazione spontanea e popolare favoriva le ricerche sulle qualità artistiche e letterarie dei poeti, sulle loro individuali capacità inventive: contro questa visione individualista, come scrive Roncaglia, non tardò la reazione del tradizionalismo, ravvivato da puntuali ricerche: la gravità storica degli eventi e quindi la loro intrinseca forza di choc psicologico sulla memoria collettiva, la precedenza dei dati leggendari sulle localizzazioni monastiche, la continuità d'una tradizione popolare parallela a quella colta e in concorrenza polemica con essa. Un nodo intrica la discussione: quello della natura della composizione epica medievale e della sua tradizione: poesia nata allo scrittoio o tradizione orale fondata su schemi compositivi e artifici mnemonici. Alcuni contributi documentati sono a favore della prima teoria. Un secolo e mezzo di filologia romanza ha chiarito che le letterature non sorgono in antitesi a quella latina dei monaci e del clero, ma ad integrarne alcune funzioni, a corroborarne la capacità di raggiungere un pubblico incolto coinvolgendolo nelle manifestazioni del rito. In tutte le aree dell'Occidente romanzo si lasciavano spazi bianchi nei codici latini, e in seguito venivano utilizzati per l'inserimento di glosse ovvero documenti di ordine giuridico, che per opportunità specifiche inglobavano formule di giuramento o testimonianze in volgare. Interi testi volgari più antichi provengono da codici latini d'estrazione monastica. La maggior parte di testi contenenti canzoni di gesta è del XIII secolo, sono spesso di committenti laici, nessun manoscritto può ricondursi a uno di quei centri sulle vie dei santuari che, secondo Bedier, sarebbero stati i luoghi della collaborazione tra monaci e giullari e della genesi delle canzoni. Vige però una larga omogeneità fra la figura del santo e quella dell'eroe, ossia tra agiografia e canzoni di gesta. Ciò dura finché la piramide gerarchica della struttura feudale rimane salda e la canzone può concepirsi come indottrinante messaggio d'esortazione alla crociata (prima età feudale). A una prima grave crisi che si rivela nelle canzoni dei vassalli ribelli, in corrispondenza della seconda età feudale, segue una vera e propria frattura nei romanzi di argomento classico: i quali non si rivolgono alla comunità indifferenziata per rappresentare gli esiti tragici della crisi fra monarchia e feudalità. Effettuano un taglio e una scelta d'ordine culturale, privilegiando i settori più raffinati di un mondo ormai complesso. Da questo momento sarà concorrenza tra canzone e romanzo; la prima opporrà lunga resistenza, ma dovrà piegarsi a compromessi e inglobare tratti caratterizzanti il genere rivale.

L'EPICA NELL'AREA OITANICA: LE CHANSON E GESTE La produzione epica in lingua d'oil conta, su un arco temporale che va dall'XI al XIV secolo, una novantina di canzoni di gesta, nella maggior parte anonime; questo numero va sensibilmente aumentato se si tiene conto di tutte le varianti delle diverse redazioni, più i testi perduti di cui però abbiamo testimonianze certe. La longevità della canzone di gesta permette di rilevare gli influssi, i prestiti, gli scambi, le interferenze, gli adattamenti che investono e di verificano nel genere epico.

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La molteplicità di forme, temi ed esiti pone il problema della classificazione delle chanson de geste. Jean Bodel (XII secolo) dichiara: non ci sono che tre materie: di Francia, di Bretagna e di Roma la grande. I racconti di Bretagna sono vani e divertenti, quelli di Roma saggi e istruttivi, quelli di Francia sono veri come appare ogni giorno. Nello stesso periodo Bertran de Bar-sur-Aube dchiara: Non ci sono che tre gesta in Francia, la più nobile è quella del re di Francia l'altra è quella di Doon dalla bianca barba e la terza fu di Garin di Monglane il fiero. Vengono dunque proposte due distinzioni basate essenzialmente sui contenuti. La canzone di gesta, cioè la matere de France, si differenzia dalle altre narrazioni in versi, il romanzo arturiano e quello di materia antica, per il suo contenuto veridico. Allo stesso tempo i diversi poemi possono essere concepiti ordinatamente in tre costellazioni concepite sul principio del lignaggio. Importantissimo sul dibattito delle origini è il volume di Jean Rychner sull'arte epica dei giullari pubblicato nel 1955: seppur rivolto a dimostrare le origini orali dell'epica francese, esso è stato il primo studio centrato unicamente sull'analisi delle strutture formali della chanson de geste, ovvero sul verso, la lassa, le formule, i motivi e il loro impiego funzionale. L'analisi minuziosa del testo ha condotto a una sorta di compromesso: origine scritta di un genere diffuso oralmente e quindi concepito secondo moduli che ne facilitino la recitazione. Jean Frappier si è concentrato sul rapporto fra storia e letteratura nella chanson de geste: il dato storico riferito all'età carolingia è frutto della trasfigurazione poetica della situazione attuale; è l'attualità storica che l'autore proietta sul fondo di un leggendario passato. Si è puntato anche sull'aspetto sociologico, che vede nell'epica francese il luogo di elaborazione letteraria di molti e complessi problemi della società feudale: il conflitto di interessi fra grande aristocrazia e i funzionari legati alla corona, il rapporto fra clan e lignaggio, il contrasto fra aristocrazia e monarchia nel momento in cui quest'ultima si rafforza proteggendo la nascente borghesia (canzoni dei vassalli ribelli). La chanson de geste è stata analizzata anche in rapporto con altre forme narrative. Gli studiosi hanno cercato di evidenziare un sistema semantico del genere sul quale meglio risaltino mutamenti e innovazioni. Gli studi di Alfred Adler ssono tesi ad illustrare come in essa sia rappresentato non un evento quanto piuttosto la situazione che determina una condizione storica. Due sono le componenti fondamentali: la fede cristiana e soprattutto l'ideologia dell'ordine gerarchico-feudale della società. La chanson de geste presenta ed integra nel suo svolgimento abbondanti materiali di provenienza eterogenea: in particolare, la sempre maggiore influenza del romanzo la spinge ad accogliere elementi favolistici e folklorici e temi avventurosi e sentimentali, assorbiti assai bene nel suo specifico formale.

Chanson de Roland Primo monumento epico romanzo, databile intorno al 1070, è la Chanson de Roland, la sua più antica versione è quella anglonormanna e conta circa quattromila decasillabi disposti in lasse assonanzate di proporzioni contenute e calibratissima struttura. Rappresenta il modello per eccellenza del genere epico pur costituendo tuttavia una eccezione nel quadro delle chanson de geste, un modello che neanche i più antichi poemi riescono ad eguagliare. Il dato storico da cui prende spunto, un imboscata tessa dai baschi fra le gole pirenaiche alla retroguardia dell'esercito di re Carlo al termine di una breve spedizione in Spagna nel 778 in cui cadde viene completamente trasfigurato nel poema. Il tema dominante è la sanguinosa lotta tra cristiani e pagani giustificata sul piano estetico e morale dal principio “i pagani hanno torto e i cristiani ragione”, la figura ieratica del preveggente Carlomagno: sono elementi che concorrono a fare della Chanson de Roland la perfetta espressione della concezione del mondo della collettività cristiana impregnata di sentimento nazionale. Carlo, re dal potere indiscusso, unisce alla funzione regale quella paterna. La frequente commozione e l'accorato planctus su Rolando, dotano l'imperatore di una trepida umanità. I sogni premonitori e le richieste divine accordate alzano Carlo su tutti i personaggi conferendogli un'aura sacrale. Carlo è l'intermediario fra cielo e terra, è il re sacerdote la cui missione è la milizia senza sosta contro i nemici della fede: fede e Francia s'identificano. Nella fabula e intreccio, sacrificio cristiano e conseguente sconfitta dei pagani si svolgono come in un rito circolare. Con formule topiche l'autore detta i tempi della narrazione. In sei giorni si consuma il tradimento, la morte dei paladini, la vendetta, la punizione del traditore; tuttavia, inserendo una fitta e variata serie di

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anticipazioni e presagi, l'autore esclude ogni suspanse dall'incalzante susseguirsi degli avvenimenti. L'intera vicenda viene posta sotto il segno di una fatale provvidenza ineluttabile; le anticipazioni del narratore trasformano la narrazione in una sorta di rituale codificato, rendendone partecipi i lettori/ascoltatori. Il sacrificio di Rolando, l'ultimo a morire nell'imboscata di Roncivalle, segna il punto di maggior tensione emotiva del testo. Il guanto destro che il paladino morente tende in alto a Dio e che dalla sua mano l'arcangelo Gabriele raccoglie, lega con il preciso gesto dell'omaggio vassallatico l'ordine feudale a quello celeste. La Chanson de Roland trova perfetto compimento a livello stilistico e formale oltre che contenutistico. La lassa è la struttura portante. Ordinamento paratattico del testo in unità autonome, ognuna col valore di scena. Le lasse sono disposte sulla base di un disegno organico dal ritmo serrato. Con anticipazioni e richiami di tipo formulare che creano così le lasse similari, caratterizzate appunto dalla comunanza del riutilizzo degli stessi materiali verbali. Alla linea orizzontale del racconto si incrocia quella verticale dell'amplificazione lirica e patetica. L'espressione formulare, sintassi, ritmo si combinano nella Chanson de Roland in modo da ottenere la massima semantizzazione del testo. La rappresentazione degli scontri armati si racchiudono entro una visione densa di significati morali e simbolici: il combattimento di alcuni paladini si trasforma in azione provvidenziale di portata collettiva. Oltre alla rappresentazione con spirito guerriero-missionario, troviamo l'urgenza di temi ideologico-feudali. La lotta contro i pagani non rimuove il vero cardine su cui nasce l'azione: il tradimento di Gano nei confronti di Rolando. Il Tradimento è punito pubblicamente da Carlomagno in quanto è lui il garante di uno sstato danneggiato gravemente dall'azione di Gano. L'opposizione tra Gano e Rolando, nasconde il contrasto fra due diversi gruppi sociali. Gano è l'esponente della grande aristocrazia e potente feudatario, Rolando è l'esponente del gruppo di fedeli funzionari-guerrieri del re, che sperano di ottenere tramite il rafforzamento del potere monarchico feudi e ricchezze. Nella Chanson de Geste di toccano dunque temi di carattere politico, religioso, giuridico, di natura morale, esistenziale e psicologica; il tutto entro una cornice poeticamente e stilisticamente perfetta. Nel corso della vicenda si vede intrecciarsi un problema morale ed esistenziale con quello politico: la predilezione di Carlo per il nipote Rolando, che fa affiorare il sospetto circa la paternità di Rolando, il quale sarebbe il frutto di un amore incestuoso tra Carlo e la sorella. La Chanson de Guillaume, ritrovata all'inizio del nostro secolo e ritenuta nella sua prima parte (verso 1980) di poco posteriore alla Chanson de Roland, presenta una struttura simile ma non minor pregio stilistico. Composta di 3553 versi il lasse assonanzate, narra l'eroica opposizione di Guillaume d'Orange e del nipote Vivien all'invasione saracena. Il rapporto tra i due richiama quello fra Carlo e Rolando. Vivien, come Rolando, è un eroe prode ma non saggio che si promette di non indietreggiare mai di fronte al pagano. Il paesaggio, più ancora che nella Chanson de Roland, è desolato, ampia e sconsolante arena dove si svolge il cruento combattimento fra cristiani e pagani. È più aperta al reale rispetto alla precedente e fa risaltare la presenza dei temi feudali. L'attacco pagano fa da catalizzatore delle tensioni interne alla nobiltà feudale. La seconda parte, qualitativamente nettamente inferiore, databile intorno alla metà del XII secolo e rimaneggiamento di una perduta Chanson de Rainouart, testimonia la tendenza all'organizzazione ciclica delle gesta di Guillaume d'Orange e del suo lingaggio, presentandone concentrati i temi peculiari: il difficile ma leale rapporto con la corona di Francia, la strenua lotta sia di difesa che di conquista contro i saraceni e l'apertura a soluzioni economiche. Nel Couronnement de Louis, databile attorno al 1130, il tema centrale è quello del rapporto fra monarchia e nobiltà feudale. Il contrastato passaggio della corona da Carlo al debole e vile Louis allude al problema politico circa l'elettività o l'ereditarietà del trono di Francia: elettiva dopo il progressivo indebolimento della dinastia carolingia, la successione al trono torna ereditaria dopo l'affermazione dei Capetingi, ma non senza crisi e difficoltà. Lo scopo del racconto è quello di esaltare il garante del potere regale di Guillaume d'Orange, cioè un membro della nobiltà feudale. Vi è una chiara valenza politica: è con la fedeltà dei nobili vassalli che la monarchia può prosperare e sono loro a proteggerla dalle mire di usurpatori e ribelli legati a sovrani stranieri. Guillame seda sia invasioni che rivolte interne, eroe rude e leale dai modi maneschi, devoto servitore del re ma desideroso di ottenere un feudo il più lontano possibile dalla corte.

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La violenta scena iniziale del Charroi de Nimes con il re impossibilitato a dare un feudo al fedele Guillaume, si appiana con un paradosso: Guillaume ottiene da Louis il permesso di tenere per sé terre per ora in mano ai pagani. Affrontando con Guillaume nello spazio di un ventennio il problema del rapporto tra monarchia e nobiltà la chanson de geste sottrae l'eroe allo spazio circolare della rappresentazione-celebrazione epica per tracciarne invece l'intera ed esemplare biografia. Infine il capitolo conclusivo Moniage Guillaume: la perdita della moglie convince l'anziano eroe a ritirarsi a vita di convento; si tratta di una satira antimonacale con inclinazione giocosa. L'eroe muore in odore di santità indicando la vita eremitica la scelta più idonea alla salvezza eterna del cavaliere. Guillaume segna una svolta del genere epico in Francia, ormai influenzato dal modello romanzesco; si presentano temi e motivi nuovi: l'astuzia, il vagheggiamento amoroso, la comparsa di altre classi sociali oltre quella nobiliare, il meraviglioso... In Guillaume si rintracciano i tratti dell'eroe civilizzatore, perennemente impegnato nel (ri)stabilimento dell'ordine civile e sociali, aprendo così il ciclo a sviluppi eroicomici.Rinnegati e Ribelli Oltre alle canzoni di guerre contro i pagani si conoscono alcune canzoni che narrano le crisi fra monarchia e vassalli, note come canzoni dei vassalli ribelli. Gormont et Isembart Uno dei testi epici romanzi più antichi. Isembart si ribella al re Louis e passa al servizio del re saraceno Gormont, rinnegando la fede cristiana. Louis uccide Gormont; abbandonato dai suoi gravemente ferito, Isembart invoca in punto di morte Maria confidando nella misericordia di Dio. Un mese più tardi anche Louis muore in seguito a gravi ferite. I motivi della ribellione di Isembart non sono noti, il finale prosegue secondo un'articolazione narrativa tipica delle canzoni dei vassalli ribelli, dal tono sostenuto e dagli sbocchi tragici. L'aristocrazia feudale s'interroga nei suoi diritti nei confronti del potere monarchico. Riflesso diretto dell'accrescimento del potere monarchico, le canzoni dei vassalli ribelli oppongono al vassallo, leale servitore, un sovrano ingiusto e sleale. Il punto di vista dell'autore è unilaterale: con il vassallo e contro il re. Raoul de Cambrai Il mancato riconoscimento di un feudo innesca una serie di conflitti violentissimi, di una durezza e crudeltà senza pari nella chanson de geste. Mentre Guillaume riesce a trovare una soluzione tra fedeltà e indipendenza al potere monarchico, Raoul abbandonandosi al risentimento e vedendo nel feudo il solo mezzo per acquisire l'immediata indipendenza dal re finisce soffocato nella ristrettezza dello spazio vitale. Doveri feudali e affetti familiari vengono messi alla prova fino alla loro esasperazione e rottura. È un vero inferno feudale e l'unica soluzione è la morte nella speranza della misericordia divina oppure la fuga dal mondo, come farà Guerrì il Rosso, zio di Raoul. Chevalerie Ogier Unica eccezione nel quadro pessimistico delle canzoni dei vassalli ribelli, scritta verso l'inizio del XIII secolo da Raimbert de Paris. Un'infrazione al diritto feudale commessa da Carlomagno che non concede a Ogier la giusta vendetta per l'assassinio del figlio perpetrato dal figlio di Carlo; l'allontanamento dell'eroe e il suo soggiorno presso un re straniero, la lunga serie dei conflitti, intervento del ribelle contro i pagani, la rinuncia alla legittima vendetta sul figlio di Carlo e la finale riconciliazione, la quale coincide con la piena reintegrazione nel sistema feudale. Le gesta di Guillaume Con le richieste del pubblico, gli autori creano per gli eroi più famosi e le loro famiglie una complessa genealogia poetica e leggendaria. Rolando viene riproposto al pubblico in una serie di avventure precedenti la rotta di Roncisvalle. È una vera e propria ciclizzazione biografica, la più complessa è quella su Guillaume; che dalla carriera di Guillaume nascono altre 21 canzoni che stendono la gesta da Garin de Monglane, trisavolo di Guillaume, fino alla morte in odore di santità di quest'ultimo. I legami di parentela finiscono per impregnare tutto il mondo dell'epica francese, secondo un ordine cronologico rovesciato. Le canzoni più antiche si trovano nel ciclo in posizione avanzata o finale creando un vistoso mutamento di contenuti e tono nonostante lo sforzo di armonizzare dei copisti. I personaggi rimangono spesso li stessi, ciò che muta è la natura delle loro

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gesta che si fa sempre più avventurosa. La forma “moniage (la via del monaco) si dimostra di grande utilità per chiudere il racconto delle imprese di eroi imbattibili le cui caratteristiche tipologiche non ne permettevano la morte in battaglia. Il finale nella forma “moniage” recupera la componente provvidenziale e missionaria della primissima epica, presentando il premio divino alla missione, esaltando la cristianità. Un'altra forma legata allo sviluppo ciclico è quella delle enfances, una sorta di sottogenere dell'epica per omogeneità di struttura. Le enfaces narrano le prima avventure di grandi eroi come Guillaume e Rolando, il quale è costretto a vivere lontano dalla propria famiglia e in una condizione non cavalleresca, dimostra la sua reale natura aristocratica compiendo valorose imprese d'arme. La condizione dell'esilio (tipico della cultura popolare) riafferma l'ideologia per la quale la nobiltà non è alienabile e permette agli autori di narrare tutta una serie di separazioni e ritrovamenti che allargano e variano i temi epici cononici portando in scena il mondo borghese e dando spazio alle vicende sentimentali. Le canzoni della crociata Uno dei temi cardini della chanson de geste, quello militare missionario della crociata al sostegno della fede cristiana. Per la prima volta gli autori dei poemi epici evitano di trasportare problemi e situazioni del loro tempo in epoca carolingia: la prima crociata ha fornito l'occasione per dissolvere la simbiosi che per tradizione esisteva nell'epopea del francese antico, fra la storia del passato e quella del presente. Chanson de Antioche Primo poema di questa quarta geste dell'epica francese, scritta a ridosso della prima crociata, pervenuta solo nel rimaneggiamento di Graindor de Douai (fine XII secolo). Si affacciano gli schemi dell'agiografia e si rimarca il carattere missionario e spirituale della crociata, emerge anche il carattere storiografico: nessuna canzone di gesta presenta il grado di storicità della Chanson de Antioche. Le canzoni successive legate alla storia di Goffredo di Buglione (protagonista) presentano un carattere meno storiografico, indugiando sul meraviglioso e l'avventura. Le canzoni tardive e i nuovi tipi eroici Sono riscritture o creazioni originali situabili fra la fine del XII e il XIII secolo. La caratteristica principale consiste nell'utilizzo del fantastico e del meraviglioso, nella concessione di spazio a elementi e motivi di provenienza folklorica e inoltre alla marcata influenza del romanzo cortese per quanto riguarda l'estendersi di situazioni amorose: al tema militare della guerra contro i pagani si intreccia quello sentimentale dell'amore nato fra il cavaliere e la principessa saracena. Ulteriore evoluzione è il contenuto didattico del testo. Si inseriscono sentenze e proverbi, che nella cultura medievale sono valutati come auctoritates. Roman d'Alexandre A differenza degli altri romanzi d'argomento classico, è formalmente una canzone di gesta, ricca d'episodi guerreschi narrati con il tipo stile formulare. Come in altre chansons il sovrano troverà fedeltà solo tra i suoi nobili vassalli e non nei funzionari di basso e oscuro lignaggio. Il personaggio ha in se quei caratteri di fortitudo e sapientia che li consentono di destreggiarsi tra il bel parlare e la spada. Aspetto importante è l'introduzione dell'elemento della conversione del protagonista a seguito dell'incontro/scontro con un famoso cavaliere della tradizione. Aspetto significativo è inoltre l'evoluzione del genere epico dal punto di vista dei contenuti caratterizzato sempre più dalla presenza di elementi folklorici. Già nella Chanson de Roland, Marc Bloch, suggerisce l'analisi dell'odio del figliastro e del patrigno, invidia, tradimento, come temi derivanti più dal folklore che dalla storia. La tradizione letteraria del romanzo e la tradizione folklorica si incrociano nella produzione epica della fine del XII secolo e del XIII secolo, esempio calzante è la canzone Huon de Bordeaux. Il comico e la parodia L'epica romanza amalgama ai temi feudali e guerreschi dal tono eroico e patetico qualche spunto quotidiano di livello comico. Commistione originaria che nell'evoluzione storica e letteraria del genere conosce dosaggi assai diversi, conducendo in alcuni casi la chanson de geste verso esiti apertamente farseschi e parodici. L'aperta parodia del genere epico è rappresentata dal Pelerinage de Charlemagne, poema composto di 870 dodecasillabi in lasse assonanzate e databile alla metà del

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XII secolo. I numerosi elementi della tradizione folklorica riconosciuti nel Pelerinage strutturano sul modello fiabesco una narrazione che rivela tutta la sua verve parodica nei confronti della chanson de geste a cominciare dalla Chanson de Roland.

L'EPICA IN PROVENZA

Tre testi emergono nella tradizione delle creazioni epiche provenzali (lingua d'oc) giunte sino a noi secondo lo studioso Paul Meyer: la canzone di Girart de Roussillon e la Canzone della crociata contro gli albigesi e il frammento del Boecis, il testo che più di tutti amalgama l'esperienza stilistica dell'agiografia con quella della canzone di gesta. Possiamo distribuire in quattro gruppi i testi e i frammenti superstiti: 1) il Boecis, 2) canzoni di gesta di tema vario, 3) testi sulla leggenda rolandiana, 4) canzoni su temi di storia contemporanea.

1) L'area meridionale partecipa con la canzone di S.Fede di Agen e con questo testo di cui restano i primi 257 versi. Il Boecis è scritto in decasillabi raccolti in lasse assonanzate, ossia nel metro del Roland. Il racconto, dopo un esordio di solenne moralismo, muove dalla descrizione di un Boezio in auge e prosegue con la falsa accusa di Teodorico, ha per fonti il De consolatione philosophiae. Il troncone si arresta nel corso della descrizione della Filosofia che visita Boezio in carcere.

2) Girart de Roussillon insieme al Raoul de Cambrai è una delle opere più rappresentative del medioevo feudale, per la sua scabra rudezza nella rappresentazione di passioni immani dalle tragiche conseguenze, di orgoglio e umiliazione, e insieme di sentimenti d'amore e fedeltà coniugali. La canzone di Girart è una chanson de geste che comincia come un romanzo e termina come una vita di santo (Hackett)

3) Spiccano il Ronsasvals e Rolant a Saragossa; importano meno per il livello letterario, modesto, che per la loro testimonianza di alcuni aspetti della leggenda rolandiana, dei quali si discute la maggiore o minore arcaicità, anche in rapporto ad elementi documentati nella tradizione italiana. Nel Ronsasvals è notevole l'attribuzione a Carlomagno della confessione dell'incesto da cui è nato Rolando, dunque non nipote ma figlio: tratto noto da altri testi e forse censurato nella Chanson oxoniense (di Oxford). Rolant a Saragossa è il racconto di un exploit amoroso di Rolando con una regina pagana, nell'unica città ancora non conquistata da Carlo.

4) La storicità degli eventi è uno dei tratti distintivi dell'epica, ma questi testi sono caratterizzati da un rapporto molto più stretto con avvenimenti di poco anteriori o contemporanei, quasi si apparentano con le cronache piuttosto che con la celebrazione poetica. Fra questi, sia d'oil che d'oc, un posto di spicco assume la Canzone della crociata contro gli albigesi. Però il più antico esemplare è il frammento di una canzone concernente la I crociata: la Canso d'Antiocha.

L'EPICA NELLA PENISOLA IBERICA

A sud dei Pirenei, là dove non vigeva la dominazione araba, una fioritura di poesia in volgare si manifestava tra i testi latini, anche sollecitata dall'espansione delle due culture di Francia. In Catalogna, dove la lingua romanza di cultura fu a lungo il provenzale, tracce di composizioni epiche perdute, su temi di storia contemporanea, sono state rilevate nelle opere di quei cronisti che sono la prima gloria della prosa catalana; è il fenomeno della prosificazione dei cantari epici. É soprattutto in Castiglia che ebbe luogo una vera e propria affermazione dell'epica. Se ci si attiene a quei testi che presentino tematicamente e formalmente tratti epici, tutto il tesoro dell'epopea castigliana si riduce a due testi: il Cantar de mio Cid e le Mocedades de Rodrigo. Si può aggiungere inoltre il poema di Fernian Gonzalez. Il Cantar de mio Cid Un solo codice ci ha tramandato il testo di questo cantare alla cui illustrazione Menendez Pidal ha dato contributi straordinari, sia con l'edizione del testo che con lo studio storico dell'epoca in cui

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Rodrigo Diaz, il Cid, visse. Le tre parti di cui esso si compone si individuano entro il testo, ininterrotto nel manoscritto, da indicazioni dell'autore. Il codice, trecentesco, si rivela in alcuni versi aggiunti dal copista come trascritto da una copia preparata nel 1207. Secondo recenti studi, la data di composizione dovrebbe essere molto anteriore a quel 1207. il codice ha delle mutilazioni non gravi tranne quella del primo foglio. Il cantare primo è un cantare che rappresenta la peculiarità etnico-culturale della Spagna di allora, quella coesistenza di culture diverse sulla quale, con al Reconquista, andava ad abbattersi l'intolleranza cristiana di cui il poema stesso è portavoce. Gli altri due cantari, delle nozze e dell'offesa, benché contengano ancora episodi d'arme, vertono su episodi della vita famigliare. Le ultime parti vertono su episodi di vita famigliare. Non c'è dubbio che quest'eroe, padre di famiglia, più circondato di sole femmine, è un caso a sé. Il Cid nella sua ascesa sociale fuori dai confini, può ricordare, ben più che Rolando, con cui non ha in fondo nulla in comune, l'eroe francese della lealtà feudale, Guillaume d'Orange. Il mondo rappresentato è così diverso da staccare nettamente il Cid dalla gesta francese: il Cid ha un indiscutibile fascino di contenuto. Sul piano formale, almeno stando alle copie a noi pervenute, il poeta è assai ssciatto, sia perché l'architettura in tre cantari è ineguale sia perché al dettato difetta un'autentica tensione. Cantari su temi diversi Il soggetto il soggetto che dispone di maggior fascino è quello dei Siete infantes de Salas, un fascino che si fonda sulla rappresentazione di grandi crudeltà, sull'orrore del sangue, e che apparenta questo cantare perduto da un lato al Nibelungelied dall'altro a Raoul de Cambrai e Girart Roussillon. Altro soggetto importante è quello di Bernardo del Carpio, eroe dell'orgoglio castigliano, sia che esso originariamente si battesse a fianco di Carlomagno contro i musulmani, sia invece che, come nelle redazioni più tarde e meglio note, si opponesse all'invasione francese, determinando con suo valore la rotta di Roncisvalle.

L'EPICA NELLA PADANIA E NELL'ITALIA PENINSULARE Il termine cantare circola anche in Toscana e altrove, riferito dapprima a testi di vario ordine e forma, poi addetto ad indicare in ispecie i poemetti cittadino-popolari in ottava rima, che, a partire dagli anno Quaranta del Trecento, si vengono a moltiplicare. Solo nel corso del Quattrocento questi testi ritrovano la materia carolingia, prima essi svolgono piuttosto temi o cortesi o arturiani e solo in qualche caso propongono un incontro con episodi di storia recente. Nel Quattrocento il tono sarà meno eroico che narrativo o d'intrattenimento, con tendenza all'abbassamento comico e a una presa di distanza dalla materia. Maggior centro di produzione è Ferrara: si tratta però di opere composte in francese. Con Petrarca e la soluzione umanistica dell'Africa (Sant'Agostino), l'epica italiana inizia ad appartenere al settore culto. La fortuna dell'epica in Italia va inquadrata in un fenomeno più vasto, che tocca tutto il quadro dei generi letterari e include la circolazione della lirica trobadorica. La fase di massima fortuna di questa è connessa con la diaspora seguita alla crociata antialbigese e con la vita delle corti padane nella prima metà del Duecento. Un vivace focolaio è Genova: decorazioni plastiche e pittoriche non che musive delle cattedrali attestano la circolazione del leggendario carolingio e arturiano già nel XII e forse anche XI secolo. Per l'Italia viaggia una considerevole parte della tradizione manoscritta delle canzoni di gesta. G. Paris divideva i testi francoveneti in 3 gruppi: 1) copie d'originali francesi, con infiltrazioni di elementi dialettali, 2) rimaneggiamenti anche liberi, con elementi d'invenzione originale, 3) nuove creazioni. Oltre al francese e al nord-italiano, bisogna tener conto della componente latina, meno classicista che ecclesiastica. Oltre alla Padania, la geografia della cultura francesizzante d'Italia ha i suoi centri in Pisa e, più tardi, in Firenze. L'epica trecentesca in langue de France Il poema che emerge fra tutti è l'Entrée d'Esspagne, opera che si può collocare all'incirca nel decennio 1330-40. Rimasta incompiuta, ci giunge in un solo codice, mutilo di una vasta sezione, eppure consistente di 16000 versi, si tratta della preistoria della Chanson de Roland, a partire dalla decisione di Carlo e dei baroni francesi di liberare la Via Jacobitana e coronare Rolando della corona di Spagna.

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LA LIRICA

La discussione sull'origine del genere lirico, come forma narrativa, per di peso di fronte al dato essenziale: la storia della lirica romanza è la storia stessa della poesia dei trovatori, delle modificazioni che è andata incontro nei diversi contesti sociopolitici e socioculturali. Ma qual'è il sostrato da cui la poesia dei trovatori ha preso le mosse? Esiste una lirica pretrovatoresca comune alla Roomània centro-occidentale? Il genere lirico si configura come un sistema di generi, un sistema teorico, ma verificabile sulla base delle risultanze storiche; una pluralità di sistemi distinti collegati fra loro. Il sistema dei generi lirici rappresenta solo una parte del più ampio sistema dei generi letterari. La lingua internazionale si ramifica in una pluralità di lingue provinciali. La scuola poetica siciliana rappresenta un capitolo essenziale per la fortuna dei trovatori. Il divorzio fra poesia e musica sancito dai Siciliani ci prospetta una prassi e una poetica ben diverse da quelle che reggono la lirica d'arte provenzale, francese o iberica, fondate sulla parola cantata e e musicata.

I TROVATORILa fondazione della lirica moderna Possiamo sancire Guglielmo IX duca d'Aquitania il primo trovatore di cui ci sia giunta opera, già attivo alla fine dell'XI secolo; mentre l'ultima testimonianza di poesia lirica trobadorica risale al 1292 scritta da Guiraut Riquier. Il Trecento rappresenta l'età della fossilizzazione accademica. Già per la seconda metà del XII secolo si può parlare di una koinè trobadorica. L'area linguistica non è molto semplice: la poesia dei trovatori appartiene per la maggior parte all'Occitania medievale, ma non tutti i trovatori sono occitani. Sono trovatori a tutti gli effetti anche i trenta poeti italiani che compongono le loro liriche in provenzale tra fine XII e fine XIII secolo. La storia della poesia trobadorica non è separabile dalla sua fortuna nei paesi di lingua romanza e germanica. Nel quarto decennio del XIII secolo saranno i Siciliani i diretti responsabili di una translatio che attraverso Petrarca diventerà patrimonio comune dell'Europa moderna. Le caratteristiche del codice poetico sono da rintracciarsi negli usi delle corti della Francia meridionale da poeti che appartengono alla classe nobiliare e che alla corte si rivolgono come a un pubblico privilegiato e per lungo tempo esclusivo. La corte offre il luogo e i mezzi e ne ottiene consapevolezza culturale e politica. Si tratta di una poesia aristocratica e laica, nel senso medievale, in quanto espressione delle aspirazioni proprio di un feudalesimo evoluto. Spesso ha una funzione didattica e solo secondariamente decorativa. Si cerca un giusto mezzo tra il latino, la lingua elitaria, e il volgare più interclassista. I testi dei trovatori sono cantati e musicati; questo elemento ne assicura la diffusione attraverso cantori professionisti: i giullari. Il suo rigore formale è assoluto, sempre consapevole, ed è alla base di riflessioni di carattere metapoetico, eventualmente sviluppate in forma di trattato. Non le nuoce ma l'esalta l'uniformità dei contenuti; risultato di una gloriosa autoselezione. È una poesia dunque formale, una poetica della forma e della variazione, in cui il tema è solamente un pretesto e il linguaggio è usato nel suo potere incantatore. Forte il gusto per il richiamo e la citazione. L'invenzione dell'amore cortese Sono i trovatori a creare l'invenzione dell'amore cortese, o fin'amor (amore perfetto), sulla scorta di Gaston Paris; che è divenuta la cifra di un'intera civiltà letteraria di cui ancora oggi siamo debitori. L'idea centrale è quella di una sproporzione fra l'amante e l'amata: ostacolo alla realizzazione del desiderio e fonte di affinamento individuale e sociale. La donna (domna < DOMINA) è assimilata al signore feudale, l'amante al suo vassallo, l'amore al servizio che il vassallo presta al suo signore richiedendone in cambio aiuto e protezione. L'umiltà e l'obbedienza dell'amante hanno come contropartita la giusta ricompensa, la mercede, dell'amata. L'accettazione non comporta la realizzazione del desiderio, giacché il godimento pieno dell'amore verrebbe di fatto ad annullare la distanza gerarchica. Bernart de Ventadorn scrive: “L'amore di due amanti perfetti consiste nel gradire e nel volere. Non vi è nulla che possa aiutare se la volontà non è uguale da entrambe le parti”. Si tratta di un amore che mentre pone se stesso pone i suoi limiti: un desiderio per nulla platonico, spesso dichiaratamente sessuale, ma perennemente frustrato. L'espressione più alta della contraddizione fra i desideri di possedere e di non possedere – Leo Spitzer. Un amore che

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solo apparentemente si riduce a un fatto privato: se il piacere sessuale non può essere la soluzione naturale della fin'amor, la tensione erotica che ne risulta l'accettazione consapevole delle regole del gruppo sociale (la corte). La fin'amor diviene pertanto l'elemento centrale del microcosmo di valori mondani: la cortezia (cortesia); la quale trova un principio direttivo nella misura e nella ragionevolezza, tanto nell'amante quanto nell'amata. La fin'amor è dunque amore cortese: la cortesia rende capaci di amare e l'amore è l'esercizio della cortesia. Vi è l'obbligo del celar, di mantenere segreta la relazione che si frappone come ulteriore ostacolo alla libera confessione dell'amore. La lirica è dunque espressione del desiderio come desiderio del soggetto, è esibizione del soggetto desiderante. Va dunque ridimensionata la visione di Eduard Wechssler che vede nella canzone d'amore un panegirico politico sotto forma di omaggio personale al signore feudale. Secondo Eric Kohler il punto di forza è la funzione sociologica: l'amore viene represso per la distanza sociale e innalzato a strumento di ordine; la base della fin'amor è la sublimazione codificata del desiderio. Vi è la visione della nobiltà che si acquisisce solo attraverso amore e cortesia: un amore che nobilità proprio perché irrealizzabile e che ripugna il concetto di possesso materiale. La questione dello stile e il pubblico La poesia di Marcabru è ispirata da una sincera e vigorosa passione didattica, da un moralismo intransigente che ammette l'ironia o lo sberleffo, ma concede poco all'elemento ludico. È comunque una poesia oscura che non è però fine a se stessa, il risultato di un eccesso di densità semantica. Il linguaggio è acceso, in quanto strumento per trasmettere una verità superiore, con intonazione biblica. Nella poesia trobadorica del XII secolo, secondo Jeanroy, si posso distinguere due scuole: quella degli idealisti che, celebrando solo l'amore, restano estranei ad ogni preoccupazione polemica o dogmatica e trova massimi esponenti in Rudel e Ventadorn; e quella dei realisti, ossia quella di Marcabru. Marcabru definisce la sua poesia come trobar naturau (poetare naturale) ed è stata assunta come punto di riferimento da parte dei seguaci del trobar clus, quando questa si associa ad un impegno morale. Tra i sostenitori della chiusura ermetica troviamo anche Raimbaut d'Aurenga che appartenente ad una linea aristocratica alto-cortese non condivide il moralismo Marcabruniano, per la quale anzi amore e possesso vanno insieme. La chiusura ermetica è quindi una scelta stilistica, di trobar ric o prim, una poesia preziosa e ricercata, caratterizzata dallo sperimentalismo metrico che trova il suo massimo esponente in Arnaut Daniel, il “miglior fabbro del parlar materno”. Per Giraut de Brnelh il trobar clus non è in opposizione al trobar leu; però egli segue il vero premio della poesia: il successo del pubblico e per questo scopo il poetare chiuso non è adatto. Giraut afferma che la difficoltà per l'eccellenza poetica non risiede tanto nella chiusura del senso ma nella capacità di rendere chiara la propria opera. Bernart de Ventadorn è il poeta del canto che muove dal cuore e privilegia il tema della richiesta d'amore. La “canso” e il sistema dei generi lirici La centralità della fin'amor si riflette in quella della canzone come genere lirico che tratta di amore e di lode. Il termine canso non è anteriore alla fine del XII secolo, periodo in cui il sistema dei generi lirici assume fisionomia definitiva. La canzone trobadorica si chiamava spesso vers, che indicava una struttura metrico-musicale. Il termine canso probabilmente nasce dal dibattito tra trobar clus e leu, la canzone è stata vista come un esempio di poesia facile e disimpegnata, più gradita al grande pubblico. Di pari passo alla specializzazione del termine canso va analizzata l'evoluzione semantica di sirventes che alle origini era il canto d'elogio ma che poi diviene la canzone di impegno morale. Si erano poi i sirventesi politici, esempio tipico è il planh di Sordello per la morte di ser Blacatz. Una posizione intermedia tra la canzone d'amore e la canzone di attualità è occupata dalla tenso e dal joc partit. Il canto dell'amore e della decadenza dei costumi sono spesso associati in un autore come Bornelh nelle sue canso-sirventes. Canzone e sirventese sono associati nel De vulgari eloquentia. La struttura della canso e la situazione cortese forniscono il modello a generi come la pastorella e l'alba. La canzone della separazione dei due amanti allo spuntare del giorno, non solo rappresenta la struttura esteriore della fin'amor ma è in stretta relazione con alcuni contenuti essenziali. Anche i generi lirico-musicale e lirico-coreografica sono imbevuti di formulario cortese, soprattutto nella balada e nella dansa, dove si ritrovano elementi caratteristici della poesia cortese d'oil.

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LIRICA PRETROVATORESCA IN LINGUA VOLGARELa canzone di donna e il problema delle origini liriche Guglielmo IX, come scrive Karl Vossler, non ha bisogno di precursori in quanto è lui stesso un precursore che, dichiarando la funzione ineliminabile dell'individuo poetico, pone l'accento sul carattere fondazionale della lirica trobadorica. Diez e Wackernagel hanno portato comunque avanti una ricerca atta ad individuare la sopravvivenza di una lirica popolare arcaica nei generi più specifici della poesia lirica d'oil: canzoni di danza, contrasti o canzoni drammatiche, ma anche pastorelle, albe ecc... egualmente arcaici e popolari sarebbero i ritornelli oitanici. A Jeanrot non sfugge che i generi apparentemente più arcaici della lirica francese medievale recano tracce evidenti di un rielaborazione cortese non anteriore agli inizi del XIII secolo. Anche i ritornelli provengono dalla cultura cortese delle canzoni a ballo: i ritornelli dovevano accompagnare la danza, da qui il termine rondets per ritornelli in quanto ronde sta a significare danza in tondo. Analizzando anche i kharagat arabo-andaluse si riscontra che il genere centrale della tradizione lirica pretrovatoresca era il monologo lirico femminile e che questo monologo aveva come protagonista non una donna sposata, ma una fanciulla innamorata. Quindi si può ipotizzare una poesia amatoria e satirica, cantata e ballata da cori di donne nelle case e nelle piazze. Gaston Paris, rielabora l'indagine di Jeanroy, proponendo la tesi seconda la quale la litica romanza medievale deriverebbe integralmente dalle canzoni di danza eseguite dalle donne durante le feste di primavera, più precisamente a calendimaggio. Il primo maggio era il giorno tradizionale della libertà del capovolgimento dei ruoli: rito collettivo, regolato da precise convenzioni sociali simile agli antichi Floralia, le feste pagane celebranti Venere. I giovani di ambo i sessi intonavano indovinelli e canzoni d'amore, spesso di carattere burlesco-satirico. La donna intonava i suoi saturnali contro la madre o l'arcigna nutrice, ma soprattutto contro il marito.L'insegnamento delle “kharagat” mozarabiche 1948 il semitista inglese Samuel Stern annuncia il ritrovamento di una ventina di kharagat risalenti all'XI secolo in dialetto mozarabico contenute in altrettante muwassahat ebraiche; si tratta di poesia strofica composta in arabo classico o in ebraico. Il tema può essere indifferentemente amoroso o panegirico, da notare il fatto che l'ultima simt (distico a rima baciata) è sempre una citazione ed importante è il fatto che il personaggio è per lo più femminile. Fra il testo ospitato e il testo ospitante si presenta una dissonanza, poiché la kharga ammette l'assonanza limitatamente alle parole romanze, la muwassha è rigorosamente rimata secondo le regole della poesia arava classica. La kharga è dunque una citazione espressiva, un refrain. È dunque documentata la centralità del monologo lirico di fanciulla all'interno della poesia romanza precortese, una poesia databile intorno all'XI secolo. L'ipotesi più probabile è che si sia in presenza di una tradizione lirica pretrovatoresca anteriore all'isolamento culturale e politico della Spagna musulmana e la Francia avrebbe agito da cinghia di trasmissione nei confronti degli altri paesi romanzi. Tra arabi e latini Importanti da analizzare sono le origini mediolatine e le origini arabe. Sul piano della forma conta il fatto che nella poesia araba la rima era già nota sin dal V secolo, mentre in quella latina si è generalizzata solo verso la fine dell'XI. Per quanto concerne i contenuti emerge l'affinità tra fin'amor e la tarib dei poeti arabi; Menendez Pidal puntualizza sulla figura del guardiano della donna presente nei primi trovatori in relazione non tanto con Ovidio ma con il raqib (guardiano dell'harem) della poesia araba.

DAL CENTRO ALLA PERIFERIARegistro aristocratico e registro popolareggiante All'inizio della lirica europea troviamo dunque una corrente di poesia popolareggiante di origine pretrovatoresca e una lirica mediolatina. Decisiva è la mediazione operata dall'elemento giullaresco, imprescindibile per una poesia che viene dalla parola cantata, dunque di una performance. Il giullare o menestrello è l'interprete di una memoria collettiva, attualizza una varietà di tradizioni poetiche che dalla lirica si estendono all'epica e al racconto e che possono riferirsi a destinatari originariamente distinti per stato sociale e formazione culturale. Pierre Bec distingue due grandi

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registri sociopoetici: uno aristocratico, l'altro popolareggiante; al primo appartiene la lirica trobadorica in senso stresso, ossia intesa come arte rigorosamente firmata e incentrata sulla canso e sull'io lirico maschile; il secondo, di ambito giullaresco, caratterizzato da anonimato di carattere folklorico, lirico-narrativo-musicale, spesso incentrati sull'io lirico femminile.Ipotesi diacronica strutturale Emerge la contrapposizione tra un centro di stretta osservanza trobadorica e una periferia tendenzialmente extravagante. La periferia si caratterizza per una serie di innovazioni: il trapianto del modello; sistema dei generi lirici ereditato da trovatori si semplifica (centralizzando la canzone cortese d'amore); parallelamente si opera una decontestualizzazione della fin'amor e della sua valenza sociale; semplificazione delle formule strofiche e dei metri, soprattutto in area iberica; progressivo esaurimento della problematica del trobar. La diacronia strutturale di produce nel contatto di due sistemi lirici originariamente estranei: da un alto una tradizione pretrovatoresca omogenea in tutta la Romània centro-occidentale; dall'altro una tradizione recente e d'importazione. Nella periferia maggiore era la resistenza opposta dal sostrato lirico pretrovatoresco.

LIRICA D'OIL Nei territori di lingua d'oil la poesia trobadorica deve aver circolato precocemente. Si può supporre che l'irraggiamento della lirica occitanica muova dagli stessi territori e risalga all'epoca stessa di Guglielmo IX. Di un vero impatto del modello trobadorico non si può parlare prima della metà del XII secolo. I primi trovieri si mostrano collegati a Eleonora d'Aquitania, sposa di Luigi VII di Francia; tra questi troviamo Chrétien de Troyes, che assume il ruolo di caposcuola. La maggior parte dei canzonieri oitanici è di origine nord-orientale e tratti nord-orientali caratterizzano la koiné dei trovieri. In Francia la massima ricezione della poesia trobadorica coincide con quella della sua traduzione in volgare locale. Con la III e la IV crociata, il periodo classico della lirica d'arte d'oil, il modello trobadorico verrà rilanciato nelle terre di Francia e di Germania. Dalla canso al grande canto cortese Per designare la canzone oitanica di impianto trobadorico è ormai norma l'uso di un'apposita erichetta come grande canto cortese: quasi a sottolineare che la linea di demarcazione fra lirica d'oc e d'oil passa attraverso la riutilizzazione della parola e del canto, quanto a dire attraverso un impoverimento tematico e formale. Importante è l'intervento di Chrétien de Troyes con la canzone D'amors, qui m'a tolu a moi nel dibattito fra Raimbaut d'Aurenga e Bernart de Ventadon: sostenitori, il primo di un'etica della felicità fondata su un rapporto d'amore totale, incurante delle convenzioni sociali, il secondo della natura dolorosa di un amore che per definizione non conosce l'appagamento del desiderio. Raimbaut propone il superamento dell'ostacolo teorizzando un rapporto segreto ma felice; Bernart forza lo spazio cortese perché rinuncia alla condizione di amante, intendendo l'amore come proiezione narcisistica del soggetto. L'intervento dall'esterno ed equidistante di Chrétien appare come il tentativo di rivalutare un'ortodossia; la quale consiste nel ribadire la fedeltà assoluta ad Amore, quale che ne sia la ricompensa, perché amore è frutto di libera scelta, di “cuore puro e retta volontà”. Nella produzione di Conon de Béthune (1155 – 1220) vi è il rifiuto della fin'amor, dell'insoddisfazione erotica e del dolore garante di gioia: la sofferenza è mera negatività, conta solo la propria individualità di amante e di poeta. In Chrétien Amore, ben più della Donna, è il vero argomento delle liriche; Amor inteso come forza morale, principio ideologico e fonte di vita o di morte prima ancora che come passione e sentimento, in relazione al quale l'Amante può esprimere e manifestare se stesso. Tema caratteristico è quello dell'amore infelice e del divario incolmabile che separa l'amante dalla belle dame sans merci. Vi è un ripiegamento nell'io del poeta, un'interiorizzazione del desiderio. Vi è una ritualizzazione del linguaggio. Generi di circostanza La lirica cortese d'oil nasce nei grandi centri di Champagne e di Fiandra: signorie a base territoriale di grande vitalità economica, con radici culturali radicate e meno vincolate ai problemi politici e militari. Vi è una forte riduzione dei generi: sparisce il planh e il sirventese si fonde nella canzone religiosa o moraleggiante. Poche sono le poesie di attualità politica. Al contrario la canzone di crociata, genere che nell'Occitania medievale ha fatto le sue prime prove con Marcabru, nella

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Francia del nord conosce la sua grande stagione. Tipicamente francese è la collisione tra la canzone di crociata e la canzone di donna. Il jeu-parti o parture, genere di circostanza, deve la sua fortuna alle accademie letterarie della Piccardia. Generi parafolklorici I generi parafolklorici sono intrisi di istanze sperimentali, sia tematiche che coreografo-musicale. Caratteristica dell'area francese è l'ampiezza del corpus di intonazione melico-popolareggiante. Tra i generi spicca la canzone di donna, in particolare d'amico, che è assimilabile ad una reinterpretazione del monologo di fanciulla innamorata. Comune all'area galloromanza è anche la canzone di malmaritata, una rideterminazione in senso cortese della canzone di calendimaggio. Canzoni di donna e di malmaritata possono assumere la forma di ballette o di un mottetto, genre polifonico che può comprendere fino a quattro testi di diversa lunghezza cantati contemporaneamente, dei quali quello corrispondente al basso continuo può ridursi ad una parolina.La pastorella Il genere si articola in due tipi principali: 1) la pastorella cosiddetta classica in cui il poeta offre l'amore alla pastora ma viene rifiutato 2) la pastorella oggettiva in cui il poeta descrive una scena campestre fra pastori e pastore secondo il registro cortese della bella vita: giochi, canti, danze, contrasti d'amore. Nella pastorella classica il quadro narrativo è obbligatorio in un discorso autodiegetico, un discorso in forma drammatica nei modi della canzone a personaggi. Altra componente essenziale è il monologo lirico femminile, il quale è spesso un canto di mal d'amore e si prefigura come un ritornello. Incontro e contrasto caratterizzano anche le pastorelle del secondo tipo in cui il narratore partecipa direttamente all'azione: il poeta incontra i pastori e ne descrive il contrasto. La pastorella ha elementi in comune con la canso: disuguaglianza sociale dei due possibili amanti, in contrasto sono lo scopo e i modi della seduzione, ma anche in contrasto è il fatto che chi richiede amore è socialmente superiore a chi è richiesto. Emergono caratteri grotteschi: lala donna selvaggia pronta a dare libero corso al proprio appetito sessuale, i pastori sempre sciocchi o bestiali, il cavaliere cinico dongiovanni che può spingersi sino allo stupro. Nella pastorella di Marcabru la giovane pastora di incarna L'autrier jost'una sebissa un modello di onestà e di buon senso, parlando in nome di una morale naturale e della saggezza dei vecchi e smascherando i bassi fini che si nascondono dietro le parole cortesi. La canzone di tela o di storia La definizione si evince da un episodio del Guillaume de Dole di Jean Renart (1228), nel quale la madre del protagonista canta una canzone di tela. La canzone di tela o di storia può essere definita come un testo lirico-narrativo che mette in scena i turbamenti e le pene di una fanciulla innamorata. La narrazione è generalmente assai breve e condotta in terza persona, lasciando libero sfogo alla psicologia della protagonista, il cui punto di vista domina. Il contrasto costituisce l'elemento centrale della narrazione, molto teatralizzata, il narratore si rifugia ai margini del testo. Se manca il contrasto con un terzo personaggio predomina il monologo lirico femminile. La fanciulla ci appare sin dall'inizio nell'atto di cantare una canzone che spesso coincide con il ritornello. Affiorano sintagmi epici o formule che paiono tratte da un lamento di Maria. Colpisce la presenza di un ritornello che insieme alla brevità del corpo strofico ripropone lo schema della strofa zagialesca o strofa di romanza. Significativo è l'isolamento del genere, un prodotto squisitamente franceseDal grande canto cortese alla lirica personale La canzone cortese, ponendo l'accento sulla sincerità del proprio poetare, mette in risalto il personaggio del poeta, non in quanto innamorato, bensì in quanto autore. Vi è dunque la base per il passaggio dalla poesia formale alla poesia personale moderna. Collaborano all'impresa gli scrittori francesi dei primi decenni del XIII secolo come Jean Bodel di Arras, fondatore del teatro francese, autore di epica e poeta lirico nel genere della pastorella e autore di un congé (componimento lirico-narrativo) in cui il poeta colpito dalla lebbra si congeda dagli amici e dal mondo, componimento che mette in risalto l'interferenza tra modo lirico e modo narrativo. Nel 1202 il congé di Bodel era forse precoce anche per una città dalla vocazione realistica e teatrale come Arras, ma non fu così per i due successivi: Baude Fastoul e Adam de la Halle. A Parigi, sull'onda del congé, un chierico come Rutebeuf, fonda il genere del dit: poesia recitata e non più cantata, la rappresentazione teatrale del

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proprio io. Getta così la maschera livellatrice del linguaggio cortese, rivelandosi nei suoi vizi e nella sua decadenza fisica e morale.

IL CASO DELLA CATALOGNA Il primo trovatore ad aver valicato i Pirenei è Marcabru (1140), Toledo divenne il più antico centro di diffusione della lirica provenzale nella penisola iberica e le terre catalane un centro di produzione: a partire dalla metà del XII secolo i catalani si appropriano della poesia e della lingua dei trovatori. Importante da segnalare il forte legame politico che si stabilisce nel 1166 quando Alfonso il Casto (Alfonso I conte di Barcellona) eredita la contea di Provenza, ponendosi a capo di una corte i cui funzionari sono catalani e provenzali. Il rapporto è così stretto che la poesia catalana del XIV e del XV secolo può essere considerata come la naturale prosecuzione della tradizione trobadorica. Gli inizi di questa tradizione risalgono al XII secolo, periodo in cui alla corte di Alfonso il Casto vi erano poeti come Peire Vidal e Giraut de Bornelh. La situazione non cambia con il successore Pietro II di Aragona detto il cattolico. Vi sono dei tratti caratteristici di questa produzione catalana: apertura all'enciclopedismo, riflessione metalinguistica e ssperimentalismo tematico e formale. Sul piano della prassi poetica, l'enciclopedismo e la curiosità culturale dei catalani si traducono senz'altro in sperimentalismo. Ad esempio lo stile vigoroso di Guillem rifugge dalla ricercatezza formale, il trobar clus è espressamente rifiutato, ricercando la tonalità facile e popolaresca, cantabile e ballabile, tipica del modo lirico d'oil, di fatto seguito dall'impiego del ritornello. In generale i catalani prediligono il trobar leu. Significativa la produzione di Cerveri de Girona (1259 – 1285), persegue un suo ideale di trobar leu, salvo la sua facilità apparente, in certo modo un aspetto complementare del trobar ric di cui il trovatore si dichiara seguace. Si spiega la ripresa di generi come la balada e la dansa. Vi è un'attitudine allo sperimentalismo, un'apertura a modelli stranieri e popolareggianti da trattare con effetti di controcanto, una sorta di popolarismo sapiente. La produzione di Cerveri rivela l'efficacia della lezione di Raimbaut de Vaqueiras: trovatore giramondo, seguace di uno sperimentalismo metrico e tematico aperto ai modelli francesi, che porta ad esperimenti di poesie mistilingue. Nei territori catalani la poesia provenzale trova dunque una continuità non contraddetta dall'impiego di un catalano provenzaleggiante. La grande novità della poesia catalana è l'apertura all'italianismo. Petrarca è puntualmente riecheggiato da Pere de Queralt, Melchior de Gualbes e Jordi de Sant Jordi. Interessa Petrarca nelle sue consonanze con Arnaut Daniel. Il Dante della vita nuova sembra aver fornito a Gilabert de Proxita il tema della donna-schermo. La Commedia è stata tradotta da un lirico come Andreu Febrer. L'ultimo poeta trobadorico catalano è Ausias March (1397 – 1459) ed è anche il primo lirico veramente moderno della penisola iberica, per il quale l'abbandono del provenzale esprime la ricerca di una poesia personale per esprimere i rapporti dell'individuo nella società, l'amore diventa esperienza esistenziale individuale al centro di conflitti morali e religiosi.

LA LIRICA GALEGO-PORTOGHESE Come nella penisola iberica, l'imitazione dei trovatori ha prodotto una tradizione di lirica d'arte in un volgare locale, non però in una lingua materna comune, ma nella varietà galego-portoghese. Alle origini vi è un incontro tra il modello trobadorico e una produzione lirica galega. Per Tavani gioca un ruolo fondamentale l'importanza politica di Santiago de Compostela, dove sin dal X secolo si stabilisce una vera e propria industria del pellegrinaggio, francese è la riforma morale e culturale tesa a sostenere il primato della basilica metropolitana nei confronti della stessa Roma, francese è il papa Callisto II. Il capoluogo è probabilmente stato il centro di una lirica precortese. La lingua poetica comune, individuata nel galego-portoghese, è stata facilitata da situazioni individuali e collettive di bilinguismo. Questa condizione è possibile data l'elevata affinità delle lingue ispaniche medievali, massima nel caso del leonese e del galego-portoghese. Particolarmente determinante è il ruolo della corte castigliana all'epoca di Fernando III e soprattutto di Alfonso X, compositore della Cantigas de Santa Maria in galego-portoghese ed è il fondatore della prosa scientifica e storiografica spagnola. Don Denis, re di Portogallo dal 1279, segue il mecenatismo del nonno materno Alfonso X, contribuendo anche in proprio all'ultima fioritura della poesia galego-

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portoghese, con un corpus di 137 componimenti. Il confronto con i provenzali La datazione al 1196 del sirventese di Johan de Pavha non sembra un argomento sufficiente per anticipare la data di nascita della lirica peninsulare. Il contatto diretto con il modello trobadorico non si è mai interrotto lungo tutto il XIII secolo, che è anche il periodo di massima fioritura della poesia galego-portoghese, quando la corte castigliana di Toledo divenne il più attivo centro di raccolta, di adattamento e di distribuzione della poesia cortese. Bonifacio Calvo, trovatore italiano, compone due canzoni di amore in galego-portoghese. Importante ricordare che la lirica portoghese ha istituzionalizzato il genere della satira letteraria in forme inconsuete, come accade nella canzone di scherno di Alfonso X di Castiglia a Pero da Ponte, dove quest'ultimo viene accusato di non poetare come un provenzale.Il sistema dei generi lirici Spicca una fissità tematica e formale del sistema dei generi lirici, che si presenta diviso in tre gruppi: cantigas d'amor, cantigas d'amigo, cantigas d'escarnho o de maldizer. Evidente nell'ambito della cantiga d'amigo la perinentizzazione del dato formale che risponde alla necessità di una demarcazione nei confronti della cantiga d'amor che altresì non si distinguerebbe. La cantiga d'amigo è caratterizzata da un forte influsso cortese e si integra perfettamente nel sistema dei generi di importazione provenzale. La cantiga d'amor si presenta come l'erede della chanson, la cantiga d'amigo si presente come un genere allo stesso tempo arcaicizzante e innovatore. Squisitamente portoghese è il genere della cantiga de romeria, dove la canzone d'amico si inserisce sul tema del pellegrinaggio, in rapporto con Santiago de Compostela. Spesso di committenza chiericale analoga all'agiografia spagnola. Nella penisola iberica come nella Francia del nord e più tardi nella Magna Curia di Federico II la dottrina cortese si vede ridotta a fatto tematico. Le tensioni di classe che sono alla base della fin'amor diventano irrilevanti; di qui l'emarginazione della metafora feudale. Scompare la cortesia, sostituita dalla mesura, o dallla desmesura della donna insensibile alle preghiere del trovatore che finisce così con l'ensandecer, col perdere il senno. Il linguaggio lirico è codificato e povero si presenta il vocabolario e spesso ricorrono elementi lessicali. Tra i generi di circostanza assume una posizione rilevante la canzone di scherno, con funzione analoga al sirventese provenzale. Oggetto della satira sono sia individui storicamente determinati, sia rappresentanti tipici di un ceto o di un gruppo professionale: l'aristocratico (ricome) avaro, il favorito (privado) del re, il nobile di rango inferiore (infancon).

LA TRADIZIONE CASTIGLIANA Niente sappiamo della lingua in cui componeva Guossalbo Roiz, trovatore citato nella XII strofa della galleria letteraria di Peire d'Alvernhe, ma è probabile che il nobile castigliano poetasse in provenzale; i suoi versi, per la posa guerresca, dovevano essere assimilabili allo stile del sirventese . Si consideri che la tradizione galego-portoghese rappresenta da sola la poesia lirica dei popoli iberici e affiora sia all'interno di opere castigliane che aragonesi. È con Juan Ruiz che la lirica castigliana si affaccia sulla scena iberica, con la comparsa di un genere ignoto alla lirica galego-portoghese del XIII secolo quale la (cantica de) serrana (canzone di montagna), genere solo parzialmente affine alla pastorella, di cui semmai offre la parodia, a cominciare dalla montanare laida e pelosa che esige un pedaggio in natura dal malcapitato viandante. Non mancano novità vistose a cominciare dall'italianismo per il quale è fondamentale la mediazione dei catalani, cui si somma l'apporto diretto di Francisco Imperial: genovese trasferitosi a Siviglia, dove muore nel 1409, che nel Dezir de las siete virtudes mostra chiari segni dell'influenza dantesca. Già con Juan Ruiz la tradizione lirica galego-portoghese è già in via di esaurimento, come confermato dal canzoniere di Juan Alfonso di Baena che fornisce molti componimenti che testimoniano il cambio linguistico. Vi è inoltre una propensione all'introspezione psicologica e alla drammatizzazione dei sentimenti e soprattutto il preziosismo formale, come strumento di persuasione retorica. Ricomparsa della tematica politica, che trova materiale abbondante nello stato di guerra che caratterizza la Spagna del Quattrocento. In merito alla tradizione melico-popolaresca troviamo la serranilla, che è la vera erede della pastorella cortese, coltivata dal marchese di Santillana e verrà poi ripresa alla

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corte aragonese di Napoli dal poeta Carvajal, il quale non rinuncia alla serrana di Juan Ruiz a cui fornisce una gustosa ambientazione italiana. Al lirismo tradizionale si connette il romance: genere situato all'intersezione fra epica, lirica e cronaca in versi e destinato al canto e alla musica.

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IL ROMANZO

IL ROMANZO NEL MEDIOEVO Il termine che designa quello che per noi è il genere narrativo per eccellenza nasce nel Medioevo. Roman, romance, romanzo erano termini che indicavano qualsiasi composizione tradotta dal latino al volgare. La critica non è però d'accordo che anche la res designata dal termine “romanzo” nasca nel medioevo. Il primo dibattito sul romanzo si sviluppa in seno al classicismo del secondo Cinquecento e in relazione al tentativo di applicare ai prodotti letterari moderni le regole di una Poetica aristotelica a campionario normativo. Il romanzo medievale veniva meno a quel principio dell'unità d'azione considerato dagli aristotelici del Cinquecento uno degli imperativi categorici formali. Dalla critica di Tasso all'Ariosto nei Discorsi del poema eroico (1594) sembrano derivare la maggior parte delle posteriori reazioni negative ai romanzi medievali. Il fatto stesso che si continuasse a parlare (male) del romanzo medievale prova che tale romanzo continuava ad essere letto; soprattutto era letto in Francia fra grande e piccola aristocrazia e fra una borghesia con ambizioni di ascesa sociale. Questo pubblico tendeva a forme di autoidentificazione con gli eroi cavallereschi. Con l'affermarsi, durante il regno di Luigi XIV, dell'ideologia assolutistica non è più possibile per nessuno identificarsi con i cavalieri feudali, se non a prezzo di un totale distacco dalla realtà, e il romanzo viene ormai recepito come materia totalmente fantastica, fonte di puro divertimento disinteressato. Durante il corso del Settecento, fermo restando il giudizio negativo a livello stilistico-formale, i vecchi romanzi sono recuperati sul piano del contenuto come specchio di un'epoca, anzi come specchio degli usi e dei costumi della classe dominante di quell'epoca, la nobiltà cavalleresca. Per gli illuministi il romanzo medievale e da condannare in quanto specchio della barbara età feudale; per i romantici è da recuperare in quanto specchio di un Medioevo rivalutato nelle sue componenti cristiane e feudali. L'interesse per la narrativa cavalleresca come documento per la conoscenza storica della società medievale sopravviverà anche alla fondazione della storiografia scientifica, come dimostra la ricerca di Leon Gautier del 1844 sulla cavalleria. Hegel vede nel romanzo l'esponente più autentico della narrativa moderna, mirando a sottolineare la non omogeneità e linearità dello sviluppo del romanzo. Secondo Hegel nel romanzo cavalleresco c'è una sfasatura tra l'eroe, cosciente di sé, e il mondo in cui quest'eroe si trova ad agire, che invece è ancora il vecchio mondo sacralizzato, delle grandi tensioni ideali. Solo quando il mondo in cui l'eroe romanzesco agisce si dedivinizza diventa prosaico: può nascere il vero romanzo, che dunque è destinato a essere la moderna epopea borghese. Non si parlerà più di romanzo medievale o moderno ma di romanzo tout court, specchio della borghesia, e di romanzo cavalleresco. Una svolta nell'atteggiamento nei confronti dell'analisi del romanzo medievale è stata svolta dallo svizzero Reto R. Bezzola: il primo vero tentativo di affrontare uno scrittore medievale senza pregiudizi, mettendone in luce la capacità di rappresentare il reale in tutta la sua ricchezza di significati, di rendere efficacemente la psicologia dei personaggi. Bezzola insiste sull'universalità e l'attualità del romanzo medievale, della precisa corrispondenza fra piano letterale e piano simbolico del racconto.

DESCRIZIONE TIPOLOGICA DEL ROMANZO

Classificazioni antiche La cultura dell'epoca non aveva ancora elaborato un sistema di generi per la nuova letteratura in volgare. Vi erano categorie classificatorie, come ad esempio una distinzione per materia dei diversi testi narrativi. Questa classificazione risale fra il XII e il XIII secolo, nell'ambito dell'epica. Il primo a fornire una classificazione è Jean Bodel alla fine del XII secolo: le uniche materie degne di diventare oggetto di narrazione sono quella de France, quella de Bretagne e quella de Ronme la grant. Bodel intuisce la preponderanza e la ricchezza tecnica dell'intreccio nei romanzi bretoni e il forte contenuto enciclopedico di quelli antichi. Jehan Maillart creare una nuova classificazione, che taglia trasversalmente le diverse materie, in nome di un'opposizione fantastico/verosimile. Epica e Romanzo Epica e romanzo sono sempre presenti nella coscienza degli scrittori medievali, in quanto

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fondamentali per la realizzazione di un possibile discorso narrativo. Si manifesta in una fase relativamente avanzata una contaminazione fra i due generi. Le divergenze tra chanson de geste e romanzo appaiono evidenti: la comunicazione epica ha carattere rituale, mentre quella romanzesca ha carattere mitico. La chanson de geste tende a stabilire la coesione ela solidarietà nel gruppo dei fruitori attraverso il pathos della rievocazione, di una situazione o di un avvenimento esemplare e noti a tutti noi. Ripetitività formulare e musicale e staticità di struttura in un assoluto presente narrativo, legato alla preconoscenza degli avvenimenti da parte del fruitore servono a comunicare un significato sacrale che va oltre la vicenda narrata. Per contro la comunicazione romanzesca ha, come quella mitica, lo scopo essenziale di fornire delle conoscenze. La conoscenza che il romanzo fornisce è veicolata da un intreccio accattivante e imprevedibile, ricco di tratti favolosi ed eccezionali. Produce una reazione individuale e non collettiva nel piacere dell'ascolto. Tanto nell'epica quanto nel romanzo il fruitore avverte la superiorità ideale dei protagonisti delle storie che gli vengono proposte, ed è spinto, in entrambi i casi, a un'identificazione di tipo ammirativo. L'eroe epico risponde al bisogno della memoria collettiva, glorificando un atto storico che deve restare memorabile; l'eroe del romanzo, simile al giovane principe delle fiabe, al di là della realtà quotidiana, risponde al desiderio di avventure straordinarie di evasione individuale. Sul piano strutturale e formale ancora più vistose sono le differenze: il tessuto della chanson de geste appare dominato dalla discontinuità e dalla paratassi. Il tessuto romanzesco si presente come un continuum narrativo, di tipo sintattico. Ciò che distingue davvero il romanzo è la sua sapiente strutturazione del suo intreccio, sorretto dal principio di causalità. Questo principio di causalità si esplica in particolare attraverso tre tipi di organizzazione del racconto: due a dominante narrativa, ossia il motivo della quete (ricerca) e il motivo del don contraignant (Dono che costringe); uno a dominante strutturale, ossia la tecnica dell'entrelacement che consiste nel portare avanti contemporaneamente più di un'azione. Il principio di causalità è ben poco congeniale alle strutture del racconto epico, che progredisce secondo la logica della contiguità, incarnandosi in ripetizioni, parallelismi, inversioni temporali. La Chanson de Geste inoltre presenta caratteristiche tendenzialmente monologiche in un'omogeneità di reazioni psicologiche e di atteggiamenti ideologici. Nel romanzo si evidenzia sempre più la tendenza dialogica, operando una netta selezione del pubblico a vantaggio della classe aristocratica; l'aristocraticità del messaggio romanzesco non si fonda sul silenzio nei confronti delle altre realtà sociali ma sul loro rifiuto; gli autori mettono in scena rappresentanti degli altri ceti o gruppi sociali per fornire in maniera dialogica dimostrazione della superiorità morale e culturale dell'aristocrazia. L'ironia, assai presente nel romanzo, è del tutto assente nell'epica. Le due linee fondamentali del romanzo Il romanzo può essere inteso come struttura narrativa coerente, dominata dal senso di causalità, e il concetto di romanzo come discorso sul mondo: la linea biografica e la linea enciclopedica. Nei romanzi a linea biografica tutto l'intreccio appare costruito in modo da privilegiare l'avventura di un particolare individuo. L'organizzazione è centripeta, i diversi spunti narrativi tendono ad essere razionalizzati e ordinati nel quadro del racconto di una vicenda individuale. Si applica per la prima volta nel Medioevo i canoni della biografia a una materia diversa da quella dell'agiografia. Elemento di distinzione netta è il fatto che il racconto viene tagliato prima della sua conclusione naturale, fermandosi nel momento in cui il protagonista raggiunge il massimo del successo mondano e della perfezione morale. Connessa al principio di causalità è l'idea di progresso e di perfezionamento: idea che precocemente si affaccia nel romanzo del XII secolo a partire da Chrétien de Troyes. Al romanzo biografico va associato anche il romanzo di formazione ed educazione. Bachtin ha scorto il momento nel quale più intenso diventa il rapporto fra l'esperienza del protagonista e la realtà presentata come la vera e propria scuola che forma il carattere del personaggio e ne determina la concezione del mondo. I romanzi della linea enciclopedica appaiono per contro organizzati in senso centrifugo, dal momento che la vicenda individuale rappresentata tendono in essi ad organizzarsi in un quadro globale della realtà: il racconto diventa così un mezzo e talora anche un pretesto per fornire al lettore le autentiche coordinate per la conoscenza del mondo. Il vero punto d'arrivo del romanzo enciclopedico sono le Vulgate, summa di materiali storico-morali

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e religiosi, noti come Bibbia laica.Altre categorie descrittive Vi sono categorie oppositive quali romanzo fantastico e romanzo realistico, oppure arturiano e idillico. Vi sono etichette come quella di romanzi antichi, come quelli di Tebe, di Toria, di Enea, di Roma e di Alessandro. Nel Grundriss der romanischen, dedicato al romanzo fino al XIII secolo vi sono tre gruppi: romanzi di Galvano, romanzi di quete e di declino del meraviglioso.

GLI ALBORI (FINO AL 1155) La più antica testimonianza è il Roman d'Alexandre di Alberich von Bisinzo, il testo è localizzabile all'estremo limite sudorientale dell'area d'oil; ci rimane solo un frammento di 105 ottosillabi. Il secondo dei testi romanzeschi pervenutoci è il Roman de Brut (integro) del chierico Wace, legato alla corte di Eleonora d'Aquitania e di Enrico II Plantageneto. Proprio alla regina nel 1135 presentò la sua traduzione della latina Historia Regum Brittaniae di Goffredo Monmouth. L'Alexandre La parabola del romanzo medievale incomincia in nome di un recupero umanistico con l'Alexandre di Alberic de Pisacon. Nonostante sul piano metrico e stilistico restino piuttosto forti i debiti nei confronti dell'Epica, la struttura del racconto è di tipo nettamente biografico. A causa della frammentarietà del testo non sappiamo se il racconto si conclude con la morte del conquistatore macedone o se termina con qualche suo grande exploit. Nel testo di Alberich tutto tende a far risaltare l'individualità dell'eroe, la sua descrizione fisica, pur condotta attraverso stilemi epici, serve proprio a dare corporeità; il racconto della sua educazione vuole fornire basi logiche al suo futuro successo. Appare l'influsso del Roman de Brut: l'eroe diventa un esplicito modello di cortesia e di largesce (liberalità). Vengono posti in primo piano due valori che poco hanno a che fare con l'ideologia guerriera e religiosa della chanson de geste: gli aggettivi prode, generoso e cortese costituiranno la triade fondamentale di attributi riservati ai protagonisti dei romanzi medievali. Il Roman de Brut Il Roman de Brut di Wace conduce a un totale cambiamento d'atmosfera: al posto di frammenti anonimi, un'opera completa (15000 versi), provvista di explicit con tanto di data e firma. L'opera di Wace vuole essere una storia degli antenati bretoni dei monarchi d'Inghilterra e le radici di quest'ultimi vengono connesse con la progenie di Enea, poiché Brut, fondatore della dinastia, è un nipote del pio troiano. L'andamento del Roman de Brut è di tipo cronachistico, prossimo allo stile della nascente storiografia volgare, nella quale si cimenterà anche Geffrei Gaimar con il suo Estoire des Engleis. Fino a tutto il XIII secolo discorso romanzesco e discorso storiografico non differiscono molto. Ciò che distingue i due generi è la produttività del genere romanzesco, in quanto ogni testo romanzesco può essere il punto di inizio di un altro. Il Roman de Brut è dunque un ibrido dei due generi. Tra gli episodi del Brut sono quelli in cui dominano i tratti di caratteri psicologico e sentimentale a godere di straordinaria fortuna, con riprese e sviluppi; come ad esempio l'episodio del tradimento della regina Ginevra con Mordret, suo nipote, che determina la fine del potere di Artù. Il tema della Tavola Rotonda è la vera innovazione di rilievo apportata da Wace rispetto all'Historia Regum Brittaniae. Ciò che conferisce alla Tavola Rotonda un valore del tutto nuovo sono le sue implicazioni feudali-cavalleresche: la Tavola Rotonda diventa emblema del rapporto armonico che si instaura fra un monarca (primus inter pares) e i migliori cavalieri del mondo, che si dedicano a un servitium privo di costrizione. Il rapporto Artù-cavalieri non riproduce il reale rapporto sovrano-vassalli dell'area franco-britannica della metà del XII secolo.

I ROMANZI ANTICHI (1155 – 1165) Provengono tutti dall'impero Plantageneto e vanno collocati secondo una successione che vede al primo posto il Roman de Thèbes (forse contemporaneo del Brut), poi l'Eneas e infine Troie, l'unico dei tre testi a portare una firma (Benoit di Sainte-Maure). L'epopea classica diventa romanzo L'epica medievale è fenomeno socialmente indifferenziato e dunque popolare e non può che cercare nella propria memoria storica le fonti d'ispirazione; il fatto che i materiali epici antichi erano

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considerati nel Medioevo come testimonianze storiche di un passato sta alla base della loro naturale forma di espressione nel romanzo. Le vicende della guerra di Tebe, dell'assedio di Troia e della fuga di Enea, assumono il significato di un immenso prologo al Roman de Brut. Ma questi testi rappresentano un passo avanti rispetto al Brut: da un lato, l'ampio spazio dedicato alle figure femminili e alla tematica sentimentale; dall'altro, la grande rilevanza dell'elemento fantastico e meraviglioso. Il mondo dei sentimenti appare in grande evidenza soprattutto nell'Eneas, in cui compaiono descrizioni della fisiologia e della patologia amorosa: i sospiri, i tremori, la perdita di appetito e il sonno; all'insegna di un recupero della tematica erotica ovidiana ma si creano raffinati moduli espressivi per veicolarla. Sempre più sapiente diventa la tecnica dei dialoghi e dei monologhi degli innamorati. Vi è la propensione ad inserire tratti fantastici in senso meraviglioso piuttosto che magico. Il gusto per la descrizione lussureggiante si mescola all'intento didattico e culturale, dando un impulso all'evoluzione della linea enciclopedica del genere romanzesco.La nascita del romanzo idillico La storia di Floire e di Blancheflor segna una svolta importante negli sviluppi del romanzo: non sono in gioco destini di popoli né quelli della dinastia di un sovrano né quelli di un eroe con un'altissima missione da compiere bensì quelli privati di due adolescenti che si amano. I due sono destinati a diventare i genitori di Berta, la madre di Carlomagno; primo sintomo della confluenza di temi epici e romanzeschi che si produrrà nel XIII secolo. I due amanti dovranno superare infinite peripezie, in una cornice Orientale colma di fantastico, lusso e magia, prima dell'inevitabile lieto fine. Emerge il gusto per la descrizione che sarà caratteristica del genere romanzesco medievale.

GLI ANNI D'ORO (1165 – 1180) Il più antico dei grandi romanzi è il Tristan di Béroul, giuntoci privo dell'inizio e della fine. Attorno al 1170 sono da collocarsi le opere prime di Chrétien de Troyes e Gautier d'Arras. Non anteriore al 1170 sarebbe in effetti Erec et Enidedi circa 6900 versi. Dati gli ampi riferimenti a Nantes, si suppone che Chrétien fosse piuttosto attento agli interessi della monarchia anglonormanna. Di Gautier d'Arras il più antico dei suoi romanzi è l'Eracle, di oltre 6500 versi. Fra il 70 e il 75 viene collocato uno dei testi più belli ispirati alla leggenda di Tristano e Isotta, quello di Thomas detto d'Angleterre, di cui restano solo frammenti per un totale di 3100 versi, il testo originario, su stima di Bédier, doveva contare 18000 versi. Sicuramente posteriore, visto che ne costituisce un'articolata risposta, è il secondo romanzo di Troyes, il Cliges, databile tra il 76 e il 77. Crétien dedicherà il suo Lancelot a Maria di Champagne, figlia di Eleonora d'Aquitania. Contemporaneamente al Lancelot Chrétien lavorava all'Yvain, forse la sua opera meglio strutturata e più convincente sul piano della resa psicologica dei personaggi. L'ultimo romanzo di Chrétien il Conte du Graal, noto anche come Perceval, databile tra il 79 e l'82 è dedicato a Filippo d'Alsazia, conte di Fiandra. È incompiuto pur presentando più di 9000 versi. La leggenda di Tristano e Isotta La tradizione antica di una delle più belle storie d'amore di tutti i tempi ci è pervenuta in uno stato deplorevole: sono perduti i poemi composti dal bretone Breri e da Chrétien de Troyes; ridotti a frammenti i romanzi di Béroul e di Thomas. La leggenda di Tristano e Isotta è una storia di adulterio, di passioni forti, non solo erotiche ma anche civili. Tristano e Isotta ricorrono all'inganno e persino allo spergiuro. È una leggenda che non può avere una matrice colta o clericale. Essa è fondata sulle radici del terreno mitico della Gran Bretagna e dell'Irlanda, esistono prove di indubbia antichità a conferma di questa teoria: esistenza di racconti che parlano della liberazione di un popolo da un pesante tributo umano a opera di un eroico guerriero, come anche il rapimento della moglie di un capo; sono tematiche che ricorrono nel Tristano e Isotta. Beroul nel suo romanzo punta molto sullo stato di vittime dei protagonisti e non protagonisti attivi della vicenda sentimentale che li unisce, ma una fatalità del loro amore. Thomas d'Angleterre, chierico più colto di Beroul ma non dotato della sua essenzialità stilistica, mira a rendere il rapporto fra Tristano e Isotta del tutto credibile sul piano psicologico, il tutto unito da un amore invincibile. Thomas sa descrivere con precisione la situazione sentimentale dei due amanti, rappresentandola attraverso monologhi di rara penetrazione psicologica. La maniera ovidiana viene surclassata nel nome di una dialettica dalle

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solide basi filosofiche. Thomas vuole risaltare l'atteggiamento esemplare e problematico di Tristano e Isotta, Thomas coinvolge il suo pubblico nel discorso; egli introduce una tecnica dell'intervento d'autore che poi Chrétien de Troyes e i suoi successori utilizzeranno ampiamente. Thomas imbocca così la strada del simbolismo che farà intendere il romanzo come exemplum, grande e favolosa allegoria di situazioni e impulsi comuni agli uomini. Chrétien de Troyes La storica corte arturiana che Wace aveva concepito come simbolo del potere regio autorevole ma rispettoso delle autonomie dei vassalli subisce con Chrétien una notevole trasformazione. Non sembra interessato a mettere in risalto i presunti legami fra il regno arturiano e il mondo classico, valorizza invece un tessuto leggendario celtico che Wace solo in parte aveva utilizzato. Le fonti delle sue trame sono in larga parte diverse da quelle dell'Historia o del Brut, non sempre connesse con la leggenda arturiana. Da Chrétien in avanti l'opera di strutturazione romanzesca tenderà a fare della corte di re Artù il quadro di organizzazione di tutti i temi di derivazione. Chrétien ha ignorato i significati e simolismi mitico-fantastici propri della matiere cui pur proclamava di rifarsi. In effetti è lui stesso a sostenere nei suoi prologhi di aver dotato di un nuovo sen quei racconti tradizionali che tanto piacevano al suo pubblico. Novità come storie di autoaffermazione personale e sociale del protagonista attraverso le avventure e nella chiave di storie della sua educazione sentimentale, ossia all'amor cortese. I materiali tradizionali oltre a sorreggere nuovi significati vengono strutturati in maniera innovativa: le storie dibattono da diverse angolature proprio il cruciale problema del rapporto fra militia cavalleresca e amore. Erec e Yvain, avventura e amore, quasi gemelli nella struttura e nella questione di fondo proposta, ossia la conciliazione tra onore/prodezza con un rapporto sentimentale allineato agli imperativi dei dettami dell'amor cortese. Questi due romanzi mostrano l'aspetto più ottimistico dell'ideologia del loro autore; vi è infatti la volontà di presentare come positivamente risolvibili i problemi in essi sollevati. Erec e Yvain si muovo in un universo ancora saldamente governato dalle leggi feudali, ma il loro comportamento non le vive più in maniera conflittuale. Re Artù è una figura sempre più statica e passiva e l'autoaffermazione dei vassalli sembra realizzarsi al di là del sistema feudale. Erec ed Yvain si trovano all'inizio della storia nella tipica situazione di essere senza feudo; la loro strategia di conquista prescinde da qualsiasi intervento del signore, è un itinerario verso verso la gloria, la virtù, l'autentica cortesia, scandito da una serie di avventure che hanno come sbocco il combattimento. Caratteristica simbolica è il tipo di sequenza in cui questi combattimenti si trovano inseriti, in un crescendo di importanza e difficoltà, culminate in una prova di alto significato sociale che solo un cavaliere allo stadio ultimo del suo perfezionamento può essere in grado di compiere. Yvain libererà dalla schiavitù le fanciulle prigioniere al castello di PesmeAventure. Per le due coppie, Erec – Enide e Yvain – Laudine, il matrimonio non significa affatto l'automatico raggiungimento di equilibrio e felicità. Il poeta si preoccupa di costruire al di là dell'atto materiale del matrimonio un'esemplare intesa fra le coppie, le due coppie entrano in crisi a metà del racconto in una simmetrica disarmonia: la sequenza di avventure diventa lo strumento del riequilibrio della situazione interiore dei personaggi, la difficile conciliazione tra sentimento amoroso e spirito guerriero. Cliges e Lancelot, le avventure dell'amore. É l'amore che genera avventure: accanto al Tristan di Thomas, questi due romanzi sono i prototipi di una serie di storie in cui tutto ciò che accade sembra sembra in funzione del fatale rapporto che lega i protagonisti. Nel Lancelot la storia d'amore adultera è l'esteorizzazione del conflitto fra una concezione ragionevole e una folle dell'amore. Il grande amore sarà rappresentato come una passione che fa perdere il senso della realtà. Il Cliges, risposta polemica alla leggenda tristaniana, ne controbatte l'assunto fondamentale esibendo una marcatissima mimesi tematica: la vicenda dei genitori di Cliges sembra voler sottolineare le naturali originarie virtù del protagonista. Nel Lancelot il punto di partenza è il rapimento della moglie di un capo (materia di Bretagna): gli sviluppi della vicenda ignorano la figura del marito della rapita; chi si incarica alla sua liberazione è l'amante, ossia Lancillotto. L'eroe libererà non solo la regina ma tutti i sudditi di Artù in una sorta di speculazione filosofica sugli effetti sociali di un perfetto rapporto amoroso cortese. Chrétien anticipando i poeti stilnovisti, per esaltare il valore sacrale del

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sentimento usa un linguaggio religioso, costruendo un rapporto divinizzato. Percevla, l'avventura e il senso del mondo. Chrètien utilizza l'ironia per entrare nel terreno della ricerca del senso del mondo e dell'esistenza individuale. Perceval è guidato da puro istinto che lo conduce in una quete apparentemente fine a se stessa; egli si sforza di mettere a frutto gli insegnamenti morali e cortesi che li vengono forniti. Spesso però il protagonista inciampa in erronee interpretazioni che scatenano buffe reazioni e situazioni. Sono le situazioni oggettive in contrasto con quelle del protagonista a essere messi in rilievo dall'ironia di Chrétienemblema dell'ambiguità del reale e delle contraddizioni dei comportamenti umani diventa il Graal, custodito dal Re Pescatore, cugino di Perceval. Percival si rivela non all'altezza del suo compito, soprattutto a causa della sua timidezza. Ci troviamo davanti a un antico mito celtico dell'abbondanza connesso al sacramento eucaristico. Il Graal e la Lancia-che-sanguina, segneranno la rovina del regno arturiano. La quete di Galvano è la vera protagonista della seconda parte del romanzo, ma è destinata a fallire. Viene da chiedersi perché Chrétien manifesti tanti e gravi dubbi sulla crisi del modello cortese che fino al Lancelot sembra sostenere. Con i suoi romanzi Chrétien diventa il modello con cui fare i conti tanto in ambito tematico-strutturale, quanto nella resa dei caratteri dei personaggi, quanto a livello stilistico.

AVVENTURE, AMORE, EDIFICAZIONE (1180 - 1210) Poco dopo il 1180 Alexandre de Bernai compone il più ampio e famoso dei romanzi su Alessandro Magno, in dodecasyllabe cesurato denominato successivamente alessandrino. Il Roman d'Alexandre mantiene una fisionomia ben definita, evitando di appiattirsi sui modelli narrativi vincenti di tipo cortese-arturiano, si modella su uno stile abbastanza vicino a quello epico con una certa tendenza didattico-morale. Alexandre de Bernai sembra concepire la propria opera come una sorta di speculum principis, di manuale di educazione al potere per i signori feudali e gli stessi monarchi contemporanei. Si recupera il gusto per il meraviglioso esotico, caratteristico dei romanzi antichi, sconfinando nel mitologico e nel fantascientifico. Importante è Partonopeu de Blois per la sua presenza di registri stilistici e di maniere letterarie; il quadro della narrazione è costutito da una storia d'amore tipicamente cortese, con lontani ricordi classici. Un ruolo fondamentale nelle vicende amorose tra Partonopeu e Melior, principessa greca, lo svolge l'intersecarsi di moduli espressivi. Un modulo storico-genealogico, in quanto Partonopeu è nipote di Clodoevo antico re di Francia; un modulo epico nella descrizione degli assedi e delle battaglie; un modulo lirico poiché vengono rappresentati gli stati d'animo degli innamorati. Per la prima volta la vera biografia di uno scrittore fa irruzione nella trama della sua opera. La presenza della voce narrante non serve semplicemente a commentare e invitare il pubblico a giudicare o capire i comportamenti; essa cerca di creare una perfetta interazione fra il piano reale e il piano fizionale: l'autore afferma di scrivere per divertire la propria dama e anzi di essere pronto ad abbreviare o allungare la trama a suo piacimento. Come succedera anche con il Bel Inconnu di Renault de Beaujev, per la prima volta i romanzieri medievali hanno vera coscienza della loro natura fittizia della loro produzione. Gli ancestral romances Il Guillaume d'Angleterre, che si è creduto per lungo tempo di poter assegnare a Chrétien de Troyes, è l'esempio migliore di romanzo d'antenati. È un genere che si sviluppa nell'Inghilterra Normanna a partire dalla fine del XII sec. Questi romanzi rispondono all'esigenza di legittimazione propria di dinastie feudali di recente origine. Il Guillaume d'Angleterre narra, a vantaggio della famiglia dei Lovell, le peripezie di un leggendario re Guglielmo, il quale, privato del regno, viene diviso dalla moglie e i figli, Lovel e Marin; dopo una serie di vicende che vedono il protagonista nei panni di un mercante, Guglielmo riuscirà a riconquistare il regno e riunirsi con i suoi cari. I registri sono quelli dell'avventuroso-cavalleresco e dell'edificante. Robert de Borom, nella sua trilogia del Graal, appare evidente la sua intenzione di compiere un vasto intervento di interpretazione/riscrittura dell'enigmatica leggenda in chiave mistico-religiosa. Robert collega la storia del Graal alla leggenda relativa a Giuseppe d'Arimatea, venutasi formando dai Vangeli apocrifi. Robert non si è basato sul romanzo di Chrétien, poiché ignora completamente la lancia-che-sanguina. La trilogia si pone come una grande e coerente storia della Salvezza, il cui

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emblema è costituito dal Graal, simbolo della Redenzione. Robert lo identifica con la scodella usata da Gesù nell'ultima cena, nella quale Giuseppe avrebbe raccolto il sangue del Salvatore ai piedi della croce. Il protagonista del secondo romanzo è Merlino, una figura che appartiene alla più antica tradizione bretone arricchito con una matrice biblico-apocalittica. Quella di Robert de Boron è una versione cristiana del mito del Graal, a differenza di quella celtica di Chrétien.

TRADIZIONE E INNOVAZIONE (PRIMA METÀ XII SEC.) Ai primi anni del Duecento si datano i più antichi tentativi di portare a compimento il Perceval di Chrétien de Troyes: la Continuation Gauvain, focalizzata sulle avventure del nipote di Artù. Vi è inoltre la Continuation Perceval. I romanzi arturiani in versi si potrebbero raggruppare sulla base di un'opposizione noto/nuovo. Molti di questi testi narrano gesta di personaggi che la tradizione romanzesca aveva portato in grande celebrità, come Galvano e Perceval. In altre opere i protagonisti sono degli sconosciuti, giovani cavalieri in cerca di notorietà, spesso effimera e dura giusto “lo spazio di un romanzo”. Quelli che narrano le gesta di personaggi noti sono costituiti da una sequenza più o meno ampia di avventure giustapponibili all'infinito. Nei romanzi che hanno a protagonista un personaggio privo di pedigree letterario, troviamo avventure di carattere non molto diverso da quelle che entrano in gioco nell'altro gruppo di testi orientate in una dimensione di prova conclusiva: tipica fisionomia del racconto biografico. Esempio di quest'ultimo tipo di romanzo è il Meraugis de Portlesguez di Raoul de Huodenc, dal ritmo incalzante senza monotonia. Il Jaufré, un o dei pochi romanzi provenzali giuntoci fino a noi, testimonia il rinvigorirsi di quei legami con la narrativa della Francia settentrionale sicuramente esistenti già in epoca anteriore: già dalla metà del XII secolo la materia di Bretagna circolava ampiamente nell'area occitano-catalana. Il Jaufré esibisce i suoi prestiti da Chrétien e si costruisce sulla falsariga del Perceval. Il romanzo provenzale importa il suo recupero a un intento scherzoso e per certi tratti parodistico: ritmo indiavolato delle avventure, personaggi esagerati quasi caricaturali, non si vuole far prendere troppo sul serio la vicenda narrata. La via della prosa La letteratura francese dei primi decenni del XIII secolo ha compiuto un ultimo grande sforzo per rivalutare la materia di Bretagna: l'uso della prosa ai fini letterari. La sua prima utilizzazione volgare nelle cronache della IV crociata di Clari e di Villehardouin. La strutturazione dei romanzi che costituiscono la Vulgate denuncia le intenzioni storiche e simboliche di chi ha progettato il grande edificio in prosa. Rigorosissima la cronologia della narrazione, dalla remissione del Santo Graal nelle mani di Giuseppe d'Arimatea agli ultimi giorni del regno arturiano; sconfitto dai sassoni alleati con il traditore Mordret. Gli stessi protagonisti sembrano pervasi dall'ansia di affidare ai posteri il ricordo di tutto quanto è accaduto. Emergono due grandi temi simbolici: “cavalleria terrestre”, con Lancillotto e Ginevra, e “cavalleria celeste”, che si condensa nella quete del Graal. Il testo è pervaso da anticipazioni e rievocazioni. Vi è l'intento di connettere i due grandi temi dell'amore cortese e del Graal attraverso la figura di un cavaliere che già la tradizione arturiana precedente aveva ritenuto degno della massima considerazione: Lancillotto, a quest'ultimo spetta il supremo onore della conquista del santo veissel. Sarà l'adulterio con Ginevra a renderlo indegno di tale compito che verrà affidato al figlio Galaad, provvidenzialmente generato dalla sorella del Perceval. Si saldano assieme un'enorme massa di materiali in origine affatto estranei gli uni agli altri. La Mort Artu, non è quindi provocata solo da Mordret e i sassoni, bensì favorita dalle lacerazioni provocate nella compagine arturiana dalla scoperta dell'adulterio della regina con colui che era apparso agli occhi di tutti la più perfetta incarnazione della prodezza, della fedeltà e della cortesia. La tecnica dell'entrelacement è usata per accordare le infinite vicende che si susseguono nel corso della narrazione; si moltiplicano i personaggi e le situazioni di peripezie. Tutto serve per dare la misura della complessità del reale e dell'animo umano; per rappresentare un mondo tentato dal profano e dal divino. Il Tristan e il Guiron sono gli altri due grandi romanzi di questo periodo, ma non presentao le complicazioni del progetto della Vulgate. La novità del Tristan risiede nella nomina a cavaliere della Tavola Rotonda di Tristano. Sono avventur fine a se stesse, non inserite in alcun disegno

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compositivo di ampia portata. Siamo di fronte a un gusto per il romanzo a incastro, sono sequenze di racconti autonomi inseriti in una cornice narrativa. Spirito laico e gusto per una narrazione copiosa caratterizzano anche il Guiron le Courtois, preistoria della cavalleria bretone. I protagonisti sono i genitori di Artù, Uter, di Tristano, Meliadus e di Perceval, Pellinor. I due romanzi diventeranno i modelli delle più tarde compilazioni romanzesche di materia bretone. La corrente realista Tra XII e XIII secolo il romanzo compie un indiscusso salto qualitativo: è Jean Renart il primo a scegliere programmaticamente di rappresentare situazioni e personaggi contraddistinti dal marchio inconfondibile della vertità. Si continua però ad usare il verso e non la prosa, almeno per tutto il Duecento, gli spunti narrativi da cui le narrazioni realiste prendono il via non sono storici. Essi sono collegabili a quella riserva di materiali folklorico-tradizionali normalmente utilizzata dagli autori di lais. Nei romanzi realisti emerge il senso della perfetta calibratura dell'intreccio, caratteristica di ogni novella e quindi prova dello spunto dalla tradizione narrativa breve per questo tipo di romanzo. Di contro agli schemi barocchi, spesso goffamente ripetitivi, tipici delle trame dei romanzi cavallereschi. Pur con intrecci elaborati non mancano cluchés caratteristici del romanzo arturiano, come anche si ritrovano elementi tipici nella tecnica narrativa. Ciò che crea novità in questo gruppo di romanzi è l'atmosfera e le sfumature. Gli oggetti delle ampie descrizioni sono sempre reali, viene bandita qualsiasi immagine di fantasia; mostrando attenzioni per i tratti più pittoreschi della vita di tutti i giorni. Tutto viene ricontestualizzato in chiave realistico-contemporanea. Ambientazioni, oggetti e personaggi sono rigorosamente reali. I protagonisti hanno spesso agganci con la storia contemporanea, come nel caso dell'imperatore Corrado. Siamo lontani dagli ancestral romances, vi è il gusto per le tristi storie di personaggi d'alto rango momentaneamente umiliati dal destino. Si descrive con minuzia il mondo degli artigiani, sfatando la visione mitica delle chanson de toile. Jean Renart inaugura un espediente destinato a grande successo: l'incastonatura di testi lirici nel tessuto narrativo. Corrado, nipote di Eleonora d'Aquitania e discendente del duca-trovatore Guglielmo IX, si trova sempre circondato da giullari che si esibiscono in canti sempre perfettamente adeguati allo stato d'animo del signore.

GALANTERIE CONTEMPORANEE E CAVALLERIA MITICA (1250-1350) I romanzi dell'amore trobadorico Joufroi de Poitiers, Castelain de Coucy e Flamenca sono gli unici romanzi a mettere in scena tipiche situazioni erotiche alluse da trovatori e trovieri. I protagonisti dei primi due sono connessi esplicitamente col mondo della lirica cortese. Il primo, Joufroi conte di Poitiers, disinvolto e libertino adombra Guglielmo IX d'Aquitania, l'ingannatore di dame; il secondo è quel Gui, conte di Coucy, morto durante la IV crociata di cui resta il canzoniere. I personaggi di Flamenca dimostrano di aver l'eloquenza trobadorica. Si fa largo uso della tecnica dell'inserto lirico nella narrazione. Nel caso del Castelain i frammenti citati appartengono al canzoniere del poeta protagonista. Tutt'e tre i romanzi presentano un modello narrativo analogo: gli stratagemmi di un cavaliere per godere delle grazie della propria dama nonostante il controllo geloso del marito. Il tema viene iterato più volte, con un crescendo di astuti stratagemmi da parte dell'amante e di sospettosità da parte del marito. Polarizzando su un singolo eroe una struttura narrativa à tiroirs dal tono comico si mettono le basi per la formazione del romanzo picaresco. Si associa a questo tipo di romanzo anche il Wistasse le Moine, romanzo del XIII secolo a mezza strada fra epopea, romanzo, cronaca storica e fabliau. Flamenca spicca per la sua superiorità artistica, soprattutto per mettere a frutto le fonti narrative e la recente tradizione erotico-allegorica settentrionale (Roman de la Rose) e per l'indagine sulle motivazioni psicologiche che muovono i personaggi. Spicca inoltre la descrizione precisa e acuta del quadro in cui agiscono i personaggi facendo di Flamenca il primo vero romanzo d'ambiente della letteratura medievale. La linea cavalleresco-didattica castigliana Tra XIII e XIV secolo nella penisola iberica l'esperienza romanzesca si sviluppa in una prosa di materia bretone, con componenti sia didattico-moralistiche che enciclopediche. Ciò si spiega poiché

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i primi esperimenti iberici di scrittura romanzesca sono da associare alla tecnica letteraria dei chierici. Libro de Apolonio e Libro de Alexandre seguono la poetica oraziana: istituire dilettando. Nell'Apolonio prevalgono gli insegnamenti di carattere morale; nel Libro de Alexandre vengono accentuati i tratti didattico-esemplari ed enciclopedici: si lodano le qualità di condottiero e di esploratore del conquistatore macedone, ma si intravede l'ombra del castigo divino per troppe superbe aspirazioni nella sua precoce morte. Intenti moralistici e didattico-enciclopedici sono anche alla base del primo romanzo della letteratura castigliana, il Caballero Zifar. L'intreccio avventuroso delle vicende di Zifar, nella prima parte, e del figlio Roboan, nella seconda, si interrompe di continuo per digressioni didattiche e racconti di carattere agiografico o favoloso e perfino riassunti di romanzi arturiani come l'Yvain. La conquista dell'elevato status sociale è da conseguirsi grazie al comportamento moralmente ineccepibile. Il Caballero Zifar sembra quindi proporsi come una sorta di guida per la piccola nobiltà iberica, ansiosa di sfruttare a proprio vantaggio le grandi possibilità di arricchimento aperte dall'ultima fase della Reconquista. Il retaggio arturiano Il momento della più massiccia diffusione fuori dai confini francesi della materia di Bretagna coincide con la fase della quasi totale assenza di creatività. L'unica nota originale è il Blandin de Cornualha: un usuale racconto di avventure cavalleresche in sequenza che in parte svolge il motivo folklorico della Bella Addormentata. Nella regione iberica le traduzione dei romanzi francesi dilagano e si protraggono sino a metà del Cinquecento. Mai il romanzo cavalleresco ha tanto influito sui costumi della piccola e grande nobiltà come nel momento della sua decadenza. Il Perceforest, è l'immensa storia-genealogia romanzesca, della cavalleria, dai tempi di Alessandro a quelli di Artù.

CENT'ANNI DI SOPRAVVIVENZA (1350-1470)

Gli ultimi fuochi arturiani Nel secondo cinquantennio del Trecento si riaffaccia una foga arturiana. Vi è sia un recupero di fantasioso divertissement, come nella Faula di Guillem de Torroella, dove si vede Artù in un palazzo sotterraneo nell'Etna ospite della sorella Morgana; sia un recupero nostalgico come appare nel romanzo di Froissart, canonica storia d'amore tra Meliador e Hermondine nei primi anni del regno di Artù. Si mette in risalto la perfezione dei loro comportamenti in qualsiasi circostanza; emerge il pessimismo circa la possibilità di veder ancora incarnati nella realtà simili modelli ideali. Vi è dunque nel Meliador una doppia nostalgia: per il lontano mondo arturiano ma anche per l'Inghilterra cortese del regno di Edoardo III e della regina Philippa di Hainaut, protettrice di Froissart, morta nel 1369. La Guerra dei Cent'anni e le vicende drammatiche ad essa collegate distruggono qualsiasi vano sogno di restaurazione di una cortesia arturiana. La vita vera non è più in grado di gareggiare col romanzo. Froissart si rifugia in un mito astratto che si appaga di sé senza cercare nessun rapporto con il reale. Va sottolineato che in Spagna i temi arturiani sembrano mantenersi più vitali che altrove e il recupero di modelli narrativi bretoni non rimane circoscritto all'ambito specifico dei romanzi cavallereschi, ma può coinvolgere anche prodotti di tutt'altra materia o genere, come accade nell'Estoria de dos amadores di Juan Rodriguez del Padron. L'irruzione del mondo attuale Nell'ultima fase del romanzo medievale l'idealità cavalleresca si ricopre di panni realistici con espliciti riferimenti a fatti e personaggi contemporanei, esibendo una propensione per le situazioni economiche. Pur essendo il primo un Buldiroman cavalleresco, l'altro un romanzo idillico-cavalleresco e il terzo un romanzo storico-biografico, Petit Jehan de Saintré, Curial e Guelfa e Tirant lo Blanche sono storie di cavalieri che si muovono alla conquista della gloria e dell'amore in un mondo che è esattamente quello della metà del XV secolo. Vi è la presenza massiccia della storia. Un elemento che accomuna tutt'e tre i testi è la presenza di un vivace umorismo, che sconfina spesso nella vera e propria comicità, la si usa come meccanismo per rivelare le ambiguità del reale, come dialettico controcanto rispetto a quella tendenza astrattizzzante e idealizzante della scrittura

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romanzesca medievale. La modalità comica assurge a mezzo per fissare sulla pagina letteraria la complessità del mondo. Questi testi inoltre rappresentano il massimo di sperimentazione dialogica. Sono gli ultimi romanzi medievali e i primi romanzi moderni... niente separa il romanzo medievale da quello moderno: esiste solo il continuo fluire e trasformarsi di un genere che ha saputo rinnovare nei secoli tutta la sua vitalità.

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IL RACCONTO

LA NARRATIO BREVIS

La lirica è distinta dalla narrativa, all'interno di quest'ultima produzione le canzoni di gesta hanno una tradizione propria, così come è indipendente la trasmissione dei romanzi cortesi, mentre troviamo riuniti insieme componimenti brevi di ogni sorta: exempla e fabliaux, lais e legendae, fables e dits, ecc. Vi sono vere antologie manoscritte come il narratif bref: il profano confina col religioso, il serio col comico, il morale con l'osceno, la poesia con la prosa, ecc. Tutto sulla base del comun denominatore: la brevitas. Tutti i testi sono accomunati dalla stessa tipologia retorica della narratio brevis. La brevitas è un elemento funzionale a formalizzare il testo: in senso storico, in quanto detta le regole compositive, e in senso tassonomico, in quanto consente di riconoscere e catalogare i testi così ottenuti. Il testo narrativo può costruirsi secondo tre modalità fondamentali variamente connesse fra di loro.

1) La narratio aperta – mira al massimo di comprensibilità riguardo a ciò che si racconta, annuncia un fatto reale. Importante è l'ordo naturalis, lo sviluppo temporale dei fatti. Lo scopo è quello di docere facendo un uso limitato dell'ornatus.

2) La narratio probabilis – aspira all'ottenimento della persuasione, vuole convincere il pubblico del fatto narrato, che può essere reale o fittizio. Lo scopo è quello di movere, di giocare sul lato emotivo dell'udienza, creando la persuasione per mezzo dell'ornatus.

3) La narratio brevis – si oppone alla narratio aperta, mira all'estrema concisione, all'ideale della percursio o alla semplice allusione. La sua comprensione è immediata e non dilazionata nel tempo. Si diversifica dalla narratio probabilis poiché raramente è verosimile. Il suo scopo risiede nel delectare e non moralistico.

La brevitas non è soltanto un fatto misurabile, una quantità, ma anche una durata interiore, una qualità. Nella sua articolazione si aggiunge una misura psicologica. Il tempo del racconto è vissuto come esperienza intima che tende a sintetizzare il tutto nel suo pointe finale. Direttamente collegata alla brevitas troviamo la linearità: l'azione narrativa segue una progressione lineare nel senso che la fine esaurisce tutte le potenzialità narrative. Niente si pone al di là del racconto. La fine si pone come sbocco assoluto e non lascia niente di irrisolto. La delectatio è l'aspirazione principale della narratio brevis, diventa sempre più quella del divertire, di intrattenere il pubblico, allontanandolo dalle preoccupazioni. Per ottenere l'effetto di delectatio occorre utilizzare l'ornato retorico e l'ordo artificialis. La vanitas: la veritas della narrazione si identifica alla fine con l'atto stesso di raccontare. Il senso tende a coincidere sempre più con le parole stesse che servono all'affabulazione e non sono dettate da intenti morali o religiosi. Il senso è sempre univoco e concreto, chiaramente indicato e facilmente estraibile dal testo. Dal diverso utilizzo di questi elementi si distinguono l'uno dall'altro i vari generi della narrativa. I generi narrativi che stiamo trattando sono posti sotto il segno della marginalità; a prova di ciò è la tradizione manoscritta poco prestigiosa e talvolta frammentaria, la scarsissima attenzione che ricevono nei trattati di retorica e il fatto che si affidano all'esecuzione estemporanea di menestrelli e giullari. I rimaneggiamenti e gli adattamenti a cui essa ha dato luogo nel corso del suo sviluppo sono un segno evidente della polivalenza culturale e della vitalità della narrativa dei generi brevi. Alla luce di questa osservazione si constata che la novella è il punto di approdo di questo processo di elaborazione e rinnovamento della narratio brevis romanza.

IL RACCONTO IN FRANCIA

Il racconto agiografico L'avvento della tradizione narrativa in volgare nel nord della Francia è posto sotto il segno dell'agiografia. Questa direzione iniziale è importante in quanto da una parte la chanson de geste e dall'altra il roman saranno fortemente influenzati dal modello agiografico. A designare il racconto

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agiografico è prassi servirsi del termine legenda, col quale si vuole indicare si la passio del martire sia i miracula (le prove di santità) sia la translatio. Legenda sintetizza il tradizionale trittico di vita, morte e miracoli. Occorre operare una distinzione fondamentale tra passiones e vitae sanctorum. L'Imitatio Christi si può verificare in due modi: il santo imita la morte di Cristo, e abbiamo la passio; imita la sua attività didascalica, e abbiamo la vitae sanctorum. Nel primo caso si ha una netta contrapposizione fra storia terrena e storia divina, che trova nel sacrificio della croce la sua risoluzione finale. Nel secondo caso si ha un iter formativo che porta alla graduale scoperta dei valori celesti e al conseguente abbandono delle cure mondane. Il cristianesimo si è già affermato, se all'inizio il santo è un guerriero che combatte sino alla morte per l'affermazione dei valori cristiani (S.Giorgio), ora la funzione fondamentale del santo è quella di stabilire un pattern di comportamento degno di essere imitato. Il santo è coinvolto direttamente nel processo di conversio umana dal peccato alla grazia e deve essere una guida da imitare, come lo è Cristo. Un sottotipo delle Vitae Sanctorum possono essere considerate le Vitae Patrum. Gli eroi di queste narrazioni sono gli anacoreti, quegli uomini e quelle donne che a partire dal III secolo cominciarono ad abitare i deserti dell'Egitto, della Siria e della Palestina, per poter sfuggire ai pericoli della vita mondana. Nella vita eremita il santo ingaggia una lotta spietata da una parte il corpo, che viene umiliato, e dall'altra con il diavolo, le cui apparizioni rappresentano la tentazione quotidiana di tentazioni da superare. Il primo autore latino a trattare queste avventure spirituali è san Girolamo e lui stesso si recò nel deserto di Calcide in Siria per sconfiggere in sé l'homo vetus ciceroniano. Il miraculum, prima di costituirsi genere narrativo, forma la documentazione necessaria sulla quale il processo di canonizzazione può essere avviato. Il miraculum assume funzioni diverse: inserito nella passio tende a dimostrare dove risiede la verità; associato alla vita esso ha lo scopo di rivelare il livello di eccezionalità nel servizio divino raggiunto dal santo. Il significato del miraculum presenta una serie di esempi per mezzo dei quali si edifica l'anima del cristiano in rapporto a qualche punto dottrinale fondamentale, come la realtà della comunione. Il miraculum illustra dunque un mistero della fede cristiana. A partire dall'XI secolo in Inghilterra e in Francia cominciano ad apparire le collezioni di Miracula Beatae Virginis. I leggendari costituiscono il patrimonio agiografico cristiano redatto nelle grandi abazie. Costruiti in base a principi tassonomici rigorosi: ordinamento temporale per circulum anni, quello gerarchico, per cui i santi vengono divisi per categorie. Lo scopo di questi leggendari è quello di storicizzare l'ingente materiale agiografico, e quindi di gerarchizzarne i valori. Si prefissano due obbiettivi: pastorale, in quanto mirano a prefigurarsi come strumento di consultazione per predicatori, e propagandistico spirituale. Spesso anonimi e per questo frutto di manipolazioni continue danno vita nel corso del XIII secolo alle Legendae novae: la loro caratteristica è quella della firma dell'auctor presentandosi come libri veri e propri, opere organiche e omogenee in una prospettiva interpretativa unica. La più importante è la Legena aurea di Iacopo da Varazze. Seguendo i dettami della brevitas, che permette la condensazione del significato e della narrazione, la singola vita, il miraculum particolare, ci appaiono come tessere di un grandioso piano divino di salvazione universale. Il nuovo auctor, chierico o giullare, nel riprendere la tematica legendaria latina, tenta di attualizzarla secondo i gusti del suo uditorio. Per fare ciò deve attrarre la'ttenzione del suo pubblico mediante un racconto recitabile nello spazio di una seduta. Man mano che l'agiografia evolve questo racconto risponde sempre più a esigenze di evasione letteraria. A questo punto la legenda viene a congiungersi alle altre forme profane della narratio brevis, come il fabliau e il lai, preannunciando la nuova forma narrativa della novella. L'opposizione passio/vita caratterizza la produzione agiografica in lingua d'oil. Il metro è il distico di actosyllabes a rima baciata. Il meraviglioso religioso entra in concorrenza con il meraviglioso profano. Trovano spazio anche le altre forme agiografiche latine: la Vitae Patrum e il miraculum, caratteristica di questi generi è il passarsi l'un l'altro i materiali narrativi. L'azione dei miracles può essere ricondotta secondo il seguente schema:

1) il protagonista commette un peccato2) intervento salvifico della Vergine contro le forze del male3) ufficiale riconoscimento della realtà del miracolo e pubblico rafforzamento della fede

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Emerge subito la differenza fondamentale del miracle rispetto agli altri generi: l'imperfezione del protagonista, il quale è un peccatore quindi più immediata identificazione con il pubblico. L'intervento soprannaturale diventa meno prevedibile e scontato; il miracle mostra da questo tratto la sua propensione ad offrirsi come puro divertimento narrativo, a presentarsi come una sorta di fiabesco religioso. I Vies des Peres, racconti agiografici ispirati alle Vitae Patrum, si caratterizzano per il loro schema fisso che include un prologo dottrinale, narrazione vera e propria e un epilogo moralistico; essi sono dunque inquadrati in una struttura ancora pedagogica. Il racconto esemplare Il racconto agiografico si compone dunque di facta (vita, morte e miracoli) e di dicta (sentenze) eccezionali. Le raccolte di exempla possono essere dunque considerate come delle grandi enciclopedie di consultazione per situazioni analoghe a quelle sottintese nel racconto esemplare. Dall'imitatio della vita intera del santo, che è a sua volta imitatio Christi, si passa all'imitatio particellare della santità, in funzione di guida nel comportamento dell'uomo in itinere, ancora coinvolto nell'esperienza terrena. L'accesso all'exemplum avviene sempre collettivamente e pubblicamente tramite l'amoelia e la predica. La ragione storica del revival dell'exemplum sta nell'ascesa degli ordini mendicanti, dei francescani e dei domenicani; la cui occupazione principale è la predicazione della parola di Cristo al popolo nella lingua del popolo. L'attività predicatoria in volgare dà vita all'exemplum rendendolo una forma narrativa attuale; il fatto che fosse affidata all'oralità determina la perdita quasi totale per noi di questo genere. Le reportationes sono le registrazioni della viva voce del predicatore ma sono solitamente in latino. Solo verso la fine del XIV appaiono reportationes in volgare. Possiamo tentare di far affiorare la veste linguistica e la coloritura stilistico-retorica aiutandoci con i sermoni mescidati, scritti cioè in una lingua ibrida fra il latino e il volgare, di gran moda nel XIV secolo. Gli studi di Jacques Le Goff sull'exemplum portano a considerare quest'ultimo come un genere crrefour, non solo perché esso media vari livelli culturali e sociali, elitari e popolari, ma anche perché ci offre l'immagine completa della cultura medievale. Un'idea su quella che poteva essere la performance orale di una predica è possibile farcela attraverso lo studio delle Artes praedicandi. Umberto di Romans, dell'ordine domenicano, ha colto l'essenza e il significato dell'exemplum medievale; il quale avverte che non tutti dovrebbero servirsi di exempla nelle loro prediche se non sono impossesso dell'ars narrandi (centrale nel progetto di indottrinamento religioso). Gli exempla vanno rivolti ai minoris intelligentiae e non ai altae sapientiae. I tratti distintivi dell'exemplum sono : a) Auctoritas: la fonte delle informazioni deve essere autorevole (Umberto fornisce una classificazione di tali fonti depositarie dell'assoluta verità. b) Brevitas: il racconto dev'essere breve e funzionale ad un insegnamento dottrinale. c) Veritas: il racconto dev'essere dato come veridico; l'exemplum deve approdare alla persuasione sulle verità ultime della fede → il sensus dev'essere univoco. d) Delectatio: bisogna intercalare gli exempla, come in un convivio si alternano i vassoi di cibo; è l'alternanza degli exempla che genera il piacere dell'uditorio eliminando la monotonia della catachesi. Dal punto di vista strutturale due elementi sono fondamentali nella costruzione degli exempla:

1) la narratio si deve riferire a un fatto o un detto memorabile accaduto a un uomo degno di essere imitato

2) il sensus sviluppa la lezione che si estrae dalla narratio a conclusione o anche a introduzione del racconto; nelle raccolte esso manca e questo elemento è affidato all'interpretazione personale del predicatore. Il sensus da spirituale si trasforma in mondano e artistico: si finisce per ricercare solo la bella parola: processo di letterizzazione dell'exemplim e la sua evoluzione verso una forma narrativa vuota come la novella. Il verbum acquista coscienza della sua validità artistica e della sua autonoma capacità di attirare l'attenzione → l'exemplum viene sempre meno raccontato per insegnare e sempre più per intrattenere.

Conseguentemente all'evoluzione del sensus si allargano le fonti su cui l'exemplum poggia, la fonte scritta si trova ad affrontare la concorrenza di quella orale e l'auctoritas libresca viene soppiantata dall'auctoritas folklorica. La distinzione fra exemplum (racconto universale) e aneddoto (racconto personale) viene abolita.

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Collezioni importanti sono: i Sermones vulgares di Iacopo di Vitry; Stefano Borbone ci ha lasciato la collezione più ricca di exempla (2900) con il suo Tractatus de diversis materiis praedicabilibus; in ambiente francescano si producono raccolte in ordine alfabetico in un indice generale della materia trattato, esponenti sono ad esempio i Liber ezemplorum ad usum praedicantium. All'inizio del XIV secolo Arnoldo di Liegi scrive la collezione di exempla più diffusa nel medioevo l'Alphabetum narrationum; la grande novità risiede nei rimandi incrociati: lo stesso exemplum può essere segnalato in più rubriche a seconda dei suoi usi possibili. Le Goff afferma che l'exemplum perde l'univocità di applicazione e può dunque essere sottoposto a interpretazioni molteplici. Durante il XIV secolo emergono le raccolte di exempla con la presenza dell'interpretazione esplicita del rapporto → le raccolte passano nelle nelle mani di lettori generici, incapaci di raccogliere il significato profondo di ciò che hanno davanti. Si ricordano le Narrationes di Odo di Cheriton; i Gesta Romanorum composti in Inghilterra verso il 1340, dove la moralisatio prevale sulla narratio. Il Lai Il Lai è la prima realizzazione profana della narrativa breve antico-francese. Il termine lai proviene dal celtico e significa canto: una composizione musicale eseguita con l'arpa o la viola. Come il fabliau si compone di distici di actosyllabes a rima baciata; la sua estensione varia da un centinaio di versi a poco più di mille. Prodotto meno prestigioso e impegnato del roman, ma più elegante e raffinato del fabliau, la sua diffusione e ricezione fu molto ristretta e la sua esistenza brevissima (tra fine del XII e fine del XIII). Il nome con il quale il lai oitanico si identifica è quello di Marie de France, nella quale dobbiamo leggere l'essenza della femminilità cristiana in rapporto con la piena attuazione della translatio studii (dalla Grecia e Roma alla Francia). Documento fondamentale per comprendere il valore ideologico e il significato culturale del lai è il Prologo che l'autrice ha premesso alla sua raccolta. Con la citazione della parabola evangelica dei talenti, Maria afferma la sua volontà di iscriversi al canone degli auctores: la sua poesia deve diventare fonte di autorità. Maria si trova a dover scegliere fra due modelli di scrittura: da un lato una estoire (trasporre dal altino alla lingua volgare le opere degli auctores), che rifiuta in quanto troppo comune e non risponde al bisogno di novità del pubblico; dall'altro l'opzione di rimare il contenuto dei lais, i predecessori bretoni che lei aveva scoltato. Vi sono tre tappe del processo formativo del Lai:

1) all'origine risiede l'aventure, l'evento straordinario e meraviglioso vissuto da un personaggio d'eccezione, come un cavaliere, che ne è anche l'unico testimone essendosi svolto in un luogo remoto e incessibile, come una foresta. Il protagonista torna alla corta e racconta l'evento di cui è stato protagonista.

2) La reazione immediata degli ascoltatori alla narrazione del chevalier si traduce nel bisogno di serbarne memoria e affidarla a menestrelli e giullari. Questa elaborazione giullaresca non è sempre chiara (esposizione narrativa o esecuzione musicale ecc...) non sappiamo se questi lais circolassero solo oralmente o esistesse una redazione scritta.

3) La reazione artistica mediata e riflessa che noi leggiamo nel livre ordinato da Maria. Se in teoria i poemetti di Maria non siano veramente da chiamare lais e si dovrebbero designare come contes (racconti), nella realtà sono proprio i lais di Maria gli autentici rappresentanti del genere, poiché riescono ad unire insieme la perfetta musicalità della materia e del ritmo con la profonda verità del commento in un unico processo di scrittura totale.

Maria è dunque colei che ha dato al lai una forma artistica, ma cosa fa dei Lais una raccolta organica, piuttosto che una semplice collezione di testi sparsi:

a) L'argomento Bretone è il tratto più appariscente a livello di contenuto; al centro di questa realtà geografica c'è la corte arturiana. Dalla corte provengono i modelli di comportamento sociale e spirituale ai quali si ispirano i protagonisti delle storie, finendo per coinvolgere psicologicamente l'ascoltatore/lettore. L'elemento di distinzione rispetto al romanzo di ambientazione bretone/arturiana sta nella scelta del personaggio: il lai predilige gli eroi secondari, non solo cavalieri ma anche dame, spesso solitari ed emarginati. Il lai punta l'attenzione su aspetti individualistici molto più rispetto che il romanzo.

b) Tema fondamentale è l'amore, la forza propulsiva del racconto: capace di imprimere il

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movimento a tutti i personaggi e di far iniziare e terminare ogni azione narrativa. La problematica d'amore è presente nella sua complessa fenomenologia e vi riceve, volta a volta, una soluzione definitiva e vincolante. Il Lais impone un approfondimento all'ideologia dell'eros cortese, svelando una geografia dell'anima rimasta fino ad allora sconosciuta. Il tratto più originale è l'analisi dell'amore femminile: è la dama stessa che prende l'iniziativa, che si rende protagonista di una ricerca esistenziale.

c) L'amore serve da vettore l'avventura: consente all'eroe e all'eroina di attraversare lo spazio e di riempire il tempo che li separano dalla loro completa affermazione e identificazione. L'avventura raccontata nel lai non ha nessun carattere cosmico, essa è limitata e personale, non aspira alla risoluzione di grandi conflitti storici ma dei piccoli contrasti intimi e psicologici. L'eroe deve dimostrarsi distaccato dai valori immanenti e pronto a ricevere quelli trascendenti. Nel lai realtà e magia si sovrappongono, vediamo irrompere l'elemento fantastico nel bel mezzo del paesaggio più abituale e dell'avvenimento più banale.

d) L'elemento unificatore dei Lais è l'utilizzo della Brevitas. Il titolo è la parola-nucleo che tiene racchiusa dentro di se la verità stessa della narrazione.

Il Lai scritto da Maria preannuncia tendenze che verrano riprese nei lais successivi e che porteranno alla formazione di nuovi generi letterari come il fabliau e il dit. Possiamo distinguere tre gruppi principali di lais dopo l'esempio di Maria: lais che cercano di riproporre la materia e lo spirito di Maria, lais realistici e borghesi e infine lais parodici e burleschi. L'ironia e la parodia sono le principali tecniche letterarie per rinnovare la materia narrativa, per rendere il prodotto più appetibile a un pubblico sempre più diversificato socialmente e culturalmente smaliziato. Vengono parodizzati i grandi topoi della letteratura cortese, ad esempio l'armamento a cavaliere fornisce l'occasione per una descrizione non epica ma eroicomica del personaggio. Assimilabili ai lai sono anche i tre racconti ispirati alle Metamorfosi: Piramus et Tisbé, Narcissus e Philomena composti verso la fine del XII secolo. Si ispirano alla fonte scritta per eccellenza della poesia amorosa, Ovidio. Uno dei capolavori della narrativa breve oitanica è una novella cortese in versi: La Chastelaine de Vergi; la storia può essere considerata un mosaico di topoi caratteristici del lai, ma è importante notare con che spirito diverso questi topoi sono trattati. Vige la legge del segreto imposto agli amanti, la quale norma è però qui una semplice legge del galateo amoroso. Vi è l'opposizione fra il mondo cortese degli amanti perfetti e la realtà banale dei non -cortesi, l'appartenenza a uno o all'altro gruppo è determinata però solo dalla conoscenza o dall'ignoranza delle regole del gioco cortese. Il fabliau In alcuni lai la tematica amorosa e l'avventura cavalleresca vengono trattate ironicamente o parodicamente. A questi lai burleschi, contemporanei dei primi fabliaux, qualcuno ha voluto attribuire il ruolo di coscienti strumenti di polemica ideologica e retorica nei confronti del vecchio genere e iniziatori di un nuovo genere: il fabliau. Per indagare sull'origine del fabliaux torna utile analizzare il componimento Des trois Chevaliers et del chainse (tunica speciale) di Jacques de Baisieux. Se l'articolazione del racconto ripete chiaramente lo schema narrativo del lai, l'atteggiamento provocatorio col quale esso si chiude, o meglio non si chiude, poiché la sua verità non è enunciata dall'autore, come nel lai, ma è mediata dagli ascoltatori/lettori e aperta a soluzioni anche poco canoniche, questo richiama allo spirito del fabliau. Il testo presente più chiavi di lettura: una cortese e seria, l'altro anticortese e comica. Il fabliau si afferma nella sua alterità programmatica rispetto al lai; da un lato vuole proporci l'immagine deformata del mondo della cortesia, dall'altro si impegna a completare la descrizione della realtà storica del tempo, tentando di rappresentare quelle classi sociali che non avevano fino ad allora avuto diritto di cittadinanza nella repubblica delle lettere. Si vuole dunque descrivere gli strati sociali più bassi mediante lo stile comico. Il primo tipo di riscrittura parodica del lai si verifica quando a un personaggio nobile vengono attribuite azioni e qualità che non si convengono al suo stato; viceversa quando un personaggio di una classe sociale umile pretende con le parole, ma non con i fatti, di frasi passare per nobile. Anche il roman può servire da base per il fabliaux in due modi: o riducendo la sua trama complessa a poche situazioni di base, ad esempio il triangolo

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erotico, oppure segmentando in nuclei narrativi indipendenti, procedendo ad una lettura episodica del testo. Nel primo caso il villano e il borghese prendono il posto del re, detentori di un potere che è solo economico e di un bene che è solo materiale. La donna è il serbatoio di tutti i vizi e la metafora della totale disponibilità sessuale. Il terzo elemento del triangolo, quello che costituisce il cavaliere, è il prete o il clericus (lo studente universitario): la loro queste è unicamente sessuale, azionata dai più bassi appetiti. Il secondo caso si rifà ai lais come quelli delle Folies Tristan, ad esempio l'incontro notturno di Tristano e Isotta nel giardino presso la fontana, incontro che viene spiato dal re Marco appollaiato su un pino. Il racconto passando dal romanzo al fabliau si riduce alla sua pura e semplice dimensione letterale, al gioco della trama e dell'intreccio capriccioso degli eventi il tutto con un abbassamento stilistico. La critica insiste anche sulla presenza di una filigrana classica che dalla fabula milesiaca arrica alla cosiddetta commedia elegiaca fiorita in Francia nel corso del XII secolo. Dal motivo della Matrona di Efeso, ad esempio, è ricavato l'argomento di un fabliau intitolato Celle qui se fist foutre sur la fosse de son mari, già dal titolo vi è la volontà di reductio della narrazione alla sua articolazione esterna e alla sua componente oscena. Il fabliau è strettamente legato anche con il genere dalla fabula esopica. Il termine fabliau è da collegare con il terine fabula non tanto come genere storico ma come tipo astratto di narrazione. Un elemento retorico ci consente di avvicinare la favola animalesca al fabliau: l'uso della parola non per conoscere la realtà ma per manipolarla, con una differenza di fondo: nel fabliau viene celebrrata la capacità che i dicta hanno di creare una realtà autre, più vera di quella storica. Importante è anche la grande epopea con i personaggi animaleschi; il Roman de Renart presenta molti punti di contatto con il fabliau. Anche dal punto di vista tecnico retorico condividono lo stesso progetto di riscrittura parodica delle forme narrative alte caratteristico del fabliau. Renart, la volpe protagonista, riesce a vincere tutti i nemici e uscire da tutte le situazioni grazie alla sua astuzia, cioè la manipolazione della realtà attraverso il mezzo linguistico. Proprio questa esaltazione della parola rende il Roman de Renart il parente più prossimo del fabliau. Per delimitare il campo semantico del terine fabliau occorre rifarsi agli autori medievali. Accanto a fabliau e fables (variante flessionale) compaiono i seguenti termini: Conte e aventure: essi indicano la materia narrativa; Conte e fabliau coincidono quando il giullare racconta un'avventura vissuta di persona. Fable allude al fablel (diminutivo di fabula) che si pone di non essere né vera né verosimile; programmaticamente rifiuta ogni ricerca della verità storica e esistenziale, presentandosi come pura fictio narrativa che trova nel racconto la sua unica motivazione. Proverbe e exemple tirano in ballo la questione della moralisatio, del significato didascalico o morale che si può estrarre dal racconto: un proverbio, una verità comune e immanente che nulla a che fare col trascendente. Dit presenta un caso inverso, in quanto questo termine sembra entrare in opposizione con fabliau per la pretesa veridicità del suo contenuto narrativo. L'elemento che indica subito l'appartenenza del fabliau all'area del racconto è la Brevitas. Tutti i fabliaux hanno un'estensione inferiore ai 1200 versi, la maggioranza è tra i 50 e i 300 versi. Il fabliau elabora un solo nucleo diegetico, una sola avventura. La narratio si incarica di sviluppare completamente, suddividendolo in principio, mezzo e fine, l'evento. Non rimane nulla di inspiegato prima e dopo il racconto. Il senso della narrazione coincide con l'intreccio, col piacere di raccontare. Tutti i fabliaux tramandatici sono composti in distici di octosyllabes a rima baciata, stesso metro di tutta la grande produzione oitanica. Il fabliau si distingue dalla letteratura cortese (roman e lai) e da quella didattico-religiosa (legenda e exemplum) per l'assoluta mancanza nel suo discorso di una finalità allegorica o di una significazione simbolica. L'originalità del fabliau sta quindi nel proporre una materia narrativa nuova, afferente al quotidiano che non è mai stata trattata prima d'allora e non perché propone un'interpretazione più profonda dell'evento storico. Il fabliau diventa quindi alla pari delle moderne nouvelles. All'evento straordinario e meraviglioso emerge la predilezione per la realtà del presente; così come la ricerca di uno spazio vicino e preciso, piuttosto che indefinito e lontano.

IL RACCONTO IN PROVENZA Novas, plurale femminile sostantivato dell'aggettivo nou col significato di notizie e quindi

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racconto che porta fatti nuovi, è il termine tecnico con cui si designa tale produzione. Ci rimangono quattro esemplari di questo genere: tre di Raimon Vidal de Bezalù e uno di Arnaut Carcassés. Elementi tipici del genere sono i seguenti:

a) Presenza della dimensione personale nella narrazione: l'io dell'autore serve ad autentificare il fatto raccontato, che viene così presentato come testimonianza diretta. La modalità del coinvolgimento dell'autore fa avvicinare questo genere sempre più a quello della novella, poiché sigilla il racconto nell'unica prospettiva della scrittura personale.

b) Evocazione dell'epoca gloriosa della fioritura trobadorica: si oppone alla decadenza attuale la grandezza di una volta, contemporaneamente essa serve a proiettare sul presente le luci del passato e ad ordinare al livello di scrittura il movimento caotico del reale.

Il poeta in possesso dell'eredità culturale trobadorica è colui che può risolvere i problemi del presente. Spesso l'autore racconta una storia che ha sentito raccontare da un giullare alla corte di un grande mecenate del passato. La storia tratta spesso della corte stessa, di personaggi riconoscibili all'interno di essa, mentre la sua morale assume un valore determinante per l'innalzamento spirituale dell'intera civiltà. Il tutto in un sistema di vedute sconosciuta al fabliau. Le vidas e le razos La tradizione occitanica arricchisce la narratio brevis di due generi nuovi la vida e la razo, le quali adoperano la scelta stilistica della prosa, il racconto non ha più bisogno di indossare una veste metrica perché gli venga riconosciuto valore artistico. Ci rimangono un centinaio di vidas e altrettante razos. Il centro di irradiazione di questa produzione sembra essere stato il settentrione dell'Italia, presso le cui corti rifiorì la civiltà trobadorica dopo la dispersione causata dalla crociata contro gli albigesi. Si riserva ai trovatori lo stesso trattamento destinato agli auctores classici. I modi di narrazione delle vidas e dei razos si oppongono: la vida precede l'intera raccolta di componimenti lirici di un trovatore, esprimendo un giudizio globale; le razos si affiancano ai singoli componimenti di cui vogliono indicare l'occasione storica e l'etimo narrativo. Vi è comunque un confine labile e vige l'indeterminazione del genere. Le vidas e le razos possono essere considerate le proiezioni dell'io lirico nello spazio dell'egli narrativo; del presente nel tempo del passato, inseriscono in una storia, articolata in principio mezzo e fine, il fondo sentimentale senza tempo, l'amor, dell'esperienza poetica dei trovatori. Sviluppano narrativamente le metafore del discorso lirico storicizzando il figurale. La vida si struttura nei seguenti elementi: a) prologo – è il uogo della descriptio, si fissano le coordinate storiche, geografiche e socioculturali, si forniscono le generalità esterne e interne del trovatore; b) narratio – si identifica il valore storico e poetico del trovatore all'interno dell'intera civiltà trobadorica (formula ricorrente: amò la Dama x e perciò cantò, compose poesie), emerge una crisi esistenziale dovuta alla lontananza dalla Donna amata; c) Epilogo – si descrive la fine dell'amore che comporta la fine della poesia. Il termine razo compare già nella lirica dei trovatori, dove vale “argomento, materia, soggetto del canto”, traduce la motivazione profonda del trobar. La razo si compone di quattro movimenti narrativi ripetuti, a loro volta articolati in una doppia sequenza (a e b contro c e d), racchiusi fra una breve premessa e una ancor più breve conclusione. A1) richiesta del pazer d'amor rifiutato dalla donna. A2) una castellana domanda al protagonista perché egli rimanga al servizio di colei che rifiuta il suo amore, la castellana lo informa che lei è pronta ad offrirgli il plazer d'amor. B1) Il protagonista chiede congedo dalla sua donna, quest'ultima disperata promette di dargli il plazer d'amor ma è il protagonista che sta volta rifiuta. B2) Torna dalla castellana, quest'ultima lo accusa di essere il plus fals hom del mon e non darà il suo plazer, poiché potrebbe subire lo stesso trattamento. C1) Rigaut ritenta dalla prima donna inutilmente, come Tristano abbandona tutto e si rifugia in un bosco, dopo due anni una delegazione di cavalieri lo prega di ritorna alla corte; egli tornerà se la sua donna lo perdonerà. C2) La donna si mostra pronta a perdonarlo, solo se cento donne e cento cavalieri amanti verranno a implorare la sua misericordia. D1) Rigaut alla notizia compone la canzone Atresssi com l'olifanz dove invita tutti gli amanti a implorare pietà per lui. D2) le donne e i cavalieri chiedono mercé per il poeta. Vi è la vittoria dell'amore ma soprattutto il trionfo della parola.

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IL RACCONTO NELLA PENISOLA IBERICA Il racconto ispanico si mostra tributario dei modi e delle tecniche affermatisi nei vicini contesti culturali, occitanico e soprattutto oitanico. Vi è inoltre una penetrazione dei materiali narrativi provenienti dall'Oriente, dei quali la Spagna è stata la porta per l'Europa. L'incontro tra la raffinatezza romanza e la ricchezza tematica araba ed ebraica fa si che il racconto ispanico acquisti presto piena maturità. La prima affermazione della narratio brevis è di ispirazione agiografica, sotto l'influenza della cultura oitanica, ad esempio la Vida de Santa Maria Egipciaca. La tradizione agiografica castigliana sscopre la figura di un autentico poeta: Gonzalo de Berceo, il metro delle sue composizioni diventerà fondamentale per la narrativa castigliana: la quartina di alessandrini monorimi; del poeta si ricorda la Vida del Santo Domingo de Silos, con evidente gusto del racconto, con sottile vena ironica che ne attenua il valore documentaristico, spostando l'attenzione dal contenuto verso la forma. Importante è anche la serie di 25 Milagros de Nuestra Senora, dove l'ars narrandi è più abile e controllata e il discorso ironico si fa più raffinato e sottile. Ma ciò che interessa di più a Berceo è il lato spettacolare del miracolo della Vergine, il punto in cui divino e umano si incontrano, provocando un contrasto tra livelli ideologici e stilistici, dal quale si sprigiona l'ironia, e quindi il divertimento. Le raccolte di racconti in cornice La Spagna costituisce il tramite più importante della trasmigrazione europea dei racconti orientali in cornice, come ad esempio la Disciplina clericalis, Castigliana è la versione del Libro di Sinbad condotta sul testo arabo verso la metà del XIII secolo, con spiccato tono misogino e d'ispirazione fabliolistica. Anche il Calida e Dimna viene tradotto dall'arabo nell'ambiente della corte di Alfonso X, si tratta dell'opera più complessa del gruppo. Due elementi caratterizzano questa produzione letteraria: l'uso della prosa e il ricorso alla cornice. Il gusto narrativo emerge come l'obbiettivo primario dell'opera. La cornice esprime la presenza di una dimensione autoriale, rende esplicito il processo di letterarizzazione al quale l'autore sottopone il patrimonio narrativo ereditato dal passato. La cornice è essa stessa un racconto: si tratta della storia portante nella quale si innestano altre storie. I racconti sono subordinati alla cornice, vengono scelti in funzione di essa, e orientati verso un tipo di persuasione retorica che mira alla veritas concreta del racconto. L'interpretazione dei racconti sono quindi condizionate dalla cornice. Il tempo della storia principale, il thema (presente), si oppone al tempo delle storie secondarie, cioè delle digresssiones (passato). Il Conde Lucanor Juan Manuel, nipote di Alfonso X, è colui che rinnova questa tradizione narrativa con il suo Conde Lucanor, uno dei vertici massimi della narrativa breve romanza. Il maestro Patronio elargisce il suo insegnamento su argomenti afferenti alle problematiche umane, presentategli dal suo discepolo, il conte Lucanor. Si ricorre all'uso di storie esemplari: la parola che indica la veritas degli aspetti del reale studiati è il racconto. Il racconto si costituisce sulla dissolvenza incrociata di tempo psicologico e tempo fisiologico, che riduce la realtà all'abile gioco prospettico dell'intreccio e alla straordinaria forza dell'inventio letteraria. Il racconto è ormai l'obbiettivo verso il quale converge il prisma della cangiante realtà umana. Il libro de buen amor Rappresenta la summa delle tematiche narrative romanze: dall'agiografia al romanzo, dall'exemplum al fabliau, dal racconto folklorico alla comedia mediolatina. Juan Ruiz, autore dell'opera, si pone come obbiettivo unico quello dell'auctor e il lettore viene informato che si trova davanti a un libro e non ad una raccolta di testi sparsi. La composizione è volutamente irregolare. Vi è l'intento di effetto parodico: Ruiz svolge il suo discorso narrativo sopra un altro discorso precedente, di cui ne stravolge il significato. Il filo dell'autobiografia è il collante che tiene insieme le varie narrazioni ed esse vengono interpretate tenendo presente l'insieme della vita del protagonista. I diversi generi della narrativa diventano con Ruiz scintillanti varietà tematiche e stilistiche. Da questo punto di vista il Libro de buen amor può essere considerato l'antenato del Decameron. Il racconto fuori Castiglia Alfonso X è lui stessso un poeta che scrive in galego-portoghese (tradizione lirico musicale). La

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sua raccolta di Cantigas de Santa Maria costituisce uno dei capolavori della letteratura portoghese medievale. I miracoli alfonsini completano con quelli di Gautier e quelli di Berceo il trittico dei classici del genere. La composizione e lo stile del miracolo alfonsino presenta caratteristiche loro proprie, si mostrano più rispettose dei modelli latine e rivelano un travaglio artistico molto più avanzato e una ricerca stilistica molto più cosciente. Il racconto in lingua catalana si afferma tardi rispetto alle altre aree romanze.

LA CODIFICAZIONE DELLA NOVELLA La novella è il genere letterario facente parte dell'universo semiotico della narratio brevis medievale di cui porta a perfezionamento le qualità caratteristiche e definitorie. Le storie raccontate che affondano le loro radici nella comune eredità classica, mediolatina e romanza, è tradotta in scrittura unica e irripetibile dell'auctor (Boccaccio ad esempio); la narratio brevis raggiunge la sua fissazione scritta e la sua misura classica, la novella è diventata il segno invariante del rinnovamento di un'intera tradizione, i cui tratti caratteristici sono :

a) La brevitas – è la cornice a fissare i limiti del racconto, a indicare con assoluta precisione il tempo e lo spazio dentro i quali le novelle vanno raccontate. Il tempo del racconto viene a coincidere con quello dell'ascolto, e la comunicazione letteraria ruota su se stessa.

b) La linearità del racconto, cioè la singola novella, trova il suo sbocco nella circolarità dell'opera. Contrariamente agli altri generi brevi, la novella ha un passato e la fine ha un futuro: i personaggi e la storia assumono spessore storico e psicologico.

c) Importante è il principio della delecto: l'intrattenimento immediato, il piacere di raccontare e sentire.

d) La veritas è esclusivamente artistica: l'inventio si risolve nell'eloqutio, la novella trova il suo significato nelle parole che la realizzano linguisticamente. Non c'è nessun altro senso imposto alla narrazione a priori dall'autore o a posteriori dai lettori. Si allude a una pratica libera e disinteressata del racconto.

Tutti questi aspetti si ritrovano nel Decameron di Boccaccio, opera simbolo della novella. L'estrazione del senso coincide col testo stesso.

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IL TEATRO

LE ORIGINI DEL TEATRO MEDIEVALE: IL DRAMMA LITURGICO La tradizione drammaturgica di ascendenza greca era già spenta a Roma in età imperiale. Il teatro diventa performance gestuale, le tragedie di Seneca sono scritte per la lettura, non per la messa in scena, il pubblico preferisce le emozioni violente dei gladiatori o la triviale comicità del mimo. La polemica dei Padri contro questi spettacoli è durissima: la scena è il luogo della corruzione. Agostino osservava con felicità che i teatri cadevano a pezzi. Non esiste quindi nessuna continuità fra il teatro antico e quello dell'età media. Il teatro medievale parte da zero, o meglio dalle radici sacre e liturgiche dell'esperienza drammatica. Il rito religioso implica di per sé una componente spettacolare. Un'analisi approfondita dei testi dimostra che ogni impulso verso la forma teatro non è il frutto estemporaneo di una fatalità quasi biologica ma un intervento esterno consapevolmente innovativo. Leon Gautier indica nel Quem quaeritis, breve dialogo tra gli angeli e le pie donne inserito nell'ufficio di Pasqua, l'embrione del dramma sacro. La tecnica compositiva è quella dei tropi (versetti uniti ad altri canti liturgici). Le parole sono aggiunte sia rispetto al testo evangelico sia rispetto al conciso resposoriale gregoriano. Secondo Drumbl il Quem quaeritis apparteneva non alla messa, ma all'ufficio del Mattutino. Fu quindi ideato come cerimonia autonoma, non come tropo, e proprio tale relativa autonomia consentì sia il trasferimento ad altri spazi liturgici sia modifiche funzionali alle varie tradizioni in cui quella cerimonia estranea veniva introdotta. Due tratti del Quem Quaeritis appaiono fondamentali per i futuri sviluppi teatrali: anzitutto la trasformazione dello spazio che si attua nel momento in cui l'altar maggiore acquista l'inusuale valore simbolico di Sepolcro, in secondo luogo il realismo linguistico, la normalità colloquiale di frasi non marcate dai caratteri tipici del canto religioso a ulteriore conferma di una posizione eccentrica nei confronti della liturgia. Emerge l'impronta di una cultura elitaria, elaborata nell'ambito delle scholae benedettine.

GLI ESORDI DEL VOLGARE: LO “SPONSUS” Quella del Ludus Danielis non è la prima apparizione del volgare all'interno del dramma liturgico, un'estesa farcitura si trova già in un testo più antico quale lo Sponsus, o Dramma delle Vergini prudenti e delle Vergini stolte. Il tratto formale più interessante è il bilinguismo. Sotto il profilo tematico due sono le novità rispetto alla fonte scritturale (la parabola nel Vangelo di Matteo, 25, 1-13): la prima comparsa in scena dei diavoli e il debutto teatrale dei mercanti, figura ripresa dal venditore di aromi nei drammi del ciclo pasquale. Il personaggio assumerà presto fisionomia e atteggiamenti comico-grotteschi.

TEATRO E GENERI NELL'AREA ROMANZA Il teatro portoghese nasce col grande Gil Vicente agli albori del Cinquecento; scarseggiano le testimonianze volgari in Catalogna, dove la diffusione dei tropi avevano prodotto una fioritura di rappresentazioni liturgiche. In area castigliana sarà alla fine del Quattrocento con Gomez Manrique e Juan Encina che il teatro fiorirà ed sarà per mano di Encina che germinerà il singolarissimo capolavoro dell'umanesimo laico che è la Celestina. Don Gomez Manrique nel suo Representacion del nacimiento de Nuestro Senor (1476 – 1481) si ispira all'Officium pastorum, con soluzioni innovative: incastonamento del tema della passione in un dramma natalizio; introdotto da prima come premonizione della Vergine e poi ripreso quando gli angeli presentano al bambin Gesù gli strumenti del suo futuro martirio. Emergono tratti quasi blasfemi nei dubbi di Giuseppe in merito alla gravidanza di Maria. Importante è il ruolo dei conventi francescani per lo sviluppo della sacra rappresentazione; l'interesse per la tradizione melico-popolaresca resterà un dato costante nel teatro iberico, da Gil Vicente a Lope de Vega. Per la produzione catalana, del Misteri d'Elx sul tema mariano dell'Assunzione, tuttora allestito con imponenti apparati scenografici, il 14 e 15 Agosto di ogni anno, nella cittadina eponima Elche, presso Alicante e tradizionalmente citato come sopravvivenza del teatro medievale catalano. Della fine del Duecento si segnala un prodotto di sacra rappresentazione iil Cant de la Sibil che presenta in catalano il più esteso tra i monologhi dei

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personaggi chiamati al vaticinio. Il trecentesco Mascaron viene con ragione definito un testo non teatrale e presenta un contrasto fra la Vergine e il diavolo Mascaron, mentre a Dio spetta il ruolo del giudice. Siamo nella disputatio di tradizione scolastica che simula un processo (Bonvesin de la Riva). L'avvicinamento a una comunicazione di stampo teatrale si riscontra già nell'antica poesia occitanica. Il vers di Guglielmo IX esibisce tratti quasi di atto unico di argomento tribunalesco, di umoroso. Le coblas tensonadas (strofe dialogate) di Peire Rogier sono esempio della tecnica che ritroveremo nei sonetti angioliereschi imperniati sulle fulminee scaramucce verbali. Accenti di vero e proprio mimo giullaresco emergono nel contrasto Domna, tant vos ai preiada di Raimbaut de Vaqueiras, nella comica dissonanza tra l'aulicità del trovatore e l'irruenza popolaresca della locale Dulcinea imprecante genovese. Tra i generi dialogici un ruolo di primo piano come modello su cui si fonda il teatro spetta alla pastorella, la cui struttura portante è costituita dal nucleo drammatico: la schermaglia amebea tra fanciulla e cavaliere. Non è un caso che all'inventore della pastorella, Marcabru, si deve anche il più antico dialogo poetico in lingua d'oc. La data di nascita ufficiale del teatro spagnolo è la notte di natale del 1492: Encina irrompe a sorpresa nelle vesti del pastore Juan in una sala del palazzo dei duchi d'Alba. Una scena analoga si svolge alla corte di Portogallo dieci anni dopo, ove Gil Vicente esordisce nelle vesti di un villico saiaghese. Tratti mimici e giullareschi emergono in Italia per il contrasto più antico e famoso, Rosa fresca aulentissima di Cielo d'Alcamo. L'osmosi tra lirica e teatro assume un rilievo particolare in Italia dove l'antecedente diretto della sacra rappresentazione in volgare è la lauda costruita sullo schema metrico della canzone a ballo profana e non il dramma semiliturgico latino; un'attestazione isolata di quest'ultimo è la pregevola Passione di Montecassino che si conclude con il planctus di Maria.

IL PRIMATO FRANCESE: IL “JEU D'ADAM” Il primato francese non è solo cronologico ma anche quantitativo e qualitativo. Il più antico dramma in volgare è il Jeu d'Adam, testo anglonormanno della metà del XII secolo, in octosyllabes e decasyllabes epici. Mette in scena il peccato di Adamo ed Eva, il delitto di Caino e la sfilata dei profeti desunta, con qualche variante, dall'Ordo Prophetarum: personaggi come Abramo e Mosé declamano in latino le profezie che annunciano la venuta del Redentore. La lunga parte lirica sui Quindici segni del Giudizio finale è in genere ritenuta un'addizione: l'ignoto rimaneggiatore, accortosi di una lacuna, decide di aggiungere un brano che, illustrando le tremende conseguenze del peccato, fungesse da deterrente; in tal modo la morale aggiunta per mascherare una lacuna avrebbe profondamente alterato il senso del dramma. Il Jeu d'Adam, pur restando legato alla liturgia, di fatto assume funzione e significato autonomi, manifestamente non cerimoniali ma catechetici. Siamo in presenza di una novità determinante: per la prima volta si instaura un rapporto diretto col pubblico. Le minuziose didascalie latine enunciano regole di recitazione (gestualità, pronuncia e costumi). Le informazioni più importanti riguardano gli spazi scenici. Auerbach presenta il dialogo che si svolge tra Adamo ed Eva poco prima del peccato come uno dei primi campioni di realismo nella letteratura europea. La mescolanza degli stili non si limita all'humilitas e alla sublimitas.

SVILUPPI PROFANI DEL TEATRO RELIGIOSO Il rapporto con la liturgia si dissolve nel primo miracolo drammatico francese, il Jeu de Saint Nicolas di Jean Bodel, che è anche la prima opera firmata del teatro occidentale in volgare. Il tema è agiografico, non scritturale; la firma è quella di un professionista. Il troviero artesiano (Arras), pur inscrivendosi nella tradizione dei ludi scholares, è percorso da un intreccio polifonico di stili e di linguaggi. Il tema dell'icona miracolosa s'intreccia col motivo della crociata. La vicenda ha inizio con l'invasione dell'armata cristiana nei territori del re d'Africa. I saraceni respingono l'assalto e fanno strage dei cristiani; l'unico superstite è un anziano che viene scoperto pregare di fronte a un altare in onore di San Nicola e viene portato al cospetto del re d'Africa. Il re lancia la sfida: metterà le sue ricchezze sotto la protezione del nicolai, senz'altra custodia, ma se mancherà qualcosa pagherà con la vita. Il tesoro viene rubato, l'anziano sta per essere giustiziato, quando san Nicola, invocato dal suo devoto, provvederà al miracolo. Il tesoro torna prodigiosamente al suo posto e più

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grande di quello che era stato sottratto, di conseguenza il re pagano si converte al cristianesimo. Questo testo che mescola comico con sublime, il meraviglioso degli interventi soprannaturali con le meschinità della vita quotidiana, è insieme dramma sacro e commedia, come ha ben riconosciuto Albert Henry. In prossimità di Jean Bodel si situa il Courtois d'Arras che trasferisce la parabola del figliuol prodigo nei tempi e nei luoghi dell'autore: un anacronismo che consente allusioni a personaggi locali e un immediato coinvolgimento del pubblico. Benché il testo sia quasi per intero dialogato, la presenza di didascalie in versi inserite nel dettato poetico ha indotto a ritenerlo un monologo giullaresco piuttosto che un dramma vero e proprio. Vi è anche l'ipotesi che si tratti di una rappresentazione con attori e voce recitante. Ritorna il tema della taverna e del vino; con la novità, rispetto Bodel, della comparsa di personaggi femminili, due sgualdrine che, fatto ubriacare uno sprovveduto giovanotto, si dilegueranno lasciandogli il conto salatissimo da pagare. Cpurtois s'improvvisa guardiano di porci, che lo convincerà a riprendere la strada di casa. Da citare il Miracle de Theophile di Rutebeuf, sul tema che sarà del Faust; il soggetto non è invenzione del giullare parigino ma dà per la prima volta forma drammatica a una leggenda d'origine greca.

IL TEATRO RELIGIOSO IN OCCITANIA Tratti di realismo spiccano nel Mistero provenzale di sant'Agnese, un testo di notevole interesse per la ricca polimetria e per gli inserti lirici accompagnati da melodie originariamente appartenenti a testi molto più antichi. La presenza del buffo messaggero Rabat che corre da un interlocutore all'altro è certo motivata da un intento scherzoso. Emerge anche la grezza quotidianità nel dialogo tra il figlio del prefetto di Roma e la santa tredicenne che rifiuta le avance del giovanotto in quanto consacrata a Cristo.

ESORDI DEL TEATRO PROFANO L'elemento profano penetrato nella drammaturgia religiosa fin dalle origini, vi resterà saldamente insediato fino alla Controriforma, ossia fino alla scomparsa del genere. I nuovi contesti economico-sociali incentivano esperienze teatrali diverse dalla matrice sacra. Il primo testo teatrale integralmente laico è il Jeu de la Feuillée di Adam de la Halle, il quale ha un'intuizione geniale, il trasferimento sulla scena di due tra i generi più in voga: il congé nella Feuillée e la pastorella nel Jeu de Robin et de Marion, rappresentato a Napoli alla corte di Carlo I d'Angiò. Tracce di Jean Bodel sono evidenti nelle opere letterarie di Adam, nel fitto reticolato di parodie e allusioni letterarie. Il Jeu de la Feuilée è un opera che la critica ha sottolineato la sua ambiguità, sembra sfuggire ad ogni classificazione; unicum dove satira e comicità coesistono senza delineare un significato preciso. Di volta in volta il jus Adam è stato interpretato come psicodramma a tinte fosche, come espressione di conflitti sociali nel titolo stesso: la feuillée era una piccola cappella, coperta da un pergolato, dove si custodivano le reliquie della Vergine, patrona dei giullari. L'esordio recupera il tema del congé: Adam saluta gli amici, annunciando il proposito di lasciare la città e la moglie per riprendere gli studi a Parigi. Il padre rifiuta di sborsare il denaro per il mantenimento dell'aspirante chierico. L'avarizia è una malattia da cui nessuno è immune ad Arras. Sul versante femminile il degrado sembra ancora peggiore: ovunque spuntano megere diaboliche, commerci sospetti con entità contigue al mondo infernale. Proprio queste ultime (Morgana) sono attese nella notte di san Giovanni. Morgana irata per la mancanza di un coltello nella tavola imbandita in suo onore incomincia a scagliare profezie minacciose: Adam non andrà mai a Parigi. Gli altri personaggi finiscono nell'immancabile taverna, da cui usciranno all'alba. Dame Douce è una vecchia vistosamente incinta, siamo di fronte a una forma di grottesco molto caratteristica; due sono le interpretazioni: è la morte gravida o la morte che dà la vita. La vita è mostrata nel suo processo ambivalente, intrinsecamente contraddittorio. Per i suoi concittadini l'Adam della Feuillée nutre solo disprezzo; può trattarsi ddi un'espulsione ritualizzata e catartica di veleni quotidiani, tanto che si parla di anti-congé. Vi è una sorta di messaggio sarcastico per la detestata Arras: nessun san Nicola, nessuna Vergine Maria farà miracoli per una città amorale e corrotta, che merita solo gli

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antimiracoli. Il Jeu de la Feuillée è comunque un concentrato delle esperienze teatrali del XIII secolo, è un po' la matrice del teatro comico medievale. Oltre alla farsa si affermano nel XV secolo altri generi profani: la sottie (parodia e satira), il sermon joyeux, la moralité.

FASTI E TRAMONTO DEL TEATRO RELIGIOSO Il successo del teatro profano non frena lo sviluppo del teatro religioso. La raccolta di quaranta Miracles de Nostre Dame par personnages (Parigi 1339 – 1382) testimonia la vitalità del genere inaugurato da Rutebeuf. Un altro grande filone è quello della Passione di Cristo, che trae ispirazione dai poemi narrativi: derivano dalla Passion des jongleurs (Passione dei giullari). Non sono identificate le fonti dell'occitanica Passion Didot (1345) che mostra scarse affinità con le Passioni drammatiche francesi, la quale racchiude la leggenda di Giuda: la vita del discepolo traditore ricalca all'inizio la storia di Mosè ma si trasforma poi nella tragedia di Edipo, un antieroe. La tradizione delle Passioni continua fino alle rappresentazioni del tardo Quattrocento. La coesistenza pacifica tra teatro religioso e profano durerà sino ai radicali mutamenti indotti da Riforma e Controriforma: la promiscuità dei due filoni rissulterà blasfema.

UN CASO ANOMALO: LA “CELESTINA” La lunga assenza iberica e la scarsa produzione sono improvvisamente riscattate da un capolavoro anomalo ed enigmatico: la Celestina. Segna una frattura con i tradizionali modelli cortigiano-cavallereschi e un mutamento profondo nella concezione dei personaggi. Le strofe poste al principio del primo libro sono coplas acrostiche, e le prime lettere formano una frase cui si ricava il nome dell'autore: Fernando de Rojas, un ebreo convertito che svolse attività da giudice a Talavera de la Reina dove morì nel 1541. Il titolo di Comedia iscrive l'opera nell'ambito del genere della commedia elegiaca medievale. Gli eventi sono scarsi e prevedibili, la rovina finale dei protagonisti è già adombrata nella dichiarazione d'intenti che precede l'argomento; l'autore precisa d'aver composto la Comedia affinché sia da monito a quei pazzi innamorati che delle loro amanti fanno un dio e metterli in guardia dagli inganni di ruffiane e servi infidi. L'azione procede lenta e priva di colpi di scena, le battute si dilatano a dismisura, folte di allusioni filosofiche o letterarie. Il linguaggio della Celestina si apre al realismo delle imprecazioni e dei proverbi popolari. Il conflitto è motore di tutti gli eventi, la stessa esistenza umana è una battaglia senza requie. Dallo stereotipo si passa all'introspezione, creando una molteplicità di punti di vista che prelude, attraverso Cervantes, il romanzo moderno. La tragicommedia di Rojas, autentico best-seller del Cinquecento, ha lasciato echi anche nella commedia italiana del Rinascimento.

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LA LETTERATURA ALLEGORICA E DIDATTICA

L'ALLEGORIA MEDIEVALE

La distinzione moderna tra simbolo e allegoria Lo studio della letteratura allegorica medievale è stato per molto tempo condizionato da definizioni arbitrarie dell'allegoria che risalgono al romanticismo e poco ha a che fare con la teoria medievale. La identificazione, esposta da Goethe, del simbolo con il poetico, e più in particolare con la poesia romantica, conduce a una svalutazione dell'allegoria, vista come un procedimento freddo e astratto, estraneo alla creazione artistica (Hegel). Huzinga, grande studio dell'allegorismo medievale come Lewis o Auerbach, spiega: l'allegoria è simbolismo proiettato verso l'immaginazione superficiale, è l'espressione intenzionale, e con ciò anche lo svuotamento del simbolo, la riduzione di un grido appassionato ad una frase grammaticalmente corretta. Però nel medioevo l'allegoria non s'identificava con la personificazione di idee astratte, ma essa non veniva nemmeno distinta dal concetto di simbolo. Allegoria la si può definire come figura retorica che consiste nel far intendere qualcosa di diverso da ciò che si dice. Il concetto di allegoria raccoglie in se ogni forma di simbolismo. Allegoria pagana e allegoria cristiana L'allegoria cristiana si definisce per opposizione ai principi e ai metodi dell'allegoria pagana. Il filone principale di questa tradizione allegorica è costituito dall'interpretazione in chiave filosofica delle narrazioni mitologiche; il massimo esponente tardo antico di questa tradizione, Macrobio, scrive nei suoi Commentarii in somnium Scipionis che in alcune narrazioni favolose il soggetto si basa su un solido fondo di verità che si manifesta con trovare immaginose. La scienza delle cose sacre viene enunciata sotto il velo dell'allegoria. San Paolo nella Lettera ai Galati scrive che le due mogli di Abramo (una schiava e una donna libera) sono le due alleanze: Agar rappresenta la Gerusalemme attuale, che si trova in stato di schiavitù; Sara è la Gerusalemme celeste, la madre dei cristiani. Compiendo un ulteriore passo si arriva a stabilire che Agar, la Gerusalemme terrestre, la Sinagoga, la Legge data sul Sinai, il Vecchio Testamento; Sara, donna libera, Gerusalemme celeste, la Chiesa, il Nuovo Testamento. Come scrive Auerbach, questa interpretazione tipologica o figurale, implica una conoscenza del significato e dei risultati ultimi della storia umana. Per spiegare il significato di un solo fatto storico, l'interprete deve ricorrere alla proiezione verticale di questo fatto sul piano del disegno provvidenziale. Allegoria in factis e allegoria in verbis L'allegoria puramente è ampiamente usata nella Bibbia (similitudini, immagini poetiche, parabole ecc.). Beda il Venerabile puntualizza che a volte l'allegoria è a volte nei fatti, a volte nelle parole soltanto. A differenza dell'allegoria in factis, che fa di un evento la prefigurazione di un evento successivo, l'allegoria in verbis è solo un'immagine, una metafora, una somiglianza fittizia. Nella tendenza cristiana tende a privilegiare il primo tipo di allegoria che culmina nel pensiero di San Tommaso: infima inter omnes doctrinas, egli definiva così la poesia. Giovanni Scoto, esponente del neoplatonismo cristiano, rivaluta l'allegoria in verbis identificandola al symbolon dionisiano e ricollegandola alla concezione del cosmo come manifestazione di Dio nella quale le realtà superiori si fanno conoscere a noi sotto forma di rivelazione simbolica. L'allegoria diventa il linguaggio proprio dello gnostico; mentre l'allegoria in factis corrisponde a un grado di conoscenza ancora parziale e indiretto. Scotto scrive: come l'arte poetica scrive una dottrina morale o fisica per mezzo di finzioni favolose e di similitudini allegoriche, così la teologia adatta la Sacra Scrittura, per mezzo di immagini fittizie, alla perfetta conoscenza delle realtà tangibili.Il libro della Natura San Paolo insegna: ciò che Dio ha di invisibile si rende visibile all'intelletto attraverso le sue opere. Di qui la metafora corrente del libro della Natura, che divenne un vero e proprio topos a partire dal XII sec. Tutto il mondo sensibile è come un libro scritto dalla mano di Dio, le singole creature sono come figure istituite dalla volontà di Dio. Come un analfabeta quando vede un libro, ne scorge i segni, ma non ne capisce il testo, così l'uomo animale che non capisce le cose divine e

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vede soltanto l'aspetto esteriore, ma non capisce il reale significato. Colui che è spirituale è invece in grado di cogliere la sapienza del Creatore. Vi sono due grandi libri: quello della Scrittura e quello della Natura. San Bonaventura ricorda che dopo il peccato di Adamo, il libro della Natura si è fatto quasi muto e indecifrabile per gli uomini, ai quali non manifesta più in tutto il suo splendore l'onnipotenza di Dio; di qui la necessità di un secondo libro, quello della scrittura, che serve da commento del primo ormai offuscato, che ne deve rivelare i sensi occulti e metaforici restituendo la trasparenza.

I MODELLI LATINI

L'allegorismo tardoantico Negli scrittori cristiani emerge una viva attenzione nei confronti della vita morale, dell'interiorità umana, le cui oscure pulsioni necessitano di una rappresentazione concreta. Uno degli schemi fondamentali della letteratura allegorica medievale è quello della psicomachia. La sua prima realizzazione letteraria è un poema in esametri di Prudenzio, la Psychomachia del V secolo in cui vengono descritti combattimenti fra le virtù e vizi e tutto si conclude con l'edificazione del simbolico tempio dell'anima. La tematica e lo stile del poema sono quelli dell'epica classica e non mancano scene di massacri e violenza. Vi è un duplice livello interpretativo: psicologico e storico; a un primo livello si tratta del conflitto tra vizi e virtù che si combatte dentro di noi, a un secondo livello di quello fra Cristo e Satana, ossia tra fede ed eresia. Di qualche decennio posteriore è il De nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella, di grande fortuna in tutto il Medioevo. È un prosimetro in cui l'illustrazione delle sette arti liberali (grammatica, dialettica, retorico; geometria, aritmetica, astronomia e musica) è inclusa in una cornice allegorica di ispirazione neoplatonica: le nozze celebrate nel Palazzo di Giove tra Mercurio e Philologia. Le nozze rappresentano in realtà l'unione tra sapientia ed eloquentia. Tra i precursori dell'allegorismo medievale va annoverato anche lo scrittore cristiano Boezio, ministro del re Teodorico, e la sua Consolatio Philosophiae (prosimetro in cinque libri). Dopo aver scacciato le Muse che lo circondavano, Filosofia lo conforta affrontando i temi della Fortuna, presentata in forma personificata (II libro), del bene e del male (III e IV libro) e del rapporto fra libero arbitrio e prescienza divina (V libro). Lo scritto appare come un corso di metafisica platonica. I poemi allegorici latini del XII secolo Solo nel XII secolo la scrittura allegorica ricevette nuovo impulso da alcuni poeti-filosofi, come Bernardo Silvestre e Alano di Lilla. Rifacendosi anche sul piano formale a Marziano e Boezio, essi operano una sintesi fra allegorismo filosofico ed esegesi cristiana della Bibbia. Bernardo: l'allegoria è una forma espressiva che in forma di narrazione storica, cela una verità diversa da quella che si comprende esteriormente. L'integumento è una forma espressiva che racchiude una verità comprensibile. L'allegoria riguarda la pagina divina, l'integumento la filosofia. Dante formulerà la differenza tra “allegoria dei teologi” e “allegoria dei poeti”. Opera di rilievo è la Cosmographia di Bernardo Silvestre, il quale scrive anche Commento a Marziano Capella e una spiegazione allegorica dei primi sei libri dell'Eneide. La Cosmographia è divisa in due libri: Megacosmus e Microcosmus. Quelle di Bernardo Silvestre sono delle semplici astrazioni filosofiche, le cui azioni illustrano le fasi del processo cosmogonico. Nei capitoli finali del Macrocosmus il discorso allegorico si vivacizza con la variopinta descrizione delle diverse specie animali, dei fiumi, dei boschi, delle erbe: un quadro paradisiaco che si ritroverà anche in molte allegorie romanze. Importanti sono il De planctu Naturae e l'Anticlaudianus di Alano di Lilla. Il primo presenta finalità essenzialmente morali, si narra di come Natura si lamenti dei vizi umani; più ricca e articolata risulta la struttura allegorica del secondo, ritratto polemico di un campione del male. Si descrive la creazione da parte di Natura di un uomo perfetto e divino in grado di rimediare alla depravazione del genere umano. Le forze infernali scatenano una psicomachia, uno scontro tra Vizi e Virtù, con il quale si conclude il poema. Allegoria famosissima è quella del carro costruito dalle sette arti liberali con il quale Prudenza guidata da Ragione, prima, e Teologia, poi, sale attraverso le

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sfere celesti per chiedere l'aiuto di Dio.

LA LETTERATURA DIDATTICA E ALLEGORICA IN FRANCESE

Ditattica religiosa e profana Non tutta la letteratura didattica francese del Medioevo si riveste di forme allegoriche. A partire dalla metà del XIII secolo incominciano a fiorire anche i manuali di dottrina religiosa, come La lumière as lais di Pierre de Peckham. Sul versante della didattica mondana presentano un notevole interesse le opere che trattano degli stati del mondo: i tre ordini o classi in cui si ripartiva la società secondo uno scema corrente del pensiero politico medievale: quelli che pregano (oratores), quelli che combattono (bellatores), quelli che lavorano (laboratore). Ben presto queste opere assumono un carattere satirico e sempre più cresce la distanza fra realtà effettiva dai modelli. Vi è un'abbondante produzione trattatistica, rivolta a particolari classi o categorie sociali, che intende fornire principi di comportamento e di morale. La trattatistica profana di maggiore interesse è sicuramente quella che affronta la tematica amorosa. Essa si ispira principalmente ai due poemetti teorici di Ovidio (Ars amandi e Remedia amoris) e al maggior trattato medievale in materia, il De Amore di Andrea Cappellano. Le opere più originali sono i trattati sull'amore dello scrittore e scienziato piccardo Richard de Fournival (1201 – 1260). Il Consaus d'amours descrive i vari tipi di amore e viene descritto in particolare quello terreno; il Commens d'amours è un breve manuale di seduzione e conversazione galante.I Bestiari Nel campo della didattica scientifica spiccano i trattati dedicati alla descrizione degli animali, i bestiari. È uno dei generi emblematici della letteratura medievale. La sua origine risale ad un opuscolo greco del II o III secolo, il Fisiologo. La conoscenza della natura nasce in funzione della Bibbia, come viene esposto nel vero e proprio programma di cultura cristiana che il Medioevo ereditò dal De doctrina christiana di sant'Agostino. Il più antico bestiario romanzo è quello in versi del poeta anglonormanno Philippe de Thaon (1121). Importante è il Bestiaire divin di Guillaume le Clerc che contiene numerosi spunti allegorici, notevolmente amplificati rispetto alla fonte (il Fisiologo). In prosa sono redatte le due versioni del Bestiaire di Pierre de Beauvais: la versione breve da 38 capitoli è antecedente rispetto a quella lunga di 71, quest'ultima comprende anche descrizioni di mostri mitologici come Argo e le arpie. Da citare il brillante e raffinato Bestiaire d'amours composto nel 1250 da Richard de Fournival: le nature tradizionali sono sminuzzate e diluite in un discorso vero e autorevole che consiste in una supplica rivolta da un amante non corrisposto alla sua dama. Richard voleva conferire al ragionamento amoroso la solidità di un discorso vero e autorevole. Non si esclude una sottile intenzione parodistica nella proiezione della fenomenologia amorosa bestiale nei confronti dei solenni rituali della fin'amor. Siamo in un clima anticortese come quello che si respira nella seconda parte del Roman de la Rose.Il Roman de Renart Indipendente da quella dei bestiari è la letteratura favolistica che ha come protagonisti gli animali e i cui modelli classici sono Esopo e Fedro. Ad essa appartengono gli Isopet (raccolte). Il capolavoro di questa narrativa è il Roman de Renart, una collezione di racconti in versi (branches) originariamente indipendenti in cui sono narrate le avventure della volpe Renart e di altri animali come il lupo Isengrin, il leone Noble, il gatto Tibert ecc. Le storie sono unite mediante riferimenti intertestuali. Sotto certi aspetti le figure del Roman de Renart si avvicinano al modello della personificazione allegorica. La sua ispirazione è di carattere realistico: esso ci offre una rappresentazione della società e della psicologia umana priva di qualsiasi orpello idealistico. La maschera animale è specchio degli impulsi più radicali e inconfessabili che stanno alla base delle azioni umane: la fame, il sesso, la violenza. Emerge una satira nei confronti delle istituzioni religiose e sociali. Da notare la presenza di parodia di quei generi che avevano sublimato la realtà effettiva come la canzone di gesta e il romanzo cortese. La poesia allegorica I primi esempi di poesia allegorica in francese risalgono alla fine del XII secolo. Le opere più

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antiche sono parafrasi e commento dei testi biblici, come l'Eructavit di Adam de Perseigne o il Cantique de Cantiques di Landri de Waben. Uno dei capolavori della poesia religiosa del Medioevo sono i Vers de la mort del monaco cistercense Hélinant de Froidmont del 1197: qui la Morte, per la prima volta personificata, si presenta in una vertiginosa sequenza di immagini come un potentissimo sovrano feudale, un cacciatore che tende trappole ovunque, una belva che affonda spietatamente le sue zanne nella carne delle vittime. La poesia allegorica si afferma nel XIII secolo con al fioritura di numerosi poemi allegorici e in breve tempo la secolarizzazione dei contenuti porterà alla nascita dell'allegoria amorosa. Incominciano ad imporsi anche i nome di scrittori specializzati: Guiot de Provinsè autore di una Bible e di Armeure du chevalier, figura di rilievo è il Recluso di Molliens che scrisse il Roman de Carité, un viaggio attraverso l'Europa alla ricerca della carità introvabile, e il Miserere, catalogo di precetti morali intrisi di allegorie simili a quelle del Roman de la Rose di Guillaume de Lorris. Gli scrittori più importanti sono Raoul de Houdenc e Huon de Mery. Il primo è autore di un romanzo cortese, Meraugis de Portlesguez e di due poemi allegorici, il Roman des ailes e il Songe d'enfer. Il primo descrive le due ali di Prodezza, quella della Liberalità e quella della Cortesia, con le quali il cavaliere può elevarsi nel pregio. Più importante per la storia dell'allegoria è il Songe d'enfer, che inserisce una tematica satirica nella sua cornice; l'autore descrive un suo viaggio all'inferno, attraverserà luoghi simbolici, incontra personificazioni di Vizi, arriva ad un orribile banchetto: il tavolo è di pelle di usurai, nel menù figurano grassi usurai, puttane, monaci, falsi avvocati... Tournoiement Antechrist è l'unica opera pervenutaci di Huon de Méry, i temi dell'allegoria religiosa si saldano con quelli del romanzo arturiano e cortese. Il poema descrive una psicomachia tra l'esercito di Cristo e quello dell'Anticristo, ma vi include la biografia esemplare del narratore: la storia della sua conversione e del suo rito in convento. Huon si addentra nella foresta di Brocelandia per visitare la fontana descritta da Troyes scatenando orribili tempeste. Durante lo scontro tra i due schieramenti, Venere scaglia una freccia contro Verginità e colpisce l'occhio del narratore; si tratta di un'allegoria del proprio momentaneo cedimento alla tentazione amorosa. Il testo rappresenta una pietra miliare nell'evoluzione del poema allegorico, che si avvia sempre più decisamente verso la rappresentazione di un'esemplare vicenda individuale.L'allegoria nel romanzo Il tema del Graal elaborato da Chrétien de Troyes ispira un ciclo di romanzi in prosa nei quali gli elementi cristiani tendono a farsi dominanti. La scrittura romanzesca del XIII secolo ispira a divenire come Vangelo della cavalleria. Il primo vero romanzo allegorico è l'anonimo Perlesvaus, nel quale le avventure sono iscritte in un disegno teologico. Questo schema narrativo è portato alla perfezione nel Lancelot in prosa e anche nella Queste del saint Graal: qui le avventure cavalleresche sono presentate come semplici semblances (apparenze) sotto le quali si nasconde una profonda senefiance. Il contenuto ideologico del romanzo è intimamente legato alla stratificazione di un livello letterale (semblance) e di uno allegorico (senefiance) corrisponde nella Queste la distinzione fra cavalleria terrena e cavalleria celeste. L'allegoria stabilisce una corrispondenza fra passato biblico, presente dell'avventura romanzesca e futuro della visione del Graal. Il tempo duale della tipologia cristiana organizzato intorno alla contrapposizione tra Vecchio e Nuovo Testamento, diventa ternario: al tempo del Padre e a quello del Figlio succede il terzo di Galaad, immagine dello Spirito Santo e rappresentante della cavalleria celeste.

IL ROMAN DE LA ROSE

I due autori del “Roman de la Rose” Il Roman de la Rose può essere considerato il capolavoro della letteratura allegorica francese del Medioevo. Sono compresi due poemi di autori diversi: il primo scritto intorno al 1230 da Guillaume de Lorris; il secondo composto fra il 1269 e il 1278 da Jean Chopinel de Meun ed è la continuazione del primo poema. È possibile che l'autore della prima parte sia un'invenzione di de Meun.

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Il Roman de la Rose narra un sogno allegorico del narratore nel quale è adombrata la storia del suo amore per una dama, simboleggiata dalla rosa. Il narratore si accorge di dieci ymages rappresentanti i vizi anticortesi (Odio, Fellonia, Cupidigia, Avarizia, Invidia, Tristezza, Vecchiezza, Ipocrisia, Povertà). Una giovane Oziosa lo introduce nel giardino di Deduit (Piacere) dove incontra un gruppo di personificazioni danzanti che incarnano gli ideali della cortesia (Letizia, Cortesia, Amore, Dolce Sguardo, Bellezza, Ricchezza, Liberalità, Franchezza, Giovinezza). Il narratore giunge alla fontana in cui è annegato Narciso e con l'aiuto di Amore riesce ad ottenere un bacio da Rosa, nonostante Ragione tenti di dissuaderlo. Gelosia lo punisce costruendo un castello in cui viene rinchiuso Bel Acueil (Bella Accoglienza). Nel mezzo dei lamenti si interrompe il primo poema. Jean de Meun riprende la narrazione esattamente a questo punto: facendo di Guillaume il protagonista non si identifica più con il narratore. Con l'aiuto di Natura, l'esercito di Amore riesce ad espugnare il castello di Gelosia e il protagonista può cogliere la Rosa tanto desiderata. La narrazione è interrotta continuamente da lunghi discorsi dei personaggi sui temi più svariati: filosofici e scientifici, controversie morali, polemiche su questioni di attualità; che fanno diventare il Roma de la Rose una summa delle conoscenze del tempo.Guillaume de Lorris Nel suo poema la scrittura allegorica celebra splendidamente le sue nozze con la tematica cortese. Il suo è una proiezione figurativa e narrativa dei topoi della fin'amor. La cornice appare come un esordio tipico del canto amoroso. Tutta l'avventura onirica è una raffigurazione allegorica dell'innamoramento. Da una parte troviamo personaggi che incarnano le condizioni e gli ideali della vita cortese, dall'altra troviamo quelli che rappresentano le reazioni e i conflitti psicologici della dama che non compare mai sulla scena se non sotto le maschere provvisorie dei suoi sentimenti. Appaiono, incrinando la coerenza del sistema allegorico, divinità classiche come Amore e Venere. Tutto il bagaglio metaforico della tradizione lirica si materializza di Guillaume de Lorris, in un processo di inclusione dell'immagine nell'immagine (il muro con le dieci ymages dei vizi anticortesi). La senefiance del sogno è la reale esperienza amorosa del narratore, che in esso si presenta couvertement, nascosta sotto il velo della finzione. Fra il tempo dell'allegoria e quello della verità si stabilisce un rapporto figurale, di anticipazione o di profezia. Il romanzo si pone inoltre come insegnamento sull'amore, una ars amandi. L'episodio della fontana, collocato alla metà del poema, ne costituisce il perno e lo specchio. È proprio tramite la fontana che il narratore scorge per la prima volta la Rosa, di cui si invaghisce completamente. La favola di Narciso introduce la vera quete dell'Oggetto desiderato. La vicenda reale amorosa, di cui non ci è detto nulla, si riflette nel sogno che si riflette a sua volta nella fontana di Narciso, come in un gioco di scatole cinesi. Narciso incarna una minaccia sia per lo scrittore che per l'amante: la fascinazione dell'apparenza troppo bella, il compiacimento dello sguardo; solo in questo senso il Roman di Guillaume de Lorris può essere considerato come una liquidazione degli ideali cortesi.Jean de Muen La polemica anticortese diventa esplicita in Jean Muen. Il suo interesse non risiede nello sviluppo allegorico, ma nelle ampie digressioni dei protagonisti, nelle quali dà prova del suo singolare talento poetico. Anche il suo Roman si presenta come un ars amandi. Non si fonda però sul modello ovidiano o cortese ma a quello enciclopedico duecentesco che aspira a fornire una somma di tutto lo scibile umano. La trattazione del tema amoroso si dilata ad inglobare vere e proprie esposizioni di cosmologia, astrologia, alchimia, filosofia... sono spesso utilizzati in chiave allegorica exempla classici, secondo il modello platonico della Scuola di Chartres. Ragione si richiama a tale modello usando il termine di integumentum. La figura di Ragione in de Lorris e in de Muen può rivelare la diversa cultura dei due autori e il loro diverso atteggiamento per la materia amorosa. Nel primo Ragione tenta di dissuadere il protagonista dalla passione amorosa che è soltanto follia e puerilità; in Jean de Muen rappresenta invece un'articolata esposizione dei principi filosofici cui egli si ispira. Essa finisce per assomigliare alla Filosofia Boeziana, incarnazione della sapienza antica. I discorsi di Natura e Genius si ispirano alla Scuola di Chartres. Il nuovo ideale di de Muen dipende strettamente dalla concezione di Natura come viquere (vicaria) di Dio. Nei discorsi di Amico e la Vecchia emerge una vena satirica: si intende di mettere a nudo tutta la falsità e ipocrisia dell'etica

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cortese. Della fontana di Narciso viene accentuata la natura illusionistica mediante una sorta di riscrittura parodistica della descrizione di Guillaume; dall'altra la fontana della Vita che porta il frutto della salvezza e si contrappone allo sterile pino di Guillaume.L'allegoria dopo il “Roman de la Rose” Dalla metà del XIII secolo dilaga la produzione allegorica in Francia, fra gli schemi più frequenti si possono menzionare la descrizione di un oggetto, la parabola morale, la psicomachia, il viaggio nell'aldilà... Il genere più vitale è quello dell'allegoria amorosa, dove ai personaggi e ai temi simbolici messi in auge dal Roman de la Rose se ne aggiungono altri come l'albero o la prigione. Frequenti sono le immagini animali, ad esempio nel Dit du cerf amoureux le fasi della conquista amorosa sono rappresentate da quelle di una caccia al cervo o anche nel Dit de la panthère d'amours di Nicole de Margival, una delle opere meglio riuscite, la dama è simboleggiata da una bella pantera.

LA LETTERATURA ALLEGORICA NELLE ALTRE AREE ROMANZE

La Provenza Già in Guglielmo IX compare la triade Amor, Joi e Joven, nella quale si compendiano i più alti valori aristocratici e cortesi. Il trovatore che fece più largo uso di personificazioni nelle sue liriche è Marcabru; lo scontro tra Joven e le forze anticortesi tende ad assumere un carattere di psicomachia. Nella Canso de la Crozada l'anonimo autore tende a presentare la guerra fra meridionali e crociati come uno scontro tra Bene e Male, fra la Virtù e il Vizio. Vi è un esiguo numero di testi Occitanici definibili allegorici; fra questi spicca il Boeci, un sermone incentrato sulla figura della donzella, nella quale la personificazione boeziana della Filosofia si combina con quella biblica della Sapienza. La maggior parte delle composizioni allegoriche provenzali sono di tema amoroso. Il genere più tipico della letteratura didattica provenzale è senza dubbio quello dell'ensenhamen, nato nelle corti della Francia meridionale, il termine designa componimenti poetici nei quali vengono dettate le principali norme di comportamento della vita cortese. Alcuni si rivolgono ad una specifica categoria di persone, altri sono dedicati ai principi generali della morale cortese, che si tende a conciliare con quella cristiana. Vi sono anche ensengamens destinati ai poeti o ai giullari come il Razos de trobar di Raimon Vidal de Bezalù, dove troviamo considerazioni sulle virtù e doti necessarie per farsi apprezzare a corte. Importante è il Breviari d'amors di Matfre Ermengau, una vasta enciclopedia teologica destinata ai laici e incentrata sul concetto di Amore. Vi è nel Breviari l'arduo tentativo di integrare la concezione della fin'amor alla morale cristiana.L'area iberica Vi sono nella letteratura castigliana opere didattiche di notevole rilievo, come i Castigos e documentos di Sancho IV di Castiglia. Spicca la vasta attività di traduzione, soprattutto da testi arabi, promossa da Alfonso el Sabio; compilazioni astronomiche e astologiche come i Libros de saber de astonomia, di scritti giuridici come Partidas; lo stesso Alfonso fu autore di un trattato sugli scacchi e altri giochi. Questa produzione è di ordine essenzialmente linguistico e culturale: essa ha infatti costituito uno dei principali tramiti fra la scienza araba e quella europea. Il panorama castigliano è dominato dalla grande figura di Ramon Liull, considerato il padre della letteratura del suo paese. Ci sono pervenute oltre duecento opere autentiche e coprono vari generi letterari, dalla lirica al romanzo e al trattato filosofico o religioso, ma in gran parte della sua produzione prevalgono gli intenti didattici. Il suo Arbre de Sciència espone i principi per i quali è possibile una conversione razionale degli infedeli. I diversi aspetti del sapere sono organizzati mediante l'allegoria degli alberi: una astratta foresta nella quale crescono gli alberi corrispondenti ad ogni branca del sapere; ogni albero si divide in sette parti (radici, tronco, branche, rami, foglie, fiori e frutti). La sintesi più compiuta del pensiero e degli ideali religiosi di Ramon Llull è il Libre d'Evast e Blanquerna; l'autore intende fornire un'illustrazione dei cinque estamentes in cui si trovano gli uomini sulla terra: matrimonio, religione, prelatura, potere apostolico, vita eremitica. I protagonisti sono incarnazione esemplare della perfetta vita cristiana che offrono a Llull pretesto per ampi sviluppi didattici.