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6. Domanda aggregata e reddito di equilibrio
6.1 La funzione del consumo
Nel breve periodo il livello del reddito nel sistema economico dipende dalle componenti della domanda aggregata, che è composta dalla spesa per consumi, dalla spesa per investimenti, dalla spesa pubblica e dalle esportazioni al netto delle importazioni.
Y = AD = C + I + G + XN
La componente più consistente della domanda aggregata è rappresentata dalla spesa per consumi effettuata dalle famiglie. Secondo l’impostazione keynesiana il consumo è formato da due elementi: una componente autonoma, indipendente dal livello del reddito, e una componente che dipende dal livello del reddito corrente. La componente autonoma rappresenta il cosiddetto consumo di sussistenza, cioè il consumo necessario per far fronte alle necessità essenziali che devono essere soddisfatte anche se il livello del reddito è molto basso. Il consumo autonomo è indicato con ā soprassegnato ad indicare che si tratta di una spesa costante e indipendente dal livello del reddito. La parte di consumo che dipende dal reddito, invece, varia al variare del reddito in maniera diretta: mano a mano che reddito aumenta una parte di questo incremento del reddito è spesa in consumi. La relazione fra variazione del consumo e variazione del reddito è definita Propensione marginale al consumo ed è indicata con il parametro b, un valore percentuale che esprime la relazione fra variazione del consumo e variazione del redditoCos’è la propensione marginale al consumo? Misura il rapporto fra variazione del consumo e variazione del reddito, indica cioè la parte d’incremento del reddito spesa in incrementi del consumo
Pmc = dC\dY man mano che il reddito aumenta una parte di quest’incremento del reddito è spesa in incremento dei consumi. La propensione marginale al consumo è normalmente >0 ma <1. Se fosse uguale a zero l’incremento del reddito non verrebbe speso in consumi, il reddito aumenta di 1000 l’incremento del consumo sarebbe zero. Se fosse uguale a 1 starebbe a significare che tutto l’incremento del reddito è speso in incremento del consumo. Di norma la propensione al consumo assume valori fra il 75% e il 90% , è molto elevata negli Stati Uniti, in Italia è circa 80% mentre è minore in Giappone. Secondo la teoria Keynesiana al crescere del reddito la propensione marginale al consumo tende a diminuire, nel senso che la quota dell’incremento di reddito spesa in consumi va diminuendo il reddito aumenta man mano che il reddito aumenta, ma per semplicità di analisi si assume che la propensione marginale al consumo sia costante, ad esempio sia l’80%, a qualunque livello di reddito.
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Anche se la propensione marginale al consumo è costante, la quota di reddito spesa in consumi diminuisce al crescere del reddito. Detto in altro modo la propensione media al consumo (PMC) , cioè il rapporto fra consumo (C) e reddito (Y), diminuisce mano a mano che il reddito aumenta.
PMC = C\RChi ha un reddito di 1000 al mese ne spenderà circa 990, cioè ha una propensione al consumo media del 10%; chi ha un reddito di 10.000 al mese ne spenderà 8000, in valore assoluto ha un consumo maggiore ma in valore relativo la propensione media è sceso all’80%, quindi mano a mano che il reddito aumenta la propensione media al consumo diminuisce. In conclusione la funzione del consumo, secondo l’impostazione keynesiana, può essere indicata dalla funzione _
C = a + bY
dove a indica la componente autonoma e bY la spesa per consumi che dipende dal livello del reddito corrente.
6.1.1 Rappresentazione grafica della funzione del consumo. La funzione del consumo si rappresenta su un grafico detto a croce Keynesiana, dove i valori di equilibrio sono individuati lungo la bisettrice che, dividendo la superficie in due parti uguali, indica l’insieme di combinazioni che rendono uguali i valori di ordinata e i valori di ascissa.
O YY
C
C
C
E
b
45°
22
a
Poniamo il consumo in ordinata, e in ascissa il livello del reddito, lungo la bisettrice i due valori sono uguali; tracciamo la funzione del consumo, sapendo che ā rappresenta la componente autonoma del consumo rispetto al reddito, qualunque è il livello del reddito il consumo è costante al livello Oā. La pendenza della funzione del consumo dipende dal valore di b, la Propensione marginale al consumo, che ci dice come varia il consumo al variare del reddito. Se b fosse uguale a zero, il consumo sarebbe costituito solo dalla componente autonoma e sarebbe perciò una costante rappresentato da una retta parallela all’asse delle ascisse. Se b fosse uguale a 1 la funzione del consumo avrebbe un inclinazione a 45° ad indicare che tutto l’incremento del reddito è speso in incremento dei consumi. Ma abbiamo detto che b è maggiore di zero ma minore uno, quindi la funzione del consumo avrà un’ inclinazione compresa fra il valore zero, funzione parallela all’asse delle ascisse, e il valore uno, funzione parallela alla L’inclinazione della funzione del consumo è misurata da b, la propensione marginale al consumo, tanto più è elevata b tanto maggiore è l’inclinazione, tanto più basso il valore di b tanto più piatta è la funzione. Il livello da cui parte la funzione del consumo dipende dal parametro ā, cioè dal consumo di sussistenza, dal consumo minimo che bisogna garantire qualunque sia il livello del reddito. La funzione del consumo è rappresentata con una retta perché abbiamo assunto che il valore di b, la propensione marginale al consumo, non varia al variare del reddito e, quindi, la funzione del consumo ha sempre la stessa inclinazione. Abbiamo detto, invece, che la propensione media diminuisce. Il valore medio è misurato dal rapporto fra l’ordinata e l’ascissa, quindi in ciascun punto questo rapporto non è dato altro che dall’inclinazione della corda che unisce l’origine degli assi al punto considerato. Se consideriamo il punto E sulla funzione del consumo, la propensione media è data dal rapporto fra il consumo YE e il reddito OY ed è data dal tratto OE della bisettrice: dato che il valore di ordinata è esattamente uguale al valore di ascissa, il rapporto fra consumo e reddito è uguale ad uno e si trova sulla bisettrice. Se consideriamo il punto A sulla stessa funzione ma a destra di E, il consumo pari a Y’A sarà inferiore al reddito OY’, l’inclinazione della corda OA, che unisce l’origine degli assi al punto considerato, è perciò minore di uno. Se andiamo a sinistra del punto E, invece, l’inclinazione è maggiore, cioè si consuma più di quanto non si abbia, il consumo supera il reddito, l’ordinata supera l’ascissa.A sinistra del punto E il reddito è inferiore al consumo, gli operatori effettuano un consumo superiore al loro reddito, la funzione del consumo è al di sopra della bisettrice. Nel punto E il consumo è uguale al reddito, tutto il reddito è interamente consumato, la funzione del consumo incontra la bisettrice. A destra del punto E la funzione del consumo è sotto la bisettrice, il reddito supera il consumo, non tutto il reddito è speso in consumo.
6.1.2 La funzione del risparmio
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Nell’impostazione keynesiana il risparmio non è altro che il reddito non consumato, cioè il reddito (Y) meno il consumo (C).
S = Y C
S = Y (a + bY)
S = a + (1b)Y
La funzione del risparmio è speculare a quella del consumo: quando il reddito è zero gli operatori possono spendere per consumi solamente indebitandosi, perciò ad una spesa per consumi pari ad (a)corrisponde un risparmio negativo pari a (–a) . A mano a mano che il reddito cresce si comincia a risparmiare: se la quota di reddito consumata è pari a b (propensione marginale al consumo) , ad es. l’80%, la quota di reddito non consumata, cioè risparmiata , è pari a 1b (propensione marginale al risparmio) , ad es. il 20%. In tal modo si riduce l’indebitamento netto al crescere del reddito. Quando tutto il reddito è speso in consumi il risparmio è uguale a zero. Da quel punto in poi il consumo diventa minore del reddito e il risparmio comincia ad essere positivo. La funzione del risparmio ha un andamento speculare a quella del consumo.
O Y
da 1b PmgS
C
C
E
bā
S
ā
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Quando il livello del reddito è zero il risparmio è a, ad indicare che non c’è risparmio ma debiti. Aumentando il livello del reddito l’indebitamento va riducendosi, a livello di reddito Y in corrispondenza del punto E, tutto il reddito è speso in consumi e il risparmio è uguale a zero. L’inclinazione della funzione del risparmio è data da 1b la propensione marginale al risparmio (PmgS) . Secondo i keynesiani la propensione media al risparmio è positiva e crescente ad indicare che crescendo il livello del reddito aumenta il risparmio. Ma questo vuol dire che diminuisce la spesa per consumi e, dato che il livello di produzione dipende dalla spesa, si corre il rischio che il sistema economico possa incorrere in una fase di stagnazione o addirittura di crisi.
6.1.3.Sviluppi della teoria del consumo
Se cresce il risparmio, diminuisce la spesa per consumo e, quindi, diminuisce la domanda, si corre il rischio che la produzione non possa essere venduta sul mercato. Su questo presupposto si basa l’impostazione Keynesiana e l’idea che sia opportuno sostenere il livello della spesa con l’intervento pubblico. In particolare alla fine della seconda guerra mondiale gli economisti si aspettavano un crollo dei consumi legato alla riconversione dell’economia di guerra in economia di pace. Ma, in effetti, il livello della domanda di consumi si mantenne elevato e non avvenne il crollo che si temeva, anzi studi sull’andamento dei consumi nel tempo confermarono un legame abbastanza stabile fra consumo e reddito ad indicare una propensione media al consumo costante.Varie interpretazioni furono avanzate per spiegare l’apparente contraddizione fra la funzione del consumo keynesiana, basata su dati crosssection, e i risultati delle analisi basate su serie temporali.Alcune interpretazioni si agganciano ad elementi “di tipo sociologico”, in particolare si considerano nel comportamento delle famiglie due effetti quello di dimostrazione e quello di aggancio. L’effetto di dimostrazione si basa sull’idea che il consumo non è legato alla soddisfazione dei bisogni ma è anche un mezzo per mostrare lo status delle famiglie, è uno strumento che presenta l’immagine della famiglia nella società, e in genere le famiglie cercano di seguire i livelli di consumo, i modelli di consumo, delle famiglie con reddito superiore, quindi, si spinge verso un consumo via via maggiore, perché tutti si adeguano alle famiglie che spendono di più. In tal modo si spiega la spinta verso l’alto dei consumi, il consumismo. L’effetto aggancio, invece, si basa sull’idea che una volta raggiunti certi livelli di consumo è difficile tornare indietro: se il reddito diminuisce si mantengono comunque i livelli di consumo raggiunti accrescendo i debiti. Le abitudini di consumo raggiunte difficilmente tornano indietro. Queste interpretazioni fanno riferimento ad aspetti di tipo sociologico che spiegherebbero perchè il livello dei consumi cresce e si sposta verso l’altro mano a mano che nuovi beni rappresentano lo status symbol delle famiglie.Altre spiegazioni fanno riferimento a un’idea del consumo non più legata al livello di reddito più ampia, partendo dal presupposto che gli operatori, le famiglie, cercano di mantenere abbastanza stabile nel tempo il loro livello di consumo, quindi, non reddito
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assoluto, e quindi, al livello del reddito attuale, ma piuttosto a una visione del consumano in relazione al reddito di oggi ma piuttosto alle aspettative che hanno sul loro reddito complessivo. In questo ambito rientra il discorso delle aspettative di reddito e di consumo che viene ad essere formulato in due analisi: la teoria del ciclo vitale, formulata dall’economista Franco Modigliani, e l’ipotesi del reddito permanente elaborata dall’economista Milton Friedman. La teoria del ciclo vitale, considera la vita degli uomini divisa in tre parti, la gioventù, il periodo lavorativo, la fase del pensionamento quando non si lavora più. Il reddito è percepito soltanto nel periodo lavorativo, sia quando si è bambini che quando si è oltre l’età lavorativa non si percepisce reddito, perché non si lavora , tuttavia bisogna consumare in tutte le fasi. Se il consumo fosse legato soltanto al reddito corrente, ci sarebbe un consumo piuttosto elevato nel periodo del lavoro ma non ci sarebbe consumo né nella prima né nella terza fase, quando non si percepisce reddito. A parte la fase dell’infanzia quando si è mantenuti dai genitori, la generazione precedente, il problema è evidente nella fase della vecchiaia. Poiché gli operatori devono consumare anche nella terza fase, quando non percepiscono più un reddito da lavoro, sono costretti a risparmiare una parte del loro reddito, volontariamente o per intervento pubblico, durante il periodo di lavoro per garantire poi la pensione, per avere un reddito nel periodo del ritiro. Il consumo, quindi, secondo Modiglioni è legato alla vita complessiva dell’individuo, consuma più del proprio reddito nella prima fase, l’infanzia, quando deve teoricamente indebitarsi sul reddito futuro per avere un consumo presente. Nel secondo periodo, quando lavora e ha un reddito, deve contenere il consumo e risparmiare, perché una parte di questo reddito gli serve a ripagare il consumo fatto prima, o per il mantenimento dei figli, e a predisporsi il reddito per il consumo della fase di pensionamento. Accumula sino alla fine dell’età lavorativa, quando spende il reddito che ha in precedenza risparmiato per mantenere il livello di consumo al quale è abituato, consumando più del reddito corrente.L’altra teoria, che si riferisce all’economista Milton Friedman fa riferimento in particolare agli operatori che non hanno un reddito fisso ma variabile, e introduce il concetto di reddito permanente, che è quel reddito che può essere speso senza intaccare la ricchezza complessiva di un individuo formata non solo dai beni, come abitazione, terra, proprietà, titoli, ma anche dalle capacità individuali. Vi sono pertanto a parità di reddito corrente, posizioni diverse a seconda dell’istruzione, della capacità di guadagno, del livello di formazione individuale. Differenzia, quindi, fra reddito permanente e reddito transitorio, consumo permanente e consumo transitorio. Secondo Friedman ciascuno ha in testa il suo reddito permanente in un certo periodo di tempo, che dipende dalle sue capacità complessive è che può essere diverso a seconda dei soggetti, anche a parità di reddito corrente. Infatti due soggetti che hanno oggi lo stesso lavoro e lo stesso reddito corrente, ma uno è giovane mentre l’altro sta per andare in pensione, il giovane ha prospettive di reddito maggiori rispetto all’anziano, perché sa che domani potrà guadagnare di più e quindi può indebitarsi sul futuro per spendere di più oggi. Il reddito permanente del giovane è maggiore del reddito attuale e, di
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conseguenza, il suo consumo permanente può essere più elevato rispetto a quello dell’anziano, perché si aspetta che nel prossimo futuro il suo reddito cresca.Il consumo permanente è legato al reddito permanente, al reddito che il soggetto ha in mente di avere, per un certo periodo di tempo, e cerca di mantenere stabile questo livello di consumo nel periodo indipendentemente dal reddito corrente. Possono esserci, infatti, dei redditi transitori, cioè imprevisti, come ad esempio una piccola vincita al totocalcio o la perdita del portafoglio, che non modificano il nostro livello di vita. I redditi transitori influenzano, invece, il consumo quando modificano il reddito permanente: una vincita di milioni di euro cambia il reddito permanente e, quindi, il tenore di vita e il consumo permanente. Analogamente esiste il consumo transitorio che è legato ad una spesa non prevista, come ad esempio un improvviso guasto alla macchina, che non dipende dal reddito transitorio né da quello permanente ma deve essere considerato casuale. Il reddito misurato, così come il consumo misurato, è costituito da componenti permanenti e transitorie: se le componenti transitorie sono positive, il valore misurato è superiore al valore permanente e viceversa, se sono negative. Di solito gli operatori cercano di mantenere un consumo permanente stabile e proporzionale al reddito permanente, ma se vi è un reddito transitorio negativo il consumo misurato cresce rispetto al reddito misurato; analogamente se vi è un consumo transitorio il consumo misurato cresce rispetto al reddito misurato. Considerando i valori di reddito e di consumo misurati, il consumo sembra dapprima superiore al livello del reddito e poi inferiore : secondo Friedman si tratta di errori di calcolo perché, in realtà, il consumo permanente è proporzionale al reddito permanente come confermano le analisi condotte su serie storiche.
6.2 Domanda aggregata e reddito d’equilibrio.
Abbiamo affermato che il reddito dipende dalla domanda aggregata, composta dalla spesa per consumi, dalla spesa per investimenti, dalla spesa pubblica, e dalle esportazioni nette. Dopo aver analizzato la funzione del consumo, consideriamo le altre componenti. La spesa per investimenti viene effettuata dalle imprese per accrescere la loro capacità produttiva ed ottenere un maggior reddito futuro, quindi, l’investimento dipende da un lato dalle aspettative sul reddito futuro, sulla possibilità di ottenere redditi e profitti nel futuro, accrescendo la capacità produttiva e, dall’altro, dal costo finanziario dell’investimento, specificamente dipende dal tasso d’interesse di mercato, perché chi effettua un investimento deve confrontare il rendimento che può ottenere con il costo dei fondi necessari ad effettuare l’investimento. Quindi, l’investimento dipende dal reddito atteso, dal reddito futuro, aspettative di reddito e tasso di interesse di mercato, non dipende perciò dal livello del reddito corrente così come il consumo, possiamo considerarlo come una spesa autonoma rispetto al reddito corrente, indipendente dal livello del reddito.
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La spesa pubblica è costituita dalle uscite dell’amministrazione centrale e periferica dello Stato per acquisire beni e servizi sul mercato. Questa spesa dipende dalle necessità di gestione dell’amministrazione, dai servizi che sono forniti per il funzionamento de sistema e per il soddisfacimento delle esigenze degli operatori e, in ultima analisi, dipendono dalle scelte del governo che può in un certo senso manovrarla per raggiungere gli obiettivi politici che si prefigge. In ogni caso la spesa pubblica non dipende dal livello del reddito corrente, ma dipende dalle decisioni del governo, è da considerare, perciò, una componente autonoma rispetto al reddito.Non consideriamo per il momento il settore estero, ma soltanto il settore privato e il settore pubblico che operano in un’economia chiusa, senza rapporti con il resto del mondo.Abbiamo perciò:
Y = AD = C + I + G
Il consumo è dato da una componente autonoma e da una componente legata al reddito corrente
C=ā+bY
Sia la spesa per investimenti che la spesa pubblica sono considerate autonome rispetto al livello del reddito corrente _
I = I _
G = GSostituendo le funzioni di consumo, investimento e spesa pubblica, nella prima abbiamo
_ _ _Y = a + bY + I + G
Il livello del reddito dipende da tre componenti di spesa autonoma, cioè il consumo autonomo, l’investimento, la spesa pubblica e da una componente, il consumo, che a sua volta dipende dallo stesso livello del reddito; la relazione tra consumo e reddito è espressa da b, la propensione marginale al consumo. Per rappresentare questa funzione complessiva di domanda su un grafico dobbiamo aggiungere alla spesa per consumi le altre componenti autonome. Non dobbiamo fare altro che riformulare il grafico del consumo, aggiungendo investimenti, e spesa pubblica: la componente autonoma della spesa è ora maggiore e l’intercetta della funzione con l’asse delle ordinate si sposta verso l’alto.
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Alla funzione del consumo, C=ā+bY, dove ā indica la componente autonoma sull’asse delle ordinate , e b, l’inclinazione della funzione, misura la relazione con il reddito, aggiungiamo le altre componenti della spesa che non dipendono dal reddito. Aggiungendo alla funzione del consumo le componenti autonome I e G, la funzione complessiva si sposta parallelamente a se stessa verso l’alto, in AD = ā + bY + Ī + G. Ciò che cambia nelle due funzioni è il livello della costante che esprime la spesa autonoma, prima era soltanto ā e poi diventa ā + Ī +G . L’inclinazione non è cambiata perché dipende dal parametro b, cioè dalla propensione marginale al consumo, se b non cambia, l’inclinazione non cambia, quindi, la relazione fra incremento del reddito e incremento della spesa rimane invariata, la pendenza della funzione è invariata, varia solo la componente autonoma della spesa. Le componenti autonome della spesa si sommano, il parametro b ci indica invece come varia la spesa per consumi al variare del reddito. Tanto maggiore è la propensione marginale al consumo tanto maggiore è l’inclinazione, tanto più bassa è la propensione marginale al consumo tanto minore l’inclinazione, se non vi è alcuna propensione marginale al consumo, cioè tutto l’incremento del reddito è risparmiato, la funzione si presenta parallela all’asse delle ascisse. Il sistema è in equilibrio quando tutto il reddito prodotto viene domandato sul mercato, cioè quando la funzione di domanda incontra la bisettrice a 45°, questo è in corrispondenza al punto E’ e il livello di equilibrio del reddito Y*.La bisettrice divide il quadrante in due parti uguali, quindi, lungo la bisettrice ordinata e ascissa sono uguali, in questo caso ci dice che il reddito e la domanda sono uguali, cioè
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sono in equilibrio, perché tutto ciò che è prodotto è domandato sul mercato, a sinistra la domanda supera il prodotto, la funziona è al di sopra del reddito prodotto, e quindi, c’è un eccesso di domanda il reddito tende ad aumentare, a destra invece la situazione è esattamente inversa, la domanda è al di sotto della bisettrice, cioè del reddito prodotto, quindi una parte della produzione rimane non richiesta sul mercato, le imprese tendono a ridurre la produzione.
6.3Settore pubblico e reddito nazionale
Abbiamo visto che la spesa pubblica è una componente della domanda aggregata, se aumenta la spesa pubblica aumenta il livello del reddito. Ma per spendere il settore pubblico deve anche incassare, di norma la spesa pubblica viene finanziata con le imposte, e le imposte colpiscono il reddito delle famiglie, sono un prelievo dal reddito delle famiglie. Per considerare le imposte dobbiamo introdurre il concetto di reddito disponibile, Yd, dato dal reddito corrente meno le imposte.
Yd = Y – T
Le imposte possono essere di due tipi, o imposte fisse indipendenti dal livello del reddito T, , oppure imposte che sono proporzionali al livello del reddito, cioè una certa porzione del reddito ad esempio il 10% del reddito, il 15%, il 30%,; nella realtà le imposte sono progressive, nel senso che l’aliquota d’imposta che colpisce il reddito è crescente all’aumentare del reddito, varia a seconda degli scaglioni di reddito. Consideriamo, quindi, o un’imposta fissa indipendente dal reddito T, ovvero un’imposta proporzionale al reddito, tY, dove t indica un valore percentuale del reddito, così come bY indica la quota di reddito spesa in consumi. _
T = T ; T = tY
Introduciamo nella nostra analisi il livello d’imposta considerando un’imposta fissa, sappiamo che il reddito deve tener conto delle imposte, cioè dobbiamo introdurre il concetto di reddito disponibile, quindi, avremo che il reddito sarà uguale a _ _ _
Y = a + bYd + I + G
il reddito disponibile è uguale al reddito meno le impostee le imposte sono date da un’imposta autonoma. Quindi abbiamo: _ _ _ _
Y = a + b (Y T) + I + G
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in altri termini stiamo dicendo che l’imposta colpisce il reddito, e che influenza quindi le spese per consumo delle famiglie. Fra l’altro assumiamo che il pagamento delle imposte sia prioritario, cioè le famiglie prima pagano le imposte e poi il reddito rimanente, il reddito disponibile, lo utilizzano per consumi e per risparmi. Siccome l’investimento e la spesa pubblica non dipendono nella nostra analisi dal reddito l’imposta non influenza né l’investimento e né la spesa pubblica ma solo la parte di reddito spesa in consumi. Dalla equazione precedente moltiplicando il parametro b per Y e per T ricaviamo: _ _ _ _
Y = a + bY bT + I + G
Dove bY è la propensione marginale al consumo, la parte di incremento di consumo, di spesa per consumo, che dipende dal livello del reddito, e bT rappresenta la parte d’imposta che è pagata riducendo la spesa per consumi. Il segno è meno, perché l’imposta rappresenta una sottrazione di spesa, invece di essere speso per consumi, questo reddito serve a pagare le imposte, che sono un prelievo dal flusso circolare, quindi, l’effetto dell’imposta sul livello del reddito è negativo perchè se l’imposta aumenta la spesa per consumi diminuisce e, quindi, si riduce la domanda e il livello del reddito. Abbiamo visto che il livello del reddito dipende dalla domanda, cioè dalla spesa sul mercato, quindi l’imposta che colpisce il reddito complessivo ha un effetto negativo solo per la parte di imposta che grava sul consumo, perché riduce la domanda, riduce la spesa. La parte d’imposta che colpisce il risparmio non riduce ovviamente alcuna spesa, perché questa parte di reddito comunque non era spesa ma era risparmiata. L’effetto dell’imposta è negativo sul livello della spesa, e quindi, sul livello del reddito, ma non per l’intero ammontare dell’imposta, ma solo per la che grava sul consumo, cioè sulla parte b dell’imposta. Se l’imposta è proporzionale al reddito, una parte dell’incremento di reddito serve a pagare l’imposta e si riduce il valore di b, la propensione marginale al consumo. In questo caso abbiamo
T = tYe con le dovute sostituzioni _ _ _
Y = a + bY btY + I + G
L’imposta proporzionale non ha effetti sulle componenti autonome della spesa ma sul consumo indotto dalle variazioni del reddito.
Perché non si considera l’intero ammontare dell’imposta, ma solo la parte che colpisce il reddito speso in consumi ? Un esempio numerico può aiutarci a comprendere. Ipotizziamo un reddito di 100 e una propensione marginale al consumo pari a 0,8; il consumo è, ovviamente 80 e il risparmio 20.
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Y=100 b=0,80
C= bY = 80 S = (1b) Y = 20
Se si introduce un’imposta fissa sul reddito pari a10, il reddito disponibile diventa 90, di questi ne sono spesi in consumi 72 e risparmiati 18.
T=10 Yd=90
C= bYd = 72 S= (1b) Yd = 18
Come si può vedere l’imposta è stata pagata prioritariamente sottraendo un ammontare di reddito pari a 10 e, perciò, ha ridotto il consumo di otto e il risparmio di 2
C = 8 T = 2Quindi, l’effetto negativo dell’imposta sulla spesa è relativo alla parte d’imposta che è pagata riducendo il consumo, mentre la parte di imposta che riduce il risparmio, continua a non essere spesa prima perché era risparmiata, dopo perché serve a pagare l’imposta, in ogni caso continua a non essere spesa.
6.5 Teoria del moltiplicatore e reddito di equilibrio.
Qual è il livello del reddito di equilibrio, cioè del reddito che rende uguale la domanda con l’offerta?Partiamo dall’equazione del reddito _ _ _ _
Y = a + bY bT + I + G
Se l’incognita è il reddito Y, dobbiamo portare bY al primo membro e avremo YbY _ _ _ _
Y bY = a bT + I + G
si mette in evidenza Y e abbiamo (1b) Y, dove (1b) che è la propensione marginale al risparmio.
_ _ _ _(1 – b) Y = a bT + I + G
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che pone la condizione di equilibrio del reddito nazionale, il risparmio (1b)Y deve essere uguale alle componenti della domanda, innanzitutto all’investimento, S = I; in questo caso si aggiunge il consumo autonomo, l’altra componente privata della spesa, S = I + ā, e il bilancio del settore pubblico, (GbT) . La risoluzione algebrica è immediata _ _ _ _
Y = a bT + I + G \ (1 – b)
Che può essere scritta _ _ _ _
Y = 1 \ (1 – b) (a bT + I + G )
Ho semplicemente riscritto questa parte in modo da evidenziare due elementi, sulla destra non sono altro che le componenti autonome della spesa, consumo,investimenti e spesa pubblica e, ovviamente con segno negativo, la parte di imposta che colpisce il consumo. Mentre 1\(1b) è il cosiddetto moltiplicatore, cioè il valore per il quale dobbiamo moltiplicare le componenti autonome della spesa se vogliamo conoscere il livello di equilibrio del reddito nazionale. La teoria del moltiplicatore sostiene che al variare della componente autonoma della spesa il reddito varia in misura più che proporzionale, che il reddito è un multiplo della spesa autonoma perché è influenzato anche dal consumo indotto, dalla spesa indotta. Per capire come funziona il meccanismo del moltiplicatore facciamo riferimento alla costruzione di un impianto in una zona poco sviluppata, ad esempio in provincia di Messina, trent’anni fa, costruirono un impianto della Pirelli, in località Villafranca un paesino alle porte di Messina. La realizzazione di un’impresa come la Pirelli, che costruiva pneumatici, ebbe un effetto molto positivo sull’economia della zona; è cresciuto il reddito delle persone che hanno lavorato alla costruzione della fabbrica e delle persone che sono state occupate all’interno della fabbrica. Il reddito dell’intera zona è cresciuto al di là dei redditi degli addetti alla fabbrica, perché hanno cominciato a costruire case per la gente che andava a lavorare, ad aprirsi negozidi prodotti alimentari, di abbigliamento, cominciarono a sorgere imprese che offrivano servizi alla fabbrica, servizi di pulizie, di mense, di manutenzione impianti. Quindi, l’effetto di un investimento, in questo caso, fu un effetto molto più ampio della spesa iniziale: come in uno stagno quando si tira una pietra c le onde si vanno estendendo sempre più, tanto più è lontano tanto minore è l’effetto, ma certamente non si limita solo al punto dove è caduta da pietra. Questo effetto espansivo di una qualunque spesa, ovviamente vale sia in termini positivi che in termini negativi. Quando a Villafranca lo stabilimento Pirelli è stato chiuso, il reddito complessivo della zona si è ridotto, ben al di là della riduzione dei redditi dei lavoratori impiegati nello stabilimento. Gli effetti amplificati delle variazioni di spesa dipendono dal fatto che accanto alla spesa iniziale vi sono effetti indotti, in particolare abbiamo il consumo indotto.
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6.5.1. Una descrizione del moltiplicatore
Usiamo un esempio numerico. Ipotizziamo che ci sia una variazione della spesa per investimenti pari a 100, (dI = 100), ad esempio si decide di realizzare una strada, questo significa che verranno assunti lavoratori e, quindi, il reddito di questi lavoratori aumenta esattamente dell’ammontare della spesa. Se tutto il reddito fosse risparmiato, la storia finirebbe qui, 100 è la spesa iniziale, 100 è l’incremento del reddito, questo reddito viene ad essere interamente conservato; ma sappiamo che il reddito non viene interamente risparmiato, una parte di questo reddito viene ad essere spesa. La parte di reddito spesa dipende dalla propensione marginale al consumo, (bY), cioè la parte di incremento del reddito che è spesa in incremento dei consumi, il consumo indotto, la spesa indotta. Ipotizziamo che b sia uguale a 0,80, cioè che l’80% del reddito sia speso in consumi; a fronte di un aumento del reddito di 100 iniziale ci sarà un incremento della spesa per consumi, che in questo caso è pari a
dC = bdY
I lavoratori che scavano cominceranno a comprare, abbigliamento, prodotti alimentari e così via, per una spesa pari all’80% del loro reddito, ci sarà perciò per quelli che vendono prodotti d’abbigliamento prodotti alimentari un incremento del reddito pari a 80, cioè pari a bdY, che si sommano alla prima variazione di reddito di100 . Questi lavoratori hanno avuto un incremento ulteriore di reddito. Quanto spenderanno di questo incremento del reddito? Nella nostra ipotesi che l’incremento è sempre lo stesso ne spenderanno la parte, b2∙dY, cioè l’80% di 80, che è 64, ci sarà quindi un ulteriore incremento del reddito pari 64. Partendo dalla spesa iniziale di 100, l’incremento del reddito non è pari a 100, ma è pari a 100 più 80 più 64, e agli incrementi successivi.Ad ogni passaggio tuttavia l’incremento è minore perché non tutto il reddito e speso in consumi: una parte è risparmiata; infatti il consumo indotto è inferiore a uno, ad ogni passaggio si spende l’80% del reddito, quindi l’incremento va progressivamente riducendosi. Se la propensione al consumo b fosse uguale a 1, l’incremento sarebbe infinito, 100 avrebbe dato luogo a un reddito di 100, ne sarebbe stato speso 100, un nuovo incremento di reddito di 100 e di consumo di 100 all’infinito. Ovviamente non potrebbe esserci un incremento di spesa infinita, ci sarebbe invece un’inflazione infinita, un aumento dei prezzi ma non dei beni. Se b fosse uguale a zero, l’incremento finale del reddito sarebbe pari a 100: aumenta la spesa, aumenta il reddito e la storia finisce subito. Siccome b è maggiore di zero e minore di uno, si avranno successivi incrementi che sono via via minori perché una parte dell’incremento di reddito viene ad essere non spesa, cioè viene ad essere risparmiata.
Partendo da una variazione della spesa per investimenti di 100, la variazione del reddito sarà maggiore, sarà pari a 100 più 80 più 64 più 51,2 e così via.
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Per conoscere la variazione finale del reddito usiamo la formula del moltiplicatore
dY = 1\(1b) *dI
Nel nostro caso b è uguale a 0,8, il valore del moltiplicatore è pari a 5. Infatti con le dovute sostituzioni abbiamo
1\(1b) = 1\ 1 0,80 = 1\ 0,20 = 1\ 20\100 = 1\ 100\20 = 5dY = 5 *100 = 500
Se b fosse 0,75, il valore del moltiplicatore sarebbe 4; tanto minore la propensione al consumo, tanto minore è il consumo indotto, tanto minore l’effetto espansivo, e viceversa.Dato una variazione della spesa autonoma, il reddito cresce in misura più che proporzionale, l’ampiezza della crescita dipende dal moltiplicatore, che a sua volta è legato a b, la propensione marginale al consumo, più elevata la propensione marginale al consumo più ampio l’effetto moltiplicativo.
6.5.2 Rappresentazione grafica della teoria del moltiplicatore.
Evidenziamo su un grafico l’effetto del moltiplicatore. Disegniamo la bisettrice, che dà l’equilibrio fra le componenti della domanda e il reddito, e tracciamo una funzione di domanda; l’inclinazione della funzione di domanda esprime il valore di b, cioè della propensione marginale al consumo, tanto maggiore è b, tanto maggiore è l’inclinazione.Ipotizziamo la funzione di domanda D, il livello di equilibrio del reddito, Y, è in corrispondenza al punto d'incontro fra la funzione e la bisettrice, E.Ipotizziamo che ci sia un aumento di una componente autonoma della spesa, ad esempio degli investimenti. Che cosa succede dal punto di vista grafico? Poiché aumenta una componente autonoma della spesa la funzione si sposta verso l’alto, poiché b non è variato l’inclinazione rimane invariata. Abbiamo, quindi, uno spostamento della funzione verso l’alto e verso sinistra, la funzione si sposta parallelamente a se stessa in D' in seguito alla variazione per le spese per investimenti. La differenza verticale fra le due funzioni non è altro che l’aumento della spesa per investimenti, il livello d’equilibrio del reddito sè ora in E’, lì dove la nuova funzione di domanda incontra la bisettrice. Il livello di equilibrio del reddito è Y’.E' evidente che la variazione del reddito di equilibrio, da Y a Y', è maggiore della variazione della spesa per investimenti. Evidenziamo il triangolo EAE', che ha un angolo retto in A e un'ipotenusa a 45°; questo significa che il lato EA è uguale a l lato AE'; poiché ci muoviamo lungo la bisettrice, la variazione di ordinata deve essere uguale alla variazione di ascissa . EA corrisponde alla variazione del reddito, AE1 è la variazione della domanda complessiva. Individuiamo sulla funzione D il punto B e consideriamo il tratto BE' che misura la variazione della spesa per investimenti, e il
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tratto AB che misura, invece, la variazione del consumo. indotta dalla crescita del reddito. Questa variazione del consumo indotta dalla variazione del reddito rappresenta l’effetto del moltiplicatore e dipende dall’inclinazione della funzione, cioè dal parametro b, la propensione marginale al consumo.
6.6 Settore pubblico e reddito nazionale.Abbiamo fatto variare la spesa per investimenti, ma se facciamo variare la spesa pubblica avremo ugualmente una variazione del reddito che sarà più che proporzionale per effetto del moltiplicatore. La variazione del reddito determinata ad una variazione della spesa pubblica sarà uguale a
dY= 1
1−bd G
e sarà un multiplo della variazione della spesa pubblica, se lo Stato spende 100, e la propensione al consumo è 0,80, la variazione del reddito sarà 500. La variazione della spesa pubblica dà luogo a una variazione del reddito positiva determinata dall'ampiezza del moltiplicatore. Che effetto ha una variazione dell’imposta? Intanto riduce il livello del reddito, perchè colpisce la spesa per consumi, poi influenza il livello del reddito non per l'intero ammontare dell'imposta ma soltanto per la parte che viene pagata a scapito della spesa per consumi. cioè per la parte b. In formula abbiamo
D
D
b
45°
Y
E
Y
D1
E1
AB
dI
dYdI
dC
0 Y1
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dY=1
1−b−bd T
_______________________________________________________________________
Naturalmente il valore del moltiplicatore dipende dalla propensione marginale al consumo, è chiaro che se una parte maggiore dell’incremento di reddito non è speso in consumi il valore del moltiplicatore diminuisce. Ad esempio se una parte dell’incremento di reddito serve a pagare le imposte, con aliquota d’imposta proporzionale al reddito tY, la propensione al consumo diminuisce, l’effetto moltiplicativo si riduce. Analogamente se una parte dell’incremento del reddito serve a comprare prodotti esteri la propensione marginale a consumare prodotti nazionali diminuisce, l’effetto moltiplicativo diminuisce. Il valore del moltiplicatore sarà tanto minore quanto maggiore è la propensione al risparmio, l’aliquota d’imposta, la propensione ad importare, cioè i prelievi dal flusso circolare del reddito. Nella nostra analisi consideriamo il moltipicatore nella formulazione più semplice.
Se ad esempio l’imposta è 100 e la propensione al consumo 0,80, la variazione del reddito sarà dY = 5(80)=400L’imposta, ha un effetto minore rispetto alla spesa, perché con l’imposta si preleva alle famiglie, che hanno una propensione al consumo minore di uno, e si trasferisce reddito al settore pubblico che ha, invece, una propensione alla spesa uguale ad uno, cioè spende interamente il reddito incassato.L'effetto complessivo del settore pubblico sul livello del reddito nazionale è dato da
dY = 1
1−bdG−bdT
6.6.1 Il teorema del Bilancio in pareggioIl diverso impatto dell’imposta e della spesa pubblica è rilevante quando si parla di teorema del bilancio in pareggio, quando cioè si considera la variazione della spesa pubblica coperta da un uguale ammontare d'imposta,
dG = dT
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Il teorema del bilancio in pareggio, afferma che se lo Stato fa una spesa pubblica coperta da un’uguale ammontare d'imposta, il risultato non è una variazione del reddito nulla , ma una variazione del reddito positiva ed esattamente uguale alla spesa pubblica.Quindi, se il Governo preleva 100 e spende 100, il reddito aumenta di 100. Come abbiamo visto la variazione del reddito dipende dalla variazione della spesa pubblica dG, che ha un effetto positivo, e dalla variazione dell’imposta, che ha un effetto negativo, ma non per l’intero ammontare dell’imposta, ma solo per la parte che colpisce il consumo bdT.
dY = 1
1−bdG−bdT
Ipotizziamo che G sia uguale T, ovvero che la variazione delle imposte sia uguale alla variazione della spesa pubblica, quindi i due valori sono uguali, .
dG = dT
sostituendo abbiamo
dY=1
1−bdG−bdG .
mettendo in evidenza dG abbiamo
dY=1
1−b1−b dG
semplificando (1b )abbiamo il risultato finale
dY=dG.
La variazione del reddito è esattamente uguale alla variazione della spesa pubblica.Se il settore pubblico effettua una spesa coperta da un uguale ammontare di imposte, e quindi mantiene il bilancio in pareggio, l’effetto sul livello del reddito è positivo, cioè il livello del reddito cresce, ed esattamente pari all’ammontare della spesa pubblica,
Il Teorema del bilancio in pareggio non va confuso con il principio del bilancio in pareggio, che è un'indicazione di politica economica diretta a garantire l’uguaglianza tra entrate e uscite del settore pubblico.Infatti quando la spesa pubblica è superiore alle entrate si determina un deficit di bilancio che deve essere finanziato con l’emissione di titoli, titoli del debito pubblico.
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In altri termini il settore pubblico deve indebitarsi sul mercato facendosi prestare fondi, che si impegna a restituire a breve, a medio o a lungo termine, pagando nel frattempo un certo interesse. Ad esempio emette BOT, Buoni Ordinari del Tesoro, che sono titoli a scadenza annuale con i quali il governo sì impegna a restituire alla scadenza una somma fissa, ad esempio mille euro, mentre all'emissione riceve un valore determinato a base dell’asta, cioè dalla domanda e dall’offerta. Se la domanda che fanno i creditori supera l’offerta, il prezzo tende a diminuire, in altri termini si sottoscrive ad un prezzo , ad esempio, pari a 900 per ricevere dopo un anno 1000, con un tasso pari all'11%. Al contrario se la domanda è maggiore e si sottoscrive a 950 il tasso d'interesse diventa il 5%.La spesa pubblica, teoricamente, può essere finanziata anche con i prestiti della Banca Centrale che crea liquidità, cioè stampa moneta. Questo modo di finanziamento tuttavia è, attualmente, poco utilizzato. Nei paesi che aderiscono all'Unione Economica e Monetaria questo sistema di finanziamento non è più praticabile perché la Banca Centrale Europea è un'istituzione sopranazionale, indipendente e al di sopra dei singoli governi nazionali. Ma lo stessa regola di autonomia e indipendenza della Banca Centrale dal Governo seguono anche le altre banche come la Riserva Federale negli Stati Uniti USA che segue una linea di netta separazione con il Governo Federale.
6.7 Una sintesi della teoria della domanda aggregataAbbiamo detto che, in un sistema chiuso, il livello del reddito dipende dal consumo C, dall’investimento I, e dalla spesa pubblica G .
Y=C+I+ G
Il consumo in particolare è dato da una componente autonoma (ā ) e da una componente che è funzione del reddito (bY) dove b è la propensione marginale al consumo. Se introduciamo l’imposta T, cioè il prelievo del settore pubblico, il reddito non sarà più il reddito corrente ma il reddito disponibile, cioè il reddito meno le imposte. Quindi la funzione del consumo (bY), diventa (bYd) cioè il reddito meno le imposte (Yd=YT); L’imposta (T) può essere o una imposta fissa o una imposta proporzionale al reddito (T= T ) o (T=tY); ipotizziamo che l’imposta sia fissa e quindi pari a T.
Abbiamo che il livello del reddito dipende da
Y=ā+b(Y T )+Ī+ Gdove Ī rappresenta l’investimento autonomo, G la spesa pubblica autonoma, e Tl'imposta fissa..Moltiplicando il parametro (b) nel secondo membro abbiamo
Y=ā+bY+Ī+ G b T
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che ci permettere di raggruppare le componenti autonome della spesa che sono consumo autonomo ā, investimento autonomo Ī, spesa pubblica G , meno b T .Spostando i termini con l'incognita Y a sinistra, abbiamo
YbY=ā+Ī+ G b T
Mettiamo in evidenza Y e otteniamo
(1b)Y= ā+ Ī+ G b T )
Dove (1bY) non è altro che la propensione marginale al risparmio, quindi stiamo definendo in questa equazione la condizione di equilibrio del reddito nazionale, il risparmio è uguale alle componenti autonome della spesa. Notiamo che l’imposta ha segno negativo, perché l’imposta riduce la spesa, d’altra parte l’imposta rappresenta un prelievo, così come lo rappresenta il risparmio, .
Questa equazione si risolve
Y=aIG−b T
1−b .
Il livello del reddito nazionale dipende dalle componenti autonome della spesa che hanno un effetto positivo sul livello di reddito, poi dipende dalle imposte che invece hanno un effetto negativo sul livello del reddito perché ovviamente l’imposta riduce la spesa dei privati, ma l’effetto negativo dell’imposta non è pari all’intero ammontare dell’imposta ma alla parte di imposta che grava sul consumo.L’altro elemento è invece il moltiplicatore, che indica il valore per il quale occorre moltiplicare la spesa in modo da determinare il reddito di equilibrio finale. Ricordiamo che questo moltiplicatore, essendo b minore di 1, è un numero positivo e maggiore di 1, tanto più grande quanto maggiore è il livello di b.
Y=
11−b (ā+ Ī+
Gb
T)
Il reddito dipende dalle componenti autonome della spesa e dal moltiplicatore, il valore del moltiplicatore dipende dalla propensione marginale al consumo, cioè dal valore di b, tanto più si spende in consumi tanto più grande è l’effetto espansivo. Che cosa può ridurre il valore di b? Tutto quanto riduce la spesa su consumi nazionali, innanzi tutto le imposte, se vi è una imposta proporzionale, si potrà spendere una parte
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minore del nuovo reddito in consumi, perché una parte serve a pagare le imposte. Quindi l’aliquota d’imposta riduce il valore della propensione marginale al consumo e il valore del moltiplicatore.Nell’ipotesi in cui l’imposta sia una certa percentuale del reddito tY, il valore del moltiplicatore diminuisce, e per la precisione diventa uguale a
(1
1−b+bt )
e assume, quindi, un valore inferiore.L’imposta è un prelievo dal flusso circolare, quindi riduce la spesa.Un altro prelievo è rappresentato dalla propensione ad importare, se una parte del reddito si indirizza ad importare prodotti che vengono dal resto del mondo, l’effetto moltiplicativo sulla produzione nazionale si riduce, perché questo reddito non è speso per acquistare prodotti nazionali ma prodotti esteri. L’aliquota di imposta e la propensione marginale ad importare riducono il valore del moltiplicatore. Soffermandoci sul settore pubblico, vediamo che può influenzare il livello del reddito nazionale, sia attraverso la spesa pubblica, che attraverso le imposte, in tal senso interviene nell’andamento del reddito nazionale, Questi sono interventi di politica fiscale. Se il governo vuole accresce il livello della spesa nel sistema economico, e quindi stimolare l’andamento economico, può effettuare un aumento della spesa pubblica superiore all’aumento delle imposte, ovverosia può accrescere la spesa pubblica in deficit, cioè la spesa pubblica non coperta da imposte. Viceversa può anche cercare di rilanciare il sistema economico riducendo il livello delle imposte, in modo da favorire l’aumento della spesa del settore privato per consumi e per investimenti. Ma i due effetti non sono simmetrici, quando aumenta la spesa pubblica si ha un aumento immediato di spesa, mentre quando si riducono le imposte non è detto che le famiglie o le imprese utilizzano questo maggior reddito per accrescere la spesa. Se le aspettative, come è avvenuto qualche anno fa in Italia, sono negative, invece di aumentare la spesa si aumenta il risparmio, e quindi, l’effetto non è positivo, non è espansivo, ma tende ad essere depressivo, e finisce per fare danno.La politica fiscale recessiva, invece, tende a ridurre il livello del reddito con contrazione della spesa pubblica o con l’aumento delle imposte. Un aumento delle imposte ha un effetto molto più consistente e sicuro rispetto alla riduzione, perché in questo caso aumentando le imposte si riduce il reddito disponibile e quindi si contrae la spesa del settore privato.Abbiamo considerato anche il caso in cui le entrate e le uscite siano uguali, cioè il settore pubblico opera con un bilancio in pareggio, l’aumento di spesa pubblica è coperto da un uguale ammontare d’imposte.Se lo Stato preleva dalle famiglie e spende lo stesso ammontare, il risultato sul livello del reddito non è come ci aspettiamo zero, ma è positivo ed uguale alla spesa pubblica. Questo perché mentre la spesa pubblica ha un effetto per l’intero ammontare della spesa, che è una domanda interamente aggiuntiva sul mercato, l’imposta ha un effetto negativo solo per la parte che grava sul consumo, mentre per la parte che colpisce il
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risparmio non ha alcuno effetto negativo, perché quel reddito non era speso prima e non viene speso dopo. In altri termini si toglie reddito a operatori , come le famiglie, che hanno propensione al consumo minore di uno e si trasferisce allo Stato che ha una propensione al consumo uguale a uno, cioè spende tutto; di conseguenza la spesa complessiva aumenta con un effetto espansivo sul livello del reddito.
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