5. Il Messaggio Di Malachia Ed i 3 Angeli Di AP 14

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Il messaggio dei tre angeli di Ap 14

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5. Il messaggio di Malachia

Uno dei libri che trova meno spazio nelle pagine dei testi di teologia è quello del profeta Malachia. Posto quasi come un ponte fra l'Antico e il Nuovo Testamento, non fa parte del novero dei grandi profeti biblici aventi temi di grande interesse e ruolo nella vita, nella teologia e nella storia.

Ma uno studio più attento di questo testo permetterà di renderci conto quanto invece esso sia denso di contenuto teologico, di verità di salvezza e di un particolare messaggio per il nostro tempo; ma più ancora, per la nostra chiesa che "vive" in questa ultima fase della storia del mondo.

IL PROFETA E IL SUO TEMPO

Dell'uomo-profeta Malachia non abbiamo cenni autobiografici come di tanti altri, (Isaia, Mosè, Geremia, Daniele, Paolo, ecc...), non parla di se stesso, della sua origine, del suo tempo, del suo ambiente.

Il temine, Malachia, etimologicamente significa, Messaggero di Jaweh, per questo alcuni hanno sostenuto che "Malachia" non fosse il nome del profeta ma un semplice titolo.

Dal tono del messaggio possiamo collocare il profeta e il suo scritto nel tempo di Nehemia o, nell'immediato seguito, vale a dire nel 440-390 Av.Cr.: lo deduciamo dalla affinità dei due scritti.

Non solo, Malachia potrebbe benissimo essere il continuatore del messaggio di Nehemia. Il tempio è già in funzione, i sacrifici vengono già offerti. Si è in piena restaurazione nazionale, tempo di ricostruzione, del rimpatrio dalla terra di Babilonia. Una nuova mentalità si è creata, la spiritualità tradizionale che perdurava da secoli è stata rotta dall'esperienza traumatizzante della cattività. La precedente situazione era andata evolvendosi in una vita spirituale stagnante, formale, rituale, priva di valori e contenuti: il tempo era maturo per l'apostasia!

Idolatria, opulenza, ingiustizia sociale nel vivere quotidiano in tutti i settori; a ciò farà seguito il modo di agire di Dio: lasciare il popolo in balia delle sue scelte e delle sue voglie, privarlo della Sua protezione. Verranno i Caldei e sarà la cattività!

In seguito non ci sarà più la eclatante apostasia a livello nazionale, ma ci sarà individualismo, formalismo, si maturerà, fra l’altro, il movimento legalistico che partorirà, al tempo di Giovanni Icarno, la setta dei Farisei (2° secolo Av. Cr.).

Malachia si propone di analizzare questa situazione, di mostrare l'umana irreversibilità al peccato, calarvi il salutare intervento di Dio, indicandone le conseguenze e i momenti fondamentali. Tratteggiare il posto ed il ruolo del suo popolo in questo disegno divino.

Non si tratta più di un'azione temporanea, il messaggio di Malachia si proietta avanti nel futuro dei due interventi di Dio nella storia. Questo è il tema del libro che ci accingiamo ad analizzare.

IL MESSAGGIO

L'analisi della situazione

a) I SACERDOTI (cap. 1; 2:1-9).

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Malachia ci trasmette due messaggi precisi: riprensione e speranza; questi due messaggi sono sotto forma di domande e risposte (1:7).

Il Profeta esordisce con l'affermazione dell'amore di Dio, peraltro messa in dubbio dal popolo. Si tratta dell'affermazione relativa all’elezione che Dio ha riposto su Giuda, elezione che il credente stesso stenta a comprendere, invece di vederla come una meravigliosa grazia, che lo coinvolge ad esser partecipe da protagonista del piano divino in seno alla storia, all'universo, la si sente oltre che pesante, un fatto inutile, inutile perchè non reca quelle benedizioni che sono desiderate con cuore egoistico, le si cercano solo per gratificare se stessi e non per servire meglio. Questo offende un Dio che ama (1:2-4) «Duri sono i vostri discorsi contro di me - dice il Signore - e voi andate dicendo: "Che abbiamo contro di te?". Avete affermato: "E' inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall'aver osservato i suoi comandamenti o dall'aver camminato in lutto davanti al Signore degli eserciti? Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicano e, pur provocando Dio, restano impuniti» (3:13-15).

Poi abbiamo le riprensioni.

Le prime sono per i sacerdoti (1:6-9), il loro servizio è parziale e non di cuore (1:7-10,13), per i sacrifici vengono offerti animali di scarto. Dio non vuole un'offerta mutila. Addirittura i sacerdoti glorificano Dio in maniera meno sentita e consacrata del popolo non bagnati dalla luce della conoscenza come Giuda (1:11).

I sacerdoti, depositari di un patto di vita e pace (2:5) hanno fallito la loro missione, sono scaduti dal ruolo cui Dio li aveva chiamati: invece di permettere alla verità divina di rifulgere, essi sono di ostacolo oltre che per se stessi, anche per altri «molti» (2:7,8).

Di molti e non di tutti, «se questi tacciono le pietre grideranno, avrebbe esclamato Gesù». Nella sua grazia verso tutti, Dio si era rivelato attraverso il suo popolo nella cattività. I pagani lo avevano così riconosciuto ed ora Lo glorificavano più dei giudei stessi. Dio vuole che la sua conoscenza si estenda (Is 55:11), se il popolo al quale ha affidato tale compito non testimonia nella buona condizione, la sua parola deve spandersi suo malgrado, anche nella cattività. Nella libertà e nell'indipendenza Giuda non ha fatto brillare la luce della verità alle nazioni; esse sono venute a contatto con questa durante la cattività: qui vi fu una selezione, che permise al "resto fedele" di riflettere in terra straniera la verità divina.

Il rimprovero mosso ai sacerdoti non è solo su aspetti qualitativi, ma di fondo. Questa classe è inconvertita, il lavoro che svolgono è da mercenari: «Ah, che fatica!» (1:13). Sono persone che lavorano per conto di un'opera, per un'impresa e non per Dio e la Sua gloria (2:2). Quando si lavora così, in ultima analisi si lavora per la propria gloria. L'opera per cui si lavora diventa in tal modo una istituzione fine a se stessa e, cessa di essere un servizio per la salvezza dell'uomo. E' una carriera! Quando questa è la realtà il popolo stesso disprezza i suoi "sacerdoti" (2:9).

IL POPOLO (Cap. 2:10-16; 3:7-15)

Dopo essersi rivolto ai sacerdoti il Profeta si rivolge al popolo, il passaggio è obbligato: quando il capo è malato, tutto il corpo langue; all'assenza di consacrazione delle «guide spirituali» (2:7,8) fa eco la decadenza spirituale di tutto il popolo (2:8).

Tuttavia il popolo, il credente non cessa di essere responsabile dei suoi peccati. Così l'infedeltà dei sacerdoti non scusa l'apostasia del popolo nell'unirsi in matrimonio con figlio di pagani. (2:11,12).

Dopo aver fatto questo rimprovero, definendo il peccato in questione "abominio" (2:11) c'è la specifica minaccia di rendere sterile la prosperità del popolo1; viene poi un altro peccato (2:13): si tratta dell'infedeltà coniugale e del ripudio [oggi diremo divorzio] (2:14-16). La cosa grave in tutta la faccenda è l'alibi che il popolo invoca «Ma perchè quell'uomo lo fece e nondimeno lo spirito 1 L'espressione del verso 12 "chi voglia e chi risponde" è una locuzione ebraica significante «qualsiasi dipendenza»

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rimase in lui» (2:15).

Ci si attacca ad Abramo (cfr. 2:10), se l'ha fatto lui perchè non possiamo farlo noi! Si tratta di una razionalizzazione tendente a giustificare il male, invece di riconoscere che tale agire è contrario ai principi divini e che il loro atteggiamento è di rivolta, si vuole legittimare un tale comportamento ponendosi davanti dei modelli umani anch'essi, per le loro debolezze, caduti. E' dare peso ai propri sentimenti, alle proprie tradizioni e ai dettami del proprio cuore, alla concupiscenza piuttosto che alla Rivelazione di Dio contenuta nella Sua Parola!

Al capitolo 3 ritroviamo altri rimproveri dopo una parentesi iniziale (1-6). L'abbandono delle prescrizioni date dal Signore: il popolo lo deruba nella decima e nelle primizie2, Iddio aveva destinato queste per i sacerdoti, per permettere il loro sostentamento, ed ora anche se questi erano corrotti ed infedeli ciò non esimeva il credente dal suo dovere verso Iddio!

L'ultimo rimprovero contenuto al cap. 2:14, che abbiamo già sottolineato, coinvolge un aspetto di fondo sintomo di una profonda e grave malattia spirituale, ripete, ampliata, la conclusione del dialogo al capitolo secondo (vers. 17): credere in Dio non serve a nulla.

Simile confessione costituisce il succo del peccato stesso, l'empietà al suo colmo; il rinnegamento di Dio. Non è ateismo teorico, ma pratico, quello cioè in cui ci si comporta come se Dio non esistesse. Qui c'è il frutto del peccato, separare l'uomo da Dio rendendolo pure incapace di riconoscerlo, di temerlo.

Malachia ci mostra un procedimento scontato: prima si diventa praticamente miscredenti, atei, si precipita, pian, piano nell'apostasia etico-morale, poi in seguito per giustificare se stessi, per acquietare la voce dello Spirito lo si diventa anche teoricamente, si giunge cioè ad affermare che Dio non pensa a noi, non benedice chi si "sforza di essergli fedele", in pratica, non esiste! Quelli che invece "temono il Signore" (3:16), anche se apparentemente sembra non cambi nulla, saranno, un giorno, la sua eredità, e allora si vedrà... (3:16-18).

Questa è la prima analisi che emerge dal libro di Malachia per Israele, la condizione ultima è peggiore della prima. Malachia ha fatto il bilancio di cosa abbia prodotto la riprensione che il Signore ha cercato mediante la cattività; essa non ha giovato nulla, non ha prodotto quella purificazione attesa, l'apostasia, anche se meno appariscente3, rimane, si salva un "resto" disperso fra i tanti: coloro che «Temono l'Eterno e rispettano il suo nome» (3:16).

IL PIANO DI DIO - LA SOLUZIONE (Cap. 3:1-6; 4)

Il secondo tema del nostro libro è la "Soluzione del problema", non si tratta di due temi distinti e separati fra loro, sono invece amalgamati, anche se ben distinguibili. Malachia presenta questa soluzione in una forma singolare. Solo Daniele, prima di lui, in uno stesso contesto, presenta negli stessi termini il problema (Capp. 8 e 9).

Il peccato e le sue conseguenze saranno risolte interamente da Dio ed Egli lo farà con due precisi Suoi interventi: Malachia presenta questi due interventi: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l'angelo dell'alleanza che voi sospirate, ecco viene, dice il Signore degli eserciti. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perchè possano offrire al Signore un'oblazione secondo giustizia. Allora l'offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani.

Io mi accosterò a voi per il giudizio e sarò un testimone pronto contro gli incantatori, contro gli adulteri, contro gli spergiuri, contro chi froda il salario dell'operaio, contro gli oppressori della

2 Il testo ebraico è TIRUMA = primizia3 Non più idolatria come ai tempi di Manasse, Gioachim e Sedechia, cfr. Ez. 8.

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vedova e dell'orfano e contro chi fa torto al forestiero.

Costoro non mi temono, dice il Signore degli eserciti...

Ecco infatti sta per venire il giorno rovente come un forno, allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia, quel giorno venendo li incendierà - dice il Signore degli eserciti - in modo di non lasciare loro né radice, né germoglio. Per voi, invece, cultori del mio nome, sorgerà il sole di giustizia con raggi benefici e poi uscirete saltellanti come vitelli di stalla. Calpesterete gli empi ridotti in cenere sotto le piante dei vostri piedi nel giorno che io preparo, dice il Signore degli eserciti. Tenete a mente la legge del mio servo Mosè, al quale ordinai sull'Horeb statuti e norme per tutto Israele. Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore; perchè converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri; così che io venendo non colpisca il paese con lo sterminio» (Ml. 3:1-6 e 4: testo della Bibbia di Gerusalemme).

Dopo la realistica e drammatica analisi sulla condizione nel peccato, la soluzione che il profeta tratteggia è tutta nell'intervento di Dio nella Sua duplice manifestazione nella storia, saranno queste due venute che risolveranno il dramma del male. Sarà proprio impostato su queste due venute il messaggio della chiesa che si lancia verso il mondo dopo l'esperienza della camera alta.

La Santa Cena che costituisce il momento più intenso del culto veicola proprio questi due significati, Paolo lo sottolinea mirabilmente in 1Co 11:26 «Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché Egli venga». Altri testi del N.T. sintetizzano il messaggio di vittoria cristiana ponendo assieme questi due eventi (Eb 9:27,28; 1Te 4:13-18; 1Co 15:3-6,19-24,51-54).

Malachia fa una teologia della storia sulla scia di Geremia e Daniele. Il Profeta Geremia aveva minacciato la cattività come intervento-giudizio di Dio sul suo popolo che aveva apostatato dalla verità e fallito la missione che aveva in seno alle nazioni4.

Quando Babilonia cadrà sotto i colpi dei Medo-Persiani, è studiando Geremia che il profeta Daniele si rende conto che il tempo per Babilonia è finito, ma non è ancora finito il tempo della cattività per Gerusalemme: Daniele si chiede perchè e prega (Dn 9:1-20); in risposta a questa preghiera riceve la "spiegazione" delle 70 settimane, una spiegazione che gli permette di capire ciò che l'angelo Gabriele gli aveva annunciato in precedenza, al capitolo 85.

Nel sogno della statua e nella visione delle 4 bestie Iddio gli aveva mostrato che il regno sarebbe stato dato «Ai santi dell'Altissimo» dopo quegli eventi indicati (Dn 2:44,45; 7:9-22); nella visione del montone e del capro Iddio voleva far capire al profeta, e attraverso lui al credente che la verità sarebbe stata ristabilita dopo un tempo lontano (Dn 8:14-17,26).

Solo dopo la visione delle 70 settimane Daniele comprese: da allora in poi la soluzione al problema del male storico e individuale sarebbe stato tutto e solo nei due interventi di Dio.

In queste due venute si compirà la storia della Salvezza: il messaggio di Malachia costituisce un commentario ispirato a Daniele 8 e 9, in lui queste due venute del Signore trovano la loro teologia, la filosofia della nuova alleanza: la filosofia dell'attesa non violenta.

IL MESSAGGIO DELLE DUE VENUTE

Quando il profeta si sofferma su i due interventi del Signore non si limita ad annunciarli ma entra nel merito fornendo un vero e proprio annuncio di salvezza.

Analizziamo brevemente questi messaggi.

4 Gr. 17,18,19 questo giudizio sarebbe durato 70 anni. Gr. 25:11-12; 29:105 Le LXX Settimane completano quella del capitolo 8 che il profeta non aveva capito. Cfr. 8:1, 8:16,17 e 9:21-23

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MALACHIA 3:1-6

In primo luogo, il verso 1, annuncia la venuta del precursore, il testo è riportato da Matteo (11:10), Marco (1:2) e Luca (7:27) per designare la funzione profetica del Battista. Anche Isaia (40:3) preannuncia il precursore, ma i testi citati dai Vangeli fanno riferimento a Malachia. Marco cita entrambi, Isaia e Malachia, facendo riferimento al Battista. In seguito anche i versi 2 e 3 di Malachia 3 sono una profezia sull'opera del Messia atto a ristabilire nel giusto senso il culto a Jaweh: Matteo 3:10-12 ne fa esplicito riferimento e cita Malachia 3.

Questo primo brano (3:1-6) parla della prima venuta del Signore (ADON), il «messaggero dell'Alleanza» (MALAK-BERIT), questi due appellativi ci mettono a fuoco due motivi basilari

della incarnazione. Per il credente Gesù di Nazareth è l'"ADON", il KURIOS = Signore12 «Gesù di Nazaret è stato fatto Signore e Cristo» (At 2:35) Gesù è il messaggero del Patto Nuovo cioè il MALAK-BERIT, un patto migliore, secondo l'epistola agli Ebrei (8:6). Egli stesso inaugura il Nuovo Patto celebrando e istituendo la cena6. Gesù è il MALAK, il messaggero, il mediatore del Nuovo Patto.

I restanti versi di Malachia 3:1-6 ci mettono meglio a fuoco questa applicazione alla Prima venuta di Cristo. Essi sono in stretta relazione con l'analisi che il profeta fa in rapporto al peccato, in ognuna delle due venute è questione di un intervento volto a portare soluzione al problema del male.

Nella prima venuta l'azione è specificatamente volta alla purificazione del credente. Questa azione è ben indicata dai verbi indicati al verso 3, (MIZRAF), purificare, far brillare, è (ZOHAR), rendere puro nel senso morale, perdonare, redimere, purificare! Tale è il senso che Paolo attribuisce in 1Co 6:11 all'opera di Cristo; «...siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio»!

Questa opera il Signore la compirà entrando nel Suo tempio. «... e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l'angelo dell'alleanza, che voi sospirate, ecco viene, dice il Signore degli eserciti» (3:1).

Con questa espressione Malachia percorre il centro del Messaggio del N.T., e questo in assoluto a partire dalla vita di Cristo per arrivare alla vita dei credenti.

Di Cristo i Vangeli affermano che Egli era nel Padre e il Padre era in Lui (Giov. 14:10), che tutto quello che Lui faceva lo era in tale dimensione (Giov. 6:57a) e da Cristo ai credenti il passaggio è presto fatto: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6:57). Egli intercede affinché questa esperienza sia riprodotta nei suoi (Gv 17:20-25).

Su questa dimensione "IN CRISTO" tema predominante nel Nuovo Testamento, Giovanni e Paolo, in particolare, sviluppano questo concetto:

1 - La salvezza dal peccato, dalla sua deprimente pesantezza, dai

suoi legami, dalla sua schiavitù, dalla sua multiforme morte, la si ottiene solo essendo in Cristo: «Il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna IN CRISTO GESU' nostro Signore» (Rm 6:23; cfr. 1Co 8:1,2; Gl 2:4; Col 2:28).

2 - La vita nuova, dall'alto: da Dio, è IN Cristo: «Se uno è in Cristo, egli è una nuova creatura». (2Co 5:17). Siamo cioè, figli di Dio. (Gv 1:11-13; 15:1-7; 2Ti 2:10; Gl 2:20).

3 - Ogni promessa, benedizione la possiamo avere solo in Lui. (Ef 1:3-11; 3:6; Fil. 4:19; 3:3)-

6 Kurios è l'appellativo più frequentemente usato nel NT per indicare Gesù. Ben 665 volte. Nella traduzione dei Settanta traduce l'ebraico IAWEH.

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4 - La potenza che condusse il Cristo può essere nostra solo se saremo in Lui (Ef 1:19,20; Fil 4:13; Col 2:10).

5 - L'unità della chiesa si avrà solo se tutti ed ognuno saranno fondati in Cristo, in questa Pietra. (Rm 12:5; Gal 3:28; Ef 2:13,22)

6 - La pace (Prov. 16:33), la vittoria (I Cor. 2:14), tutto è in LUI. (1Co 1:30,31), Dio stesso (1 Gv 5:19,20). Possiamo realizzare queste dimensioni solo se siamo IN CRISTO.

7 - La profezia di Malachia: «E subito... entrerà nel Suo tempio», è recepita da Paolo proprio come realtà prodotta da Dio tramite Cristo. (I Cor. 3:9-17; 6:18-20).

Giovanni dal canto suo ci dichiara che tutto questo è un divenire che si attua tramite la costante comunicazione prodotta mediante l'ascolto e la meditazione della Parola. (Gv 1:1-14; 15:1-7).

MALACHIA 4:1-57 e la seconda venuta.

Gli elementi contenuti in questi versi si applicano invece alla seconda manifestazione del Cristo. Non si tratta di un evento ripetizione del primo ma è questione del giorno di Jaweh.

Nell'Antico Testamento questa espressione indica il giorno della manifestazione finale di Dio per fare giustizia e giudizio. Gioele è il primo ad utilizzare questa espressione, tutto il suo scritto è focalizzato in questo evento8.

«Ahi, che giorno! Poichè il giorno dell'Eterno è vicino, e verrà come una devastazione mandata dall'Onnipotente. L'Eterno dà fuori la sua voce davanti al suo esercito, perchè immenso è il suo campo e potente l'esecutore della sua parola. Sì, il giorno dell'Eterno è grande, oltremodo terribile; chi lo potrà sostenere?Il sole mutato in tenebre, e la luna in sangue prima che venga il grande e terribile giorno dell'Eterno.Moltitudini, moltitudini nella valle del Giudizio. Poichè il giorno dell'Eterno è vicino nella valle del Giudizio: il sole e la luna si oscureranno, e le stelle ritireranno il loro splendore" (Gioele 1; 2; 3)

I segni cosmici che Gioele per primo associa a "quel giorno" saranno presi da Gesù come "Segni del suo Ritorno".

Prima di Malachia sarà ancora Sofonia (1:7) a farne uso con un preciso accento escatologico. Nel Nuovo Testamento l'espressione è ripresa da Pietro (3:9-13) e da Giuda (v.7) sempre con la stessa indicazione.

Anche l'espressione «giorno ardente che divampa» è spesso utilizzata per lo stesso evento. Il fuoco è un segno della presenza di Dio, presenza purificatrice. Si ricordi per inciso, vari interventi di Dio quali sacrifici consumati interamente da Lui, Sodoma e Gomorra, la colonna di fuoco nel deserto, Elia e i profeti di Baal, per tendere al giorno finale di Dio, giorno di Giudizio, della fine del male, giorno di fuoco (Gr 17:27; Is 66:24; Mt 25:41; Ap 20:7-15).

La seconda manifestazione, nel gran giorno, eliminerà completamente il male, non lascerà di esso nessuna radice, i termini chiave usati esprimono un'idea ben più radicale e contrapposta. Il primo verbo è applicato agli empi, è LANAT ed indica il radicale consumo del fuoco (4:1), il secondo è applicato ai redenti (4:2) e richiama la nuova terra di Isaia 66.

Malachia tratteggia quello che sarà il contenuto della fede della nuova alleanza, fede ricordata nella celebrazione della cena del Signore. Il credente quando celebra la Santa Cena si colloca pienamente nel piano di Dio, nel tempo di Dio, tempo della Salvezza. «Poichè ogni volta che voi mangiate questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore finch'Egli venga». L'annuncio focalizza due momenti "la morte del Signore" ed il "finchè Egli venga" in questi due momenti si compie tutta la salvezza dell'uomo e del mondo. Il credente "parte" dalla

7 Molte versioni invece di redigere in due capitoli, 3 e 4, lo fanno in un unico capitolo.8 Cfr. 2Te 1:8; 2Pi. 3:7-13; Giuda 7

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prima venuta di Cristo per proiettarsi verso la seconda, implora il Padre nostro ed esorta la venuta del Suo Regno.

Qui si colloca il cammino del credente, qui si trova il suo posto, la sua vocazione. Ai cristiani di Filippi, Paolo, dopo aver rivolto l'esortazione ad avere il medesimo sentimento del Cristo annichilito (2:5-8) addita la futura cittadinanza (3:20). Il figlio di Dio si muove da una venuta all'altra; dal già al non ancora, qui si profila il cammino del cristiano nel mondo.

Malachia quasi come ultimo testimone di un'alleanza ormai alla conclusione sottolinea, meglio di ogni altro profeta, questa futura vocazione del credente: porsi in cammino fra il già del Regno dentro di noi e il non ancora del Regno finale.

Il credente ancorandosi alla prima venuta scopre il senso profondo della sua vocazione, scopre la sua radice, la sua famiglia, il suo Signore venuto a farlo nuova creatura; volgendosi alla seconda venuta, realizza il fine, lo scopo, l'obiettivo che sta al suo futuro: il Ritorno del Signore della gloria.

UN POPOLO PER OGNI VENUTA: UN MESSAGGIO PREPARATORIO SPECIALE

Ci soffermeremo ora su un punto particolare che il nostro libro propone, un aspetto per nessun verso secondario: "Il messaggero delle due venute!".

Malachia annuncia che ogni venuta e manifestazione del Signore sarà preceduta dall'annuncio di un messaggio con un suo specifico messaggero. Uno studio comparato di questi due momenti ci fornirà delle interessanti considerazioni.

GIOVANNI BATTISTA

Ci siamo già soffermati per l'identificazione del messaggero del primo verso del capitolo 3, abbiamo visto che gli Autori del Nuovo Testamento lo identificano a pieni voti con il Battista. Queste applicazioni fanno di lui un riformatore più che un profeta, che con la condotta e con il parlare annuncia una nuova etica, una nuova società, un uomo nuovo. Giovanni, dirà Gesù, è più che un profeta. Giovanni è un asceta, un uomo votato per Dio, un uomo che si distacca dal mondo, un uomo che vive nel deserto dove Dio e la natura sono i suoi maestri.

Giovanni deve preparare un popolo ben disposto, pronto cioè a incontrarsi con il Messia. Per fare questo necessita produrre una generale riforma, una riforma che coinvolge tutti gli aspetti del vivere: il rapporto col mondo, il mangiare, il bere, il vestire, la sua relazione con Dio.

Questa alta vocazione del Battista era stata ben delineata dall'angelo che aveva annunciato a Zaccaria l'arrivo del futuro figlio: Giovanni doveva avere lo "Spirito e la potenza di Elia" (Lc 1:3-17).

Il nome e il personaggio di Elia riscuote notevole eco nel Nuovo Testamento, egli dopo Mosè e Abramo è il personaggio dell'Antico Testamento più menzionato, la sua figura è spesso evocata. Complessivamente una trentina di volte.

Al tempo di Cristo c'era una viva attesa per una manifestazione di Elia, ci fu fin dai tempi immediatamente successivi al rimpatrio dalla cattività e continuò fino al quarto secolo dopo Cristo, molte apocalissi di questo lasso di tempo sono definite "di Elia", inoltre abbiamo cenni di lui presso altri numerosi autori: Documento di Damasco, Testamento dei 12 Patriarchi, le assunzioni di Mosè, L'Ecclesiastico, (48:10) nonché alcuni padri della chiesa come Origene e Tertulliano.

A questo personaggio sono associate precise azioni nel contesto dei tempi escatologici: Elia riporterà la giustizia sulla terra, combatterà l'Anticristo, ungerà re il Messia, e ristabilirà le 12 tribù d'Israele9.

Questi racconti contribuirono non poco ad accendere e alimentare le speranze nazionalistiche del popolo Ebreo di quel tempo, nonché a creare lo spirito che portò i Giudei a rifiutare il Cristo e a

9 Grande Lessico del NT, di G. Kittel, BS 1972, Vol. 4, pag. 67 e seg.

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orientare tutta l'interpretazione giudaica dei brani Messianici dell'Antico Testamento sì da favorire e accentuare quelli che propendevano a questa "attesa".

E' quindi comprensibile come i Vangeli trovino spesso il nome di Elia sulle labbra dei rabbini (Gv 1:21,25). degli scribi (Mt 17:10), del popolo (Mt 16:14), in una comune espressione indicante attesa, speranza di gloria.

Troviamo sulle labbra di Gesù una applicazione di Elia al Battista10; Gesù ancora più chiaramente applica al Battista il "messaggero" di Malachia 3:1, questa stessa applicazione anche se non dalle labbra di Gesù la ritroviamo in Marco 1:1 e Luca 9:27.

Giovanni Battista negò coi termini più categorici la sua identificazione il profeta Tisbita: "NON LO SONO" (Gv 1:21).

Una applicazione in questi termini non è assolutamente derivabile dal messaggio biblico che nega chiaramente ogni forma di reincarnazione, per di più Elia apparve trasfigurato con Mosè sul monte assieme a Gesù: dunque nessuna identificazione di questo personaggio al Battista.

Giovanni Battista ne incarnò invece lo Spirito e la Potenza, rivisse il messaggio e la missione di Elia.

Se analizziamo la figura di Elia troviamo alcuni elementi che ci permettono una ricognizione del suo spirito e della sua potenza. Ritroviamo la sua storia a partire dal capitolo 17 del primo libro dei Re, era uomo dalla parola potente, (v. 17:1), un profeta nel quale Dio aveva posto la Sua parola (v. 24) potente per operar miracoli, un servitore del Signore (18:15). Pronto a tutto: tutto d'un pezzo (18:17) chiamava il peccato col suo proprio nome (21:21-26).

Elia fu strumento di Dio per produrre un profondo scuotimento, fu una cosa breve ma totale (18:19-20). Il peccato che il popolo era stato indotto a commettere da Jezebel era chiamato fornicazione (2Re 9:22), esso indica l'atto peccaminoso nel quale il credente abbandona il culto di Dio, rivelato nella legge, e adora altre divinità in altre forme.

L'ELIA FUTURO

Possiamo applicare il testo di Malachia 4:5 che si riferisce ad Elia, al messaggio che deve essere annunciato al tempo della fine? Visto che Gesù applica al Battista la figura di Elia? Visto che Malachia 4:5,6 è usato dall'angelo Gabriele per il Battista? (Luca 1:17).

Abbiamo già considerato anche esegeticamente come Malachia 4 abbia elementi per essere applicato alla seconda, finale e storica manifestazione personale del Signore.

Alcuni altri elementi ci permetteranno di chiarire meglio questo punto: Quando Gesù di ritorno dal monte della trasfigurazione, risponde alla domanda di Pietro, Giacomo e Giovanni a proposito del perchè "deve venire Elia" degli scribi dicendo: «Certo Elia deve venire e riporterà ogni cosa alla sua condizione». L'Elia che gli scribi attendono come liberatore nazionale verrà certamente, ma la sua venuta non sarà secondo la loro attesa (cf. Matteo 17:9 e seg.).

Nel testo di Matteo che abbiamo appena considerato, Gesù per indicare ciò che Elia dovrà compiere, riprende il verbo che nella Settanta è utilizzato in Malachia 4:6.

Questa versione traduce il termine ebraico SU'B che nel suo senso principale significa convertirsi, ritornare, con il greco "APOKATISTEMI", termine usato, nel Nuovo Testamento 7 volte e sempre con preciso senso di "Ripristino", ristabilimento della primitiva e originale condizione11, viene utilizzato per indicare il ritorno completo alla salute di colui che Gesù ha guarito (Mc 3:5; 8:25) con lo stesso senso di ristabilimento fisico viene utilizzato anche in diversi testi della

10 Giovanni Battista, il profeta preannunciato (Mt 17:10, Mc 1:1s. Lc 1:76s., uno più che un profeta, maggiore dei precedenti.

11 Mt 17:11; Mc 9:12; cfr Mt 12:13; Mc3:5; Lu 6:10; Eb 13:19.

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stessa versione dei Settanta12; viene utilizzato per indicare il ripristino che Dio farà per il suo popolo dopo la cattività13, dell'immagine di Dio che sarà riprodotta nell'uomo nei tempi messianici14.

L'opera dell'"Elia che deve venire" consiste dunque nel ristabilire nell'uomo la condizione iniziale di fedeltà, di conversione, di adesione al piano di Dio.

Questa fu l'opera che il profeta Elia svolse: fu, il suo, un tempo di apostasia da parte di quelli che professavano di seguire il Signore e la sua legge. C'era doppia vita! Accanto all'etica della rivelazione si seguivano i costumi dei popoli circonvicini: "nominalmente erano credenti, praticamente pagani. In teoria ostentazione del culto del Dio più degno d'onore: il Dio di Abramo, di Mosè, di Davide; nella pratica non si voleva distinguersi, "testimoniare" questa differenza fra il loro Dio e quello dei pagani, anzi si faceva tutto il possibile per risultare meno diversi, meno "settari"15.

Elia puntò arditamente il dito contro tale compromesso, contro tale fornicazione: «fino a quando zoppicherete con i due piedi? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui» (1Re 18:21).

Come abbiamo già visto, Elia fu un restauratore del culto dimenticato di JAWHE' e all'obbiedienza alla legge da tempo dimenticata. (1Re 18:8).

Chiaramente Gesù additando l'"Elia a Venire" parla di RIPRISTINO, di "APOKATISTEMI", così come ripristinò Elia. Lo stesso

Ma è nel libro dell'Apocalisse16e in particolare nei messaggi che andremo ad analizzare, che ritroviamo dei forti richiami al "Messaggio" di "Elia". Uno dei peccati più rimproverati e più additati in questo libro è la fornicazione, la prostituzione. L'uso di questo termine non sta tanto ad indicare l'impudicizia sessuale, il concubinaggio fisico, bensì quello spirituale, lo si deduce dall'analisi dei singoli contesti.

In Apocalisse 2:14 il suo utilizzo è in rapporto al culto di Baal: una applicazione ad una apostasia religiosa, Baal era il dio sole dei cananei.

In Apocalisse 2:20 è in rapporto a Iezebel, stesso culto idolatrico di Baal (1Re 16:31), in più unito alla stregoneria e alla divinazione. Ma in questo caso è il contesto che ci offre un'altra interessante applicazione: fornicazione è apostasia sul piano dottrinale, «A voi di Tiatiri invece, che non seguite questa dottrina, che non avete conosciuto la profondità di Satana, come la chiamano loro...».

Fornicazione è un'infedeltà ad un insegnamento della Scrittura, è una deviazione dall'insegnamento del Signore, dalla sana dottrina (cfr. 2Re 9:22).

Restano i testi di Apocalisse 14; 17 e 18, dove è la questione di Babilonia. E sono questi quelli che andremo ad analizzare nel corso del nostro studio.

Sono testi che si riferiscono a prima del ritorno di Cristo, i tre messaggi di Apocalisse 14:6-12 riproducono gli elementi motori del messaggio di Elia:

o il culto al vero e unico Dio Creatore Ap. 14:6,7; in Elia 1Re 18:21.

o la messa in guardia contro la fornicazione Ap. 14:8; in Elia 2Re 9:2217.

12 Es 4:6; Gr 13:16; Gb 5:18.13 Gr 16:15,23,18; Osea 11:11; Ez 16:55.14 Gr 15:19; Dt 30:30; Sl 14:7.15 Analizzare i capitoli 17 e 18 di 1Re.16 Ap 2:14, 20, 21; 9:21; 14:8; 17:1, 2, 4, 5, 16; 18:3, 9; 19:2; 21:8; 22:15;17 Che pace vi può essere finché durano le prostituzioni di Izebel, tua madre, e le sue innumerevoli stregonerie?

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o il ritorno all'accettazione totale e assoluta della legge Ap. 14:12 in Elia 1Re 18:8.

IL MESSAGGERO

Quando l'angelo Gabriele fu mandato da Zaccaria per annunciargli la nascita del figlio fece al padre una specifica e particolare profezia. Egli non si soffermò tanto sul messaggio che il Battista doveva trasmettere, ma soprattutto egli additò ciò che egli doveva essere: la sua persona, il suo portamento, la sua condotta, il suo carattere, il suo rapporto con Dio. Il suo stile di Vita!

Giovanni aveva sì un ben preciso Messaggio: preparare il popolo per la venuta del Messia, il

capitolo 3 di Luca ci sintetizza sul contenuto della sua predicazione: "Ravvedetevi e convertitevi",

ma il testo di Matteo applica per lui il testo di Malachia 4, il verbo «APOCATISTEMY»18. Per questo in Giovanni il messaggio però doveva scaturire dalla sua persona intera e non solo dalla sua predicazione, doveva essere un messaggio vivente.

Nessuno può predicare con potenza un messaggio che non vive. Non sarebbe nè attraente, nè credibile! Giovanni fu capace di scuotere tutti i settori del mondo del tempo: popolo, militari, finanziari, governanti; la loro posizione di autorità non li proteggeva dal terremoto della sua predicazione. Giovanni non aveva un'autorità conferitagli da un potere costituito, non aveva un'organizzazione che lo copriva. Non era un'istituzione!. Era un uomo che aveva un messaggio profetico capace di far nascere un movimento! Un movimento vivente, capace di saper sempre offrire un "luogo" di promozione umana piena e completa.

Giovanni era un riformatore sempre riformato in ogni aspetto della sua persona, dal bere al mangiare, al vestire, all'abitare: doveva essere grande davanti al Signore (Luca 1:13-14). Ciò rendeva potente il suo messaggio! Aveva un messaggio ed “era un movimento” teso verso la realizzazione, prima di tutto nella sua persona, del piano voluto da Dio per lui, sempre pronto a porre fine a se stesso qualora il Dio di questo Piano lo richiedesse: a chi gli chiedeva come fosse possibile che colui che Egli aveva battezzate avesse più successo di lui rispondeva: "Bisogna che Egli cresca ed io diminuisca" (Gv 3:30). Giovanni era voluto e guidato da Dio, dallo Spirito come Elia! La sua missione era stata predetta, il suo messaggio voluto e preparato da Dio.

Luca mosso dallo Spirito applica al Battista alcuni testi che Malachia applica all'Elia del tempo della fine. C'è una mescolanza fra questi due messaggeri: è chiaro che al Messia e al suo precursore sono applicati i primi versi di Malachia 3. Nell'applicare al Battista pure Malachia 4 (Lc 1:12-17; 3:1-18), Luca non intende dire che quell'Elia è il Battista, bensì intende fare una descrizione del carattere del Battista: sarà con lo spirito e la potenza di Elia.

Abbiamo così nello stesso tempo un'identikit dell'Elia del tempo della fine derivato dalla sintesi fra Giovanni e il profeta Tshibita, abbiamo il carattere e le linee fondamentali di quello che deve essere la figura dell'annunicatore dell'ultimo messaggio:

Un "profeta" con un messaggio specifico da parte di Dio.Uno voluto da Dio.Uno che predica ravvedimento.Uno che si erge contro il peccato.Uno che cerca la Gloria di Dio.Uno che difende la legge.Uno che vive il messaggio integralmente.

18 In Matteo 17:11 viene usato lo stesso termine di Malachia che ha in Ebraico il verbo SUV (byv) che ritroviamo anche in Isaia 58, la LXX traduce con (APOCATISTEMY) il testo di Malachia, con tutt’altro verbo Isaia 58.

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Uno che tende alla santità di tutto l'essere: Spirito, Anima, Corpo.Uno consacrato a Dio.

Analizzeremo questa figura alla luce di Apoc. 14:6-12 e questo ci permetterà ancora meglio di applicare il messaggio di Elia e di Giovanni Battista per il tempo della fine.

PERSONA O POPOLO?

Veniamo ora all'ultima considerazione. Chi sarà portatore di questo ultimo messaggio, un profeta, un redivivo Elia o un popolo con un messaggio profetico?

Una risposta ci è possibile risalendo all'uso dei termini.

Quando gli evangeli parlano di Giovanni Battista, quale messaggero precursore del Signore, per indicarlo usano il termine angelo (Lc 1:17 e Mc 1:2), dal greco AGGELOS. Giovanni era l'angelo del Signore! D’altra parte anche Malachia 3, nella versione dei LXX, enunciando il precursore che deve preparare la via al Signore usa lo stesso termine angelo19.

Il termine "angelo" nel Nuovo Testamento non indica perciò solo gli esseri celesti ma pure dei semplici strumenti umani al servizio del Signore, questo anche se la maggior parte dei casi indica degli esseri celesti20. L'uso che è fatto nel libro dell'Apocalisse merita una precisa attenzione. In

alcuni casi, senza ombra di dubbio, il suo senso è chiaramente da applicarsi agli esseri celesti. Altrove l'applicazione non può essere fatto in tal senso, per esempio in Apocalisse 2:1-2,8-10,12-14, ecc... 3:1-4.

In questi testi appare chiaramente che il termine è applicabile alla chiesa nella sua interezza, ai suoi rappresentanti (Ap 2:1-6), a tutta la comunità nei suoi singoli (2:18-25). In questo esempio della chiesa di Tiatiri è chiaro che l'espressione "angelo" indichi tutta la comunità. Vedasi pure per la chiesa di Laodicea il confronto fra i versi 14 e 15 e i versi 19,20 ci fa pensare che l’angelo cui è rivolto quel duro messaggio è l’intera comunità.

Anche il testo di Apocalisse 14:6-12, che costituisce l'ultimo messaggio di Dio, è annunciato da un angelo "Volante in mezzo al cielo".

Una prima lettura di questo testo e un suo accostamento con altri simili ci porta a concludere che "viene dal cielo", si tratta quindi di un essere celeste. Nell'Apocalisse "CIELO" indica sempre il "luogo" dove risiede Dio21 ma non sempre esso indica "quel luogo"; nel capitolo 12 la visione si apre "nel cielo" (vers. 1) ma i fatti sono fatti terrestri, questo capitolo riporta la storia del popolo di Dio perseguitato e ucciso, certamente non può essere perseguitato nel cielo!

Cielo quindi indica non solo il luogo di Dio, nel nostro testo poi l'angelo, il messaggero, non è "del Cielo" ma in mezzo a esso. Questo non vuol essere un cavillare sui termini, ma vi è qualcosa di reale a vedere: il termine non è OURANOS, usato tutte le volte che abbiamo l'espressione cielo, ma MESOURANEMA, usato solo tre volte e solo in Apocalisse, il suo senso non è cielo ma indica

l'atmosfera, il cielo dove volano gli uccelli22.

Questo angelo non è dunque nel cielo dimora di Dio, ma in terra, questi angeli messaggeri, poiché si tratta di tre angeli, sono poi identificati con i santi, con i fedeli (Ap 14:12), con

caratteristiche simili a quelli della donna e della sua progenie di apocalisse 12:17 (cf Ap 8:13; 19:7).

Il messaggero, l'angelo è il popolo di Dio, popolo che per essere tale deve predicare "questo specifico messaggio", con lo spirito e le caratteristiche che deve avere l'annunciatore di un tale messaggio: lo spirito di Elia, le caratteristiche di Giovanni Battista.19 Ancora questo termine è utilizzato per indicare i messi che Gesù fece precedere in Samaria per cercargli un alloggio Mt 11:10; Mc 1:2; Lc 7:27, 9:52.20 181 volte nel NT, di cui 160 volte con appliCazione agli esseri celesti.21 Per esempio in Ap 1:1; 5:2; 8:2-6; 10:1; 14:18; 22:822 Ap 4:1; 8:1; 10:1; 11:15; 18:1; 19:1; 20:1.

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CONCLUSIONE

Il messaggio di Malachia anche se nella storia della comprensione della Scrittura, nella storia della chiesa, non ha ricoperto l'interesse di altri profeti, ci comunica un messaggio esplosivo e avvincente, un messaggio che è inversamente proporzionale all'ampiezza del libro.

Vi troviamo:- i lineamenti storico-profetici del Piano di Dio nei Suoi due interventi.- I momenti, le circostanze, gli obiettivi di queste due venute.- Il protagonista: Gesù Cristo, i suoi precursori; per la prima Giovanni Battista per la seconda

un popolo che deve ripeterne le qualità.

Per questo ultimo aspetto il tutto deve esser ben situato nel suo contesto e può essere sintetizzato nei seguenti tre punti:

1. Un evento: il ritorno finale, storico, universale, glorioso e personale del Signore Gesù Cristo. La sua venuta risolverà in modo definitivo, totale, il problema del male, del peccato, della storia, dell'uomo. Realizzerà in forma definitiva il Regno di Dio dopo averlo "seminato" con la prima venuta.

2. Un messaggio: Dio ha concentrato in vista di questo evento tutte le sue attenzioni, esso sarà l'evento "più" della storia, qui essa trova la sua fine, il suo termine, il suo scopo. In vista di questo Dio ha stabilito un particolare messaggio, per tutte le genti, senza esclusione di sorta, è un messaggio imponente, è un messaggio rivoluzionario, è un messaggio per l'uomo, per redimerlo e salvarlo, per promuoverlo in ogni sua dimensione. E' un messaggio perentorio, non si potrà, di fronte ad esso restare indifferenti, è un messaggio di presa di posizione, di distacco, di abbandono. E' un messaggio di accusa di peccato, di fornicazione! E' un messaggio di avvertimento, di appello all'obbedienza e alla fede.

Chiunque di fronte ad esso resterà come prima "beverà anch'egli del vino dell'ira di Dio".

E' l'ultimo messaggio, disperato, all'uomo da un Dio che da sempre gli grida: "Dove sei?" "Vieni!" ( Genesi 3:9; Apocalisse 22:17)

3. Un popolo: per questo annuncio ci vuole un preciso messaggero, che non si pieghi, che non ceda ai compromessi, che sappia pienamente cosa si vuole. Dio vuole per questo un messaggero, vuole un popolo suo proprio, un popolo zelante, puro, santo, appartato, unico, obbediente, fedele. Questo popolo di Dio, questa chiesa non potrà mai annunciare un messaggio che non crede. Non sarà mai testimone di una realtà che non vive coerentemente! Non potrà mai proclamare un Regno e uno stile di vita che non sia preceduta e seguita dalla più fervida aderenza. La chiesa non sarà mai "profeta" di un avvenire, di un Regno, di un nuovo Eden se non lo realizza già ora negli atti quotidiani.

Il profeta Malachia 2400 anni or sono ha tratteggiato questa vocazione per il popolo di Dio, la stessa di Elia e di Giovanni Battista, l'apostolo Giovanni nell'Apocalisse ci presenta un Signore paziente bussante alla porta. Il popolo di Dio resterà ancora a lungo complice facendo aspettare fuori della porta quel Signore apportatore di Salvezza?