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Con il termine trasporto si indica il trasferimento, cioè il superamento di
uno spazio da parte di persone, animali o cose da un luogo ad un altro con
o senza veicolo.
Il trasporto può quindi essere definito anche come l’atto mediante il quale
viene soddisfatto il bisogno di mobilità delle persone e dei beni e, quindi,
esso assicura la mobilità anche dei fattori di produzione e dei prodotti,
favorendo così l’intensificazione degli scambi e dei rapporti sociali
(funzione sociale dei trasporti).
Costituisce uno dei requisiti essenziali per la crescita e lo sviluppo
dell’economia e il progredire della civiltà; infatti l’efficienza delle vie di
comunicazione e l’organizzazione dei trasporti di una nazione sono un
indice significativo del suo grado di civiltà.
Il trasporto può anche essere visto come una parte della logistica, intesa
come processo, che copre, pianificando e controllando tutto il ciclo
produttivo, dall’acquisto della materia prima alla consegna al cliente; e ne
è una parte importante. Il trasporto pesa infatti per oltre il 40% sul costo
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logistico totale e cioè il 6-7% del valore delle vendite e, in riferimento al
prezzo dei prodotti venduti, il 5%.
L’industria dei trasporti ha un ruolo importante nella Comunità Europea, di
cui rappresenta il 7% circa del PNL, il 7% dei posti di lavoro (occupa più
di 6 milioni di persone), il 40% degli investimenti realizzati dagli Stati
membri e il 30% del consumo energetico.
Il trasporto, mercato non autonomo ma derivato e quindi trainato e
condizionato da fattori esterni al suo controllo, è il collante tra produzione
e consumo indispensabile per l’economia di qualunque Paese.
Ma prima di iniziare ad analizzare più in particolare il mercato dei trasporti
occorre tracciare una grande distinzione tra trasporto persone e trasporto
merci.
La mia analisi è focalizzata sul trasporto merci in generale e
sull’autotrasporto merci in particolare per cui viene tralasciata l’indagine
sul trasporto passeggeri.
Trasporto merci che nasce, come detto, dall’esigenza di collegare le fonti
di approvvigionamento delle materie prime e dei semilavorati con i poli in
cui avvengono i processi di trasformazione produttiva, e questi ultimi con
il mercato e i centri di commercializzazione e distribuzione, allo scopo di
rendere disponibili i beni richiesti dalla comunità dei consumatori.
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Mentre l’analisi e la definizione dei mercati delle merci non pongono
problemi particolari, è diverso per i servizi; inoltre i servizi di trasporto
presentano delle anomalie specifiche. Le più importanti tra esse
riguardano:
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− le esternalità ambientali, cioè l’inquinamento atmosferico, acustico e
visivo;
− le infrastrutture: i trasporti “dipendono” dalle infrastrutture e quindi il
ruolo strategico che possono giocare è rilevante, inoltre il più delle volte
esse vengono decise e costruite dagli Stati;
− il fenomeno della congestione dovuto al fatto che il trasporto, essendo
un servizio, non si può immagazzinare e quindi quando la domanda è
superiore all’offerta si ha questo inconveniente;
− il problema dei “viaggi di ritorno a vuoto”: le varie domande di trasporto
riguardano itinerari diversi, ed anche sullo stesso itinerario sono
difficilmente equilibrate nei due sensi.
Queste anomalie hanno avuto per conseguenza un intervento generalizzato
dello Stato in questo settore, che ha così generato altre particolarità.
Anche il mercato dei trasporti è però caratterizzato, come tutti i mercati,
dal gioco della domanda e dell’offerta.
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La domanda di trasporto è la quantità dello stesso richiesta dagli
utilizzatori di questo servizio; è una domanda derivata, rispecchia in modo
quasi speculare l’andamento della domanda di beni; è inoltre direttamente
influenzata dal costo complessivo del trasporto stesso e dalla sua, relativa,
incidenza sul prezzo finale dei beni trasportati nello spazio.
La domanda di trasporto è una variabile dipendente dal reddito delle
famiglie ed è quindi strettamente legata al PIL con un’elasticità che va da 1
a un po’ più di 1, probabilmente in ragione di due diversi fattori. Il primo è
favorevole: si tratta della crescita in volume e della complessità del ciclo di
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produzione; i prodotti ad alto valore aggiunto passano per numerose fasi di
intermediari. Il secondo è sfavorevole: si tratta del rallentamento relativo
del settore primario (agricoltura, prodotti minerari, eccetera) che fa
diminuire il tonnellaggio trasportato.
Fare il punto sulla domanda di trasporto e poi prevedere la sua evoluzione
futura è necessario anche per organizzare il sistema di trasporto. Con il
miglioramento delle basi di dati, i metodi di previsione dell’evoluzione
della domanda sono diventati più ambiziosi e si sono adattati a nuovi
obiettivi. E’ così, per esempio, che gli studi attuali non si limitano
generalmente a prevedere l’evoluzione tendenziale, ma esaminano anche le
possibilità di influire sui trasporti per mezzo di diversi scenari di misure.
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L’offerta di trasporto è la quantità di trasporto realizzata e si tratta della
capacità produttiva di servizi attribuibile a una o più modalità in un
determinato momento.
Essa può essere misurata in:
• TKTP (tonnellate chilometro teorico pratiche) che esprimono l’offerta
virtuale o capacità teorico pratica; vale a dire, in termini più semplici,
tutti i mezzi con relativi carichi utili che sono disponibili, cioè pronti a
partire a richiesta;
• TKO (tonnellate chilometro offerte) invece indicano l’offerta reale, cioè
quella effettivamente immessa sul mercato (le unità di trasporto
effettivamente prodotte);
• TKT (tonnellate chilometro trasportate) che rappresentano la domanda
soddisfatta.
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Della situazione dell’offerta di autotrasporto merci si parlerà diffusamente
nel capitolo dedicato al caso aziendale, nel quale si esaminerà un’azienda
di autotrasporto merci italiana e la si inquadrerà nel contesto
concorrenziale nel quale si trova ad operare.
Il trasporto merci sta attraversando un momento di riassetto strutturale
globale dovuto a una serie di fenomeni:
1- /LEHUDOL]]D]LRQH�GHO�0HUFDWR�8QLFR�(XURSHR
Gli effetti indotti dal completamento del processo di integrazione europea
hanno determinato una situazione di accresciuta concorrenza.
2 - 5XROR�GHL�3DHVL�GHOO¶(XURSD�&HQWUDOH�H�2ULHQWDOH
Il passaggio attuale dall’economia pianificata a quella di mercato che è in
atto nei paesi dell’Europa Orientale, inciderà sicuramente sui traffici di
merci della Comunità, quanto meno, gli scambi con i paesi dell’Est
tendono a far aumentare le percorrenze medie.
Sono stati fatti diversi studi per prevedere l’evoluzione futura del traffico
di merci Est-Ovest, ma gli scarti importanti tra le diverse stime illustrano le
difficoltà ancora esistenti nell’analisi e nella previsione dello sviluppo
economico in Europa Orientale, soprattutto per quanto riguarda l’ampiezza
e il ritmo di questo sviluppo. Si può comunque tracciare un bilancio
generale secondo il quale il traffico Est-Ovest crescerà più rapidamente
degli altri flussi di traffico europei e raggiungerà un volume che
modificherà sensibilmente la struttura attuale del trasporto di merci in
Europa.
3 - &DPELDPHQWL�LQGXVWULDOL��ORJLVWLFL�H�WHFQRORJLFL
Per quanto riguarda i cambiamenti industriali, come già detto, si ha un
aumento degli scambi di prodotti sofisticati che richiedono diverse fasi di
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lavorazione, e quindi diversi trasferimenti, prima di essere distribuiti ai
consumatori.
I cambiamenti logistici invece sono conseguenza dell’evoluzione del ruolo
dei trasporti nel processo di produzione. Il trasporto è sempre meno inteso
come pura e semplice vezione e sempre di più come offerta integrata di
tutti i servizi annessi e connessi al trasporto stesso.
Dal punto di vista logistico la domanda di trasporto è cambiata
notevolmente soprattutto per l’affermarsi in modo sempre più rilevante di
una filosofia logistica che determina una sostanziale modifica delle
esigenze di trasporto: il just in time (JIT).
Esso consiste nello snellimento di tutte le fasi del ciclo produttivo e nella
conseguente riduzione delle scorte.
I richiedenti il servizio di trasporto fanno quindi sempre più attenzione e
ricercano un servizio di una certa qualità dando particolare importanza a
determinati aspetti qualitativi del trasporto (affidabilità, tempi di resa,
flessibilità, sicurezza) piuttosto che ad aspetti quantitativi.
I risultati che finora emergono in Europa dall’applicazione di questa
tecnica sono ben diversi da quelli ottenuti dai giapponesi.
In Europa e in Italia l’obiettivo del JIT è la riduzione delle scorte, in
particolare la riduzione al minimo dei tempi di attesa dei materiali e dei
componenti, facendoli giungere sulle linee di produzione al momento più
opportuno e adeguato rispetto all’andamento del processo produttivo. In
questo modo diventa superflua la necessità di immagazzinare i materiali,
con notevole diminuzione del capitale immobilizzato. L’obiettivo dei
giapponesi è invece più complesso: riguarda l’incremento generale della
produttività degli addetti, diretti o indiretti, serve a individuare i colli di
bottiglia esistenti nel processo produttivo e a trovare il modo per risolverli.
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Nel nostro caso quindi occorre fare attenzione perché - al limite - il JIT
rischia di configurarsi come un semplice trasferimento di costi dallo
stoccaggio al trasporto, se non si interviene con una serie di altri supporti
(tra cui l’informatizzazione del processo produttivo) e sulle condizioni di
mercato.
Il JIT nel trasporto si basa infatti su due fattori determinanti che sono
l’intermodalità e l’informazione: l’intermodalità perché qualsiasi passaggio
di merci da terra a bordo e viceversa deve essere fatto in “flusso teso”, cioè
senza attese; l’informazione perché solo con un adeguato sistema di
tracking e tracing si ha la possibilità di realizzare un flusso teso anche nei
trasporti. Ciò evidentemente ha forti ricadute non solo sul costo del
trasporto, ma anche sulla produttività a monte e a valle del trasporto stesso.
I cambiamenti tecnologici consistono invece nell’applicazione sempre più
diffusa ai trasporti dell’informatica e della telematica (sistema di
interscambio di dati informatizzati EDI).
Per dare una dimensione quantitativa a questa evoluzione basti dire che nel
1991, i trasporti di merci assicurati in Europa Occidentale dai mezzi di
superficie (trasporti stradali, ferrovia, navigazione fluviale e condotte) si
sono elevati a circa 1.350 miliardi di tonnellate-chilometri1, ciò
rappresenta una crescita del 60% in rapporto al 1970. In media annuale,
questa crescita raggiunge il 2,2%; essa è dunque leggermente inferiore alla
crescita del PIL dell’Europa Occidentale che raggiunge il 2,5%.
Questo è dovuto soprattutto al fatto che negli ultimi 20 anni la domanda di
trasporto ha registrato una crescita pressoché ininterrotta (2,3% l’anno per
1 La tonnellata-chilometro (t/km) è un’unità di misura che esprime la percorrenza di un chilometro da parte di una tonnellata di merce. Per ulteriori dettagli si rimanda ai capoversi successivi.
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le merci) ma essa si è ripartita in modo profondamente ineguale tra i
diversi modi di trasporto.
7DEHOOD������Ripartizione modale del traffico di merci nell’Unione Europea
(miliardi di tonnellate-chilometri)
Modi di trasporto1 Ferrovia Strada Navigazione fluviale
Oleodotti Totale
Paesi 1970 1991 1970 1991 1970 1991 1970 1991 1970 1991 Austria 9,9 12,9 2,9 7,1 1,3 1,5 3,6 6,7 17,7 28,2 Belgio 7,9 8,2 13,1 34,1 6,7 5,2 0,3 1,1 28,0 48,6 Danimarca 1,9 1,9 7,8 9,0 9,7 10,9 Finlandia 6,3 7,6 12,4 23,8 4,4 3,6 23,1 35,0 Francia 67,6 51,5 66,3 117,2 12,7 6,8 28,2 22,7 174,8 198,2 Germania Ovest 70,5 62,0 78,0 187,7 48,8 55,0 15,1 13,5 212,4 318,2 Grecia 0,7 0,6 7,0 11,9 7,7 12,5 Irlanda 0,6 0,6 - 5,1 - 5,7 Italia 18,1 21,7 58,7 182,8 0,4 0,1 9,1 11,8 86,3 216,4 Lussemburgo 0,8 0,7 0,1 0,6 0,3 0,3 1,2 1,6 Paesi Bassi 3,7 3,0 12,4 23,3 30,7 34,8 4,1 5,4 50,9 66,5 Portogallo 0,8 1,8 - 10,8 - 12,6 Regno Unito 24,5 15,3 85,0 127,2 0,3 0,2 2,7 11,1 112,5 153,8 Spagna 10,3 10,8 51,7 157,2 1,0 4,8 63,0 172,8 Svezia 17,3 18,8 17,8 25,4 35,1 44,2 Svizzera 6,6 8,1 4,2 10,0 0,2 0,2 1,2 1,2 12,2 19,5 Unione Europea2 247,5 225,5 417,4 933,2 105,8 107,7 65,3 78,3 834,6 1344,7 1 Esclusi la navigazione marittima e il trasporto aereo. 2 Esclusa la Germania dell’Est. )RQWH: CEMT, DIW.
Le previsioni del Comitato Europeo dei ministri del trasporto indicano una
crescita del 40% del volume del trasporto su strada entro il 2000, e
addirittura il raddoppio entro il 2015; è evidente che ciò comporta un
radicale cambiamento nel modo di operare e nella struttura delle imprese di
trasporto.
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6,67(0$�'(,�75$63257,
9
Il sistema comunitario dei trasporti è costituito dall’insieme dei modi di
trasporto che dovrebbero essere tra di loro coordinati. Il condizionale è
d’obbligo perché la notevole disponibilità odierna di modi di trasporto, in
condizioni economiche e di esercizio diverse, ha portato ad una sensibile
concorrenza fra i modi stessi in quei casi nei quali il medesimo servizio
può essere indifferentemente reso da due o più di essi. Oltre però alla
concorrenza che, se non raggiunge i limiti della concorrenza selvaggia, può
sicuramente essere positiva, oggi si verifica anche una irrazionale
distribuzione dei servizi di trasporto, così che i vantaggi sociali, che il
notevole progresso tecnico avrebbe dovuto consentire in questo campo,
non sono stati completamente realizzati.
L’Europa ha tutt’oggi uno dei più frammentati sistemi di trasporto del
mondo civilizzato.
C’è chi nella definizione di sistema comunitario dei trasporti include anche
le infrastrutture. In questo senso si può allora dire che l’Unione Europea
(UE) sta cercando di superare questa frammentazione con il progetto delle
reti transeuropee (TEN).
Una modalità di trasporto consiste nei metodi di realizzazione di un
trasporto che utilizza un solo tipo di infrastrutture e/o veicoli.
Sono essenzialmente 4 i modi di trasporto utilizzati in Europa come nel
mondo; la ripartizione percentuale dei traffici però, soprattutto quelli di
merci, tra le diverse modalità varia da paese a paese. Ogni paese infatti
dispone di un sistema di trasporto che è influenzato dalle modalità
disponibili, dal loro grado di efficienza, dalle forme di gestione dei servizi.
Le 4 modalità sono:
1. Modalità marittima e per via d’acqua interna.
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2. Modalità aerea.
3. Modalità ferroviaria.
4. Modalità stradale.
Oggi si parla inoltre con sempre più insistenza dell’intermodalità che,
come dice la parola stessa, coinvolge più modi; essa viene vista come
principale alternativa al trasporto su strada e dovrebbe favorire nei vari
percorsi quanto più possibile l’impiego del modo più economico2.
In certi settori del mercato, il problema della concorrenza intermodale non
si pone: il trasporto aereo è senza rivali sulle lunghe distanze; non ci sono
alternative alla navigazione marittima per i trasporti di merci pesanti oltre
mare.
Per altre componenti della domanda ci sono almeno in principio delle
possibilità di concorrenza intermodale.
Un dibattito animato ha luogo in Europa per sapere se bisogna
incoraggiare la concorrenza o favorire l’integrazione modale, creando delle
“catene intermodali” di trasporto, come ad esempio l’intermodalità nel
trasporto ferroviario di merci, utilizzando la ferrovia sulle lunghe distanze
e la strada per la distribuzione (ferroutage) eventualmente con estensione
alla navigazione marittima.
Le intermodalità tra il camion e l’aereo esistono già, ma è chiaro che
interessano essenzialmente la ferrovia perché questa non è in grado, se non
eccezionalmente, di fornire dei servizi porta a porta. Anche il trasporto
aereo soffre dello stesso tipo di problema della rotaia, ma è poco esposto
alla concorrenza sulle distanze per le quali è il modo dominante.
2 Il modo più economico dovrebbe essere l’autotrasporto fino a 600 km, la ferrovia sopra i 600 km e il combinato per le tratte superiori ai 1000 km.
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La ferrovia invece è sistematicamente “integrata” con l’autocarro o il
camion sulle corte distanze e non è in grado di concorrere sulle medie se
non con i treni a grande velocità.
Per spiegare meglio l’importanza dei diversi modi di trasporto è sufficiente
vedere le quote che essi hanno nel trasporto merci espresse in
tonnellate/chilometri (t/km).
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,/�75$632572�0(5&,�,1�(8523$
Strada72%
Rotaia15%
Vie navigabili7%
Oleodotti6%
)RQWH��elaborazione ANFIA su dati CEMT 1993.
Se le t/km sono l’unità di misura principalmente usata per le statistiche c’è
però da dire che sono diversi gli studiosi che ne propongono altre, in
particolare il fatturato, i veicoli/chilometri o le tonnellate.
Basti citare il francese Christian Gerondeau3 e l’italiano Alberto Russo
Frattasi4, i quali sostengono che questa unità di misura non è indicativa
3 GERONDEAU C., ,�WUDVSRUWL�LQ�(XURSD, Torino, 1996, cap 3. 4 RUSSO FRATTASI A., 3UHYLVLRQH�H�ULSDUWL]LRQH�PRGDOH�GHO�WUDIILFR�PHUFL in “Trasporti Industriali”, n° 424, luglio/agosto 1994, pag. 86.
12
dell’importanza che i vari modi rivestono perché non ha né un significato
economico né fisico5.
���0RGDOLWj�PDULWWLPD�H�SHU�YLD�G¶DFTXD�LQWHUQD
Dopo il primo mezzo di trasporto che fu l’uomo, sicuramente vanno
annoverati i veicoli fluviali. Nel passato il mare e i corsi d’acqua interni
hanno svolto un ruolo fondamentale per il trasporto delle persone e
soprattutto delle merci.
Dal XVII secolo - quando i corsi d’acqua naturali sono stati completati con
una rete di canali che ha collegato tra loro i diversi bacini di molti fiumi -
alla metà del XIX secolo in molti Paesi i corsi d’acqua hanno costituito la
principale via per i trasporti terrestri pesanti.
Mare e corsi d’acqua svolgono ancora oggi un ruolo essenziale nel
trasporto di merci tra l’Europa e il resto del mondo e assorbono una parte,
seppur modesta, del traffico tra i Paesi europei.
La situazione è però molto diversa nei vari Paesi; infatti mentre in paesi
come ad esempio l’Italia la navigazione per via d’acqua interna è molto
ridotta, in altri, come la Germania, assume un certo rilievo.
Il trasporto marittimo internazionale è, per definizione, un’attività
liberalizzata; se così non fosse, nessuno potrebbe beneficiare della
5 Per esprimere la loro funzione sul piano economico, cioè del servizio reso alla collettività, Gerondeau pensa sia più indicativo misurare il “fatturato” dei diversi modi di trasporto, cioè le somme che gli utenti pagano per avere il servizio di trasporto. Dal punto di vista fisico invece sarebbe più corretto, per evidenziare l’ingombro delle reti, utilizzare i veicoli/km, che indicano il volume del veicolo che trasporta invece del volume del prodotto trasportato, e che spesso non hanno nessun rapporto con le t/km. In questo modo Gerondeau stima che si avrebbe un quasi-monopolio del trasporto stradale e che lo stesso non può esser ridotto incoraggiando gli altri modi di trasporto. L’italiano Alberto Russo Frattasi sostiene invece che le previsioni di sviluppo del trasferimento di aliquote di merci da un modo di trasporto a un altro devono essere fatte sui valori quantitativi (t) e non su quelli dei traffici (t/km), in quanto ciò serve a ridimensionare l’euforia sul combinato e a riportare il peso dello stesso rispetto al traffico tradizionale nelle giuste dimensioni. La linea di pensiero sostenuta da questi studiosi va assolutamente contro quella ufficiale (dei diversi governi e degli organismi comunitari) che si basano appunto su statistiche espresse in t/km.
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funzione che tale modo di trasporto assolve nello sviluppo del commercio
internazionale. Tuttavia, il cabotaggio marittimo è stato progressivamente
introdotto solo a decorrere dal 1° gennaio 1993 per fasi successive stabilite
nel 1992; quello fluviale dovrebbe esserlo invece dal 1° gennaio 2000.
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���0RGDOLWj�IHUURYLDULD�
L’invenzione della ferrovia, preceduta dalla costruzione della macchina a
vapore da parte dell’inglese Watt nel 1769, segnò per il mondo occidentale
l’inizio dell’era industriale. Da quel momento le ferrovie ebbero uno
sviluppo impressionante e una diffusione pressoché capillare in Europa.
In molte nazioni, a causa degli elevati capitali necessari per la costruzione
delle linee ferroviarie, fu lo Stato a finanziarle. Ciò ha portato, esempio
eclatante l’Italia, alla gestione di questa modalità di trasporto con criteri,
quelli delle aziende pubbliche, che non hanno permesso per esempio la
soppressione delle linee ferroviarie a scarso traffico, i cosiddetti “rami
secchi”, o l’adozione di prezzi razionalmente legati ai costi, con la
conseguenza che le FS hanno accumulato disavanzi enormi nonostante
peraltro gli ingenti finanziamenti di cui hanno goduto.
Proprio per introdurre la concorrenza nei servizi ferroviari e porre così fine
a questa situazione i Ministri dei Trasporti dell’Unione Europea, durante il
Consiglio del 20 giugno 1991, hanno deciso di mettere fine al monopolio
degli enti ferroviari con la Direttiva 91/440/CEE, che prevede la
separazione della gestione delle infrastrutture ferroviarie dall’espletamento
dei servizi. Soltanto le prime devono rimanere pubbliche. Queste misure
dovrebbero rendere i servizi più competitivi, potendo le imprese
concorrenti fare circolare dei treni su una rete ferroviaria essenzialmente
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pubblica come è il caso dei trasporti stradali. Tecnicamente però la
separazione dell’infrastruttura e dei servizi è una operazione molto
complessa: i treni non circolano “liberamente” e il progresso tecnologico
fa sì che nel futuro essi saranno ancora più “pilotati” per mezzo di sistemi
di telecomunicazioni e di sicurezza molto evoluti.
Inoltre le compagnie ferroviarie, pubbliche e sovvenzionate non sono
spinte a farsi concorrenza le une le altre, ma più spesso esse si alleano
contro dei “nemici comuni” come il trasporto stradale.
Ne risulta una estrema resistenza alla Direttiva Comunitaria 91/440; per
adesso infatti questa direttiva non ha avuto seguito.
Al contrario di questa immagine d’insieme negativa, tre Paesi hanno (in
modo parziale e autonomo) lanciato un processo di separazione tra le
infrastrutture e i servizi (Regno Unito, Svezia e Germania). La Francia,
l’Italia e la Spagna sembrano invece opporsi a intraprendere concretamente
una tale separazione. (In Italia è però da segnalare un tentativo di recupero
dell’economicità delle ferrovie stesse con la loro privatizzazione.)
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���0RGDOLWj�DHUHD
I voli in Europa ebbero inizio nel 1906; solo però dalla seconda metà del
XX secolo, con l’invenzione del reattore e del turbo propulsore, il trasporto
aereo iniziò a dare il suo contributo al soddisfacimento dei bisogni delle
economie moderne e alla rivoluzione delle condizioni di scambio sulle
distanze medio/lunghe. O meglio, i primi traffici aerei commerciali ebbero
inizio nel 1919 e poi in pochi decenni assunsero dimensioni rilevantissime.
A causa però delle caratteristiche tecniche dell’aeromobile, che rendono
estremamente costoso il trasporto del carico pagante, sono oggi trasportate
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con questa modalità quasi esclusivamente le merci ricche, quelle deperibili
e i carichi postali.
Le misure di liberalizzazione che l’Unione Europea prende già da un certo
tempo, hanno portato le compagnie aeree a costituire dei cartelli, aiutate in
questo dal fatto che numerosi aeroporti sono di proprietà pubblica e che
queste compagnie beneficiano di importanti interventi finanziari in loro
favore. Il trasporto aereo europeo può così essere classificato nella
categoria dei settori oligopolistici.
La politica comunitaria di liberalizzazione in questa materia ha avuto
inizio nel 1980 e si è svolta in tre fasi, l’ultima delle quali, il cosiddetto
“terzo pacchetto aereo”, è entrata in vigore il 1° gennaio 1993. Il
cabotaggio è diventato definitivo con il 1° aprile 1997.
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In Europa occidentale le cifre dei trasporti sono più che raddoppiate tra il
1970 e il 1990, tanto per quel che riguarda i passeggeri quanto per quel che
riguarda le merci.
La ferrovia però, non ha praticamente beneficiato di questa crescita
globale, anzi ha perso quote importanti nel settore merci e quindi questa
crescita si è fatta esclusivamente a profitto di un solo modo di trasporto: la
strada. E’ il trasporto stradale di merci che ha conosciuto la più forte
espansione con un ritmo medio di crescita che si è collocato al 3,7%
annuo: nello stesso periodo, questa parte del mercato è passata dal 50 al
70%.
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Anche nei paesi dell’Europa Centrale e Orientale dove l’apertura
economica e politica si è già tradotta in una crescita degli scambi di merci
e di servizi, si assiste a una indesiderabile evoluzione che si traduce in un
abbandono della ferrovia a vantaggio della strada: nel corso degli ultimi tre
o quattro anni, le ferrovie dei paesi in transizione hanno visto le loro
prestazioni di trasporto di merci (espresse in tonnellate-chilometri)
abbassarsi in media dal 30 al 50%.
Il trasporto merci su strada, nella sola Unione Europea, arriva a 800
miliardi di t/km.
Il trasporto merci su gomma che quindi, in base a queste cifre, può dirsi
essere, dal punto di vista dei trasporti, il settore portante dell’economia
europea, fin dagli inizi degli anni ‘70 è stato interessato da una serie di
profonde trasformazioni i cui effetti hanno radicalmente modificato il
contesto competitivo delle imprese di autotrasporto.
Esso sta ancora attraversando una fase di evoluzione, per adeguarsi sia alla
domanda creata dai nuovi assetti logistici dell’industria e della
distribuzione (primo fra tutti il just in time), sia alla situazione di
accresciuta concorrenza sviluppata dalla liberalizzazione del Mercato
Unico Europeo.
L’offerta di trasporto di merci in particolare ha conosciuto un’autentica
rivoluzione per effetto dei grandi progressi dei veicoli da trasporto su
strada (in termini di carico utile, di potenza dei veicoli e di velocità media)
e della creazione della rete autostradale che copre ormai quasi tutto il
territorio europeo. Il settore evolve verso una crescente integrazione
verticale dominata, per i servizi complessi, per le lunghe distanze, eccetera,
da imprese che controllano le “catene di trasporto” e i mercati, anche se
continuano ad esistere una miriade di piccoli trasportatori.
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I principali vantaggi dell’autotrasporto merci sono sicuramente:
• buon rapporto costo-efficienza rispetto alle altre modalità almeno sulle
brevi distanze. Sulle lunghe distanze l’autotrasporto “vince” per le
inefficienze degli altri modi di trasporto;
• grande capacità di penetrazione;
• spiccata flessibilità;
• velocità;
• collegamento che fornisce tra modi di trasporto diversi.
L’efficienza dall’autotrasporto di merci per conto terzi è stata sicuramente
raggiunta in parte rilevante grazie al fatto che questo è un settore
concorrenziale.
Inoltre occorre sottolineare che la strada offre flessibilità e convenienza nei
concetti moderni della velocità di servizio e della riduzione degli stock
nelle fabbriche, resa possibile dal rifornimento continuo e frazionato.
I fattori limitativi della crescita di questo settore, non sufficientemente
tenuti presenti negli anni passati, ai quali oggi si dà invece una sempre
maggiore importanza, sono l’ambiente e la congestione della rete, oltre a
un fenomeno del quale spesso si tendono a sottovalutare i costi, cioè gli
incidenti stradali. L’autotrasporto dovrà, quindi, ricercare un miglior
equilibrio fra l’indispensabile miglioramento della sua produttività,
realizzabile soprattutto tramite l’informatica e la teleinformatica, e questi
fattori; anche se occorre sottolineare che i camion hanno fatto grandi
progressi nell’abbattimento delle emissioni, nella sicurezza e nel comfort
per gli autisti.
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Il progresso tecnico potrebbe giocare un ruolo in materia, in primo luogo
con le tecnologie dell’informazione che permettono di controllare i veicoli
in movimento e di migliorare l’interfaccia tra l’offerta e la domanda. In
secondo luogo, il controllo del livello delle emissioni (filtri diesel),
riducendo l’impatto ambientale, può affievolire le pressioni dell’opinione
pubblica su questo settore.
Un altro elemento importante è la possibilità di accrescere i carichi
trasportati (doppio rimorchio), nel quadro delle limitazioni regolamentari
della circolazione (circolazione notturna solo nei centri di distribuzione e
sulle autostrade), senza aumentare il carico per asse. Tuttavia la resistenza
a questo tipo di innovazione è notevole e proviene o dagli ecologisti o
dalle società ferroviarie.
Le preoccupazioni per i problemi che l’autotrasporto genera, fondano
sempre più il convincimento che non è più sufficiente ricorrere a soluzioni
tampone ma è indispensabile agire in profondità modificando il modello,
agendo direttamente sugli aspetti più delicati quali quello economico pur
di pervenire a risultati di integrazione dei trasporti. Modificare il modello
significa, secondo alcuni, spingersi fino a prevedere di limitare le
possibilità di trasporto.
Sarebbe questa una notevole inversione di tendenza, in un organismo quale
la Commissione Europea che ha fatto del liberismo e del “vinca il mercato”
il suo slogan e il suo credo.
E’ sicuro comunque che ai nostri giorni non si domanda più alla politica
dei trasporti di reagire a posteriori alle evoluzioni, ma si richiede alla
stessa di dare prova di creatività fondandosi su basi solide.
Concludendo si può quindi dire che l’autotrasporto merci ha dimostrato, e
continua a dimostrare, una capacità straordinaria di rispondere alla
19
domanda, tanto sul piano della qualità che dei volumi e dei prezzi, ma con
un “non rispetto” crescente della regolamentazione e con dei costi esterni
molto elevati.
In quale misura questi costi esterni sono coperti dalle tasse?
E’ una questione controversa, ma evidentemente, i costi di congestione non
sono internalizzati e sono estremamente rilevanti in certe zone e in certi
periodi. Le numerose infrazioni alla regolamentazione sui carichi, sulle ore
di guida e sulla velocità confermano che altre esternalità non sono del tutto
compensate.
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���� 3ROLWLFKH� FRPXQLWDULH� H� OHJLVOD]LRQH� FKH� KD� SRUWDWR� DOOD�
OLEHUD�FRQFRUUHQ]D�QHO�VHWWRUH�GHOO¶DXWRWUDVSRUWR�PHUFL�
La libertà di circolazione delle merci è una delle quattro libertà perseguite
in campo comunitario che riguardano persone, servizi, capitali ed appunto
merci.
Il Trattato di Roma, istitutivo della Comunità Economica Europea (dal
1992 denominata Unione Europea), firmato nel 1957, voleva fare della
politica dei trasporti una politica comune, ma la realtà ne ha fatto per molto
tempo soltanto una politica comunitaria, cioè una politica limitata
all’armonizzazione e all’inquadramento delle politiche nazionali. Se la
consideriamo una politica comunitaria, vale a dire una politica che non
sostituisce, ma semplicemente inquadra le politiche nazionali, si può essere
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soddisfatti delle sue realizzazioni. Motivo di insoddisfazione è comunque
la sua lentezza.
Il ritardo nella realizzazione della politica dei trasporti è da collegare alla
contrapposizione dialettica che per lungo tempo ha caratterizzato i rapporti
tra la Commissione e il Consiglio europei. Il punto di svolta si è avuto nel
1985 con la condanna del Consiglio da parte della Corte di Giustizia
Europea per non aver compiutamente esteso la libertà di prestazione dei
servizi al comparto trasporti, come richiesto dall’articolo 75 del Trattato di
Roma, con la conseguente pubblicazione da parte della Commissione del
Libro Bianco sul completamento del mercato interno e con l’Atto Unico
Europeo del 1987.
Come già sottolineato nel primo paragrafo, i trasporti presentano diversi
aspetti peculiari e, proprio per questo, ad essi è dedicato nel Trattato di
Roma un apposito titolo (il titolo IV e cioè gli articoli dal 74 all’84), che
ha particolare riguardo per i trasporti terrestri, di preminente interesse per
l’area comunitaria.
E’ comunque acquisito, grazie all’autorevole intervento della Corte, il
principio secondo cui, salvo il caso di espresse deroghe, sono applicabili al
settore dei trasporti anche le regole generali del Trattato.
Lo sviluppo della politica comunitaria dei trasporti è stato carente per oltre
un quarto di secolo per la mancanza di una “sincronizzazione” mai attuata
con quelle di altri settori e per il protocollo dispersivo di organismi
istituzionali dell’Unione Europea, oltre che per il ritardo con cui i singoli
Stati membri recepivano le direttive comunitarie che, a differenza dei
regolamenti, non sono direttamente applicabili negli Stati membri, ma
devono essere ratificate.
21
Si ritiene comunque che, se ci si poteva lamentare della lentezza nella
realizzazione della politica comune dei trasporti in passato, alla vista dei
risultati ottenuti nel corso degli ultimi anni, la politica condotta
dall’Unione Europea nel settore dei trasporti stradali si è rilevata
particolarmente efficace.
Già con l’Atto Unico, il trasporto merci non viene più semplicemente
considerato alla stregua di un mero servizio di supporto alle attività
produttive, funzionale all’attuazione del principio della libera circolazione
dei beni, ma è concepito come un settore economico autonomo, soggetto
alle regole ed alle logiche concorrenziali proprie di tutti gli altri settori
economici.
Per arrivare a un mercato comune dei trasporti stradali, quale dovrebbe
essere quello che si avrà con l’entrata in vigore del regime definitivo di
cabotaggio, erano necessarie norme comuni che garantissero:
a) il libero accesso alla professione di trasportatore;
b) l’armonizzazione delle condizioni di concorrenza;
c) il coordinamento delle infrastrutture dei trasporti e il ravvicinamento
della tariffazione concernente il loro uso.
a) Sono da citare a questo riguardo la Direttiva CEE 74/561 che disciplina
l’accesso alla professione di trasportatore di merci su strada nel settore dei
trasporti nazionali ed internazionali, la Direttiva CEE 77/796 riguardante il
riconoscimento reciproco dei diplomi, certificati ed altri titoli di
trasportatore di merci e di persone su strada, sostituite entrambe dalla
Direttiva 96/26 che dà una codificazione organica della materia.
Quest’ultima fissa per gli Stati membri i requisiti per le tre condizioni alle
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quali i candidati trasportatori devono rispondere, cioè l’onorabilità, la
capacità finanziaria e la capacità professionale; stabilisce inoltre che gli
Stati membri riconoscano come prova sufficiente gli attestati e i documenti
rilasciati da un altro Stato membro certificanti che queste condizioni sono
soddisfatte.
b) La caduta delle barriere doganali nel 1968 e l’entrata in vigore, con il 1°
gennaio 1988, della tariffa doganale comune (Taric) hanno posto le basi
perché si potesse formare all’interno della Comunità un mercato
concorrenziale. Il Regolamento 68/1017 ha ribadito tale intento degli
organismi comunitari. Esso infatti sostanzialmente vieta nei settori dei
trasporti ferroviari, su strada e per vie navigabili, le associazioni
d’impresa, le pratiche concordate tra imprese - ad eccezione di alcune
intese che contribuiscono a migliorare la produttività - e lo sfruttamento
abusivo di una posizione dominante.
L’Unione Europea ha cercato poi di armonizzare la concorrenza
intervenendo nell’ambito degli aspetti sociali, tecnici e fiscali con diversi
provvedimenti che saranno analizzati nel corso della trattazione quando si
farà riferimento a tali aspetti.
c) La politica delle reti transeuropee mira a trasformare le reti dei 15 Stati
membri in un’unica grande rete di dimensioni europee. Occorrerà pertanto
costruire i raccordi mancanti e migliorare i collegamenti esistenti. In
questo modo è previsto che anche le regioni periferiche e più lontane della
Comunità, oltre ai paesi dell’EFTA e ad altre zone dell’Europa, vengano
integrate in questo sistema.
La Commissione Europea ha elaborato un piano generale in cui sono
indicate le priorità dell’azione che prevede la realizzazione delle reti
23
transeuropee entro il 2010 e i cui costi sono stati stimati attorno ai 400
miliardi di ECU6.
La OLEHUDOL]]D]LRQH� GHO� FDERWDJJLR� rappresenta comunque la chiave di
volta dell’intero panorama di liberalizzazione nella circolazione delle
merci.
Esso consiste nel fatto che il vettore stabilito in un determinato Stato
membro ha la possibilità di effettuare trasporti anche in uno Stato membro
diverso da quello in cui egli ha sede, senza dover necessariamente disporre
in quest’ultimo di una sede secondaria o di un altro stabilimento. I
vantaggi che potrebbero derivare dalla liberalizzazione completa e
definitiva del cabotaggio sono rilevanti; primo fra tutti l’aumento della
concorrenzialità tra le imprese in termini di riduzione dei costi e di
miglioramento della qualità dei servizi, oltre all’aumento delle possibilità
di occupazione e all’eliminazione o, quanto meno alla riduzione, dei
“ritorni a vuoto”. Esso ha però incontrato feroci opposizioni soprattutto da
parte dei paesi centrali della Comunità e in particolare dalla Germania. In
Germania infatti si è registrato il maggior utilizzo delle autorizzazioni di
cabotaggio e tale paese sarà il più esposto alle azioni commerciali da parte
degli olandesi.
In generale le resistenze opposte dai singoli Stati alla totale e definitiva
liberalizzazione del cabotaggio sono dettate da una parte da intenti
protezionistici a favore delle imprese nazionali, e dall’altra dalla
consapevolezza delle notevoli differenze operative e legislative ancora
esistenti tra i vari Stati membri. Proprio per questo il cabotaggio è stato
introdotto con progressività sin dal 1° luglio 1990 (Regolamenti CEE
6 Per una più approfondita conoscenza dei provvedimenti comunitari relativi alle reti transeuropee si vedano, in particolare, la Decisione CEE 93/6290 del Consiglio, la Decisione CEE 96/1692 del Parlamento Europeo e del Consiglio e il Regolamento CEE 95/2236 del Consiglio.
24
89/4059, 91/296, 93/3118 e 94/3315) mediante autorizzazioni per veicolo
contingentate. Le autorizzazioni venivano accordate in funzione di una
quota predeterminata di viaggi disponibili per un certo tragitto in un
determinato periodo di tempo (detto contingente).
Al 1° gennaio 1994 le autorizzazioni risultavano 30.000. Tale numero è
stato aumentato annualmente del 30%, a partire dal 1° gennaio 1995. Dal
1° luglio 1998 il cabotaggio è stato completamente liberalizzato e da
questa data inizia il cosiddetto “regime definitivo”.
E’ quindi ormai finito il tempo che gli operatori del trasporto avevano per
prepararsi alla libera concorrenza anche in casa propria.
Anche durante il regime transitorio (periodo 1° gennaio 1994-30 giugno
1998), qualsiasi vettore di merci su strada per conto terzi, stabilito in uno
Stato membro conformemente alla legislazione nazionale di quest’ultimo e
abilitato ad effettuare trasporti internazionali di merci su strada dallo Stato
membro di stabilimento, era autorizzato, a titolo temporaneo, ad effettuare
trasporti nazionali di merci su strada per conto di terzi in un altro Stato
membro, senza disporvi una sede o un altro stabilimento. Questo però solo
nell’ambito del sistema di autorizzazioni e di contingenti comunitari.
7DEHOOD�����Numero delle autorizzazioni di cabotaggio (contingente)
����� ����� ���� �����
Quota base (Reg. 3118/93)
Quota addizionale
(1)
Totale (1995+ 30%)
(2)
(1996+ 30%)
Quota addizionale
(3)
Totale 1° sem. (1997+ 30%) (4)
Belgio 3.371 276 3.647 4.742 6.165 58 6.223 4.045 Danimarca 3.271 267 3.538 4.600 5.980 57 6.037 3.925 Francia 4.571 373 4.944 6.428 8.357 79 8.436 5.484 Germania 5.528 452 5.980 7.774 10.107 96 10.203 6.632 Grecia 1.490 122 1.612 2.096 2.725 26 2.751 1.789 Irlanda 1.520 125 1.645 2.139 2.781 27 2.808 1.826 Italia 4.576 374 4.950 6.435 8.366 79 8.445 5.490 Lussemburgo 1.570 129 1699 2209 2872 27 2.899 1.885 Paesi Bassi 4.761 389 5.150 6.695 8.704 82 8.786 5.711
25
Portogallo 1.983 162 2.145 2.789 3.626 35 3.661 2.380 Regno Unito 2.868 235 3.103 4.034 5.245 50 5.295 3.442 Spagna 3.495 286 3.781 4.916 6.391 61 6.452 4.194 Finlandia - 1.774 1.774 2.307 3.000 29 3.029 1.969 Svezia - 2.328 2.328 3.028 3.936 37 3.973 2.583 Austria - - - - 4.168 40 4.208 2.736 Totale 39.004 7.292 45.296 60.191 82.423 783 83.206 54.091
(1) L’adesione al cabotaggio di Finlandia e Svezia ha determinato un adeguamento dell’8,16% della quota base. (2) Aumento del 30% (come per il ‘97 e il ‘98) previsto dal Regolamento 93/3118. (3) L’adesione dell’Austria ha comportato un’addizionale dello 0,94% sui valori del 96. (4) Le quote del ‘98 sono relative solo al 1° semestre, poiché dal 1° luglio è cessato il contingentamento.
)RQWH: Tuttotrasporti, aprile 1995.
La liberalizzazione dovrebbe avanzare passo passo con la uniformazione
delle norme e delle condizioni operative, ma così non è.
Per armonizzazione delle condizioni di competitività si deve intendere un
ravvicinamento delle normative esistenti per renderle compatibili tra loro e
con quelle degli Stati membri.
Il quesito se procedere prima con l’armonizzazione e poi con la
liberalizzazione o viceversa è stato risolto dagli organi dell’Unione
Europea con un compromesso machiavellico: liberalizzare e poi
normalizzare perché è il mercato che “fa giustizia”.
Ritengo che opporsi alla liberalizzazione significherebbe certamente essere
irrealisti e non coerenti con le politiche della globalizzazione dei mercati,
chiudendosi in un anacronistico e controproducente elemento di
arretratezza.
Esigere però che la liberalizzazione sia preceduta da un riequilibrio delle
condizioni di concorrenza e che i tempi siano adeguati alle caratteristiche
dei settori considerati, e che in ogni caso essa tenga conto delle situazioni
che possono essere differenti da Paese a Paese, è dimostrazione di buon
senso e logica imprenditoriale.
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Armonizzare dunque le norme, anche nell’ottica di evitare che uno
sviluppo correlato soltanto al meccanismo della domanda e dell’offerta,
crei problemi che ben presto diverrebbero insolubili.
La liberalizzazione elimina qualsiasi limitazione quantitativa al trasporto
internazionale in ambito CEE, ma non l’obbligo per chi effettua tali
trasporti di essere munito di un’apposita licenza7. La licenza comunitaria,
rilasciata dalle autorità competenti dello Stato membro di stabilimento, è
valida cinque anni, è rinnovabile e sostituisce quindi le autorizzazioni
permanenti CEE e le autorizzazioni bilaterali scambiate fra Paesi membri,
necessarie per effettuare i predetti trasporti fino all’entrata in vigore del
cabotaggio. Si può dire quindi che permangono delle limitazioni
qualitative in quanto per ottenere tale licenza occorre avere determinati
requisiti qualitativi (i già citati requisiti della onorabilità, della capacità
professionale e della capacità finanziaria). Una preoccupazione costante
dell’Unione Europea è quella di evitare che i provvedimenti che va
emanando provochino gravi turbative di mercato in uno o più dei Paesi
facenti parte della Comunità, in quanto i trasporti tra i singoli Stati della
Comunità e i Paesi terzi sono stati fino ad ora disciplinati sulla scorta di
accordi bilaterali. Ciascuno Stato, cioè, è stato libero di trattare il numero
delle autorizzazioni al trasporto internazionale da scambiare con il Paese
terzo, quante di queste dovessero essere valide tra i due Paesi, quante
dovessero essere di transito, eccetera.
Proprio per questa ragione il Regolamento CEE 90/3916 del Consiglio
prevede la clausola di salvaguardia come provvedimento di
accompagnamento alla totale soppressione del sistema dei contingenti che
condizionava l’accesso al mercato. Essa prevede che, in caso di crisi, lo
7 Regolamento CEE 92/881 relativo alla licenza comunitaria.
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Stato membro interessato fornisca alla Commissione informazioni
sostanziali e corredate di cifre. La Commissione può poi prendere misure
per impedire un ulteriore aumento dell’offerta di capacità di trasporto sul
mercato interessato, limitando l’aumento dell’attività dei trasportatori già
operanti e prevedendo restrizioni all’accesso al mercato di nuovi
trasportatori.
Il trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992, pur salvaguardando
l’obiettivo di proteggere e sviluppare il Mercato Unico, ha sottolineato
l’importanza di altri obiettivi, come ad esempio la crescita sostenibile e
rispettosa dell’ambiente, il miglioramento della sicurezza e la qualità e
l’efficacia delle infrastrutture dei trasporti. D’altra parte il riconoscimento
esplicito del concetto di sussidiarietà che si è avuto con questo trattato,
esige che le decisioni, in questo come in altri settori, siano prese ed attuate
al livello più appropriato.
Il principio di sussidiarietà prevede cioè che tutto ciò che può essere
trattato a livello dei singoli Stati nazionali non deve esserlo a livello
dell’Unione Europea.
Questo ribadisce come la politica dei trasporti sia più una politica
comunitaria (che inquadra semplicemente le politiche nazionali) che una
politica comune (che sostituisce le politiche nazionali nei loro elementi
essenziali e nella quale le decisioni principali sono prese dalle istituzioni
dell’Unione).
Mentre le norme sulla liberalizzazione influiscono sostanzialmente
sull’organizzazione del mercato dell’autotrasporto, quelle concernenti
l’armonizzazione delle regolamentazioni nazionali sono tese ad evitare
distorsioni della concorrenza tra i diversi modi di trasporto terrestre e
all’interno di ciascuno di essi.
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Oggi il Mercato Unico rappresenta la condizione necessaria, ma non
sufficiente, per combattere le conseguenze negative della crescita della
domanda di trasporto e far fronte alle nuove sfide relative alla creazione di
un più grande settore europeo dei trasporti.
L’Unione Europea si impegna quindi a promuovere, nell’ambito della
nuova strategia di mobilità sostenibile, una serie di azioni volte a
compensare gli squilibri modali e geografici.
La finalità di tutti i piani d’azione a livello di trasporti comunque dovrà
necessariamente risiedere da un lato nella determinazione di un giusto
equilibrio tra imperativi economici e salvaguardia della competitività delle
nostre imprese, e dall’altro in considerazioni ecologiche e rispetto dei
diritti dei salariati del settore.
I “problemi dell’Europa dei trasporti” sono quindi una grande sfida che ha
per conseguenza la sopravvivenza o meno dell’assetto economico europeo.