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Se vuoi collaborare, spedisci un tuo pezzo (un articolo, un saggio, una recensione, un racconto, qualche poesia) a [email protected]. Allega due righe su di te, così sappiamo da chi dobbiamo guardarci. Se vuoi essere pubblicato sul pdf, cerca di non superare di troppo la cartella editoriale standard (1800 battute: siamo proprio vecchio stile). Per il web facciamo 8000 circa, e morta lì. Scrivi a [email protected] per qualsiasi informazione. Il presente opuscolo è diffuso sotto la disciplina d e l l a l i c e n z a CREATIVE COMMONS Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia. La licenza integrale è disponibile a questo url: http://tinyurl.com/8g7sw5. alessandro romeo:editoriale Nel 1975 Carolee Schneemann si presentò nuda sul palco e, dopo essersi cosparsa di fango, estrasse dalla vagina un lungo papiro arrotolato. Lo scopo della performance era attaccare gli strutturalisti, che sostenevano che il corpo fosse separato dal simbolo linguistico che lo rappresentava. Sul lungo papiro (pronuncia: «p’pairo») c’era scritto: «Ernesto Baj, Tempi di merda (1000); Mattia Filippini, Il mutamento delle proporzioni; M. F. Fontefrancesco, Balti; Enzo e la Fagotta di Polaroid, Playlist; poster di Daniele Pirozzi». Carolee Schneemann aveva la vista lunga, quanto il suo papiro. E nel 2010 siamo onorati di poter finalmente spiegare al mondo il significato di quel bizzarro elenco, che nel 1975 dovette risultare incom-prensibile. Noi di inutile, anziché schierarci contro lo strut- turalismo, preferiamo rendere omaggio alla soave Carolee, tracciando un delizio- so legame intellettuale nel nome dell’unio- ne tra il corpo e il suo simbolo linguistico. Per questo vi invito caldamente a srotola- re il papiro ch’è in voi. INUTILE opuscolo letterario febbraio 2010, numero 30 supplemento al #1360 di PressItalia.net, registrazione presso il Tribunale di Perugia #33 del 5 maggio 2006. pubblicazione mensile a cura di INUTILE » ASSOCIAZIONE CULTURALE. la redazione viviana capurso {ufficio stampa}, arturo fabra, ferdinando guadalupi, marco montanaro {ufficio stampa}, gabriele naia, virginia paparozzi, daniele pirozzi, alessandro romeo {responsabile editoriale}, matteo scandolin {grafica e impaginazione} hanno collaborato ernesto baj, alessandro casella, michele filippini, michele filippo fontefrancesco poster daniele pirozzi per abbonamenti www.rivistainutile.it/shop/shop.html wild wild web rivistainutile.it, il nostro facebook, associazioneinutile.org, polaroid: un blog alla radio, teflon: la rivista cui non si può aderire inut ile OPUSCOL OLETTERA RIO numero febbraio 2010 alessandro casella: nessun cane scrive come me Nessun cane scrive poesie come me – fumando, seduto sull’orlo del fiume – dove la chiusa stringe i denti e il fondale graffia la superficie dell’acqua pizzicata dalle bocche di uccelli randagi. Nessun cane scrive come me – accucciato ad annusare il giorno che schiude i suoi petali al sole, sbatte le timide umide piume nell’aria tiepida di pane tra vecchie grigie case immigrate spolverate di luce e bocche-finestre che sbadigliano di fame. La nuda, affilata mascella del ponte d’acciaio fa la barba al vento, in equilibrio su un filo. Mentre la fabbrica mastica carbone e soffia bolle di fumo – nella sua pelliccia di colline in autunno, sbuffa nuvole di fumo dalla testa di balena – e il mio umore leggero scodinzola libero sulla riva del tempo. mattia filippini:il mutamento delle proporzioni Mi telefona la mia amica Marisa mi chiede se fumo. Così così, le rispondo. Perché? le chiedo. Perché mi hanno consigliato un libro che tu lo leggi dice delle cose apparentemente banali poi inconsciamente ti tocca alcuni tasti e smetti di fumare, giuro, funziona, io ho smesso di fumare. Brava, le dico, adesso ingrassi. Sarai stronzo, mi dice. E chi altro ha smesso oltre te? chiedo. Hanno smesso milioni di persone in tutto il mondo. Ho capito, le dico, Ho capito benissimo. Cosa? Niente, niente, è solo questione di tempo, rispondo. Allora ti saluto, ci vediamo, mi dice Marisa. Mangia poco, le dico. Vaffanculo Nanni, mi dice, poi attacca. Mi telefona mio papà ha smesso di fumare pure lui. Trent’anni che fumava un pacchetto al giorno, ha smesso leggendo un libro in una settimana. Mi dice Prova, prova, il tentatore. Col cazzo, lo so io cosa c’è dietro. Poi ingrasso. Io c’ho la paura di ingrassare. All’inizio con Barbara era bellissimo. Poi, dopo, la cosa si è deteriorata. Come sei bravo, mi diceva, Scrivi anche meglio degli Scapigliati, Degli Scapigliati? le chiedevo, Sicura? Sicura, mi diceva all’inizio. Poi invece dopo basta. Una volta sul divano c’erano i presupposti che si iniziasse il delicato processo guzzatorio, invece Barbara era scattata come se fossi uno qualunque che la molestava sull’autobus. Com’è che scrivo? le chiedevo. Cosa? mi rispondeva. Lo scrivere, ripetevo. Ah, come gli Scapigliati, mi diceva. Solo, non mi sembrava più tanto un complimento. Litigavamo ovunque: in bagno lavandoci i denti, sulle scale, a far la spesa. Avevamo litigato anche alla festa dell’Unità. Adesso mi dice che sono immorale. Qualsiasi cosa faccio è immorale. Guardo la tv, è immorale. Mangio fuori dai pasti, è immorale. La mette giù dura solo perché è filosofa, poveretta. Allora facciamo delle litigate sulla moralità, che in realtà sono dei discorsi deliranti ma serissimi, fanno venire anche un po’ da ridere per quanto sono seri, questi discorsi. Per esempio lei sostiene che Clint Eastwood è morale, moralissimo, ha fatto due film sulla guerra ognuno dal punto di vista di uno schieramento. Bisogna assolutamente che si vadano a vedere. Allora per fare il bastiancontrario le dico che invece, secondo me, Clint Eastwood è immorale perché prima di tutto i giapponesi di loro sono immorali, guarda come si ammassano per esempio nei musei, e poi considera un anziano che vuole fare un film indipendente chiede le sovvenzioni non gliele danno mica, servono le credenziali, invece Clint Eastwood che è pur sempre un anziano e decide di fare non un film bensì due, e questo è già immorale, i soldi glieli danno sull’unghia, così, come se niente fosse, si parla di miliardi alla faccia delle pensioni basse, della disoccupazione, dell’ecosistema impazzito. E questa, cara mia, è l’immoralità. Dei discorsi così. Invece interessava anche a me andare al cinema. Secondo me questi litigi derivano dal fatto che io sto diventando grasso. Ingrasso ad occhio nudo, strabordo dai pantaloni, dei lardelli che scappano fuori dalla diga della cintura. Ho notato che mentre ingrassi la gente ti sopporta sempre meno, è parca di tolleranza. Secondo me, alle cose che fai, tu non ci pensi, mi dice Barbara. Mi è chiaro che è entrata nella modalità Critica pesante. Ci son cose che secondo me tu non ci arrivi, non ci pensi. Non ci penso, dico aprendo il pancarrè in cucina. Perché sei ingenuo come un bambino che è rimasto anche un po’ indietro, continua lei. Va bene, dico io, col pancarrè masticato in bocca. Non capisco poi perché devi essere così capzioso, le cose che dici, a volte mi vergogno, le cose che dici. Faccio vergognare i sordi, le cose che dico, le dico. Così la paura atavica dell’ingrassare mi fa ingrassare. Mi toccherà comprare dei pantaloni ipercalibrati, non so neanche se qui a Bologna ci sono, i negozi per i pesanti. Solo, ho già visto, sugli autobus stanno mettendo dei sedili giganti. È cominciato il mutamento di proporzioni. Prima allargano i sedili, poi gli autobus, poi le strade che qui fan otto metri, le metteranno a dodici, poi le porte, le case, gli affitti. Ecco, pensavo, gli affitti. Esser grasso, pensavo, puoi fare il lottatore di sumo. Solo, ho visto al telegiornale, i lottatori di sumo non voglion più fare il sumo perché implica una vita ritirata, un’esistenza di privazioni, mangiare sempre le stesse cose, non poter perdere un etto. Son controllati scrupolosamente, ci sono i medici del sumo. I medici del sumo son fatti apposta per farti venire i complessi. Hai perso un etto, ti dicono. Mi sembri un po’ denutrito, ti dicono. Guarda lì che magrino, ti dicono. Allora ti prende la fame ansiosa, la nobile disciplina del sumo è salva. Poi vado in bici. La bici, è risaputo, fa bene ai grassi. Vado su fin sopra i colli, salgo tutto scomposto, una fatica la salita. Almeno son solo, non mi vede nessuno. E penso. Penso che la condizione che io sono solo è una condizione normale della mia vita, anche adesso che c’è Barbara. Mangiare, mangio sempre solo. Scrivere, scrivo da solo. Al bagno poi, son da solo. Solo, essere solo mi fa una paura, che esser soli è brutto a dieci anni come a sessanta. Peggio che esser grassi. Così mi riviene la voglia di tornare da Barbara, dirle che non importa che discutiamo sempre di tutto anche delle unghie che lei lascia ovunque per casa. Allora giro la bici, pedalo duro in discesa coi freni tirati. Per far fatica. È meglio che la ciccia non si abitui bene, andare in discesa. 30 ernesto baji:tempi di merda (1000) Ho scandagliato la tua bacheca, su Facebook. Sono andato indietro di giorni, mesi. Cercavo una mia presenza. Ho trovato solo “non è più registrata come single”, qualche giorno dopo che c’eravamo baciati: tutto quello che c’era era quel cuore brutto, quella scritta. E quando mi hai lasciato, lo stesso giorno, hai commentato delle foto, e poi sei andata in vacanza, e ti han fatto delle foto. Ti ho vista abbronzata, e con tua sorella, e vestita a festa. So con chi sei uscita, dove sei andata: perché tu sei semplice e metodica, e se vai da qualche parte t’iscrivi al gruppo apposito. E sei anche un po’ stronza, sì, diciamocelo. Ché, quando m’hai lasciato, potevi anche metterci un qualcosa, in bacheca. Qualsiasi cosa, eh, andava bene tutto. E invece, il giorno dopo, sei lì – lo leggo ora – a rispondere a ‘sta tizia che ti domanda: ciao, tutto bene? e tu, come niente fosse: sì, tutto bene. E allora fattelo dire, che sei un po’ stronza, fattelo scrivere sulla bacheca, fammelo mettere lì, anche se non siamo più amici, su Facebook – e anche nella vita. Fammelo scrivere grande, tutto maiuscolo, con un Times New Roman 16: SEI UNA STRONZA. E poi, piccolo piccolo: il mio numero ce l’hai, chiamami, ti prego – ché io c’ho una dignità! michele filippo fontefrancesco:balti Se i caffè possono descrivere l’anima dell’Italia, la sua convivialità, le sue passioni, i suoi discorsi, le sue paure ed i suoi sogni, le Balti Houses possono raccontare molto del Regno Unito contemporaneo. Negli anni ’50, il boom dell’industria britannica portò alla necessità di migliaia di nuovi operai: mancavano operai, specializzati e non, per far battere il cuore d’acciaio della nazione. Per supplire a questo bisogno la nazione si rivolse alle (ex)colonie: offrì lavoro, cittadinanza e agiatezza a chiunque avesse voluto immigrare in Inghilterra. In migliaia risposero all’invito. In migliaia dall’India, dal Pakistan, dal Bangladesh si trasferirono a Londra, Leeds, Manchester, Birmingham. In pochi anni iniziarono ad aprirsi i primi negozi di prodotti indiani. Subito a ruota si aprirono i primi ristoranti tipici. Piccoli posticini pensati prevalentemente per esser dei take-away. Per pochi penny, il cliente si rifocillava con riso (pilaf) e curry. Il curry è una via di mezzo tra una zuppa ed un “sugo” con cui si condisce il riso. Come per il caso del sugo per la pasta, non ne esiste solo uno: ce ne sono a decine. Particolarmente di successo risultò un’invenzione birminghamiana: il Balti, un sugo di pomodoro arricchito con un miscuglio di semi di mostarda, coriandolo, foglie di curry, cumino, cannella, semi di garofano, curcuma, peperoncino e altre spezie. Un gusto forte, intenso, quasi stordente: ben diverso dai gusti più morbidi dei curry tradizionali. In poco tempo, il balti divenne il curry britannico per antonomasia ed oggi si può a pieno titolo annoverare tra i piatti tipici di questa nazione spazzata dal vento. In fondo, la cucina di un paese narra non solo i mille prodotti che il suolo di quella terra produce, ma soprattutto racconta la storia degli scambi, dei commerci, dell’immigrazioni che quel posto ha conosciuto. L’Inghilterra conobbe le ondate di immigrazione dall’Asia e dall’Africa cinquant’anni fa. Oggi il Balti è un piatto tradizionale inglese come lo è il porridge o il pudding. Chissà quali saranno i nuovi piatti italiani, tra trent’anni: varietà di involtini fritti? O un couscous?

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#30 febbraio 2010 rivista inutile. Mattia Filippini, Ernesto Baji, Michele Filippo Fontefrancesco, Alessandro Casella, Daniele Pirozzi

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Se vuoi collaborare, spedisci un tuo pezzo (un articolo, un saggio, una recensione, un racconto, qualche poesia) a [email protected]. Allega due righe su di te, così sappiamo da chi dobbiamo guardarci.Se vuoi essere pubblicato sul pdf, cerca di non superare di troppo la cartella editoriale standard (1800 battute: siamo proprio vecchio stile). Per il web facciamo 8000 circa, e morta lì.Scrivi a [email protected] per qualsiasi informazione.

Il presente opuscolo è diffuso sotto la disciplina de l la l i cenza CREATIVE COMMONS Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia. La licenza integrale è disponibile a questo url:http://tinyurl.com/8g7sw5.

alessandro romeo:editorialeNel 1975 Carolee Schneemann si presentò nuda sul palco e, dopo essersi cosparsa di fango, estrasse dalla vagina un lungo papiro arrotolato. Lo scopo della performance era attaccare gli strutturalisti, che sostenevano che il corpo fosse separato dal simbolo linguistico che lo rappresentava. Sul lungo papiro (pronuncia: «p’pairo») c’era scritto: «Ernesto Baj, Tempi di merda (1000); Mattia Filippini, Il mutamento delle proporzioni; M. F. Fontefrancesco, Balti; Enzo e la Fagotta di Polaroid, Playlist; poster di Daniele Pirozzi».Carolee Schneemann aveva la vista lunga, quanto il suo papiro. E nel 2010 siamo onorati di poter finalmente spiegare al mondo il significato di quel bizzarro elenco, che nel 1975 dovette risultare incom-prensibile. Noi di inutile, anziché schierarci contro lo strut-turalismo, preferiamo rendere omaggio alla soave Carolee, tracciando un delizio-so legame intellettuale nel nome dell’unio-ne tra il corpo e il suo simbolo linguistico. Per questo vi invito caldamente a srotola-re il papiro ch’è in voi.

INUTILE opuscolo letterariofebbraio 2010, numero 30supplemento al #1360 di PressItalia.net, registrazione presso il Tribunale di Perugia #33 del 5 maggio 2006.pubblicazione mensile a cura di INUTILE » ASSOCIAZIONE CULTURALE.

la redazioneviviana capurso {ufficio stampa}, arturo fabra, ferdinando guadalupi, marco montanaro {ufficio stampa}, gabriele naia, virginia paparozzi, daniele pirozzi, alessandro romeo {responsabile editoriale}, matteo scandolin {grafica e impaginazione}

hanno collaboratoernesto baj, alessandro casella, michele filippini, michele filippo fontefrancesco

posterdaniele pirozzi

per abbonamentiwww.rivistainutile.it/shop/shop.html

wild wild webrivistainutile.it, il nostro facebook, associazioneinutile.org, polaroid: un blog alla radio, teflon: la rivista cui non si può aderire

inutileOPUSCOL

OLETTERARIO numero

febbraio 2010

alessandro casella:nessun cane scrive come meNessun cane scrive poesie come me –fumando, seduto sull’orlo del fiume – dove la chiusa stringe i dentie il fondale graffia la superficie dell’acqua pizzicata dalle bocche di uccelli randagi. Nessun cane scrive come me – accucciato ad annusare il giorno che schiude i suoi petali al sole,sbatte le timide umide piume nell’aria tiepida di panetra vecchie grigie case immigrate spolverate di lucee bocche-finestre che sbadigliano di fame.La nuda, affilata mascella del ponte d’acciaiofa la barba al vento, in equilibrio su un filo.Mentre la fabbrica mastica carbone e soffia bolle di

fumo –nella sua pelliccia di colline in autunno,sbuffa nuvole di fumo dalla testa di balena –e il mio umore leggero scodinzola libero sulla riva del

tempo.

mattia filippini:il mutamento delle proporzioniMi telefona la mia amica Marisa mi chiede se fumo.Così così, le rispondo. Perché? le chiedo. Perché mi hanno consigliato un libro che tu lo leggi dice delle cose apparentemente banali poi inconsciamente ti tocca alcuni tasti e smetti di fumare, giuro, funziona, io ho smesso di fumare.Brava, le dico, adesso ingrassi.Sarai stronzo, mi dice.E chi altro ha smesso oltre te? chiedo.Hanno smesso milioni di persone in tutto il mondo.Ho capito, le dico, Ho capito benissimo.Cosa?Niente, niente, è solo questione di tempo, rispondo.Allora ti saluto, ci vediamo, mi dice Marisa.Mangia poco, le dico.Vaffanculo Nanni, mi dice, poi attacca.

Mi telefona mio papà ha smesso di fumare pure lui. Trent’anni che fumava un pacchetto al giorno, ha smesso leggendo un libro in una settimana. Mi dice Prova, prova, il tentatore. Col cazzo, lo so io cosa c’è dietro. Poi ingrasso.

Io c’ho la paura di ingrassare.

All’inizio con Barbara era bellissimo. Poi, dopo, la cosa si è deteriorata. Come sei bravo, mi diceva, Scrivi anche meglio degli Scapigliati, Degli Scapigliati? le chiedevo, Sicura? Sicura, mi diceva all’inizio. Poi invece dopo basta. Una volta sul divano c’erano i presupposti che si iniziasse il delicato processo guzzatorio, invece Barbara era scattata come se fossi uno qualunque che la molestava sull’autobus. Com’è che scrivo? le chiedevo. Cosa? mi rispondeva. Lo scrivere, ripetevo.Ah, come gli Scapigliati, mi diceva.Solo, non mi sembrava più tanto un complimento. Litigavamo ovunque: in bagno lavandoci i denti, sulle scale, a far la spesa. Avevamo litigato anche alla festa dell’Unità.

Adesso mi dice che sono immorale. Qualsiasi cosa faccio è immorale. Guardo la tv, è immorale. Mangio fuori dai pasti, è immorale. La mette giù dura solo perché è filosofa, poveretta. Allora facciamo delle litigate sulla moralità, che in realtà sono dei discorsi deliranti ma serissimi, fanno venire anche un po’ da ridere per quanto sono seri, questi discorsi. Per esempio lei sostiene che Clint Eastwood è morale, moralissimo, ha fatto due film sulla guerra ognuno dal punto di vista di uno schieramento. Bisogna assolutamente che si vadano a vedere. Allora per fare il bastiancontrario le dico che invece, secondo me, Clint Eastwood è immorale perché prima di tutto i giapponesi di loro sono immorali, guarda come si ammassano per esempio nei musei, e poi considera un anziano che vuole fare un film indipendente chiede le sovvenzioni non gliele danno mica, servono le credenziali, invece Clint Eastwood che è pur sempre un anziano e decide di fare non un film bensì due, e questo è già immorale, i soldi glieli danno sull’unghia, così, come se niente fosse, si parla di miliardi alla faccia delle pensioni basse, della disoccupazione, dell’ecosistema impazzito. E questa, cara mia, è l’immoralità. Dei discorsi così. Invece interessava anche a me andare al cinema.

Secondo me questi litigi derivano dal fatto che io sto diventando grasso. Ingrasso ad occhio nudo, strabordo dai pantaloni, dei lardelli che scappano fuori dalla diga della cintura. Ho notato che mentre ingrassi la gente ti sopporta sempre meno, è parca di tolleranza.Secondo me, alle cose che fai, tu non ci pensi, mi dice Barbara. Mi è chiaro che è entrata nella modalità Critica pesante. Ci son cose che secondo me tu non ci arrivi, non ci pensi. Non ci penso, dico aprendo il pancarrè in cucina. Perché sei ingenuo come un bambino che è rimasto anche un po’ indietro, continua lei. Va bene, dico io, col pancarrè masticato in bocca. Non capisco poi perché devi essere così capzioso, le cose che dici, a volte mi vergogno, le cose che dici. Faccio vergognare i sordi, le cose che dico, le dico.

Così la paura atavica dell’ingrassare mi fa ingrassare. Mi toccherà comprare dei pantaloni ipercalibrati, non so neanche se qui a Bologna ci sono, i negozi per i pesanti. Solo, ho già visto, sugli autobus stanno mettendo dei sedili giganti. È cominciato il mutamento di proporzioni. Prima allargano i sedili, poi gli autobus, poi le strade che qui fan otto metri, le metteranno a dodici, poi le porte, le case, gli affitti. Ecco, pensavo, gli affitti.

Esser grasso, pensavo, puoi fare il lottatore di sumo. Solo, ho visto al telegiornale, i lottatori di sumo non voglion più fare il sumo perché implica una vita ritirata, un’esistenza di privazioni, mangiare sempre le stesse cose, non poter perdere un etto. Son controllati scrupolosamente, ci sono i medici del sumo. I medici del sumo son fatti apposta per farti venire i complessi. Hai perso un etto, ti dicono. Mi sembri un po’ denutrito, ti dicono. Guarda lì che magrino, ti dicono. Allora ti prende la fame ansiosa, la nobile disciplina del sumo è salva.

Poi vado in bici. La bici, è risaputo, fa bene ai grassi. Vado su fin sopra i colli, salgo tutto scomposto, una fatica la salita. Almeno son solo, non mi vede nessuno. E penso. Penso che la condizione che io sono solo è una condizione normale della mia vita, anche adesso che c’è Barbara. Mangiare, mangio sempre solo. Scrivere, scrivo da solo. Al bagno poi, son da solo. Solo, essere solo mi fa una paura, che esser soli è brutto a dieci anni come a sessanta. Peggio che esser grassi. Così mi riviene la voglia di tornare da Barbara, dirle che non importa che discutiamo sempre di tutto anche delle unghie che lei lascia ovunque per casa. Allora giro la bici, pedalo duro in discesa coi freni tirati. Per far fatica. È meglio che la ciccia non si abitui bene, andare in discesa.

30

ernesto baji:tempi di merda (1000)Ho scandagliato la tua bacheca, su Facebook. Sono andato indietro di giorni, mesi. Cercavo una mia presenza. Ho trovato solo “non è più registrata come single”, qualche giorno dopo che c’eravamo baciati: tutto quello che c’era era quel cuore brutto, quella scritta. E quando mi hai lasciato, lo stesso giorno, hai commentato delle foto, e poi sei andata in vacanza, e ti han fatto delle foto. Ti ho vista abbronzata, e con tua sorella, e vestita a festa. So con chi sei uscita, dove sei andata: perché tu sei semplice e metodica, e se vai da qualche parte t’iscrivi al gruppo apposito. E sei anche un po’ stronza, sì, diciamocelo. Ché, quando m’hai lasciato, potevi anche metterci un qualcosa, in bacheca. Qualsiasi cosa, eh, andava bene tutto. E invece, il giorno dopo, sei lì – lo leggo ora – a rispondere a ‘sta tizia che ti domanda: ciao, tutto bene? e tu, come niente fosse: sì, tutto bene. E allora fattelo dire, che sei un po’ stronza, fattelo scrivere sulla bacheca, fammelo mettere lì, anche se non siamo più amici, su Facebook – e anche nella vita. Fammelo scrivere grande, tutto maiuscolo, con un Times New Roman 16: SEI UNA STRONZA. E poi, piccolo piccolo: il mio numero ce l’hai, chiamami, ti prego – ché io c’ho una dignità!

michele filippo fontefrancesco:baltiSe i caffè possono descrivere l’anima dell’Italia, la sua convivialità, le sue passioni, i suoi discorsi, le sue paure ed i suoi sogni, le Balti Houses possono raccontare molto del Regno Unito contemporaneo. Negli anni ’50, il boom dell’industria britannica portò alla necessità di migliaia di nuovi operai: mancavano operai, specializzati e non, per far battere il cuore d’acciaio della nazione. Per supplire a questo bisogno la nazione si rivolse alle (ex)colonie: offrì lavoro, cittadinanza e agiatezza a chiunque avesse voluto immigrare in Inghilterra. In migliaia risposero all’invito. In migliaia dall’India, dal Pakistan, dal Bangladesh si trasferirono a Londra, Leeds, Manchester, Birmingham. In pochi anni iniziarono ad aprirsi i primi negozi di prodotti indiani. Subito a ruota si aprirono i primi r i s to rant i t ip ic i . P icco l i pos t ic in i pensat i prevalentemente per esser dei take-away. Per pochi penny, il cliente si rifocillava con riso (pilaf) e curry. Il curry è una via di mezzo tra una zuppa ed un “sugo” con cui si condisce il riso. Come per il caso del sugo per la pasta, non ne esiste solo uno: ce ne sono a decine. Particolarmente di successo risultò un’invenzione birminghamiana: il Balti, un sugo di pomodoro arricchito con un miscuglio di semi di mostarda, coriandolo, foglie di curry, cumino, cannella, semi di garofano, curcuma, peperoncino e altre spezie. Un gusto forte, intenso, quasi stordente: ben diverso dai gusti più morbidi dei curry tradizionali. In poco tempo, il balti divenne il curry britannico per antonomasia ed oggi si può a pieno titolo annoverare tra i piatti tipici di questa nazione spazzata dal vento. In fondo, la cucina di un paese narra non solo i mille prodotti che il suolo di quella terra produce, ma soprattutto racconta la storia degli scambi, dei commerci, dell’immigrazioni che quel posto ha conosciuto. L’Inghilterra conobbe le ondate di immigrazione dall’Asia e dall’Africa cinquant’anni fa. Oggi il Balti è un piatto tradizionale inglese come lo è il porridge o il pudding. Chissà quali saranno i nuovi piatti italiani, tra trent’anni: varietà di involtini fritti? O un couscous?

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