12 Phd Thesis Vallucci
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CAPITOLO 7 | 387
7. Progettazione degli interventi
Il pregio del costruito storico che caratterizza il nostro Paese, impone di prendere in seria
considerazione la tutela e la conservazione dell’opera originale all’interno del percorso
progettuale degli interventi che mirano a garantire la sicurezza di tali edifici. Pregio che non
si ravvisa solo nel caso di edifici monumentali, ma anche in tutti quegli esempi di edilizia
che assume un valore perché testimonianza forte delle civiltà del nostro passato, come i
centri storici medioevali o l’edilizia tradizionale rurale. Fino agli anni ’70-’80 la volontà di
conferire la possibilità a queste costruzioni di resistere al sisma, piaga inevitabile della
quasi totalità del territorio italiano, ha però portato a interventi che nulla avessero a che fare
con le istanze della conservazione. Diversi fattori come l’eccessiva fiducia da parte di
tecnici e imprese in un materiale come il calcestruzzo (tanto versatile e moderno quanto
lontano nel comportamento meccanico dalla muratura), la perdita di sensibilità nel
comprendere il funzionamento delle fabbriche originali e il progressivo disperdersi della
conoscenza accurata di materiali e tecniche del passato, hanno fatto in modo che gli edifici
oggetto di intervento diventassero oggetti ibridi tra le strutture murarie del passato e quelle
intelaiate moderne. Inoltre, gli eventi sismici che si sono succeduti (dagli anni ’70-’80 fino
all’ultimo recente del maggio 2012 in Emilia) hanno messo in luce l’inadeguatezza di
questi interventi, in alcuni casi con effetti catastrofici, che si sono dimostrati così incapaci
di assolvere alla loro funzione principale. Intervenire in maniera acritica e, per certi versi
inconsapevole, con tecniche e materiali moderni ha portato quindi a un risultato
diametralmente opposto a quello che ci si aspettava. Si pensi ad esempio all’inserimento di
cordoli e coperture pesanti in cemento armato su una scatola muraria in pietra o in laterizio:
la pesantezza e la differente rigidezza dei materiali affiancati come abbiamo sottolineato
più volte precedentemente può creare notevoli problemi263
(Fig. 7.1).
Figura 7.1 – Effetto dell’inserimento di cordoli e coperture pesanti su edifici in muratura.
263 Il contenuto di questo capitolo è stato pubblicato in Vallucci S. et al., 2014, pp.125-211.
388 | CAPITOLO 7
In Fig. 3.52 è possibile notare il cuneo a doppia diagonale che interessa la sola parte bassa
della muratura. Osservando questo quadro lesivo si può desumere come la parete
ortogonale a quella fotografata, tende a ribaltare trascinandosi dietro il cuneo appartenente
alla parete cui essa è ammorsata. La pesantezza del cordolo e della copertura in c.a. ha però
invertito l’inclinazione della diagonale che individua il cuneo di distacco.
In Fig. 7.2 invece è illustrata la conseguenza estrema causata da questo tipo di interventi: il
crollo. Infatti, si nota come la pesante copertura, che è rimasta quasi intatta, ha fatto sì che
la muratura in pietra su cui poggiava si disgregasse completamente (effetto di
martellamento verticale).
Visti i danni provocati dall’azione sismica in edifici in cui erano stati realizzati cordoli in
c.a. e pesanti coperture in cemento armato, anche l’attuale normativa italiana264
si esprime a
riguardo.
Figura 7.2 – Località San Gregorio (AQ), 2009. Crolli prodotti dalla disposizione di cordoli e
coperture realizzati in cemento armato su murature in pietra.
Osservando i danni post-sisma si riscontra un’altra tecnica di intervento, che in alcuni casi
può risultare completamente vana: l’inserimento di tiranti metallici su strutture murarie
caotiche. In questo caso, infatti, la muratura di scarse qualità disgregandosi vanifica
completamente l’azione del tirante. È chiaro quindi che in questi casi è inutile predisporre
catene metalliche se prima non si consolida la muratura, conferendole monoliticità e
dandole risorse di resistenza adeguate a sopportare le reazioni dei tiranti sotto l’azione
sismica.
264 Circolare n.617/2009, § C8A.5.1:
“[…] solo se di altezza limitata, per evitare eccessivi appesantimenti e irrigidimenti,
che si sono dimostrati dannosi in quanto producono elevate sollecitazioni tangenziali
tra cordolo e muratura, con conseguenti scorrimenti e disgregazione di quest’ultima.
In particolare, tali effetti si sono manifestati nei casi in cui anche la struttura di
copertura era stata irrigidita e appesantita. Nel caso di cordolo in c.a. è in genere
opportuno un consolidamento della muratura in prossimità dello stesso, in quanto
comunque è diversa la rigidezza dei due elementi. Il collegamento tra cordolo e
muratura può essere migliorato tramite perfori armati […].”
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Altro intervento riscontrato molto dannoso per le pareti è quello dell’inserimento dei
cordoli in breccia, intervento previsto dalle precedenti normative sismiche (DM 16 gennaio
1996, § C.9.8.2):
“Ove si proceda alla sostituzione di solai, questi devono essere del tipo in
cemento armato ordinario o precompresso […]. Qualora le murature portanti
siano prive di cordoli armati in corrispondenza degli orizzontamenti, questi
devono essere realizzati con altezze non inferiore allo spessore del solaio.
[…] Qualora le murature presentino consistenza e buona fattura i cordoli
possono non essere estesi a tutto lo spessore delle murature ovvero sostituiti
con iniezioni di pasta cementizia o miscele sintetiche. […]”
La realizzazione della breccia per la disposizione di un cordolo, ad esempio in murature a
doppio paramento265
(Fig. 7.3), comporta dapprima la deviazione del flusso delle
compressioni sul solo paramento esterno (fase 1). In seguito all’apertura della breccia sulla
parete, il cordolo e il nuovo solaio vanno a gravare solo sul paramento interno (fase 2)
senza ristabilire l’originario flusso delle tensioni di compressione. Inoltre in fase sismica
l’azione di martellamento del solaio può provocare il collasso del paramento esterno (fase
3).
Figura 7.3 – Effetto del cordolo in breccia su una muratura a doppio paramento.
Appare chiaro quindi come interventi sbagliati e pesanti possano comportare, oltre a
un’irrimediabile perdita dell’autenticità dell’opera, uno stravolgimento della concezione
originale, e non da ultimo possono causare problemi di tipo strutturale. Sarebbe opportuno
perciò intervenire con le corrette modalità, sulla struttura nel suo insieme, per non avere
eccessive variazioni di resistenza, rigidezza e peso tra le parti266
.
Pertanto è fondamentale consolidare nel rispetto della conservazione, quindi, seguendo quei
criteri, quei paradigmi, che ormai sono presi ad esempio nella pratica del restauro e che
possono essere così sintetizzati267
:
265 Donà C. (a cura di), 2011, Volume I, p.175. 266 Donà C. (a cura di), 2011, Volume I, p.93. 267 Doglioni F., Mazzotti P. (a cura di), 2007, pp. 35-38.
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i. Tendenza al minimo intervento – Gli interventi devono essere meno invasivi possibile
e devono essere strettamente mirati a una certa carenza, quindi motivati. Per far sì che
questo sia garantito, laddove necessario, si potrebbe pensare di attribuire a una stessa
soluzione più di una funzione.
ii. Ricerca della compatibilità – Compatibilità meccanico-strutturale: l’intervento non
muta la concezione strutturale, ma la integra limitatamente alla capacità di risposta
alle azioni rispetto alle quali l’edificio è vulnerabile. La tendenza a rimodulare il
comportamento, anche modificandolo, diviene legittima quando il comportamento di
una parte è gravemente dannoso all’insieme, come ad esempio nell’interazione tra
campanile e chiesa contigua. Il problema della compatibilità si sposta allora ai modi e
ai materiali con cui è realizzato l’intervento. Compatibilità fisico-chimica: è rivolta ad
accertare che non si verifichino interazioni negative tra materiali di apporto e
materiali già presenti nella fabbrica. Tale compatibilità può essere associata alla
durabilità dell’intervento, ossia al permanere dei requisiti richiesti, senza che
nell’interazione con l’esistente insorgano effetti secondari negativi tali da diventare
essi stessi fonte di degrado o da compromettere l’efficacia strutturale dell’intervento.
Compatibilità costruttiva: tra materiali di apporto e materiali della fabbrica, che
spinge alla ricerca di forme di affinità, pur nell’inevitabile diversità. Secondo una
linea di pensiero, ad esempio, dovrebbero essere preservate le caratteristiche
costruttive che il manufatto presenta, in quanto rappresentano un’antica arte del
costruire.
iii. Reversibilità – Tornare allo stato pre-intervento. Possibilità futura di rimuovere senza
danni eccessivi per l’opera l’intervento oggi effettuato. In questo caso essa sarebbe
limitata alla sostituibilità senza gravi danni indotti di un intervento di consolidamento,
nel caso per varie ragioni esso dovesse dimostrarsi inefficiente e dannoso. Se ne può
dedurre che, maggiori sono i rischi dell’insorgere di forme di incompatibilità
(meccanica, fisico-chimica) tra elemento inserito e struttura preesistente, o le
probabilità del verificarsi di una limitata durabilità del nuovo elemento, maggiore
deve essere l’attenzione a consentire la amovibilità futura, ricercando un
affiancamento non invasivo e ancoraggi puntuali. Per contro, l’intervento eseguito
con materiali e tecniche di cui sono maggiormente accertate la compatibilità e la
durabilità, nonché l’affinità con i modi costruttivi della fabbrica antica, non
necessariamente deve essere reversibile con facilità, anche in considerazione del fatto
che questo non è un requisito proprio della tradizione costruttiva. Per questi materiali
si deve perciò puntare sia al minimo intervento sia alla riduzione degli impatti,
attraverso accorgimenti e forme di controllo adeguate.
iv. Rispetto dell’autenticità – Anche questo è un requisito che viene legato al significato
che si attribuisce al termine “autenticità” in funzione delle differenti scuole di
pensiero. C’è chi riferisce l’autenticità alla configurazione architettonica e chi alla
materia costitutiva. In ogni caso prudenzialmente si attua limitando al massimo le
sostituzioni di materia e di superficie stratificata.
v. Conservazione della materia – La materia è considerata nel suo insieme portatrice di
testimonianze di cultura costruttiva e di segni del passaggio del tempo. La sua
sostituzione fisica o la sua compromissione non sono considerate possibili senza
produrre una drastica perdita di identità e di potenziale informativo dell’opera, e
pertanto sono escluse in via di principio dall’opera di restauro. La conservazione della
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materia consentirà anche in futuro di osservare i segni del danno come manifestazione
del comportamento nel tempo, permettendo di ripetere il processo interpretativo-
diagnostico. È perciò un obiettivo che ha significato non solo come fine dell’opera di
restauro, ma anche come mezzo per perseguire e verificare nel tempo l’efficacia
dell’opera di miglioramento.
vi. Controllo dell’impatto visivo – Si tratta di quegli interventi non invasivi per i quali si
accetta l’impatto visivo (non ostentato e opportunamente contenuto) in quanto
consentono di conservare la materia dell’opera (ad esempio la posa in opera di catene
metalliche a vista piuttosto che interventi di radicale sostituzione e ricostruzione).
vii. Riconoscibilità dell’intervento – Costituisce un requisito che la disciplina del restauro
richiede a tutte le opere di apporto. Si attua attraverso opportune forme di
distinguibilità. Questo requisito diventa importante soprattutto per gli interventi di
contrasto dei principali meccanismi in atto o attesi, o nel caso si attuino interventi
parziali.
L’intervento di miglioramento sismico Ogni qual volta si ha a che fare con una fabbrica storica in muratura, ci si deve porre
l’obiettivo di realizzare un intervento in grado di conservare il manufatto conferendogli allo
stesso tempo un maggior grado di sicurezza.
L’obiettivo di compatibilità tra sicurezza e conservazione, sembra essere raggiungibile
percorrendo la via dell’intervento di miglioramento sismico268
, individuando cosa
conservare e da qui far scaturire il come conservare con sicurezza269
.
Nel corso degli anni si è susseguita una serie di emanazioni di normative sismiche. A
seguito del terremoto in Irpinia (nel 1980) con il DM 2 luglio 1981 Normativa per la
riparazione e il rafforzamento degli edifici danneggiati dal sisma nelle regioni Basilicata,
Campania e Puglia, c’è stata l’introduzione dell’intervento di adeguamento definito (al
punto 1.3 di tale decreto) come un insieme di opere atte a far in modo che l’edificio resista
ad azioni di progetto equivalenti a quelle previste per le nuove costruzioni.
In seguito il DM 24 gennaio 1986 Norme tecniche relative alle costruzioni antisismiche,
definisce l’adeguamento (al punto C.9.1.1) come nel precedente DM del 1981 specificando
inoltre quando esso deve essere obbligatorio (ad esempio nel caso di sopraelevazioni o
variazioni di destinazioni d’uso con incrementi di carico superiori al 20%). Il DM del 1986
introduce però anche la categoria di intervento di miglioramento (C.9.1.2) che definisce
come una serie di opere inerenti singoli elementi strutturali del manufatto, al fine di
aumentare il grado di sicurezza nei confronti dell’azione sismica, senza però portarlo agli
standard di sicurezza come se si stesse trattando un edificio nuovo e senza modificarne il
comportamento globale270
.
Per quanto riguarda invece gli edifici monumentali, gli obiettivi da ottenere dagli interventi
possono essere accomunati al miglioramento, così come scaturisce dalla Circolare del
268 Doglioni F., Mazzotti P. (a cura di), 2007, p. 29. 269 Giuffrè A. (a cura di), 1993, p. 3. 270 Stesse definizioni di adeguamento e miglioramento sono definite dal DM 16 gennaio 1996 Norme
tecniche per le costruzioni in zone sismiche. Tale decreto, al punto C.9.1.2, specificava anche che
l’intervento di miglioramento era adeguato agli edifici monumentali, poiché compatibile con le
esigenze di tutela e conservazione del bene.
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Ministero dei beni Culturali e Ambientali del 18 luglio 1986 n.1032 Interventi sul
patrimonio monumentale a tipologia specialistica in zone sismiche: raccomandazioni.
L’introduzione del miglioramento rappresenta quindi un freno agli interventi invasivi che
caratterizzano l’adeguamento, favorendo la conservazione del comportamento strutturale
originario e l’uso di tecniche di intervento tradizionali.
Oggi le nuove norme tecniche, DM 14 gennaio 2008 Nuove norme tecniche per le
costruzioni, e la relativa Circolare 2 febbraio 2009 n.617 Istruzioni per l’applicazione delle
“Norme tecniche per le costruzioni” di cui al DM 14 gennaio 2008, propongono ancora
questo approccio suddividendo gli interventi in tre differenti categorie (§ 8.4 e § C8.4).
L’adeguamento (interventi finalizzati a conseguire livelli di sicurezza previsti per i nuovi
edifici), il miglioramento (interventi finalizzati ad aumentare la sicurezza della struttura
esistente) e le riparazioni locali (interventi che migliorano le condizioni di sicurezza
preesistenti).
Inoltre viene chiarito che per i beni culturali tutelati è fortemente consigliato adottare il
miglioramento in deroga all’adeguamento271
.
Indipendentemente dalle normative vigenti gli interventi (anche non propriamente in chiave
antisismica) debbono essere primariamente finalizzati alla limitazione o riduzione
significativa delle carenze gravi legate a errori di progetto e di esecuzione, a degrado, a
danni, a trasformazioni, e ad altri fattori per poi prevedere l’eventuale rafforzamento della
struttura esistente, anche in relazione a un mutato impegno strutturale.
7.1. Interventi sulle murature Il progetto di danno, cioè la capacità di prevedere, in funzione delle vulnerabilità
individuate nel manufatto, i possibili meccanismi di danno attivabili in caso di sisma, è il
legame tra l’analisi del danneggiamento e la scelta degli interventi a contrasto di tali
meccanismi272
.
Prima di progettare qualsiasi intervento sulle murature occorre valutare la loro rispondenza
alla cosiddetta "regola dell'arte" (§ 3.1). Qualora la muratura in esame risulti molto lontana
dalle regole del buon costruire, e perciò non in grado di esplicare un comportamento
monolitico, occorre innanzitutto intervenire per fornirle un tale comportamento.
7.1.1. Conferimento monoliticità alle pareti in muratura
7.1.1.1. Inserimento diatoni
L’inserimento dei diatoni nello spessore di una parete delle costruzioni in muratura storica,
ha lo scopo di creare una connessione trasversale collegando i paramenti tra loro scollegati
(Fig. 7.4). La disposizione di tali elementi garantisce un buon ingranamento dello spessore
delle murature conferendo di fatto un comportamento monolitico della tesa muraria,
271 Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 febbraio 2011, Linee Guida per la
valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle norme
tecniche per le costruzioni di cui al D.M del 14 gennaio 2008 (pubblicata sulla G.U. del 26 Febbraio
2009 n.47), punto 2.2.
D.Lgs. n.42 del 22 gennaio 2004 Codice dei beni culturali e del paesaggio, art. 29, comma 4. 272 Doglioni F., Mazzotti P (a cura di), 2007, p. 85.
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requisito fondamentale nei riguardi dei cinematismi di collasso fuori dal piano. Si sottolinea
che questa tecnica di intervento può risultare del tutto inefficace in quelle pareti murarie
prive di ogni rispetto della “regola dell’arte”, ad esempio le murature caotiche realizzate
con ciottoli o scaglie di pietre irregolari di forma arrotondata con notevole presenza di
malta273
.
Figura 7.4 – a) Muratura a sacco in assenza di collegamenti tra le due cortine esterne; b) muratura
con pietra squadrata con diatoni di collegamento trasversali.
Figura 7.5 – Stato tensionale di compressione su ogni blocco della parete muraria.
Considerando una parete di altezza h e base b costituita da blocchi sovrapposti, sottoposta a
un’azione sismica orizzontale il ruolo dei diatoni è quello di garantire una ridistribuzione
delle tensioni di compressione tra un filare e l’altro, in maniera tale da conferire alla parete
273 Donà C. (a cura di), 2011, Volume II, schede M4 e M5, pp. 82-91.
394 | CAPITOLO 7
quella monoliticità che non ci sarebbe in assenza di questi elementi di collegamento274
(Fig.
7.5).
7.1.2. Conferimento comportamento scatolare
Il conferimento del comportamento scatolare è fondamentale per un buon funzionamento di
una struttura in muratura. Per far capire l’importanza di questo comportamento si pensi ad
esempio che la fabbrica muraria storica sia rappresentata da una scatola di scarpe.
Se si immagina di togliere il coperchio, la scatola muraria è costituita da quattro pareti
collegate tra loro solo in prossimità degli angoli (nel caso reale tale collegamento
corrisponde all’ammorsamento delle pareti ortogonali tra loro). Si immagini ora che la
scatola sia investita da una forza orizzontale: senza la presenza del coperchio essa inizia a
deformarsi e se si immagina di togliere l’unico collegamento tra le pareti (assenza di
ammorsamento) si può verificare il loro ribaltamento fuori dal piano (la cosiddetta
“apertura a carciofo” delle pareti, Fig. 7.6a).
Quello appena descritto è proprio quello che si dovrebbe evitare al fine di avere un buon
funzionamento della struttura muraria. Per evitare questo comportamento è necessario
irrigidire adeguatamente gli orizzontamenti dei solai di interpiano e quelli delle coperture:
questo consente di poter ridistribuire, in funzione della rigidezza delle pareti, per quanto
possibile, le azioni orizzontali sulle pareti, conferendo alla struttura resistente un
comportamento al sisma più omogeneo rispetto a quello che si avrebbe con solai flessibili
(ad esempio quelli lignei). L’irrigidimento degli orizzontamenti da solo però non basta. Se
non viene collegato alle pareti (tornando all’esempio della scatola di scarpe, il solo
irrigidimento degli orizzontamenti corrisponde all’aver inserito il coperchio al contrario)
esso non riesce a esplicare la sua funzione, in quanto la struttura continua a deformarsi
indipendentemente dall’irrigidimento del solaio che risulta semplicemente appoggiato su di
essa. Inoltre se l’orizzontamento è molto pesante può causare l’effetto “martellamento”
sulla muratura sottostante, lesionandola fortemente e instaurando fenomeni di
disgregazione della parte sommitale delle pareti (Fig. 7.6b). Il comportamento scatolare può
essere conferito alla struttura in muratura se l’orizzontamento irrigidito (coperchio della
scatola di scarpe) viene anche collegato alle pareti murarie (bordino del coperchio in Fig.
7.6c). Così facendo le quattro pareti, seppur non ammorsate tra loro, non sono più libere di
deformarsi o muoversi indipendentemente l’una dall’altra, ma risultano tutte collegate tra
loro impedendo quel pericoloso moto fuori piano, che può causare la perdita della struttura.
Nella realtà il bordino può essere costituito ad esempio da cordoli ben vincolati alla
muratura sottostante (ad esempio con connessioni verticali), da catene metalliche o ancora
da cerchiature esterne. Se l’intervento con finalità di miglioramento sismico che si realizza
sulla fabbrica storica, non è costituito dalla combinazione di questi due importanti aspetti,
ovvero irrigidimento degli orizzontamenti (coperchio della scatola) e collegamento di
questi con le pareti murarie (bordino del coperchio), l’intervento non funziona.
274 Giuffrè A., 1991, pp.18-19.
CAPITOLO 7 | 395
Figura 7.6 – Comportamento di una fabbrica muraria. a) Assenza di orizzontamenti rigidi e
collegamenti tra le pareti; b) presenza di solai rigidi non collegati alle pareti; c) presenza di solai
rigidi ben collegati alle pareti.
È bene inoltre che l’intervento con la funzione appena descritta sia realizzato in maniera
tale da assolvere anche altre funzioni, ad esempio275
ridurre le spinte statiche e quelle
attivate dal sisma, e distribuire i carichi verticali in condizioni statiche.
È necessario inoltre tener conto che l’intervento che si va a realizzare, oltre a essere
realizzato a “regola d’arte” affinché garantisca un comportamento scatolare alla struttura,
dovrebbe garantire la sua sicurezza e la sua conservazione senza stravolgerne la
funzionalità.
Gli interventi che garantiscono le funzionalità appena elencate possono essere realizzati con
differenti tecniche costruttive:
- catene metalliche: utilizzate, in maniera provvisoria o definitiva in caso di carenza o
assenza di connessioni strutturali, che in fase sismica, può provocare l’insorgere di
meccanismi di collasso fuori piano (esse non garantiscono però la distribuzione dei
carichi verticali concentrati);
- cordolo – tirante in acciaio: applicato in sommità il cordolo che aderisce alla parete
investita dal sisma impedisce il suo ribaltamento fuori dal piano, e i tiranti
trasferiscono l’azione sismica alle pareti trasversali;
- cordolo in cemento armato: adatto per assorbire gli sforzi assiali; essendo molto rigidi
possono risultare non compatibili con la muratura sottostante;
- cordolo in muratura armata: assolve la funzione prioritaria di ripartizione dei carichi
verticali, crea le condizioni per una reciproca collaborazione fra le murature e
permette di contrastare i meccanismi fuori piano delle pareti, grazie a una buona
aderenza con la muratura anche in condizioni dinamiche;
- cordolo a traliccio in acciaio: realizzato con profilati metallici ancorati direttamente
sulle murature sommitali, migliora il comportamento scatolare e conferisce resistenza
a trazione al sistema murario in zone fortemente sollecitate (ad esempio le zone dei
cantonali);
- cordolo in legno: molto utilizzati in passato per assorbire sollecitazione di trazione; si
posizionavano nello spessore della muratura in fase di costruzione dell’edificio276
(Fig. 7.7).
275 Gurrieri F. (a cura di), 1999. 276 Donà C. (a cura di), 2011, Volume II, scheda M21 pp. 200-204.
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Figura 7.7 – Radiciamento ligneo presente in un rudere a L’Aquila.
- cordolo di piano a “L”: utile per migliorare le connessioni perimetrali e fare in modo
di garantire la scatolarità dell’edificio, in quanto assolve la funzione di tirante
scongiurando i meccanismi fuori piano;
- cerchiature esterne in materiali compositi: mediante fasciature, cioè nastri disposti a
livello del sottogronda e a livello di piano. Quest’intervento è molto utile ad assorbire
gli sforzi assiali e contrastare il rigonfiamento delle pareti verso l’esterno, ma per
contro è del tutto inefficace nella ripartizione dei carichi verticali. Inoltre possono
essere poste in opera solo quando l’edificio è esternamente intonacato e non faccia a
vista;
- miglioramento delle connessioni perimetrali: eseguito mediante ancoraggio delle
orditure portanti di solaio e coperture con le pareti perimetrali;
- miglioramento delle connessioni interne: garantiscono la solidarizzazione degli
orizzontamenti alle murature conferendo un miglior comportamento scatolare alla
struttura muraria.
7.1.2.1. Catene
Una delle tecniche più efficaci, semplici ed economiche, è quella dell’inserimento di tiranti
metallici (o catene). Questi elementi possono essere utilizzati come presidi provvisori o
definitivi.
La messa in opera di tiranti viene effettuata in caso di carenza o assenza di connessioni
strutturali. La loro mancanza, infatti, in fase sismica, può provocare l’insorgere di
meccanismi di collasso fuori piano, come quello del ribaltamento.
L’utilizzo di tiranti può inoltre essere effettuato:
- in presenza di deformazioni di presso-flessione, con l’innesco di fenomeni di perdita
di equilibrio (ad esempio cinematismo di flessione verticale) se l'inflessione si estende
per più di un piano;
CAPITOLO 7 | 397
- in presenza di solai non capaci di assicurare un adeguato vincolo alle pareti perché
collegati in maniera poco efficace o perché semplicemente poggiati su di esse;
- per contrastare la spinta esercitata da orizzontamenti spingenti (ad esempio le strutture
voltate o puntoni lignei in copertura).
I tiranti sono realizzati con elementi metallici monodimensionali, ad esempio con barre
longitudinali a sezione circolare o rettangolare (dimensionati a trazione). Essi vengono
posti in opera con un leggero stato di trazione, applicando così, per mezzo di elementi di
ancoraggio (capochiave), un’azione di contenimento localizzata sulle pareti murarie.
I capichiave, cioè gli elementi terminali di ancoraggio, sono generalmente dimensionati a
flessione. Essi possono avere diverse forme:
- a paletto: non disposti né orizzontalmente né verticalmente, ma con un’inclinazione
compresa fra i 30° e i 60° rispetto all’orizzontale. Questa disposizione è fondamentale
perché essi devono sempre scaricare la loro reazione sul muro di spina e sul solaio di
piano (Fig. 7.8), cosa che non avverrebbe se si disponesse il paletto in verticale. Le
posizioni orizzontali sono da evitare poiché il paletto rischierebbe di conficcarsi nel
giunto di malta senza offrire il contrasto necessario.
Figura 7.8 – Schematizzazione della posa in opera del capochiave all’estremità dei tiranti in acciaio;
a) soluzione corretta; b) soluzione scorretta.
- a piastra: nervata o meno. Questa soluzione è fondamentale per massimizzare
l’estensione dell’area su cui agisce direttamente il tirante, quando la muratura è tale
da non garantire l’assorbimento degli sforzi localizzati (ad esempio la muratura
caotica).
Le catene per essere efficaci richiedono elementi di contrasto (puntoni) disposti
parallelamente all’azione di trazione che essi esercitano. Questo elemento fa sì che la parete
muraria presidiata non venga direttamente sottoposta a sollecitazioni flettenti prodotte dal
tiro della catena in condizioni statiche. Solitamente il “puntone” a contrasto è costituito da
un muro trasversale a quello presidiato o da un solaio: ecco spiegato il motivo per cui i
tiranti sono preferibilmente applicati in adiacenza e parallelamente alle pareti ortogonali a
quelle presidiate e a livello degli orizzontamenti.
Per applicare i tiranti e quindi ancorarli alle loro estremità alle pareti, oltre al fatto che
l’ancoraggio (capochiave) deve essere adeguatamente dimensionato per trasferire la
massima forza del tirante alla muratura, un requisito fondamentale che le pareti in muratura
devono rispettare è quello di avere buone caratteristiche meccaniche. Se viene meno questa
caratteristica, prima di porre in opera la catena occorre consolidare la parete, garantendone
398 | CAPITOLO 7
un comportamento monolitico (corpo rigido).
Dimensionamento
Per determinare il tiro necessario al fine di impedire il cinematismo di ribaltamento
semplice o composto di una parete in muratura, si può applicare il procedimento dell’analisi
cinematica (Fig. 3.40a).
Il procedimento sostanzialmente è il seguente:
- dal principio dei lavori virtuali (che può essere semplificato con l’equilibrio dei
momenti stabilizzante e ribaltante solo nel caso di cinematismo di ribaltamento) si
ricava il moltiplicatore di attivazione del meccanismo α;
- si trasforma il moltiplicatore in accelerazione di attivazione del meccanismo e la si
confronta con quella minima da normativa (calcolata in quel sito e per le
condizioni riguardanti quel preciso edificio) (§ 3.3.3);
- verificato che l’accelerazione di attivazione è minore di quella minima da
normativa, mediante l’analisi cinematica lineare (§ 3.3.1) si determina il tiro
necessario a scongiurare l’attivazione del cinematismo. Il tiro così ottenuto va poi
diviso per il numero di catene effettive che si intende porre in opera, ottenendo
cioè quello relativo a ogni singolo tirante (Tc in Fig. 7.9).
Figura 7.9 – Azione di trazione agente sulla catena; t è lo spessore del muro, L è la lunghezza del
muro, Atirante è l’area della sezione del tirante.
Determinato il tiro Tc di ogni singolo tirante si procede al suo dimensionamento a trazione
con tale azione:
Rc TT
in cui TR è la resistenza a trazione del tirante277
(TR = Atirante fd, con fd tensione di progetto
del materiale costituente il tirante).
Il secondo passo è quello del dimensionamento a flessione dell’ancoraggio di estremità alla
muratura (Figg. 7.10, 7.11), quindi delle “testine” capochiave278
.
277 AA.VV., 1998, Revisione 12/1999, p. 33. 278 Qualora la sezione effettiva del tirante messo in opera sia maggiore di quella strettamente
necessaria, per il dimensionamento dei collegamenti (paletto, piastra) e la verifica della muratura,
occorre utilizzare:
TR = Aeffettiva fd
Questo consente di garantire che il collegamento alla muratura non vada in crisi prima della catena.
CAPITOLO 7 | 399
Se il capochiave è costituito da un paletto, esso può essere schematizzato come una trave
(Fig. 7.10) sottoposta a una pressione sulla superficie di contatto con la muratura che
equilibra il tiro della catena (supponendola in condizioni di snervamento).
Lo schema di calcolo con cui calcolare il momento massimo Mmax, necessario al
dimensionamento a flessione del capochiave, può essere quindi quello di una trave con un
carico concentrato in corrispondenza del tiro Tc. Per quanto riguarda la pressione sulla
superficie di contatto con la muratura, essendo il paletto un elemento non rigido, essa può
assumere verosimilmente una distribuzione lineare (Fig. 7.10a).
Nel dimensionamento questa pressione, a favore di sicurezza, può essere considerata come
uniformemente distribuita (Fig. 7.10b). In tal caso si ottiene un momento massimo Mmax
maggiore rispetto al caso precedente. Quest’ultima distribuzione può essere considerata
attendibile se si immagina, ad esempio, di irrigidire il paletto in corrispondenza del tiro Tc,
aumentandone la sezione resistente (cioè il suo spessore).
Figura 7.10 – Schematizzazione del sistema di ancoraggio a paletto; Tc è il carico concentrato in
corrispondenza della catena. Diverse distribuzioni del carico sulla superficie di contatto: a)
distribuzione lineare; b) distribuzione uniforme (considerando il capochiave come elemento rigido).
Definito lo schema di calcolo, è possibile determinare il momento massimo Mmax che agisce
sull’ancoraggio. Nel caso di andamento lineare delle pressioni di contatto con la muratura
(Fig. 7.10a) si ha:
3
1
22max
ycLT
M
nel caso invece di andamento uniformemente distribuito (Fig. 7.10b) si ha:
42max
ycLT
M
Con questa sollecitazione è possibile eseguire un pre-dimensionamento dello spessore
dell’elemento che costituisce il capochiave a paletto:
ydx fL
Ms
max6
400 | CAPITOLO 7
in cui fyd è la tensione di snervamento di progetto del materiale che costituisce l’elemento di
ancoraggio.
Dopo aver dimensionato il presidio è necessario valutare, nel caso in cui si verificasse un
eccesso di pressione di contatto, il meccanismo di rottura relativo alla resistenza del muro
nei confronti della penetrazione dell’ancoraggio279
. In pratica individuata l’area
direttamente caricata, di dimensioni pari alla zona di contatto (Lx · Ly), si effettua una
verifica a compressione della muratura:
Rmc TT
in cui TRm è la massima forza sopportabile a compressione dalla muratura (TRm = Lx Ly fmd,
con fmd resistenza a compressione di progetto della muratura (vedi nota 278). Quest’ultima
dovrebbe essere quella parallela ai giunti di malta; in mancanza di valori attendibili è
possibile considerare quella perpendicolare).
Nel caso in cui tale uguaglianza non risulti verificata, ovvero se il tiro supera la resistenza a
compressione della muratura, è necessario aumentare la superficie di contatto tra il
capochiave e la muratura. Nel caso dei paletti ad esempio è possibile realizzare delle
ramificazioni (Fig. 7.11), in maniera tale da coinvolgere una maggior superficie di muratura
al fine di evitare la penetrazione dell’ancoraggio.
Figura 7.11 – a) Paletto; b) diramazione a Y; c) diramazione a X.
Se invece la “testina” capochiave è realizzata con una piastra, che può avere ad esempio un
forma rettangolare o circolare, lo schema di calcolo può essere rappresentato da una piastra
con un carico concentrato in corrispondenza del tiro Tc. Questo tiro si può immaginare
equilibrato da una pressione (Fig. 7.12) sulla superficie di contatto con la muratura (vedi
nota 278).
279 Munari M. et al, 2010, p. 14.
Questo procedimento è previsto anche da: Giuffrè A. (a cura di), 1993, pp. 181-182, pp. 208-209.
CAPITOLO 7 | 401
Figura 7.12 – Schematizzazione del sistema di ancoraggio a piastra quadrata; Tc è il carico
concentrato in corrispondenza della catena; q = Tc/Acapochiave è il carico sulla superficie di contatto.
Per il dimensionamento a flessione, il capochiave si schematizza come una trave.
Solitamente questa tipologia di ancoraggio si preferisce quando le pareti sono realizzate con
murature irregolari o costituite da elementi di piccole dimensioni. Il capochiave a piastra,
infatti, a differenza di quello a paletto, permette di distribuire meglio il carico trasmesso dal
tirante. Per questo motivo il dimensionamento della superficie di questa tipologia di
ancoraggio può essere effettuato come segue:
md
ccapochiave
f
TA
in cui fmd è la resistenza a compressione di progetto della muratura.
In pratica la superficie così calcolata viene determinata considerando la resistenza del muro
nei confronti della penetrazione dell’ancoraggio, ovvero è quella necessaria affinché non si
abbia schiacciamento locale nella muratura.
Come per il paletto si determina poi la pressione q esercitata dal capochiave sulla muratura
conseguentemente all’azione del tiro Tc (vedi nota 278):
capochiave
c
A
Tq
con il quale si determina il momento massimo Mmax grazie al quale si può dimensionare a
flessione l’ancoraggio. Nel caso di piastra rettangolare (nell’ipotesi di schematizzare la
piastra come una trave, Fig. 7.12) si ha:
42max
yLAqM
Analogamente si procede per una piastra di qualsiasi altra forma (ad esempio di forma
circolare o ellittica).
Al fine di garantire una distribuzione omogenea delle pressioni sulla muratura, è buona
norma realizzare degli irrigidimenti sugli elementi di ancoraggio con piastre quadrate,
rettangolari o circolari, come mostra, ad esempio, la Fig. 7.13.
402 | CAPITOLO 7
Figura 7.13 – Esempio di irrigidimento di piastre capochiave circolari e quadrate.
Se l’ancoraggio a piastra vincola due tiranti anziché uno, come spesso capita, lo schema di
calcolo può essere rappresentato come in Fig. 7.14. Come appena descritto si determina
prima la superficie della piastra e la pressione da essa esercitata sulla superficie di contatto
con la muratura. Si determina poi il momento massimo Mmax agente sulla piastra stessa e
con esso si dimensiona lo spessore che l’ancoraggio deve avere. Infine, anche in questo
caso, è buona norma predisporre opportuni irrigidimenti affinché sia garantita la
distribuzione uniforme delle pressioni di contatto dovute alle azioni dei tiranti.
Figura 7.14 – Schema di calcolo di una piastra di ancoraggio con due tiranti.
Una volta dimensionato il tirante e il suo ancoraggio alla muratura (che sia paletto o piastra)
occorre anche valutare il meccanismo di rottura relativo al punzonamento della muratura
nelle zone di ancoraggio. Questa valutazione è però necessaria generalmente solo se la
catena non è posizionata in corrispondenza dei solai di interpiano o in adiacenza alle pareti
di spina (ad esempio campanili e chiese).
Tale meccanismo si può valutare considerando l’estrazione di un concio (Fig. 7.15), ad
esempio supponendo che a seguito dell’azione del tirante Tc (vedi nota 278) si sviluppino
nello spessore t della muratura tensioni inclinate tali da far formare l’apertura delle fessure
a 45° (Fig. 7.15a).
CAPITOLO 7 | 403
Figura 7.15 – a) Individuazione del concio di muratura nel meccanismo di rottura a punzonamento
relativamente a un capochiave a piastra quadrata; b) semplificazione dello schema.
L’individuazione del concio può essere semplificata (Fig. 7.15b) approssimando la linea
inclinata a 45° nello spessore del muro con una linea orizzontale, variando quindi la
conformazione del cuneo di distacco280
.
Il concio così individuato resiste grazie alla tensione tangenziale scambiata con la muratura
circostante. A favore di sicurezza si può considerare solo la tensione tangenziale limite che
si sviluppa sulle facce orizzontali (Fig. 7.15), trascurando quella lungo le facce laterali281
. Il
meccanismo che si considera è quello di scorrimento degli elementi direttamente caricati
facendo affidamento sulla resistenza ad attrito e, eventualmente, coesivo delle facce
orizzontali:
vd
x
c ftt
Lt
T
222
dove:
222
ttLx
– è la superficie di punzonamento;
t – è lo spessore della parete;
Lx – è la larghezza della testina capochiave;
fvd – è la resistenza di progetto a taglio della muratura.
280 La stessa cosa viene fatta nel caso di capochiave a paletto o a piastra circolare. In questi casi il
concio di distacco è quello rappresentato in Fig. 7.16.
Figura 7.16 – Individuazione del concio di muratura nel meccanismo di rottura a punzonamento
relativamente a due differenti tipologie di capochiave: a) paletto; b) piastra circolare (vista
prospettica). 281 AA.VV., 1998, Revisione 12/1999, p. 34; Munari M. et al, 2010, p.14.
404 | CAPITOLO 7
È fondamentale infine precisare che nel caso in cui per il calcolo del tirante (quindi
all’interno del cinematismo considerato, Fig. 3.40a) si sia considerata solo una porzione
unitaria di parete, prima del dimensionamento sarà necessario moltiplicare il valore del tiro
Tc per l’area di afferenza del singolo tirante.
Una volta dimensionato il tirante e il suo ancoraggio con la parete, è infine necessaria
verificare che le pareti trasversali a quella investita dal sisma, ovvero quelle sulle quali il
tirante scarica la sua azione di trazione, siano in grado di assorbire tale azione. La verifica
(a taglio) viene svolta secondo le normative vigenti.
7.1.2.2. Cordolo tirante in acciaio
Questo presidio si utilizza generalmente in copertura. È una sorta di tirante che, abbinato a
un profilo metallico, consente di assorbire le spinte orizzontali. In pratica il profilo in
acciaio funge da cordolo per la parete muraria che tende a ribaltare fuori dal piano, ed è
ancorato mediante tiranti sempre realizzati in acciaio282
.
Dimensionamento I tiranti sono dimensionati a trazione così come visto per le catene in acciaio (§ 7.1.2.1),
mentre il cordolo aderente a tutta la lunghezza della parete può essere dimensionato a
flessione, considerando lo schema statico in Fig. 7.17.
Figura 7.17 – Cordolo-tirante per singola parete costituito da profilo metallico e catene di
ancoraggio.
Supponendo che il cordolo eserciti una pressione uniforme sulla muratura con cui è a
contatto (Fig. 7.17) che vale:
282 Gurrieri F. (a cura di), 1999, Schede CO6 e CO7.
CAPITOLO 7 | 405
L
Tq c
in cui L è la lunghezza del cordolo stesso, è quindi possibile dimensionare il cordolo a
flessione, determinando il momento sollecitante massimo Mmax per lo schema statico
considerato (Fig. 7.17):
8
2
max
LqM
con il quale è possibile eseguire un pre-dimensionamento della sezione del profilo in
acciaio che funge da cordolo:
ydf
MW max
in cui:
W – è il modulo di resistenza del profilo in acciaio;
fyd – è la tensione di snervamento di progetto dello stesso materiale.
7.1.2.3. Cordoli in c.a.
Nelle costruzioni storiche in murature l’inserimento di cordoli in c.a. è preferibile solo a
livello di copertura, in quanto risulta problematico e molto dannoso disporli a livello di
piano: in questo secondo caso infatti, si andrebbero a indebolire i pannelli murari per via
della “breccia” realizzata per collocare il cordolo (§ 7, Fig. 7.3). Ciononostante, dall’analisi
dei danni provocati dai passati eventi sismici, si è visto che la loro efficacia può essere
comunque limitata, se non ben dimensionati e collegati alla muratura sottostante, a causa
della loro rigidezza molto più elevata della muratura su cui sono appoggiati, che può
portare a scaricare le azioni verticali solo in alcuni punti della parete (spesso localizzati nei
cantonali).
Nel caso, comunque, in cui si scelga di realizzare un cordolo in c.a. è necessario ribadire
che la muratura su cui esso viene posto in opera deve essere di buona qualità per non
disgregarsi. Se non lo è occorre consolidarla al fine di rendere “compatibile” l’inserimento
di questa tipologia di intervento e non vanificarla. Altro aspetto fondamentale è quello di
ancorare il cordolo lungo le pareti al fine di avere una duplice funzione: la prima è quella di
evitare l’effetto “martellamento” che il cordolo potrebbe provocare sulla sommità delle
pareti murarie (Fig. 7.6b), la seconda è quella di impedire il pericoloso ribaltamento fuori
dal piano (l’effetto che conferisce il bordino della scatola di Fig. 7.6c) delle stesse pareti
tramutando tale cinematismo in una flessione verticale.
Inoltre per far sì che il cordolo in c.a. funzioni adeguatamente deve essere caricato dall’alto:
ad esempio le travi che costituiscono l’orditura principale delle coperture dovrebbero essere
appoggiate sopra al cordolo, oltre che ben vincolate a esso, e non annegate al suo interno.
Solo in questo modo si può ottenere un effetto stabilizzante dovuto proprio al carico
verticale delle travi di copertura, purché, ovviamente, questo non sia così gravoso da
mettere in pericolo la staticità della parete sottostante.
406 | CAPITOLO 7
Dimensionamento Per dimensionare il cordolo in c.a. si procede innanzitutto con la determinazione del tiro Tc
necessario a impedire il meccanismo fuori dal piano (Fig. 3.40a), considerando l’azione
sismica agente su tutti i macroelementi (Fig. 7.18). Il cordolo è quindi calcolato
dimensionando a trazione le barre di armatura al suo interno. Per evitare errori di messa in
opera in fase esecutiva, è buona norma prevedere su tutti i cordoli lo stesso quantitativo di
armatura, per cui per determinarlo si utilizzerà il valore massimo di Tc calcolato in
entrambe le direzioni principali dell’edificio (direzione x e y in Fig. 7.18). Il quantitativo di
armatura da disporre all’interno del cordolo affinché venga impedito il cinematismo di
ribaltamento, è determinato in maniera tale che sia verificata la seguente relazione:
Rc TT
in cui TR è la resistenza a trazione dell’armatura del cordolo in c.a.283
.
Figura 7.18 – Schematizzazione della direzione dell’azione sismica da considerare per la
determinazione delle azioni di trazione che impediscono il cinematismo e che devono essere assorbite
dall’armatura del cordolo in c.a..
Va poi determinata l’altezza del cordolo. Se si vuole evitare l’inserimento di connettori, una
soluzione per la determinazione dell’altezza può essere quella di una verifica a scorrimento
del cordolo stesso284
. In questo caso esso è semplicemente appoggiato alla sommità della
parete, perciò la sua azione di contenimento si trasmette alla muratura grazie all’attrito che
si esplica al contatto tra le due superfici. Si consideri l’esempio in Fig. 7.19, in cui si hanno
le seguenti caratteristiche:
h’ – è l’altezza incognita del cordolo in c.a.;
283 Qualora la sezione effettiva dell'armatura messa in opera sia maggiore di quella strettamente
necessaria, per il dimensionamento dei collegamenti occorre utilizzare:
TR = Aeffettiva fd
Questo consente di garantire che il collegamento alla muratura non vada in crisi prima dell'armatura. 284 Giuffrè A., Carocci C., 1999, p. 173.
CAPITOLO 7 | 407
Wc = γ’ b h’ L – è il peso del cordolo in c.a. (γ’ è il peso proprio del cordolo in c.a.; L è il
suo sviluppo longitudinale, Fig. 7.18);
Pc – è il peso della copertura posta in opera sopra al cordolo al fine di caricarlo
verticalmente;
PH – è l’eventuale spinta statica della copertura;
Tc – è la trazione esercitata dal cordolo in sommità.
Figura 7.19 – Schema di riferimento per la determinazione dell’altezza del cordolo.
Con l’equilibrio alla traslazione orizzontale (Fig. 7.19), considerando un coefficiente di
attrito μ285
, si ottiene un’equazione in funzione di h’:
Hccc PPWT
↓
Hcc PPLbhT ''
↓
c
H PPT
bLh
'
1'
Con questo procedimento si possono ottenere altezze molto elevate che sono però
fortemente sconsigliate, sia perché, come già detto, conferiscono un’eccessiva rigidezza al
cordolo, sia perché portano ad aumentare le masse in sommità. Una possibile soluzione
alternativa è l’uso di connettori di collegamento tra il cordolo e la sottostante parete, a cui
affidare la loro solidarizzazione.
Considerando sempre la parete soggetta a ribaltamento fuori dal piano, i connettori (previo
consolidamento della muratura sottostante nel caso questa non fosse di buona qualità) sono
285 Da una ricerca bibliografica il coefficiente di attrito può essere assunto pari a:
μ ≈ 0,6 coefficiente di attrito muratura su muratura (pietra calcarea, tufo). Tale valore deriva
dall’angolo di attrito che usualmente, per la pietra, è pari a 30°. Ne deriva μ = tg30°
(Giuffré A., Carocci C., 1997, pp. 181, 231, 253);
μ = 0,57 coefficiente di attrito muratura su muratura (pietra) (Giuffré A., Carocci C., 1999,
p.116);
μ = 0,4 coefficiente di attrito muratura su muratura (pietra) considerato prudenzialmente
basso (Giuffré A., Carocci C., 1999, p.173);
μ = 0,3 coefficiente di attrito muratura su muratura (pietra) (Giuffré A., 1991, p. 14 e pp.
17-18);
μ > 1 coefficiente di attrito muratura su muratura (pietra grezza) ottenuto da prove
sperimentali (Giuffré A. (a cura di), 1993, p. 239).
408 | CAPITOLO 7
generalmente dimensionati per lavorare a taglio: l’azione tagliante che si considera è il tiro
Tc (vedi nota 283). Nell'ipotesi che tutti i connettori abbiano lo stesso spostamento in
sommità, e che siano posti in opera allo stesso interasse, l'azione tagliante su ognuno di essi
è pari al Tiro Tc diviso per il numero di connettori n presenti sulla lunghezza della parete.
Quest'ultima è pari a L nel caso di cinematismi di ribaltamento semplice (Fig. 7.20b) e pari
a L + 2L' nel caso di cinematismi di ribaltamento composto (Fig. 7.20c).
Figura 7.20 – Zona efficace per il dimensionamento dei connettori di collegamento.
Considerando lo schema di calcolo proposto (Fig. 7.20), si può determinare l’azione
tagliante su ogni connettore come segue:
m
TT c
connettori
in cui:
Tc – è il tiro agente sulla parete che ribalta (vedi nota 283);
m – è il numero dei connettori presenti lungo la parete di lunghezza L o L + 2L'.
Con questa azione si procederà al dimensionamento del diametro dei connettori che
verranno disposti lungo il cordolo in c.a. Stesso procedimento viene svolto considerando il
sisma in entrambe le direzioni della struttura (Fig. 7.18): per non avere problemi in fase di
esecuzione dell’intervento è ragionevole porre in opera connettori di ugual sezione lungo
tutto lo sviluppo del cordolo, così come lo stesso quantitativo di armatura longitudinale
dimensionata precedentemente.
È necessario poi dimensionare la lunghezza dei connettori. Una possibile soluzione
potrebbe essere quella di procedere con una verifica a scorrimento della muratura:
Hcmcc PPWWT
dove:
Tc – è il tiro agente sulla parete che ribalta;
μ – è il coefficiente di attrito della muratura (vedi nota 285);
Wc – è il peso del cordolo in c.a.;
Wm – è il peso della muratura, determinato considerando il reale volume della muratura, al
netto cioè delle aperture e considerando solamente le parti dei maschi murari (Fig. 7.21,
escludendo quindi le zone “disturbate” dei soprafinestra). Nel caso dell’esempio (Fig. 7.21)
il peso della muratura è paria a:
Wm = γ t (h1 b1 + h2 b2 + h3 b3)
CAPITOLO 7 | 409
con γ peso specifico della muratura; t spessore della parete; h1, h2, h3 altezze delle parti dei
maschi murari considerate (Fig. 7.21); b1, b2, b3 larghezza delle parti dei maschi murari
considerate (Fig. 7.21);
Pc – è il peso della copertura posta in opera sopra al cordolo al fine di caricarlo
verticalmente;
PH – è l'eventuale spinta statica della copertura.
Considerando l’esempio (Fig. 7.21) in cui h1 = h2 = h3 = h, la lunghezza minima hmin dei
connettori può essere così determinata:
Hccc PPWT
bbbth
321
min
1
Qualora si ottenesse un valore negativo vuol dire che il solo peso dovuto alla copertura e al
cordolo (Wc + Pc) è già sufficiente a impedire lo scorrimento del cordolo.
Figura 7.21 – Schematizzazione della porzione muraria da considerare per il dimensionamento della
lunghezza dei connettori a taglio.
Una volta dimensionati i connettori sulla parete che ribalta un'accortezza potrebbe essere
quella di verificare che il cordolo non scorra lungo le pareti di spina a cui deve trasmettere
l'azione sismica. Infine è consigliabile una verifica a rifollamento della muratura, fenomeno
che si potrebbe presentare per via dell’azione di taglio sulla sommità dei connettori.
Questo procedimento va svolto per tutte le pareti della costruzione che possono essere
interessate da cinematismi di ribaltamento.
L’altezza dei cordoli può essere determinata anche con una verifica a flessione del cordolo
stesso. Questa verifica è infatti necessaria in quanto la realizzazione di un irrigidimento dei
solai (nelle costruzioni storiche in muratura sono per la maggior parte costituiti da orditura
410 | CAPITOLO 7
lignea), realizzato ad esempio con doppio tavolato incrociato, può non rendere il solaio
infinitamente rigido286
. Di conseguenza potrebbe verificarsi un comportamento flessionale
(Fig. 7.22).
Figura 7.22 – Schema di riferimento per il dimensionamento a flessione del cordolo.
Il dimensionamento può essere condotto con la teoria degli Stati Limite, in condizioni di
rottura bilanciata della sezione in c.a. (cioè con contemporanea rottura del calcestruzzo
compresso e dell’armatura tesa). Sotto tale ipotesi il proporzionamento geometrico della
sezione del cordolo può essere condotto considerando una sezione con armatura semplice,
ovvero con solo armatura tesa (As in Fig. 7.23). Nel dettaglio, fissata la larghezza del
cordolo (b in 7ig. 5.23) occorre variare l’altezza (h in Fig. 7.23) dello stesso affinché il
momento flettente resistente della sezione in condizioni di schiacciamento del calcestruzzo
compresso Mlim, risulti superiore o al più uguale al momento sollecitante di progetto Mmax:
Mlim > Mmax
↓
RC b0 = (fcd x h) b0 > Mmax
dove:
RC – è la risultante delle compressioni sulla sezione (Fig. 7.23);
b0 – è il braccio della coppia interna (Fig. 7.23);
fcd – è la tensione di compressione di progetto del calcestruzzo (Fig. 7.23);
x – è una quantità (Fig. 7.23) che dipende dai coefficienti adottati in fase di definizione del
legame costitutivo considerato per il calcestruzzo. Tali coefficienti sono generalmente
stabiliti in funzione della normativa di calcolo adottata (l’attuale normativa (NTC 2008, §
4.1.2.1.2.2) definisce tre possibili legami costitutivi da utilizzare);
h – è l’altezza incognita del cordolo in c.a. (Fig. 7.23).
286 Questo approccio risulta consolidato anche all’interno del quadro normativo che regola gli
interventi sugli edifici di interesse storico e architettonico secondo la DPCM 9 febbraio 2011, Linee
guida per la valutazione e la riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento
alle norme tecniche per le costruzioni di cui al D.M. 14 gennaio 2008, § 6.3.4, in cui si dice:
“[…] Un limitato irrigidimento dei solai, nel caso di solai lignei, può essere conseguito
operando all’estradosso con un doppio tavolato […]”.
CAPITOLO 7 | 411
Figura 7.23 – Schema di riferimento per il dimensionamento a flessione del cordolo e indicazione
dell’armatura tesa.
Sotto le medesime ipotesi di calcolo, definite le dimensioni geometriche della sezione del
cordolo, è possibile dimensionare l’armatura di acciaio tesa As, imponendo l’uguaglianza
tra il momento sollecitante di progetto Mmax e il momento resistente della sezione
semplicemente armata MRd:
Mmax = MRd
↓
Mmax = RT b0
↓
Mmax = (As fyd) b0
dove:
As – è l’armatura tesa nella sezione del cordolo;
fyd – è la tensione di snervamento di progetto delle armature;
b0 – è il braccio della coppia interna (Fig. 7.23).
7.1.2.4. Cordoli in muratura armata
Il cordolo in muratura armata in sommità prevede il rifacimento dell’ultima porzione di
parete. Questo si adatta a varie tipologie di murature in laterizio e pietra. Si distingue da
quello in cemento armato nel principio costruttivo e quindi nel funzionamento statico:
contiene le armature e viene realizzato a strati; l’assemblaggio dei laterizi varia in relazione
allo spessore della muratura (Fig. 7.24). La disposizione alternata dei laterizi, posti di testa
e di fascia, permette il posizionamento delle staffe aventi un interasse opportuno da rendere
semplificata la costruzione del cordolo.
412 | CAPITOLO 7
Figura 7.24 – Differente assemblaggio dei mattoni del cordolo in funzione dello spessore della
muratura: esempio di cordolo su muratura a due e a tre teste.
Se la copertura prevede anche una soletta armata, è inoltre buona norma alternare due tipi
di staffe di altezza diversa per ammorsarle nella soletta (Fig. 7.25).
È fondamentale non confondere i cordoli in muratura armata con i tiranti sommitali, in
quanto quest’ultimi assolvono solo in parte alle funzioni specifiche richieste dai cordoli,
poiché non garantiscono in alcun modo la ripartizione dei carichi verticali. Inoltre il singolo
tirante tende a riportare l’intero sforzo sull’ancoraggio a monte, dove scarica azioni
concentrate elevate. Il cordolo in muratura armata, invece, distribuisce le azioni sull’intero
muro di appoggio.
Staffe secondarie di
collegamento alla
soletta armata
Staffe principali del
cordolo
Figura 7.25 – Sezione di un cordolo in muratura armata con staffe di altezza diversa nel caso si è in
presenza di una soletta armata in copertura287
.
Nel caso di coperture a padiglione le travi inclinate possono spingere sulle angolate
dell’edificio. In questi casi, fondamentale è la cura del particolare costruttivo in fase di
progettazione e di esecuzione, vincolando le armature del cordolo inferiormente alle testate
delle travi inclinate di copertura (Fig. 7.26). In questo modo la spinta viene completamente
assorbita e ridistribuita sulla sommità dei muri nelle due direzioni principali dell’edificio,
senza causare dissesti localizzati.
287 Cangi G., 2005, p. 243.
CAPITOLO 7 | 413
Lo stesso discorso vale nel caso di realizzazione del cordolo in c.a. illustrato nel precedente
paragrafo (§ 7.1.2.3).
Palombello
Pedagnola
Puntone ligneo
Armatura del cordolo
in muratura armata
Spille
Puntone ligneo di copertura
Armatura del cordolo
Staffa dell'imbraca
Collegamento puntone-cordolo
Figura 7.26 – Collegamento puntone ligneo di copertura con l’armatura del cordolo in muratura
armata288
.
Dimensionamento Il dimensionamento del cordolo in muratura armata viene fatto dimensionando a trazione le
barre di armatura che vengono disposte al suo interno. Considerando che il cordolo
sommitale in muratura armata ha lo scopo di conferire scatolarità all’edificio, e quindi
impedire i meccanismi fuori piano di ribaltamento, l’azione di trazione che le armature
devono assorbire viene determinata con l’analisi cinematica dei meccanismi di ribaltamento
fuori piano delle pareti perimetrali per entrambe le direzioni principali della fabbrica
muraria (Fig. 3.40a). Nelle due direzioni, in funzione alle masse che partecipano al
meccanismo, si possono avere differenti azioni di trazione, quindi differenti diametri delle
barre di armatura. Per evitare errori di messa in opera in fase esecutiva, in entrambe le
direzioni è buona norma prevedere lo stesso quantitativo di armatura. Determinato il tiro Tc,
per i motivi appena descritti con il massimo valore ottenuto, si dimensiona l’armatura
interna del cordolo in muratura armata affinché venga impedito il cinematismo di
ribaltamento. Deve essere rispettata la seguente relazione:
Rc TT
in cui TR è la resistenza a trazione dell’armatura del cordolo in muratura armata.
Il cordolo in muratura armata così realizzato risulta essere ancorato alla parete sottostante
senza soluzioni di continuità, e non sono quindi necessari i connettori.
7.1.2.5. Cordoli a traliccio in acciaio
I cordoli in acciaio in sommità possono essere realizzati disponendo due piatti alle due
estremità della sezione muraria collegandoli perpendicolarmente e con un certo interasse
288 Cangi G., 2005, p. 247.
414 | CAPITOLO 7
con altri piatti (Fig. 7.27a). Il cordolo così realizzato viene solidarizzato alla muratura
attraverso dei connettori verticali di opportuna lunghezza.
In alternativa può anche essere realizzato un traliccio anch’esso costituito da semplici piatti
in acciaio collegati tra loro e fissati alla muratura con connettori (Fig. 7.27b). Tra le due
soluzioni descritte sarebbe preferibile realizzare la seconda.
Dato che in fase sismica la parete muraria su cui si vincola il cordolo in acciaio può essere
soggetta a un comportamento flessionale, per opporre maggior resistenza potrebbe risultare
opportuno realizzare sia i correnti, interno ed esterno, sia i montanti e i diagonali che vanno
a compressione, con profili metallici a “L” o a “C”. La preferenza sull’utilizzo di questi
profili è dovuta al fatto che la compressione che si genera per via del comportamento
flessionale che può assumere la parete con l’azione sismica, può generare instabilità in un
semplice piatto sottile. L’impiego di profili che abbiano un’inerzia flessionale sembra
essere più adeguato proprio per evitare questi fenomeni non graditi.
Figura 7.27 – Cordolo in acciaio: a) costituito da piatti collegati ortogonalmente (configurazione da
sconsigliare poiché induce flessione nei piatti longitudinali); b) costituito da piatti a formare un
traliccio.
In figura (Fig. 7.27) sono raffigurate due differenti soluzioni del cordolo a traliccio che
solitamente viene posto sulla sommità dei macroelementi. La prima (Fig. 7.27a) è costituita
da 2 correnti longitudinali i quali hanno semplicemente il compito di impedire i
cinematismi fuori piano; in questa prima soluzione, infatti, i montanti verticali hanno la
duplice funzione di tenere uniti i due correnti longitudinali evitando in tal modo eventuali
problemi di svergolamento (instabilità), e di ridistribuire i carichi sui correnti stessi.
La seconda soluzione (Fig. 7.27b) invece funge da vera e propria trave reticolare in cui il
corrente interno funge da puntone, quello esterno da tirante e i montanti e i diagonali
costituiscono le aste di parete.
Se si vuole far lavorare bene il cordolo, cioè farlo comportare come una vera e propria trave
reticolare, è necessario caricare i nodi (Fig. 7.27b). Ciò significa fissare il cordolo alla
muratura tramite connettori verticali posti esclusivamente in corrispondenza dei nodi,
ovvero nei punti di collegamento tra i due correnti e le aste di parete (montanti e diagonali).
Se l’ancoraggio del cordolo non avviene nei nodi lungo i correnti in cui confluiscono
montanti e traversi, ma avviene in punti qualsiasi di correnti o montanti, il cordolo non
CAPITOLO 7 | 415
lavora più come una trave reticolare, ovvero con sole azioni di trazione e compressione così
come invece è stato concepito, ma sarà soggetto anche ad azioni flettenti.
Dimensionamento I correnti longitudinali sono dimensionati a trazione considerando come tiro Tc, in sommità
(Fig. 3.40a), quello necessario a impedire il meccanismo di ribaltamento che viene fuori
dall’analisi cinematica (§ 3.3.5.1). Il tiro così determinato è assorbito dai correnti in acciaio
ancorati in sommità alle pareti ortogonali a quella investita dal sisma (Fig. 7.28).
Per quanto riguarda il dimensionamento dei montanti e dei diagonali, un possibile schema
di calcolo potrebbe essere quello costituito da una reticolare semplicemente appoggiata
(Fig. 7.28). Tale schema statico semplificato prevede che:
- il traliccio sia vincolato alle estremità esterne (cerniera-carrello), simulando il vincolo
offerto dal cordolo delle pareti ortogonali a quella investita dal sisma;
- i connettori verticali di collegamento tra cordolo e muratura siano posizionati sui nodi
tra correnti, montanti e diagonali. L’insieme di tutte le forze applicate ai nodi è
rappresentato dal tiro Tc necessario a scongiurare il ribaltamento della parete fuori dal
piano (determinato con l’analisi cinematica).
Lo schema è quindi semplice e intuitivo. In pratica si può supporre che il tiro Tc necessario
a impedire il ribaltamento venga diviso in parti uguali sui vincoli esterni, e a ogni punto in
cui si vuole posizionare un connettore verticale si fa corrispondere una forza orizzontale
pari a T/n (dove n indica il numero dei nodi in cui disporre i connettori), in maniera tale da
equilibrare la struttura.
Lo schema statico è risolvibile anche manualmente avvalendosi ad esempio del metodo
delle sezioni di Ritter289
.
Figura 7.28 – Schema statico del cordolo a traliccio in acciaio in sommità per determinare le
sollecitazioni assiali di trazione e compressione sui correnti, sui montanti e sui diagonali (n indica il
numero dei nodi della reticolare).
289 Menditto G., 1998, Volume I, pp. 168-175.
416 | CAPITOLO 7
Figura 7.29 – Deformata del cordolo a traliccio e andamento delle sollecitazioni assiali di trazione
(in giallo) e compressione (in rosso) sui correnti, sui montanti e sui diagonali nell’ipotesi che
l’azione sismica abbia una direzione come quella indicata in Fig. 7.28.
Dimensionati i profili che costituiscono il cordolo a traliccio è necessario dimensionare il
suo collegamento con la muratura sottostante. Anche in questo caso, come per i cordoli in
c.a., i connettori sono dimensionati a taglio, considerando come azione tagliante lo stesso
tiro Tc con cui è stata determinata la sezione dei correnti longitudinali.
Considerando lo schema di calcolo proposto (Fig. 7.30), si può determinare l’azione
tagliante su ogni connettore come segue (vedi nota 283):
m
TT c
connettori
in cui:
Tc – è il tiro agente sulla parete che ribalta (Fig. 7.30);
m – è il numero dei connettori presenti lungo la parete che ribalta.
Con questa azione si procederà al dimensionamento del diametro dei connettori che
verranno disposti lungo il cordolo a traliccio in corrispondenza dei nodi. Per le stesse
considerazioni fatte nei riguardi dell’armatura dei cordoli in c.a. e quelli in muratura
armata, questo stesso procedimento viene svolto considerando il sisma in entrambe le
direzioni della struttura.
Figura 7.30 – Cinematismo di ribaltamento semplice. Schema delle forze di taglio nel primo metro
della parete con cui dimensionare a taglio i connettori di collegamento cordolo-muratura.
CAPITOLO 7 | 417
Allo stesso modo dei connettori per i cordoli in c.a., è possibile anche in questo caso
dimensionare la lunghezza verticale di collegamento (§ 7.1.2.3).
7.1.2.6. Cordoli in legno
I cordoli in legno, posizionati nello spessore della muratura in fase di costruzione della
fabbrica, erano molto usati in passato per assorbire sollecitazioni di trazione. La presenza di
un cordolo ligneo posto in opera al di sotto delle orditure principali dei solai permette di
distribuire meglio i carichi da esse provenienti, evitando così la formazione di lesioni per
schiacciamento della muratura. Inoltre tali elementi offrono tutte le funzioni che un cordolo
deve assolvere, come il collegamento tra le murature impedendo meccanismi fuori dal
piano, il collegamento tra murature e solai, la distribuzione dei carichi puntuali sulla
muratura290
.
Dimensionamento Per il dimensionamento dei cordoli in legno si segue lo stesso procedimento illustrato nei
casi precedenti. Con l’analisi cinematica si determina il tiro necessario a impedire il
cinematismo di ribaltamento fuori dal piano e con esso si ricava l’area della sezione lignea
necessaria ad assorbire tale azione:
Rc TT
in cui TR è la resistenza a trazione del cordolo in legno.
Il cordolo così dimensionato deve poi essere ancorato alla muratura sottostante per mezzo
di connettori di opportuna lunghezza. Anche in questo caso, per il dimensionamento della
lunghezza necessaria dei connettori un procedimento potrebbe essere quello illustrato nel
precedente § 7.1.2.3.
È necessario fare attenzione ai punti critici, come le zone di collegamento dei cordoli
ortogonali convergenti nei cantonali e le zone di collegamento in corrispondenza del colmo.
Occorre aver cura del particolare costruttivo per un buon funzionamento del cordolo
sommitale.
Considerando infine che il cordolo possa essere sottoposto a flessione (nel caso in cui, ad
esempio, il solaio di copertura non sia sufficientemente rigido), se esso assume una sezione
rettangolare, è bene avere l’accortezza di posizionarlo in maniera da avere una maggiore
inerzia flessionale (Fig. 7.31).
290 Donà C. (a cura di), 2011, Volume II, scheda M21, pp. 200-204.
418 | CAPITOLO 7
Figura 7.31 – Disposizione dei cordoli lignei: a) maggior inerzia flessionale offerta dal cordolo; b)
minore inerzia flessionale offerta dal cordolo.
7.1.2.7. Cordoli di piano con profili metallici
I collegamenti tra le murature e i solai, nelle costruzioni storiche comunemente realizzati a
struttura lignea, rappresentano nodi fondamentali per la resistenza al sisma di un fabbricato.
Solitamente il solaio viene semplicemente appoggiato alle murature perimetrali e di spina,
quindi il vincolo che esso assume sulla muratura è quello di semplice appoggio con attrito.
In caso di evento sismico questo tipo di vincolo comporta da un lato il distacco tra muratura
e solaio, dall’altro la possibilità di sfilamento delle travi con deformazioni e fessurazioni in
corrispondenza dell’azione di martellamento delle travi del solaio.
L’obiettivo del miglioramento delle connessioni muro-solaio, al fine del conferimento di
una buona opposizione al sisma, è quello di rendere le travi non sfilabili per effetto di
azioni orizzontali realizzando collegamenti resistenti a trazione tra l’orditura del solaio e i
muri perimetrali. In questo modo il solaio viene utilizzato anche per contrastare le azioni
fuori piano che investono i muri esterni (garantendo un comportamento scatolare).
Una soluzione di intervento potrebbe essere quella di introdurre un cordolo-tirante
realizzato da profili metallici disponendoli lungo il perimetro delle maglie di solaio in
adiacenza alle pareti.
Il collegamento del profilo metallico ai muri esterni viene realizzato mediante barre filettate
ancorate alla muratura con piastrine esterne e connettori, o ancorate all’interno della
muratura: questo permette di svolgere la funzione di contenimento dei meccanismi fuori
piano di pareti o angolate, funzione solitamente svolta dai tiranti tradizionali (§ 7.1.2.1). Il
pregio di quest’intervento sta nel fatto che il collegamento dei cordoli avviene con un
maggior numero di connessioni disposte lungo tutto lo sviluppo delle pareti. In questo
modo, a differenza dei tiranti tradizionali, si riesce a distribuire le sollecitazioni sull’intera
struttura cui il cordolo si affianca.
Il profilo così fissato alle pareti viene ancorato all’orditura lignea del solaio, principale o
secondaria, per mezzo di apposite viti o chiodature.
In questo modo si ottiene l’effetto di solidarizzare il solaio al muro, evitando lo sfilamento
delle travi e il ribaltamento fuori dal piano delle pareti esterne.
CAPITOLO 7 | 419
Dimensionamento Il dimensionamento del cordolo in acciaio di piano può essere effettuato avvalendosi ancora
una volta dell’analisi cinematica, considerando il meccanismo di ribaltamento semplice o
composto.
A titolo esemplificativo si consideri la pianta in Fig. 7.32, nella quale si procede
all’individuazione delle maglie chiuse di ogni solaio. Si prenda in esame il cinematismo di
ribaltamento semplice di una parete su due livelli (Fig. 3.40b) che, per effetto dell’azione
sismica, ruota verso l’esterno intorno alla cerniera a terra in A. Si individua il sistema di
forze agenti su di esso: i pesi propri delle pareti dei due livelli, il peso del solaio di
interpiano, il peso della copertura, l’azione in sommità che si oppone al ribaltamento
esplicata da un eventuale tirante o cordolo, e infine l’azione Ts (posta a livello del solaio di
piano in Fig. 3.40b), incognita, che deve essere assorbita dal cordolo-tirante di piano in
adiacenza alle pareti murarie.
Figura 7.32 – Schema di calcolo del cordolo-tirante di piano con profilati metallici.
È questa l’azione di trazione con cui dimensionare i profili metallici affiancati alle pareti.
Nel caso in esame il meccanismo di ribaltamento, è contrastato da due profili ognuno dei
quali è posto alle due estremità del macroelemento investito dal sisma (Fig. 7.32). L’azione
di trazione che agisce sui singoli profili è dunque pari a Ts/2; con questa azione si
dimensionano a trazione i due profili:
Rs T
T
2
in cui TR è la resistenza a trazione del singolo profilo metallico.
Il profilo aderente alla parete sottoposta a ribaltamento fuori del piano è collegato a essa
con una serie di connettori. Questi, conseguentemente alla rotazione della parete, tendono
ad allungarsi fino a poter arrivare al distacco dal cordolo. Uno dei metodi possibili per
evitare questo fenomeno è ad esempio quello di dimensionarli a trazione; nell'ipotesi che
l'allungamento sia il medesimo per tutti i connettori, l'azione con cui dimensionarli è quella
420 | CAPITOLO 7
rappresentata in Fig. 7.33b. Essendo ben ancorato alla parete ribaltante, sotto l’azione
sismica può essere sottoposto a flessione. Questo comportamento come già detto nei
precedenti paragrafi è possibile in quanto il solaio può non essere infinitamente rigido. È
quindi importante dimensionare i profili metallici anche per far fronte a questo tipo di
sollecitazione. Per questo motivo è preferibile non realizzare il cordolo con semplici piatti,
bensì con profili che abbiano una maggior inerzia flessionale, ad esempio profili a "L" o a
"C". Un’idea potrebbe essere quella di considerare il profilo schematizzato da una trave
appoggiata sottoposta a carichi puntuali in corrispondenza di ogni collegamento alla
muratura (Fig. 7.33).
I carichi puntuali sono pari a Ts/n, in cui n è il numero dei collegamenti trasversali.
Figura 7.33 – Schema di calcolo per la verifica a flessione del profilo metallico.
Infine è necessario dimensionare i connettori tramite i quali il profilo che si oppone al
ribaltamento, cioè quello aderente ai muri di spina, viene ancorato alle pareti murarie
trasversali. I connettori sono dimensionati a taglio. L’azione tagliante da considerare in
testa ai connettori è data dalla trazione assorbita dai profili metallici, quindi nel caso
dell’esempio è paria a (Fig. 7.33a):
m
Ts
2
dove m è il numero dei connettori così determinato.
R
T
ms
2
in cui:
Ts/2 – è l’azione di taglio totale che devono assorbire i connettori (nel caso di questo
specifico esempio, vedi nota 278);
R – è la resistenza a taglio del singolo connettore, calcolata secondo la normativa
vigente291
.
Si determina infine il passo p con cui i connettori devono essere posti in opera:
291 In questo specifico caso, secondo l’attuale normativa la resistenza a taglio del singolo bullone è
calcolata al § 4.2.8.1.1delle NTC 2008 (per maggiori dettagli si veda l’esempio di calcolo nella parte
quarta del presente testo, § 9.1.2).
CAPITOLO 7 | 421
m
Lpconnettori
in cui:
L – è la lunghezza del profilo metallico che costituisce il cordolo in aderenza alla parete
(Fig. 7.32).
In Fig. 7.34 è raffigurato uno spaccato assonometrico come esempio di realizzazione di tale
intervento.
Figura 7.34 – Spaccato assonometrico del cordolo-tirante realizzato con profilo metallico.
È bene infine sottolineare che se i profili metallici costituenti il cordolo di piano così
dimensionato vengono collegati oltre che alla muratura, anche all’orditura principale dei
solai, irrigiditi mediante doppio tavolato o bandelle metalliche, possono contribuire a
irrigidire l’orizzontamento.
7.1.2.8. Cerchiature esterne in materiali compositi
L’intervento eseguito con cerchiature esterne è molto utile per la messa in sicurezza degli
edifici che dopo un evento sismico hanno evidenziato meccanismi fuori piano.
Le cerchiature esterne permettono di conferire alla struttura un comportamento scatolare,
impedendo così l’attuarsi di meccanismi di danno che inevitabilmente si instaurerebbero in
assenza di presidi (Fig. 7.35).
422 | CAPITOLO 7
Figura 7.35 – Schematizzazione della fasciatura in FRP per il miglioramento della connessione
strutturale muro-muro.
Per avere una maggior efficacia dell’intervento si può pensare di cerchiare la struttura con
materiali compositi fibrorinforzati (FRP)292
. L’impiego di questi materiali trova anche
molta efficacia nella salvaguardia dei cantonali, che spesso tendono a ribaltare sotto la
spinta dei puntoni delle coperture a padiglione. In quest’ultimo caso, infatti, la fasciatura
consente la distribuzione delle sollecitazioni trasmesse dal puntone, su una porzione di
parete sufficiente a impedire l’innesco del cinematismo293
.
La posa in opera delle fasciature è molto efficace anche nel caso dei cinematismi di
ribaltamento semplice o composto. In questo caso si predispongono fasciature orizzontali
sulla sommità della parete che ribalta, risvoltandole e ancorandole sulle pareti a essa
ortogonali (Fig. 7.35). È fondamentale aver cura di smussare gli spigoli al fine di ridurre le
concentrazioni di tensioni e il tranciamento del composito.
La scelta del materiale fibrorinforzato è vantaggiosa perché permette una relativa rapidità
nell’applicazione dell’intervento, non aumenta la massa in gioco, e inoltre perché può
diventare un intervento definitivo e permanente. Per contro può essere applicato solo a
quegli edifici che sono esternamente intonacati; l’intonaco infatti funge anche da protezione
per il materiale composito nei riguardi degli agenti atmosferici.
Dimensionamento Considerando il cinematismo di ribaltamento semplice per dimensionare la forza di trazione
che deve essere assorbita dalla fasciatura, al fine di impedire il meccanismo di ribaltamento
fuori dal piano, si procede con l’analisi cinematica. Lo schema statico di riferimento è
sempre quello rappresentato in figura (Fig. 3.40a).
292 Solitamente si utilizzano CFRP (Carbon Fiber Reinforced Polymers) o GFRP (Glass Fiber
Reinforced Polymers), ma possono essere utilizzati anche altri materiali come ad esempio l’SRG
(Steel Reinforced Grout) come illustrato nel documento presente in
http://www.mastrodicasa.com/pubblicazioni/%5B13%5D%20-
%20ANIDIS%20XII%20%28Edificio%20Torre%20Trevi%29.pdf, settembre 2013 293 Gurrieri F. (a cura di), 1999,scheda PM7.
CAPITOLO 7 | 423
Il rinforzo che viene messo in opera per assorbire l’azione così determinata deve avere una
duplice funzione: resistere a trazione e evitare il distacco dal supporto, cioè dalle pareti
ortogonali294
.
A tal proposito è quindi fondamentale valutare la lunghezza ottimale di ancoraggio (Fig.
7.36) della fasciatura. Si tratta della classica delaminazione che coinvolge un qualsiasi
substrato rettilineo piano. Le tensioni del substrato passano al rinforzo tramite l’adesivo che
lavora principalmente per tensioni tangenziali. Il meccanismo che governa la messa in
carico del composito è lo scorrimento all’interfaccia, che non è dissimile da quello che
accade nelle barre di armatura ad aderenza migliorata annegate nel calcestruzzo. Nei
compositi esiste una lunghezza oltre la quale non è più possibile andare perché inutile e
antieconomico, poiché la massima forza sopportabile dal composito non aumenterà295
.
Figura 7.36 – Comportamento dell’FRP.
Ecco perché è necessario stimare la lunghezza ottimale di ancoraggio La, cioè la lunghezza
minima di ancoraggio che assicura la trasmissione del massimo sforzo di aderenza (Fig.
7.37). Questo valore è a oggi stimabile con precisione vista l'ampia campagna sperimentale
che si è avuta nell'ultimo decennio (sia per la valutazione della lunghezza di ancoraggio, sia
per la valutazione dei legami di interfaccia supporto-FRP) e, un'affidabile espressione per la
sua valutazione è fornita dalle attuali linee guida sui compositi fibrorinforzati296
.
Figura 7.37 – Individuazione dell’azione di trazione sulla fasciatura in materiale composito e della
lunghezza di ancoraggio ottimale. L’azione agente alle estremità della fasciatura è pari a Tc/2 in
quanto in questo esempio viene vincolata sulle uniche due pareti di controvento.
294 CNR-DT 200 R1/2012, Istruzioni per la progettazione, l’esecuzione e il controllo di interventi di
consolidamento statico mediante l’utilizzo di compositi fibrorinforzati, §5.4.1.1.1. 295 Clementi F., Lenci S., 2009, p. 310. 296 CNR-DT 200 R1/2012, Istruzioni per la progettazione, l’esecuzione e il controllo di interventi di
consolidamento statico mediante l’utilizzo di compositi fibrorinforzati, § 5.3.2.
424 | CAPITOLO 7
I materiali compositi possono essere poi utilizzati per impedire altri cinematismi. In
particolare essi possono essere impiegati per ostacolare meccanismi di flessione (verticale e
orizzontale). Considerando il cinematismo di flessione verticale, il rinforzo può essere
dimensionato in termini di stabilità utilizzando l’approccio per meccanismi locali.
Si procede con l’individuazione dell’insieme dei corpi rigidi che partecipano al
meccanismo, e al sistema di forze che agisce su di essi, quindi alla loro schematizzazione.
Figura 7.38 – Schematizzazione del meccanismo di flessione verticale per la determinazione
dell’azione di trazione che deve essere assorbita dal rinforzo in FRP.
Si considera la cerniera a terra in A, il carrello in sommità in C, che simula la presenza di
un vincolo, e la cerniera interna in B attorno alla quale ruotano reciprocamente i corpi rigidi
① e ②. La trazione che deve essere assorbita dal rinforzo la si schematizza con 2 azioni (T
in rosso in Fig. 7.38), uguali e contrarie poste rispettivamente all’innesco dell’apertura.
Con l’ausilio delle catene cinematiche si determinano gli spostamenti dei punti di
applicazione di tutte le azioni agenti sul macroelemento e si applica il PLV determinando
l’unica incognita, che è appunto la trazione T con cui si dimensiona la fasciatura:
PccGPssGGPssG
D
vPvWvPvWuWuPuWv
T 22112211
1
in cui α è il moltiplicatore dei carichi minimo che permette il soddisfacimento della verifica
di sicurezza (§ 3.3.3).
Calcolata l’azione di trazione si può determinare l’area del rinforzo necessaria a non far
attivare il meccanismo:
RTT
CAPITOLO 7 | 425
in cui TR è la resistenza a trazione del composito.
Per un buon comportamento dell’intervento è inoltre importante aver cura di disporre le
singole fasciature a un passo adeguato (che solitamente è stabilito dalle normative
vigenti297
).
Un buon rinforzo in materiali compositi per azioni fuori dal piano del pannello murario
trasforma un cinematismo in una rottura per schiacciamento della muratura. Ecco che
quindi, una volta inibito il meccanismo locale di collasso di flessione verticale, è necessario
eseguire una verifica in termini di resistenza confrontando il momento sollecitante MS di
progetto sul macroelemento con il momento resistente MR della sezione rinforzata:
MS ≤ MR
Questo procedimento è utile per poter valutare l’effettivo contributo offerto dalla muratura,
che nell’approccio per meccanismi locali non viene preso in considerazione.298
Il momento sollecitante è determinato con riferimento all’azione sismica; nel caso in esame
può essere valutato schematizzando la parete muraria come una trave appoggiata299
. Infatti,
l’applicazione dei materiali compositi consente di contrastare il meccanismo conferendo
resistenza a flessione alla parete muraria, e consente di trasformarla in una trave
semplicemente appoggiata in muratura rinforzata.
Con riferimento alla Fig. 7.39a, si determina innanzitutto la reazione esplicata dal vincolo
in C:
h
PWWt
hPhPh
hWh
W
T
ciscs
ii
c
2121222
in cui α rappresenta sempre il moltiplicatore dei carichi minimo che permette il
soddisfacimento della verifica di sicurezza (§ 3.3.3).
Nella sezione muraria in B (Fig. 7.39b), soggetta a un determinato sforzo normale, e in
corrispondenza della quale deve essere applicato il composito per inibire la formazione
della cerniera, si determina poi il momento sollecitante di progetto come segue:
Rscsscs
S MhTt
PhPh
WM 22
2
297 CNR-DT 200 R1/2012, Istruzioni per la progettazione, l’esecuzione e il controllo di interventi di
consolidamento statico mediante l’utilizzo di compositi fibrorinforzati, § 5.4.1.1.2. 298 Proprio per questo motivo, infatti, considerando l’approccio per meccanismi locali (cinematismo
di flessione verticale e orizzontale), il dimensionamento della fasciatura in materiale composito
fibrorinforzato è in realtà sovrastimato. Questo è dovuto al fatto che nei meccanismi locali non si
tiene in considerazione il contributo che può essere più o meno esplicato dalla muratura. 299 CNR-DT 200 R1/2012, Istruzioni per la progettazione, l’esecuzione e il controllo di interventi di
consolidamento statico mediante l’utilizzo di compositi fibrorinforzati, § 5.4.1.1.2.
426 | CAPITOLO 7
Figura 7.39 – Schema di calcolo per il meccanismo di flessione verticale.
Il momento resistente della sezione rinforzata300
può essere determinato considerando lo
schema in Fig. 7.40 in cui N è l’azione assiale di progetto agente sul pannello murario, T è
la risultante delle trazioni sul composito (che può essere quella corrispondente all’insieme
di più fasce di larghezza bf poste a un interasse pf, Fig. 7.40) e Cm è la risultante delle
compressioni alla base della muratura (essendo infatti una verifica in termini di resistenza,
la resistenza a compressione della muratura non può più essere considerata infinita, ma
deve assumere un valore finito). Quest’ultima è applicata (Fig. 7.40) a una distanza a
rispetto al punto in cui agisce l’azione di trazione T sul composito: facendo un equilibrio
alla rotazione attorno al punto di applicazione di Cm, la distanza a che può essere stimata
dalla seguente relazione:
2
taeNTa
da cui si ricava:
NT
teN
a
2
Determinata la distanza a è possibile calcolare il momento resistente della sezione muraria
rinforzata come segue:
300 Clementi F., Lenci S., 2009, pp.328-329.
CNR-DT 200 R1/2012, Istruzioni per la progettazione, l’esecuzione e il controllo di interventi di
consolidamento statico mediante l’utilizzo di compositi fibrorinforzati, § 5.4.1.1.2.
CAPITOLO 7 | 427
22
tT
taCNM m
Con questo valore è possibile procedere alla verifica di resistenza confrontando tale valore
con il momento sollecitante calcolato precedentemente.
Figura 7.40 – Flessione verticale di una parete per azioni fuori dal proprio piano e rinforzo con
fasciature in materiale composito.
7.1.2.9. Miglioramento delle connessioni perimetrali
Ancoraggio delle travi lignee degli orizzontamenti alle pareti
Quella di trasformare le travi lignee degli orizzontamenti in catene era in passato una
soluzione costruttiva molto utilizzata. Se le travi erano alloggiate all’interno della sezione
della parete muraria, quello che si faceva era inserire delle staffe metalliche disposte
lateralmente o superiormente e ancorate all’orditura lignea principale del solaio mediante
chiodatura e collegate esternamente alla parete con capichiave. Questa tecnica di intervento
è considerata ancora oggi molto efficace301
; da un lato, infatti, evita lo sfilamento delle travi
dall’alloggiamento delle murature, dall’altro crea un incatenamento tra i muri tra loro
paralleli.
Il miglioramento delle connessioni perimetrali permette di conferire alla struttura un
comportamento scatolare, scongiurando meccanismi fuori piano che si manifesterebbero
inevitabilmente per l’intrinseca mancanza di connessioni nell’opera muraria302
. Tali
connessioni forniscono in pratica quell’effetto “bordino” della scatola muraria illustrato al §
7.1.2.
301Donà C. (a cura di), 2011, Volume II, scheda M26, pp. 242-250. 302 Giuffrè A., Carocci C., 1999, p. 169.
428 | CAPITOLO 7
Dimensionamento Questa tecnica di intervento può essere utilizzata sia a livello di interpiano, sia a livello di
copertura.
Il ragionamento che si propone per il dimensionamento è sempre il medesimo. Si considera
il cinematismo di ribaltamento della parete investita dal sisma (Fig. 3.40b) e avvalendosi
dell’analisi cinematica si determina il tiro T necessario a impedire il meccanismo.
L’azione di trazione che si determina (in Fig. 3.40b Ts a livello del solaio di piano e Tc in
copertura), è quella con la quale dimensionare i presidi, ovvero in questo caso la staffatura
metallica e i collegamenti all’orditura lignea principale del solaio di interpiano e della
copertura.
Il presidio può essere costituito da una staffatura metallica disposta lateralmente alle travi
lignee dell’orditura principale degli orizzontamenti e collegata a esse mediante chiodatura.
La staffatura può essere a sua volta collegata mediante saldatura a una barra in acciaio con
la quale si ha infine la solidarizzazione delle travi principali del solaio alla muratura (Fig.
7.41) per mezzo di un opportuno capochiave, il cui dimensionamento è stato illustrato nel
precedente § 7.1.2.1.
Trave principale
Piastra in acciaio fissata allatrave lignea
Dormiente
A'
Barra di collegamento
Capochiave
Vista in pianta
Vista in sezione (A-A')
A
Figura 7.41 – Trasformazione di una trave lignea in catena.
Determinata l’azione di trazione necessaria a impedire il cinematismo, si procede al
dimensionamento dei vari elementi costituenti il collegamento.
La barra e le staffe metalliche devono essere dimensionate localmente a trazione: la barra si
può considerare sottoposta ad esempio all’azione Ts cioè, considerando Ts uniformemente
distribuito lungo la tesa muraria che ribalta, all'azione relativa alla singola trave in funzione
della lunghezza di influenza a essa afferente (per maggiori dettagli si faccia riferimento alla
Fig. 7.43), mentre ognuna delle fasciature ai lati della trave può essere considerata soggetta
a un’azione pari a Ts/2303
.
303 Da un punto di vista ingegneristico si consiglia di affidare il tiro complessivo Ts o Tc sempre, ad
esempio, a catene perimetrali e poi di dimensionare localmente i collegamenti tra travi e murature,
così da avere un miglior comportamento globale.
CAPITOLO 7 | 429
È quindi possibile dimensionare la sezione necessaria ad assorbire la trazione calcolata con
l’analisi cinematica come segue:
Rs TT
in cui TR è la resistenza a trazione della barra metallica.
Nei riguardi delle staffe è importante che l’area della sezione così determinata, sia
effettivamente quella resistente, ovvero quella al netto dei fori per l’ancoraggio all’orditura
lignea. A tal proposito è buona norma verificare le staffe di collegamento anche a
rifollamento, per evitarne il tranciamento.
Con questa stessa azione deve essere dimensionato anche il collegamento saldato barra-
staffe.
Va inoltre verificato che la sezione dell’orditura lignea esistente sia in grado di resistere alle
azioni (compresa anche quella sopraggiunta di trazione) cui è sottoposta.
Infine i collegamenti tra le staffe metalliche e la trave lignea, devono essere dimensionati a
taglio, considerando come azione tagliante sempre quella derivante dall’analisi cinematica,
ovvero il tiro Ts, che ad esempio può essere diviso per il numero dei collegamenti
trasversali staffa – legno così come indicato in figura (Fig. 7.41).
Ancoraggio delle capriate lignee di copertura al cordolo in muratura armata Nelle costruzioni esistenti nella maggior parte dei casi le strutture di copertura risultano
semplicemente appoggiate alle murature perimetrali. In caso di evento sismico, l’azione
orizzontale che va ad agire sulle pareti può portare allo sfilamento delle travi di copertura,
con il suo successivo crollo.
Per evitare questo comportamento, nel caso in cui sulla sommità della parete sia stato
realizzato un cordolo in muratura armata, una soluzione potrebbe essere quella di vincolare
le travi di copertura all’armatura del cordolo (Fig. 7.42).
Questo tipo di connessione da un lato evita lo sfilamento delle travi dall’alloggiamento
delle murature, dall’altro crea anche un incatenamento tra i muri tra loro paralleli.
Figura 7.42 – Collegamento della capriata al cordolo in muratura armata.
Il collegamento è strutturato in maniera tale che possa essere schematizzato da un
meccanismo tirante-puntone (Fig. 7.42) che viene a verificarsi quando il muro sotto
430 | CAPITOLO 7
l’azione sismica tende a ruotare attorno a una cerniera alla base. Il collegamento così
descritto tende poi a inflettere la trave in corrispondenza dell’appoggio per via della spinta
della biella che si crea all’interno del cordolo in muratura. Le forze in gioco sono quindi le
seguenti:
T – è l’aliquota del tiro (Tc) necessario a impedire il ribaltamento della parete, afferente al
singolo elemento (capriata in Fig. 7.43) in funzione della relativa lunghezza di influenza
(Fig. 7.43). Nella
schematizzazione di Fig. 7.43 tale aliquota può essere così determinata localmente:
n
c LL
TT
dove:
Tc – è il tiro in sommità calcolato con l’analisi cinematica con riferimento allo schema di
Fig. 3.40a;
L – è la lunghezza della parete ribaltante (Fig. 7.43);
Ln – (con n=1, 2, 3, 4 nel caso dell’esempio) è la lunghezza di influenza afferente al singolo
elemento (capriata in Fig. 7.43).
Figura 7.43 – Individuazione dell’aliquota, afferente a ogni singolo elemento (capriata), dell’azione
necessaria a impedire il ribaltamento della parete investita dal sisma.
R – è l’azione di trazione sulla grappa metallica di collegamento tra la catena della capriata
e l’armatura del cordolo in muratura armata (tirante);
C – è l’azione di compressione sulla biella che si crea nel cordolo in muratura armata
(puntone).
CAPITOLO 7 | 431
Questo schema permette di dimensionare la sezione della grappa e il gancio che la collega
all’armatura longitudinale del cordolo. Permette inoltre di verificare a compressione la
biella e a flessione l’appoggio della trave304
.
Dimensionamento Facendo riferimento alla Fig. 7.44 il dimensionamento del collegamento consiste nel:
- verificare a flessione l’appoggio della catena della capriata;
- dimensionare a trazione la grappa metallica di collegamento;
- verificare a compressione la biella di muratura;
- dimensionare la barra di collegamento tra le due grappe poste sulle due facce
dell’appoggio della catena della capriata.
Figura 7.44 – Schematizzazione del meccanismo tirante – puntone per il dimensionamento del
collegamento tra orditura principale di copertura e il cordolo in muratura armata.
Considerate le forze in gioco (Fig. 7.44) si determinano innanzitutto le inclinazioni delle
due fasciature considerando l’equilibrio alla traslazione verticale e orizzontale:
ba
e
ba
c
tan
tan
Determinati gli angoli, si determinano l’azione di trazione R con cui dimensionare la
grappa e l’azione di compressione C con cui verificare la biella:
TRC
NRC
sinsin
coscos
Per la verifica a flessione della porzione di capriata compresa tra il tirante e il puntone, si
calcola il momento flettente dato dalla compressione della biella per il braccio di leva
(considerato sull’asse della sezione della catena, Fig. 7.44):
M = Cyf = (Ccosφ)f
304 Giuffrè A., 1991, capitolo 2, tav. 16/c.
432 | CAPITOLO 7
Infine la barra di collegamento tra le due grappe poste sulle due facce dell’appoggio della
catena della capriata, può essere dimensionata a flessione, in quanto la forza di trazione R
(Fig. 7.45) esercitata dalla grappa conseguentemente all’azione sismica, può provocare la
flessione della barra stessa.
Figura 7.45 – Schematizzazione per il dimensionamento del collegamento tra le grappe metalliche.
Si calcola quindi il momento massimo sollecitante la barra (Fig. 7.45):
8
2
max
bqM
con il quale è possibile pre-dimensionare lo spessore (o il diametro) che la barra deve avere
al fine di resistere:
Collegando le due grappe metalliche con la barra dimensionata con il momento Mmax
appena determinato, è infine importante eseguire una verifica a rifollamento considerando
la reale area resistente, ovvero quella al netto dei fori per la barra di collegamento.
7.1.2.10. Miglioramento delle connessioni interne
Quando il collegamento tra le varie orditure lignee dei solai di piano e quelli di copertura è
carente o, nella maggior parte degli edifici storici, addirittura assente, l’azione sismica può
provocare il loro sfilamento dalle pareti di appoggio, ma anche la sconnessione tra
un’orditura rispetto all’altra (Fig. 7.46).
CAPITOLO 7 | 433
Figura 7.46 – Sfilamento dei travetti lignei dall’orditura lignea principale. Edificio a Ravarino:
danni a seguito del terremoto del 2012.
Al fine di realizzare un intervento che conferisca un comportamento efficace in caso di
evento sismico non basta migliorare le sole connessioni esterne. Non è sufficiente cioè
collegare gli orizzontamenti alle murature solo perimetralmente, ma è necessario prevedere
anche connessione interne tra orditura secondaria e orditura principale (Fig. 7.47), sia nei
solai di piano sia in quelli di copertura.
È opportuno quindi collegare i travetti (orditura secondaria) all’appoggio sulla trave
principale (orditura principale) al fine di creare linee continue resistenti a trazione da fronte
a fronte, e fronteggiare al meglio l’azione sismica. Con questi collegamenti si contribuisce a
conferire quell’effetto “scatolare” alla fabbrica muraria (§ 7.1.2), requisito fondamentale
per un buon comportamento al sisma delle costruzioni storiche in muratura.
Figura 7.47 – Spaccato assonometrico del cordolo-tirante realizzato con profilo a “L” in acciaio.
434 | CAPITOLO 7
7.1.3. Incremento resistenza elementi murari
7.1.3.1. Confinamento di pilastri e colonne in muratura
L’attitudine di un pilastro o una colonna in muratura a sopportare carichi verticali, è
determinata dalla resistenza a compressione dello specifico materiale che lo costituisce.
Se questa funzione viene a mancare, devono essere realizzati interventi atti a ricostruire le
capacità strutturali venute meno, e se necessario ridurre gli effetti sismici. A tal fine
generalmente gli interventi consigliati possono essere realizzati per via diretta, mediante
aumento delle capacità meccaniche, ad esempio effettuando iniezioni di miscele leganti
leggermente espansive (applicabili prevalentemente in colonne massicce con costituzione a
sacco, cioè in tutti i casi di presenza di sconnessioni e vuoti nella parte interna della
struttura), o indiretta mediante contenimento della deformazione trasversale effettuato per
contrasto con elementi esterni. Tali elementi possono essere costituiti da cerchiature
metalliche o da materiali fibrorinforzati.305
Queste ultime soluzioni hanno il compito di
contrastare la deformazione trasversale, quindi la fessurazione, e incrementare localmente
la resistenza a compressione assiale delle stesse colonne mediante un’azione orizzontale
aggiuntiva, data appunto dalla cerchiatura. Per fa sì che questa tecnica risulti efficace
sarebbe necessario porre in opera una fasciatura continua lungo l’altezza della colonna. In
alternativa, anche se si ottiene un beneficio minore, è possibile operare disponendo più
fasciature lungo l’altezza della colonna.
Il miglioramento mediante cerchiature può costituire un provvedimento di tipo attivo o di
presidio a seconda che l’effetto cerchiante si esplichi all’atto del montaggio, o si manifesti a
seguito delle espansioni laterali sotto carico del materiale cerchiato.
L’intervento di confinamento delle colonne viene realizzato al fine di incrementare la
resistenza del materiale e la deformazione ultima.
Il cerchiaggio di colonne costituito da fasciature in acciaio è un intervento moderatamente
attivo, poiché l’eventuale pretensione viene realizzata con forzature di tipo meccanico.
Una tecnica antica per conferire uno stato di pre-sollecitazione era, ad esempio, quella di
scaldare le parti metalliche costituenti la cerchiatura, prima di metterle in opera e poi
saldarle. Queste parti raffreddandosi a montaggio avvenuto, si comprimono imponendo uno
stato di costrizione al materiale contenuto, bilanciato dalla trazione nelle fasce stesse306
.
Il confinamento delle colonne può essere realizzato anche con materiali compositi, quali ad
esempio gli FRP (Fiber Reinforced Polymers), resistenti a trazione e capaci di contrastare la
dilatazione trasversale dell’elemento strutturale sottoposto a prevalente sollecitazione
assiale. L’utilizzo di questi materiali produce una serie di vantaggi come la facilità di posa
in opera, la leggerezza e anche una minore invasività rispetto agli interventi tradizionali.
Il confinamento con questi materiali può avvenire con l’applicazione di tessuti sul contorno
della colonna come fasciatura esterna continua (ricoprimento) o discontinua (cerchiatura).
Questa tecnica è in grado di contrastare le dilatazioni trasversali che nascono nell’elemento
strutturale in conseguenza della compressione assiale.
Un’altra valida tecnica di confinamento è quella di utilizzare i tirantini antiespulsivi
disponendoli in maniera diffusa e ortogonalmente al piano delle colonne. Questo tipo di
305 Boscotrecase L., Piccarreta F., 2006, pp. 301-301; 367-372. 306 Cigni G., 1978, pp. 182-196; Mastrodicasa S., 1983, pp. 394-400.
CAPITOLO 7 | 435
intervento per contro però prevede la realizzazione di un gran numero di fori lungo l’altezza
delle colonne (o sulle pareti, se realizzato per le pareti degli edifici).
Quest’ultimo intervento consiste nella messa in opera di barre trasversali che possono
essere fissate meccanicamente alle pareti con dadi e rondelle. Questo presidio può essere
applicato in murature a tessitura regolare, in pietra squadrata, in mattoni o blocchi307
.
L’intervento può essere eseguito a caldo o a freddo. Se realizzato a caldo, si ottiene un
effetto attivo poiché il successivo raffreddamento conferisce una sorta di precompressione
piuttosto immediata alla struttura. Se realizzato a freddo, si ha un effetto passivo poiché i
tirantini entrano in carico solo dopo l’insorgere delle deformazioni orizzontali della
muratura. I tirantini così posti in opera possono anche essere pretensionati.
Nel caso i cui i tirantini antiespulsivi vengano utilizzati su colonne o elementi soggetti a
dissesti di schiacciamento, essi consentono di impedire o ostacolare la dilatazione
trasversale aumentando di pari passo la resistenza alla compressione longitudinale308
.
Dimensionamento Generalmente, l’efficacia del confinamento degli elementi strutturali, indipendentemente
dal materiale con cui esso viene realizzato, viene valutata considerando l’azione esercitata
dal rinforzo, in funzione della geometria e della tipologia del sistema di utilizzato. La
pressione di confinamento si valuta disponendo il rinforzo perpendicolarmente all’asse
della colonna. La relazione da soddisfare è la seguente309
:
N ≤ NR
in cui:
N – è il valore dell’azione assiale agente sull’elemento;
NR – è la resistenza assiale di progetto così valutata:
NR = Am fmcd ≥ Am fm
dove:
Am – è l’area della sezione trasversale dell’elemento confinato;
fm – è la resistenza a compressione della muratura non confinata;
fmcd – è la resistenza a compressione della colonna confinata soggetta a una pressione di
confinamento agente sulla superficie esterna pari a f1 (Fig. 7.48), ridotta con opportuni
coefficienti di sicurezza.
La pressione di confinamento f1 può essere determinata in maniera intuitiva310
,
considerando una colonna di forma circolare. Volendo interviene con cerchiature
(metalliche o in materiali fibrorinforzati), poste a un certo interasse i tra di loro, l’azione
che agisce sulla singola fascia è pari a (Figg. 7.48):
Fu = t fu
dove:
t – è lo spessore della fascia applicata alla colonna (Figg. 7.48);
fu – è la resistenza a trazione di progetto del materiale utilizzato per la cerchiatura.
307 Donà C. (a cura di), 2011, Volume II, scheda M3, pp. 75-81. 308 Mastrodicasa S., 1983, p. 394. 309 CNR-DT 200 R1/2012, Istruzioni per la progettazione, l’esecuzione e il controllo di interventi di
consolidamento statico mediante l’utilizzo di compositi fibrorinforzati, § 5.6.1. 310 Boscotrecase L., Piccarreta F., 2006, pp. 369-372.
436 | CAPITOLO 7
Figura 7.48 – Tensioni di confinamento per sezioni circolari.
Attribuendo lo stato ultimo alla rottura della fasciatura, è possibile quindi valutare la
tensione di confinamento f1 come segue:
dfFu 12
↓
dftfu 12
↓
i
s
d
tff u21
dove:
t – è lo spessore della striscia di materiale (Figg. 7.48);
fu – è la resistenza a trazione di progetto della striscia di materiale utilizzato;
d – è il diametro della colonna (Figg. 7.48);
s – è la larghezza della striscia;
i – è l’interasse tra una striscia e l’altra.
In questa espressione il termine s/i viene introdotto per considerare il fatto che l’area su cui
posso considerare agente la tensione di confinamento è ridotta, in quanto non estesa
all’intera colonna.
Cerchiature in acciaio Le cerchiature in acciaio possono essere posizionate a freddo, regolando l’azione di
confinamento ad esempio con l’aiuto di dadi e bulloni, o a caldo in cui l’azione di
confinamento è conferita con la contrazione conseguente al raffreddamento311
.
Si prenda ad esempio una colonna in muratura circolare, per la quale si considera un
comportamento elastico lineare, caratterizzata da un modulo elastico Em. In condizione
indeformata, ovvero in assenza di azioni verticali e di deformazioni trasversali, la colonna
ha un raggio pari a r0. Sottoponendola a un carico assiale N elevato312
, che potrebbe
causarne la rottura, la colonna sarà caratterizzata da:
- raggio r = r0 (1 + m)
311 G. Cigni, 1978, pp. 182-196.
S. Mastrodicasa, 1983, pp. 394 e segg. 312 L’entità dei carichi assiali può essere determinata con riferimento alle combinazioni di carico
stabilite dalle attuali normative (NTC 2008, § 2.5.3).
CAPITOLO 7 | 437
- sforzo assiali A
Nm prossime a quelle di rottura
- deformazione trasversale
m
mm
E
in cui è il coefficiente di Poisson della
muratura.
Sostituendo il valore della deformazione trasversale, nella relazione che definisce il raggio
nella condizione deformata, è possibile ottenere il valore del raggio nella condizione
indeformata:
m
mm
E
rrr
11
0
In condizioni consolidate la struttura, costituita da colonna e cerchiature metalliche, assume
un raggio r1 intermedio tra quello in condizione indeformata r0 e quello assunto in
condizione deformata r.
Il raggio r1 risulta incognito così come lo sforzo di trazione f1 a cui è sottoposta la
cerchiatura e la tensione radiale di confinamento 1 sulla colonna.
La cerchiatura passa da una lunghezza l0 = 2 r0 a una lunghezza
l1 = 2 r1, con una variazione pari a l = 2 (r1 – r0).
Per via del confinamento anche la cerchiatura subisce una deformazione:
f
ff
fEr
rr
r
rr 01
0
01
0
01
2
2
dalla quale è possibile determinare il valore incognito della trazione a cui è sottoposta la
cerchiatura:
0
0
11 ffff E
r
rE (1)
in cui f0 è la sollecitazione di trazione imposta con il serraggio dei bulloni (se il
consolidamento viene realizzato a freddo), o per via del raffreddamento dell’elemento
metallico (se il consolidamento viene realizzato a caldo). In quest’ultimo caso la trazione
applicata può essere determinata dalla relazione seguente:
TEE fftermicof
in cui:
f – è il coefficiente di dilatazione termica dell’acciaio della cerchiatura;
T = T1 – T0 – è la differenza fra la temperatura di posa in opera della cerchiatura e la
temperatura ambiente;
Ef – è il modulo elastico dell’acciaio con cui è realizzata la cerchiatura;
La deformazione trasversale della colonna è invece pari a:
m
mm
Er
rr
1
0
01
438 | CAPITOLO 7
dalla quale si ricava il valore incognito della tensione di confinamento della colonna:
mmm Er
rE
0
11
(2)
Generalizzando questa relazione nel caso di cerchiature discontinue, si ottiene:
shir f 111 (3)
dove:
1 – è la tensione di confinamento della colonna;
r1 – è il raggio intermedio tra quello in condizione indeformata r0 e deformata r;
i – è l’interasse tra una cerchiatura e l’altra;
f1 – è la trazione a cui è sottoposta la cerchiatura;
s – è lo spessore della cerchiatura;
h – è l’altezza della cerchiatura.
Sostituendo le relazioni (1) e (2) nella (3) è possibile ricavare le 3 incognite r1, f1 e 1.
Determinate le tre incognite, avendo ipotizzato le dimensioni delle cerchiature in acciaio è
necessario verificare che esse siano in grado di resistere alla sollecitazione di trazione data
da F = (f0 + f1) × Ac (dove Ac è la sezione della cerchiatura).
Cerchiature e tirantini in materiali compositi Attualmente per il dimensionamento del confinamento realizzato con materiali compositi, si
fa riferimento alla CNR-DT 200 R1/2012, Istruzioni per la progettazione, l’esecuzione e il
controllo di interventi di consolidamento statico mediante l’utilizzo di compositi
fibrorinforzati, § 5.6.
Alla determinazione della resistenza a compressione della colonna confinata fmc,
contribuisce solo una parte della pressione di confinamento313
f1 esercitata dal rinforzo:
1
,1'1
m
eff
mmcdf
fkff
in cui:
fm – è la resistenza a compressione dell’elemento murario non confinato;
k’ – è un coefficiente (adimensionale) di incremento della resistenza; in assenza di risultati
sperimentati può essere calcolato come segue:
3
1000' 2
mg
k
con gm densità di massa della muratura espressa in kg/m3, α2 e α3 coefficienti ai quali
cautelativamente può essere attribuito valore 1.
α1 – è un esponente al quale può essere attribuito un valore pari a 0,5;
f1,eff – è la pressione efficace di confinamento, funzione della forma della sezione e delle
modalità di intervento. Può essere calcolata nel modo seguente:
313 Essa è determinata in funzione al tipo di sistema utilizzato per la realizzazione del confinamento
(fasciature o tirantini).
CAPITOLO 7 | 439
11,1 fkkfkf VHeffeff
dove:
kH – è un coefficiente di efficienza orizzontale funzione della forma della colonna: per
colonne circolare può essere assunto pari a 1, per colonne di forma quadrata o rettangolare
è calcolato dalla seguente espressione:
m
HA
hbk
3
''1
22
in cui b’ (b’ = b – 2 rc) e h’ (h’ = h – 2 rc) sono i lati della colonna in muratura depurati
dalle dimensioni degli smussi necessari al fine di evitare il tranciamento del composito
(Fig. 7.49) necessari a evitare il tranciamento del composito;
Figura 7.49 – Confinamento della sezione della colonna.
kV – è un coefficiente di efficienza verticale. Nel caso di fasciature continue lungo l’altezza
della colonna, sia essa circolare sia quadrata o rettangolare, è assunto pari a 1. Se invece la
fasciatura è discontinua, si ha una riduzione del volume confinato (Fig. 7.50), e il
coefficiente può essere così calcolato:
2'
21
D
pk
f
V → per colonne circolari
2'
,min21
hb
pk
f
V → per colonne quadrate o rettangolari
dove '
fp è la distanza netta tra le strisce (Fig. 7.50), D è il diametro della colonna
circolare, b e h sono i lati della colonna quadrata o rettangolare.
f1 – è la pressione di confinamento esercitata dal tipo di confinamento adottato e dalla
forma della colonna.
440 | CAPITOLO 7
Figura 7.50 – Sezione di una colonna circolare confinata con fasciature discontinue in FRP.
Per confinamento realizzato con fasciature esterne, è così determinata:
ridfdff Ef ,12
1 → per colonne circolari
ridfd
ff
hb
Etf ,1
,max2 → per colonne quadrate o rettangolari con fasciatura continua
f
fff
phb
Ebtf
,max
21 → per colonne quadrate o rettangolari con fasciatura discontinua
in cui:
ρf – è una quantità adimensionale corrispondente alla percentuale geometrica della
fasciatura esterna pari a:
f
ff
fDp
bt4 → per fasciatura discontinua
D
t f
f
4 → per fasciatura continua
tf – è lo spessore del rinforzo;
b e h – sono i lati uguali della colonna quadrata;
Ef – è il modulo elastico nella direzione della fibra ridotto con un coefficiente riduttivo
funzione della modalità di rottura. In questo caso si sceglie la modalità 1 a cui corrisponde
un coefficiente riduttivo αfE = αff = 0,9 (LG 2009, Linee guida per la progettazione,
l’esecuzione e il collaudo di interventi di rinforzo di strutture di cemento armato, cemento
armato precompresso e murarie mediante FRP, § 5.6).
εfd,rid – è la deformazione ridotta di calcolo del composito (CNR-DT 200 R1/2012, § 5.6.2):
Per confinamento realizzato con tirantini, è così determinata:
ridfdbybbxb EEf ,,,1 ;min → per colonne quadrate o rettangolari
nella quale i parametri dimensionali sono definiti come segue:
CAPITOLO 7 | 441
hp
An
b
bxb
xb
,
, hp
An
b
byb
yb
,
,
Con nb, x e nb,y il numero delle barre disposte negli strati orditi nelle direzioni x e y, Ab è la
sezione della singola barra, pb è la distanza (misurata in asse) tra due strati consecutivi di
barre disposte lungo la medesima direzione (Fig. 7.51).
Figura 7.51 – Zone di confinamento nella sezione trasversale e longitudinale ottenute con la posa in
opera di tiranti.
7.1.4. Aumento della sezione muraria
7.1.4.1. Contrafforti e speroni
L’utilizzo di contrafforti (localizzati, lungo la parete da presidiare, su strisce verticali
opportunamente distanziate, Fig. 7.52a) e speroni (estesi sulla totalità della parete da
presidiare, Fig. 7.52b) era in passato utilizzato nelle costruzioni per migliorarne le
condizioni di equilibrio. Questa tecnica veniva in passato, e può tuttora, essere utilizzata in
presenza di fenomeni di ribaltamento di pareti perimetrali di edifici. Tali ribaltamenti
possono essere dovuti ad esempio alle spinte statiche di archi e/o volte, che possono essere
localizzate in zone ben precise (ad esempio sulle imposte degli archi e peducci delle volte a
crociera), diffuse (ad esempio sulle imposte di volte a botte), o inclinate (ad esempio sulle
imposte delle volte che sorreggono le rampe delle scale). Si possono avere anche
ribaltamenti di pareti dovuti a condizioni sismiche; in questo caso le spinte sono dovute alla
massa spingente dei solai di piano e di copertura, non efficacemente collegati alle murature
d’ambito.
Contrafforti e speroni possono essere utilizzati anche per evitare fenomeni di
schiacciamento delle pareti portanti; in questo caso, oltre a fornire un efficace contenimento
della dilatazione trasversale della muratura, il contrafforte esplica un fattivo aumento della
sezione muraria resistente.
442 | CAPITOLO 7
Figura 7.52 – a) Contrafforti; b) speroni.
L’utilizzo di questa tecnica di intervento ha quindi lo scopo principale di aumentare la
resistenza alla rotazione (provocata ad esempio da spinte statiche di archi e/o volte,
localizzate o diffuse, incrementate dall’azione sismica), allo scorrimento e allo
schiacciamento delle pareti murarie dissestate o fatiscenti.
Al fine di esplicare un efficace contributo alla stabilità dell’insieme è fondamentale
collegare entrambe le parti, quella esistente (parete muraria) e quella di nuova costruzione
(contrafforte). Solo attraverso adeguati collegamenti, in passato solitamente realizzati con
l’impiego di morse alloggiate in zone predisposte nella parte esterna della muratura
esistente, si impedisce che, sotto l’effetto della rotazione della parete (sia essa provocata da
spinte statiche, o da condizioni sismiche), si instauri un fenomeno di mutuo scorrimento
lungo la superficie di contatto314
.
Dimensionamento Un possibile approccio per dimensionare i contrafforti potrebbe essere quello di considerare
il cinematismo di ribaltamento attorno alla cerniera in A (Fig. 7.53) del sistema
“rinforzato”. Il sistema è equilibrato se risulta verificato l’equilibrio tra momento
stabilizzante e momento ribaltante.
314 Mastrodicasa S., 1983, pp. 563-589.
Donà C. (a cura di), 2011, Volume II, schede M15, pp. 160-167.
CAPITOLO 7 | 443
S
SH
SV
W1W2
Direzione azione sismica
W1W2
A
x
x
x Figura 7.53 – Schematizzazione del contrafforte.
In condizioni statiche deve risultare:
MS ≤ MR
SH H1 ≤ Sv x1 + W1 x2 + W2 x3
in cui SH e SV sono rispettivamente la spinta e la massa di un arco o una volta.
In condizioni sismiche deve risultare:
MS ≤ MR
SH H1 + α Sv x1 + α W1 H2 + α W2 H3 ≤ Sv x1 + W1 x2 + W2 x3
da cui si ricava il moltiplicatore di collasso α così come ampiamente descritto al § 3.3.5.1.
7.2. Interventi su solai di piano 7.2.1. Irrigidimento degli orizzontamenti: indicazioni per la sua
valutazione
Gli orizzontamenti di piano giocano un ruolo fondamentale sul comportamento sismico di
un edificio in muratura. Come dichiara anche il DPCM 9 febbraio del 2011, al § 6.3.4:
“[…] Il ruolo dei solai nel comportamento sismico delle costruzioni in
muratura è quello di trasferire le azioni orizzontali di loro competenza alle
pareti disposte nella direzione parallela al sisma […].”
È chiaro quindi che per gli edifici storici in muratura le azioni orizzontali di competenza dei
solai dovute al sisma è di buon senso determinarle in funzione all’area di influenza degli
stessi orizzontamenti.
Qualora i solai vengano resi "infinitamente" rigidi nel piano e vincolati alle pareti verticali
essi in teoria sarebbero in grado di distribuire le azioni orizzontali alle pareti stesse, in
funzione della rigidezza di queste ultime.
A tal proposito il DPCM, sempre al § 6.3.4, continua recitando:
“[…] risulta utile un limitato irrigidimento dei solai, di cui vanno valutati gli
effetti, a cui si associa inevitabilmente un aumento della resistenza degli
elementi. Solo in casi particolari risulta invece necessario un irrigidimento
444 | CAPITOLO 7
significativo dei solai nel proprio piano, con l’obiettivo di ripartire l’azione
sismica tra le diverse pareti; nella maggior parte dei casi questa ripartizione
porta a concentrare le forze sugli elementi più rigidi, anticipandone la rottura,
e sugli elementi perimetrali, nel caso d’irregolarità planimetriche con
accentuazione degli effetti torsionali. […]”
Risulta fondamentale valutare attentamente l’irrigidimento apportato agli orizzontamenti
con l’intervento, così da valutare correttamente le azioni ripartite dai solai nelle verifiche
locali con l’analisi cinematica (capitolo 3). A titolo esemplificativo, e per ciò che riguarda i
meccanismi fuori dal piano, si può immaginare che nel caso di solai deformabili si abbia
una massa sismica in testa alle pareti proporzionale all'area di influenza, mentre per solai
infinitamente rigidi la stessa massa vada a caricare le pareti di spina e quindi non grava
sulla parete oggetto di verifica.
A questo scopo si può pensare di intervenire, ad esempio, con la posa in opera di doppio
tavolato incrociato o di controventi di piano (realizzati con cavi, bandelle metalliche,
materiali compositi o similari).
Inoltre la necessità di irrigidimento dei solai deve essere valutata caso per caso, in funzione
delle caratteristiche peculiari della struttura sulla quale si va a intervenire315
.
Per poter considerare un orizzontamento infinitamente rigido, l’attuale normativa (Circolare
n.617/2009, § C7.2.6) si esprime come segue:
“Gli orizzontamenti […] possono essere considerati infinitamente rigidi nel
loro piano se, modellandone la deformabilità nel piano, i loro spostamenti
orizzontali massimi in condizioni sismiche non superano per più del 10%
quelli calcolati con l’assunzione di piano rigido. Tale condizione può
ritenersi generalmente soddisfatta nei casi specificati nelle NTC (v. § 7.2.6),
salvo porre particolare attenzione quando essi siano sostenuti da elementi
strutturali verticali (per es. pareti) di notevole rigidezza e resistenza. [...]”
È necessario sottolineare che l’ipotesi di infinita rigidezza o meno degli orizzontamenti nel
piano dipende dal confronto della loro rigidezza con quella delle strutture in elevazione a
cui l’orizzontamento stesso è collegato.
Appurati i contenuti della normativa, per valutare l’effettiva rigidezza degli orizzontamenti
si può procedere, ad esempio, con una modellazione che tenga conto della deformabilità di
piano.
Gli orizzontamenti possono essere schematizzati avvalendosi di una modellazione agli
elementi finiti; essi si considerano vincolati alle estremità in corrispondenza delle pareti
verticali. Ai modelli così ottenuti, uno relativo a un solaio con un sistema irrigidente di
riferimento (Fig. 7.54a), ovvero con una soletta in c.a. (così come previsto dalle NTC 2008
al § 7.2.6), e un altro relativo a un solaio con diverso sistema di irrigidimento (Fig. 7.54b) si
può pensare di applicare una forza unitaria a un’estremità e valutarne il corrispondente
spostamento orizzontale.
315 È indispensabile che la scelta dell’intervento da adottare dipenda, oltre che dal grado di rigidezza
che si vuole raggiungere, dal contesto in cui si va a inserire l’intervento. Infatti, nel caso in cui si vada
a operare su solai con intradosso di pregio, affrescato o decorato, indipendentemente dalla rigidezza
che si desidera raggiungere, è opportuno intervenire all’estradosso al fine di evitare problematiche
legate all’impatto visivo (ovvero uno dei requisiti fondamentali del restauro).
CAPITOLO 7 | 445
Orizzontamento con irrigidimento
di riferimento
F=1
Orizzontamento con altro irrigidimento
F=1
R A
a b Figura 7.54 – Schematizzazione degli orizzontamenti per la valutazione della rigidezza di piano: a)
irrigidimento di riferimento; b) altro irrigidimento.
Facendo riferimento all’attuale normativa sismica (Circolare n.617/2009, § C7.2.6) dal
confronto degli spostamenti ottenuti deve essere soddisfatta la seguente relazione:
RA %10
7.3. Strutture particolari: archi e volte
I principali meccanismi di danno che riguardano gli archi sono quelli nel piano. Nel caso di
archi trionfali, infatti, i meccanismi fuori dal piano sono generalmente contrastati dalle
pareti a essi ortogonali.
L’arco è una struttura ad asse curvilineo, composta da conci adiacenti l’uno all’altro e che
si sorreggono per mutuo contrasto.
Dal punto di vista statico, l’arco è definito come struttura spingente in quanto i conci che lo
compongono trasmettono ai piedritti una forza inclinata. Tale forza è quindi costituita da
una componente verticale, che genera compressione anche nel piedritto, e una orizzontale
che invece rappresenta la spinta che il piedritto deve poter sopportare.
Gli archi trionfali all’interno delle chiese ad esempio possono essere soggetti a diversi
meccanismi di danno: si può verificare la rotazione monolatera di una spalla verso l’esterno
(Fig. 7.55a), può verificarsi un meccanismo simmetrico in cui entrambe le spalle ruotano
verso l’esterno (Fig. 7.55b) o può verificarsi anche un meccanismo in cui le spalle dell’arco
ruotano in maniera concorde (Fig. 7.55c).
Figura 7.55 – Possibili meccanismi di danno degli archi trionfali: a) Rotazione monolatera nel piano
di una spalla; b) Rotazione bilatera simmetrica nel piano delle spalle; c) rotazione concorde nel
piano delle spalle.
Tali meccanismi sono influenzati dall’altezza e dalle dimensioni dei piedritti, ma anche
446 | CAPITOLO 7
dalle condizioni di vincolo e delle azioni esterne.
La difficoltà principale nella schematizzazione degli archi trionfali e negli archi in genere,
così come nelle volte, sta nel posizionamento delle cerniere. La loro posizione non può
infatti essere a priori stabilita, ma generalmente dipende dalla modalità costruttiva con cui
queste strutture particolari sono state realizzate.
Abitualmente si è portati a dire che le cerniere si formano di norma all’altezza delle reni.
Questa assunzione è più che plausibile se si pensa alla zona di maggior rigidezza che si crea
al di sotto delle reni stesse, per via dell’incastro che si ha tra tutti gli elementi costituenti la
volta o l’arco (Fig. 7.56).
a b
Figura 7.56 – a) Formazione della cerniera alla fine della zona di maggior rigidezza (altezza delle
reni); b) consistente aumento della sezione rispetto al resto dello sviluppo della volta dovuto
all’intersecazione degli elementi tridimensionali (mattoni) costituenti la volta stessa (modello in scala
1:5 di una porzione significativa della volta della chiesa di Santa Maria della Carità a Ascoli
Piceno).
La posizione delle cerniere può essere determinata mediante modellazioni agli elementi
finiti: con queste analisi è possibile individuare le zone della muratura sottoposte a trazione,
quindi la formazione delle cerniere316
(Fig. 7.57).
Figura 7.57 – Individuazione della posizione delle cerniere, conseguentemente all’applicazione di
un’azione sismica orizzontale verso sinistra, con modellazione agli elementi finiti (FEM)317.
316 De Luca A. et al., 2004, pp. 1915-1929. 317 Quagliarini E. et al., 2012, Volume I, pp. 341-350.
CAPITOLO 7 | 447
Altro modo per capire dove si formano le cerniere è quello di realizzare modelli in scala,
simulandone i possibili meccanismi che potrebbero attivarsi sia per azioni dovute al sisma,
sia per ragioni statiche (ad esempio cedimenti fondali).
Da alcune sperimentazioni in scala effettuate su un arco in legno costituito da 12 conci di
uguali dimensioni posizionati senza l’applicazione di nessun materiale legante (Fig. 7.58), è
stato infatti possibile evincere come, per la maggior parte dei cinematismi simulati (Tabelle
7.1-7.4), la formazione delle cerniere corrisponde all’altezza delle reni e all’altezza della
chiave dell’arco.
È solo dopo aver individuato le posizioni delle cerniere che è possibile studiare i vari
cinematismi degli archi.
Nel seguito sono stati raffigurati alcuni dei possibili meccanismi che si potrebbero attivare
negli archi; ognuno di essi ha individuato la posizione delle cerniere, grazie alle quali è
possibile schematizzare la struttura e analizzarla adeguatamente al fine di progettare un
eventuale intervento.
A ognuno degli esempi raffigurati nelle tabelle è stata associata una schematizzazione
mediante il metodo grafico delle catene cinematiche, descritto dettagliatamente nel capitolo
3 (§ 3.3.2.2).
Figura 7.58 – Arco in legno con luce di 30 cm e freccia di 15 cm. I conci n.1 e n. 12 sono fissati allo
strumento mediante due perni (vincolo d’incastro) che evitano lo scorrimento, altrimenti inevitabile
per la finitura liscia dei conci, tra le due superfici.
448 | CAPITOLO 7
ROTAZIONE MONOLATERA DI UN’IMPOSTA DELL’ARCO
Rotazione di B (o A) di 10°
Formazione cerniere tra i conci 2 e 3, 6 e 7, 10 e 11.
Meccanismo
Il meccanismo è simmetrico. Facendo ruotare A o B le cerniere si formano sempre negli
stessi punti.
Andamento degli spostamenti dell’arco con le catene cinematiche
Tabella 7.1 – Schematizzazione della rotazione monolatera di un’imposta dell’arco.
CAPITOLO 7 | 449
ROTAZIONE BILATERA DISCORDE DELLE IMPOSTE DELL’ARCO
Rotazione contemporanea di A e B di 10°
Formazione di cerniere tra i conci 2 e 3, 6 e 7, 10 e 11
Meccanismo
Andamento degli spostamenti dell’arco con le catene cinematiche (per simmetria si studia
metà struttura dell’arco)
Tabella 7.2 – Schematizzazione bilatera discorde di entrambe le imposte dell’arco.
450 | CAPITOLO 7
CEDIMENTO ORIZZONTALE DI ENTRAMBE LE IMPOSTE DELL’ARCO
Cedimento contemporanea di A e B
Cedimento di 1 cm. Formazione di cerniere tra i conci 6 e 7, 2 e 3, 10 e 11.
Cedimento di 3 cm Formazione di cerniere tra i conci 6 e 7, 2 e 3, 10 e 11. Si verificano
scorrimenti dei conci 5, 5, 6 e 7, 8, 9.
Meccanismo
Andamento degli spostamenti dell’arco con le catene cinematiche (per simmetria si studia
metà struttura dell’arco)
Tabella 7.3 – Schematizzazione del cedimento orizzontale di entrambe le imposte dell’arco.
CAPITOLO 7 | 451
CEDIMENTO VERTICALE DELL’IMPOSTA DESTRA
Cedimento verticale di B (o A)
Cedimento di 4 cm. Formazione delle cerniere tra i conci 2 e 3, 3 e 4, 11 e 12.
Cedimento di 5 cm. A questo cedimento corrisponde una chiusura della cerniera tra i conci
3 e 4 mentre le cerniere tra i conci 2 e 3, 11 e 12 si amplificano. Si verifica inoltre uno
scorrimento dei conci 6, 7, 8.
Meccanismo
Il meccanismo è simmetrico. Facendo ruotare A o B le cerniere si formano sempre negli
stessi punti.
Andamento degli spostamenti dell’arco con le catene cinematiche considerando le prime
cerniere che si formano nel meccanismo.
Tabella 7.4 – Schematizzazione del cedimento verticale di un’imposta dell’arco.
452 | CAPITOLO 7
L’approccio raffigurato nelle Tabelle 7.1-7.4, è possibile applicarlo anche agli archi
trionfali. Considerando singolarmente ognuno dei meccanismi tipici che possono verificarsi
(Fig. 7.55), descritti all’inizio di questo capitolo, dopo aver stabilito la posizione delle
cerniere, è possibile graficizzare la catena cinematica determinando le rotazioni di ogni
corpo rigido individuato e gli spostamenti dei punti di applicazione di ogni azione agente su
di essi.
In Fig. 7.59 è rappresentata la catena cinematica relativa al cinematismo di rotazione
monolatera di un piedritto. Nella schematizzazione di questo meccanismo, imposta al corpo
① una rotazione θ alla base del piedritto, e individuate le posizioni delle cerniere e la
conformazione dei tre blocchi rigidi coinvolti, si possono determinare le rotazioni ψ e φ dei
blocchi ② e ③, come conseguenza alla rotazione θ:
rotazione del corpo ② → 2
1
L
L
rotazione del corpo ③ → 2
1
4
3
4
3
L
L
L
L
L
L
Dalle relazioni appena esplicitate è chiaro come le rotazioni ψ e φ sono sempre funzione di
quella imposta alla base del piedritto θ.
Figura 7.59 – Arco trionfale: cinematismo di rotazione monolatera di un piedritto.
Stessa cosa vale per il cinematismo di rotazione bilatera discorde di entrambi i piedritti
dell’arco (Fig. 7.60). In questo caso, essendo il cinematismo simmetrico si può analizzare
metà struttura e determinando per cui la sola rotazione del corpo ②:
rotazione del corpo ② → 2
1
H
H
CAPITOLO 7 | 453
Figura 7.60 – Arco trionfale: cinematismo di rotazione bilatera discorde dei piedritti.
Lo stesso procedimento è svolto per il cinematismo di rotazione concorde di entrambi i
piedritti dell’arco (Fig. 7.61): determinata la posizione delle cerniere le rotazioni ψ e φ dei
blocchi ② e ③ sono così determinate:
rotazione del corpo ② → 2
1
H
H
rotazione del corpo ③ → 2
1
4
3
4
3
H
H
H
H
H
H
Figura 7.61 – Arco trionfale: cinematismo di rotazione bilatera concorde dei piedritti.
454 | CAPITOLO 7
7.3.1. Tirantatura metallica
Le spinte statiche delle volte, se non opportunamente contrastate, sono la causa principale
dei loro dissesti; l’arrivo di un evento sismico può peggiorare la situazione. Al fine di
evitare questi fenomeni è bene quindi che le strutture spingenti siano dotate di presidi
almeno atti ad assorbire le spinte statiche, evitando così fenomeni di dissesto sulle volte ed
eventuali cinematismi fuori dal piano delle pareti che sorreggono le stesse volte.
Gli incatenamenti metallici possono essere realizzati all’intradosso, alla quota delle reni, o
all’estradosso in modo da occultarli alla vista (Figg. 7.63, 7.66), anche se in questo secondo
caso potrebbero non essere efficaci come nel primo caso (alle reni, punto in cui si esplica la
spinta).
In presenza di archi, ad esempio gli archi trionfali all’interno delle chiese o quelli che
caratterizzano i portici dei palazzi nobiliari presenti nei centri storici e nelle città italiane, si
può pensare di intervenire disponendo tiranti metallici in corrispondenza delle reni (Fig.
7.62).
Figura 7.62 – Inibizione dei possibili meccanismi di danno degli archi trionfali con l’inserimenti di
catene alle reni: a) Rotazione monolatera nel piano di una spalla; b) Rotazione bilatera simmetrica
nel piano delle spalle; c) rotazione concorde nel piano delle spalle (situazione in cui la catena
potrebbe essere inefficace).
Anche nei riguardai della spinta derivante dalle volte a botte si può pensare di intervenire
allo stesso modo, disponendo le catene a un interasse opportuno.
Per quanto riguarda invece le volte a crociera, una possibile tecnica di intervento in grado
di migliorare il loro comportamento strutturale318
potrebbe essere quella di disporre una
controventatura incrociata (Fig. 7.63) che sia in grado di assorbire le spinte statiche e
conferire una scatolarità alle pareti murarie.
318 Cangi G., 2005, p. 139.
CAPITOLO 7 | 455
Figura 7.63 – Disposizione di controventature incrociate all’estradosso di volte a crociera.
Dimensionamento Il dimensionamento delle semplici catene disposte al fine di assorbire la spinta di archi
trionfali o di volte a botte, è lo stesso illustrato nel precedente § 7.1.2.1. Molto
sinteticamente il procedimento è il seguente:
- si determina il tiro che deve assorbire la catena al fine di impedire il cinematismo di
collasso;
- si dimensiona a trazione la catena;
- si dimensiona a flessione il capochiave esterno;
- in questo caso è necessaria anche la verifica a punzonamento del muro, in quanto il
tiro calcolato non può essere scaricato dalla catena stessa né su solai intermedi né su
pareti di spina. La muratura deve essere perciò in grado di garantire la resistenza a
punzonamento causata dal tiro che va ad assorbire la catena.
I tiranti diagonali (controventi) hanno il compito di evitare dissesti di tipo statico dovuti
all’azione spingente della volta nei quattro vertici che crea deformazioni nel campo centrale
della volta stessa per effetto delle trazioni diagonali319
, ma contribuiscono anche a
contrastare il cinematismo fuori dal piano delle pareti murarie sulle quali grava la volta.
Le azioni agenti su ogni tirante, con le quali dimensionare questi ultimi, possono essere
determinate con l’analisi cinematica lineare considerando il meccanismo di ribaltamento
fuori dal piano delle pareti (Fig. 3.40a, b).
Nei riguardi delle dimensioni del macroelemento da considerare è bene fare alcune
osservazioni.
Nel caso in cui si abbia una serie di volte affiancate con campate di lunghezza differente
(ad esempio volte a crociera affiancate), nell’analisi cinematica è opportuno considerare
l’intero macroelemento, in quanto per via della differenza tra una campata e l’altra, le volte
saranno caratterizzate da una spinta diversa tra loro. Nel caso invece in cui si abbia una
319 Gurrieri F. (a cura di), 1999, scheda VO10.
456 | CAPITOLO 7
serie di volte affiancate caratterizzate da campate della stessa ampiezza, allora si potrebbe
prendere in considerazione la sola fascia muraria corrispondente al punto in cui scarica la
volta (Fig. 7.63).
Determinato il tiro T in grado di impedire il cinematismo di ribaltamento, si calcola
l’azione di trazione che il controvento deve assorbire. Se ad esempio nel cinematismo si
considera la sola fascia verticale in corrispondenza della spinta della volta (Figg. 7.63,
7.64), la componente di trazione su ogni elemento in acciaio è pari a:
cos
1
2cos
TRR x ; tan
2tan
TRR xy
Figura 7.64 – Determinazione dell’azione di trazione agente sugli elementi in acciaio (si considera
T/2 nel caso in cui nel cinematismo di ribaltamento si 2è considerata solo una fascia verticale di
parete (Fig. 7.63). Se invece si considera l’intero macroelemento il tiro T va diviso per il numero
degli elementi trasversali. Con questo valore si determina infine l’azione agente sui controventi).
Per quanto riguarda i collegamenti tra il controvento e gli elementi trasversali, questi
possono essere realizzate in diversi modi, come ad esempio con collegamenti bullonati
(Fig. 7.65a) o saldati (Fig. 7.65b). L’immagine (Fig. 7.65) mostra quali sono le azioni da
considerare per il dimensionamento di tali collegamenti.
In entrambe le soluzioni proposte, bullonatura e saldatura, il profilo 1 deve essere
dimensionato a trazione considerando l’azione T/2.
La stessa azione deve poi essere considerata per la verifica a rifollamento del profilo e della
piastra di collegamento.
È importante sottolineare che la sezione del profilo 1 deve essere verificata a trazione e a
rifollamento considerando l’area effettivamente resistente, che nel caso di collegamento
bullonato deve essere decurtata dall’ampiezza del foro per il bullone (sezione A-A’ in Fig.
7.65a).
Con questa stessa azione è poi possibile dimensionare a taglio il bullone di collegamento.
Per quanto riguarda il profilo 2, ovvero quello che costituisce il controvento, anch’esso
deve essere dimensionato a trazione e rifollamento considerando la reale sezione resistente
del profilo (sezione B-B’ in Fig. 7.65). In questo caso però l’azione da considerare è diversa
da quella appena descritta ed è pari a R, calcolata così come schematizzata in Fig. 7.64.
Infine stesse verifiche spettano al profilo 3 considerando come azione agente quella
corrispondente a Ry.
CAPITOLO 7 | 457
Nel caso di collegamenti saldati, i cordoni di saldatura devono essere dimensionati
anch’essi con le azioni corrispondenti a ogni profilo (T, Rx e Ry).
Figura 7.65 – Schematizzazione delle azioni da considerare per la verifica dei collegamenti; a)
collegamento bullonato; b) collegamento saldato.
I tiranti posti all’estradosso della volta, quindi a una quota più alta rispetto alle reni,
possono dar luogo a cinematismi di flessione verticale (Fig. 7.66) con probabile formazione
della cerniera interna proprio alle reni della volta. Si ritiene opportuno verificare perciò
anche questo secondo meccanismo per valutare la reale efficacia dell’intervento proposto.
S
T
uW2
uS
uW1
S
W1
W1
W2W2
NN T
vW1
vW2;vN
vS Figura 7.66 – Possibile cinematismo di flessione verticale che può attivarsi disponendo le catene
all’estradosso, a una quota più alta rispetto a quella dove si esplica la spinta della volta320.
320 Carocci C., Tocci C. (a cura di), 2010, p.192.
458 | CAPITOLO 7
7.3.2. Consolidamento con materiali fibrorinforzati: simulazione
su modello di arco in legno
La scelta di disporre i rinforzi in materiale composito all’estradosso e/o all’intradosso degli
archi e delle volte, è nella maggior parte dei casi dettata dalla possibilità o meno di
applicare resine.
Può, infatti, capitare che all’intradosso ci siano stucchi o affreschi di elevato interesse
storico e artistico oppure che l’accesso all’estradosso sia difficoltoso.
Sia nel caso di interventi estradossali che intradossali, l’azione di inibizione alla formazione
delle cerniere sul bordo opposto a quello rinforzato si ottiene per trazione del rinforzo,
trazione che può sussistere grazie all’aderenza del tessuto con il substrato muratura.
Per valutare l’efficacia di questo intervento l’autore hanno voluto riprodurre un modello di
arco in scala, con il quale sono stati simulati prima i possibili meccanismi attivabili (§ 7.3,
Tabelle 7.1-7.4), poi per ognuno di essi sono state applicate diverse modalità di intervento
con l’applicazione di nastro adesivo che simulasse le fasciature in materiale composito.
Per ognuna delle modalità simulate sono state fatte alcune osservazioni:
- materiale composito lungo tutto l’intradosso: nella maggior parte dei casi si
sviluppano meccanismi di scorrimento tra i conci vicino alle imposte e quindi viene a
mancare il mutuo contrasto che si dovrebbe sviluppare tra gli elementi della struttura.
Il meccanismo di danno in questo caso cambia notevolmente da quello pre-intervento.
Il collasso post-intervento si manifesta in corrispondenza di spostamenti maggiori
rispetto all’arco privo di intervento, e le cerniere che tendono a formarsi hanno
un’ampiezza minore rispetto a quelle che si formano nelle condizioni pre-intervento.
Quindi l’intervento così realizzato riesce in definitiva a contenere maggiormente la
struttura dell’arco e a migliorarne il comportamento.
- materiale composito lungo tutto l’estradosso: in molte situazioni, si è incrementato il
valore dello spostamento raggiunto rispetto a quello dei meccanismi di danno pre-
intervento prima di arrivare al collasso dell’arco, ma occorre tenere sempre in
considerazione l’attrito quasi assente tra conci di legno.
- materiale composito in corrispondenza delle cerniere individuate nella precedente fase
(§ 7.3): si instaurano scorrimenti in blocco dei conci
Le tabelle che seguono (Tabelle 7.5-7.8) rappresentano alcuni dei meccanismi di danno
post-intervento, riprodotti combinando tutti i possibili movimenti.
CAPITOLO 7 | 459
ROTAZIONE MONOLATERA DI UN’IMPOSTA DELL’ARCO
Pre-intervento
Rotazione dell’imposta destra
Formazione cerniere tra i conci 2 e 3, 6 e 7, 10 e 11.
Post-intervento
Simulazione materiale
composito all’intradosso Meccanismo Considerazioni
MATERIALE
COMPOSITO
INTRADOSSO
A differenza di quanto
accade nel meccanismo di
danno dell’arco senza
presidi, in questo caso si
sviluppa un meccanismo di
scorrimento.
Formazione di scorrimento tra i conci 1 e 2 e cerniera tra i conci 11 e 12.
Simulazione materiale
composito all’estradosso Meccanismo Considerazioni
MATERIALE
COMPOSITO
ESTRADOSSO
Si riesce a instaurare il
meccanismo di mutuo
contrasto tra i conci con
apertura di cerniere, diverse
da quelle che si sono aperte
nel meccanismo di danno
pre – intervento.
Formazione di cerniera tra i conci 5 e 6.
Simulazione materiale
composito sulle cerniere Meccanismo Considerazioni
MATERIALE
COMPOSITO SULLE
CERNIERE
In questo caso si crea un
meccanismo di scorrimento
dei conci, che avviene in
corrispondenza della fine
dei "cerotti" che simulano il
composito.
Manifestazione di scorrimenti tra i conci 4 e 5, 8 e 9.
Tabella 7.5 – Schematizzazione della rotazione dell’imposta destra.
460 | CAPITOLO 7
ROTAZIONE BILATERA DISCORDE DELLE IMPOSTE DELL’ARCO
Pre-intervento
Rotazione contemporanea di entrambe le imposte
Formazione di cerniere tra i conci 2 e 3, 6 e 7, 10 e 11
Post-intervento
Simulazione materiale
composito all’intradosso Meccanismo Considerazioni
MATERIALE
COMPOSITO
INTRADOSSO
A differenza di quanto
accade nel meccanismo di
danno dell’arco senza
presidi, dove tra i conci si
sviluppa un mutuo contrasto
con l'apertura delle cerniere,
in questo caso si sviluppa
un meccanismo di
scorrimento.
Formazione di cerniere tra i conci 10 e 11, 11 e 12 con rottura immediata e distacco del
nastro applicato.
Simulazione materiale
composito all’estradosso Meccanismo Considerazioni
MATERIALE
COMPOSITO
ESTRADOSSO
Rottura in corrispondenza
del concio 12 in quanto
fissato al piano di imposta.
Formazione di cerniere tra i conci 10 e 11, 11 e 12 con rottura immediata e distacco del
nastro applicato.
Simulazione materiale
composito sulle cerniere Meccanismo Considerazioni
MATERIALE
COMPOSITO SULLE
CERNIERE
Meccanismo di scorrimento
dei conci, che avviene in
corrispondenza della fine
dei "cerotti" che simulano il
composito.
Scorrimento tra i conci 4 e 5, 8 e 9 con collasso quasi immediato dell’arco.
Tabella 7.6 – Schematizzazione della rotazione di entrambe le imposte.
CAPITOLO 7 | 461
CEDIMENTO ORIZZONTALE DI ENTRAMBE LE IMPOSTE DELL’ARCO
Pre-intervento
Traslazione orizzontale contemporanea di entrambe le imposte
Formazione di cerniere tra i conci 6 e 7, 2 e 3, 10 e 11. Si verificano scorrimenti dei conci
5, 5, 6 e 7, 8, 9.
Post-intervento
Simulazione materiale
composito all’intradosso Meccanismo Considerazioni
MATERIALE
COMPOSITO
INTRADOSSO
Il meccanismo di danno
varia completamente
diventando un meccanismo
di scorrimento tra i conci.
Scorrimenti tra i conci 2 e 3, 11 e 12 con distacco del nastro in corrispondenza di
quest’ultimi e dei conci 6, 7, 8 e 9, per effetto della formazione di una cerniera tra i conci 6
e 7.
Simulazione materiale
composito all’estradosso Meccanismo Considerazioni
MATERIALE
COMPOSITO
ESTRADOSSO
Intervento poco “resistente”
per il distacco in prossimità
del concio 12.
Formazione di cerniere tra i conci 8 e 9 (con principio di scorrimento), 11 e 12. Distacco
del nastro dal concio 12.
Simulazione materiale
composito sulle cerniere Meccanismo Considerazioni
MATERIALE
COMPOSITO SULLE
CERNIERE
Scorrimenti in blocco in
corrispondenza della fine
dei “cerotti”.
Scorrimenti tra il concio 4 e 5, 8 e 9, 9 e 10. Il collasso avviene a una traslazione di 2 cm.
Tabella 7.7 – Schematizzazione della traslazione orizzontale di entrambe le imposte.
462 | CAPITOLO 7
CEDIMENTO VERTICALE DELL’IMPOSTA DESTRA
Pre-intervento
Cedimento verticale di B (o A) di 5 cm
A questo cedimento corrisponde una chiusura della cerniera tra i conci 3 e 4 mentre le
cerniere tra i conci 2 e 3, 11 e 12 si amplificano. Si verifica inoltre uno scorrimento dei
conci 6, 7, 8.
Post-intervento
Simulazione materiale
composito all’intradosso Meccanismo Considerazioni
MATERIALE
COMPOSITO
INTRADOSSO
Distacco del nastro in
corrispondenza dei blocchi
che scorrono appena sopra
quelli fissati al piano di
imposta.
Scorrimenti tra i conci 10 e 11 con distacco del nastro in corrispondenza di quest’ultimi.
Formazione di cerniere tra i conci 1 e 2, 2 e 3.
Simulazione materiale
composito all’estradosso Meccanismo Considerazioni
MATERIALE
COMPOSITO
ESTRADOSSO
Formazione di cerniere tra i conci 1 e 2, 10 e 11, 11 e 12. Non c’è distacco del nastro.
Simulazione materiale
composito sulle cerniere Meccanismo Considerazioni
MATERIALE
COMPOSITO SULLE
CERNIERE
Scorrimenti in blocco in
corrispondenza della fine
dei “cerotti”.
Scorrimenti tra i conci 4 e 5, 9 e 10. Il collasso avviene ad una traslazione di 2 cm.
Tabella 7.8 – Schematizzazione del cedimento verticale dell’imposta destra.
CAPITOLO 7 | 463
7.4. Bibliografia [1] AA.VV., Terremoto Umbria Marche 1997. Criteri di calcolo per la progettazione
degli interventi, Editrice Sallustiana, Roma, 1998, Revisione 12/1999.
[2] Boscotrecase L., Piccarreta F., Edifici in muratura in zona sismica, Dario Flaccovio
Editore, Palermo, 2006.
[3] Cangi G., Manuale del recupero strutturale e antisismico, Dei, Roma, 2005.
[4] Carocci C., Tocci C. (a cura di), Leggendo il libro delle antiche architetture. Aspetti
statici del restauro, saggi 1985-1997, Gangemi Editore, Roma, 2010. [5] Cigni G., Il consolidamento murario tecniche di intervento, edizione Kappa, 1978.
[6] Clementi F., Lenci S., I compositi nell’ingegneria strutturale, ed. Esculapio, Bologna,
2009.
[7] De Luca A., Giordano A., Mele E., A simplified procedure for assessing the seismic
capacity of masonry arches, 2004, Engineering Structures 26, pp. 1915-1929.
[8] Doglioni F., Mazzotti P. (a cura di), Codice di pratica per gli interventi di
miglioramento sismico nel restauro del patrimonio architettonico. Integrazione alla
luce delle esperienze nella Regione Marche, Regione Marche P.F. "Beni Culturali e
Programmi di Recupero", Ancona, 2007.
[9] Donà C. (a cura di), Manuale delle murature storiche, Volume I, Analisi e valutazione
del comportamento strutturale, Volume II Schede operative per gli interventi di
restauro strutturale, Dei Roma, 2011.
[10] Giuffrè A., Letture sulla meccanica delle murature storiche, edizioni kappa, Roma,
1991.
[11] Giuffrè A. (a cura di), Sicurezza e conservazione dei centri storici. Il caso Ortigia, ed.
Laterza, Bari, 1993.
[12] Giuffrè A., Carocci C., Codice di pratica per la sicurezza e la conservazione dei Sassi
di Matera, Edizioni La Butta, 1997.
[13] Giuffrè A., Carocci C., Codice di pratica per la sicurezza e la conservazione del centro
storico di Palermo, editori Laterza, Roma-Bari, 1999.
[14] Gurrieri F. (a cura di), Manuale per la riabilitazione e la ricostruzione post-sismica
degli edifici. Regione dell’Umbria, Dei, Roma, 1999.
[15] Mastrodicasa S., Dissesti estatici delle strutture edilizie, Hoepli, Milano, 1983.
[16] Menditto G, Lezioni di scienza delle costruzioni, Volume I: La statica, Pitagora
Editrice, Bologna, 1998.
[17] Quagliarini E., Monni F., Lenci S., Importance of building knowledge for a correct
structural assessment. The case of Santa Maria della Carità church in Ascoli Piceno
(Italy), Atti del "SAHC 2012, 8th International Conference on Structural Analysis of
Historical Constructions", Wroclaw, Polonia, 15-17 ottobre 2012, Volume 1, pp. 341-
350. [18] Vallucci S., Quagliarini E., Lenci S., Costruzioni storiche in muratura. Vulnerabilità
sismica e progettazione degli interventi, Wolters Kluwer Italia, Milano, 2014.
Normative di riferimento
[1] D.M. 14.01.2008, Nuove norme tecniche per le costruzioni, G.U 4.02.2008, n.29,
Ministero delle Infrastrutture, dell’Interno e Dipartimento Protezione Civile, Roma,
464 | CAPITOLO 7
2008.
[2] Circolare 2.02.2009, n.617, Istruzioni per l’applicazione delle “Norme Tecniche per le
Costruzioni” di cui al D.M. 14 gennaio 2008, Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici,
Roma, 2009.
[3] D.M. 16.01.1996, Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche, G.U.
05.02.1996, n.29, Roma 1996.
[4] D.M. 02.07 1981, Normativa per la riparazione e il rafforzamento degli edifici
danneggiati dal sisma nelle regioni Basilicata, Campania e Puglia, Supplemento
Ordinario G.U. 21.07.1981 n.198, Roma, 1981.
[5] D.M. 24.01.1986, Norme tecniche relative alle costruzioni antisismiche, G.U.
12.05.1986 n.108, Roma, 1986.
[6] DPCM 26.02.2011, Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del
patrimonio culturale con riferimento alle norme tecniche per le costruzioni, G.U.
26.02. 2011 n.47, Roma, 2011.
[7] D.Lgs. n.42 del 22.01.2004, Codice dei beni culturali e del paesaggio, G.U.
4.02.2004, n.45, Roma, 2004.
[8] CNR-DT 200 R1/2012, Istruzioni per la progettazione, l’esecuzione e il controllo di
interventi di consolidamento statico mediante l’utilizzo di compositi fibrorinforzati,
CNR, Roma, 2012.
Sitografia
[1] Munari M., Bettiol G., da Porto F., Milano L., Modena C. (a cura di), Esempio di
calcolo su rafforzamento locale di edifici in muratura con tiranti, 2010,
http://www.reluis.it/images/stories/Esempio_calcolo_tirante.pdf, dicembre 2013.
[2] Miglioramento sismico di un edificio storico con nastri SRG pretensionati, Proceeding
of the 12th Conference on Seismic Engineer in Italy, 10-14 giugno, 2006, Pisa,
http://www.mastrodicasa.com/pubblicazioni/%5B13%5D%20-
%20ANIDIS%20XII%20%28Edificio%20Torre%20Trevi%29.pdf, dicembre 2013.