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Indice 1 Cinematica dei sistemi di punti materiali 3 1.1 Riferimenti spazio-temporali della cinematica classica ....... 3 1.2 Equazioni del moto di un punto ................... 4 1.3 Moti piani ............................... 6 1.4 Moti composti ............................ 8 1.5 Cambiamento di riferimento ..................... 11 1.6 Moto di un corpo rigido ....................... 13 1.7 Atto di moto rigido e formula fondamentale della cinematica di un corpo rigido ............................ 14 1.8 Moto traslatorio ........................... 15 1.9 Moti relativi .............................. 16 1.10 Derivata assoluta e relativa di un vettore .............. 17 1.11 Moti composti per corpi rigidi .................... 18 2 Dinamica dei sistemi di punti materiali 19 2.1 Primo principio della Dinamica ................... 19 2.2 Legge di forza in un sistema isolato di punti materiali ...... 20 2.3 Legge del moto di Newton ...................... 23 2.4 Determinazione del moto di un sistema di punti materiali .... 24 2.5 Principio di relatività (di Galilei) .................. 25 2.6 Moto di un sistema di punti in un ambiente esterno ........ 25 2.7 Equazioni cardinali della Dinamica ................. 26 2.7.1 Equazioni di bilancio della quantità di moto e del momen- to della quantità di moto .................. 27 2.8 Energia cinetica e moto attorno al baricentro ........... 29 2.8.1 Lavoro di un sistema di forze, teorema delle forze vive .. 30 2.9 Forze conservative e conservazione dell’energia meccanica .... 31 2.10 Dinamica nei riferimenti non inerziali ................ 32 3 Applicazioni di Dinamica del punto materiale 34 3.1 Moto di un punto libero soggetto a forze centrali ......... 34 3.2 Moto di un punto libero soggetto a forze newtoniane ....... 37 3.3 Leggi di Keplero e problema dei due corpi ............. 40 3.4 Diffusione di un punto soggetto a forze newtoniane e modello nucleare di Rutherford ........................ 42 3.5 Da Keplero a Newton: la gravitazione ............... 44 Conclusioni 48 1

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Indice

1 Cinematica dei sistemi di punti materiali 31.1 Riferimenti spazio-temporali della cinematica classica . . . . . . . 31.2 Equazioni del moto di un punto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41.3 Moti piani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61.4 Moti composti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81.5 Cambiamento di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111.6 Moto di un corpo rigido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131.7 Atto di moto rigido e formula fondamentale della cinematica di

un corpo rigido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141.8 Moto traslatorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151.9 Moti relativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161.10 Derivata assoluta e relativa di un vettore . . . . . . . . . . . . . . 171.11 Moti composti per corpi rigidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

2 Dinamica dei sistemi di punti materiali 192.1 Primo principio della Dinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 192.2 Legge di forza in un sistema isolato di punti materiali . . . . . . 202.3 Legge del moto di Newton . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 232.4 Determinazione del moto di un sistema di punti materiali . . . . 242.5 Principio di relatività (di Galilei) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 252.6 Moto di un sistema di punti in un ambiente esterno . . . . . . . . 252.7 Equazioni cardinali della Dinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

2.7.1 Equazioni di bilancio della quantità di moto e del momen-to della quantità di moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

2.8 Energia cinetica e moto attorno al baricentro . . . . . . . . . . . 292.8.1 Lavoro di un sistema di forze, teorema delle forze vive . . 30

2.9 Forze conservative e conservazione dell’energia meccanica . . . . 312.10 Dinamica nei riferimenti non inerziali . . . . . . . . . . . . . . . . 32

3 Applicazioni di Dinamica del punto materiale 343.1 Moto di un punto libero soggetto a forze centrali . . . . . . . . . 343.2 Moto di un punto libero soggetto a forze newtoniane . . . . . . . 373.3 Leggi di Keplero e problema dei due corpi . . . . . . . . . . . . . 403.4 Diffusione di un punto soggetto a forze newtoniane e modello

nucleare di Rutherford . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 423.5 Da Keplero a Newton: la gravitazione . . . . . . . . . . . . . . . 44

Conclusioni 48

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Appendice A 50Discussione qualitativa dell’equazione x = f(x) . . . . . . . . . . . . . 50

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Capitolo 1

Cinematica dei sistemi dipunti materiali

La Cinematica è quella branca della Meccanica che, basandosi sui concetti ditempo e di spazio, studia le proprietà geometriche del movimento. In particola-re, essa rappresenta il moto in relazione ad un particolare sistema di riferimentodescrivendo come mutano nel tempo i caratteri geometrici delle figure rappre-sentanti i corpi in movimento. Per tale motivo la Cinematica viene anche detta«Geometria del movimento».

1.1 Riferimenti spazio-temporali della cinemati-ca classica

Un osservatore per poter osservare e quindi descrivere un moto, o qualsiasifenomeno fisico, necessita di un corpo di riferimento C, suddividibile in ”piccole”parti denominate punti. Indicheremo con la lettera ’O’ il punto con cui siidentifica l’osservatore. Quest’ultimo in ognuno dei punti in cui il corpo è statosuddiviso, colloca un orologio. Questi orologi, tutti identici, non sono altro chedei dispositivi utilizzati per definire quello che viene chiamato tempo locale t cioèuna variabile reale, continua e crescente.L’istante di tempo t, nel quale accadeun evento, verrà valutato tramite quel particolare orologio posto nel punto incui accade l’evento. Un evento è pertanto qualcosa che accade in un certopunto e ad un certo istante. Risulta così possibile ordinare tutti gli eventi chesi verificano in uno stesso punto di C, basta infatti associare ad ognuno di essil’istante t in cui essi hanno luogo. E’ necessario ricorrere, invece, al concetto disincronismo per valutare se due eventi avvenuti in punti differenti di uno stessocorpo risultano essere anteriori, simultanei o posteriori uno rispetto all’altro. Ariguardo sussiste il seguente

Postulato C1: L’andamento di un orologio è indipendente dal suomoto.

Ovvero in cinematica classica si assume che orologi identici e sincroni postiin un punto del corpo C rimangano tali anche dopo averli distribuiti in puntidiversi di C. Si ammette anche il seguente

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Postulato C2: Esistono corpi di riferimento rigidi, cioè tali chela distanza tra due punti qualsiasi di questi corpi si mantenga co-stante nel tempo. Questi corpi vengono prolungati idealmente edindefinitamente con punti fittizi a distanza anch’essa costante. Sicostruisce così lo spazio solidale all’osservatore O, che chiamiamoE3, che si assume essere uno spazio puntuale affine tridimensionaleed euclideo.

E’ possibile perciò individuare un riferimento spazio-temporale R conside-rando un corpo rigido C e degli orologi. Se poi si considera un’altro corpo C ′,i punti in cui esso si suddivide possono essere istantaneamente identificati conpunti di E3. L’insieme di tali punti permettono all’osservatore di rappresentareil corpo in esame ad un dato istante t. Tale insieme prende il nome di confi-gurazione del corpo a quell’istante; il corpo si troverà perciò in moto rispettoallo spazio-tempo dell’osservatore se tale rappresentazione risulta cambiare neltempo. Talvolta, per studiare il moto di un corpo basta individuarlo con un suosolo punto studiando quindi le variazioni nel tempo della velocità e dell’accele-razione di questo punto. Ciò è possibile quando le distanze tra i vari punti delcorpo risultano trascurabili rispetto alle dimensioni della regione in cui avvieneil moto e le variazioni delle grandezze cinematiche interne risultano anch’esseirrilevanti rispetto a quelle esterne. Tale modello, semplificato, prende il nomedi punto materiale. Esso ha un interesse sia teorico che pratico in quanto vieneutilizzato in vari problemi concreti come ad esempio in astronomia dove i corpicelesti possono essere assimilati a punti mobili.

1.2 Equazioni del moto di un puntoDiamo la seguente

Definizione 1. Un corpo schematizzabile con un punto dicesi punto materialee si indica col punto P ∈ E3 che lo rappresenta.

Il moto di tale punto, nello spazio-tempo (E3, t), definisce una funzione chead ogni tempo t in un intervallo di tempo I associa la posizione P (t) ∈ E3occupata dal punto materiale al tempo t, ovvero

P : t ∈ I → P (t) ∈ E3

che si scrive ancheP = P (t). (1.1)

Introdotto in E3 un riferimento ortonormale levogiro O, (ei), si dice vettoreposizione di P all’istante t, il seguente

~r(t) := P (t)−O (1.2)

dove

~r(t) :=

3∑i=1

xi(t)ei. (1.3)

In seguito adotteremo la convenzione di Einstein per ciò che riguarda la som-matoria, ovvero essa verrà sottintesa sugli indici ripetuti, a meno che non siaspecificato diversamente.

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Nella precedente equazione le xi rappresentano le coordinate di P e in par-ticolare le xi = xi(t), con i=1,2,3 , costituiscono le equazioni cartesiane finitedel moto del punto P in E3. L’equazione vettoriale finita del moto di P in E3 èinvece rappresentata, in modo equivalente, dalla (1.1) , (1.2) o (1.3).

Si chiama, inoltre, traiettoria di P la curva γ di E3, definita dalle equazioni delmoto, cioè dall’insieme delle posizioni occupate dal punto al variare del tempo.Supporremo tale curva biregolare, ovvero ipotizzeremo il moto continuo, senzadi urti e senza brusche variazioni di accelerazione.

La traiettoria da sola, però, non è sufficiente per stabilire dove si trova uncorpo ad un certo istante di tempo. E’ importante specificare anche qual’è lalegge oraria del moto. Quest’ultima è una relazione matematica che lega tra loroil tempo t e la posizione s sulla curva (l’ascissa curvilinea sulla traiettoria γ, cherappresenta la lunghezza, in senso algebrico, percorsa lungo la curva a partireda un punto di riferimento.) occupata dal corpo in quell’istante di tempo

s = s(t) , t ∈ I.

Si ottiene così la seguente

~r(t) = ~r′(s(t)). (1.4)

Velocità ed accelerazione. Si dice velocità vettoriale istantanea di P altempo t rispetto al riferimento R, il vettore

lim∆t→0

~r(t+ ∆t)− ~r(t)∆t

= lim∆t→0

P (t+ ∆t)− P (t)

∆t.

La velocità scalare istantanea è rappresentata invece da s(t).Considerando adesso la (1.4), si ottiene

~r(t) =d~r′

dss(t) = s(t)t, (1.5)

dove t rappresenta il versore tangente alla traiettoria nella posizione occupataall’istante di tempo t. Dalla precedente uguaglianza si può notare che la velocitàvettoriale ha come direzione quella della tangente alla traiettoria, per grandezzail valore assoluto della velocità scalare e per verso quello di t o quello opposto,a seconda del segno di s. In particolare se il segno di quest’ultima quantità èpositivo o negativo, il moto di P si dirà rispettivamente progressivo o retrogrado.Classifichiamo come istanti di arresto quelli in cui s è nulla; se invece è costantenell’intervallo I il moto si dice uniforme.

Si dice accelerazione di P in E3 al tempo t il vettore

~a = lim∆t→0

~v(t+ ∆t)− ~v(t)

∆t=d2~r(t)

dt2=d2P (t)

dt2,

che può anche scriversi~a = xi(t)ei.

Tenendo conto della (1.5) e delle formule di Frénet1 si ha

~a(t) = s(t)t+ sdt

dss = s(t)t+

s2

Rn, (1.6)

1v. Rionero

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dove R é il raggio di curvatura della traiettoria ed n il versore della normaleprincipale. Dalla precedente relazione si può notare che l’accelerazione è pu-ramente tangenziale quando R = ∞, ovvero nei moti rettilinei, mentre risultapuramente centripeta nei moti uniformi.

Infine:

• s prende il nome di accelerazione scalare,

• st si dice accelerazione tangenziale,

• |~v|2

R n rappresenta l’accelerazione centripeta.

Un moto si definisce accelerato o ritardato a seconda che il modulo dellavelocità sia crescente o decrescente. Mentre si dirà uniformemente vario se s ècostante in I.

1.3 Moti pianiIl moto di un punto materiale P si definisce piano se la sua traiettoria giace suun piano. Introduciamo per lo studio di tale moto, le coordinate polari (ρ, ϕ)di centro O e asse polare e1.

Se consideriamo le curve rispettivamente con ρ e ϕ costante, ovvero le curvecoordinate, possiamo notare che esse rappresentano rispettivamente le circonfe-renze con centro O e le semirette per l’origine. Il riferimento P, eρ, eϕ, con eρed eϕ tangenti in P alle curve coordinate per questo punto, si chiama riferimentonaturale associato alle coordinate polari e dipende dal punto P considerato.

I versori del sistema sono esprimibili in funzione di quelli cartesiani mediantele

eρ = cosϕe1 + sinϕe2 , eϕ = − sinϕe1 + cosϕe2. (1.7)

Il vettore posizione in coordinate polari si scrive

~r = ρeρ,

da cui otteniamo la velocità:

~r(t) = ρeρ + ρ ˙eρ = ρeρ + ρϕeϕ

essendo˙eρ =

deρdϕ

ϕ = (− sinϕe1 + cosϕe2)ϕ = ϕeϕ.

Gli scalarivρ = ~v · eρ = ρ

evϕ = ~v · eϕ = ρϕ

si dicono rispettivamente velocità radiale e trasversa.L’accelerazione, invece, è data da

~a = ~r(t) = ρeρ + ρϕeϕ + ρϕeϕ + ρϕeϕ + ρϕ ˙eϕ = (ρ− ρϕ2)eρ +1

ρ

d

dt(ρ2ϕ)eϕ,

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essendo˙eϕ =

deϕdϕ

ϕ = (− cosϕe1 − sinϕe2)ϕ = −ϕeρ.

Allora, l’accelerazione radiale e trasversa sono date, rispettivamente, da

aρ = ρ− ρϕ2

eaϕ =

1

ρ

d

dt(ρ2ϕ).

Infine ϕ è detta velocità angolare del punto P attorno ad O.Consideriamo adesso un intervallo di tempo [t, t + ∆t], il punto P in tale

intervallo spazza un’area A(t) compresa fra i valori

1

2ρ2(¯t )∆ϕ ≤ A(t) ≤ 1

2ρ2(t )∆ϕ,

supponendo che il moto avvenga in senso antiorariot rappresenta, nell’intervallo di tempo [t, t + ∆t],l’istante di tempo in cui P raggiunge la distanzamassima da O e invece ¯t l’istante in cui raggiungequella minima.

Dicesi velocità areale del punto P all’istante tquantità

A(t) =1

2ρ2(t)ϕ

quest’ultima si ottiene dividendo per ∆t ogni membro della precedentediseguaglianza e considerando il limite per ∆t→ 0.

Moto circolare. Il moto di un punto P si definisce circolare se la sua traiet-toria è rappresentata da una circonferenza C di centro O e raggio r.

Se supponiamo che il moto avvenga insenso antiorario e assumiamo come originedelle ascisse curvilinee l’intersezione A tra lacirconferenza e l’asse x1, otteniamo che

s(t) = rϕ(t).

Perciò la velocità diventa

~v = rϕ(t)t

mentre l’accelerazione

~a = rϕ(t)t+ rϕ2n. (1.8)

Il moto è periodico di periodo T = 2πω .

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Moto armonico. Sia il moto di P un moto circolare uniforme, ovvero s = 0,e quindi ϕ = 0, in tal caso dalla (1.8) otteniamo che

~a = −ω2~r,

conω := |ϕ| = ϕ,

l’ultima uguaglianza, ossia il valore positivo di ϕ, riguarda il caso in cui ilmoto avviene in senso antiorario. Dall’integrazione di quest’ultima equazione,otteniamo

ϕ = ωt+ ϕ0.

Il moto circolare uniforme è pertanto periodico, di periodo

T =2π

ω.

Ora, prende il nome di moto armonico il moto della proiezione di P lungol’asse x1 (o lungo un qualsiasi diametro di C). La legge oraria di questo motosarà quindi

x1 = r cos(ϕ) = r cos(ωt+ ϕ0)

con velocità e accelerazione pari a

x1 = −ωr sin(ωt+ ϕ0) , x1 = −ω2r cos(ωt+ ϕ0) = −ω2x1

dove la quantità r prende il nome di ampiezza del moto armonico, ϕ0 rappresentala fase di tale moto e ω si chiama pulsazione o frequenza angolare. Tale motoha accelerazione che soddisfa alla seguente equazione differenziale:

x(t) = −ω2x(t),

perciò ogni soluzione di questa equazione è un moto armonico. Anche il motoarmonico è un moto periodico con periodo pari a quello del moto circolareuniforme.

1.4 Moti compostiSupponiamo di avere n punti, P1, . . . , Pn , in moto rispetto ad un sistema diriferimento di origine O. Il moto di P si dice composto degli n moti di P1, . . . , Pnse accade che

~r(t) =

n∑i=1

~ri(t)

dove ogni ri rappresenta il vettore posizione del corrispettivo punto Pi coni = 1, . . . , n. I moti dei punti Pi si dicono moti componenti.

Consideriamo adesso 3 assi r1, r2, r3 non complanari e uscenti da un puntoA.

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Il moto di P si può sempre considerarecome composto di tre moti rettilinei su questiassi, in particolare composto dei tre moti deipunti

• P1, che si ottiene intersecando r1 colpiano che contiene P ed è parallelo adr2 e r3,

• P2, dato dall’intersezione fra r2 e ilpiano per P parallelo ad r1 e r3,

• P3, ottenuto intersecando r3 con ilpiano passante per P e parallelo ad r1 e r2.

In maniera analoga se si considerano un piano α ed una retta r non parallelaad α, il moto di un punto si può decomporre in un moto piano su α ed unorettilineo su r.

Moti elicoidali. Studiamo, adesso, un caso particolare di quanto precedente-mente esposto, ovvero consideriamo nello spazio E3 un piano α ed una retta r adesso ortogonale. Indichiamo con P1 un punto che si muove lungo la circonferenzadi α avente raggio R e come centro il punto di intersezione tra il piano e la rettar. Sia, invece, P2, un punto in moto lungo r. Scegliamo in E3 un riferimentoortonormale levogiro O, (ei) tale che il piano x3 = 0 sia sovrapposto ad α.

Consideriamo il moto di P come il moto composto dei moti dei punti P1 eP2, ovvero tale che risulti

P −O = (P1 −O) + (P2 −O).

Le equazioni finite del moto di P in coordinate cilindriche sonoρ = R,

ϕ = ϕ(t),

x3 = x3(t),

mentre in coordinate cartesianex1 = R cosϕ(t),

x2 = R sinϕ(t),

x3 = x3(t).

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Di conseguenza le componenti cartesiane della velocità sonox1 = −Rϕ(t) sinϕ(t),

x2 = Rϕ(t) cosϕ(t),

x3 = x3(t).

Il moto di P si dice elicoidale se la traiettoria è un’elica, ovvero se la traiettoriagiace sulla superficie di un cilindro circolare retto e se l’angolo tra la tangente inun punto della traiettoria e la generatrice del cilindro rimane costante al variaredel punto. A tal proposito possiamo dimostrare la seguente

Proprietà 1: Il moto di P è elicoidale se e solo se il rapporto tra ϕe x3 è costante nel tempo.

Dimostrazione. Abbiamo che le velocità di P1 e P2 sono date rispettivamenteda

~v1 = P1 , ~v2 = P2

mentre quella di P sarà~v = P .

Ma il moto di P è composto dei moti di P1 e P2, perciò risulta

~v = ~v1 + ~v2,

dove ~v1 è parallela ad α mentre ~v2 ad e3. Ora, l’angolo che la velocità forma conla generatrice (parallela ad e3) è uguale all’angolo che ~v forma con ~v2. Detto θtale angolo, si ha

|tan θ| = |~v1||~v2|

=

√(x1)2 + (x2)2

|x3|=R|ϕ||x3|

,

da cui segue la dimostrazione della proprietà.

Risulta, inoltre, vera anche la seguente

Proprietà 2: Il moto di P é elioidale uniforme se e solo se ciascunodei moti componenti è uniforme.

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1.5 Cambiamento di riferimentoSupponiamo di avere due sistemi di riferimento O e O′ in moto uno rispettoall’altro e siano rispettivamente (E3,t) e (E ′3, t′) gli spazi-tempo di questi dueosservatori. Ci poniamo adesso come problema, quello di determinare le relazionitra le misure delle quantità cinematiche fatte dai due osservatori. Per fare ciòoccorre, dapprima, trovare la connessione tra (P,t) (punto di E3 e istante deltempo di O) e (P ′, t′) (punto di E ′3 e istante del tempo di O′) che vengonoassociati ad uno stesso evento da parte dei due osservatori, ovvero determinarela seguente trasformazione invertibile

P = f1(P ′, t′),

t = f2(P ′, t′).

In particolare, per ciò che concerne la trasformazione della misura dei tempi,supponiamo che i due riferimenti siano muniti di orologi identici, ottenendo,così, in accordo con il postulato C1

t = at′ + b, a, b ∈ R,

se l’unità di misura e l’origine dei tempi scelti dai due osservatori non coincidono.Risulta invece

t = t′

se l’unità di misura e l’origine dei tempi vengono scelte uguali.Per completare la determinazione della trasformazione occorre introdurre un

ulteriore

Postulato C3: Ad ogni istante di tempo, la trasformazione f1 con-serva la distanza spaziale tra eventi, vale a dire è un’isometria traE ′3 ed E3 :

d(f1(A′, t′), f1(B′, t′)

)= d(A′, B′), ∀t′,∀A′, B′ ∈ E ′3.

Un risultato molto importante è rappresentato dal seguente

Teorema 1. Ad ogni istante, f1 è un’isometria tra E ′3 ed E3 se e solo se essa èdel tipo

f1(P ′) = f1(Ω′) + Q(P ′ − Ω′) (1.9)

con Ω′ punto arbitrario di E ′3 e dove Q : E′3 → E3 (E′3 ed E3 rappresenta-no gli spazi vettoriali associati ad E ′3 e E3) è una trasformazione ortogonaleindipendente da Ω′.

Dimostrazione: (Parte sufficiente). Siano A e B ∈ E3 i due punti corrispondentiad A′e B′. Dalla (1.9) si ottiene

d(A,B) = d(f1(Ω′) + Q(A′ − Ω′), f1(Ω′) + Q(B′ − Ω′)),

ma in uno spazio puntuale affine la distanza tra due punti coincide con il modulodel vettore ad essi corrispondente, perciò otteniamo

d(A,B) = |Q(B′ − Ω′)− Q(A′ − Ω′)| = |Q(B′ −A′)| = |B′ −A′| = d(A′, B′).

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(Parte necessaria). Sia f1 : E ′3 → E3 un’isometria. Fissato Ω′ ∈ E ′3, consideria-mo la seguente applicazione

Q : E′3 → E3,

definita come

Q(~v′) := f1(P ′)− f1(Ω′), con ~v′ ∈ E′3 e P ′ tale che P ′ − Ω′ = ~v′.

Tale applicazione conserva il modulo dei vettori, ovvero risulta

|Q(~v′)| = d(f1(P ′), f1(Ω′)) = d(P ′,Ω′) = |~v′|.

Di conseguenza anche il prodotto scalare viene conservato. Dati, infatti, duevettori ~u′ e ~w′ ∈ E′3 e ~v′ = ~u′ + ~w′, si ha

|~v′|2 = |~u′ + ~w′|2 = (~u′ + ~w′) · (~u′ + ~w′) = |~u′|2 + | ~w′|2 + 2~u′ · ~w′

da cui otteniamo la formula di Carnot

2~u′ · ~w′ = |~v′|2 − |~u′|2 − | ~w′|2.

Sia adesso e′i una base ortonormale di E′3, allora(Q(e′i)

)è una base ortonormale

di E3. Se ~v = Q(~v′), le componenti di ~v in(Q(e′i)

)saranno

vi = ~v · Q(e′i) = Q(~v′) · Q(e′i) = ~v′ · e′i,

per cui~v = viQ(e′i) = ~v′ · e′iQ(e′i).

D’altra parte si ha anche

~v = Q(~v′) = Q(~v′ · e′ie′i).

Confrontando queste due ultime relazioni otteniamo la linearità di Q, che rap-presenta quindi una trasformazione ortogonale.

Dimostriamo adesso l’indipendenza di Q da Ω′ ∈ E ′3. A tal fine, scegliendo

~v′ = P ′ − Ω′ = P ′1 − Ω′1

otteniamo la seguente catena di relazioni

Q1(~v′) = f1(P ′1)− f1(Ω′1)

= f1(Ω′) + Q(P ′1 − Ω′)− f1(Ω′)− Q(Ω′1 − Ω′)

= Q(P ′1 − Ω′1)

= Q(~v′)

che vale ∀~v′, perciò Q risulta indipendente da Ω′.

Il teorema appena visto ci permette di trovare la relazione tra le coordinatedi P ′ in

Ω′, (e′i)

, riferimento di E ′3, e le coordinate del punto corrispondente

P = f1(P ′) inO, (ei)

di E3.

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Sia, adesso,(Qij)la matrice che rappresenta Q : E′3 → E3 nelle basi scelte

(e′i) e (ei), per la (1.9) si ha

f1(P ′) = f1(Ω′) + Q(P ′ − Ω′),

da cui (f1(P ′)−O

)=(f1(Ω′)−O

)+ Q(P ′ − Ω′),

e quindixiei = xΩi ei + Qx′j e

′j = xΩi ei + x′jQij ei.

Da qui deriva la seguentexi = xΩi +Qijx

′j

dove Qij e xΩi possono dipendere dal tempo, infatti fino ad ora abbiamoconsiderato un istante di tempo fissato.

1.6 Moto di un corpo rigidoIn precedenza abbiamo visto che un corpo rigido S è un particolare sistemamateriale in cui le distanze, tra due qualunque dei suoi punti, non variano neltempo. Vediamo adesso come poter descrivere il moto di un tale corpo rispettoad un riferimento R, utilizzando i risultati ottenuti nel paragrafo precedente.Per far ciò scegliamo, vista la rigidità di S, un riferimento R′ solidale a S,allora i punti di S avranno coordinate costanti in una terna

Ω′, (e′i)

di R′. Le

equazioni del moto di tali punti in R sono date da

xi = xΩi(t) +Qijx′j , (1.10)

e saranno perciò individuate assegnando le funzioni xΩi(t) e Qij(t), che rappre-sentano rispettivamente la posizione in

O, (ei)

dell’origine Ω′ e l’orientazione

della terna solidale (e′i) rispetto alla terna (ei).Sappiamo che

(Qij)è una matrice ortogonale, soddisfacente quindi le 6

condizioniQihQjh = δij ,

perciò i suoi elementi indipendenti saranno solamente 3, ovvero in definitiva ba-sterà assegnare 6 funzioni scalari di t per individuare il moto di S. Naturalmente,varia la modalità di scelta dei parametri utili ad individuare la configurazionedi un corpo che non sia sottoposto ad altri vincoli, oltre a quello di rigidità.

Diamo, adesso, la seguente definizione

Definizione 2. Il numero di gradi di libertà di un sistema materiale è il numerodi variabili indipendenti necessarie a determinare la sua configurazione.

In particolare risultano vere le seguenti

Proprietà: Un punto materiale libero ha 3 gradi di libertà.

Proprietà: Un corpo rigido libero ha 6 gradi di libertà.

Più generale, se la distanza tra due qualsiasi punti di un sistema materialerimane costante in un intervallo di tempo I, allora il moto di tale sistema si diràrigido in tale intervallo.

13

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1.7 Atto di moto rigido e formula fondamentaledella cinematica di un corpo rigido

Definizione 3. Si chiama atto di moto rigido all’istante t, rispetto all’osserva-tore O, il campo di velocità dei punti di S a quell’istante.

Consideriamo la (1.10) dove le x′j risultano essere costanti, se deriviamorispetto al tempo otteniamo

xi = xΩi + Qij(t)x′j , (1.11)

da quest’ultima ricaviamo

xi = xΩi +Wil(xl − xΩl), con Wil = Qij(QT)jl,

ottenuta sostituendo la seguente, che è l’inversa della (1.10), nella (1.11)

x′j =(QT)jl

(xl − xΩl).

La(Wil

)gode di alcune proprietà:

•(Wih

)è antisimmetrica.

Dimostrazione. Dalla condizione di ortogonalità sappiamo che

Qij(QT)jh

= δih,

derivando quest’ultima rispetto al tempo otteniamo

Qij(QT)jh

+Qij(QT)jh

= 0,

ovveroWih +

(WT

)ih

= 0.

Supponiamo adesso che Q sia un’applicazione ortogonale propria, cioèsupponiamo che anche il riferimento

Ω, (e′i)

sia levogiro in modo che

risulti det(Qij) = 1, allora

• a(Wih

)si può associare uno ed un solo vettore ~w per cui risulti

W~u = ~w ∧ ~u, ∀~u ∈ E3,(W := ˙QQT : E3 → E3

).

Dimostrazione. Scriviamo la relazione da dimostrare nella base (ei), ov-vero 0 W12 W13

−W21 0 W23

−W31 −W32 0

u1

u2

u3

=

w2u3 − w3u2

w3u1 − w1u3

w1u2 − w2u1

,

da cui ricaviamo le seguenti equazioni(W12 + w3

)u2 +

(W13 − w2

)u3 = 0,

14

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(W12 + w3

)u1 −

(W23 + w1

)u3 = 0,(

W13 − w2

)u1 +

(W23 + w1

)u2 = 0,

le quali risultano essere soddisfatte ∀u1, u2, u3 se e solo se

w1 = −W23,

w2 = W13,

w3 = −W12.

Il vettore ~w così definito si chiama velocità angolare.

Per l’atto di moto, che risulta definito assegnando ~vΩ e ~w, si può quindi scrivere

~vp = ~vΩ(t) + ~w(t) ∧ (P − Ω) (1.12)

che rappresenta la formula fondamentale della cinematica di un moto rigido.Tale formula caratterizza i moti rigidi, infatti se la (1.12) vale, si ha

d

dt|P1−P2|2 = 2(~vP1−~vP2)·(P1−P2) = 2

[~w∧(P1−P2)

]·(P1−P2) = 0, ∀P1, P2 ∈ S,

ovvero la distanza fra due qualsiasi punti del corpo rimane costante nel tempoe perciò il suo moto è rigido.

Il campo di accelerazione si ricava, invece, derivando rispetto a t la (1.12)

~ap = ~aΩ + ~w∧ (P −Ω) + ~w∧ (~vP −~vΩ) = ~aΩ + ~w∧ (P −Ω) + ~w∧[~w∧ (P −Ω)

].

1.8 Moto traslatorioIn particolare il moto di un corpo S rispetto al riferimento

(O, (ei)

)si dirà

traslatorio se, ad ogni istante, tutti i punti di S hanno la stessa velocità

~vP = ~τ(t), ∀P ∈ S.

Valgono le due seguenti proprietà:

1. considerando la formula fondamentale, segue immediatamente che un mo-to è traslatorio se e solo se ~w(t) = 0, ∀t;

2. un moto è traslatorio se e solo se Qij non dipende dal tempo, ovvero sel’orientazione degli assi (e′i) rispetto agli assi (ei) è costante. Infatti risulta

Qij(QT)jh

= 0 ∀i, h ⇐⇒(Qij)

= 0.

Inoltre risulta ∀P,Q ∈ S, P (t) = Q(t) ↔ P (t) = Q(t) + (P (t0) − Q(t0)),da cui si deduce che in un moto rigido le traiettorie di tutti i punti di S sonocongruenti ovvero esse risultano sovrapponibili e percorse con la medesima legge,vale il viceversa.

La velocità comune dei punti di S, solitamente indicata con ~τ(t), è dettavelocità di traslazione.

Si parlerà di moto traslatorio uniforme nel caso in cui ~τ si mantiene costante.In particolare un moto è traslatorio uniforme se e solo se ogni punto di S si muovedi moto rettilineo uniforme.

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1.9 Moti relativiIn questo paragrafo studieremo le relazioni tra i caratteri cinematici del motodi un punto, valutati in diversi riferimenti.

Consideriamo, in particolare, due sistemi di riferimento R ed R′, dove assu-meremo il secondo mobile rispetto al primo.Il primo sistema prende il nome disistema di riferimento fisso o assoluto mentre il secondo prende il nome di siste-ma di riferimento mobile o relativo. Consideriamo inoltre un punto materiale Xil cui moto si dirà assoluto rispetto ad R e relativo rispetto ad R′. Indicheremocome moto di trascinamento (al quale P non partecipa) il moto di R′ rispettoad R.

Se le equazioni cartesiane finite del moto relativo sono rappresentate da

x′j = x′j(t)

le equazioni del moto assoluto in base alle leggi di trasformazione trovate nelparagrafo 1.5 di pagina 11, saranno

xi(t) = xΩi(t) +Qij(t)x′j(t). (1.13)

Denotiamo con

• ~v′r e ~vr la velocità relativa di X considerata come un vettore di E′3 e E3

rispettivamente. Analogo è il significato di ~a′r e ~ar,

• ~v e ~a la velocità e l’accelerazione assolute considerate come vettori di E3.

Le componenti di ~v′r sono (x′j), quelle di ~vr sono (Qij x′j) mentre le (xi)rappresentano le componenti di ~v.

Derivando membro a membro la (1.13), si trova

xi = xΩi + Qij(QT)jk

(xk − xΩk

)︸ ︷︷ ︸x′j

+Qij x′j(∗)

Dalla formula fondamentale della cinematica del moto rigido sappiamo chele

xΩi +Wik

(xk − xΩk

)rappresentano le componenti in R della velocità di quel punto dello spazio so-lidale ad R′ a cui è sovrapposto X nell’istante di tempo t. Tale velocità, cheindicheremo con ~vτ , è detta velocità di trascinamento di X. Perciò l’equazione(∗)in notazione vettoriale si può scrivere nel modo seguente e prende il nome

di principio dei moti relativi

~v = ~vτ + ~vr,

con~vτ = ~vΩ + ~wτ ∧

(P − Ω

),

dove P è il punto a cui è sovrapposto X in E3 all’istante t, e ~wτ rappresenta lavelocità angolare di R′ rispetto ad R. Riscriviamo in altra forma la relazionedel principio dei moti relativi

xiei = xΩi ei + ~wτ ∧(xi − xΩi

)ei +Qij x′j ei,

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derivandola rispetto al tempo t, otteniamo

xiei = xΩi ei+ ~wτ∧(xi−xΩi

)ei+ ~wτ∧

(xi− ˙xΩi

)ei+Qij

δjm︷ ︸︸ ︷(QT)jlQlm ˙x′mei+Qij x

′j ei

che possiamo riscrivere nel seguente modo

~a = ~aΩ + ~wτ ∧(P − Ω

)+ ~wτ ∧

[~vr + ~vτ − ~vΩ

]+ ~wτ ∧ ~vr + ~ar

= ~aΩ + ~wτ ∧(P − Ω

)+ ~wτ ∧

[~wτ ∧

(P − Ω)

]︸ ︷︷ ︸~aτ

+2~wτ ∧ ~vr + ~ar.

dove il termine indicato con ~aτ rappresenta l’accelerazione di trascinamento,ovvero l’accelerazione in R di quel punto dello spazio solidale ad R′ a cui X èsovrapposto nell’istante t. La quantità 2~wτ ∧~vr è detta accelerazione di Corioliso complementare ed è indicata con ~ac.

Pertanto in definitiva abbiamo

~a = ~ar + ~aτ + ~ac. (1.14)

Riguardo ai riferimenti in moto relativo, vale il seguente

Teorema 2. In ogni moto del punto X risulta

~a = 0 ⇔ ~ar = 0

se e solo se il moto di trascinamento è traslatorio uniforme.

Dimostrazione. • Parte sufficiente: Se il moto di trascinamento è traslatoriouniforme allora ~wτ = 0,~aτ = 0 e ~ac = 2~wτ ∧ ~vr = 0 ⇒ ~a = ~ar ⇒~a = 0 ⇔ ~ar = 0.

• Parte necessaria: Supponiamo ~a = 0⇔ ~ar = 0. Sappiamo che quando Xè in moto rettilineo uniforme (arbitrario) in R lo è anche in R′ e viceversa,quindi deve essere

~ac + ~aτ = 2~wτ ∧ ~vr + ~aτ = 0.

Ma questo deve valere anche quando ~vr ≡ 0 (è un particolare moto rettili-neo uniforme), quindi ~aτ = 0.Da qui segue ~wτ∧~vr = 0, ∀~vr costante⇒~wτ = 0 da cui la tesi.

1.10 Derivata assoluta e relativa di un vettoreDato un vettore ~u(t), ci proponiamo di trovare il legame tra le derivate rispettoai riferimenti R e R′ di tale vettore. Tali derivate sono indicate con

da~u

dte

dr~u

dt

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e dette derivata assoluta e relativa di ~u. Sia ~u(t) = B(t) − A(t),∀t ∈ I conA(t), B(t) ∈ E3. Per il principio dei moti relativi abbiamo

da~u

dt= ~vB − ~vA

= ~vrB − ~vrA + ~vτB − ~vτA

=dr~u

dt+ ~wτ ∧ (B −A)

=dr~u

dt+ ~wτ ∧ ~u.

(1.15)

In particolare se ~u = ~wτda ~wτdt

=dr ~wτdt

.

Inoltre, se ~u è costante in R′

da~u

dt= ~wτ ∧ ~u.

1.11 Moti composti per corpi rigidiSia S un corpo esteso, in moto rigido rispetto a R′ e R.

Per l’equazione (1.12) abbiamo che per ogni punto P appartenente o solidalead S vale la seguente

~vPr = ~vQr + ~wr ∧ (P −Q)

dove Q rappresenta il polo scelto, appartenente o solidale ad S, ~wr la velocitàangolare di S rispetto a R′. Dal principio dei moti relativi abbiamo che levelocità assolute di P e Q risultano essere

~vP = ~vPr + ~vPτ ,

~vQ = ~vQr + ~vQτ ,

se sottraiamo membro a membro, otteniamo

~vP = ~vQ +(~vPr − ~vQr

)+(~vPτ − ~vQτ

)= ~vQ +

(~wr + ~wτ

)∧ (P −Q),

dalla quale si trae la seguente

Proprietà: Il moto di S rispetto a R, composto del moto rigido diS rispetto a R′ e del moto di R′ rispetto a R, ha ~w = ~wr + ~wτ .

Tale proprietà continua a valere anche quando si hanno n riferimentiR,R′,R′′,. . . ,R(n−1).In particolare, si considererà il moto di S rispetto ad R come composto dei motidi S rispetto a R(n−1), di R(n−1) rispetto ad R(n−2), . . . , e di R′ rispetto adR.

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Capitolo 2

Dinamica dei sistemi di puntimateriali

La Meccanica si spinge oltre la Cinematica occupandosi anche della Dinamica,ossia del problema della determinazione del moto dei corpi naturali in relazionealle cause che lo determinano e di quello inverso. Ciò significa che la Dinamica hacome oggetto sia la deduzione del moto dei corpi, note le cause, sia la deduzionedelle cause, assegnato il moto. La Dinamica include perciò la Statica che studiale condizioni di equilibrio di un corpo materiale, ovvero le condizioni necessariee/o sufficienti affinché un corpo, inizialmente in quiete, resti in quiete sottol’azione di assegnate azioni esterne.

2.1 Primo principio della DinamicaInizialmente nel nostro studio andremo a considerare il modello più semplice dicorpo naturale, ovvero il punto materiale.

L’ipotesi fondamentale della dinamica è che le azioni che si esercitano suun corpo S siano dovute alla presenza di altri corpi e che tali azioni risultinotanto più deboli quanto maggiore sarà la distanza di questi corpi da S. E’ notosperimentalmente che il legame tra il moto di un corpo e le cause che lo deter-minano (le azioni degli altri corpi) risulta più semplice se considerato in unaparticolare classe di sistemi di riferimento spazio-temporali. Si identifica taleclasse con quei riferimenti in cui il moto di un punto materiale isolato risultiil più semplice possibile, ovvero si studia il moto di un corpo posto a distanzamolto grande da altri corpi dell’universo in modo da poter trascurare eventualiazioni su di esso. Quanto detto viene formalizzato nel seguente

Postulato D1 (Principio di inerzia). Esiste almeno un sistema diriferimento spazio-temporale nel quale ogni punto materiale isolatoo è in quiete o si muove di moto rettilineo uniforme. Questo sistemaè detto inerziale ed indicato con I.

Vediamo adesso come poter individuare un riferimento inerziale.Per prima cosa si fissa lo spazio E3 di I in modo che in esso il moto di ogni

punto (libero) isolato risulti rettilineo. Si considera la retta che un prefissatopunto isolato X percorre e si munisce lo spazio E3 di orologi sincronizzati in modo

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che per tratti di uguale lunghezza percorsi da X sulla retta, gli intervalli di tempomisurati da tali orologi risultino uguali tra loro. Il tempo così definito vienedetto inerziale o dinamico ed esso è individuato a meno di una trasformazioneaffine ovvero a meno di una trasformazione del tipo t′ = at + b, che cambial’origine e l’unità di misura del tempo. Scegliendo in tal modo il tempo, ilprincipio d’inerzia garantisce che il moto di ogni altro punto isolato risulta essereanch’esso uniforme. Ammessa la validità del principio d’inerzia, dal teorema 2del paragrafo 9 del capitolo precedente discende immediatamente il seguente

Teorema 3. Se I è un riferimento inerziale, sono inerziali tutti e soli i riferi-menti in moto traslatorio uniforme rispetto ad I.

Con un’accettabile approssimazione è considerato inerziale il sistema di ri-ferimento avente origine nel centro del sole ed assi puntati verso le stelle fisse1.

Per quanto riguarda il tempo abbiamo che, se consideriamo il tempo definitofrazionando la durata della rotazione propria della terra, esso risulta con buonaapprossimazione inerziale mentre un’approssimazione migliore la otteniamo seconsideriamo il tempo definito frazionando il periodo di rivoluzione della terraintorno al sole.

2.2 Legge di forza in un sistema isolato di puntimateriali

Sia S = (X1, X2, . . . , Xn) un sistema isolato di n punti materiali. L’interazionetra un generico punto XA ed i restanti punti è governata dal seguente

Postulato D2. Sia I un sistema inerziale. L’azione dinamica espli-cata su un punto XA ∈ S da parte di un altro punto XB ∈ S (B 6=A) è espressa da un vettore applicato (XA, ~F (XA, XB)), che è det-to forza che XB esercita su XA. Questo vettore non dipende dallapresenza degli altri punti materiali appartenenti a S e

~F (XA, XB) = ~fAB(~rA, ~rB , ~vA, ~vB)2

con ~rA, ~rB , ~vA, ~vB vettori posizione e velocità di A e B nel riferimentoI. Inoltre se S1 ed S2 sono due sottoinsiemi disgiunti di S, l’azionecomplessiva che i punti di S2 esercitano su quelli si S1 è data da

~F (S1, S2) =∑

(XA,XB)∈S1×S2

~F (XA, XB),

che è detta regola del parallelogramma.

Infine i due vettori applicati ~F (XA, XB) e ~F (XB , XA) soddisfano ilprincipio di azione e reazione, ovvero

~F (XA, XB) = −~F (XB , XA).

1Le stelle fisse sono stelle così lontane che le loro posizioni relative appaiono invariabili.2 ~fAB si chiama legge di forza. I parametri che compaiono nella legge non sono altro che le

grandezze rappresentanti le proprietà fisiche dei punti A e B.

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Introduciamo adesso qualche concetto preliminare, utile per poter precisareil comportamento delle forze e della leggi di forza nel passaggio dal riferimentoI ad un altro riferimento R che sia inerziale o meno.

In particolare, andremo a considerare una grandezza scalare s e una gran-dezza vettoriale ~w. Esse si diranno oggettive se, per le loro determinazioni indue riferimenti generici R ed R′, si ha

sR = sR′ , ~wR = ~wR′ ,

con ovvio significato dei simboli. Scriviamo la seconda relazione in componenti

wi = Qijw′j

dove i pedici R ed R′ sono stati omessi per semplicità di scrittura.Consideriamo adesso i vettori posizione di due punti materiali A e B nei

riferimenti R ed R′ rispettivamente, ovvero ~rA, ~rB e ~r′A, ~r′B . Riguardo ad essiosserviamo che

~rA · ~rA = ~r′A · ~r′Aè uno scalare oggettivo, così come ~rB · ~rB , mentre non lo è (~rA)i.

Si può notare come ~rA non rappresenta un vettore oggettivo, in quanto

(~rA)i = (~rΩ)i +Qij(~r′A)j ,

con Ω origine di R′; è facile invece verificare che ~rA − ~rB lo è.Adesso sia s/~w una grandezza scalare/vettoriale oggettiva, funzione delle

grandezze scalari oggettive s1, s2, . . . , sm e vettoriali oggettive ~w1, ~w2, . . . , ~wn:

s = h(s1, s2, . . . , sm, ~w1, ~w2, . . . , ~wn)/~w = ~f(s1, s2, . . . , sm, ~w1, ~w2, . . . , ~wn).

Se nel passaggio da R ad R′, riferimenti arbitrari, la funzione h/~w noncambia, essa si dirà oggettiva ovvero dovrà risultare

s = h(s1, s2, . . . , sm, ~w1, ~w2, . . . , ~wn) = h(s′1, s′2, . . . , s

′m, ~w

′1, ~w

′2, . . . , ~w

′n) = s′/

~w = ~f(s1, s2, . . . , sm, ~w1, ~w2, . . . , ~wn) = ~f(s′1, s′2, . . . , s

′m, ~w

′1, ~w

′2, . . . , ~w

′n) = ~w′.

Detto ciò, per ciò che riguarda la forza e la legge di forza, si assume ilseguente

Postulato D3: La forza che si esplica tra due sottoinsiemi disgiun-ti S1 e S2 di un insieme isolato S di punti materiali è un vettoreoggettivo nel passaggio da un riferimento inerziale ad un altro R′(inerziale o meno). Inoltre è oggettiva anche la legge di forza.

Il seguente teorema espone le precise restrizioni sulla legge di forza, le qualiseguono dal postulato appena visto.

Teorema 4. La legge di forza ~fAB soddisfa il postulato D3 se e solo se

~fAB(~a,~b, ~a,~b) = φAB(|~r|, ~u · k)k, (2.1)

dove φAB è una funzione scalare oggettiva e per semplicità di notazione

~a ≡ ~rA, ~b ≡ ~rB , ~r ≡ ~a−~b, ~u ≡ ~a− ~b e k :=~r

|~r|.

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Dimostrazione. • Parte sufficiente: Supponiamo valga la (2.1) ovvero

~fAB(~a,~b, ~a,~b) = φAB(|~r|, ~u · k)k.

Rivolgiamo la nostra attenzione al termine

~u·k = rkrk|~r|

=[Qkm(~v′

A

r −~v′B

r )m+Qklr′l

]Qknr′n|~r′|

= (~v′A

r −~v′B

r )nr′n

|~r′|= ~u′r·k′,

osserviamo infatti che

(Q)TnkQkl︸ ︷︷ ︸antisimmetrica

r′lr′n︸︷︷︸

simmetrica

= 0,

questo mostra che ~u · k è uno scalare oggettivo. Inoltre, abbiamo che la(2.1) diventa

~fAB(~a,~b, ~a,~b) = φAB(|~r|, ~u·k)k = φAB(|~r′|, ~u′r·k′)Qk′ = Q(φAB(|~r′|, ~u′r·k′)k′),

ovvero la legge di forza è oggettiva.

• Parte necessaria: In tal caso supponiamo invece che la legge di forza siaoggettiva, ovvero

QTik(~fAB)k(am, bm, am, bm) = (~fAB)i(a′m, b

′m, (v

′rA

)m, (v′rB

)m), ∀Qik ortogonale.

Da qui3

QTik(~fAB)k(am, bm, am, bm) = (~fAB)i(QTml(al−xΩl), Q

Tml(bl−xΩl), Q

Tml(al−xΩl)

+ QTml(al − xΩl), QTml(bl − xΩl) + QTml(bl − xΩl)). (2.2)

Adesso scegliamo R′ in modo che i suoi assi, all’istante t, siano paralleli aquelli di I, la sua origine stia nella posizione occupata da B, la sua velocitàangolare istantanea sia nulla e quella di traslazione sia uguale a quella delpunto B, ovvero

QThk(t) = δhk, QThk = 0, xΩk(t) = bk(t), xΩk(t) = bk(t).

All’istante t la (1.2) diventerà

(~fAB)i(am, bm, am, bm) = (~fAB)i(rm, 0, rm, 0),

3Ricordiamo e facciamo notare che

xi = Qijx′j + xΩi → x′j = QT

jl(xl − xΩl ).

Derivando la prima, otteniamo

xi = Qij x′j + Qijx′j + xΩi

la cui inversa è

x′j = QTji(xi − xΩi )−Q

TjiQikQ

Tkl(xl − xΩl )

= QTji(xi − xΩi ) + QT

jlQlmQTmn(xn − xΩn )

= QTji(xi − xΩi ) + QT

jl(xl − xΩl ).

22

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ovvero ~fAB deve dipendere dai suoi argomenti attraverso ~r = ~a − ~b e~r = ~a− ~b.Dall’oggettività di ~fAB abbiamo quindi

QTik(~fAB)k(rm, rm) = (~fAB)i(r′m, (~v′

A

r − ~v′B

r )m) =

= (~fAB)i(QTmjrj , Q

Tmj rj + QTmjrj).

Quest’ultima relazione deve valere, in particolare, quando il moto di R′ ètale che all’istante t QTkm = δkm e QTkm è una generica matrice antisim-metrica. Indichiamo con ~w lo pseudo-vettore corrispondente alla matriceantisimmetrica QTkm allora QTkmrm = (~w ∧~r)m. Decomponiamo, inoltre, ~rrispetto a k e rispetto al piano ortogonale ad esso

~r = ~r⊥ + (~r · k)k,

allora la penultima relazione scritta diventa

(~fAB)i(rm, rm) = (~fAB)i(rm, (r⊥)m + (~r · k)km + (~w ∧ ~r)m), ∀~w.

Ma (~w∧~r), essendo ortogonale ad ~r, influisce solo su ~r⊥. Allora la legge diforza potrà dipendere solo dalla componente di ~u lungo k, ovvero risulta

= ~fAB ~fAB(|~r|, k, ~u · k).

Avendo mostrato prima che ~u · k è uno scalare oggettivo, la dimostrazioneè completa.

2.3 Legge del moto di NewtonCerchiamo adesso di individuare il legame esistente tra il moto di un sistema dipunti e le cause che lo determinano. Tale connessione è espressa dal seguente

Postulato D4: Sia S un sistema isolato di n punti materiali in motoin un riferimento inerziale I. Ad ogni punto XA, A = 1, . . . , n, si puòassociare una costante positiva mA, detta massa inerziale di XA, chedipende solo dalla costituzione materiale del punto in questione edè uno scalare oggettivo tale che

mA~rA = ~F (XA, XcA), A = 1, . . . , n. (2.3)

dove, XcA è l’insieme complementare di XA rispetto ad S.

Notiamo che nel caso in cui S fosse costituito da due soli punti X1 e X2,risulterebbe

m1~a1 +m2~a2 = 0,

tale risultato lo otteniamo considerando le (2.3) e il principio di azione e reazione.Da quest’ultima equazione si deduce la veridicità del seguente

23

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Teorema 5. Due punti materiali in moto in un riferimento inerziale I, l’u-no alla sola presenza dell’altro, hanno accelerazioni aventi la stessa direzionee verso opposto, inoltre il rapporto dei moduli delle accelerazioni coincide colreciproco del rapporto delle loro masse:

|~a1||~a2|

=m2

m1.

Se attribuiamo massa unitaria ad un punto X arbitrario, in base al teorema5 è possibile misurare la massa inerziale di un qualsiasi punto materiale. Inparticolare se un punto X∗ si muove in I alla presenza di X, si ha

m∗ =|~a||~a∗|

con ovvio significato dei simboli.

2.4 Determinazione del moto di un sistema dipunti materiali

Consideriamo un sistema isolato S di n punti materiali che si trovano in motorispetto ad un riferimento I inerziale. Tenendo presente il postulato D2, scrivia-mo la (2.3) per ogni punto di S, ottenendo così il seguente sistema di n equazionidifferenziali vettoriali del secondo ordine nelle n funzioni incognite ~r1, . . . , ~rn:

m1~r1 = ~R1(~r1, . . . , ~rn, ~r1, . . . , ~rn),

. . . . . .

mn~rn = ~Rn(~r1, . . . , ~rn, ~r1, . . . , ~rn),

(2.4)

dove le funzioni incognite rappresentano, naturalmente, i vettori posizione deipunti materiali nel sistema spaziale scelto. Abbiamo indicato con ~RA, A =1, . . . , n, il risultante delle forze agenti sul punto A e dovute alla presenza deipunti XB con B 6= A. Tale risultante è dato da

~RA =∑B 6=A

~fAB(~rA, ~rB , ~rA, ~rB).

Il sistema (2.4) è detto in forma normale in quanto esplicitato rispetto allederivate di ordine massimo (nel nostro caso le derivate seconde). Dalla teoria deisistemi di equazioni differenziali sappiamo che se le funzioni al secondo membro(ovvero le forze) risultano essere sufficientemente regolari, allora il sistema (2.4)ammette una e una sola soluzione soddisfacente le 2n condizioni iniziali vettoriali

~r1(t0) = ~r01, . . . , ~rn(t0) = ~r0n, ~r1(t0) = ~v01, . . . , ~rn(t0) = ~v0n,

con ~r01, . . . , ~r0n, ~v01, . . . , ~v0n vettori assegnati e t0 istante iniziale.Risulta così provato il seguente teorema

Teorema 6. (Determinismo meccanico) Un sistema isolato di n punti materialipuò compiere ∞6n moti distinti ognuno dei quali risulta perfettamente determi-nato se si conoscono le posizioni e le velocità iniziali e le leggi di forza tra ipunti.

24

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2.5 Principio di relatività (di Galilei)Consideriamo due sistemi di riferimento inerziali I ed I ′. Poichè nel passare daI a I ′, l’accelerazione di un qualsiasi punto materiale rispetto a tali riferimentiè la stessa (ovvero ~aτ = ~ac = 0) ed inoltre la legge di forza e la massa risultanoessere oggettive (ciò deriva rispettivamente dai postulati D3 e D4), abbiamo chele leggi di moto in I ′ si scrivono come segue

mA~r′A = ~RA(~r′1, . . . , ~r′n,

~r′1, . . . ,~r′n), A = 1, . . . , n.

A parità di condizioni iniziali, le soluzioni delle equazioni del moto in I e I ′saranno le stesse. Quanto detto dimostra il seguente

Teorema 7. (Principio di relatività) Le leggi della Dinamica hanno la stessaforma (si dice che sono invarianti in forma o covarianti) in tutti i riferimentiinerziali.

2.6 Moto di un sistema di punti in un ambienteesterno

Sia I uno spazio inerziale nel quale un sistema isolato S = (Z1, . . . , Zn), chesupponiamo decomponibile in due sottosistemi disgiunti X = (X1, . . . , Xn1)e Y = (Y1, . . . , Yn2

), si trova in moto. Indichiamo con mA ed MB le masserispettivamente di XA ed YB , con A = 1, . . . , n1 e B = 1, . . . , n2, e siano questemasse tali che

n1∑A=1

mA << MB , ∀B = 1, . . . , n2.

Dalla legge del parallelogramma delle forze e dalla legge del moto di Newton4

segue

~a(ZA, (S\ZA)

)=∑B 6=A

~a(ZA, ZB), (legge del parallelogramma delle accelerazioni)

dove abbiamo indicato con ~a(ZA, ZB) l’accelerazione di ZA quando tale puntosi muove alla sola presenza di ZB e con ~a

(ZA, (S \ ZA)

)l’accelerazione di ZA

quando esso si muove alla presenza di tutti gli altri punti di S. Allora

MB~a(ZB , XA) = ~F (ZB , XA) = −~F (XA, ZB) = −mA~a(XA, ZB),

da cui~a(ZB , XA) = −mA

MB~a(XA, ZB) ' 0,

infatti notiamo che il rapporto

mA

MB<< 1.

4mA~a(ZA, (S \ ZA)

)=∑

B 6=A~F (ZA, ZB) =

∑B 6=A mA~a(ZA, ZB) con

mA =

mA, se ZA ∈ XMA, se ZA ∈ Y.

25

Page 26: 1 Cinematicadeisistemidipuntimateriali 3 1.1 Riferimentispazio-temporalidellacinematicaclassica. . . . . . .3 1.2 Equazionidelmotodiunpunto . …

Tale risultato mostra che, nelle ipotesi fatte, l’influenza dinamica dovuta aipunti di X può essere trascurata quando andiamo a studiare il moto del si-stema Y. Quest’ultimo viene detto ambiente esterno ad X ed il suo moto sipuò determinare considerandolo (in prima approssimazione) come un sistemaisolato.

Se indichiamo con

~rA = vettore posizione di XA, A = 1, . . . , n1,

~yB = vettore posizione di YB , B = 1, . . . , n2,

~R(i)A = risultante delle forze interne ovvero delle forze esercitate su XA

dagli altri punti di X,~R

(e)A = risultante delle forze esterne esercitate su XA e dovute ai punti di Y,

allora le equazioni del moto dei punti di X si potranno scrivere come segue

mA~rA = ~R(e)A (~rA, ~rA, ~y1(t), . . . , ~yn2(t), ~y1(t), . . . , ~yn2(t))+

+ ~R(i)A (~r1, . . . , ~rn1

, ~r1, . . . , ~rn1), A = 1, . . . , n1.

Ma, in realtà, una volta determinato il moto dei punti di Y, sia le posizioniche le velocità di tali punti risultano funzioni assegnate del tempo. Quindirisulta

~R(e)A = ~R

(e)A (~rA, ~rA, t),

in generale tale funzione non è una funzione oggettiva di ~rA e ~rA.Infine, se supponiamo che X sia costituito da un solo punto materiale, otte-

niamo quella che è l’equazione fondamentale della Dinamica del punto materiale

m~r = ~R(e)(~r, ~r, t).

2.7 Equazioni cardinali della DinamicaAl fine di ricavare le due equazioni cardinali della Dinamica, introduciamoqualche concetto preliminare.

Sia ~w un vettore qualsiasi applicato in un generico punto P, si definiscemomento di ~w rispetto al polo O (punto arbitrario e che può essere fisso omobile rispetto al riferimento scelto) la quantità

~MO = (P − O) ∧ ~w.

Consideriamo, adesso, un sistema di punti materiali X in moto rispetto ad unriferimento inerziale I, in presenza di un ambiente Y di cui supponiamo conoscereil moto. Dal principio di azione-reazione sappiamo che

~F (XA, XB) = −~F (XB , XA), A 6= B,

e tali forze sono inoltre parallele a (XA −XB), ovvero risulta

(XA −XB) ∧ ~F (XA, XB) = (XA −XB) ∧ ~F (XB , XA) = 0.

26

Page 27: 1 Cinematicadeisistemidipuntimateriali 3 1.1 Riferimentispazio-temporalidellacinematicaclassica. . . . . . .3 1.2 Equazionidelmotodiunpunto . …

Se, adesso, suddividiamo le forze interne a coppie (~F (XA, XB), ~F (XB , XA)),si può provare che il risultante delle forze interne e il momento risultante di taliforze, rispetto al polo O, risultano entrambi nulli

n1∑A=1

~R(i)A = 0,

n1∑A=1

(XA − O) ∧ ~R(i)A = 0. (2.5)

Ora, se sommiamo membro a membro dapprima le equazioni di Newtonrelative ad ogni punto XA, A = 1, . . . , n1 e poi le stesse equazioni moltipli-cate vettorialmente a sinistra per (XA − O), e usiamo le (2.5), si ottiene laprima forma delle equazioni cardinali della meccanica per un sistema di puntimateriali:

n1∑A=1

mA~aA =

n1∑A=1

~R(e)A =: ~R(e), (2.6)

n1∑A=1

(XA − O) ∧mA~aA =

n1∑A=1

(XA − O) ∧ ~R(e)A =: ~M

(e)

O, (2.7)

dove ~R(e) ed ~M(e)

Orappresentano rispettivamente la forza risultante e il momento

risultante, rispetto al polo O, di tutte le forze esterne.In realtà per determinare il moto di un sistema di punti materiali non sono

sufficienti le equazioni appena viste, a meno che non ci si trovi in qualche casoparticolare, quale quello in cui la distanza tra ogni coppia di punti del sistemaè vincolata a rimanere costante (sistema rigido).

2.7.1 Equazioni di bilancio della quantità di moto e delmomento della quantità di moto

Definiamo quantità di moto del punto materiale XA, A = 1, . . . , n1, nello spazioI la quantità

~QA := mA~vA.

Da qui segue, ovviamente, che la quantità di moto totale del sistema X saràdata dalla somma delle quantità di moto dei suoi punti, ovvero

~Q :=

n1∑A=1

~QA.

Derivando rispetto al tempo tale quantità, otteniamo

~Q :=

n1∑A=1

mA~aA. (2.8)

Da questa ricaviamo l’equazione di bilancio della quantità di moto totale cherappresenta la seconda forma della prima equazione cardinale, ovvero della (2.6)

~Q = ~R(e),

da essa si trae la seguente

27

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Proprietà La derivata temporale della quantità di moto di un si-stema di punti materiali è uguale, ad ogni istante, al risultante delleforze esterne. In particolare, se quest’ultimo è nullo la quantità dimoto si conserva (è costante nel tempo).

Naturalmente, anche la massa totale del sistema X sarà data dalla somma dellemasse dei suoi punti

m :=

n1∑A=1

mA.

Ora, indichiamo con G il baricentro di tale sistema; tale punto è definito dallaseguente relazione

m(G−O) :=

n1∑A=1

mA(XA −O). (2.9)

In particolare, nel sostituire O con un qualsiasi altro punto O′, G rimaneinvariato, ovvero risulta

m(G′ −O′) :=

n1∑A=1

mA(XA −O′) =

n1∑A=1

[mA(XA −O) + (O −O′)] =

= m(G−O) +m(O −O′) = m(G−O′),

da cui G = G′. Il baricentro gode inoltre della seguente

Proprietà Il baricentro di un sistema di punti materiali si muovecome un punto materiale di massa m sottoposto ad una forza ugualeal risultante delle forze esterne. In particolare, se il sistema di puntiè isolato, il baricentro si muove di moto rettilineo uniforme o è inquiete.

Possiamo infatti dimostare, derivando due volte rispetto al tempo la (2.9) etenendo presente la (2.8), che valgono le seguenti

~Q = m~vG

m~aG = ~R(e),(2.10)

dove ~vG e ~aG sono rispettivamente la velocità e l’accelerazione del baricentro.La seconda delle (2.10) rappresenta la prima equazione cardinale in una formaancora diversa.

Vogliamo, adesso, riscrivere anche la seconda equazione cardinale. A tal finediamo la definizione di momento della quantità di moto del punto XA rispettoal polo O

~LO,A := (XA − O) ∧mA~vA,

e del momento risultante della quantità di moto (o momento angolare) delsistema X rispetto allo stesso polo,

~LO :=

n1∑A=1

~LO,A.

28

Page 29: 1 Cinematicadeisistemidipuntimateriali 3 1.1 Riferimentispazio-temporalidellacinematicaclassica. . . . . . .3 1.2 Equazionidelmotodiunpunto . …

Da cui, derivando rispetto al tempo e ricordando la (2.7), otteniamo la secondaforma della 2a equazione cardinale sotto forma di equazione di bilancio delmomento angolare

~LO =

n1∑A=1

(XA − O) ∧mA~aA +

n1∑A=1

(~vA − ~vO) ∧mA~vA =

=

n1∑A=1

(XA − O) ∧mA~aA − ~vO ∧ ~Q = ~M(e)

O− ~vO ∧ ~Q,

dove ~vO è la velocità di O. In particolare vale la seguente

Proprietà Se come polo si sceglie un punto fisso o il baricentro, laderivata temporale del momento angolare è, ad ogni istante, ugualeal momento, rispetto al polo scelto, delle forze esterne agenti su X. Inparticolare, per un sistema isolato il momento angolare si conserva(è costante nel tempo).

Ciò si dimostra osservando che se il polo è fisso rispetto al riferimento sceltoallora esso avrà velocità nulla. In più, nello scelgiere il baricentro come polo,la quantità ~vO ∧ Q risulterà essere nulla, in quanto la velocità del baricentro èparallela alla quantità di moto totale del sistema.

2.8 Energia cinetica e moto attorno al baricentroSi definisce energia cinetica, o forza viva, associata ad un punto materiale XA,nel suo moto in un riferimento R, la quantità scalare

KA :=1

2mA|~vA|2,

mentre l’energia cinetica totale del sistema X è definita come

K :=

n1∑A=1

KA.

Inoltre, diciamo riferimento baricentrale il riferimento RG avente l’origine nelbaricentro G del sistema X ed assi paralleli e concordi a quelli della terna E3 incui si studia il moto. Il moto nel riferimento baricentrale è detto moto attornoal baricentro.

Vale il seguente

Teorema 8 (di Konig). L’energia cinetica K di X nel suo moto rispetto ad R èla somma dell’energia cinetica K ′ del moto attorno al baricentro e dell’energiacinetica che avrebbe il baricentro, nel suo moto rispetto ad R, se in esso fosseconcentrata tutta la massa del sistema, vale a dire

K = K ′ +1

2m|~vG|2. (2.11)

29

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Dimostrazione. Essendo il moto di RG traslatorio rispetto ad R, con velocitàdi traslazione uguale a ~vG, dal principio dei moti relativi si ha che5

~vA = ~v′A + ~vG, ∀A = 1, . . . , n1.

Sostituendo questa relazione nella definizione dell’energia cinetica si ricava

K =1

2

n1∑A=1

mA~vA · ~vA =1

2

n1∑A=1

mA(~v′A + ~vG) · (~v′A + ~vG) =

= K ′ + ~vG ·n1∑A=1

mA~v′A +

1

2m|~vG|2 = K ′ +

1

2m|~vG|2,

infatti il secondo termine in questa relazione risulta essere nullo, in quanto lasommatoria, che vi compare, rappresenta la quantità di moto totale calcolatarispetto al riferimento del baricentro.

Un altro utile risultato è espresso dal seguente

Teorema 9. Il momento angolare ~L′ del sistema di punti nel moto attorno albaricentro non dipende dal polo che si sceglie. Inoltre se come polo si sceglie ilbaricentro, il momento angolare rispetto ad R coincide con ~L′, cioè si ha

~LG = ~L′ (2.12)

Dimostrazione. Per quanto riguarda la prima parte del teorema, dati due poliarbitrari O e O′, si ha

~L′O′ =

n1∑A=1

(XA − O′) ∧mA~v′A =

n1∑A=1

[(XA − O) + (O − O′)

]∧mA~v

′A

= ~L′O

+ (O − O′) ∧mA~v′A = ~L′

O.

Per dimostrare la (2.12) basta notare che

~LG =

n1∑A=1

(XA −G) ∧mA~vA =

n1∑A=1

(XA −G) ∧mA(~v′A + ~vG) =

= ~L′ +

n1∑A=1

mA(XA −G) ∧ ~vG = ~L′,

infatti, la quantità∑n1

A=1(XA−G)mA è nulla per la definizione di baricentro.

2.8.1 Lavoro di un sistema di forze, teorema delle forzevive

Indichiamo con Y l’ambiente esterno sotto l’azione del quale il sistema di puntimateriali X si trova in moto rispetto al riferimento I. Come al solito, denotiamocon ~RA il risultante di tutte le forze agenti sul punto A,A = 1, . . . , n1. Si

5per semplicità indichiamo qui la velocità relativa con ~v′.

30

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chiama lavoro compiuto dal sistema di forze (XA, ~RA)n1

A=1 nell’intervallo ditempo [t0, t1] la quantità

L[t0,t1] :=

n1∑A=1

∫ XA(t1)

XA(t0)

~RA · d~rA,

dove∫ XA(t1)

XA(t0)

~RA · d~rA :=

∫ t1

t0

~RA(~r1(t), . . . , ~rn1(t), ~r1(t), . . . , ~rn1(t), t

)· ~vA(t) dt.

Tale lavoro non dipende solamente dall’intervallo di tempo considerato ma anchedal moto del sistema

Notiamo inoltre che, essendo ~RA = ~R(i)A + ~R

(e)A , A = 1, . . . , n1, ovviamente

risultaL(t0, t1) = L(i)(t0, t1) + L(e)(t1, t2),

dove L(i)(t0, t1) e L(e)(t0, t1) sono rispettivamente il lavoro compiuto dalle forzeinterne e quello compiuto dalle forze esterne.

Consideriamo, adesso, l’energia cinetica K di X e in particolare consideriamola sua derivata rispetto al tempo

K =d

dt

1

2

n1∑A=1

mA|~vA|2 =

n1∑A=1

mA~aA · ~vA =

n1∑A=1

~RA · ~vA,

ora, integrando nell’intervallo di tempo [t0, t1], otteniamo

K(t1)−K(t0) = L[t0,t1].

Ovvero vale il seguente

Teorema 10 (delle forze vive). La variazione dell’energia cinetica del sistemaX nell’intervallo [t0, t1] è uguale al lavoro compiuto dalle forze interne ed esternein questo intervallo di tempo.

2.9 Forze conservative e conservazione dell’ener-gia meccanica

Supporremo adesso che le forze agenti sui punti di X dipendano solo dalle po-sizioni di tali punti; si parlerà perciò di forze posizionali. In particolare, taliforze costituiscono una sollecitazione conservativa se esiste una funzione scalareU(~r1, . . . , ~rn1), definita a meno di una costante additiva arbitraria, detta energiapotenziale 6 del sistema X, tale che(

~RA)i

= −∂U(~r1, . . . , ~rn1)

∂XA,i, A = 1, . . . , n1, i = 1, 2, 3.

Per ciò che riguarda il lavoro che una sollecitazione conservativa compie sudi un sistema, sussiste il seguente

6L’energia potenziale è una funzione scalare delle coordinate nel sistema di riferimento erappresenta, laddove esista, l’energia conferita al sistema da un campo di forze.

31

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Teorema 11. Il lavoro di una sollecitazione conservativa dipende solo dalleposizioni iniziali e finali dei punti del sistema X su cui essa agisce.

Per dimostare quanto detto basta osservare che

L[t0,t1] =

n1∑A=1

∫ t1

t0

(~RA)i

(~vA)idt =

n1∑A=1

∫ t1

t0

−∂U(~r1, . . . , ~rn1)

∂XA,iXA,idt =

= −∫ t1

t0

dU(~r1(t), . . . , ~rn1(t))

dtdt =

= −[U(~r1(t1), . . . , ~rn1

(t1))− U

(~r1(t0), . . . , ~rn1

(t0))].

Si definisce energia meccanica E la somma di energia cinetica ed ener-gia potenziale attinenti allo stesso sistema sul quale agisce una sollecitazioneconservativa, ovvero

E := K + U.

In particolare risulta che

∆E[t0,t1] := E(t1)− E(t0) =

= K(t1)−K(t0) + U(~r1(t1), . . . , ~rn1(t1)

)− U

(~r1(t0), . . . , ~rn1(t0)

)=

= K(t1)−K(t0)− L[t0,t1] = 0,

ovvero vale il seguente

Teorema 12 (Principio di conservazione dell’energia meccanica o totale). Perun sistema in moto sotto l’azione di una sollecitazione conservativa si mantienecostante l’energia totale.

2.10 Dinamica nei riferimenti non inerzialiSia R un riferimento non inerziale, in moto rigido rispetto ad un riferimentoinerziale I, nel quale vogliamo determinare il moto di un sistema di punti Xche si muove sotto l’azione di un ambiente Y. (Nel seguito le quantità accentatesaranno riferite ad R e quelle non accentate ad I).

Sappiamo che in un riferimento inierziale I, le leggi del moto di X sono

mA~aA = ~R(e)A

(~rA, ~rA, ~y1(t), . . . , ~yn2

(t), ~y1(t), . . . , ~yn2(t))

+

+ ~R(i)A

(~r1, . . . , ~rn1

, ~r1, . . . , ~rn1

), A = 1, . . . , n1.

Ma nel capitolo precedente abbiamo mostrato che

~aA = ~a′A + ~aτ,A + ~ac,A, A = 1, . . . , n1,

sostituendo nelle leggi del moto, si ha

mA~a′A = ~R

(e)A

(~rA, ~rA, ~y1(t), . . . , ~yn2(t), ~y1(t), . . . , ~yn2

(t))

+

+ ~R(i)A

(~r1, . . . , ~rn1

, ~r1, . . . , ~rn1

)−mA~aτ,A −mA~ac,A, A = 1, . . . , n1,

32

Page 33: 1 Cinematicadeisistemidipuntimateriali 3 1.1 Riferimentispazio-temporalidellacinematicaclassica. . . . . . .3 1.2 Equazionidelmotodiunpunto . …

che ricordando l’oggettività delle masse, delle forze e delle leggi di forza, diven-tano

mA~a′A = ~R

(e)A

(~r′A,

~r′A, ~y′1(t), . . . , ~y′n2

(t), ~y′1(t), . . . , ~y′n2(t))

+

+ ~R(i)A

(~r′1, . . . , ~r′n1

, ~r′1, . . . ,~r′n1

)−

−mA~aτ,A − 2mA ~wτ ∧ ~r′A, A = 1, . . . , n1.

Quest’ultime rappresentano le leggi del moto in R.Nell’ultima equazione scritta

• −mA~aτ,A è detta forza di trascinamento sul punto A,

• −mA~a′c,A è detta forza centrifuga composta o complementare sul punto A.

Tali forze vengono chiamate forze fittizie, o apparenti, in quanto esse non rappre-sentano azioni fisiche da parte di altri corpi ma sono dovute alla non inerzialitàdi R e perciò cessano di esistere non appena vengono ripristinate le condizionidi inerzia del riferimento. Le forze apparenti non sono oggettive e non possonoessere valutate se non si conosce il moto di R rispetto ad I. Per quanto riguardainvece le equazioni cardinali di un sistema di punti, esse continuano a valere inR, basta infatti considerare tra le forze anche quelle apparenti.

33

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Capitolo 3

Applicazioni di Dinamica delpunto materiale

L’obiettivo di questo capitolo è quello di ripercorrere il procedimento che portòNewton ad affermare l’universalità della legge di gravitazione, che costituisceuno dei capitoli più affascinanti della storia della Fisica e rappresenta la risolu-zione del prima problema inverso nella storia della dinamica, in quanto ricavale forze che agiscono su un sistema noto il suo moto. Il punto di partenza diNewton furono le tre leggi di Keplero, che furono da quest’ultimo dedotte sullabase di una serie di osservazioni sperimentali.

La prima parte del capitolo sarà dedicata all’ottenimento delle leggi di Keple-ro dallo studio del moto di un punto materiale soggetto ad una forza newtoniana.Vedremo inoltre quali furono le argomentazioni matematiche che confermaronoil modello atomico descritto da Rutherford e che andò a sostituire quello diThomson.

3.1 Moto di un punto libero soggetto a forze cen-trali

Una forza si dice centrale, con centro O se è sempre diretta dal punto diapplicazione P verso O, cioè se si ha

~F = f(ρ)~r

ρ. (3.1)

dove ρ := |~r| |f | dà l’intensità della forza stessa. La forza sarà repulsiva oattrattiva secondo che f sia positiva o negativa.

Tutte le forze centrali sono conservative in quanto per ognuna di esse risulta

~F = −gradU, (3.2)

dove grad(U) := ( ∂U∂x1, ∂U∂x2

, ∂U∂x3)T e l’energia potenziale U è data da

U =

∫f(ρ)dρ. (3.3)

Esempi di forze centrali sono:

34

Page 35: 1 Cinematicadeisistemidipuntimateriali 3 1.1 Riferimentispazio-temporalidellacinematicaclassica. . . . . . .3 1.2 Equazionidelmotodiunpunto . …

• Forza elastica per la quale la (3.1) e la (3.3) diventano

~F = −kρ~rρ, U =

k

2ρ2, (3.4)

con k costante. In particolare se risulta k > 0 o k < 0, tale forza si diràrispettivamente attrattiva o repulsiva.

• Forza newtoniana per cui risulta

~F = − k

ρ2

~r

ρ, U = −k

ρ. (3.5)

La forza newtoniana si dirà attrattiva o repulsiva a seconda che k > 0 ok < 0.

Un primo risultato significativo, valido per tutte le forze centrali, è dato dalseguente

Teorema 13. La traiettoria di un punto libero soggetto ad una forza centraleè interamente contenuta nel piano individuato da posizione e velocità iniziali(piano di Laplace). Inoltre, in questo moto piano è costante la velocità arealerispetto ad O (2a legge di Keplero1).

Dimostrazione. Il momento ~MO, rispetto al centro di forza O delle forze centraliè nullo. Da ciò e dalla seconda forma della seconda equazione cardinale segueche il momento angolare si conserva, ovvero

~LO = ~r ∧m~v = ~r0 ∧m~v0. (3.6)

Ciò significa che i vettori ~r e ~v sono contenuti in un piano π ortogonale al vettorefisso ~LO che, a sua volta, è individuato dai dati iniziali ~r0 e ~v0. Consideriamoadesso un sistema di coordinate cartesiane ortogonali Oxyz, con gli assi Ox eOy contenuti in π. Sia ~r = (x, y, 0) e ~v = (x, y, 0), la (3.6) si riduce, allora,all’unica equazione scalare significativa

xy − xy = cost.

Da cui otteniamo la costanza della velocità areale, in quanto si può mostrareche in coordinate cartesiane la velocità areale è 1

2 (xy − xy).

Equazione del moto in coordinate polari. Se in π adottiamo le coordinatepolari (ρ, ϕ) di centro O, allora l’equazione del moto diventa

m~a = f(ρ)~r

ρ, (3.7)

quest’ultima è equivalente alle seguenti equazioni scalari

m(ρ− ρϕ2) = f(ρ), (3.8)1Seconda legge di Keplero, o legge delle aree uguali: ”Durante il moto di un punto materiale

in un campo centrale, il raggio vettore congiungente la posizione del punto con il centro delcampo spazza aree uguali in tempi uguali.”

35

Page 36: 1 Cinematicadeisistemidipuntimateriali 3 1.1 Riferimentispazio-temporalidellacinematicaclassica. . . . . . .3 1.2 Equazionidelmotodiunpunto . …

ρ2ϕ = cost ≡ c, (3.9)

la seconda delle quali esprime in coordinate polari la costanza della velocitàareale2 e c viene perciò detta costante delle aree. Dalla (3.9) otteniamo

ϕ =c

ρ2

che sostituita nella (3.8), consente di eliminare la dipendenza da ϕ e di ottenerela seguente equazione nella sola variabile ρ(t):

ρ =1

m

[f(ρ) +

mc2

ρ3

].

D’altra parte, dal carattere conservativo della forza centrale segue la conser-vazione dell’energia totale

1

2m|~v|2 + U = E

che in coordinate polari si scrive

1

2m(ρ2 + ρ2ϕ2) + U = E. (3.10)

Quest’ultima, tenendo conto della costanza della velocità areale (3.9), diventa

ρ2 =2

m

[E − (U(ρ) +

mc2

2ρ2)]≡ F (ρ), (3.11)

dove la quantità

(U(ρ) +mc2

2ρ2) = Ueff (ρ)

prende il nome di energia potenziale efficace e dipende dalla costante delle areec.

Notiamo subito che dalla (3.9) si deduce che se c = 0, ϕ(t) è costante ed ilmoto avviene lungo una retta. Se c 6= 0 ϕ avrà sempre lo stesso segno, quello dic.

Adesso, al fine di ottenere informazioni sull’andamento qualitativo della fun-zione ρ(t), applichiamo la discussione di Weierstrass, che è brevemente riportatanell’Appendice A, alla (3.11); in particolare tale andamento dipende dalla na-tura delle radici della funzione F (ρ). Così, ad esempio, se F (ρ) = 0 ammettedue radici semplici ρ1 < ρ2, ed il punto parte da una posizione ρ0 ∈ [ρ1, ρ2],allora il moto successivo avviene su una curva Γ che tocca periodicamente ledue circonferenze di raggi ρ1 e ρ2. Il tempo T impiegato dalla funzione ρ(t) perriassumere lo stesso valore si deduce dalla (3.11) e risulta

T = 2

∫ ρ2

ρ1

dρ√F (ρ)

.

La traiettoria Γ sarà chiusa se ϕ(T ) = pπq con p e q interi (si può mostrare che

ciò avviene solamente nei casi di forze elastiche e newtoniane). In caso contrario,essa è aperta e ovunque densa nella corona circolare delimitata dalle suddettecirconferenze.

2v. Capitolo 1 paragrafo 1.3

36

Page 37: 1 Cinematicadeisistemidipuntimateriali 3 1.1 Riferimentispazio-temporalidellacinematicaclassica. . . . . . .3 1.2 Equazionidelmotodiunpunto . …

Nei casi in cui F (ρ) ammetta una radice doppia ρ∗ e ρ(0) = ρ∗, allora ilmoto del punto sarà circolare uniforme e la sua traiettoria sarà rappresentatada una circonferenza di raggio ρ∗.

Ora, dalla (3.9) e (3.11) possiamo ricavare alcune proprietà generali del moto.Poichè, come abbiamo visto, ϕ non cambia segno, la funzione ϕ(t) è invertibileossia

t = t(ϕ). (3.12)

Perciò, essendo la coordinata angolare ϕ funzione monotona del tempo, sipuò prendere come variabile indipendente ϕ stessa anzichè il tempo t. Al fine dideterminare l’equazione per la traiettoria ρ = ρ(ϕ) (un’equazione differenzialenell’incognita traiettoria ρ = ρ(ϕ)), a partire dalle equazioni di moto, è impor-tante disporre di una formula che esprima l’accelerazione del punto in terminidella funzione ρ(ϕ) e delle sue derivate. Risulta infatti

ρ =dρ

dϕϕ =

c

ρ2

dϕ= −c d

(1

ρ

), (3.13)

ρ =dρ

dϕϕ =

c

ρ2

dϕ= − c

2

ρ2

d2

dϕ2

(1

ρ

). (3.14)

Sostituendo adesso la (3.9) e la (3.14) nella formula dell’accelerazione radialeotteniamo la formula di Binet (valida per i moti centrali)

aρ = ρ−ρϕ2 = − c2

ρ2

( d2

dϕ2

(1

ρ

)+

1

ρ

). [(3.14)bis]

Da cui, considerando la (3.8), si ha

d2

dϕ2

(1

ρ

)+

1

ρ= − ρ2

mc2f(ρ). (3.15)

3.2 Moto di un punto libero soggetto a forze new-toniane

Supponiamo, adesso, che il punto materiale sia soggetto ad una forza newtonia-na. In tal caso, considerando le relazioni (3.5) e (3.15), l’equazione differenzialenell’incognita traiettoria ρ = ρ(ϕ) diventa

d2

dϕ2

(1

ρ

)+

1

ρ=

1

p, (3.16)

dove si è posto

p =mc2

k. (3.17)

Le soluzioni della (3.16), che è un’equazione differenziale non omogenea, con-sistono nella somma di una soluzione particolare dell’equazione omogenea (nelnostro caso basta prendere la funzione costante p) con le soluzioni dell’equazioneomogenea associata. In particolare, per ciò che riguarda l’omogenea associataalla (3.16) notiamo che se effettuiamo il seguente cambiamento di variabili

ϕ→ t,1

ρ→ x, con ω = 1,

37

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essa coincide con l’equazione dei moti armonici, perciò la soluzione è immediataovvero si ha

1

ρ= R cos(ϕ− ϕ), (R ≥ 0).

La soluzione generale dell’equazione differenziale delle orbite diventa pertan-to

1

ρ=

1

p+R cos(ϕ− ϕ). (3.18)

Dalla (3.17) segue

p > 0 se k > 0 (forza attrattiva),p < 0 se k < 0 (forza repulsiva).

Adesso, poniamoe ≡ |p|R = ±pR ≥ 0, (3.19)

dove va preso il segno + in caso di forza attrattiva e quello − se la forza èrepulsiva. Allora la (3.18) può scriversi

ρ =p

1 + e cos(ϕ− ϕ), se k > 0, (3.20)

ρ =|p|

−1 + e cos(ϕ− ϕ), se k < 0, (3.21)

da ciò deduciamo che: un punto libero soggetto a forze newtoniane descrive, convelocità areale costante, una conica,3 di cui il centro di forza occupa un fuoco.

Vediamo adesso cosa rappresentano, nella (3.20), p e ϕ. Osserviamo, innanzi-tutto che la (3.20) e la (3.21) risultano entrambe simmetriche rispetto alla diffe-renza ϕ− ϕ. Pertanto la retta ϕ = ϕ rappresenta un asse di simmetria per la co-nica.

3Fissati, nel piano, una retta a e un punto O che non appartenga ad a, chiamiamo conicaΓ il luogo dei punti X del piano tali che il rapporto delle distanze |X −O| di X dal punto Oe |X −A| di X dalla retta a sia uguale ad una costante e:

|X −O||X −A|

= e

La retta a è detta direttrice, il punto O è detto fuoco, il numero reale positivo e èdetto eccentricità. E’ evidente che la retta a divide il piano π in due sempiani π1 eπ2. Se π1 è quello contenente O e se poniamo ρ = |X − O|, dalla figura otteniamo

ρ

|X −A|= e.

Posto |H −O| = d, la precedente relazione diventa

e =ρ

d− ρ cos(ϕ− ϕ), se X ∈ Γ ∩ π1,

e =ρ

ρ cos(ϕ− ϕ)− d, se X ∈ Γ ∩ π2.

Da cui è facile ottenere rispettivamente le (3.20) e (3.21). La definizione data comporta chetutte le coniche risultano necessariamente simmetriche rispetto alla retta r perpendicolare alladirettrice e passante per il fuoco, quindi tutte le coniche hanno per asse di simmetria la rettar.

38

Page 39: 1 Cinematicadeisistemidipuntimateriali 3 1.1 Riferimentispazio-temporalidellacinematicaclassica. . . . . . .3 1.2 Equazionidelmotodiunpunto . …

Notiamo inoltre che per ϕ = ϕ ± π2 , si ha ρ = ±p

e quindi il valore assoluto del parametro p dellaconica rappresenta la semilunghezza del segmen-to individuato dalla conica sulla retta che in O èortogonale all’asse di simmetria.

Osserviamo inoltre, che per quanto riguarda la(3.20)

• se e < 1, la condizione ρ > 0 comporta chenella (3.20) sono possibili tutti i valori di ϕ.In particolare ρ risulta essere limitato da un

valore minimo che otteniamo quando ϕ = ϕ

ρmin =p

1 + e(3.22)

che individua il perielio dell’orbita, e un valore massimo ottenuto perϕ = ϕ± π

ρmax =ρ

1− e, (3.23)

che corrisponde all’afelio. Tale conica rappresenta perciò un’ellisse ed ilcentro di forza occupa uno dei suoi fuochi;

• se e = 1 si ha invece

ρmin =p

2, ρmax = lim

ϕ→ϕ±πρ =∞

e la conica è una parabola;

• se e > 1, il perielio è ancora dato dalla (3.22), mentre per ϕ = ϕ ± α,con α = arccos(− 1

e ), otteniamo ρ =∞. Le rette aventi questi coefficientiangolari sono asintoti e quindi la conica è il ramo di iperbole il cui fuocoè il centro di forza O.

Per ciò che riguarda invece la (3.21) notiamo che poichè la condizione ρ > 0esclude i casi e ≤ 1, rimane il solo caso e > 1 a cui corrisponde il ramo diiperbole avente O come fuoco esterno. In questo caso, inoltre, α = arccos( 1

e ).Si perviene in questo modo ad una completa classificazione delle orbite sulla

base del parametro di eccentricità e. Visto le considerazioni fatte, possiamo af-fermare che in generale le orbite del moto centrale newtoniano sono coniche. Inparticolare se la forza newtoniana risulta attrattiva, la conica può essere un’ellis-se, una parabola o un ramo di iperbole avente come fuoco interno O. Mentre sela forza è repulsiva, la traiettoria è necessariamente un ramo di iperbole aventeO come fuoco esterno.

Relazione fra eccentricità ed energia Un modo più diretto, per classificarele orbite del punto materiale soggetto a forze newtoniane attrattive, si ottienecorrelando l’eccentricità e della conica ai valori dell’energia totale E del puntoX. Iniziamo riscrivendo l’energia totale (3.10) tenendo conto delle relazioni (3.5),(3.9) e (3.13), ovvero

1

2mc2

[( d

(1

ρ

))2

+1

ρ2

]− k

ρ= E

39

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da cui, ricordando le (3.17), (3.18) e (3.19) si può ricavare

E =k

2p(e2 − 1) =

k2

2mc2(e2 − 1)

e quindi anche

e =

√1 +

2mc2

k2E. (3.24)

Tenendo conto di questo ultimo risultato ottenuto, possiamo considerare ilseguente quadro riassuntivo

Energia Eccentricità Traiettoria

E < 0 e < 1 EllisseE > 0 e > 1 IperboleE = 0 e = 1 Parabola

Analiziamo, infine, la condizione

E =1

2m|v0|2 −

k

ρ0≥ 0,

dove ρ0 e |v0| rappresentano il modulo della distanza iniziale dal centro delleforze e il modulo della velocità iniziale. Dalla precedente relazione è possibilericavare una limitazione per la velocità che il punto deve possedere inizialmentein modo tale che la sua distanza dal centro di forza ’diventi’ infinita, ovvero chela traiettoria da esso descritta sia una parabola o un’iperbole. Tale limitazioneprende il nome di velocità di fuga del punto X ed è espressa dalla seguente

v0 ≥

√2k

mρ0.

3.3 Leggi di Keplero e problema dei due corpiIn questo paragrafo vedremo come i risultati precedenti possono ora essere appli-cati al moto planetario ovvero al moto dei pianeti attorno al sole. Innanzituttoosserviamo che, siccome le dimensioni dei pianeti e del sole sono molto più picco-le delle reciproche distanze, possiamo schematizzare il sistema planetario comeun sistema di n punti materiali in moto sotto l’azione delle reciproche forze gra-vitazionali. L’estensione della dinamica al problema di n corpi è un problema sucui non si sa dire molto; tuttavia riusciamo a trarre una soluzione approssimatadi tale problema partendo dalla considerazione che la massa del sole è moltopiù grande rispetto alla massa degli altri pianeti. Allo scopo di ottenere talerisultato, consideriamo un riferimento I inerziale (ad esempio solidale alle stellefisse) e l’equazione del moto del pianeta Xi di massa mi

mi~ri = −hmiM

ρ2is

uis −∑j 6=i

hmimj

ρ2ij

uij , (3.25)

dove h rappresenta la costante di gravitazione universale, M la massa del sole,ρis e ρij le distanze del pianeta Xi rispettivamente dal sole e dal pianeta Xj

40

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ed infine uij e uis i versori dei vettori ~ri − ~rj e ~ri − ~rs. Come osservato prima,mentre le distanze ρis e ρij sono comparabili, le masse mi (i = 1, . . . , n) deglialtri pianeti sono molto più piccole rispetto alla massaM del sole, perciò l’azionesul pianeta Xi dovuta ad essi può essere, in prima approssimazione, trascurata.Otteniamo così che la (3.25) diventa

mi~ri = −hmiM

ρ2is

uis. (3.26)

dove la distanza ρis dipende ovviamente dalle coordinate di Xi e da quelle delsole S. Abbiamo quindi ricondotto il problema di n corpi a quello dei due corpisole e pianeta. Naturalmente affiancheremo, adesso, alla (3.26) l’equazione delmoto del sole in I

M~rs = h

n∑j=1

Mmj

ρ2js

ujs. (3.27)

Consideriamo adesso un riferimento R non inerziale che abbia assi parallelie concordi agli assi di I e origine sovrapposta ad S. Osserviamo che l’equazionedel moto di Xi in R sarà data perciò da

mi~r′i = −hmiM

ρ′2isuis −mi~rs (3.28)

dove ~r′i è il vettore posizione Xi in R e ~rs è data dalla (3.27), ovvero la (3.28)diventa

mi~r′i = −hmi(M +mi)

ρ′2isuis −

∑j 6=i

hmimj

ρ2js

ujs. (3.29)

Osserviamo, inoltre, che anche qui può essere adottata la stessa approssimazionefatta per la (3.25) ovvero possiamo nuovamente trascurare le masse mi rispettoad M , ottendendo così la seguente equazione

mi~r′i = −hmiM

ρ′2isuis, (3.30)

in cui non compaiono le incognite coordinate del sole. In conclusione abbiamovisto che il riferimento R può considerarsi, con buona approssimazione, inerzialeed il pianeta di massami si muove come un punto soggetto alla forza newtonianaprodotta dal sole.

Da quanto detto nel presente paragrafo e nei paragrafi precedenti di questostesso capitolo, seguono le tre leggi di Keplero:

1. L’orbita di un pianeta è un’ellisse di cui il sole occupa un fuoco.

2. Ogni pianeta percorre la sua orbita con velocità areale costante.

3. Il rapporto tra i quadrati del tempo di rivoluzione Ti ed il cubo del semiassemaggiore ai è una costante indipendente dal pianeta

T 2i

a3i

= cost (i = 1, . . . , n)

41

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In particolare, la discussione che abbiamo svolto sino a qui ci ha condottoalla giustificazione delle prime due delle leggi di Keplero. Rivolgeremo, adesso,la nostra attenzione alla terza delle leggi mostrando la sua veridicità. Per farciò, indichiamo con bi il semiasse minore dell’orbita del pianeta Xi. Ricordandoche il periodo T è dato dal rapporto tra l’area πab dell’ellisse e la velocità arealevista la costanza di quest’ultima, si ha

πaibi =1

2ciTi.

Considerando il quadrato della precedente relazione e poichè in geometria ana-litica si prova che per le ellissi pi =

b2iai, otteniamo

pi =c2iT

2i

4π2a3i

.

Quest’ultima, ricordando la (3.17), diventa

T 2i

a3i

=4π2mi

ki.

Ma per le forze gravitazionali ki = hmiM , sicchè

T 2i

a3i

=4π2

hM, (3.31)

a dimostrazione dell’asserto, considerato che la costante a secondo membro èindipendente dalla massa del pianeta.

In realtà osserviamo che un’approssimazione migliore del moto del pianeta siotterrebbe considerando i termini che nella relazione (3.25) rappresentano l’in-fluenza che gli altri pianeti hanno su Xi. Abbiamo visto che tali termini sonopiccoli, perciò si possono considerare come una perturbazione dell’azione prima-ria del sole e trovare delle correzioni riscrivendo il sistema in forma hamiltonianae ricorrendo alla teoria delle perturbazioni secolari4.

Precisiamo infine che vi sono alcuni sistemi a due corpi soggetti alla mutuaazione gravitazionale in cui però non è verificata la condizione che la massa diuno di essi sia molto più grande di quella dell’altro. Ci si riconduce così alproblema dei due corpi che risulta completamente risolto considerando la (3.27)e la (3.29).

3.4 Diffusione di un punto soggetto a forze new-toniane e modello nucleare di Rutherford

Consideriamo un punto materiale X di massa m in moto soggetto a forze new-toniane, sappiamo che la sua traiettoria è una sezione conica. In particolare,se la forza è repulsiva, l’orbita è un ramo di iperbole avente il centro di for-za O come fuoco esterno. Le direzioni della velocità di ingresso e di uscitadella particella sono, evidentemente, le direzioni dei due asintoti dell’iperbole.

4v. Romano A., «Spazio, tempo, movimento», Zanichelli editore.

42

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Si definisce angolo di diffusione l’angolo α tra queste due direzioni. Evidente-mente, piccoli valori di α rappresentano piccole deviazioni della particella dallatraiettoria iniziale, grandi valori di α indicano grandi deviazioni. Si definisce,invece, parametro d’urto la distanza s tra il centro di forza O e l’asintoto a (vedifigura). Cercheremo di trovare una relazione matematica tra angolo di diffusio-ne α e parametro d’urto s. Iniziamo notando che, per determinare l’angoloα basta determinare l’angolo ϕ1 che l’asintoto a forma con l’asse polare x.

Notiamo che l’equazione dell’iperbole, nelriferimento in figura, è la seguente

ρ =|p|

e cos(ϕ)− 1.

Sappiamo che l’angolo 2ϕ1 tra i due asinto-ti di un’iperbole è legato alla eccentricità edalla relazione

ϕ1 = arccos(1

e

).

Inoltre α = π − 2ϕ1 e quindi

sin(α

2

)= sin

[π2− ϕ1

]= cos(ϕ1) =

1

e.

Da cuitan

(α2

)=

1√e2 − 1

. (3.32)

D’altra parte, dalla conservazione dell’energia meccanica e osservando chel’energia potenziale si annulla all’infinito, si ha

E =1

2m|~v|2 − k

r=

1

2m|~v|2∞,

dove con ~v∞ abbiamo indicato la velocità della particella a distanza infinita daO. Ricordiamo inoltre che, trovandoci nel caso di forze centrali, si conserva ilmomento angolare rispetto al centro di forze preso come polo, ovvero

|~LO| = |~LO∞| = cost,

dove ~LO e ~LO∞ rappresentano, rispettivamente, il momento angolare della par-ticella in un generico punto della sua traiettoria e nel punto in cui essa entra nelcampo (distanza infinita dal centro di forze). Ora osserviamo che dalla costanzadella velocità areale otteniamo

|~LO| = |m~r ∧ ~r| = |mρeρ ∧ (ρeρ + ρϕeϕ)| = |mρ2ϕ| = m|c|

mentre per ~LO∞ si ha

~LO∞ = ~r∞ ∧m~v∞ ⇒ |~LO∞| = ~r∞m~v∞ sin(θ).

Ora, poichè i punti che si trovano sull’asintoto hanno s come modulo dellaproiezione del loro vettore posizione lungo la direzione di ~v∞, si ha

|~LO∞| = sm|~v∞|.

43

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Uguagliando le due determinazioni del momento angolare si ha

sm|~v∞| = mc,

e quindi la (3.24) si scrive

e =

√1 +

(2sE

k

)2

.

Infine, da questa relazione e dalla (3.32) segue

tan(α

2

)=

k

2Es

e quindi anche

s =k

2Ecot(α

2

). (3.33)

Quest’ultima esprime il legame tra il parametro d’urto s e l’angolo di diffusioneα. Osserviamo che l’urto è frontale per s = 0. Aumentando s, l’urto è sempremeno frontale. In particolare, più l’urto è frontale (s piccolo), maggiore è ladeviazione subita dal punto materiale (α grande). Ciò viene dimostrato dallarelazione (3.33) in cui per α piccolo otteniamo valori ’grandi’ della cotangente(s grande) e viceversa. In altre parole, urti frontali corrispondono a grossedeviazioni e urti non frontali a piccole deviazioni.

Modello nucleare di Rutherford In particolare, sulla base della (3.33) fupossibile verificare sperimentalmente la validità del modello nucleare propostoda Rutherford. Infatti, in contrapposizione al modello di Thomson, che sup-poneva gli elettroni immersi in una nube di carica positiva delle dimensionidell’atomo, Rutherford propose un modello per così dire planetario: un nucleodenso e piccolo carico positivamente, circondato da elettroni in moto rotatoriosu orbite di diverso raggio.

Rutherford, al fine di risolvere la controversia sulla scelta di uno dei duemodelli, valutò sperimentalmente gli angoli di diffusione di particelle carichelanciate contro un atomo. In particolare, tali angoli nel modello proposto daRutherford, vista la maggiore repulsione prodotta dalla carica nucleare, dove-vano risultare molto più grandi che nel modello di Thomson. Precisamente nelmodello proposto da Thomson a piccoli parametri d’urto dovevano corrispon-dere piccoli angoli di diffusione, mentre nel modello di Rutherford al diminuiredel parametro d’urto si doveva avere un aumento dell’angolo di diffusione; e ciòè in perfetto accordo con la (3.33).

3.5 Da Keplero a Newton: la gravitazioneLa forza gravitazionale venne introdotta da Newton al fine di spiegare la veracausa del moto dei corpi celesti e in particolare dei pianeti intorno al Sole e dellaLuna attorno alla Terra. La determinazione di tale forza assunse un significatomolto importante in quanto mise in discussione un’intera visione del cosmo.Nell’antichità, infatti, si pensava che solo alcuni corpi fossero soggetti alla gravitàcioè quelli terrestri e che invece i pianeti, il Sole e la Luna ne fossero privi e si

44

Page 45: 1 Cinematicadeisistemidipuntimateriali 3 1.1 Riferimentispazio-temporalidellacinematicaclassica. . . . . . .3 1.2 Equazionidelmotodiunpunto . …

muovessero con un naturale moto circolare5. Ovvero esistevano leggi della fisicadiverse tra Terra e Cielo.

In seguito alla scoperta di Newton crolla definitivamente questa divisione, sipassa cioè all’idea di una ”fisica sola”, di una elaborazione di teorie capace dispiegare insieme la relazione tra i pianeti e, ad esempio, la caduta di una pietra.Newton con la legge universale unifica e sintetizza la fisica celeste e terrestre.

Il punto di partenza di questa straordinaria scoperta fu costituito dalle treleggi di Keplero. Anch’esse rivestono un significato molto importante in quantosegnano ”la rottura del cerchio”, ovvero l’abbandono definitivo dell’orbita circo-lare e del moto uniforme, e accompagnano l’introduzione del sistema eliocentricoal posto di quello geocentrico 6. In particolare, tra le tre leggi di Keplero, note-vole è il contenuto della terza. Essa, infatti, ci fornisce una precisa indicazionesu come varia, con la distanza dal Sole, l’interazione che produce il movimento.

Dalla prima e seconda legge di Keplero segue che il moto di un pianeta èpiano e centrale, ed il Sole è il centro di tale moto. Infatti, essendo la velocitàareale costante la componente trasversa dell’accelerazione risulta nulla. Inoltrela componente radiale, dalla formula di Binet [(3.14)bis] e dalla (3.18), risultadata da

aρ = − c2

ρ2

( d2

dϕ2

(1

ρ

)+

1

ρ

)= − c

2

ρ2

1

p= − c

2

ρ2

a

b2,

dove a e b rappresentano i due semiassi dell’ellisse per la quale p = b2

a .Sappiamo inoltre che, essendo πab l’area dell’ellisse, il periodo di rivoluzione

intorno al Sole èT =

2πab

c,

da cuic =

2πab

T.

Si ha allora

aρ = −4π2 a3

T 2

1

ρ2.

La causa dell’accelerazione dei pianeti deve essere il sole poichè l’accelerazio-ne è diretta verso esso; quindi 4π2 a3

T 2 deve dipendere dal Sole e dal pianetaconsiderato.

Ma la terza legge di Keplero afferma che la quantità a3

T 2 è indipendente dalpianeta. Allora la costante 4π2 a3

T 2 = hS dipenderà solamente dal Sole. Ovverol’accelerazione prodotta sul pianenta P per presenza del Sole S diventa

~aPS = −hS(P − S)

ρ3, (3.34)

5I corpi celesti erano pensati in moto circolare in quanto il moto circolare è ”il più facilmenteeterno”. Infatti in una circonferenza ogni punto è l’inizio e la fine del moto; cioè non c’è unpunto di partenza e un punto di arrivo. Ad esempio il moto rettilineo, caratterizzato da unapartenza e da un arrivo, era considerato un moto imperfetto. Quindi considerando perfettol’Universo, ad esso spettavano cose perfette ovvero un moto circolare.

6Nel sistema geocentrico, proposto da Tolomeo, la terra era posta al centro dell’Universomentre tutti gli altri corpi celesti ruotavano intorno ad essa. In particolare i pianeti, in quantoperfetti, descrivevano orbite circolari attorno alla Terra. Questo modello tolemaico, di tipogeocentrico, venne superato grazie a Copernico. Egli propose un modello più semplice secondoil quale il Sole e le stelle erano fisse mentre i pianeti, tra cui anche la Terra, si muovevanoattorno al Sole.

45

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dove si è tenuto conto del fatto che, ponendo |P − S| =: ρ, il versore radiale èdato da (P−S)

ρ .Se consideriamo, adesso, la forza di attrazione (in quanto orientata da P

verso S) del Sole sui pianeti, essa per la (3.34) sarà data da

~FPS = mP~aPS = −hSmP(P − S)

ρ3. (3.35)

Newton basandosi sull’osservazione che i satelli intorno ai pianeti seguono leggidi moto molto simili a quelle dei pianeti intorno al Sole, pensò che tutte leinterazioni osservabili tra corpi celesti obbedivano alla (3.35). Da ciò concluse,allora, che tale forza aveva in realtà carattere universarle (forza gravitazionaleuniversale) cioè essa si manifestava per corpi qualsiasi e, in particolare, eraresponsabile del peso dei corpi in prossimità della Terra.

Seguendo tale ipotesi, si ha allora che la forza esercitata dal pianeta sul Solesarà

~FSP = −hPmS(S − P )

ρ3,

come si ottiene scambiando S e P nella (3.35). Ma dal principio di azione ereazione sappiamo che risulta ~FSP = −~FPS , ossia

hPmS = hSmP . (3.36)

Vista, però, l’universalità dell’interazione, possiamo scrivere

hPmP

=hSmS

= h, (3.37)

dove h è una costante universale detta costante di attrazione universale. Da quisi ottiene che la (3.35) diventa

~FPS = −hmSmP(P − S)

ρ3(3.38)

che rappresenta la legge di attrazione universale di Newton.Notiamo che tale legge è valida per corpi puntiformi. Inoltre nel caso di un

sistema di punti materiali costituenti una sfera omogenea, il risultante delle forzeche tali punti esercitano su un generico punto P, che si trova ad una distanza ρdal centro della sfera e di massa mP , sarà ancora dato dalla (3.38) in cui mS

rappresenterà naturalmente la massa totale della sfera.In particolare, se S è il centro della Terra e P un generico punto materiale

vicino alla Terra, P sarà attratto verso il centro della Terra con una accelerazionedi modulo g dato da, se trascuriamo le forze fittizie nel riferimento terrestre

g =hmT

R2, (3.39)

dove con mT indichiamo la massa della Terra e con R la distanza tra il puntomateriale e il centro della Terra, ovvero, con buona approssimazione, il raggiodella Terra stessa. Ma la forza con cui un corpo viene attratto verso il centrodella Terra, non è altro che il peso del corpo stesso. Conosciamo perciò il valoredi g. Allora la (3.39) ci fornisce il prodotto hmT = hT . La stessa quantità si

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ricava dai dati sul moto della Luna. Questa concordanza di dati rappresentò laprima conferma della veridicità delle ipotesi fatte da Newton.

In seguito grazie ai procedimenti sperimentali di Cavendish, relativi all’at-trazione tra due masse, si giunge anche al valore della costante di attrazioneuniversale h. In particolare, se l’unità di misura delle masse è il grammo, dellelunghezze il centimetro, quella delle durate il secondo, allora il valore di h è paria 6, 66 ·10−8.Ma noti g, R e h è possibile determinare la massa terrestre tramitela (3.39). In questo senso si afferma che Cavendish ’pesò’ la Terra.

Nota la massa della Terra, ovvero una volta determinata la costante h, sidetermina subito anche la massa mS del Sole. Infatti risulta

mS =hSh,

dove hS è nota dai dati sul moto dei pianeti. Le masse di quest’ultimi vengonoricavate in modo analogo servendosi però dei dati sui loro satelliti.

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Conclusioni

Il ’trampolino’ di lancio dell’intuizione geniale di Newton è, quindi, rappresen-tato dalle tre leggi di Keplero. Esse illustrano come si svolge il moto dei pianetiintorno al Sole fissando delle regole valide per tutti i pianeti che compiono laloro orbita intorno al Sole. Tali leggi, però, non danno una motivazione sulperchè di questo comportamento. Sarà Newton a fornirci tale motivazione.

Infatti, dopo la formulazione delle leggi della Dinamica, il più importantecontributo di Newton allo sviluppo della meccanica fu l’identificazione dellalegge dell’interazione gravitazionale. Una volta enunciata la legge ci si rendeconto di come il problema del moto planetario si amplii a dismisura: il modellodel campo di forze centrali si rivela solo una prima approssimazione.

In particolare, Newton partì con l’ipotizzare che le leggi della dinamica fos-sero valide anche per le forze che agiscono fra pianeti; alla luce di ciò egli collegòle leggi di Keplero con le leggi della dinamica da lui enunciate. Si attribuiscecosì l’accelerazione dei pianeti ad una forza che agisce su di essi. Ciò non èaffatto scontato. E’ vero, Newton ci ha mostrato la relazione esistente tra forzaed accelerazione condensando il tutto nelle tre leggi della meccanica, ma non èevidente a priori che questi concetti possano essere estesi ai fenomeni astrono-mici. Infatti la forza che agisce su un pianeta non è misurabile in modo diretto.Ma dalla terza legge di Keplero si può concepire che lo spazio intorno al Solesia sede di un campo di accelerazioni creato dal Sole stesso. Ovvero si riconoscel’esistenza di una forza agente sui pianeti e tale forza viene attribuita appuntoal Sole.

Si osservi, inoltre, che nelle leggi di Keplero il moto risulta essere indipenden-te dalla massa del punto materiale considerato. Il fatto che questa circostanzasi verifichi anche per il moto dei gravi in prossimità della superficie terrestresuggerisce che anche il moto dei gravi possa attribuirsi a una causa analoga, ecioè che anche la Terra crei intorno a sè un campo di accelerazione (o di forze),che può a sua volta dar ragione anche del moto della Luna. Assumiamo quindiche le leggi fisiche o chimiche che valgono sulla terra si applichino a tutto l’uni-verso. Si mette così in discussione la rivoluzone copernicana: il Sole non ha piùun ruolo privilegiato. Infatti qualunque massa posta nello spazio esercita unaforza gravitazionale su qualunque altra massa. Ciò è conseguenza del principiodi azione e reazione.

L’attrazione gravitazionale terrestre, quindi, non è più una proprietà specialedel nostro pianeta ma una caratteristica comune a tutta la materia, compresaquella celeste. Tra Universo e Terra non c’è più una differenza profonda ovverosiamo parte integrante dell’universo stellare.

L’universalità della (3.38) sostenuta da Newton rappresenta da questo puntodi vista un risultato molto importante in quanto essa segna la nascita di una vera

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scienza nuova, universale che supera definitivamente le distinzioni aristotelichedi meccanica celeste e terrestre.

Notiamo, inoltre, che la formula della gravitazione non viene dimostrata mapresentata come legge empirica, confermata dalle evidenze sperimentali. Perciò,come già accennato precedentemente, con Newton si ha la nascita del modernoconcetto di scienza; prima di Newton infatti la teoria nasceva dalla volontà dispiegare mediante leggi i fenomeni osservati. L’opera di Newton rappresentail primo caso in cui la teoria è riuscita ad andare più avanti dell’esperienza,consentendo di fare delle previsioni.

Anche l’esperienza di Cavendish ha un’importanza storica in quanto il cal-colo di h non rappresenta solamente una verifica a posteriori della legge digravitazione universale, ma apre la strada alla valutazione delle masse dei corpicelesti.

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Appendice A

Discussione qualitativa dell’equazione x = f(x)

L’evoluzione di un punto materiale P di massa unitaria in moto su una retta Oxsotto l’azione della forza posizionale f(x) è descritta dalla seguente equazionedifferenziale

x = f(x), (3.40)

nella funzione incognita x(t). Questa stessa equazione governa anche l’evoluzio-ne di un punto in moto lungo una curva assegnata, purchè x sia identificata conl’ascissa curvilinea ed f(x) con la componente della forza posizionale, agente suP, lungo la tangente alla suddetta curva.

Si osservi che l’equazione (3.40) è equivalente al seguente sistema di dueequazioni del primo ordine

x = v

v = f(x),(3.41)

nelle incognite x(t), v(t) che individuano una curva γ dello spazio (x, v) dettospazio delle fasi Γ. In particolare, se il punto P è in moto su una curva aperta,Γ coincide con lo spazio R2; se P si muove su una curva chiusa o se x denotaun angolo, Γ è un cilindro. Le curve di Γ soluzioni della (3.41), si chiamanotraiettorie dinamiche di P . Inoltre, quei punti (x∗, v∗) ∈ Γ per i quali risultaf(x∗) = 0 e v∗ = 0 si chiamano punti di equilibrio per il sistema (3.41). Siosserva che la traiettoria dinamica associata a questi dati iniziali si riduce alpunto (x∗, 0).

Osserviamo che lo studio delle traiettorie dinamiche è agevolato dal fatto cheil sistema (3.41) ammette un significativo integrale primo. Infatti, denominataintegrale dell’energia, la funzione

V (x, v) :=1

2v2 + U(x), (3.42)

doveU(x) = −

∫f(x)dx, (3.43)

è l’energia potenziale di P . E’ subito visto che F = 0 lungo le soluzioni di(3.41). Infatti, moltiplicando la (3.41)2 per v ed osservando che x = v, si hal’asserto. L’esistenza dell’integrale dell’energia consente subito di affermare chele traiettorie dinamiche di (3.41) sono contenute nelle curve di livello

V (x, v) = E, (3.44)

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dove E è una costante denominata energia totale di P .Si osservi che se un punto (x∗, 0) è di equilibrio, si ha f(x∗) = −U ′(x∗) = 0

e quindi x∗ è un punto critico per U(x). Inversamente, ogni punto critico diU(x), associato a v = 0, fornisce un punto di equilibrio per il sistema (3.41).

Invece, si osserva che per lo studio delle traiettorie dinamiche che non corri-spondono a configurazioni di equilibrio, dalle (3.42) e (3.44) si ha

v = ±√

2(E − U(x)), (3.45)

da cui, tenendo conto della (3.41)1, segue

t =

∫ x

x0

ds√2(E − U(s))

. (3.46)

La (3.45) è la forma esplicita delle curve di livello e mostra che queste sonosimmetriche rispetto all’asse x. Inoltre, risultando per la (3.41)1, x = 0 perv = 0, dette curve tagliano ortogonalmente l’asse x. Infine, fissato un valoredell’energia totale E, i valori possibili di x sono quelli per cui U(x) ≤ E. D’altraparte, l’equazione (3.46) fornisce il tempo impiegato dal punto P per andare dax0 a x.

Si supponga di assegnare il dato iniziale (x0, v0) per (3.41), con v0 > 0.Consideriamo il valore positivo della (3.45) in modo che non risulti U(x) = E.Di conseguenza, se U(x) < E, ∀x > x0, il punto giunge all’infinito in un tempofinito o infinito a seconda che la funzione integranda che compare al secondomembro della (3.46) sia integrabile o no nell’intervallo [x0,∞).

Se al contrario, a destra di x0, vi è un punto x in cui U(x) = E, vannoconsiderati due casi:

a) U ′(x) 6= 0, cioè x non è un punto critico per U(x),b) U ′(x) = 0, cioè x è un punto critico per U(x).Nel caso a) lo sviluppo di Taylor della funzione U(x) nell’intorno di x si

scriveU(x) = E + U ′(x)(x− x) +O(|x− x|). (3.47)

Pertanto, la funzione integranda in (3.46) è integrabile in [x0, x) ed il tempo diapproccio

t =

∫ x

x0

ds√2(E − U(s))

(3.48)

di P ad x è finito. D’altra parte, U(x) < E per x < x e U(x) = E per x = x equindi la funzione U(x) è crescente in x sicchè f(x) = −U ′(x) < 0. Da (3.41)segue poi v(t) < 0, v(t) = 0 ed il punto P inverte il verso di marcia. Nella(3.45) va ora preso il segno meno. Se, in particolare, a sinistra di x0 vi è unaltro punto ¯x con le stesse caratteristiche di x, il moto risulterà periodico tra ¯xe x con periodo

T = 2

∫ x

¯x

ds√2(E − U(s))

.

Nel caso b), lo sviluppo di Taylor di U(x) nell’intorno di x si scrive

U(x) = E +1

2U ′′(x)(x− x)2 +O(|x− x|2)

ed il tempo (3.48) di P di approccio a x risulta infinito in quanto la funzioneintegranda non è più integrabile. Il punto P tende asintoticamente a x senzainvertire il senso di marcia.

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Bibliografia

[1] Circignani Carlo, Spazio, tempo, movimento, Zanichelli editore.

[2] Mascali Giovanni, Note di meccanica razionale.

[3] Romano Antonio, Meccanica Razionale, volume 2, Liguori editore.

[4] Wikipedia, URL:http://it.wikipedia.org

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