110eLode.Net - 3 Come strutturare i tuoi servizi. 3 esempi pratici · 2017-03-19 · 3. Esempio di...
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Sommario
1. Come progettare le attività: la “Regola del ponte” ............. 2
2. Come strutturare un incontro a tema ................................... 5
3. Esempio di incontro a tema sui DSA ................................... 10
4. Esempio di incontro a tema sull’Ansia ................................ 16
5. Esempio di gruppo di crescita personale ............................ 20
Se vuoi un supporto personalizzato per l’avvio della
professione, ho predisposto consulenze on-line, al minimo
tariffario (€ 35), per un’ora di indicazioni e suggerimenti.
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1. Come progettare le attività: la “Regola del ponte”
Per ogni attività che vuoi proporre in ambito
psicologico, può essere opportuno organizzare
prima un incontro a tema o un servizio
introduttivo, che consenta alle persone di
conoscerti piano piano, prima di decidere se
affidarsi ai tuoi servizi professionali.
Per i tuoi potenziali clienti, è una scelta
impegnativa e non sempre può essere fatta “a
freddo”, senza prima aver familiarizzato con il
professionista.
I servizi psicologici sono impegnativi, sia a livello
di costo che a livello emotivo. È utile quindi
accompagnare gradualmente le persone a questa
scelta.
L’incontro o il servizio introduttivo ti fa
conoscere e aiuta le persone a sviluppare fiducia in
te.
Non basta essere bravi per avere fiducia dai
potenziali pazienti. Occorre sudarsela.
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L’incontro introduttivo è dunque un primo
gradino importante che farà entrare le
persone nella “casa” dello psicologo, perché da
sole è difficile che vadano direttamente a suonare
al campanello e richiedere un servizio impegnativo.
Dopo aver progettato la struttura dell’incontro a
tema, può essere utile progettare il “dopo”,
individuare cioè le attività successive da proporre ai
partecipanti.
L’incontro a tema è una sorta di “ponte”, per
accompagnare i partecipanti nell’attraversamento di
pregiudizi e timori, facendo loro superare le
reticenze che li bloccano e che impediscono di
rivolgersi allo psicologo.
Su una sponda del ponte c’è l’incontro a
tema, quindi un’occasione soft per familiarizzare
con la figura dello psicologo tanto temuta e
fraintesa, sull’altra c’è il paniere di servizi che offri,
da presentare alla fine dell’incontro a tema.
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Esempi:
Introduzione
Servizi
Incontro a tema sull’ansia
- 5 incontri di psicoeducazione sull’ansia - colloquio individuale - gruppo di mutuo-aiuto sull’ansia - corso sulle tecniche di rilassamento
Incontro a tema sulla comunica=zione tra genitori e figli adolescenti
- 5 incontri sulla comunicazione efficace tra genitori e figli adolescenti - colloquio di consulenza o sostegno - gruppo di mutuo-aiuto di genitori - corso sull’adolescenza
L’incontro a tema serve dunque ad
avvicinare con gradualità le persone allo
psicologo e a illustrare cosa lo psicologo può fare
per loro, anche chiarendo di persona i servizi stessi,
che spesso possono non essere chiari solo se
venissero letti o descritti su un sito.
I servizi di “approdo” possono essere
schematizzati su un’apposita locandina o
brochure che sarà distribuita ai partecipanti alla
fine dell’incontro.
Si può aggiungere anche un bonus per
partecipare ad un costo agevolato e eventualmente
ad altri bonus da distribuire ad amici e parenti, così
da stimolare il passaparola e allargare la cerchia
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delle persone a cui arriva notizia delle attività
psicologiche e invogliare ulteriori partecipazioni.
Ovviamente, valuterai tu se, come e quanto
ciascuna specifica modalità di organizzazione possa
essere adatta a te e ai tuoi servizi.
2. Come strutturare un incontro a tema
Il servizio introduttivo può essere un
incontro a tema, che è un incontro breve per
piccoli gruppi, gratuito o a pagamento, molto
pratico e coinvolgente, perché non è strutturato
come una lezione frontale, ma basato su giochi,
simulazioni e attività interattive.
Infatti, lo psicologo non dovrà “spiegare” un
argomento come se stesse insegnando
qualcosa, ma farà fare simulazioni e pratica ai
partecipanti e alla fine riassumerà quello che è
emerso.
Farà qualche domanda per stimolare la
riflessione e la condivisione di esperienze e al
massimo darà qualche breve informazioni
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sull’argomento, senza pretesa di esaustività o di
rivelare verità assolute.
Tutto deve essere estremamente semplice e
concreto. Anche il titolo dell’incontro dovrà essere
semplice e non tecnico.
L’incontro a tema può avere una struttura
molto schematica:
1) il gioco
2) il dopogioco
Il gioco è il momento iniziale, in cui si fa
fare un’esperienza ai partecipanti.
Ad esempio, in un incontro sulla comunicazione
tra genitori e figli, lo psicologo chiede a due
partecipanti di interpretare due ruoli, uno il ruolo
del padre e uno quello del figlio, e fingere che si sta
litigando per l’orario in cui rientrare la sera.
Oppure, uno interpreta un figlio molto disordinato,
che lascia sempre la sua stanza sottosopra, e l’altro
interpreta il padre che lo rimprovera e gli ordina di
rimettere tutto a posto.
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I due partecipanti interagiscono, mettono quindi
in scena questo dialogo, mentre gli altri osservano.
La simulazione provoca sempre emozioni
intense sia negli “attori” che nel “pubblico” e
fa sentire i partecipanti molto attivi e coinvolti.
Il dopogioco è un momento di riflessione di
gruppo sull’esperienza compiuta.
Ad esempio dopo che i due partecipanti hanno
interpretato il ruolo di genitore e figlio, tornano al
loro posto e lo psicologo apre una discussione
sull’esperienza.
Inizialmente invita i partecipanti ad esprimere le
loro sensazioni riguardo alla “scenetta”, le loro
opinioni e osservazioni.
In secondo luogo, può chiedere di
confrontarsi, osservando se anche nella
quotidianità di genitori capita di vivere dialoghi
come quello appena “recitato”, oppure se i figli
rispondono in altro modo, oppure cosa si è soliti
fare quando un figlio è disordinato o chiede di
rientrare molto tardi la sera e il genitore non è
d’accordo.
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Si avvia quindi un confronto tra diverse
esperienze, dove ciascuno espone la “soluzione”
che ha escogitato nella sua quotidianità.
In terzo luogo, si chiede alle persone se
dopo questa discussione hanno un
suggerimento per migliorare la comunicazione
con i figli, se pensano a come migliorarla.
Quindi, lo psicologo tira le somme di quello che è
emerso, riassumendo le varie posizioni e le varie
soluzioni indicate dai partecipanti.
Il ruolo dello psicologo non è di docente, né
di esperto che illumina con la sua sapienza o
fornisce consigli e ricette preconfezionate, ma
è un attivatore di risorse, che stimola i partecipanti
e fa emergere riflessioni, esperienze e intuizioni da
condividere, in modo che ciascuno possa trovare
autonomamente una sua visione del tema e
soluzione del problema.
Prima di concludere l’incontro a tema, se
quest’ultimo viene organizzato gratuitamente,
lo psicologo può esporre i servizi del suo
studio.
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Ad esempio chi vuole approfondire l’argomento e
migliorare la comunicazione con il proprio figlio,
può partecipare ad un ciclo di 5 incontri dove si
conosceranno alcune tecniche specifiche oppure si
può chiedere un incontro personale per discutere di
eventuali problemi nella comunicazione con i figli,
oppure si può partecipare ad un gruppo di sostegno
di genitori, ecc.
Generalmente, molti aderiscono, perché
l’esperienza dell’incontro a tema, quando è davvero
pratico e non si riduce ad una lezioncina
nozionistica, è un’esperienza davvero coinvolgente
che tutti vogliono ripetere.
Alla fine dell’incontro, è utile somministrare
anche un questionario anonimo di gradimento,
per ricevere feedback attraverso cui migliorare la
progettazione dei successivi incontri e per chiedere
quali altri argomenti interessino i partecipanti.
Infine, è utile raccogliere le loro e-mail, così
da inviare successivamente comunicazioni su altre
iniziative, previo consenso dei partecipanti stessi.
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Esistono anche molti libri che suggeriscono
“giochi”, illustrandone tutte le fasi: cosa dire, cosa
fare, ecc.
Oppure, in base all’argomento, ciascuno psicologo
può predisporre un incontro a modo suo, purché dia
spazio alla pratica e faccia prima simulare e poi
discutere i partecipanti.
L’incontro a tema è dunque di un incontro
conoscitivo, dove la principale competenza
richiesta allo psicologo è quella di accogliere,
ascoltare i partecipanti senza interrompere le loro
riflessioni, né valutarle, e offrire uno spazio di
scambio.
3. Esempio di incontro a tema sui DSA
Se ti vuoi occupare dei Disturbi
dell’Apprendimento, quindi vuoi fare valutazione
e riabilitazione della dislessia, disortografia,
discalculia, puoi organizzare un incontro a tema per
i genitori, per far conoscere questa tematica e
informare di cosa ti occupi.
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È opportuno non intitolare un incontro a
tema “I Disturbi dell’Apprendimento”, perché
non tutti comprenderebbero questa dicitura tecnica.
Inoltre la parola “disturbo” evoca fantasie negative,
paure e insicurezze.
Soprattutto se viene abbinato ai bambini,
potrebbe allontanare i genitori, perché potrebbero
pensare ad un figlio “disturbato”, “malato” o
“pazzo”.
L’incontro a tema può servire proprio ad
evitare queste resistente e diffidenze, ad
avvicinare le persone senza “compromettersi”.
Molti, infatti, ancora si vergognano ad
andare dallo psicologo e non ci porterebbero mai
il proprio figlio, perché penserebbero: “mio figlio
dallo psicologo? Addirittura? Mica è matto, mica è
malato…è solo un po’ vivace, va un po’ male a
scuola, ma portarlo dallo psicologo è
un’esagerazione!”.
Invece, andare a un incontro a tema per
informarsi su un argomento, è molto meno
“compromettente”, non richiede una lotta contro
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i pregiudizi e non suscita timori, anzi crea molto
interesse.
Quindi in questo caso l’incontro a tema si
può intitolare “Mio figlio non sa leggere!”
oppure “Bambini che non riescono a leggere”
oppure “Leggere bene a scuola: che fatica!”.
E così via, trovando espressioni concrete,
comprensibili e che non spaventino,
eventualmente con un sottotitolo che specifichi il
contenuto oppure l’obiettivo dell’incontro.
Il contenuto dell’incontro dovrà essere
minimo, fornire qualche breve nozione,
valutare la conoscenza delle persone sul tema e
ideare un servizio che risponda ai loro bisogni, che
spesso sono diversi da quelli che lo psicologo
ipotizza.
L’incontro potrà essere progettato seguendo
lo schema gioco-dopogioco, facendo fare un
simulazione e poi avviando la discussione. Ecco un
esempio.
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Gioco. Si può presentare ai genitori una stringa
di questo tipo:
���������● ��������
Poi si dice di far finta che questi simboli, dal
primo all’ultimo, corrispondono alle lettere
dell’alfabeto. Si chiede quindi di memorizzare
l’abbinamento tra questi simboli e le lettere
dell’alfabeto: �= A, �=B, � = C, e così via. Poi si
copre la stringa e si chiede alle persone di leggere
queste parole:
���� �� � � ���� � ����
Cosa c’è scritto? Quasi nessuno riuscirebbe
a leggere. Anche sforzandosi, la lettura
risulterebbe lenta, perché per ogni simbolo
occorrerebbe fermarsi a riflettere a quale lettera o
suono sia associato.
Magari i partecipanti si scambiano suggerimenti,
qualcuno si ricorda un simbolo, qualcuno un altro,
cercando di mettere insieme le forze.
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Lo psicologo allora chiedere di commentare
e condividere le difficoltà.
I partecipanti probabilmente constateranno
come non sia affatto facile, anzi quasi
impossibile. Si crea un clima tra l’ironia e la
riflessione. A quel punto si può chiudere il gioco e si
inizia la fase di dopogioco, cioè la discussione.
Lo psicologo chiede: come vi siete sentiti? Cosa
avreste provato se qualcuno vi avesse detto
“impegnatevi di più? Se non ce la fate è perché non
vi state impegnando abbastanza”?.
Sono, infatti, le stesse frasi spesso
pronunciate dagli insegnanti della scuola
primaria verso i bambini dislessici, che
provocano scoraggiamento, demotivazione,
frustrazione.
Questa piccola esperienza può servire agli
adulti per empatizzare con le emozioni di un
bambino con disturbo dell’apprendimento, che
non ce la fa a leggere correttamente e velocemente,
anche se si impegna, perché non è una questione di
pigrizia.
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Anzi accusarlo di essere negligente, rischia di
peggiorare il suo sconforto.
Nella dislessia, non è in discussione
l’intelligenza, né l’impegno: essere accusati di
scarso impegno non fa che aumentare la
frustrazione.
Non si riesce ad automatizzare la lettura, come è
successo nella simulazione, e questo rende
inevitabilmente più lenta e meno corretta la lettura
ad alta voce.
Si forniscono a questo punto poche
informazioni semplici sulla dislessia e infine si
illustra cosa può fare lo psicologo nel suo
studio per aiutare i genitori e i bambini ad
affrontare la scuola con soddisfazione, ad esempio,
valutazione, interventi metacognitivi per
personalizzare il metodo di studio, sostegno
all’autostima del bambino, ecc.
Ecco un esempio di servizi che si possono
illustrare, dall’incontro a tema ai servizi in studio:
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Incontro a
tema sui
DSA
- valutazione e riabilitazione dei DSA
- supporto al metodo di studio
- supporto all’autostima
- aiuto nel rapporto scuola-famiglia
L’incontro a tema serve così a far
immedesimare i genitori o gli insegnanti in
quella situazione, a far capire cosa prova un
bambino con dislessia e cosa può fare lo psicologo
per aiutarlo, superando i pregiudizi connessi a
questa professione.
4. Esempio di incontro a tema sull’Ansia
Chi si vuole occupare di ansia, può preparare
un incontro a tema per conoscere meglio come
ciascuno viva questo disagio.
I partecipanti si dispongono in cerchio, così da
potersi guardare l’uno con l’altro e immedesimare.
Ciascuno di loro può riferire la sua
esperienza di ansia e lo psicologo annota su una
lavagna, divisa in 4 colonne, i sintomi fisiologici, i
pensieri, le emozioni e infine i comportamenti legati
all’ansia (“cosa faccio quando sono ansioso”).
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Mentre ciascuno espone, lo psicologo può
commentare o stimolare le riflessioni degli
altri.
Quando tutti avranno descritto la loro esperienza
di ansia, lo psicologo fa una sintesi di quello che è
emerso, restituisce una visione unitaria dell’ansia,
specificando che si sperimenta a diversi livelli, sia
fisiologico che cognitivo, emotivo e
comportamentale, quindi bisogna intervenire su
ciascuno di essi.
Si spiega che questi stessi sintomi, se non
eccessivamente intensi, possano essere un
segnale positivo, indicano che il corpo si sta
preparando ad affrontare una situazione, infatti
sono gli stessi sintomi che comparirebbero in
situazioni di pericolo.
Poi si può mostrare la curva di Yerkes e
Dodson, a forma di U rovesciata, dove si indica la
giusta quantità di ansia: se è eccessivamente alta,
interferisce con il comportamento, se è
eccessivamente bassa, deprime l’organismo, se è
ad una quantità intermedia, è utile a dare energia.
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Curva di Yerkes e Dodson
Quindi non sempre l’ansia è totalmente da
eliminare o azzerare, è opportuno modularne la
quantità, intervenendo sui 4 aspetti.
A questo punto si può discutere, confrontarsi,
infine lo psicologo illustrerà le varie attività per
intervenire.
Chi vuole approfondire l’argomento e
imparare a gestire l’ansia, potrà chiedere di fare
un test così da misurare il suo livello di ansia,
oppure potrà seguire un corso di psicoeducazione
per approfondire cause e aspetti vari dell’ansia,
oppure partecipare ad un gruppo sulla gestione
dell’ansia dove si impareranno tecniche di controllo
e di rilassamento o infine può richiedere un
colloquio individuale di consulenza e sostegno.
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Dall’incontro a tema, quasi sempre i
partecipanti sono interessati a proseguire e
usufruire delle attività presentate. Esempio:
Incontro a
tema
sull’ansia
- test di valutazione ansia (Es: CBA)
- 5 incontri di psicoeducazione
- colloquio di sostegno o consulenza
- gruppo di mutuo-aiuto sull’ansia
- corso sulle tecniche di rilassamento
Un ansioso infatti non sempre si rivolge
direttamente allo psicologo, per mille motivi:
ad esempio ha pregiudizi, pensa che dallo psicologo
ci vadano i matti, pensa che lo psicologo lo
stenderà sul lettino, si vergogna a dire che va dallo
psicologo, ha paura di una tariffa troppo alta,
preferisce andare dal medico e farsi dare un
sedativo, ecc.
Tutto questo non “scatta” se si tratta di
partecipare ad un incontro sull’ansia, perché
nessuno pensa di essere “matto” per questo!
Così i potenziali clienti hanno un approccio
soft, conoscono lo psicologo, entrano
nell’argomento e una volta dentro sono più
propensi ad approfondirlo con lo stesso psicologo.
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Questo è un esempio, molto schematizzato, poi
ciascuno può ideare un incontro come preferisce.
5. Esempio di gruppo di crescita personale
Se si uniscono 5 incontri a tema riguardanti
argomenti legati al benessere, si ottiene un gruppo
o un “corso di crescita personale”.
Esistono molti libri e siti che riportano giochi
a tema su argomenti di crescita personale
come autostima, creatività, comunicazione,
problem-solving.
Si tratta di giochi che sviluppano un’abilità nei
partecipanti, oppure li aiutano a focalizzarsi su
alcune abilità che possiedono, ma di cui spesso non
sono consapevoli.
L’obiettivo di questi brevi gruppi (o corsi) di
crescita personale è sperimentarsi in alcune
situazioni e migliorare le proprie abilità.
La struttura di ogni incontro è quella classica: un
gioco e poi il dopogioco. I giochi si possono
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prendere da vari libri, alcuni si possono leggere in
parte gratuitamente su http://Books.google.it.
Il corso di crescita personale è sempre
molto apprezzato dai partecipanti, proponibile
sia nel tuo studio che in palestre, centri
benessere, centri olistici, studi di naturopatia,
ecc.
Può essere un’attività adatta anche di sera o di
domenica, perché non impegna i partecipanti in
grandi riflessioni ed è appropriata anche per chi è in
vacanza, quindi si può proporre anche in agriturismi,
alberghi, terme, ecc.
Il corso di crescita personale non ha nulla di
clinico o di terapeutico.
Anzi molto spesso a fare queste attività sono
persone soltanto diplomate, oppure figure limitrofe
agli psicologi come counselor, coach, operatori
olistici e profili ambigui, che hanno “rosicchiato”
spazi che invece potrebbero benissimo essere
presidiati con competenza dagli psicologi.
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Ecco un esempio di gruppo di crescita personale
in 5 incontri:
1° incontro: chi sono. Si possono invitare i
partecipanti a fare un ritratto di sé stessi, con
matite, pastelli, colori, ecc.
Ogni ritratto viene fatto girare e ciascuno
commenta quello degli altri.
Poi ciascuno spiega il proprio autoritratto, si
discute su quello che la persona voleva rivelare di
sé e quello che il suo ritratto ha evocato negli altri.
2° incontro: comunicazione non verbale.
Lo psicologo scrive 5 bigliettini, su ciascuno scrive
un’emozione o una frase, che non sia però banale.
Ad esempio può scrivere: perplessità,
preoccupazione, ansia, rassegnazione, orgoglio, ecc.
A turno, ciascun partecipante pesca un bigliettino
e cerca di comunicare agli altri quella emozione,
soltanto con il corpo, la postura, la mimica del volto.
Gli altri devono cercare di capire di che si tratta.
Alla fine ci si confronta su quali indicatori non
verbali siano stati più significativi per indovinare
l’emozione, per capire il linguaggio non verbale
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degli altri e si discute sulla difficoltà ad esprimere le
emozioni, di riconoscere quelle degli altri e di dare il
giusto significato ad espressioni del volto e del
corpo.
3° incontro: ascolto. Lo psicologo dà ad un
partecipante un foglio in cui è disegnata una figura
come questa:
Il partecipante non deve mostrarla agli altri.
Deve solo descriverla a voce.
Gli altri devono cercare di riprodurla su un foglio,
senza fare domande o chiedere chiarimenti,
basandosi solo su come la persona la descrive. Alla
fine si confrontano i disegni, si vede come siano
spesso diversi dall’originale.
Si può riflettere quindi sulla difficoltà di
comunicare con chiarezza con gli altri, capire quello
che ci vogliono dire e si elaborano soluzioni per
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rendere più chiara la propria comunicazione ed
evitare fraintendimenti.
4° incontro: autostima. Ciascun partecipante
disegna una medaglia e all’interno i “trofei” che ha
raggiunto. Poi ciascuno esibisce la propria medaglia
e ci si confronta su tutte le esperienze positive o le
qualità positive che si sono sviluppate, riflettendo
su cosa è servito per raggiungere quegli obiettivi.
5° incontro: chi siamo. Alla fine dei 5 incontri, i
partecipanti si conoscono, dunque è opportuna una
riflessione sul percorso di gruppo svolto insieme.
Ciascuno partecipante può scrivere su un
bigliettino una qualità positiva per ciascuno degli
altri partecipanti. Poi, a turno, ciascuno legge i
bigliettini rivolti a sé.
Si riassume l’esperienza compiuta nei 5 incontri,
cosa ciascuno h scoperto di sé stesso, in cosa è
migliorato, qual è stato il momento più bello di cui
conserverà il ricordo.
Come si può notare, lo psicologo non ha
messo in gioco competenze cliniche o
terapeutiche, né conoscenze altamente
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specialistiche, poiché non ha fatto lezioni o
insegnato verità assolute.
Egli ha avuto un ruolo di “facilitatore”, attivando i
partecipanti, dando spazio e valorizzando i loro
interventi, senza interpretazioni, giudizi o consigli
“esperti”.
Ha fatto emergere esperienze e risorse di
ciascuno, che poi sono state condivise, arricchendo
tutti.
Se vuoi un supporto personalizzato per l’avvio della
professione, ho predisposto consulenze on-line, al minimo
tariffario (€ 35), per un’ora di indicazioni e suggerimenti.