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Sommario

1. Come progettare le attività: la “Regola del ponte” ............. 2

2. Come strutturare un incontro a tema ................................... 5

3. Esempio di incontro a tema sui DSA ................................... 10

4. Esempio di incontro a tema sull’Ansia ................................ 16

5. Esempio di gruppo di crescita personale ............................ 20

Se vuoi un supporto personalizzato per l’avvio della

professione, ho predisposto consulenze on-line, al minimo

tariffario (€ 35), per un’ora di indicazioni e suggerimenti.

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1. Come progettare le attività: la “Regola del ponte”

Per ogni attività che vuoi proporre in ambito

psicologico, può essere opportuno organizzare

prima un incontro a tema o un servizio

introduttivo, che consenta alle persone di

conoscerti piano piano, prima di decidere se

affidarsi ai tuoi servizi professionali.

Per i tuoi potenziali clienti, è una scelta

impegnativa e non sempre può essere fatta “a

freddo”, senza prima aver familiarizzato con il

professionista.

I servizi psicologici sono impegnativi, sia a livello

di costo che a livello emotivo. È utile quindi

accompagnare gradualmente le persone a questa

scelta.

L’incontro o il servizio introduttivo ti fa

conoscere e aiuta le persone a sviluppare fiducia in

te.

Non basta essere bravi per avere fiducia dai

potenziali pazienti. Occorre sudarsela.

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L’incontro introduttivo è dunque un primo

gradino importante che farà entrare le

persone nella “casa” dello psicologo, perché da

sole è difficile che vadano direttamente a suonare

al campanello e richiedere un servizio impegnativo.

Dopo aver progettato la struttura dell’incontro a

tema, può essere utile progettare il “dopo”,

individuare cioè le attività successive da proporre ai

partecipanti.

L’incontro a tema è una sorta di “ponte”, per

accompagnare i partecipanti nell’attraversamento di

pregiudizi e timori, facendo loro superare le

reticenze che li bloccano e che impediscono di

rivolgersi allo psicologo.

Su una sponda del ponte c’è l’incontro a

tema, quindi un’occasione soft per familiarizzare

con la figura dello psicologo tanto temuta e

fraintesa, sull’altra c’è il paniere di servizi che offri,

da presentare alla fine dell’incontro a tema.

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Esempi:

Introduzione

Servizi

Incontro a tema sull’ansia

- 5 incontri di psicoeducazione sull’ansia - colloquio individuale - gruppo di mutuo-aiuto sull’ansia - corso sulle tecniche di rilassamento

Incontro a tema sulla comunica=zione tra genitori e figli adolescenti

- 5 incontri sulla comunicazione efficace tra genitori e figli adolescenti - colloquio di consulenza o sostegno - gruppo di mutuo-aiuto di genitori - corso sull’adolescenza

L’incontro a tema serve dunque ad

avvicinare con gradualità le persone allo

psicologo e a illustrare cosa lo psicologo può fare

per loro, anche chiarendo di persona i servizi stessi,

che spesso possono non essere chiari solo se

venissero letti o descritti su un sito.

I servizi di “approdo” possono essere

schematizzati su un’apposita locandina o

brochure che sarà distribuita ai partecipanti alla

fine dell’incontro.

Si può aggiungere anche un bonus per

partecipare ad un costo agevolato e eventualmente

ad altri bonus da distribuire ad amici e parenti, così

da stimolare il passaparola e allargare la cerchia

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delle persone a cui arriva notizia delle attività

psicologiche e invogliare ulteriori partecipazioni.

Ovviamente, valuterai tu se, come e quanto

ciascuna specifica modalità di organizzazione possa

essere adatta a te e ai tuoi servizi.

2. Come strutturare un incontro a tema

Il servizio introduttivo può essere un

incontro a tema, che è un incontro breve per

piccoli gruppi, gratuito o a pagamento, molto

pratico e coinvolgente, perché non è strutturato

come una lezione frontale, ma basato su giochi,

simulazioni e attività interattive.

Infatti, lo psicologo non dovrà “spiegare” un

argomento come se stesse insegnando

qualcosa, ma farà fare simulazioni e pratica ai

partecipanti e alla fine riassumerà quello che è

emerso.

Farà qualche domanda per stimolare la

riflessione e la condivisione di esperienze e al

massimo darà qualche breve informazioni

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sull’argomento, senza pretesa di esaustività o di

rivelare verità assolute.

Tutto deve essere estremamente semplice e

concreto. Anche il titolo dell’incontro dovrà essere

semplice e non tecnico.

L’incontro a tema può avere una struttura

molto schematica:

1) il gioco

2) il dopogioco

Il gioco è il momento iniziale, in cui si fa

fare un’esperienza ai partecipanti.

Ad esempio, in un incontro sulla comunicazione

tra genitori e figli, lo psicologo chiede a due

partecipanti di interpretare due ruoli, uno il ruolo

del padre e uno quello del figlio, e fingere che si sta

litigando per l’orario in cui rientrare la sera.

Oppure, uno interpreta un figlio molto disordinato,

che lascia sempre la sua stanza sottosopra, e l’altro

interpreta il padre che lo rimprovera e gli ordina di

rimettere tutto a posto.

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I due partecipanti interagiscono, mettono quindi

in scena questo dialogo, mentre gli altri osservano.

La simulazione provoca sempre emozioni

intense sia negli “attori” che nel “pubblico” e

fa sentire i partecipanti molto attivi e coinvolti.

Il dopogioco è un momento di riflessione di

gruppo sull’esperienza compiuta.

Ad esempio dopo che i due partecipanti hanno

interpretato il ruolo di genitore e figlio, tornano al

loro posto e lo psicologo apre una discussione

sull’esperienza.

Inizialmente invita i partecipanti ad esprimere le

loro sensazioni riguardo alla “scenetta”, le loro

opinioni e osservazioni.

In secondo luogo, può chiedere di

confrontarsi, osservando se anche nella

quotidianità di genitori capita di vivere dialoghi

come quello appena “recitato”, oppure se i figli

rispondono in altro modo, oppure cosa si è soliti

fare quando un figlio è disordinato o chiede di

rientrare molto tardi la sera e il genitore non è

d’accordo.

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Si avvia quindi un confronto tra diverse

esperienze, dove ciascuno espone la “soluzione”

che ha escogitato nella sua quotidianità.

In terzo luogo, si chiede alle persone se

dopo questa discussione hanno un

suggerimento per migliorare la comunicazione

con i figli, se pensano a come migliorarla.

Quindi, lo psicologo tira le somme di quello che è

emerso, riassumendo le varie posizioni e le varie

soluzioni indicate dai partecipanti.

Il ruolo dello psicologo non è di docente, né

di esperto che illumina con la sua sapienza o

fornisce consigli e ricette preconfezionate, ma

è un attivatore di risorse, che stimola i partecipanti

e fa emergere riflessioni, esperienze e intuizioni da

condividere, in modo che ciascuno possa trovare

autonomamente una sua visione del tema e

soluzione del problema.

Prima di concludere l’incontro a tema, se

quest’ultimo viene organizzato gratuitamente,

lo psicologo può esporre i servizi del suo

studio.

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Ad esempio chi vuole approfondire l’argomento e

migliorare la comunicazione con il proprio figlio,

può partecipare ad un ciclo di 5 incontri dove si

conosceranno alcune tecniche specifiche oppure si

può chiedere un incontro personale per discutere di

eventuali problemi nella comunicazione con i figli,

oppure si può partecipare ad un gruppo di sostegno

di genitori, ecc.

Generalmente, molti aderiscono, perché

l’esperienza dell’incontro a tema, quando è davvero

pratico e non si riduce ad una lezioncina

nozionistica, è un’esperienza davvero coinvolgente

che tutti vogliono ripetere.

Alla fine dell’incontro, è utile somministrare

anche un questionario anonimo di gradimento,

per ricevere feedback attraverso cui migliorare la

progettazione dei successivi incontri e per chiedere

quali altri argomenti interessino i partecipanti.

Infine, è utile raccogliere le loro e-mail, così

da inviare successivamente comunicazioni su altre

iniziative, previo consenso dei partecipanti stessi.

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Esistono anche molti libri che suggeriscono

“giochi”, illustrandone tutte le fasi: cosa dire, cosa

fare, ecc.

Oppure, in base all’argomento, ciascuno psicologo

può predisporre un incontro a modo suo, purché dia

spazio alla pratica e faccia prima simulare e poi

discutere i partecipanti.

L’incontro a tema è dunque di un incontro

conoscitivo, dove la principale competenza

richiesta allo psicologo è quella di accogliere,

ascoltare i partecipanti senza interrompere le loro

riflessioni, né valutarle, e offrire uno spazio di

scambio.

3. Esempio di incontro a tema sui DSA

Se ti vuoi occupare dei Disturbi

dell’Apprendimento, quindi vuoi fare valutazione

e riabilitazione della dislessia, disortografia,

discalculia, puoi organizzare un incontro a tema per

i genitori, per far conoscere questa tematica e

informare di cosa ti occupi.

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È opportuno non intitolare un incontro a

tema “I Disturbi dell’Apprendimento”, perché

non tutti comprenderebbero questa dicitura tecnica.

Inoltre la parola “disturbo” evoca fantasie negative,

paure e insicurezze.

Soprattutto se viene abbinato ai bambini,

potrebbe allontanare i genitori, perché potrebbero

pensare ad un figlio “disturbato”, “malato” o

“pazzo”.

L’incontro a tema può servire proprio ad

evitare queste resistente e diffidenze, ad

avvicinare le persone senza “compromettersi”.

Molti, infatti, ancora si vergognano ad

andare dallo psicologo e non ci porterebbero mai

il proprio figlio, perché penserebbero: “mio figlio

dallo psicologo? Addirittura? Mica è matto, mica è

malato…è solo un po’ vivace, va un po’ male a

scuola, ma portarlo dallo psicologo è

un’esagerazione!”.

Invece, andare a un incontro a tema per

informarsi su un argomento, è molto meno

“compromettente”, non richiede una lotta contro

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i pregiudizi e non suscita timori, anzi crea molto

interesse.

Quindi in questo caso l’incontro a tema si

può intitolare “Mio figlio non sa leggere!”

oppure “Bambini che non riescono a leggere”

oppure “Leggere bene a scuola: che fatica!”.

E così via, trovando espressioni concrete,

comprensibili e che non spaventino,

eventualmente con un sottotitolo che specifichi il

contenuto oppure l’obiettivo dell’incontro.

Il contenuto dell’incontro dovrà essere

minimo, fornire qualche breve nozione,

valutare la conoscenza delle persone sul tema e

ideare un servizio che risponda ai loro bisogni, che

spesso sono diversi da quelli che lo psicologo

ipotizza.

L’incontro potrà essere progettato seguendo

lo schema gioco-dopogioco, facendo fare un

simulazione e poi avviando la discussione. Ecco un

esempio.

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Gioco. Si può presentare ai genitori una stringa

di questo tipo:

���������● ��������

Poi si dice di far finta che questi simboli, dal

primo all’ultimo, corrispondono alle lettere

dell’alfabeto. Si chiede quindi di memorizzare

l’abbinamento tra questi simboli e le lettere

dell’alfabeto: �= A, �=B, � = C, e così via. Poi si

copre la stringa e si chiede alle persone di leggere

queste parole:

���� �� � � ���� � ����

Cosa c’è scritto? Quasi nessuno riuscirebbe

a leggere. Anche sforzandosi, la lettura

risulterebbe lenta, perché per ogni simbolo

occorrerebbe fermarsi a riflettere a quale lettera o

suono sia associato.

Magari i partecipanti si scambiano suggerimenti,

qualcuno si ricorda un simbolo, qualcuno un altro,

cercando di mettere insieme le forze.

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Lo psicologo allora chiedere di commentare

e condividere le difficoltà.

I partecipanti probabilmente constateranno

come non sia affatto facile, anzi quasi

impossibile. Si crea un clima tra l’ironia e la

riflessione. A quel punto si può chiudere il gioco e si

inizia la fase di dopogioco, cioè la discussione.

Lo psicologo chiede: come vi siete sentiti? Cosa

avreste provato se qualcuno vi avesse detto

“impegnatevi di più? Se non ce la fate è perché non

vi state impegnando abbastanza”?.

Sono, infatti, le stesse frasi spesso

pronunciate dagli insegnanti della scuola

primaria verso i bambini dislessici, che

provocano scoraggiamento, demotivazione,

frustrazione.

Questa piccola esperienza può servire agli

adulti per empatizzare con le emozioni di un

bambino con disturbo dell’apprendimento, che

non ce la fa a leggere correttamente e velocemente,

anche se si impegna, perché non è una questione di

pigrizia.

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Anzi accusarlo di essere negligente, rischia di

peggiorare il suo sconforto.

Nella dislessia, non è in discussione

l’intelligenza, né l’impegno: essere accusati di

scarso impegno non fa che aumentare la

frustrazione.

Non si riesce ad automatizzare la lettura, come è

successo nella simulazione, e questo rende

inevitabilmente più lenta e meno corretta la lettura

ad alta voce.

Si forniscono a questo punto poche

informazioni semplici sulla dislessia e infine si

illustra cosa può fare lo psicologo nel suo

studio per aiutare i genitori e i bambini ad

affrontare la scuola con soddisfazione, ad esempio,

valutazione, interventi metacognitivi per

personalizzare il metodo di studio, sostegno

all’autostima del bambino, ecc.

Ecco un esempio di servizi che si possono

illustrare, dall’incontro a tema ai servizi in studio:

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Incontro a

tema sui

DSA

- valutazione e riabilitazione dei DSA

- supporto al metodo di studio

- supporto all’autostima

- aiuto nel rapporto scuola-famiglia

L’incontro a tema serve così a far

immedesimare i genitori o gli insegnanti in

quella situazione, a far capire cosa prova un

bambino con dislessia e cosa può fare lo psicologo

per aiutarlo, superando i pregiudizi connessi a

questa professione.

4. Esempio di incontro a tema sull’Ansia

Chi si vuole occupare di ansia, può preparare

un incontro a tema per conoscere meglio come

ciascuno viva questo disagio.

I partecipanti si dispongono in cerchio, così da

potersi guardare l’uno con l’altro e immedesimare.

Ciascuno di loro può riferire la sua

esperienza di ansia e lo psicologo annota su una

lavagna, divisa in 4 colonne, i sintomi fisiologici, i

pensieri, le emozioni e infine i comportamenti legati

all’ansia (“cosa faccio quando sono ansioso”).

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Mentre ciascuno espone, lo psicologo può

commentare o stimolare le riflessioni degli

altri.

Quando tutti avranno descritto la loro esperienza

di ansia, lo psicologo fa una sintesi di quello che è

emerso, restituisce una visione unitaria dell’ansia,

specificando che si sperimenta a diversi livelli, sia

fisiologico che cognitivo, emotivo e

comportamentale, quindi bisogna intervenire su

ciascuno di essi.

Si spiega che questi stessi sintomi, se non

eccessivamente intensi, possano essere un

segnale positivo, indicano che il corpo si sta

preparando ad affrontare una situazione, infatti

sono gli stessi sintomi che comparirebbero in

situazioni di pericolo.

Poi si può mostrare la curva di Yerkes e

Dodson, a forma di U rovesciata, dove si indica la

giusta quantità di ansia: se è eccessivamente alta,

interferisce con il comportamento, se è

eccessivamente bassa, deprime l’organismo, se è

ad una quantità intermedia, è utile a dare energia.

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Curva di Yerkes e Dodson

Quindi non sempre l’ansia è totalmente da

eliminare o azzerare, è opportuno modularne la

quantità, intervenendo sui 4 aspetti.

A questo punto si può discutere, confrontarsi,

infine lo psicologo illustrerà le varie attività per

intervenire.

Chi vuole approfondire l’argomento e

imparare a gestire l’ansia, potrà chiedere di fare

un test così da misurare il suo livello di ansia,

oppure potrà seguire un corso di psicoeducazione

per approfondire cause e aspetti vari dell’ansia,

oppure partecipare ad un gruppo sulla gestione

dell’ansia dove si impareranno tecniche di controllo

e di rilassamento o infine può richiedere un

colloquio individuale di consulenza e sostegno.

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Dall’incontro a tema, quasi sempre i

partecipanti sono interessati a proseguire e

usufruire delle attività presentate. Esempio:

Incontro a

tema

sull’ansia

- test di valutazione ansia (Es: CBA)

- 5 incontri di psicoeducazione

- colloquio di sostegno o consulenza

- gruppo di mutuo-aiuto sull’ansia

- corso sulle tecniche di rilassamento

Un ansioso infatti non sempre si rivolge

direttamente allo psicologo, per mille motivi:

ad esempio ha pregiudizi, pensa che dallo psicologo

ci vadano i matti, pensa che lo psicologo lo

stenderà sul lettino, si vergogna a dire che va dallo

psicologo, ha paura di una tariffa troppo alta,

preferisce andare dal medico e farsi dare un

sedativo, ecc.

Tutto questo non “scatta” se si tratta di

partecipare ad un incontro sull’ansia, perché

nessuno pensa di essere “matto” per questo!

Così i potenziali clienti hanno un approccio

soft, conoscono lo psicologo, entrano

nell’argomento e una volta dentro sono più

propensi ad approfondirlo con lo stesso psicologo.

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Questo è un esempio, molto schematizzato, poi

ciascuno può ideare un incontro come preferisce.

5. Esempio di gruppo di crescita personale

Se si uniscono 5 incontri a tema riguardanti

argomenti legati al benessere, si ottiene un gruppo

o un “corso di crescita personale”.

Esistono molti libri e siti che riportano giochi

a tema su argomenti di crescita personale

come autostima, creatività, comunicazione,

problem-solving.

Si tratta di giochi che sviluppano un’abilità nei

partecipanti, oppure li aiutano a focalizzarsi su

alcune abilità che possiedono, ma di cui spesso non

sono consapevoli.

L’obiettivo di questi brevi gruppi (o corsi) di

crescita personale è sperimentarsi in alcune

situazioni e migliorare le proprie abilità.

La struttura di ogni incontro è quella classica: un

gioco e poi il dopogioco. I giochi si possono

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prendere da vari libri, alcuni si possono leggere in

parte gratuitamente su http://Books.google.it.

Il corso di crescita personale è sempre

molto apprezzato dai partecipanti, proponibile

sia nel tuo studio che in palestre, centri

benessere, centri olistici, studi di naturopatia,

ecc.

Può essere un’attività adatta anche di sera o di

domenica, perché non impegna i partecipanti in

grandi riflessioni ed è appropriata anche per chi è in

vacanza, quindi si può proporre anche in agriturismi,

alberghi, terme, ecc.

Il corso di crescita personale non ha nulla di

clinico o di terapeutico.

Anzi molto spesso a fare queste attività sono

persone soltanto diplomate, oppure figure limitrofe

agli psicologi come counselor, coach, operatori

olistici e profili ambigui, che hanno “rosicchiato”

spazi che invece potrebbero benissimo essere

presidiati con competenza dagli psicologi.

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Ecco un esempio di gruppo di crescita personale

in 5 incontri:

1° incontro: chi sono. Si possono invitare i

partecipanti a fare un ritratto di sé stessi, con

matite, pastelli, colori, ecc.

Ogni ritratto viene fatto girare e ciascuno

commenta quello degli altri.

Poi ciascuno spiega il proprio autoritratto, si

discute su quello che la persona voleva rivelare di

sé e quello che il suo ritratto ha evocato negli altri.

2° incontro: comunicazione non verbale.

Lo psicologo scrive 5 bigliettini, su ciascuno scrive

un’emozione o una frase, che non sia però banale.

Ad esempio può scrivere: perplessità,

preoccupazione, ansia, rassegnazione, orgoglio, ecc.

A turno, ciascun partecipante pesca un bigliettino

e cerca di comunicare agli altri quella emozione,

soltanto con il corpo, la postura, la mimica del volto.

Gli altri devono cercare di capire di che si tratta.

Alla fine ci si confronta su quali indicatori non

verbali siano stati più significativi per indovinare

l’emozione, per capire il linguaggio non verbale

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degli altri e si discute sulla difficoltà ad esprimere le

emozioni, di riconoscere quelle degli altri e di dare il

giusto significato ad espressioni del volto e del

corpo.

3° incontro: ascolto. Lo psicologo dà ad un

partecipante un foglio in cui è disegnata una figura

come questa:

Il partecipante non deve mostrarla agli altri.

Deve solo descriverla a voce.

Gli altri devono cercare di riprodurla su un foglio,

senza fare domande o chiedere chiarimenti,

basandosi solo su come la persona la descrive. Alla

fine si confrontano i disegni, si vede come siano

spesso diversi dall’originale.

Si può riflettere quindi sulla difficoltà di

comunicare con chiarezza con gli altri, capire quello

che ci vogliono dire e si elaborano soluzioni per

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rendere più chiara la propria comunicazione ed

evitare fraintendimenti.

4° incontro: autostima. Ciascun partecipante

disegna una medaglia e all’interno i “trofei” che ha

raggiunto. Poi ciascuno esibisce la propria medaglia

e ci si confronta su tutte le esperienze positive o le

qualità positive che si sono sviluppate, riflettendo

su cosa è servito per raggiungere quegli obiettivi.

5° incontro: chi siamo. Alla fine dei 5 incontri, i

partecipanti si conoscono, dunque è opportuna una

riflessione sul percorso di gruppo svolto insieme.

Ciascuno partecipante può scrivere su un

bigliettino una qualità positiva per ciascuno degli

altri partecipanti. Poi, a turno, ciascuno legge i

bigliettini rivolti a sé.

Si riassume l’esperienza compiuta nei 5 incontri,

cosa ciascuno h scoperto di sé stesso, in cosa è

migliorato, qual è stato il momento più bello di cui

conserverà il ricordo.

Come si può notare, lo psicologo non ha

messo in gioco competenze cliniche o

terapeutiche, né conoscenze altamente

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specialistiche, poiché non ha fatto lezioni o

insegnato verità assolute.

Egli ha avuto un ruolo di “facilitatore”, attivando i

partecipanti, dando spazio e valorizzando i loro

interventi, senza interpretazioni, giudizi o consigli

“esperti”.

Ha fatto emergere esperienze e risorse di

ciascuno, che poi sono state condivise, arricchendo

tutti.

Se vuoi un supporto personalizzato per l’avvio della

professione, ho predisposto consulenze on-line, al minimo

tariffario (€ 35), per un’ora di indicazioni e suggerimenti.