Strategie per una ripresa piccola impresa, distretti, cooperazione, reti, capitale umano…

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SCUOLA DI FORMAZIONE SOCIO-POLITICA TREVISO 23 marzo 2010. Strategie per una ripresa piccola impresa, distretti, cooperazione, reti, capitale umano… da dove ripartire? Enzo Rullani Venice International University, Tedis Center T.Lab CFMT, Milano www.rullani.net. - PowerPoint PPT Presentation

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Strategie per una ripresapiccola impresa, distretti,

cooperazione, reti, capitale umano…

da dove ripartire?

Enzo RullaniVenice International University, Tedis Center

T.Lab CFMT, Milano

www.rullani.net

SCUOLA DI FORMAZIONE SOCIO-POLITICA TREVISO 23 marzo 2010

C’era una volta il calabrone che volava, a dispetto delle leggi della fisica

IL CAPITALISMO DELLE PICCOLA IMPRESA E DEI DISTRETTI

preso sul serio

enzo rullani

LA SINDROME DELL’ABBANDONO

Lo sviluppo si allontana dal capitalismo italiano

le multinazionali “fuggono” L’export e i mercati si spostano verso

paesi sempre più lontani Le grandi imprese italiane adottano

sempre più una logica globale, e non sono più identificate con il paese di origine

investimenti, domanda, profitti si spostano altroveLa sensazione prevalente è che non

siamo più nel luogo giusto per costruire il futuro

MA E’ PROPRIO COSI’?

enzo rullani

E’ ANCORA ATTUALE IL CAPITALISMO DI PICCOLA

IMPRESA?

Dire piccola impresa non basta. In realtà essa fa parte di una ecologia

retrostante:• a) lavora in filiera (specialisti che

accettano di dipendere da altri);• b) utilizza il territorio come risorsa

(conoscenze, lavoro qualificato, servizi)• c) mobilita le energie delle persone

PICCOLA IMPRESA E’ UN SISTEMA, UN ALBERO CHE STA NELLA FORESTA CRESCIUTA NEL SUO

CONTESTONON E’ L’UNICO MODO DI LAVORARE IN RETE NEL CAPITALISMO GLOBALE DELLA CONOSCENZA MA E’

QUELLO IN CUI CI SIAMO SPECIALIZZATI

enzo rullani

MA E’ SOLO DA NOI LA PICCOLA IMPRESA?

La piccola impresa è presente in tutti i capitalismi industriali del mondo ma da noi più che altrove

Le piccole imprese oggi esistenti nei diversi paesi sono il frutto di una selezione avvenuta nella storia: una volta tutti i capitalismi erano di piccola impresa (poi … è arrivato il fordismo)

Ma la piccola impresa non è una struttura che appartiene al passato: ha anch’essa un futuro e non solo in Italia

 

Quota dell’occupazione nelle imprese con più di 500 addetti (industria manifatturiera) - censimenti

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Germania Italia Francia Regno Unito Stati Uniti

Quota dell’occupazione nelle imprese con meno di 100 addetti (industria manifatturiera) - censimenti

  Negli Stati Uniti le grandi imprese fordiste (in crisi) affrontano le difficoltà con robuste cure di dimagrimento (downsizing) e il ricorso a fornitori esterni (outsourcing). Prendono corpo le:

• imprese estese (con larghe filiere a monte a a valle);

• la specializzazione su uno specifico core business;

• la flessibilità operativa che porta le decisioni “in linea” e riduce il peso del corporate centrale e dà maggiori margini di autonomia alle SBU (strategic business units)

• prende avvio la new economy (anni novanta), ad opera di molti nuovi imprenditori che partono dalla piccola dimensione iniziale e si sviluppano rapidamente

LA GRANDE IMPRESA DIVENTA POST-FORDISTA, OSSIA “LEAN”, LEGGERA, RAPIDA NEL SEGUIRE

IL MERCATO

DOPO LA FINE DEL FORDISMO ANCHE L’AMERICA SI ADEGUA: LA PRODUZIONE A RETE DIVENTA COSI’ UN

MODELLO GENERALE

E IN ITALIA? ABBIAMO FILIERE PIU’ DEGLI ALTRI, CENTRATE SU MEDIE

IMPRESE

Le 4.000 medie imprese italiane sono imprese-rete: acquistano dall’esterno l’80% di quanto fatturano (tra materie prime, energia, licenze, componenti, lavorazioni conto terzi, servizi), in gran parte da fornitori stabili

DUNQUE è sbagliato contrapporre piccole e grandi (medie) imprese, perché non fanno parte di due economie differenti, ma della

stessa economia di filiera.

Poi venne la crisi ……..

Sovvertendo i fondamentali

IL VALORE?

chi era costui?

L A CRISI HA FATTO EVAPORARE I VALORI

• Quello che valeva 100 ha perso valore non essendoci nessuno disposto a comprarlo (eccetto lo Stato)•La caduta si è fermata a 80, a 50, a 10 o è proseguita sino a 0

•I cosiddetti “titoli tossici” sono tali non perché contengono promesse di profitto o impegni a pagare che si comincia a pensare non verranno mantenuti

• Dunque il valore dipende dalla credibilità delle promesse e degli impegni fatti per il futuro e tradotti nel presente dal mercato (ovvero da altri)

LA DOMANDA DA CUI, IN ECONOMIA, TUTTO COMINCIA E A CUI TUTTO

RITORNA

• Il valore del prodotto (per l’impresa che lo produce e per il consumatore o per l’utilizzatore industriale che lo impiega)

• il valore del lavoro (per l’impresa che lo impiega e per il lavoratore che fornisce la sua prestazione)

• il valore dell’impresa (per l’imprenditore e per chi lo finanzia)

• il valore dei legami (per chi si trova a dipendere da altri)

• il valore della comunità (per gli appartenenti)

• il valore della rappresentanza (per chi la fa)

DA COSA NASCE IL VALORE?

• Il valore di una cosa dipende dal suo costo di produzione e dalla utilità delle prestazioni future che si avranno con l’uso di quanto prodotto

• Quando il costo di produzione è costante e uguale al costo di riproduzione – COSA CHE ACCADE PER LA FABBRICAZIONE DEI BENI MATERIALI CHE USANO L’ENERGIA DEL LAVORO MANUALE – il valore è ancorato al costo di riproduzione. Le utilità percepite dalla domanda influiscono sulla quantità prodotta e non sul prezzo

• la domanda rimane importante per le risorse naturali (terra, petrolio, acqua, aria, ambiente ecc.), che esistono in quantità prefissate (riserve), la cui offerta è difficile e costoso aumentare con metodi artificiali

FA ECCEZIONE LA CONOSCENZA che ha un costo di riproduzione pari a zero o comunque molto inferiore al costo di (prima) produzione: nel caso della conoscenza, IL VALORE DIPENDE UNICAMENTE DALLE UTILITA’

FUTURE, distribuite nella filiera a seconda della INSOSTITUIBILITA’ degli attori coinvolti

LA CONOSCENZA, UN VALORE NEL FUTURO

Il valore è il prodotto di n, v, p

V = n v* pi

n = MOLTIPLICATORE numero dei ri-usi della stessa conoscenza (replicazioni o innovazioni di uso

v* = EFFICACIA valore d’uso unitario medio (utilità generata da ogni ri-uso)

pi = QUOTA DISTRIBUTIVA O PROPRIETARIA (%) coefficiente dello specialista i = quota del valore generato dalla filiera complessiva che viene assegnata allo specialista i in base ai prezzi di scambio o per decisione concordata

LA NOVITA’ ASSOLUTA DELLA MODERNITA’ E DELLE SUE TENDENZE RECENTI

(globalizzazione, smaterializzazione) STA NEL MOLTIPLICATORE n

che può aumentare di 100, 1.000 o 1 milione di volte il valore prodotto da ogni ora di lavoro,

ossia la produttività del lavoro

Quanta parte dell’economia risponde al principio del moltiplicatore?

Oggi il 100%

Infatti il lavoro cognitivo tende al 100% (rispetto al lavoro energetico): oggi tutte le imprese (anche le piccole) producono valore convertendo il valore in conoscenza e la conoscenza in valore

In certi casi, tuttavia, il moltiplicatore riduce il suo effetto perché bisogna tenere conto dei costi di riproduzione e propagazione (che possono essere importanti se le conoscenze non sono codificate)

In ogni caso il problema chiave è: come produrre valore sfruttando bene la

conoscenza di cui si dispone

LA MODERNITA’ mette al centro del sistema economico e sociale la CONOSCENZA RIPRODUCIBILE che ha grandi moltiplicatori in tutti i campi in cui è possibile. Ciò rende astratto il lavoro, spersonalizza le aziende, standardizza i prodotti e artificializza il mondo

Affidando il mondo a TECNOLOGIE, MACCHINE e AUTOMATISMI impersonali (calcolo, mercato, procedure organizzative, norme generali e astratte) aumenta notevolmente la produttività media per ora lavorata

Quando non è possibile astrarre e codificare, si usa anche CONOSCENZA CONTESTUALE (ad hoc) legata a specifiche capacità, a singole persone o a singole situazioni: costa molto ma gestisce la complessità con l’intelligenza fluida delle persone e delle comunità, consentendo al moltiplicatore n di crescere senza danno

IL VALORE E’ STATO TRASLATO DAL PRESENTE (costo di riproduzione) AL FUTURO (utilità attese

o, meglio, sperate)

Non è sempre stato così: E’ LA MODERNITA’ CHE HA CAMBIATO IL CONCETTO DI VALORE

LA PRODUZIONE MODERNA VEDE IL MONDO COME UN SISTEMA NON STABILE, MA IN CONTINUA TRASFORMAZIONE AD OPERA DELL’UOMO

Il valore assegnato alle cose esprime una SCOMMESSA SUL FUTURO

• la tecnologia in vista di un risultato tecnico futuro

• l’investimento industriale in vista di un profitto futuro

• il finanziamento in vista di un reddito futuro

QUESTA DERIVA DIVENTA UN’ONDA LUNGA E POI UNO TSUNAMI QUANDO LA PRODUZIONE

SI SMATERIALIZZA

mettendo in circolazione idee virtuali, separate dal processo o dal prodotto materiale in cui

verranno poi (dopo la moltiplicazione) tradotte

LA VERTIGINE DI UN VALORE CHE non è definito nel presente ma RIMANDA AD UN FUTURO

POSSIBILE E CONDIVISO

IL FUTURO MODERNO E’ INCERTO IN MODO RADICALE. DI CONSEGUENZA

NON SI PREVEDE, SI FA

• la valutazione del futuro può essere CONDIVISA

• in questo modo il suo VALORE può essere misurato, contrattato e scambiato

• prendendo impegni reciproci la società moderna distribuisce il RISCHIO del futuro

SE IL VALORE E’ INSTABILE E’ PERCHE’ C’E’ UN DEFICIT DI CONDIVISIONE IN TUTTI I CASI IN CUI SI ALLENTANO I LEGAMI TRA LE PERSONE E TRA

LE IMPRESE

COME SI AFFRONTA L’INCERTEZZA DEL FUTURO?

Nel primo capitalismo questa valutazione condivisa era affidata a un automatismo: il MERCATO che somma tante visioni e aspettative individuali nel prezzo

Nel fordismo del novecento era affidata alla PROGRAMMAZIONE degli esperti e alla NEGOZIAZIONE tra i rappresentanti sociali che formulano una previsione e un piano

Nel postfordismo CAMBIA TUTTO: la globalizzazione ha lasciato mano libera al mercato (globale), e ridotto gli spazi del programma e della negoziazione (nazionali)

E’ saltata la CONDIVISIONE ORGANIZZATA

MA CHI ORGANIZZA LA CONDIVISIONE DELLA SCOMMESSA?

Il futuro che si fa è un processo di ESPLORAZIONE del nuovo in vista di un possibile risultato

Ci sono i singoli esploratori, che devono AVERE UN’IDEA E CREDERCI

Ci sono le mappe del tesoro e del territorio che hanno ricavato da altri precedenti esploratori

Non vanno avanti da soli ma in carovana (altrimenti gli indiani …)

Ogni giorno misurano (con i BILANCI e col CONTROLLO DI GESTIONE) il cammino fatto e aggiustano le valutazioni del futuro

Strada facendo vendono i diritti della futura miniera e la quotano in borsa, fanno contratti di lavoro e di impresa che redistribuiscono TRA LORO il rischio

MA IL RISCHIO RIMANE E IL VIAGGIO VA FATTO, NON BASTA SIMULARE IL FUTURO AL COMPUTER

O PROMETTERLO SUI TITOLI FINANZIARI

La fonte del valore: LA MINIERA D’ORO

VIVERE CON LA CRISI

senza farsi (troppo) male

La crisi rende invisibile e incredibile la miniera d’oro che sta dietro la collina

e allora ……

• anni ’70 dopo il “miracolo economico” (anni ’50-’60) la golden age del fordismo finisce con la crisi petrolifera, il dollaro che si svaluta, l’autunno caldo, la grande inflazione ecc.

• anni ‘80 la crisi si trasferisce in America, mentre Italiani e Giapponesi sfruttano la situazione per proporre un modo di produrre flessibile

• anni ‘90 in Italia abbiamo la crisi della lira (inizio decennio), ma poi l’economia riparte sulla scia della new economy , con crescita accelerata dei valori delle dot.com e tonfo finale

• anni duemila: Twin Towers, crisi politica da globalizzazione conflittuale con spinta recessiva di aggiustamento degli squilibri internazionali

• 2008-2009 crisi finanziaria (subprime, Lehman), dopo la grande crescita dei valori immobiliari e finanziari, con conseguenze recessive gravissime fino ad oggi

La crisi non è un evento eccezionale, ma ricorrente: ogni boom prepara lo sboom

LA CRISI ESPRIME LA NATURA INSTABILE DEL CAPITALISMO GLOBALE DELLA CONOSCENZA dovuta a:

1. globalizzazione = aumenta di 3-4 volte i moltiplicatori di valore nell’uso della conoscenza e rende accessibili una gamma enorme di differenze di costo, di competenza e di capacità, tra i diversi paesi (Cina, India, USA ecc.)

2. Smaterializzazione = aumenta il valore delle idee “liberandole” dal prodotto, dall’azienda, dal settore, dal luogo in cui sono prigioniere e facendole rapidamente propagare e adottare in una pluralità di usi

Questo ENORME potenziale di valore è la base su cui si sta costruendo il capitalismo globale della conoscenza: le nostre imprese e il nostro sistema produttivo hanno un futuro se si mettono in condizione di sfruttare questo potenziale

L ‘ECONOMIA DELLA CONOSCENZA E’ CAUSA DELLA CRISI MA E’ ANCHE IL SUO RIMEDIO

La forza dello tsunami

La crisi ha almeno tre facce che si sovrappongono ma non vanno confuse (perché i rimedi sono diversi):

1.Crisi di DOMANDA (da interdipendenza non governata)

2.Crisi di COMPETITIVITA’ (da riposizionamento incompiuto)

3.Crisi da INSOSTENIBILITA’ (da crescita dissipativa, che non riproduce le sue premesse)

Le tre crisi hanno tempi e rimedi diversi: la prima va affrontata nell’immediato, al seconda in un arco di 10 anni, la terza in un arco di 50 anni. Ma, sommandosi, sono tutte e tre fonti di instabilità

Tre crisi in una

La crisi da domanda nasce dalla creazione di interdipendenze non governate:

1.L’economia di mercato (mano invisibile) espande continuamente queste interdipendenze, a scala sempre più ampia (risparmiatori-banche-investitori, idee che fanno il giro del mondo, fornitori-clienti, supply chain globali, immigrazione): il mercato troppo esteso e differenziato diventa alla fine OPACO

2.La globalizzazione si è sviluppata in uno spazio non regolato (oltre i confini nazionali) in cui c’è economia globale ma non stato. In questa regione virtuale le “regole” arretrano o sono ignorate, cosicchè anche la mano visibile dello Stato regolatore non disciplina più i mercati

1. Crisi di domanda

Quando le cose vanno bene, l’interdipendenza non governata produce e distribuisce profitti

Ma quando vanno male, scatta il gioco del cerino: tutti cercano di scaricare il problema sugli altri e in questo modo lo aggravano:

1.SOVRACAPACITA’ (crollo dei prezzi)2.PERDITE di bilancio (credit crunch)3.LICENZIAMENTI e rottura della

FILIERA (depressione generale)Se una famiglia riduce il suo reddito del

3% o anche del 10% non è un dramma: ci si siede intorno ad un tavolo e ci si impegna ciascuno a fare i sacrifici che toccano, su una base di equità

SI REAGISCE RINSALDANDO I LEGAMIMa se tutti giocano al gioco del cerino

la crisi diventa un dramma e si amplia sempre di più

Il gioco del cerino: primum vivere ….

Il gioco del cerino propaga la crisi e la rende più ampia e difficile da curare

LA CRISI DI DOMANDA, TUTTAVIA, E’ PER SUA NATURA TEMPORANEA E SI PRESTA PERCIO’ A RIMEDI CHE SONO ANCH’ESSI TEMPORANEI:

A)COMPORTAMENTI ANTICICLICI adottati da un correttore in ultima istanza, privo di vincoli, (lo Stato) = MA A LIVELLO GLOBALE NON C’E’

B)RECUPERO DELLA GOVERNANCE nei singoli sottosistemi sulla base dei LEGAMI (distretto, filiere, città, Stati nazionali), favorendo assunzioni di responsabilità collettiva e condivisione dei costi e dei rischi, con impegni reciproci di comportamento futuro

Come contenere la recessione

Per uscire dalla crisi di domanda bisogna recuperare la capacità di governance sulle interdipendenze = LEGAMI DI RETE

La rete è la forma di coordinamento necessario per gestire la produzione, lo scambio e l’uso della conoscenza

Nella rete si rimane autonomi, ci si specializza ma la condivisione delle conoscenze avviene entro la cornice di una relazione di reciproco interesse a favorire l’apprendimento degli altri e a rendere durevole il rapporto

La rete non è né puro mercato (indipendenza) né pura gerarchia (dipendenza), ma una forma dialogica di interdipendenza

Se mercato e Stato non bastanoLA RISPOSTA E’ L’AUTO-ORGANIZZAZIONE a RETE

2. Crisi di competitività

• Nel riposizionamento competitivo, la crisi ha colpito il made in Italy a metà del guado, ossia a metà percorso: si tratta di non perdere la bussola e di completare il processo

• negli anni 2006-07 erano aumentate le esportazioni, avevano trovato nuovi sbocchi (Russia, Medio Oriente, Europa dell’Est) e soprattutto erano aumentati notevolmente i prezzi medi all’export

POI E’ ARRIVATA LA GRANDE GELATA E NON SAPPIAMO PIU’ SE ARRIVEREMO

SULL’ALTRA SPONDA

La crisi finanziaria ha reso più difficile fare gli investimenti necessari alla transizione:

aumenta l’incertezza sul futurola domanda mondiale flette e

molti paesi entrano in recessione si riducono le linee di credito

bancarie e l’accesso alla borsa a condizioni convenienti

Le imprese si concentrano sulla sopravvivenza e mettono in pausa l’innovazione, aspettando tempi migliori

MA E’ DAVVERO POSSIBILE STARE FERMI?

Ma non bisogna smettere di innovare

 

Comparazione dei livelli salariali tra diverse aree concorrenti nell’economia globale di oggi*

Svezia 28,7 Portogallo 6,0Germania 27,1 Turchia 5,2Giappone 24,4 Rep. Ceca 4,5USA 24,3 Ungheria 4,3Francia 20,9 Argentina 4,1ITALIA 18,0 Brasile 3,4Spagna 16,7 Messico

3,0Corea 16,4 Polonia 2,5 ___________________Cina 2,0 Sudafrica 2,2Romania 1,7 Marocco 2,1India 0,5 Tunisia 1,5

* salari orari pagati da una nota multinazionale che opera in 23 paesi diversi (Zaghi, Nomisma 2004)

Fino alla crisi aumenta l’OCCUPAZIONE, ma non LA PRODUTTIVITA’ (quantità versus qualità)

• dal 2001 all’ottobre 2008, l’occupazione era in crescita in Italia

• ma non cresceva la produttività (il valore aggiunto pro-capite)

• nella manifattura questo vuol dire che i prezzi e i margini sono ridotti e che le quantità non possono crescere più di tanto se si riducono le quote di mercato

• nei servizi il problema della produttività è tuttora irrisolto (troppa regolazione, domanda non qualificata, tecnologie poco usate, permeabilità dal basso, innovazioni che non si propagano)

Il problema irrisolto

BISOGNA FAR RENDERE DI PIU’ OGNI ORA DI LAVORO INVESTITO NELLA PRODUZIONE DI CONOSCENZA

NON SOLO CON LA TECNOLOGIA ma

con INNOVAZIONI DI USO, che generano CONOSCENZE ORIGINALI nell’organizzazione, nel significato, nelle esperienze, nei servizi personalizzati

moltiplicando usi e valore tratto da queste conoscenze attraverso la loro propagazione in RETI AMPIE E ESCLUSIVE (reti di vendita, di approvvigionamento, di ricerca)

anche le imprese piccole fanno parte di sistemi più grandi (gruppi, filiere,

territorio)

Come aumentare la produttività? Usando bene la conoscenza

3. Crisi di sostenibilità

E’ insostenibile ogni processo che non è in grado di rigenerare le proprie

premesse (feed back negativo)Oggi, in Italia, possiamo vedere l’insostenibilità di due processi:1)lo sviluppo degli ultimi 30 anni ha consumato le sue premesse in termini di disponibilità di lavoro, di spazi, di strade, di ambiente disponibile2)questo è avvenuto perché anche la crescita degli ultimi trenta anni è avvenuta secondo lo schema lineare e dissipativo tipico della modernità (le scelte sono delegate ad automatismi specializzati nel presidiare certe prestazioni senza curarsi del resto (scienza, tecnologia, mercato, calcolo, procedure organizzative, norme giuridiche)

Oggi, insostenibilità = instabilità

Ci sono fattori strutturali che rendono instabile il capitalismo di oggi: le crisi diventano un fatto ricorrente che non si può affrontare con misure straordinarie

la globalizzazione, mettendo sul mercato Cina, India, Russia ecc., genera macrocambiamenti che non è in grado di governare (differenze nei costi del lavoro, aumento della domanda di materie prime e di cibo, inquinamento ambientale)

i valori relativi alla conoscenza e agli assets immateriali sono basati non sull’esistente (costi di riproduzione) ma su attese del futuro che possono fluttuare senza limiti

La società del rischio è tra noi L’instabilità genera una condizione di rischio diffuso che non possiamo limitarci ad affrontare ex post con rimedi eccezionali (interventi dei governi, ammortizzatori sociali) IL RISCHIO DEVE INVECE ESSERE CONSIDERATO EX ANTE = costruire le ISTITUZIONI DEL CAPITALISMO FLESSIBLE Ossia: un sistema di relazioni e di regole che è in grado di distribuire e condividere il rischio nel suo normale funzionamento

flessibilità dei sistemi produttivi, prezzi e compensi legati ai risultati (filiera flessibile),

contratti di partnership col lavoro, partecipazione di fornitori, clienti, professionisti,

banche a progetti di innovazione condivisa

Fast capitalism addio

• la produzione di valore deve uscire dalla traiettoria della crescita lineare (dissipativa) • per organizzare un processo di sviluppo di tipoRIFLESSIVO = uno sviluppo che sia in grado di rigenerare le proprie premesse materiali, competitive e motivazionali per cui

1) prendono valore le idee prima che i prodotti materiali, e attraverso le idee diventa importante produrre e vendere il loro significato per l’ambiente, per gli stili di vita, per le comunità di appartenenza2) il metodo riflessivo impone interazione nella filiera e nel territorio, responsabilità = imprenditorialità collettiva

VERI E FALSI RIMEDI

LE STRATEGIE PROPOSTE SONO IN GRADO DI REALIZZARE QUESTO PASSAGGIO ESSENZIALE?

VEDIAMO LE ALTERNATIVE IN CAMPO

1. RI-REGOLAZIONE?

2. RITORNO AL PASSATO?

3. AUTO-ORGANIZZAZIONE?

L’economia è diventata globale, lo Stato è rimasto nazionale

Ciò rende il mondo interdipendente senza che ci siano gli strumenti per governare tale interdipendenza perché:

Il mercato perde il regolatore in ultima istanza

IL conflitto distributivo principale diventa quello TRA PAESI

Non c’è un processo di rappresentanza e di negoziazione forte da utilizzare per mediare questo conflitto

di qui l’INSTABILITA’ e il MANCATO COORDINAMENTO dimostrati nella gestione

di problemi strutturali (cibo, petrolio, dumping, brevetti) e speculativi (bolla finanziaria)

La globalizzazione indebolisce la regolazione e la negoziazione fordista a livello degli Stati nazionali

Ri-regolazione?

Con la crisi finanziaria, tornano di moda

ECONOMIA REALE, STATO IMPRENDITORE, BANCA LOCALE, IMPRESA FAMILIARE, PRODOTTI MATERIALI

MA ATTENZIONE ALLA NOSTALGIA

CHE INGESSA IL MONDO SULL’ESISTENTE

Globalizzazione e smaterializzazione non si

arresteranno perché da esse dipende la possibilità di estrarre valore dalla conoscenza. Per produrre il futuro servono dunque

immaginazione, condivisione e coordinamento dal basso e soprattutto innovazione

Ritorno al passato?

Le imprese sono immerse in un ambiente instabile (capitalismo globale della conoscenza) in cui devono continuamente rigenerare i propri vantaggi competitivi

Gli automatismi (mercato ri-regolato) o le rendite di posizione (ritorno al passato) non salvano dall’instabilità, che nasce dal tentativo di moltiplicare il potenziale di valore implicito nel capitalismo globale della conoscenza

Bisogna costruire le istituzioni e relazioni della flessibilità organizzata, ossia un sistema che è in grado di vivere in un ambiente instabile

LE RISORSE CHIAVE SONO L’INTELLIGENZA FLUIDA DELLE PERSONE E I LEGAMI DI RETE

La leva principale è un’altra: l’auto-organizzazione ottenuta

dall’intelligenza delle persone che costruiscono reti

LA CRISI CI ANNUNCIA CHE il mondo cambia …..

Il nuovo paradigma: il CAPITALISMO GLOBALE DELLA

CONOSCENZALA FASE DISTRETTUALE E’ STATA UNA

FASE DI TRANSIZIONE: ADESSO IL POSTFORDISMO STA PRENDENDO

FORMAI nuovi punti cardinali:

1. complessità 2. conoscenza 3. reti

IL DRIVER DELLA TRASFORMAZIONE E’ LO spostamento della conoscenza e della crescita verso i paesi low cost

Viviamo in un mondo a COMPLESSITA’ crescente

PERDITA DI CONTROLLOsui processi

avviati

Circuiti che AMPLIFICANO

e energie LATENTI

Cresce la COMPLESSITA’Ossia

la VARIETA’, la VARIABILITA’ e l’INDETERMINAZIONE del mondo

Paesi emergenti(Cina, India, …)

Finanza

Mass mediaMode, stili di vita

Tecnologia

Dal mondo dei BISOGNI

a quello dei DESIDERI

Libertà soggettiva di

scelta

Per fronteggiare la complessità, usiamo la CONOSCENZA : in due forme diverse

La conoscenza ORDINA il mondo per renderlo

REPLICABILE

La conoscenza GENERA NUOVI MONDI aumentando

lo SPAZIO DELLE POSSIBILITA’

SI IMPARA A VIAGGIARE SULL’ORLO DEL CAOS

ALTERNANDO REPLICAZIONE E CREATIVITA’

Intelligenza tecnica

MACCHINE

Intelligenza fluidaPERSONE

PER GENERARE VALORE, AUMENTANDO LA PRODUTTIVITA’, SERVONO SOPRATTUTTO:

1)IDEE ORIGINALI non solo per innovare le tecnologie ma per fare le innovazioni d’uso, creare significati, costruire idendità nuove

2) CANALI DI PROPAGAZIONE rapidi e affidabili che diano ACCESSO alle conoscenze altrui e che allarghino il BACINO DI USO di quelle idee

3)MEZZI DI DIFFERENZIAZIONE E DI CONTROLLO su idee e canali che rendano RICONOSCIBILE il proprio apporto e che riducano le possibilità di l’IMITAZIONE

Le risorse critiche

LA RETE e’ importante non in sé, ma perché MOLTIPLICA IL VALORE DELLE

IDEE

La rete è un circuito di divisione del lavoro che consente lo scambio e la condivisione della conoscenza, in modo da permettere:

• La SPECIALIZZAZIONE (piccole imprese che nascono con limitate competenze e limitato capitale)

• L’aumento del NUMERO DEI CLIENTI (economie di scala, nicchie globali)

• L’accesso ad un sapere esterno molto DIFFERENZIATO E DUTTILE (outsourcing) senza immobilizzarsi in sunk costs che irrigidiscono

Su ogni 100 euro di fatturato le medie imprese italiane acquistano 81 euro di prodotti, lavorazioni e conoscenze dall’esterno

Che cosa è in sostanza una RETE: la trama su cui la conoscenza si propaga

COMUNICAZIONEinterpreta la conoscenza

che cambia contesto

LOGISTICATrasferisce la conoscenza nello spazio e nel tempo

Diritti di proprietà, contratti, consorzi, fiducia, reciprocità, dono

Trasporti, Stocks, ICT, Internet

GOVERNANCERegola i diritti e i doveri

dello scambio o della condivisione

Linguaggi, significati e codici condivisi

Bassa complessità

Intelligenza tecnica

Rete proprietaria

CAPITALISMO DELLE PIRAMIDI

                          

Nuovi occhi scoprono una nuova logica

Alta complessità

Intelligenza fluida

Rete aperta

CAPITALISMO DELLE RETI

Un vero viaggio di scoperta non è visitare nuovi luoghi ma avere nuovi occhi

Marcel Proust

Che cosa diventa l’impresa?PICCOLA O GRANDE – non importa - DIVENTA

IMPRESA RETE

TRE MODELLI DI BUSINESS CHE GENERANO VALORE MEDIANTE LA

CONOSCENZA

Impresa efficiente SOLUZIONI REPLICABILI, VOLUMI, MINORI COSTI

= intelligenza tecnica incorporata nelle macchine, negli standard, nel software, nelle

norme

Impresa flessibile NICCHIE + VELOCITA’ DI RISPOSTA AL MERCATO

= intelligenza fluida che sfrutta le capacità adattive degli uomini e delle comunità

Impresa creativaCREAZIONE DI SIGNIFICATI, DI ESPERIENZE COINVOLGENTI, DI IDENTITA’ = intelligenza fluida capace di immaginare possibilità de

linguaggi nuovi

Se il mondo cambia, non possiamo restare fermi, o

tornare indietro

 

COME ERAVAMO

ACCESSOMacchine,

Lavoro specializzato,

imitazione

MOLTIPLICAZIONEDistretti,

catene di subfornitura

CREATIVITA’Flessibilità, piccole serie

Creatività personale

Conoscenze informali sedimentate nei luoghi

 

OGGI: serve una diversa ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

ACCESSOLinguaggi formali,

Ricerca, reti lunghe

MOLTIPLICAZIONEReti globali aperte

a monte e a valle, Marchi,

Investimenti commerciali

CREATIVITA’Ambiente metropolitano,

Comunità epistemiche

Multiculturalità

Che cosa manca (e rimane da fare)

Ri-generare le competenze per lavorare in rete

ACCESSO CREATIVITA’ MOLTIPLICAZIONE

Linguaggi Apertura Reti aperte di

formali mentale outsourcing

Ricerca Sistema me- ICT e social net- diffusa tropolitano works

Comunità Comunità Modularità dei professio- epistemi- prodotti e nali che delle compe tenze

Il punto critico:

AUMENTARE L’INVESTIMENTO IN:

• Capitale intellettuale = conoscenza: ricerca, istruzione, formazione, esperienza, brevetti

• Capitale relazionale = reti: comunicazione, logistica e garanzia

CHI FARA’ QUESTI INVESTIMENTI?

Lo stato (ricerca, scuola, …) = ma il bilancio pubblico non consente di fare troppo

Le famiglie (istruzione) = ma conviene?

L’impresa (R&S, competenze, reti, marchi, brevetti …) = ma solo se il turnover si riduce e se diventa possibile una carriera interna

Il lavoratore (learning by doing, formazione, carriera, comunità professionale) = ma solo se il contratto di lavoro lo permette e se ci sono garanzie sul riconoscimento delle competenze acquisite in termini di occupabilità futura (certificazione delle competenze, comunità professionali)

NUOVA FINANZA CERCASI

disperatamente

La finanza distrettuale è stata caratterizzata da.

Scarsità cronica di capitale di rischio, dovuto alla limitata dotazione di partenza e alla successiva accumulazione (profitti reinvestiti)

Sovrapposizione del patrimonio familiare e aziendale (famiglia ricca, azienda povera) con distorsioni fiscali e finanziarie

Sottocapitalizzazione delle imprese, con una pluralità di finanziamenti bancari garantiti non da un business plan credibile ma da garanzie reali

Investimenti materiali in capannoni e in macchinari, con pochi investimenti in assets immateriali

L’OSSATURA FINANZIARIA DEL CAPITALISMO DELL’IMPRESA DIFFUSA: TANTE DEBOLEZZE (note) ……

La finanza della piccola impresa diffusa nelle filiere e nei distretti industriali si è caratterizzata però anche per due differenze di pregio:

la capitalizzazione distribuita realizzata attraverso il frazionamento dell’investimento complessivo tra molti specialisti della filiera

la condivisione del rischio, sia pure involontaria, a livello di filiera e di territorio

IN AMBEDUE I CASI SI PONE UN PROBLEMA DI GOVERNANCE DELLA

FILIERA E DI IDENTITA’ COLLETTIVA DEL DISTRETTO

….. E DUE DIFFERENZE DI PREGIO

(poco visibili e poco note)

Le imprese possono far fronte ai nuovi fabbisogni dell’investimento in capitale intellettuale e relazionale in diversi modi:

specializzando ulteriormente la filiera, e ricorrendo per le nuove funzioni alla capitalizzazione distribuita (imprese di servizi che vendono conoscenze e relazioni alle altre)

allargando l’azionariato con nuovi soci, venture capital, private equity, quotazione in borsa

coinvolgendo la banca nel finanziamento a rischio o nel credito a lungo termine di una idea di business

IL PROBLEMA E’ COME VALUTARE CORRETTAMENTE I RISCHI (condivisi) IN

UN SISTEMA DI PRODUZIONE A RETE

RICERCARE NUOVE FORME DI CAPITALIZZAZIONE DISTRIBUITA

Il rischio oggettivamente condiviso richiede forme di governo dell’interdipendenza che oggi però non bastano più. Bisogna passare alla progettualità consapevole, che guarda in avanti.

-assumendo progetti e impegni comuni a più produttori del distretto o della filiera (Consorzi, Confidi, Reti)

-Organizzando l’emissione di bond che quotano il rischio collettivo di una certa rete di produttori

-aumentando la trasparenza dei bilanci, anche ai fini del rating

-facendo partecipare al rischio lavoratori e managers

ORGANIZZARE LA CONDIVISIONE CONSAPEVOLE DEI RISCHI DA ASSUMERE

1)prima di tutto devono fare bene il loro mestiere, che è quello di valutare

correttamente il rischio imprenditoriale,conoscendo direttamente le

imprese, le persone, il settore e il territorio nella loro individualità,

2)sono un indispensabile appoggio nel presidio dei mercati esteri, svolgendo funzioni di garanzia e informazione a

vantaggio delle imprese clienti3)possono diventare meta-organizzatori del

passaggio generazionale, dell’allargamento societario, delle innovazioni di filiera o di distretto,

Anche se crescono, diventando banche grandi e globali, per fare queste cose

non devono comunque perdere il rapporto col territorio

E LE BANCHE? (last but not least …)

LA QUESTIONE CHIAVE:

IL RISCHIO DEI PICCOLI

 

IL RISCHIO DEL PICCOLO NON E’ SOLO EFFETTO DELLA SUA DEBOLEZZA ….

MA E’ ANCHE SPESSO DOVUTO ALLA DISPONIBILITA’ AD ESPLORARE SENTIERI

NUOVI E POCO BATTUTI

non per una speciale attitudinema perché fa di necessità virtù

•Il piccolo è flessibile rispetto alle esigenze del cliente, nel senso che – non potendo perderlo –

promette miracoli e spesso li fa

• Nell’economia della conoscenza i business di successo emergono da alcune idee originali,

a cui vengono applicati grandi moltiplicatori

 

MA ATTENZIONE: C’E’ RISCHIO E RISCHIO

CHE VUOL DIRE VALUTARE IL RISCHIO? E SOPRATTUTTO QUALE RISCHIO?

• il rischio, per l’imprenditore, non è un male da evitare ma un passaggio (difficile) da attraversare per scoprire potenziali di valore che rimangono preclusi a chi non

intraprende il viaggio di scoperta

• ma la banca pensa soprattutto al rischio di perdere perché se le cose vanno bene

guadagna solo il tasso di interesse, se vanno male perde tutto

PERCHE’ LA BANCA SIA UN FATTORE PROPULSIVO PER LE PICCOLE IMPRESE DEVE METTERSI IN GRADO DI VALUTARE ANCHE IL RISCHIO DI

GUADAGNARE, NON SOLO QUELLO DI PERDERE

 

SI FA PRESTO A DIRE QUALITA’

Gli indicatori quantitativi non sono tutto.

Ma come si valuta la qualità del rischio assunto?

Nelle piccole imprese che lavorano, sotto la guida di un imprenditore-persona, e in

modo informale e con rapporti interpersonali il rischio dipende da elementi qualitativi che difficilmente possono essere catturati da un indice

oggettivo e numerico

Spesso anche i dati formali di bilancio non corrispondono strettamente alla realtà

La qualità del rischio imprenditoriale si può ricavare solo dalla conoscenza

diretta della unicità delle persone e del contesto a cui appartengono

 

RIMUOVERE LA DOPPIA DIFFIDENZA

• Il creditore, in realtà, è interessato a prevenire le perdite, più che a scommettere sui guadagni delle imprese finanziate: in questo modo la sua maggiore influenza tende a scoraggiare lo sviluppo di idee nuove realmente nuove (fuori norma)• Questo genera una doppia diffidenza: dell’impresa verso la banca e della banca verso l’impresa • Bisogna mettere la banca in condizione di scommettere sul successo dell’impresa, passando dalla posizione di creditore a quella di investitore a rischio

Prendendo rischi si impara anche a valutarli, specie se le valutazioni

riguardano situazioni uniche

GRAZIE PER L’ATTENZIONE

Per chi volesse approfondire i temi trattati:

• Rullani E. (2004), La fabbrica dell’immateriale, Carocci, Roma

• Bonomi A., Rullani E. (2005), Il capitalismo personale. Vite al lavoro, Einaudi, Torino

• Rullani E. (2006), Dove va il Nordest. Vita, morte e miracoli di un modello, Marsilio, Venezia

• Plechero M., Rullani E. (2007), Innovare. Re-inventare il made in Italy, Egea, Milano

• Prandstraller F., Rullani E. (2009), Creatività in rete. L’uso strategico delle ICT per la nuova economia dei servizi, Angeli, Milano

SITO: www.rullani.net