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Corte Suprema di Cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo - Servizio Penale
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CAPITOLO III
LE SEZIONI UNITE E IL SISTEMA TABELLARE IN MATERIA DI
STUPEFACENTI. L’OFFERTA DI SOSTANZA DROGANTE
(Matilde Brancaccio)
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Incostituzionalità della legge n. 49 del 2006 e rilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente alla sua entrata in vigore. – 2.1. La questione sottoposta alle Sezioni unite ed i principi affermati: sintesi. – 2.2. Le Sezioni unite si confrontano con la questione delle conseguenze sugli illeciti penali aventi ad oggetto le sostanze introdotte in tabella per la prima volta da una legge incostituzionale. – 2.3. La soluzione adottata. – 3. I presupposti per la configurabilità della condotta di offerta di sostanze stupefacenti: Sez. un. N. 22471 del 26 febbraio 2015, Sebbar. – 3.1. L’offerta di stupefacente e le condizioni per la sua configurabilità come reato.
1. Premessa.
Nell’anno 2015 si sono manifestati in tutto il loro rilievo giuridico gli effetti della
sentenza n. 32 del 2014, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità delle
modifiche al testo unico sugli stupefacenti introdotte nel 2005-2006 dal d.l. 30 dicembre
2005, n. 272, convertito in legge 21 febbraio 2006, n. 49. E difatti, sono giunti alle Sezioni
unite della Corte di cassazione i nodi più problematici postisi immediatamente dopo la
pronuncia: da un lato, la questione dell’illegalità della pena derivante dalla dichiarazione di
incostituzionalità di disposizione diversa da quella incriminatrice e disciplinante il
trattamento sanzionatorio, risolta dal massimo collegio di legittimità con due sentenze da
leggersi in sequenza logica, che hanno trattato, una, il tema generale dell’illegalità della
sanzione penale derivante da dichiarazione di incostituzionalità (Sez. un., 26 febbraio
2015, n. 33040, Jazouli, Rv. 264205, 264206, 264207), e l’altra quello specifico delle
conseguenze sul giudicato della rilevata illegalità, con riferimento alla pena emessa a
seguito di patteggiamento (Sez. un., 26 febbraio 2015, n. 37107, Marcon, Rv. 264857,
264858, 264859); dall’altro lato, la questione – che investe la dogmatica generale della
struttura delle norme penali parzialmente in bianco e degli effetti su di esse della
dichiarazione di incostituzionalità della disciplina integratrice del precetto – riferita alla
verifica della permanenza della stessa illiceità penale di una condotta di reato avente ad
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oggetto sostanze stupefacenti introdotte nel catalogo penale solo sulla base della legge
dichiarata incostituzionale (Sez. un., 26 febbraio 2015, n. 29316, De Costanzo, Rv. da
264262 a 264266). In questa sede ci si occuperà della seconda pronuncia, essendo altra
parte della Rassegna dedicata al tema dell’illegalità della pena; deve segnalarsi, peraltro,
come opportunamente le Sezioni unite siano state chiamate a decidere complessivamente
su tali temi in un’unica udienza, che ha potuto evidentemente giovarsi di un’analisi sotto
diverse prospettive delle collegate questioni, offrendo oggi alcune linee guida che
orientano in modo sicuro l’interprete dinanzi ad un fenomeno di caducazione-successione
di leggi nel tempo in materia di sanzione penale, tanto complicato quanto non infrequente
nel suo verificarsi storico. Nella medesima udienza, inoltre, è stato affrontato lo stesso
tema dell’illegalità della pena conseguente alla citata dichiarazione di incostituzionalità
delle modifiche apportate alla disciplina sugli stupefacenti in relazione all’aumento relativo
ai reati satellite in caso di continuazione (Sez. un. 26 febbraio 2015, n. 22471, Sebbar,
Rv. da 263714 a 263717): con tale pronuncia, peraltro, si è registrata anche una
significativa affermazione in tema di configurabilità della condotta di offerta di sostanze
stupefacenti, ritenuta sussistente in presenza della necessaria condizione della disponibilità
effettiva della droga; a tale questione sarà dedicata altra parte del presente capitolo.
2. Incostituzionalità della legge n. 49 del 2006 e rilevanza penale delle condotte
aventi ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente
alla sua entrata in vigore.
All’indomani della dichiarazione di incostituzionalità delle modifiche al D.P.R. n. 309
del 1990 apportate dalla richiamata legge n. 49 del 2006 – che, in sede di conversione del
decreto legge n. 272 del 2005, aveva introdotto, con gli artt. 4 bis e 4 vicies-ter, significativi
mutamenti alla struttura del sistema punitivo in materia di stupefacenti – e della
conseguente reviviscenza della precedente disciplina normativa (legata al testo cd.
Iervolino-Vassalli), espressamente indicata come soluzione obbligata dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 32 del 2014, per evitare vuoti di tutela dei beni giuridici
alla base delle ragioni di previsione penale ed una “depenalizzazione” di fatto che avrebbe
portato il nostro ordinamento a violare gli impegni internazionali in tal senso da tempo
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assunti, tuttavia, numerose questioni di diritto intertemporale si sono poste all’interprete.
In particolare, deve rammentarsi, da un lato, la notevole differenza tra i due sistemi
normativi succedutisi per effetto del fenomeno “caducazione da incostituzionalità-
reviviscenza”: le modifiche del 2005/2006 avevano, infatti, comportato l’eliminazione
della tradizionale distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, con equiparazione del
trattamento sanzionatorio mediante l’inserimento di tutte le sostanze non farmacologiche
in un’unica tabella; una conseguente notevolissima semplificazione nel regime di
classificazione delle sostanze psicoattive, con le tabelle ridotte da sei a due (la prima,
appunto, contenente tutte le sostanze stupefacenti vietate, la seconda dedicata ai
medicinali registrati in Italia che contengono sostanze stupefacenti per uso terapeutico);
l’abbassamento del limite minimo edittale per le condotte di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309, non di lieve entità, previste dal comma primo (da otto a sei anni);
l’unificazione del trattamento sanzionatorio tra droghe leggere e droghe pesanti per
l’ipotesi attenuata di cui al comma quinto dell’art. 73, conseguenza della più generale
eliminazione della distinzione sul piano punitivo. D’altra parte, la reviviscenza del sistema
pregresso al 2006 ha fatto sì che venisse ripristinato il doppio binario punitivo, distinto tra
droghe leggere e droghe pesanti, sia per l’ipotesi base che per quella di fatto di lieve entità;
che tornassero in vigore i “vecchi” limiti edittali (sostanzialmente più favorevoli per le
droghe leggere e quasi immutati, se non nel minimo inferiore con riferimento all’ipotesi
non lieve, per le droghe pesanti); ma soprattutto, ai fini che in questa sede interessano, la
reviviscenza della previgente disciplina del testo unico sugli stupefacenti ha determinato il
reingresso nel sistema normativo del precedente sistema tabellare con sei tabelle e la
caducazione di quello “binario” che distingueva solo tra sostanze stupefacenti (di qualsiasi
tipo fossero) e medicinali. Ciò ha posto problemi di non poco momento riferiti alla
discussa, perdurante rilevanza penale di condotte riferite a sostanze stupefacenti che,
destinate ad un continuo implemento via via che mutano i contesti storici e seguendo le
evoluzioni scientifiche con riferimento specifico alle droghe cd. Sintetiche, erano state
introdotte nel catalogo normativo legale, di volta in volta, nella vigenza del sistema
previsto dalla legislazione incostituzionale e solo ad opera di questo. Il quadro era stato
ulteriormente complicato dall’emanazione del decreto legge 20 marzo 2014, n. 36,
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convertito poi in legge 16 maggio 2014, n. 79, con cui il legislatore aveva tentato di porre
rimedio alle conseguenze, di ordine penale ed amministrativo, della sentenza n. 32/2014
C.cost., che aveva ripristinato e riordinato il sistema prevedendo quattro tabelle per gli
stupefacenti, confermando la divisione tra sostanze “pesanti” e “leggere”, ed un’unica
tabella per i medicinali. Le Sezioni unite, con la citata pronuncia n. 29316 del 26
febbraio 2015, De Costanzo, intervengono a risolvere le questioni interpretative
collegate alla natura dogmatica della fattispecie di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990
– costruita come norma penale parzialmente in bianco, integrata nel precetto dalla
disposizione amministrativa che, sulla base degli artt. 13 e 14 del d.P.R. n. 309 del 1990,
inserisce una sostanza stupefacente nel catalogo legale richiamato dalla norma penale – ed
alla sostituzione del sistema tabellare, non soltanto per il ripristino, per un certo periodo,
di quello ante 2006 dichiarato incostituzionale, ma anche per il successivo, nuovo
intervento normativo del legislatore.
2.1. La questione sottoposta alle Sezioni unite ed i principi affermati: sintesi.
Le Sezioni unite, per quanto sinora esposto, sono state chiamate a risolvere – tra le
numerose prospettatesi dopo il travolgimento per incostituzionalità del sistema normativo
degli stupefacenti – la complessa questione riferita a se, a seguito della dichiarazione
d’incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4- vicies-ter del decreto-legge n. 272 del 2005, come
modificato dalla legge n. 49 del 2006 (pronunciata dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 32 del 2014), debbano ritenersi penalmente rilevanti le condotte che, poste in
essere a partire dall’entrata in vigore di detta legge e fino all’entrata in vigore del decreto-
legge n. 36 del 2014, abbiano avuto ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle
solo successivamente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 309 del 1990 nel testo novellato
dalla richiamata legge n. 49 del 2006. La sostanza per la quale il problema in concreto si è
posto è stata il nandrolone, ormone utilizzato nel doping e considerato stupefacente anche
per il testo unico n. 309/1990.
Il Supremo Collegio ha dato a tale interrogativo una risposta negativa, affermando
l’intervenuta abolitio criminis, con riferimento alle sostanze colpite dagli effetti della
caducazione per incostituzionalità nei termini sopradetti. E difatti, i principi affermati
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dalla pronuncia per risolvere tale dubbio interpretativo (secondo la sintesi riferibile alle
massime estratte dalla sentenza) chiariscono che:
-nell’attuale ordinamento penale vige una nozione legale di stupefacente per cui sono
soggette alla normativa che ne vieta la circolazione soltanto le sostanze specificamente
indicate negli elenchi appositamente predisposti, i quali, adottati con atti di natura
amministrativa in attuazione delle direttive espresse dalla disciplina legale, integrano il
precetto penale di cui all’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, costruito con struttura
di norma parzialmente in bianco. La Suprema Corte, con un’ampia e precisa motivazione,
ha affermato la piena aderenza al principio di legalità di tale disposizione, perché è la legge
che indica, con idonea specificazione, i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei
provvedimenti dell’autorità amministrativa (cfr. Rv. 264263);
-la caducazione, per effetto di dichiarazione di incostituzionalità, della legge che fissa le
direttive di carattere generale alle quali devono attenersi i decreti ministeriali di
inserimento delle singole sostanze stupefacenti nel catalogo legale comporta la
conseguente caducazione di tali atti amministrativi, integrativi del precetto di cui all’art. 73
d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, se adottati successivamente all’entrata in vigore della legge
incostituzionale e sulla base di essa e, dunque, nel caso di specie, del D.M. 11 giugno 2010
riferito al nandrolone (cfr. Rv. 264264);
-a seguito della dichiarazione d’incostituzionalità degli artt. 4 bis e 4 vicies ter del d.l. 30
dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49,
pronunciata con sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, deve escludersi la
rilevanza penale delle condotte che, poste in essere a partire dall’entrata in vigore di detta
legge e fino all’entrata in vigore del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, abbiano avuto ad oggetto
sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente all’entrata in vigore del
d.P.R. n. 309 del 1990, nel testo novellato dalla citata legge n. 49 del 2006 (cfr. Rv.
264265) .
Tale ultima affermazione, peraltro, ha dovuto essere accompagnata da un corollario di
principio, necessariamente oggetto del ragionamento delle Sezioni unite: la verifica, cioè,
della volontà del legislatore di continuare a ritenere punibili le condotte afferenti a
medicinali inseriti nella quinta ed ultima tabella dedicata. Sul punto, all’esito di una
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disamina attenta e di sistema, le Sezioni unite, rilevando serie incongruenze nel risultato
normativo delineato dal legislatore del 2014, hanno risolto la questione nel senso di
ritenere che:
-“le modifiche normative apportate dal D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito dalla
legge 16 maggio 2014, n. 79, non determinano l’irrilevanza penale delle condotte di
detenzione e cessione di medicinali di cui alla tabella V allegata al d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309, a condizione che tali preparati contengano uno dei principi attivi di cui alle tabelle da
I a IV allegate al T.U. sugli stupefacenti, per i quali vi è espresso richiamo della
disposizione penale di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990” (Rv. 264266). La Suprema
Corte, in motivazione, ha sottolineato che tale affermazione si impone per la mancanza,
nella disciplina legislativa attualmente in vigore, di qualsiasi esplicito riferimento alla
rilevanza penale dei medicinali in quanto tali: si è già detto, infatti, che è mancato il
richiamo nell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 alla tabella dei medicinali. Deve
sottolinearsi in proposito un’affermazione contenuta nella motivazione delle Sezioni unite
che dà il senso della difficoltà di orientamento per l’interprete nel far fronte a quanto
accaduto nel sistema delle fonti riferito alla disciplina degli stupefacenti nel 2014; ed
infatti, il massimo collegio di legittimità, chiamato a dare linee guida nel ginepraio
normativo formatosi, vi riesce con chiarezza, non senza prima affermare, in relazione in
particolar modo al testo del decreto legge n. 36 del 2014 ed alla sua legge di conversione,
che il tentativo di comprendere il senso della nuova uro unita è “impresa difficile”, che “tenta
il limite della vocazione all’interpretazione delle Sezioni Unite”. L’intricato sovrapporsi di norme, di cui
non si è conseguito il completo coordinamento, determina una situazione lontana dall’ideale di chiarezza
del precetto penale e del suo corredo sanzionatorio, attorno al quale si intrecciano i principi fondanti
dell’ordinamento penale su base costituzionale e convenzionale: legalità, determinatezza, tassatività,
prevedibilità, accessibilità, colpevolezza. In tale situazione occorre addentrarsi nei testi normativi per
cercare di cogliervi un’univoca indicazione di senso.” Come detto, la Corte riesce perfettamente
nell’intento, restituendo la chiarezza interpretativa necessaria ad un precetto penale e
consegnando all’interprete un sistema comunque molto mutato rispetto a quelli
precedenti, quanto alla punibilità degli illeciti aventi ad oggetto medicinali inseriti nella
tabella dedicata: essi saranno inquadrabili come reato soltanto se i principi attivi che
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contengono siano a loro volta inseriti in una delle (sole) quattro tabelle dedicate alle
sostanze stupefacenti in quanto tali, poiché il richiamo della disciplina penale prevista
dall’art. 73 del t.u. è unicamente ad esse e non include in alcun modo la tabella riferita ai
medicinali.
2.2. Le Sezioni unite si confrontano con la questione delle conseguenze sugli
illeciti penali aventi ad oggetto le sostanze introdotte in tabella per la prima volta
da una legge incostituzionale.
Dati in via preliminare gli arresti raggiunti dalle Sezioni unite, deve ora sintetizzarsi il
ragionamento seguito dal supremo collegio per potersi determinare nel senso riportato.
Esaminate le conseguenze e il testo della sentenza n. 32 del 2014, la pronuncia della
Cassazione si sofferma a stabilire ragioni ed effetti della disciplina normativa introdotta
con il citato d.l. n. 36 del 2014, emanato esplicitamente con l’intento di far fronte alle
criticità dovute al venir meno dalle innovazioni recate dalla legislazione sugli stupefacenti
del 2006 dichiarata incostituzionale. Una tra queste, la principale ai fini del
pronunciamento di legittimità, è quella afferente ai numerosi provvedimenti
amministrativi adottati in applicazione delle disposizioni caducate, relativi anche
all’inserimento di nuove sostanze, come il nandrolone, nelle tabelle già più volte evocate;
la nuova normativa, quindi, aveva l’intenzione di ridare coerenza alla disciplina,
riordinando anche il sistema tabellare, in sintonia con l’impianto sanzionatorio risultante
dalla sentenza costituzionale. Si è detto quanto tale intento non sia riuscito ad esprimersi
con chiarezza quanto meno con riferimento alla questione della sanzionabilità penale degli
illeciti aventi ad oggetto sostanze medicinali contenute nella quinta tabella dedicata e non
richiamata dall’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, particolarmente rilevante per le Sezioni unite
nell’economia della sentenza, poiché la contestazione oggetto del ricorso per cassazione
riguardava proprio una fattispecie ricompresa nel comma 1-bis dell’art. 73.
Le Sezioni unite sottolineano, nell’ordine, le seguenti innovazioni normative dovute al
d.l. n. 36 del 2014: a)la modifica degli artt. 13 e 14 del T.U., con la previsione del
richiamato nuovo sistema tabellare; b)l’inserimento nelle nuove tabelle anche delle
sostanze collocate nel novero dei principi stupefacenti illeciti (solo) per effetto di decreti
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adottati nelle vigore della caducata disciplina del 2006. Tale inserimento trova
giustificazione, come emerge dagli atti che hanno accompagnato l’introduzione della uro
unita, nella constatazione che la sentenza n. 32/2014 C.cost ha travolto anche i
provvedimenti amministrativi adottati in applicazione della disciplina incostituzionale, che
hanno aggiornato le tabelle introducendovi nuove sostanze come il nandrolone.
Se queste sono le conclusioni alle quali sembra pervenire lo stesso legislatore circa
l’eliminazione dal sistema giuridico, per effetto della dichiarazione di illegittimità
costituzionale, degli atti amministrativi integrativi del precetto aventi ad oggetto le
sostanze stupefacenti introdotte sulla base della disciplina normativa del 2006 caducata dal
giudice delle leggi, tale soluzione non era stata data per scontata nelle prime
interpretazioni successive alla sentenza di incostituzionalità, sulle quali le Sezioni unite si
soffermano ricostruendo con completezza la questione. Peraltro, il supremo collegio di
legittimità aderisce a tale opzione, in coerenza anche con le affermazioni preparatorie al
d.l. n. 36 del 2014, negando la tesi cd. “sostanzialistica”, che predicava la perdurante
vigenza degli atti amministrativi di inserimento delle sostanze stupefacenti nel sistema
tabellare (qualsiasi esso fosse), perché adottati in presenza di disposizione – gli artt. 13 e
14 del testo di legge dichiarato incostituzionale – nel loro nucleo essenziale analoghe a
quelle poi rivissute a seguito della declaratoria di incostituzionalità e confermate, nei
caratteri principali e sostanziali, appunto, dal nuovo testo degli artt. 13 e 14 voluto dal
legislatore del decreto legge n. 36 del 2014. Alla conclusione, invece, opposta, prescelta
dalle Sezioni unite, conducono, secondo le motivazioni della sentenza, preminenti
considerazioni:
- anzitutto la vigenza, riaffermata con forza dalle Sezioni unite, della nozione legale di
stupefacente, in base alla quale sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione
tutte e soltanto le sostanze specificamente indicate negli elenchi appositamente
predisposti (si richiamano Sez. un. 24 giugno 1998, n. 9973, Kremi, Rv. 211073 e la
“costante giurisprudenza successiva”);
- quindi, la definizione legislativa di sostanza stupefacente che configura una
qualificazione proveniente da fonte uro unitari integratrice del disposto penale, per
cui, a tale fonte integrativa vanno applicati i principi di cui all’art. 2 cod. pen., ed in
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specie quello di non retroattività della legge penale sostanziale: da tale
considerazione discende che l’utilizzazione di una sostanza contenente principi
stupefacenti, ma non inserita nella tabella, non costituisce reato prima del suo formale
inserimento nel catalogo: si richiama Sez. IV, 14 aprile 2011, n. 27771, Cardoni, Rv.
250693, sottolineando come le oscillazioni che si rinvengono in alcune pronunzie a
proposito della rilevanza penale di determinate sostanze non ancora inserite nel catalogo
legale non toccano l’indicato principio, ma attengono alle caratteristiche di particolari
formulazioni delle sostanze stesse o di derivati che costituiscono passaggi intermedi del
processo di trasformazione di sostanze tabellate: in tal senso si richiamano Sez. III, 7
febbraio 2013, n. 11853, Cassotta, Rv. 255026; Sez. VI, 1 aprile 2011, n. 14431, Qotbi, Rv.
249396 (si tratta – dicono le Sezioni unite – di incertezze scientifiche e d’impronta
applicativa che non incidono sulla pacifica affermazione del principio di definizione legale
di sostanza stupefacente attraverso la collocazione delle sostanze medesime nelle tabelle
cui si è fatto riferimento, che costituiscono esplicazione delle direttive di carattere
generale);
- la struttura dell’incriminazione, che dà luogo ad una fattispecie penale
parzialmente in bianco in cui la specificazione del precetto avviene per effetto di
fonti secondarie come i decreti ministeriali di cui si discute. Tale struttura
normativa, specialmente per ciò che attiene all’aggiornamento delle tabelle che
maggiormente interessa alle Sezioni unite nella questione da esaminare, non reca
violazione del principio di legalità espresso dall’art. 25 Cost., giacché corrisponde
all’esigenza di pronto adeguamento della normativa al divenire scientifico e criminologico,
cui la legge potrebbe non essere in grado di far fronte con la tempestività e puntualità
dovute. Si richiama, a sostegno di tale affermazione, la pacifica giurisprudenza
costituzionale: già C.cost. n. 26 del 1966 aveva affermato che l’indicato principio
costituzionale è rispettato quando sia una legge ad indicare con sufficiente specificazione i
presupposti, i caratteri, il contenuto ed i limiti dei provvedimenti dell’autorità non
legislativa; sul tema specifico degli stupefacenti ed il rispetto del principio di legalità, le
Sezioni unite richiamano poi le sentenze n. 333/1991, n. 9/1972 e n. 36/1964 della Corte
costituzionale;
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- le direttive legali per l’inserimento delle sostanze nel novero di quelle considerate
stupefacenti secondo la disciplina legale, lungi dall’essere rimaste nel corso degli interventi
normativi succedutisi nel tempo sempre eguali, sono invece risultate sensibilmente diverse
(cfr. il testo degli artt. 13 e 14 nei diversi contesti normativi prima del 2006, dal 2006 al
2014 e dopo l’intervento del d.l. n. 36 del 2014).
Alla luce di tali preminenti considerazioni, le Sezioni unite affermano l’inscindibile
e biunivoco legame che connette la legge agli atti amministrativi che ne
costituiscono espressione. L’atto amministrativo individua l’oggetto del reato in base al
divenire delle conoscenze, adeguandosi alle direttive di carattere generale espresse dalla
legge. In conseguenza, caduta la legge, ne segue con ineluttabile ed evidente
necessità il venir meno dei provvedimenti ministeriali che di quella legge
costituiscono attuazione. Nello specifico, alla Sezioni unite non resta che applicare tale
principio al D.M. 11 giugno 2010, che aveva collocato il nandrolone nelle Tabelle I e II,
lettera A, allegate alla novella del 2006, e, pertanto, risulta travolto dalla dichiarazione di
illegittimità costituzionale della legge di cui costituiva espressione.
Constatata l’ablazione della normativa concernente il nandrolone, la pronuncia in
commento individua due ulteriori interrogativi necessari alla risoluzione della questione
sottopostale e relativa alla perdurante rilevanza penale degli illeciti riferiti a sostanze
introdotte sulla base della legge dichiarata incostituzionale, nello specifico il nandrolone:
1) se l’illecito afferente a tale sostanza sia stato nuovamente introdotto dalla disciplina
del d.l. n. 36 del 2014, convertito in legge n. 79 del 2014;
2) in caso affermativo, se tale nuova uro unita possa applicarsi retroattivamente al caso
in esame (e, ovviamente, a tutti gli identici casi, dal punto di vista giuridico, riferiti a
sostanze inserite nel novero legale solo dalla legislazione incostituzionale): di tale
interrogativo si tratterà al par. 2.3.
Quanto al primo interrogativo, si è già detto della constatazione, da parte del supremo
collegio di legittimità, dell’incapacità del legislatore di offrire un contributo di chiarezza e
coerenza alla ricostruzione del sistema legale penale riferito ai medicinali inseriti in quinta
tabella: il mancato richiamo ad essa da parte della relativa disposizione penale del testo
unico (l’art. 73, che invece nel sistema della legislazione del 2006 faceva espresso
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riferimento alla tabella dei medicinali nella fattispecie prevista dai commi 1 bis e 4 di detta
disposizione); l’assenza di altri specifici elementi normativi dai quali desumere la volontà
legislativa di rendere (tout court o a determinate condizioni) punibili i medicinali inseriti
nella tabella quinta (la Corte sottolinea l’imprecisa tecnica normativa utilizzata per
riscrivere l’art. 75 t.u.s.: il comma 1 della disposizione, infatti, in simmetria con l’art. 73,
riguarda le condotte illecite finalizzate all’uso personale relative alle sostanze stupefacenti
e psicotrope di cui alle tabelle I, II, III e IV; ma il successivo comma 1-bis sembra voler
alludere a situazioni nelle quali il medicinale, prescritto per l’uso terapeutico che gli è
proprio, venga destinato ad uso personale non terapeutico. La disciplina, però, affermano
le Sezioni unite, è testualmente incoerente (facendo anche riferimento ai medicinali di cui
al comma 1 che, però, in tale comma non sono affatto menzionati). La soluzione,
pertanto, viene ritrovata nella ricostruzione di un sistema unico che guarda sia alle
sostanze in quanto principi attivi della composizione dei medicinali, sia ai medicinali in
quanto tali: constatata l’impossibilità logica di pervenire a risultati di abrogazione della
disciplina penale per intero riferita ai medicinali, che pure potrebbero essere indotti dal
mancato richiamo dell’art. 73 alla tabella quinta, la motivazione della sentenza ricostruisce
attraverso l’unica strada possibile la volontà legislativa, considerando la richiamata
ambiguità dell’art. 75 t.u.s. e l’irragionevolezza dell’esclusione di sostanze sicuramente di
estremo rilievo stupefacente (quali la codeina, la norcodeina, l’etilmorfina, il metadone),
contenute nella tabella V. Si perviene, pertanto, ad affermare che i medicinali rientrano
nell’area penale solo se e in quanto contengano principi attivi rientranti nelle quattro
tabelle dedicate alle sostanze stupefacenti (I, II, III e IV): tale soluzione interpretativa,
secondo le Sezioni unite, è “l’unica che consente di superare la vaghezza ed indeterminatezza della
disciplina legale, ancorando saldamente la repressione penale alla presenza di principi attivi inseriti nelle
tabelle oggetto della normativa sanzionatoria di cui all’art. 73”. Il nandrolone compare sia nella
tabella I che in quella dei medicinali e, pertanto, si conclude per la permanenza attuale
della sostanza medicinale nell’area penale, utilizzando il richiamo dell’art. 73 t.u.s..
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2.3. La soluzione adottata.
Svolti tali ragionamenti necessari e preliminari, riportati al paragrafo precedente, la
sentenza De Costanzo arriva ad enunciare la soluzione della questione sottopostale, di cui
già si è data ampia anticipazione, nel senso dell’intervento di una vera e propria abolitio
criminis per le condotte riferite a sostanze stupefacenti inserite nel catalogo legale da atti
amministrativi travolti dalla disciplina incostituzionale. Prodromica a tale affermazione è
la risposta al secondo dei due interrogativi posti in fine al par. 2.2.: quello cioè della
retroattività della affermata, attuale previsione normativa di rilevanza penale delle
condotte aventi ad oggetto il nandrolone (estendendo il ragionamento, anche di quelle
aventi ad oggetto tutte le sostanze inserite nel catalogo legale dalla disciplina
incostituzionale). Le Sezioni unite, dando atto dell’esistenza di una tesi dottrinaria che
afferma la possibilità di tale retroattività – facendo leva sulla presenza di un disposizione
transitoria nel d.l. n. 36 del 2014, in base alla quale gli atti amministrativi caducati per
effetto della sentenza di incostituzionalità “riprendono” (o “continuano”, secondo
l’espressione prima della conversione in legge utilizzata dal d.l. n. 36 del 2014) ad avere
effetto, ed iscrivendo la situazione venutasi a creare tra quelle per le quali al legislatore è
consentito di derogare al principio di retroattività della norma più favorevole, in presenza
del ragionevole bilanciamento tra diversi principi e valori costituzionali -, rifiutano tale
opzione e adottano invece la soluzione di irretroattività degli effetti “penalizzanti”
ricavabili dal d.l. n. 36 del 2014. E difatti, si dice, quel che viene in esame non è un
fenomeno di successione di leggi nel tempo, sia pure per intervento della dichiarazione di
incostituzionalità, bensì una caducazione per illegittimità costituzionale di fattispecie
penali, essendo venuto meno il loro oggetto materiale, e cioè il loro nucleo essenziale; in
tale ottica, è indifferente che tale venir meno sia frutto di un’abrogazione successiva da
parte del legislatore, ovvero di una dichiarazione di incostituzionalità, essendo le due
cause equiparate ai fini che rilevano, come dimostra la comune disciplina prevista dall’art.
673 cod. proc. pen.
Si conclude, pertanto, affermando che nella fattispecie riferita alla sostanza
“nandrolone” (ma, come detto, il ragionamento ha una valenza generale per tutti i casi e le
sostanze che si trovino in analoga situazione) la novella del 2014, reinserendo nelle tabelle
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le sostanze introdotte con la disciplina incostituzionale per rimediare all’intervenuta
caducazione “ex tunc” delle fattispecie aventi ad oggetto tali stupefacenti, ha creato nuove
incriminazioni alle quali deve applicarsi il principio di irretroattività della legge penale.
Deve escludersi, quindi, la rilevanza penale delle condotte che, poste in essere a partire
dall’entrata in vigore di detta legge e fino all’entrata in vigore del d.l. 20 marzo 2014, n. 36,
abbiano avuto ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente
all’entrata in vigore del d.P.R. n. 309 del 1990, nel testo novellato dalla legge n. 49 del
2006.
3. I presupposti per la configurabilità della condotta di offerta di sostanze
stupefacenti: Sez. un. n. 22471 del 26 febbraio 2015, Sebbar.
Si è già messo in risalto che l’udienza del 26 febbraio 2015 delle Sezioni unite ha
rappresentato un passaggio decisamente significativo nell’interpretazione della Corte di
legittimità con riferimento a numerose questioni interpretative che – occupandosi della
legislazione in materia di stupefacenti, dichiarata in larga parte incostituzionale, nella
novella di cui alla legge n. 49 del 2006, dalla sentenza n.32 del 2014 C.cost. e poi innovata
parzialmente dal legislatore – si sono sviluppate in termini generali, segnando un
momento di elevato valore nel perseguimento degli obiettivi di nomofilachia affidati alla
Cassazione. La nozione di pena illegale ha assunto nuove e più chiare dimensioni:
abbinata alla dichiarazione di incostituzionalità della norma disciplinante il trattamento
sanzionatorio, è stata, in tale ipotesi, distinta dall’illegalità ab origine e dal fenomeno della
successione di leggi più favorevoli e, calata nel giudizio in corso, ha determinato la
rimodulazione della quantificazione già in concreto inflitta, anche se contenuta nei limiti
edittali della disciplina legislativa rivissuta e più favorevole; la pena illegale per
incostituzionalità della disposizione diversa da quella incriminatrice e incidente sul
procedimento di commisurazione del trattamento sanzionatorio (perché indicativa dei
limiti edittali previsti per la fattispecie legale sui quali si basa l’individualizzazione della
sanzione in concreto inflitta) è stata, quindi, declinata nelle sue eventuali ricadute sul
giudicato e nei suoi riflessi sulla pena calcolata per il reato continuato. Per una
ricostruzione completa delle complesse e distinte questioni giuridiche e del panorama di
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problemi interpretativi che si sono presentati alle Sezioni unite, si segnala in particolare,
tra tutte, la sentenza Sez. un. n. 33040/2015, Jazouli, cit., che ha definito illegale la
sanzione penale determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione
che si sia basato, per le droghe cosiddette “leggere”, su limiti edittali poi dichiarati
incostituzionali dell’art. 73 d.P.R. 309/1990 come modificato dalla legge n. 49 del 2006,
anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali
previsti dall’originaria formulazione del medesimo articolo, “rivissuta” per effetto della
stessa sentenza di incostituzionalità n. 32 del 2014. Le singole, specifiche tematiche sono
state affrontate nelle diverse pronunce: tenendo da parte la questione non riferita alla pena
ma al destino – di abolitio criminis – delle condotte di reato aventi ad oggetto stupefacenti
inseriti solo sulla base ed in seguito alla disciplina poi dichiarata incostituzionale (di cui si
è già detto nei paragrafi precedenti), le Sezioni unite hanno affermato la rimodulabilità
della pena patteggiata anche se passata in giudicato qualora essa sia caratterizzata da
“illegalità” derivata da incostituzionalità della norma che disponeva il trattamento
sanzionatorio edittale utilizzato per determinarla in concreto (Sez. un., n. 37107/2015,
Marcon, cit.) e la necessità di rideterminare la pena dell’aumento a titolo di continuazione
per i reati satellite in relazione alle droghe leggere come conseguenza della sentenza n. 32
del 2014 C.cost., che ha fatto “rivivere” un trattamento sanzionatorio più favorevole
rispetto a quello dichiarato incostituzionale ed alla base della quantificazione
concretamente operata (Sez. un. n. 22471 del 2015, Sebbar, cit.). E’ di quest’ultima
pronuncia che si intende trattare nella presente analisi, avuto riguardo però ad
un’affermazione importante in essa svolta dal punto di vista del diritto penale sostanziale
e per la stessa configurabilità del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, e non già alle
questioni riferite all’illegalità della pena, lasciate ad altra parte dedicata della Rassegna. Se
ne è inteso offrire comunque in questa sede sinteticamente una breve panoramica, al fine
di inquadrare il contesto di intervento delle Sezioni unite in un determinato momento
storico, caratterizzato dalle numerose conseguenze di una dichiarazione di
incostituzionalità tanto preannunciata da molti quanto intricata nei suoi risvolti di
carattere interpretativo, alcuni dei quali non immaginati.
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3.1. L’offerta di stupefacente e le condizioni per la sua configurabilità come
reato.
Le Sezioni unite, chiamate a risolvere la questione riferita alla pena illegale “da
incostituzionalità” ed alle sue conseguenze in tema di continuazione criminosa, hanno
affermato che:
-la condotta criminosa di “offerta” di sostanze stupefacenti si perfeziona nel momento
in cui l’agente manifesta la disponibilità a procurare ad altri droga, indipendentemente
dall’accettazione del destinatario, a condizione, tuttavia, che si tratti di un’offerta collegata
ad una effettiva disponibilità, sia pure non attuale, della droga, per tale intendendosi la
possibilità di procurare lo stupefacente ovvero di smistarlo in tempi ragionevoli e con
modalità che “garantiscano” il cessionario (Rv. 263716).
Per arrivare a tali conclusioni, sintetizzate chiaramente nel principio formulato nella
massima sopra riportata, il supremo collegio di legittimità, respingendo il motivo
formulato con riferimento alla riqualificazione operata dal giudice d’appello di una
condotta di “cessione” di sostanza del tipo hashish in una condotta di “offerta” dello
stupefacente – offerta della quale si lamentava la mancanza del carattere di “effettività” e
l’insufficienza di quello di “credibilità” utilizzato nella sentenza di merito -, ha distinto
l’ipotesi di condotta integrata dall’offerta da quella della semplice promessa (in quanto
quest’ultima si caratterizza per essere incerta uro quando). Inoltre, si mette in risalto come
non possa pretendersi, al fine di ritenere sussistente la condotta individuata come
“offerta”, che l’offerente abbia presso di sé lo stupefacente, in quanto in tal caso,
evidentemente, si integrerebbe la condotta di detenzione. La “lunga e dettagliata”
elencazione di condotte dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 viene spiegata dalle Sezioni unite
con la volontà legislativa di “coprire” (ed equiparare) tutti quei comportamenti che,
direttamente o indirettamente, possano consentire, favorire, stimolare, permettere o
indurre il commercio e l’uso delle droghe. Tale ottica spiega e giustifica l’equiparazione di
condotte obiettivamente diverse e la “omologante anticipazione della soglia di punibilità”,
in base alla quale sono punite allo stesso modo attività obiettivamente preparatorie (si fa
l’esempio della coltivazione e della raffinazione) e attività che segnano tappe ben più
avanzate nell’iter criminis (vendita, cessione). Da tali considerazioni, la pronuncia Sebbar
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ricava il principio secondo cui non occorre, come invece ritenuto dal ricorrente, che
l’offerta sia “effettiva”, se con tale termine si vuole intendere – appunto – la possibilità di
consegnare illico et immediate “la merce”, essendo sufficiente che l’offerente ne abbia la
disponibilità (non necessariamente fisica), vale a dire possa procurarsela e smistarla o farla
smistare in tempi ragionevoli e con modalità che “garantiscano” il cessionario. Nel caso in
esame, le Sezioni unite richiamano la chiara prova (anche “sostanzialmente confessoria,
per avere il ricorrente ammesso di essere stato “intermediario” per l’acquisto di
stupefacenti in alcune delle occasioni contestate) che l’imputato fosse ben consapevole di
come, dove e quando procurarsi la sostanza che si impegnava a consegnare a terzi.
Val la pena rimarcare, infine, come le Sezioni unite confermino, con la loro
autorevolezza, un orientamento interpretativo abbastanza consolidato in tema di
condizioni per la configurabilità della condotta di offerta di stupefacenti prevista tra le
molteplici ed alternative dell’art. 73 t.u.s.: tra le più recenti, si richiamano Sez. VI, 16
settembre 2014, n. 39110, Bonanno, Rv. 260463; Sez. VI, 22 maggio 2012, n. 36818,
Amato, Rv. 253348; Sez. I, 25 marzo 2010, n. 29670, Buffardeci, Rv. 248606;
precedentemente, di interesse è la pronuncia conforme Sez. IV, 17 giugno 2003, n. 34926,
Carta, Rv. 226229, nonché Sez. VI, 16 marzo 1998, n. 5954, Casà, Rv. 211728, che aveva
segnalato come, per integrare l’ipotesi della “offerta” (o della “messa in vendita”) non si
richieda l’accettazione della offerta (altrimenti, essendo subentrato il consenso, si
ricadrebbe nella ipotesi della cessione), bensì, in tale ultimo caso, il reato si perfezioni a
carico del solo offerente al momento della semplice manifestazione della sua disponibilità
di procurare ad altri droga, a condizione che si tratti di un’offerta collegata a una effettiva
disponibilità, sia pure non immediata, della droga da parte dell’agente. Del resto, le Sezioni
unite rammentano che, secondo la giurisprudenza di legittimità, integra il reato di
intermediazione nella cessione o di concorso nell’altrui offerta in vendita di sostanza
stupefacenti, nella forma consumata, l’accordo a fungere da depositario della sostanza da
smistare successivamente a terzi, risultando indifferente se materialmente la sostanza
stupefacente sia o meno pervenuta (così, Sez. I, 8 giugno 2011, n. 30288, Rexhepi, Rv.
250798; nello stesso senso, recentissima, Sez. III, 12 maggio 2015, n. 38535, Di
Martino, Rv. 264633).
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L’opzione interpretativa nella quale si iscrive la sentenza Sebbar, chiarendola con
ulteriori ed utili precisazioni, appare, peraltro, del tutto in linea con le ragioni
incriminatrici alla base della disposizione di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, come
non hanno mancato di sottolineare le Sezioni unite.