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“ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITA’ DI BOLOGNA: SEDE DI BOLOGNA”
SCUOLA DI SPEC.NE PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO
INDIRIZZO: Fisico Informatico Matematico CLASSE: A049 SEDE: BOLOGNA
Direttore della Scuola: Prof. Roberto Greci Direttore Sezione di Bologna: Prof. Antonio Genovese
La matematica della parabola da
un punto di vista storico-fisico
TESI DI SPECIALIZZAZIONE
Presentata dal Signor / Dott. Il Supervisore Massimiliano Bacchi Prof.ssa Sandra De Pietri
Il Supervisore Prof. Davide Neri
Relatore Chiar.mo Prof.
Bruno D’Amore
Anno accademico 2006/2007
IndiceIntroduzione........................................................................................................ 3
Capitolo 1: Considerazioni sulla didattica della matematica ......................... 4
1.1 Finalità e metodologie della didattica della matematica .......................... 4
1.2 Strategie d’insegnamento.......................................................................... 10
Capitolo 2: Il progetto di tirocinio .................................................................... 17
Capitolo 3: La sperimentazione in classe ......................................................... 23
3.1 Approccio storico-epistemologico –
l’utilizzo di animazioni, Power Point e filmati ......................................... 23
3.2 Approccio fisico-sperimentale.................................................................. 27
3.3 Approccio geometrico – l’uso di filo e picchetto ..................................... 28
3.4 Approccio informatico – Derive............................................................... 29
3.5 Lavori di gruppo ....................................................................................... 30
Capitolo 4: Le verifiche e la valutazione .......................................................... 35
4.1 La verifica formativa ................................................................................ 35
4.2 La verifica sommativa .............................................................................. 36
4.2 La valutazione........................................................................................... 37
Capitolo 5: Conclusioni ...................................................................................... 41
Bibliografia.......................................................................................................... 43
Allegato 1............................................................................................................. 45
Allegato 2............................................................................................................. 47
Allegato 3............................................................................................................. 48
Allegato 4............................................................................................................. 50
Allegato 5............................................................................................................. 51
Allegato 6 ............................................................................................................. 52
Allegato 7............................................................................................................. 53
Progetto tirocinio ................................................................................................ 55
Progetto virtuale ................................................................................................. 79
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Introduzione
In questa tesi è riportata la sintesi e la valutazione sul mio periodo di tirocinio per la
classe di abilitazione A049 svolto presso la classe 3° A del Liceo Scientifico “A.Moro”
di Reggio Emilia, a conclusione del mio percorso formativo presso la S.S.I.S di
Bologna.
Questa tesi si suddivide in cinque capitoli, sette allegati e due progetti (quello reale e
quello virtuale).
Nel Capitolo 1 tratto temi riguardanti la didattica in generale e la didattica della
matematica in particolare.
Nel Capitolo 2 viene illustrato nel dettaglio il progetto di tirocinio.
Nel Capitolo 3 vi è la rivisitazione critica da un punto di vista didattico del progetto
di tirocinio applicato alla classe.
Nel Capitolo 4 sono descritte ed analizzate le verifiche svolte in classe e viene
effettuato un discorso critico sulla valutazione
Nel Capitolo 5 vi sono le considerazioni finali personali ed i ringraziamenti.
Negli Allegati sono raccolti vari materiali utilizzati durante le lezioni in classe e i
testi delle verifiche effettuate. Inoltre alla fine sono presenti i due progetti di tirocinio,
quello reale in matematica e quello virtuale in fisica.
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Capitolo 1
Considerazioni sulla didattica della matematica
Nulla egli sappia per averlo udito da voi, ma solo
per averlo compreso da sé: non impari la
scienza: la scopra. Se nella sua mente giungerete
a sostituire l’autorità alla ragione, non ragionerà
più; non sarà che lo zimbello dell’opinione altrui.
Jean-Jacques Rousseau, Émile ou de l’education
1.1 Finalità e metodologie della didattica della matematica
Dopo aver conseguito la Laurea in Fisica nel 2001 ho avuto da subito occasione di
svolgere diverse supplenze nelle scuole superiori della mia città. Se si escludono diversi
anni di lezioni private a singoli allievi, la mia esperienza di insegnamento dentro ad una
classe fino ad allora era limitata ai ricordi del periodo in cui, studente, frequentavo il
Liceo Scientifico ed ammiravo il modo in cui la mia insegnante riusciva e rendermi
chiari concetti che alla maggior parte dei miei compagni apparivano astratti e senza
collegamento con la realtà. Fu quindi per me naturale, una volta trovatomi dall’altra
parte della barricata, adottare quel metodo di insegnamento basato su rigorose
dimostrazioni fatte alla lavagna e applicazioni dei risultati trovati a diverse tipologie di
esercizi che tante volte avevo visto mettere in pratica tanti anni prima. Sarà forse stata
una mia innata capacità affabulatoria, o qualche altro fortunato evento, però sta di fatto
che ricevevo dagli studenti dei feedback positivi al mio modo di “istruire” (e il termine
non è stato scelto a caso).
Questi riscontri rinforzavano la mia autostima di insegnante; quando però qualche
allievo dimostrava invece difficoltà nella comprensione di un concetto per prima cosa
mettevo in dubbio la chiarezza delle mie spiegazioni, e mi riportavo alla lavagna per
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ripetere, usando parole ed esempi diversi da quelli utilizzati prima, l’elenco di “nozioni”
(altro termine non casuale) che erano appena state enunciate. Se le difficoltà
permanevano comunque, dopo un po’ scattavano in me l’idea che tutto ciò si doveva
imputare soprattutto ad una scarsa voglia di applicarsi da parte del ragazzo, oppure ad
un rifiuto a propri della matematica dovuto, probabilmente, ad un precedente docente
non sufficientemente capace. Mai, fino a quando non ho cominciato a frequentare i corsi
della S.S.I.S., avevo dubitato del mio tipo di didattica; per me era la cosa più naturale
mettere in pratica con i miei studenti quel modo di insegnare la matematica che con me
aveva avuto successo: “se ha funzionato nel mio caso non può non funzionare anche con
loro!”, pensavo.
Senza rendermene conto avevo assunto quella modalità di essere docente ben
sintetizzata da D’Amore (D’Amore, 1999) quando richiama la posizione di Gentile sulla
matematica nella scuola: “non esiste un problema della didattica della matematica;
l’insegnante deve fare null’altro che ripeterne i teoremi, e gli studenti apprenderli”.
Dette in maniera diversa, ma pur sempre efficacemente, le idee gentiliane di cui sopra si
ritrovano anche in: “i processi di formazione in matematica nell’ambito scolare hanno
mantenuto delle forme di insegnamento e di apprendimento che privilegiano la
memorizzazione non riflessiva dei concetti affrontati nell’aula, l’enfasi nella
meccanizzazione dei processi matematici, il trattamento delle nozioni matematiche in
forma isolata, la ripetizione di esercizi standard” (Bejarano Rodriguez, 2004).
Questo modo di intendere l’insegnamento è quello tipico della didattica della
matematica di tipo A (A qui sta per Ars), dove “lo sforzo del didatta è tutto teso a
trasformare un discorso specialistico (e dunque complesso in quanto si fa uso di un
linguaggio tecnico non naturale) in uno più comprensibile e più consono alla natura
dell’allievo. Il didatta di tipo A è sensibile all’allievo, lo pone al centro della sua
attenzione, ma la sua azione didattica non è sull’allievo bensì sull’argomento in gioco”
(D’Amore, 1999).
Uno dei punti problematici della didattica A è che in essa si tende a dare per scontato
che un allievo, una volta appreso un concetto in un determinato ambiente sarà in grado
di trasferire questa nuova conoscenza in ambienti diversi ed in modo completamente
spontaneo se si troverà in situazioni simili a quelle note: la pratica dimostra che ciò non
sempre accade, anzi spesso le capacità cognitive e procedurali permangono bloccate
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all’ambito in cui sono state apprese. Perciò operando esclusivamente sull’insegnamento
non vi è la certezza che avvenga in maniera efficacie e completa il cosiddetto “transfer
cognitivo” (Feldman, Toulmin, 1976).
Un insegnante che segue la didattica A è auspicabile che abbia capacità oratorie
spiccate, autorevolezza, esperienza maturata da anni di lavoro in classe, e che sia in
grado di creare ambienti stimolanti e di dare motivazione agli studenti. L’essere
insegnante è qui visto come una specie di vocazione; si tratta perciò di sviluppare
attraverso la pratica e l’esperienza sul campo una dote naturale innata. L’insegnante è
quindi teso a migliorare il suo modo personale di spiegare gli argomenti, ritenendo
quindi valida l’equazione che ad una migliore e più chiara esposizione di quest’ultimi
debba automaticamente corrispondere un migliore, più facile e duraturo apprendimento
da parte degli studenti. In questa metodologia al centro c’è perciò, come si accennava
prima, la fase di insegnamento, nella quale la didattica della matematica è intesa
esclusivamente come un’arte, un dono di natura che solo pochi possono vantarsi di
avere; di conseguenza la responsabilità dell’insegnamento non è condivisa fra istituzioni
e docente, ma è tutta sulle spalle dell’insegnante e delle sue qualità personali. Ancora
oggi, grazie alle graduatorie di istituto, appena conseguita la laurea ci si trova ad essere
insegnanti di matematica a tutti gli effetti e si viene “sbattuti in trincea” senza alcun
percorso di formazione specifico; si affronta l’esperienza di insegnamento contando
unicamente su se stessi, sulle proprie capacità personali e sui suggerimenti di alcuni
benevoli colleghi più anziani; e come il mio caso personale mostra, si applica l’unico
modo di insegnare che si conosce, ovvero quello visto mettere in pratica dai propri
professori quando si era ancora studenti liceali.
Purtroppo ancora molti docenti di estrazione sia scientifica che umanistica ritengono
che sia sufficiente il buon senso come strumento effettivamente utile all'insegnamento,
ritenendo inutile svolgere un percorso di aggiornamento e di studio relativamente al
campo della didattica, non interessandosi alle numerose ricerche che sono ora
disponibili su questo argomento, sia per quanto riguarda la didattica generale sia quella
disciplinare.
Invece entrare in contatto con la ricerca, come succede durante i corsi S.S.I.S. e come
è accaduto personalmente a me, inevitabilmente cambia la propria visione di
insegnamento; inoltre si impara ad essere più critici sia verso gli studenti, dei quali si
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comincia ad osservare con occhi diversi i comportamenti e a capirne più profondamente
i significati, ma soprattutto si impara ad essere più critici nei confronti di sé stessi e del
proprio modo di intervenire nelle classi, ridefinendo opportunamente le varie strategie
didattiche, adattandole al contesto della realtà scolastica nel quale si opera. In definitiva
si ridefinisce la propria idea di insegnamento e della disciplina stessa.
Quest’opera di destrutturazione e ricostruzione del concetto di didattica vede
secondo me un ottimo punto di partenza nell’affermazione di Hernandez: “La scuola
non è solo spazio di acquisizione di conoscenze, è uno spazio di formazione delle
competenze che si richiedono per la vita personale e collettiva […].La formazione in
vista di una società democratica richiede la formazione di competenze associate alla
costruzione collettiva di accordi” (Hernandez, 1999).
In quest’ottica si deve immaginare per l’insegnante un modo diverso da quello visto
precedentemente di rapportarsi allo studente: quest’ultimo diviene colui che deve
raggiungere competenza e non “semplice” conoscenza. Nella didattica della
matematica, in particolare, si parla di “competenza in matematica” e “competenza
matematica” (D’Amore & al., 2003), intendendo:
o competenza in matematica: si centra nella disciplina, riconosciuta come
scienza costituita, come oggetto proprio, determinato, di conoscenza.
L’allievo entra in contatto con saperi specifici, che la società ha annesso alle
competenze intese come fondamentali per permettere di entrare al suo
interno; si appropria di una parte di tali saperi, tanto formalmente quanto
informalmente.
o competenza matematica: viene riconosciuta agli individui che vedono,
interpretano e si comportano nel mondo in un senso matematico. Il piacere e
la valorizzazione della matematica permettono di orientare più facilmente il
raggiungimento della competenza matematica. Ciò implica la capacità e la
disponibilità a osservare il mondo in modo matematico; poiché tutto questo
non si apprende spontaneamente in modo implicito, è necessario
immaginare come parte del curricolo di uno studente proprio questo
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processo di insegnamento–apprendimento specificamente rivolto a “saper
vedere matematicamente” il mondo.
Quindi se l'obiettivo è quello di costruire una nuova didattica che anela ad andare
oltre la semplice costruzione della conoscenza mirando invece ad un “uso” della
conoscenza (ovvero una competenza), allora assume grande importanza la sfera
affettiva tanto degli allievi, da cui nasce la motivazione, quanto dell'insegnante, che
deve far trasparire agli alunni l'amore per la disciplina.
Per costruire conoscenze-competenze è necessario il passaggio dalla motivazione alla
volizione da parte degli studenti: "[…] la competenza racchiude in sé come oggetto non
solo le conoscenze chiamate in causa, ma fattori metaconoscitivi: l'accettazione dello
stimolo a farne uso, il desiderio di farlo, il desiderio di completare le conoscenze che si
rivelassero, alla prova dei fatti, insufficienti e dunque lo stesso desiderio di aumentare la
propria competenza" (D'Amore, 2000).
Va da sé che, se il nostro desiderio è giustamente quello di creare una nuova
didattica, diviene profondamente necessario giungere ad una svolta (“una vera e propria
rivoluzione della quale appena si intravedono contorni e limiti” (D’Amore e al., 2003)),
se non addirittura ad una chiusura, rispetto all’insegnamento tradizionale della
matematica “ [...] proprio perché basato sulla pretesa di dimostrazione di verità
incontestabili, non solo è fallace dal punto di vista logico, ma è dannoso in
una prospettiva educativa più generale, dato che spinge al dogmatismo e alla
rigidità mentale, invece che all’apertura critica e al dubbio sistematico” (Tarsitani,
1997).
E’ perciò da abbandonare l’idea che il potere formativo della matematica sia fondato
sul semplice far di conto, sull’applicazione meccanica, ripetitiva ed acritica di algoritmi
e procedure risolutive. L’impostazione gentiliana, già prima discussa, che solo il
ripetere la disciplina, nella lingua, nei modi e nelle forme ritenute peculiari possa essere
l’unico viatico all’apprendimento (ancor oggi, purtroppo, convinzione di molti!) ha
dimostrato tutta la sua fallacità. Non è più accettabile che in quell’ottica valga l’idea
che, adattando le parole di D’Amore (D’Amore 1999), chi per una forma misteriosa…di
osmosi, apprenda bene, può ritenersi fortunato; chi non abbia appreso, dà probabilmente
semplicemente di sé l’idea di non avere il famoso ”bernoccolo” per la matematica.
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La didattica deve quindi spostare il suo sguardo dal processo di insegnamento a
quello di apprendimento dell'allievo ed ai processi che portano alla conoscenza, ed ha
proprio l’apprendimento come suo fine ultimo; è su di esso che si indirizzano tutti gli
sforzi del didatta, le sue riflessioni, le sue ricerche sul campo. Quelli appena enunciati
sono i caratteri distintivi su cui poggia la didattica B: “se si effettuano prove empiriche,
con opportuni e ben studiati dispositivi sperimentali, sui risultati cognitivi ottenuti con
attività di tipo A, allora si passa alla ricerca considerata sperimentale, si entra nel campo
dell’epistemologia dell’apprendimento, cioè si passa al punto che contraddistingue la
tipologia B” (D’Amore, 1999).
Se durante la nostra opera di insegnanti non ci accade neanche una volta che uno
studente dica la classica frase “ma prof, a cosa mi servirà tutta questa matematica nella
mia vita?”, possiamo dire di aver raggiunto con successo il nostro scopo di educatori
alla matematica. Questo importante risultato può essere ottenuto solo se siamo in grado
di stimolare la curiosità nei giovani, provocando in loro il gusto della discussione e del
dubbio, facendo vedere loro da quali aspetti della realtà la costruzione dell’edificio
matematico prende le mosse, mostrando cosa effettivamente la matematica conosce e
quale sia la natura che si può attribuire agli oggetti matematici. Solo seguendo questo
percorso educativo irto di difficoltà ed enormemente faticoso, ma estremamente
proficuo, e non invece adagiandoci sulle comodità rappresentate dal mettere in pratica
in maniera sterile e pedissequa i classici programmi ministeriali, possiamo pensare di
aprire la mente degli studenti al fascino ed al mistero della matematica come
incomparabile avventura dell’intelletto umano.
Uno dei punti fondamentali di questo diverso approccio alla materia è trovare e
mostrare agli studenti il collegamento con il quotidiano e l’analisi storico-
epistemologica dei vari argomenti che vengono affrontati in classe. “Tutti noi siamo
stati allevati nell’idea che le discipline scientifiche, ed in particolare la matematica e la
fisica, richiedano una presentazione rigorosamente concatenata sulla base di rigide
propedeuticità e questa non è certo un’abitudine cui sia facile rinunciare. Siamo però
abbastanza consapevoli che questa concatenazione è frequentemente il risultato di una
sistemazione a posteriori, accettata per consuetudine, rassicurante per gli insegnanti;
troppo spesso, però, essa ignora la complessità dei fenomeni analizzati, le motivazioni
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che hanno spinto il ricercatore, la ricchezza della fase della scoperta” (Grimellini &
Segrè).
I ragazzi perciò devono sentire che dietro ad una legge, ad un teorema, ad un nuovo
ente matematico ci sono, con la loro umanità e la loro storia, uomini e donne che nei
secoli passati si sono posti domande molto concrete ed hanno cercato soluzioni e
spiegazioni ad esigenze quotidiane profondamente tangibili; ed inoltre va loro mostrato
che questo lavoro impegnativo ha prodotto ricadute pratiche delle quali loro stessi,
spesso inconsapevolmente, provano giornalmente i benefici.
La comune rappresentazione mentale della matematica come di qualcosa di
completamente distaccato dalla realtà spaziale e temporale della nostra società è il
principale preconcetto che deve essere combattuto; l’idea che sia un ente assoluto non
collocabile storicamente e temporalmente nella vita e nell’evoluzione del genere umano
è da sostituire con quella che vede la matematica come qualcosa di molto più quotidiano
e a noi vicino di quanto si creda. “Occorre sfatare il mito che la matematica sia un
prodotto stantio eterno atemporale, ma bisogna dare invece la certezza che si tratta di
una disciplina in continua evoluzione, anche ricorrendo alla sua storia, il che ha un
fascino notevole sulla maggior parte degli studenti e restituisce alla matematica quella
umanità altrimenti perduta” (Fandiño Pinilla, 2002).
Se il ragazzo sente che attraverso l’apprendimento della matematica permette alla
propria mente di sviluppare facoltà intuitive e logiche, di incrementarne le capacità di
astrazione e di formazione dei concetti, di esercitare il ragionamento induttivo e
deduttivo, di accrescere la capacità di sintesi e di risoluzione di problemi grazie a
ragionamenti coerenti, di esercitare l’utilizzo di un linguaggio appropriato e preciso,
forse avrà trovato ciò che spesso invece manca nei giovani studenti: il gusto dello studio
di una materia difficile ma allo stesso tempo affascinante. E noi come insegnanti
avremo fatto bene il nostro lavoro.
1.2 Strategie d’insegnamento
Affinché per uno studente la scuola sia un’esperienza sentita in modo pieno e
consapevole, e vissuta con un ruolo di soggetto, bisogna cercare un appoggio nella
didattica della matematica non per risolvere un problema di insegnamento, ma per
indagare sull’epistemologia dell’apprendimento (D’Amore, Fandiño Pinilla, 2001). Solo
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all’interno di una riflessione sull’attività di pensiero umano e soprattutto sul significato
che esso riveste per noi, diventa infatti possibile assicurare un posto significativo
all’allievo nel triangolo insegnante-allievo-sapere.
Infatti le più consolidate teorie sulla didattica della matematica mettono in mostra
come per poter pianificare una strategia di intervento non si possa prescindere dal
cosiddetto Triangolo di Chevallard, rappresentabile con ai suoi vertici i tre poli del
processo di apprendimento: insegnante, allievo e sapere. Questa rappresentazione
schematica va vista “come una semplice allusione a tre soggetti (enti, poli, idee) che
entrano (qualche volta fisicamente, qualche volta metaforicamente) in contatto fra loro
al momento dell’azione didattica” (D’Amore, 1999).
Molto delicato diviene quindi il ruolo dell’insegnante, in quanto egli deve attuare una
trasposizione didattica dal sapere matematico, (che Chevallard chiama savoir savant
che proviene dalla ricerca), al sapere da insegnare (savoir en enseignant) esposto nei
programmi e nei curricoli, fino al sapere insegnato (savoir enseigne), ovvero quello
della pratica in aula. Per fare questo il docente non può non tenere in giusta
considerazione il sistema didattico e l’ambiente sociale e culturale (cioè la noosfera) nel
quale deve operare, oltre alla tipicità e singolarità dei propri allievi.
Questo discorso può essere sintetizzato citando D’Amore (D’Amore, 1999) quando
afferma: “La trasposizione didattica consisterebbe allora [...] nel costruire le proprie
lezioni attingendo dalla fonte dei saperi, tenendo conto delle orientazioni fornite dalle
istruzioni e dai programmi (sapere insegnare), per adattarli alla propria classe: livello
degli allievi, obiettivi perseguiti. La trasposizione didattica consiste nell’estrarre un
elemento del sapere dal suo contesto (universitario, sociale, eccetera) per
ricontestualizzarlo nel contesto sempre singolare, sempre unico, della propria classe”.
Quindi l’insegnante deve modulare il proprio intervento soppesando vari elementi e
rendendo quindi il proprio agire unico e irripetibile in altre situazioni didattiche. Ciò
comporta che non sia più accettabile il ruolo del docente come semplice esecutore di
direttive vincolanti provenienti dal Ministero (i famosi-famigerati programmi
ministeriali che fissavano “cosa” insegnare, “quando” farlo e “come” realizzarlo); non
vi sono contenuti irrinunciabili della disciplina che ad ogni costo devono essere (magari
male e di corsa!) affrontati, pena la squalifica di tutto il lavoro fatto dal docente. Ogni
insegnante ha le sue convinzioni, i suoi metodi e le sue strategie, apprese ed affinate
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attraverso l’esperienza, ed ha il diritto di sperimentare, ricercare, migliorare i propri
metodi, nella consapevolezza che sarà egli stesso direttamente responsabile di tutto ciò.
L’insegnamento è un’arte e, come tale, deve essere libera.
Uno dei punti più deboli dell’insegnamento della matematica, è il disinteresse e la
noia che pervade gli studenti durante le ore di lezione. Come già affermato
precedentemente, è necessario abbattere l’idea di una disciplina puramente mnemonica,
avulsa dal mondo reale e caratterizzata da una ripetitività d’aula che provoca il rifiuto
degli studenti a qualunque tipo di applicazione allo studio, se non finalizzato al voto e
non alla conoscenza.
In generale l’insegnamento scientifico nei giovani deve quindi puntare allo sviluppo
di basi razionali su cui fondare un cambiamento concettuale e ciò implica spesso forti
resistenze da parte degli studenti. Le anomalie possono aiutare molto in questo tentativo
educativo; esse forniscono una sorta di conflitto cognitivo che prepara lo studente ad un
accomodamento delle proprie idee e quindi ad un cambiamento. Ma solo se lo studente
ha a disposizione dei modelli di giudizio e ragionamento scientifico validi tutto ciò si
potrà ottenere. Il rischio è che in mancanza di ciò una nuova teoria venga accettata solo
perché “lo dice il libro o il prof.”. Come può allora il docente aiutare gli studenti ad
accettare questi nuovi concetti? Può farlo puntando sia sugli obiettivi curriculari, sia sui
contenuti.
Per quanto riguarda i primi bisogna mirare a sviluppare negli studenti:
o Una consapevolezza delle proprie assunzioni personali e di quelle contenute
nella teoria scientifica;
o Una richiesta di coerenza delle proprie opinioni sul mondo;
o Una consapevolezza delle fondamenta storico-epistemologiche delle scienza
moderna;
o Un senso di fruttuosità dei nuovi concetti.
Se vogliamo sviluppare un cambiamento concettuale con basi razionali negli
studenti, i contenuti dei corsi scientifici devono essere tali da rendere le teorie
scientifiche intelligibili, plausibili e potenzialmente fruttuose. In quest’ottica bisogna:
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o Dare più enfasi ai contenuti piuttosto che alla loro “copertina”;
o Includere “anomalie retrospettive”;
o Utilizzare ogni metafora, modello e analogia che renda più chiari e
plausibili i nuovi concetti.
Per quanto riguarda la matematica in particolare alcuni modi di intervento volti ad
aumentare la motivazione degli studenti possono essere:
o Inquadrare sotto un profilo storico ed epistemologico i vari argomenti. La
matematica non è sempre esistita, è frutto di lavoro, di studio ed è derivata
da esigenze dell’uomo;
o Collegare gli argomenti trattati a contesti di attualità e di realtà. Connetterli
con altre discipline. La matematica è vista troppo spesso come materia a sé
stante, che esiste solo in aula durante le lezioni e che non sarà più di alcuna
utilità una volta conseguito il titolo di studio;
o Utilizzare altre tecnologie, non solo la classica lavagna e il gesso.
L’informatica soprattutto può essere di grande aiuto e permette di
risparmiare tempo e fatica nei calcoli e concentrarsi sull’interpretazione di
fenomeni, sull’analisi dei risultati, sicuramente attività più interessanti,
stimolanti e varie.
L’utilizzo di anomalie per stimolare un cambiamento, cui si accennava prima,
possono essere un cardine di una delle principali azioni che un docente può mettere in
pratica in un’azione didattica efficace: la rottura del contratto didattico. Si tratta,
secondo la definizione data da Brousseau (citato in D’Amore, 1999), dell’“insieme dei
comportamenti dell’insegnante che sono attesi dall’allievo e l’insieme dei
comportamenti dell’allievo che sono attesi dall’insegnante”. In pratica non è che
quell’insieme di norme che regolano le relazioni tra gli argomenti trattati, l’insegnante,
gli studenti e le loro attese; per la matematica in particolare si tratta di un processo in
cui l’allievo è consapevole di dover acquisire determinate nozioni, che rientrano
nell’istituzionalizzato sapere scolastico, e che lo porterà, giunto al momento di dover
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dare risposte, non a porsi domande sul contenuto ma a cosa l’insegnante si aspetta che
egli faccia o risponda.
Si tratta quindi di puntare su una continua rottura di tale contratto, facendo in modo
che sia lo studente stesso a farsi carico dell’apprendimento (“consegna di
responsabilità”), costruendo egli stesso la conoscenza (“devoluzione”). “Si può dire che
l’allievo costruisce la conoscenza solo se si interessa personalmente del problema della
risoluzione di quanto gli è stato proposto attraverso la situazione didattica: in tal caso si
usa dire che si è raggiunta la devoluzione da parte dell’allievo” (D’Amore, 1999). E
questo si può raggiungere solamente, come accennato precedentemente, attraverso la
continua frattura del contratto didattico, in modo che gli studenti non siano in grado di
identificare le aspettative dell’insegnante adeguando il loro comportamento di
conseguenza, ma siano implicati direttamente nel processo di apprendimento.
Per raggiungere tale scopo si può pensare di mettere in pratica situazioni a-
didattiche, nelle quali gli studenti affrontano attività che li coinvolgono senza essere a
conoscenza delle finalità cognitive che l’insegnante si ripromette di raggiungere.
Verranno quindi presentate delle situazioni problematiche che essi dovranno affrontare
tentando diverse vie risolutive, vagliando le possibili alternative e le conseguenze,
formalizzando conclusioni che saranno successivamente discusse con il resto della
classe; durante questi confronti lo studente dovrà argomentare e difendere le proprie
scelte e tentare di smontare, grazie all’utilizzo di controesempi, le posizioni altrui
diverse dalle sue. Il ruolo dell’insegnante in questo tipo di attività non sarà quello di
charificatore di idee e presentatore di informazioni, ma dovrebbe invece diventare per i
ragazzi sia un avversario in senso socratico, ovvero con la funzione di stimolo, di
mediazione, di verifica del processo di apprendimento; sia un modello di pensiero
scientifico, quando si assumerà il compito di istituzionalizzare le conoscenze
conquistate durante l’attività d’aula.
Questo tipo di approccio metodologico alla didattica richiede sicuramente un
maggior investimento in termini di tempo, con una conseguente riduzione della quantità
del lavoro eseguito, ma con un netto guadagno della qualità dell’apprendimento e del
coinvolgimento degli studenti.
Si tratta sicuramente di un prezzo che si paga volentieri poiché “occorre sviluppare
nello studente, come fine ultimo dell’educazione, il gusto a far uso delle proprie
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competenze, ad implicarsi nel processo di costruzione della propria conoscenza, del
proprio sapere, della propria educazione, ad accettare la devoluzione“ (D’Amore e al.,
2003).
Per raggiungere questo obiettivo può allora convenire focalizzare l’intervento
tramite attività a-didattiche sui cosiddetti nuclei fondanti della materia, cioè i contenuti
chiave della stessa disciplina matematica.
In questo modello di strategia d’insegnamento saranno importanti alcuni aspetti:
o In un’ottica costruttivista della matematica, si deve seguire un processo a
spirale nella costruzione dell’apprendimento, nel quale i vari punti vengono
affrontati più volte durante il percorso scolastico e dove i modelli intuitivi
degli alunni vengono via via accomodati, per giungere ad un modello di
concetto matematico vero e proprio: “ogni questione importante viene
studiata più volte, ed ogni volta ne vengono scoperte nuove facce, la si
elabora approfonditamente” (Grugnetti, Villani, 1999);
o L’insegnante deve sempre avere il polso della situazione della classe,
ovvero un continuo monitoraggio delle conoscenze e delle competenze dei
singoli alunni. Il feedback è un ausilio fondamentale per il docente, in
quanto permette di perseguire l’individualizzazione dell’insegnamento e la
temporalizzazione della propria azione didattica;
o Sempre nell’ottica di interventi sempre più indirizzati e misurati sui singoli
studenti, vi è la possibilità di utilizzare diversi registri di rappresentazione
di uno stesso concetto (conversione) e di più rappresentazioni all’interno
dello stesso registro (trattamento). In questo senso possono venire in aiuto
software matematici, soprattutto di tipo tabulare e grafico, che possono
permettere allo studente di concentrarsi maggiormente sulla lettura del
grafico piuttosto che sulla sua costruzione; anche l’utilizzo di supporti
video, in particolare quando si crea un ponte interdisciplinare con altre
materie, per esempio con la Fisica, possono consentire di portare
maggiormente l’attenzione sui nuclei fondanti del tema in esame;
o L’atteggiamento entusiasta dell’insegnante nei confronti della materia mette
in gioco anche la sfera affettiva del rapporto docente-allievo. Il rapporto
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asimmetrico fra questi due vertici del triangolo di Chevallard deve essere
improntato alla chiarezza ed al rispetto dei ruoli, sempre però con l’intento
di una collaborazione la più ampia possibile. Mettendo in primo piano
l’attenzione per i processi di apprendimento degli studenti (didattica B),
l’insegnante può stimolare gli allievi a coinvolgersi in prima persona nella
costruzione della propria conoscenza;
o L’utilizzo dei lavori di gruppo permette ai ragazzi di effettuare un confronto
diretto ed informale con propri pari, stimolando una riflessione sulle
strategie risolutive delle anomalie adottate da se e dagli altri. L’insegnante
avrà una funzione di supervisore e potrà ottenere molte informazioni sul
livello di apprendimento generale e dei singoli individui, oltre che sulle
dinamiche interpersonali presenti nel gruppo-classe;
o Organizzare le lezioni in modo che una buona parte del tempo sia dedicata
alla discussione degli errori degli studenti. L’insegnante deve analizzare a
fondo l’errore per capire se si tratta di misconcezioni o comunque conflitti
cognitivi. L’errore deve essere inteso non come un fallimento
insormontabile, ma come un’opportunità per riorganizzare e riorientare le
proprie attività di studio; quindi non deve assumere una connotazione
puramente negativa, ma essere uno strumento per un’elaborazione critica da
parte dello studente stesso: “Dare agli errori una sola connotazione negativa
[…] è troppo semplicistico e banale; si tratta, invece, di dare agli studenti gli
strumenti necessari per l’elaborazione critica” (D’Amore, 1999).
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Capitolo 2
Il progetto di tirocinio
La mia attività di tirocinante si è svolta nella classe 3°A del Liceo Scientifico “Aldo
Moro”, di Reggio Emilia, un istituto dotato di laboratori scientifici (Fisica, Informatica)
e di una biblioteca molto fornita ed attiva. Inoltre vi era la possibilità di avere a
disposizione due video proiettori con annessi computer portatili, importante opportunità
da me considerata in fase di stesura del progetto di tirocinio e poi messa in atto durante
la fase attiva, e diverse lavagne luminose, anch’esse rivelatesi molto utili.
La classe presso la quale si è svolto il mio intervento è inserita nel cosiddetto
“Triennio Autonomia Scientifico”. Nell’ambito di questa tipologia di corso si
inseriscono due ore settimanali, su un monte ore di sette, di codocenza: una con
l’insegnante di filosofia ed una con il collega di fisica. Il gruppo-classe è composto da
25 allievi, di cui 6 maschi e 19 femmine; sei alunni avevano acquisito il debito
formativo nell’anno scolastico precedente, da tutti saldato nelle prove deputate a tale
scopo.
Negli incontri preliminari con la Tutor Prof.ssa Giuseppina Maria Currò e il
Supervisore Prof.ssa Sandra De Pietri si è valutato quale tema avrei dovuto affrontare in
classe e a quale punto della programmazione individuale progettata dal docente, e
conseguentemente in quale periodo dell’anno scolastico, sarebbe stato opportuno
inserire la parte attiva del mio tirocinio. Abbiamo insieme concordato che l’argomento
più interessante da sviluppare, vista anche la mia precisa intenzione di inserire
collegamenti fra la matematica, la fisica e la storia delle scienze e della tecnologia,
sarebbe stata la parabola. L’inizio del mio intervento quindi è stato previsto verso fine
febbraio, una volta che la Tutor avesse esaurito la circonferenza; visti i miei impegni
precedenti presso la Scuola Media Sacro Cuore di Cesena come insegnante di Scienze
nelle giornate di lunedì e giovedì, si è scelto di concentrare la mia attività di tirocinio in
quattro ore settimanali, e più precisamente nelle giornate di martedì e mercoledì (un’ora
ogni giorno) e venerdì (due ore). Nell’unica ora restante non dedicata alla compresenza
17
nella quale non potevo essere presente, la Tutor avrebbe svolto attività di interrogazione
e di correzione di esercizi assegnati a casa.
Durante la parte osservativa del mio tirocinio ho notato un atteggiamento da parte dei
ragazzi che, se in un primo momento poteva apparire attento e partecipe, in realtà ad
una più approfondita valutazione emergeva essere, per buona parte di loro, una forma di
passività nei confronti della materia, la quale porta ad un atteggiamento apparentemente
tranquillo e interessato ma che in realtà nasconde una certa abulia rispetto alla
matematica.
Vivendo all’interno della classe in disparte per alcune settimane ho notato come
gran parte degli alunni passino il tempo a copiare pedissequamente tutto ciò che viene
scritto alla lavagna dall’insegnante o dai propri compagni che via via si alternano a
risolvere esercizi o ad eseguire dimostrazioni durante le interrogazioni, senza una
spiccata e positiva partecipazione attiva e critica verso quello che viene fatto. A parte
alcuni ragazzi, sempre gli stessi due o tre, i quali, durante la risoluzione pubblica di
problemi, intervengono per sottolineare incongruenze poste in essere dal proprio
compagno interrogato in quel momento o per suggerire vie alternative a quella proposta
nella ricerca della soluzione al quesito posto, la maggior parte della classe
semplicemente prende nota di ciò che viene scritto e detto rimandando, come da loro
confidatomi, ad una successiva analisi da effettuare a casa durante le ore di studio o di
ripetizioni private i contenuti degli argomenti trattati a scuola. L’atteggiamento di
apparente attenzione a ciò che accade alla lavagna, è dovuto, a mio avviso a diversi
fattori, ma non sottovaluterei il fatto che le generazioni attuali di studenti vivono in una
società che li “bombarda” di immagini in ogni occasione e che da invece poco peso alle
parole ed ai concetti. La scuola deve quindi adattarsi ad usare questi canali di
comunicazione se vuole raggiungere le menti e i cuori dei ragazzi; l’uso classico del
gesso e della lavagna, sempre molto importante per diversi aspetti, deve però
cominciare a lasciare più spazio ad altri registri comunicativi più vicini alla sensibilità
dei giovani; ciò comporta un maggior sforzo da parte degli insegnanti in fase di
preparazione della lezione, ma sono convinto che in questo modo si vedranno alunni più
attenti ai messaggi che si inviano loro invece che concentrati in un’opera di veloce
copiatura di ciò che è scritto sulla lavagna prestando attenzione ai simboli più che hai
contenuti che essi esprimono.
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Poiché la Tutor ha in carico la classe solo da quest’anno scolastico, si riscontra una
certa soggezione in generale degli studenti, soprattutto nel gruppo delle ragazze, nei
confronti del nuovo docente, e solitamente, se per esempio l’insegnante ha pulito troppo
rapidamente la lavagna o se qualche sua parola non è stata ben compresa, non chiedono
di non cancellare così rapidamente o di ripetere ciò che non è stato capito, ma si
limitano a sbuffare ed a lamentarsi a voce bassa fra loro.
L’impressione è stata perciò quella di una classe che “sopporta” la materia e che vi si
applica solo in funzione del “risultato finale sulla pagella”. Purtroppo sembra mancare
per la maggior parte dei componenti di questo gruppo di studenti quel sacro fuoco del
desiderio di apprendere e capire una disciplina ricca di risvolti ed implicazioni come la
matematica. Da parte di molti di loro la matematica viene sentita come una materia
arida, fatta solo di numeri e formule da imparare a memoria, senza un collegamento con
la realtà e la quotidianità.
Questa mia riflessione è stata più volte condivisa dalla stessa Tutor, la quale mi ha
sempre illustrato la classe come di livello medio, con alcune discrete ma non eccelse
individualità che si possono ritrovare più nella minoranza maschile che nella
maggioranza femminile, e formata da ragazzi interessati fondamentalmente ad assolvere
il proprio “ruolo istituzionale” di studenti. Infatti ciò che traspare, e che rattrista
maggiormente, è che la finalità ultima degli alunni sia semplicemente quella
dell’ottenimento di un voto adeguato alle loro aspettative piuttosto che l’appagamento
di una “curiosità intellettuale”.
Lo stile di insegnamento della Tutor è fondamentalmente basato su un approccio
classico con scansione modulare dei contenuti: il nucleo della modalità d’intervento
didattico è formato da lezioni frontali, nelle quali l’insegnante presenta i nuovi
argomenti alla lavagna con puntuali dimostrazioni e definizioni, e risoluzioni di esercizi
relativi al tema in esame. La parte teorica di un determinato argomento viene sviluppata
in piccoli segmenti durante un certo lasso di tempo; fra essi trovano spazio
interrogazioni nelle quali i ragazzi devono affrontare fondamentalmente la risoluzione
di problemi proposti precedentemente come lavoro da fare a casa. L’attenzione della
Tutor è principalmente rivolta al ragazzo chiamato alla lavagna ma, grazie a domande
tipo “botta e risposta” rivolte agli studenti al posto, anche a mantenere viva la loro
capacità attentava e la loro concentrazione.
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Le verifiche scritte in classe si basano sull’affrontare problemi che abbracciano tutti i
temi toccati fino a quel momento relativi all’argomento specifico in esame; a volte però
gli studenti meno dotati hanno trovato un ostacolo nel numero dei quesiti, incontrando
difficoltà nel portare a termine tutta la prova.
Il testo in adozione è “Moduli di lineamenti di matematica - Modulo B: geometria
analitica del piano cartesiano”, di Dodero, Baroncini e Manfredi edito dalla Ghisetti e
Corvi Editori. Esso viene usato essenzialmente come eserciziario. Le spiegazioni e la
parte teorica dell’argomento sono svolte fondamentalmente alla lavagna da parte
dell’insegnante. La tutor ha anche utilizzato fotocopie di altri testi scolastici per
integrare le varie tipologie di esercizi e problemi presenti nel testo a disposizione dei
ragazzi.
Prima del mio intervento attivo nell’ambito del tirocinio la classe avrebbe dovuto
aver acquisito una serie di competenze e di conoscenze per rendere possibile l’affrontare
gli obiettivi specifici preventivati nel mio progetto. Tal prerequisiti possono così essere
riassunti:
o Insiemi numerici:
Saper applicare le regole delle operazioni nei vari insiemi numerici.
o Piano cartesiano:
Avere acquisito il concetto di luogo geometrico;
Saper calcolare la distanza tra due punti del piano;
Saper rappresentare una retta sul piano cartesiano:
saperne riconoscere ed applicare l’equazione generale
saperne riconoscere ed applicare i relativi significati geometrici
del coefficiente angolare e del termine noto.
o Equazioni:
Riconoscere e saper risolvere equazioni di primo grado;
Riconoscere e saper risolvere algebricamente equazioni di secondo
grado ad una incognita.
o Funzioni:
Aver acquisito il concetto di funzione, in particolare di funzione
matematica e saperla interpretare correttamente sul piano cartesiano.
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o Sistemi:
Riconoscere e saper risolvere con metodi di opportuni sistemi di
equazioni di primo e secondo grado.
La scelta del tema del mio tirocinio è stata indubbiamente influenzata dalla mia
Laurea in Fisica; negli incontri preliminari con la Tutor ed il Supervisore si era pensato
di poter sfruttare al meglio questa mia specifica preparazione per creare un ponte
didattico-culturale fra la matematica e la fisica; vi era cioè la volontà di avere come
obiettivo primario lo studio di tale conica utilizzando più registri e punti di vista: oltre a
quello matematico più formale, quello storico-epistemologico, quello fisico e quello
tecnologico con le sue applicazioni alla vita quotidiana.
Alla base del mi progetto vi era quindi l’utilizzo di mezzi multimediali - oltre a
quello classico della lavagna, della carta e della matita – come filmati di didattica della
fisica tratti dalla raccolta del PSSC, softwear specifici come Derive, documenti di
carattere matematico-storico tratti dal web e l’uso del laboratorio di fisica per un
esperimento sul moto accelerato. Ciò è stato possibile solo in parte per diversi motivi: la
non disponibilità dell’aula di informatica nei giorni da noi richiesti ha consentito solo un
uso dimostrativo in classe delle potenzialità di Derive; l’utilizzo del laboratorio di fisica
e dei filmati didattici è stato limitato alla parte introduttiva del mio intervento in quanto
la mole di lavoro “classico” (lezioni frontali con uso della lavagna) stabilito insieme alla
Tutor in fase di definizione del progetto è stata superiore al previsto e perciò i tempi per
l’utilizzo di registri diversi si sono molto ridotti. In alternativa ho quindi ripiegato, in
alcuni momenti, sull’uso della lavagna luminosa e di fotocopie distribuite ai ragazzi per
presentare loro risoluzioni di problemi e nuove situazioni di studio, evitando così di
perdere troppo tempo scrivendo ogni cosa sul momento.
Gli obiettivi specifici delineati nel progetto sono stati raggiunti tutti, a parte la
risoluzione di disequazioni di 2° grado utilizzando una parabola. In itinere è stato però
deciso di aggiungere lo studio delle parabole con asse parallelo alle ascisse ed una prova
intermedia di valutazione sulla conoscenza dell’argomento da parte della classe. Le
conoscenze disciplinari raggiunte riguardanti il tema del progetto sono state quindi:
21
o Sapere rappresentare ed interpretare le caratteristiche grafiche delle funzioni
di 2° grado complete, comprendendo la rilevanza geometrica dei suoi
parametri;
o Sapere riconoscere la parabola e le sue caratteristiche geometriche;
o Sapere interpretare geometricamente le soluzioni di un’equazione di 2°
grado;
o Sapere interpretare le posizioni reciproche di rette e parabole sul piano
cartesiano;
o Essere in grado di determinare l’equazione di una parabola con l’asse
parallelo alle ordinate (alle ascisse), dati tre punti o altre condizioni
sufficienti;
o Essere in grado di determinate equazioni di rette tangenti ad una parabola
passanti per un punto;
o Essere in grado di determinare l’equazione di un fascio di parabole;
In definitiva il raggiungimento di tali obiettivi attraverso una metodologia meno
classica che punti allo sviluppo negli studenti di un “pensiero funzionale” si è realizzato
solo in parte; ma quando ciò è stato possibile si è potuto osservare che l’utilizzo di vari
registri interpretativi di una stessa situazione ha potuto creare nei ragazzi un processo di
integrazione di conoscenze. Questo deve diventare un’attitudine mentale degli studenti
durante tutto il percorso scolastico, in modo che le tecniche matematiche apprese non
siano oggetto di pura applicazione meccanica ma frutto di una riflessione sui significati
nei diversi contesti affrontati.
Si è quindi potuto verificare che l’utilizzo di supporti informatici dedicati e di link ad
altre discipline non solo scientifiche, per non parlare dei collegamenti con la
quotidianità, sono stati i punti qualificanti di questo progetto.
Capitolo 3
La sperimentazione in classe
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In questa sezione della mia tesi finale ho valutato più proficuo riportare non un
semplice “diario” dell’attività svolta in classe, ma di concentrare gli sforzi sulla
descrizione e la valutazione dell’utilizzo fatto dei diversi registri durante la fase attiva
del mio progetto (già presentati a grandi linee nel capitolo precedente). Verranno quindi
evidenziati e più approfonditamente analizzati quei momenti nei quali ai ragazzi è stata
proposta una matematica fatta non solo di gesso, lavagna e lezione frontale, ma basata
su software, filmati, esperimenti in laboratorio ed esperimenti mentali, lavori di gruppo
collaborativi, simulazioni computerizzate, notazioni storico-epistemologiche.
Come precedentemente annotato la classica lezione frontale, per esigenze legate allo
svolgimento del programma, ha avuto percentualmente una parte rilevante, e ne verrà
dato conto in maniera sintetica durante l’esposizione. Però, ritenendo peculiari e
qualificativi di questo progetto l’utilizzo di “altri” registri e le reazioni degli studenti al
loro impiego, è su questi che ci concentreremo ora.
Prima però un’annotazione di tipo metodologico: avendo seguito nei mesi di
osservazione della classe in modo assiduo le lezioni della Tutor, nelle quali
quotidianamente vi era una verifica del livello di apprendimento dei ragazzi tramite
interrogazioni alla lavagna o prove scritte, ho valutato, insieme alla docente, che non
fosse necessario proporre una prova valutativa informale dei prerequisiti degli studenti.
Il vivere con la classe il periodo nel quale sia i temi relativi alla retta che quelli attinenti
alla circonferenza venivano affrontati, e vedendo direttamente il grado di preparazione
degli studenti e valutandolo, insieme alla Tutor, più che sufficiente, ci ha convinti di
questa scelta e di affrontare direttamente l’argomento della parabola.
3.1 Approccio storico-epistemologico – l’utilizzo di animazioni, Power Point e filmati
Nel mio primo incontro con la classe non più nel ruolo di osservatore silenzioso
seduto in fondo all’aula ma di docente attivo, ho inizialmente presentato ai ragazzi a
grandi linee quello che saremo andati a fare insieme nelle settimane da lì a venire: in
primo luogo quale argomento avremo trattato ma soprattutto con quali metodologie, per
loro in parte nuove, avremo fatto tutto ciò . Ritengo che rendere partecipi gli studenti di
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quelli che sono gli obiettivi che il docente vuole raggiungere insieme a loro li faccia
sentire co-protagonisti e non semplici comparse di un progetto didattico, all’interno del
quale loro stessi devono assumere un ruolo attivo e responsabile. La condivisione di una
meta da parte di un gruppo, contrariamente al semplice “subire” da parte della
maggioranza le scelte fatte da un leader, a mio avviso crea i presupposti per un più
facile successo.
Come delineato nel progetto di tirocinio e ribadito precedentemente in queste pagine
sia nel primo che nel secondo capitolo, la scelta di come affrontare inizialmente
l’argomento relativo alla parabola è caduta su un approccio di tipo storico-
epistemologico, mostrando cioè alla classe come il tema che stavo per iniziare a trattare
fosse legato ad esigenze pratiche e tecnologiche di più di duemila anni fa, e non ad una
astratta “ginnastica mentale” di qualche annoiato matematico.
Ho pensato che per meglio catturare fin da subito l’attenzione dei ragazzi avrei
dovuto utilizzare un registro di tipo visivo (diversi studi hanno dimostrato che
l’attenzione e il ricordo umani sono favoriti più dall’uso della vista che da quello
dell’udito); il software Power Point, utilizzato insieme al computer portatili e al
videoproiettore messi a disposizione dalla scuola, faceva quindi al mio caso (si veda
Allegato 1). Per fare in modo che la concentrazione fosse massima sui concetti che
stavano per essere espressi e non si disperdesse invece nell’operazione di copiatura sul
quaderno di tutto ciò che veniva proiettato, ho preventivamente rassicurato i ragazzi che
alla fine della lezione avrei loro distribuito fotocopie di tutto quello che avevano visto.
Partendo dalla considerazione che la matematica non è qualcosa che è sempre
esistito, ma è il frutto del lavoro di uomini e donne che hanno trovato nella vita
quotidiana, e non nell’astrattezza, ispirazione per le loro ricerche, sono passato ad
introdurre alcune notizie storiche riguardanti la nascita della geometria come scienza
che misurava la terra. Ho quindi descritto ai ragazzi il lavoro degli agrimensori
dell’antico Egitto, geometri addetti a tracciare i confini dei terreni dopo le alluvioni del
Nilo solo grazie a corde e picchetti. L’attenzione della classe durante questa prima parte
della mia esposizione è stata notevole, con anche diverse richieste di maggiori dettagli.
Il percorso storico da me tracciato ha poi portato i ragazzi dall’antico Egitto alla Grecia
ellenistica, ed in particolare a conoscere Menecmo e la sua scoperta delle coniche
durante il tentativo di risoluzione del problema della duplicazione del cubo. Il racconto
24
della leggenda dell’oracolo di Delo, da cui trae origine la sfida matematica risolta da
Menecmo grazie all’intersezione delle due parabole di equazione y2 = 2ax e x2 = ay,
ha molto incuriosito gli studenti e stimolato in loro diverse domande. La più
interessante e prodiga di risvolti attinenti al mio progetto è stata sicuramente quella di
Matteo: “perché Menecmo ha usato proprio quelle due parabole e non altre?”.
Per rispondere alla sua domanda ho allora proiettato tramite la lavagna luminosa un
lucido che avevo preparato per l’occasione (Allegato 2), nel quale viene mostrato,
sfruttando il secondo teorema di Euclide e le proporzioni continue, come sia possibile
giungere a quelle due equazioni se si vuole che il volume del cubo di lato x sia doppio
rispetto a quello del cubo di lato a.
Anche se già utilizzati nel corso della proiezione, tuttavia io non avevo ancora
completamente chiarito i concetti di conica e parabola. E’ stato a questo punto che ho
mostrato alla classe una animazione computerizzata tratta dal sito del Planetario di
Milano (Allegato 3), nella quale è ottimamente mostrato come si possano ottenere le
varie coniche intersecando un cono con un piano: nelle prime sequenze il piano entra
nell’immagine perpendicolarmente all’asse del cono (Fig. 3.1) e letteralmente ne
“taglia” via il vertice (Fig. 3.2), mettendo in rilievo come la curva di intersezione non
sia nient’altro che una circonferenza. Poi il piano si inclina (Fig. 3,3) evidenziando
un’ellisse. Proseguendo ad inclinarsi il piano forma poi con il cono una parabola (Fig.
3.4), quando è parallelo ad uno degli infiniti lati del cono ed infine un’iperbole (Fig.
3.5), quando è parallelo all’asse del cono. Nella parte conclusiva del filmato veniva
mostrato come queste varie coniche potevano rappresentare diversi tipi di orbita per un
oggetto celeste (Fig. 3.6).
Questa animazione ha destato grande interesse nella classe, ed ha permesso ai
ragazzi, in maniera molto accattivante e diversa dal solito, di capire da dove provenisse
il nome coniche e quale potesse essere una loro definizione puramente geometrica. Non
è stato necessario un mio intervento per “spiegare” una cosa sotto gli occhi di tutti: mi è
bastato solo sottolineare ed evidenziare ciò che stavano vedendo e comprendendo da
soli per ottenere l’apprendimento di un nuovo concetto. Ed inoltre, proprio nel finale,
hanno potuto osservare un diretto collegamento fra la matematica, ed in particolare le
coniche, e l’astronomia, rendendosi così conto dello stretto legame esistente fra il
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mondo fisico che ci circonda e quella che normalmente viene considerata la materia più
arida e distaccata dalla realtà per eccellenza.
Ciò che era appena stato visto nell’animazione è stato poi ricreato in classe con una
semplice torcia elettrica, che è stata utilizzata per creare un cono di luce, e la lavagna,
nel ruolo di piano secante al cono. La torcia è stata puntata verso la lavagna prima
perpendicolarmente, mostrando come venisse “disegnata” dal cono di luce una
circonferenza sul piano della lavagna, poi inclinandola sempre più, ricreando “dal vivo”
prima il crearsi di un’ellisse, poi di una parabola ed infine di un ramo d’iperbole,
esattamente come mostrato pochi minuti prima nel filmato.
Dopo questo excursus nelle simulazioni sia computerizzate che ottenute con
materiale povero, sono tornato alla parte storico-epistemologica facendo alcuni accenni
ad Euclide, Apollonio ed Archimede ed i suoi specchi ustori, per poi giungere a tempi a
noi più prossimi con Galileo ed i suoi studi sul moto parabolico dei proiettili, Cartesio,
Keplero, Pascal e Newton.
E’ stato immediato a questo punto far presente ai ragazzi come alcuni oggetti
tecnologici moderni, come le antenne per la ricezione satellitare o i grandi
radiotelescopi, si basino sullo stesso principio di funzionamento degli specchi di
Archimede; il cominciare a pensare all’esistenza di un punto nel quale vadano a
concentrarsi raggi paralleli che incidano sulla superficie di questi apparati ed il
chiamarlo fuoco è stato per gli studenti il logico passo successivo.
Il creare nella mente dei ragazzi un ulteriore collegamento fra la parabola e la realtà
fisica, in particolare con il moto di caduta di un grave con velocità orizzontale non
nulla, è stato ottenuto, sempre all’interno della presentazione in Power Point, mostrando
loro stralci di video tratti da due filmati della serie didattico-scientifica degli anni ’50 a
cura del P.S.S.C., e nello specifico dai titoli “Sistemi di riferimento” e “Moti armonici”
(Allegato 4). Nel primo di essi si vedeva un carrellino con un sostegno al quale era
fissata una sferetta muoversi di moto lineare uniforme (Fig. 4.1); la sferetta veniva
lasciata cadere e la sua traiettoria era ripresa da due cineprese, una fissata sul tavolo ed
una solidale con il carrellino. E’ stato così possibile mostrare alla classe come un moto
con una componente verticale uniformemente accelerata ed una orizzontale a velocità
costante possa essere rappresentato da una traiettoria parabolica (Fig. 4.2). Nel secondo
si riprendeva quanto in precedenza osservato ma questa volta partendo da una traiettoria
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parabolica (Fig. 4.3) ed arrivando a mostrare che essa è composta da due moti, uno
uniformemente accelerato (Fig. 4.4) ed uno lineare uniforme (Fig 4.5). Le osservazioni
ed i commenti dei ragazzi anche a quest’ultima mia proposta didattica mi hanno fatto
capire di aver colto nel segno, ovvero di averli colpiti con qualcosa di diverso dal solito
che li ha fatti uscire dalla solita routine della lezione frontale e di aver stimolato in loro
una certa curiosità sui vari collegamenti ed applicazioni possibili fra matematica e
mondo reale. In particolare Federica, la studentessa che avevo notato essere la più
insofferente durante le lezioni del mio periodo osservativo ed anche una di quelle con il
rendimento più basso, alla fine mi si è avvicinata con un gran sorriso e mi ha confessato
che “questo modo di fare matematica mi è proprio piaciuto!”.
3.2 Approccio fisico-sperimentale
Per continuare a far si che i ragazzi scoprissero sempre più collegamenti fra la
matematica e le altre discipline, in particolare la fisica, la classe è stata portata in
laboratorio per osservare e studiare un moto lineare uniformemente accelerato ed in
particolare quale relazione c’era fra lo spazio percorso s ed il tempo trascorso t.
Utilizzando un carrellino in moto su un piano inclinato, dei sensori di posizione ed
un software in grado di raccogliere, gestire ed elaborare anche graficamente i dati
raccolti, gli studenti hanno potuto avere a disposizione diverse coppie di valori
posizione-tempo. E’ stato quindi loro chiesto di riportare tali dati in un grafico s-t e di
fare il rapporto fra s e t per le varie coppie di valori a disposizione, e di osservare se, sia
graficamente che algebricamente, si poteva notare una proporzionalità lineare oppure no
fra le due grandezze spazio e tempo.
Una volta stabilito che questo tipo di legame lineare fra le due grandezze non c’era,
ai vari gruppi nei quali la classe era stata suddivisa è stata fatta la richiesta di ripetere
l’analisi sia grafica che matematica ma questa volta utilizzando come dati lo spazio ed il
quadrato del tempo.
I grafici ed i dati raccolti sono poi stati commentati in classe insieme agli alunni
grazie all’utilizzo della lavagna luminosa, che ha permesso di condividere molto
facilmente il lavoro fatto da un gruppo con il resto dei compagni. Tutti quanti hanno
osservato che la proporzionalità lineare emergeva solo nel secondo caso, quando in
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gioco c’erano s e t2, e che dai grafici s-t si poteva invece notare un andamento
curvilineo somigliante a quello di una parabola (nell’Allegato 5 sono riportati alcuni di
questi elaborati grafici come esempio).
Se lo scopo di mostrare ai ragazzi come un moto uniformemente accelerato possa
essere ben descritto da una parabola è stato a mio avviso raggiunto, non posso però
nascondere, da buon fisico, la non buona capacità della classe in generale nel disegnare
grafici sulla carta millimetrata: curve “compresse” in un angolino del foglio di carta con
ampi spazi non sfruttati, posizionamento degli assi non sempre ottimale, curve che
vanno a “toccare” tutti i punti sperimentali invece che essere il best-fit dei dati raccolti,
ecc.
3.3 Approccio geometrico – l’uso di filo e picchetto
Dopo aver avvicinato la classe al concetto di parabola partendo da tanti punti diversi,
come visto nei paragrafi precedenti, era arrivato il momento di convergere verso un
unico punto dando di questa conica una definizione matematicamente rigorosa. La
parabola è stata quindi enunciata come luogo geometrico dei punti equidistanti da un
fuoco e da una retta detta direttrice; ma in base a questa definizione, ho chiesto ai
ragazzi, come la si può disegnare sulla lavagna? Come si sarebbe comportato un
agrimensore dell’antico Egitto in questa situazione? Dopo aver ascoltato alcune loro
proposte, ho disegnato sulla lavagna un punto e una retta (per comodità ho preso
quest’ultima orizzontale e sotto al punto) e li ho uniti con un segmento perpendicolare
alla retta, trovandone poi il punto medio; in questo modo il vertice della parabola era
stato immediatamente trovato. Poi però ho tirato fuori un pezzo di spago, e fissandolo
sul punto con un dito, a mo’ di picchetto, l’ho usato come se fosse un compasso per
tracciare un arco di circonferenza; poi, mantenendone costante la lunghezza, ho
posizionato un suo capo sulla retta e facendolo scorrere su di essa tenendolo bene o
male perpendicolare ho trovato dove questo segmento intersecava l’arco prima
tracciato. Ripetendo il procedimento quattro o cinque volte ho così disegnato sulla retta
dei punti che “geometricamente” soddisfacevano la definizione di parabola come luogo
geometrico data poco prima.
Con questo metodo molto “artigianale” di costruire una parabola credo di aver
mostrato ai ragazzi quanto figure matematiche apparentemente astratte siano in verità
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facilmente collegabili alla realtà quotidiana, ed averlo fatto usando semplici mezzi in
uso anche più di quattromila anni fa credo che abbia creato nella loro mente un ponte
culturale fra la matematica e la storia. Il fatto poi di averlo fatto dal vivo, e non
semplicemente raccontato tipo aneddoto storico, mi ha permesso di utilizzare quel
registro visivo al quale i giovani di oggi, come precedentemente accennato, sono assai
sensibili.
3.4 Approccio informatico – Derive
I software grafici appositamente studiati per la matematica, come Derive, sono
strumenti didattici molto potenti che nella scuola italiana non sono ancora abbastanza
utilizzati non per mancanza di mezzi tecnologici (oramai anche il più piccolo istituto ha
un’aula informatica con diversi computer) ma spesso per una diffidenza-resistenza
opposta dai docenti.
Nell’approntare il mio tirocinio attivo ho incontrato per la prima volta Derive; avevo
sentito parlare di questo programma, ma non avevo mai avuto l’occasione di studiarlo e
provarlo. Devo dire che personalmente è stata una grande scoperta; ho infatti trovato un
software che mi offre tante nuove possibilità didattiche che fino ad ora non avevo preso
in considerazione, molto flessibile ed in grado di permettere ai ragazzi di concentrarsi
sul cuore dei concetti e dei problemi e non di fermarsi sull’esteriorità. La manualità con
gesso e lavagna devono restare nel bagaglio culturale degli allievi, ma a volte
risparmiare tempo nella costruzione di figure e grafici, grazie proprio a Derive, permette
di andare al nocciolo della questione matematica che si desidera affrontare evitando di
annoiare la classe con lente e difficili costruzioni geometriche.
Nel progetto era stato previsto l’uso del registro grafico dopo poche lezioni
dall’inizio del mio intervento attivo per mostrare ai ragazzi come variava il grafico di
una parabola al variare del valore del parametro a. Ciò non è stato possibile per
indisponibilità dell’aula di informatica; si è deciso quindi di posticipare il tutto a quando
si sarebbe affrontato il tema dei fasci di parabole. Però l’aula di informatica anche per
quel periodo non è mai stata disponibile. Non potendo far provare le potenzialità di
Derive direttamente ai ragazzi, si è optato per una dimostrazione in classe sfruttando un
computer portatile ed un videoproiettore. Si sono scelti alcuni esempi di fasci e per
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ognuno di loro si sono tracciate una decina di parabole diversamente colorate; si è così
potuto ragionare insieme ai ragazzi sulle caratteristiche tipiche di ogni fascio, sui punti
base e le parabole degeneri, sui luoghi geometrici dei vertici, ecc.
In meno di un’ora si è potuto offrire loro una carrellata dei vari tipi di fasci,
utilizzando un registro che, come detto in precedenza, ha grande presa sulle attuali
giovani generazioni, ovvero quello grafico. Se si fosse utilizzata la lavagna ci sarebbe
stato bisogno di molto più tempo per raggiungere lo stesso obiettivo, con il risultato
però di annoiare i ragazzi e di presentare un “prodotto” grafico di qualità ed impatto
nettamente inferiore.
Nell’Allegato 6 sono riportati i fasci mostrati alla classe.
3.5 Lavori di gruppo
Nell’ottica di costruire circostanze nelle quali l’uso della lavagna e del gesso fosse
presente solo lo stretto necessario, e con l’intento di portare i ragazzi a gestire situazioni
nelle quali dovessero affrontare un’inaspettata frattura del contratto didattico, nell’arco
dei due mesi circa del mio tirocinio attivo ho proposto loro quattro momenti di lavoro di
gruppo, diversamente strutturati ed organizzati. Durante queste situazioni a-didattiche
ho notato un tasso di produttività (inteso come numero di esercizi portati a termine in
un’ora di lezione) nettamente superiore alla media ed un impegno molto maggiore da
parte dei ragazzi nel cercare di risolvere i problemi loro posti rispetto ai momenti in cui
uno dei compagni era chiamato alla lavagna e tutti gli altri dovevano “in teoria” seguire
il suo operare (in pratica però il livello di attenzione tendeva vistosamente a calare col
trascorrere dei “passaggi” alla lavagna); vi sono stati anche casi di scarsa collaborazione
all’interno dei gruppi, quando per esempio uno dei componenti tendeva ad isolarsi ed a
fare da solo perché fra i vari soggetti non si riusciva a trovare un modus operandi
comune e condiviso. In generale però sono rimasto positivamente molto sorpreso e
soddisfatto dei risultati ottenuti con questa modalità di cooperative-learning; per il
futuro dovrò sicuramente perfezionarla e correggerne alcuni dettagli, ma ritengo che
potrà diventare un’arma in più che utilizzerò nella mia carriera di insegnante.
Ora vediamo più nel dettaglio come si sono svolti questi quattro momenti di lavoro
di gruppo.
30
Il primo è stato organizzato subito dopo che la classe aveva visto come ricavare
l’equazione di una parabola dati alcuni parametri (passaggio per alcuni punti, coordinate
del fuoco e del vertice, asse e direttrice, retta tangente in un punto della parabola).
I gruppi erano formati da tre studenti, e come primo “esperimento” di questo tipo di
attività si è scelto, insieme alla Tutor, di formarli per vicinanza di posti a sedere. I testi
dei tre esercizi sottoposti ai ragazzi si possono leggere qui sotto:
1 Determinare l’equazione della parabola con asse di simmetria parallelo all’asse y
e passante per A(1;0), B(5;0), C(3;-3).
2 Determinare l’equazione della parabola con vertice V4
9;
2
5 e il fuoco F 2;
2
5.
3 Determinare l’equazione della parabola , con asse di simmetria parallelo
all’asse y, sapendo che passa per A(-3;4), B(0;1) e che in quest’ultimo punto
ammette una retta tangente di coefficiente angolare 2.
Ogni esercizio era su un foglio diverso, con il testo riportato in alto e lo spazio sotto
per svolgerlo. A dispetto delle attese e nonostante il lavoro sia stato continuo per tutti i
cinquanta minuti a disposizione, nessun gruppo ha terminato tutti e tre gli esercizi
assegnati; mentre il primo è stato affrontato dalla totalità dei gruppi, il secondo ha visto
solo alcuni di loro, in particolare tre gruppi, cimentarsi con la sua risoluzione; il terzo
invece è rimasto desolatamente ignorato. La classe, nella sua totalità, ha dimostrato in
questa occasione notevoli difficoltà non nell’impostazione del problema (tutti sapevano
come fare per trovare l’equazione della parabola dati tre punti di passaggio) ma nei più
meccanici calcoli e nella velocità della loro applicazione. Molte richieste di aiuto
durante l’attività erano infatti volte a risolvere problematiche legate a “conti” che non
tornavano, piuttosto che a difficoltà concettuali attinenti all’argomento relativamente
nuovo. Ed infatti, verificando poi il lavoro fatto dai vari gruppi, sono emersi diversi
cosiddetti “errori di calcolo”, che sinceramente ritenevo dovessero essere oramai in gran
parte superati a questo punto della carriera scolastica. Inoltre quasi cinquanta minuti per
risolvere il primo esercizio mi sono parsi sinceramente molti, segno di una mancanza di
sicurezza generale della classe nelle proprie capacità e conoscenze algebriche.
31
Dopo questo primo approccio, in parte anche deludente, si è scelto di ripetere
l’esperimento circa venti giorni più tardi, periodo nel quale erano stati affrontati come
argomenti l’equazione della parabola con asse parallelo all’asse delle ascisse e
analizzati in classe diversi problemi relativi alle intersezioni della parabola con rette e
fasci di rette. Nei tre esercizi previsti ho voluto però inserire un “finto” problema di
fisica, nel quale si ritrovavano buona parte degli argomenti trattati in classe durante la
risoluzione di canonici esercizi di geometria analitica relativi alla parabola. Soprattutto
questo quesito ha suscitato interesse e confronto fra i ragazzi, che in un primo momento
hanno trovato molte difficoltà a “classificarlo” rispetto agli esercizi conosciuti, ma una
volta visto oltre il testo e riconosciutolo come una semplice variante di casi già noti,
sono stati in grado di giungere alla soluzione. Anche questa volta però nessun è stato in
grado di finire il lavoro nei tempi stabiliti, anche se qualche miglioramento rispetto alla
volta precedente si è notato. La formazione dei gruppi questa volta è stata però
demandata alla Tutor la quale, conoscendo meglio di me la classe, ha cercato di
affiancare a ragazzi con maggiore difficoltà dei compagni maggiormente sicuri nella
materia. I testi dei tre esercizi seguono qui sotto:
1 Un cannone spara da sopra il tetto di una casa di altezza 5m. Sappiamo che il
proiettile raggiunge la massima altezza ad una distanza di 30m dal punto di
sparo e che dopo altri 10 m si trova a 45m di altezza. A che distanza dal punto di
sparo cade a terra il proiettile? Quanto vale il coefficiente angolare della retta
tangente alla traiettoria del proiettile nel punto di sparo? E quello nel punto di
caduta del proiettile?
2 Trovare l’equazione della retta parallela all’asse delle x, che intercetta corde
congruenti sulle due curve di equazione :
042101422 yxyx8
17
4
5
8
1 2 xxy
3 Data la parabola di vertice (5/2;9/4) e passante per il punto (2;2), inscrivere nella
porzione di piano limitata dalla parabola e dall’asse x un rettangolo in cui la base
sia doppia dell’altezza.
La terza attività di gruppo è stata fissata circa due settimane prima della verifica
sommativa finale, quando oramai quasi tutti gli argomenti relativi alla parabola che si
era scelto di includere nel progetto di tirocinio erano stati trattati. Questo terzo lavoro di
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gruppo non era stato però preventivato prima, ma ho scelto quella mattina stessa di
inserirlo a questo punto del mio periodo di intervento in classe perché nel corso delle
lezioni precedenti avevo notato una certa stanchezza degli studenti relativamente alla
risoluzione di esercizi alla lavagna in preparazione della verifica. Ho anche deciso, dopo
un consulto con la Tutor, di cambiare leggermente le norme per lo svolgimento
dell’attività: per renderla più interessante è stata posta sotto forma di gara, ovvero ai
gruppi venivano assegnati tre esercizi presi dal testo e si sarebbe fatta una classifica
finale che teneva conto del tempo di consegna del lavoro, ma al quale venivano aggiunti
minuti di penalità per ogni richiesta di aiuto fatta alla Tutor o al sottoscritto e per ogni
errore poi riscontrato in fase di correzione. I gruppi sono stati formati con la stessa
modalità della volta precedente.
Questo diverso modo di lavorare è stato stimolante per i ragazzi i quali, prima di
richiedere l’aiuto dei due docenti, hanno tentato in tutti i modi di venire a capo da soli
delle loro difficoltà. Nei vari gruppi ogni componente si è scelto un esercizio da portare
avanti e tutti hanno cercato di accelerare le procedure risolutive, prestando però
attenzione, grazie a controlli incrociati con i propri compagni, a non commettere errori
che sarebbero stati penalizzanti per la classifica finale. Il risultato finale è stato di avere
avuto studenti più motivati e meno dispersivi (c’era un obiettivo da raggiungere) e più
attenti verso il proprio lavoro e quello dei compagni (non si poteva sbagliare ma
neanche permettere al compagno di farlo).
Pochi giorni prima della verifica sommativa finale del mio periodo di tirocinio, dopo
che anche i fasci di parabole erano stati affrontati, in preparazione della prova si sono
proposti ai ragazzi diversi esercizi di varie tipologie e difficoltà da risolvere in coppia.
Questa volta l’attività è stata svolta invece che su una sola ora di lezione su due, in
modo da simulare il più possibile la situazione tipica della verifica in classe. Le coppie
sono sempre state formate dalla Tutor, seguendo ancora una volta il principio di
affiancare ad uno studente con difficoltà uno più preparato. La finalità dichiarata di
quest’ultimo lavoro di gruppo era quella di far lavorare i ragazzi sul maggior numero
possibile di problemi, affrontando insieme al compagno e con la collaborazione dei
docenti quei misconcetti e quelle lacune ancora presenti nella loro preparazione.
Gli studenti hanno dato grande prova di maturità, impegnandosi per due ore piene
senza sosta e con spirito di collaborazione all’interno della coppia. Anche per la Tutor e
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per me il lavoro è stato intenso, dovendo intervenire continuamente per soddisfare le
richieste di chiarificazioni o di conferme che provenivano dai ragazzi.
La maggior soddisfazione, dopo queste due ore faticose, è stato essere avvicinati da
Federica (la ragazza maggiormente insofferente verso la matematica di cui si era già
parlato nel primo paragrafo di questo capitolo) e sentirsi dire: “non ho mai fatto tanti
esercizi in preparazione ad un compito come questa mattina. Se avessi dovuto farli da
sola a casa non mi sarebbe bastato tutto il pomeriggio e mi sarei stancata subito”.
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Capitolo 4
Le verifiche e la valutazione
4.1 La verifica formativa
Nel corso dell’opera di programmazione e stesura del progetto di tirocinio, con la
Tutor si era deciso di valutare in itinere l’opportunità o meno di effettuare una verifica
formativa verso metà percorso. Dopo il secondo lavoro di gruppo e le incertezze emerse
da parte di un po’ tutta la classe, soprattutto nel gestire il tempo a disposizione ed i
calcoli relativi alle varie tipologie di esercizi, si è scelto effettuare tale tipo di prova per
venire incontro alle difficoltà degli alunni; si è valutato infatti che sarebbe stato molto
meglio per i ragazzi affrontare una prima verifica un po’ più “leggera” centrata sugli
argomenti fino ad allora trattati e poi una seconda conclusiva relativa ai temi della
seconda parte del progetto, piuttosto che dover sostenere un’unica corposa prova finale
contenente un po’ tutti gli argomenti toccati nell’arco dei miei interventi.
Il testo completo della verifica formativa può essere letto nell’Allegato 7.
Una delle difficoltà riscontrate dai ragazzi nel primo esercizio è stata per me inattesa:
infatti diversi di loro, evidentemente non leggendo attentamente il problema, hanno
considerato la parabola di cui dovevano trovare l’equazione avente l’asse parallelo
all’asse delle ordinate, contrariamente a quanto esplicitato chiaramente nel testo. Da qui
hanno poi proseguito in maniera coerente con la loro errata assunzione iniziale,
giungendo però ovviamente ad un risultato diverso da quello corretto. Qualcuno ha
provato poi a minimizzare tale errore affermando che però, a parte la considerazione
iniziale sbagliata relativa al posizionamento dell’asse, il procedimento era esatto. In
effetti essi hanno dimostrato di saper risolvere questa tipologia di esercizi, utilizzando
procedure matematiche assolutamente coerenti con la loro ipotesi iniziale errata; in
accordo con la Tutor gli esercizi che presentavano questo errore di partenza ma che
erano svolti logicamente e coerentemente sono stati valutati con un punteggio pari al
50% del massimo.
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In tutti e tre gli esercizi, a parte il caso particolare del primo poc’anzi enunciato, non
vi sono state grosse difficoltà nella determinazione dell’equazione della parabola dati
alcuni parametri, segno che la classe aveva sufficientemente compreso ed assimilato ciò
che avevamo fatto insieme nelle prime lezioni. I problemi invece sono emersi nel
coordinare diversi enti matematici contemporaneamente, ovvero i ragazzi hanno trovato
difficoltà quando parabola e fasci di rette oppure parabola e rette secanti dovevano
essere gestiti insieme. Anche la necessità di dover impostare equazioni risolutive
relative a domande di tipo prettamente geometrico ha creato non poche problematiche,
mettendo in evidenza la scarsa familiarità della classe con questo tipo di esercizi.
4.2 La verifica sommativa
Nella verifica sommativa si è scelto di modulare maggiormente il livello degli
esercizi relativamente alle loro difficoltà intrinseche rispetto a quanto era stato fatto
nella verifica formativa, per dare così maggiori possibilità di successo agli studenti; dei
cinque esercizi scelti, i primi due sono stati classificati come facili, il terzo ed il quarto
come medi ed il quinto come difficile. Il testo del compito è stato inserito nell’Allegato
7.
Con la Tutor si è scelto di privilegiare alcuni argomenti relativi alla parabola come
assi portanti degli esercizi della verifica sommativa: tangenti da un punto esterno alla
parabola, fascio di parabole, luoghi geometrici, intersezioni fra parabola e retta.
Se il primo quesito non ha fatto riscontrare eccessive difficoltà di risoluzione da parte
di tutti gli studenti, il secondo è stato invece da molti lasciato indietro subito dopo aver
letto il testo od aver abbozzato un inizio di procedimento. Interrogati i ragazzi a fine
prova su quale era stata la causa di tale empasse, visto che questo doveva essere uno
degli esercizi più semplici, essi hanno risposto nella maggioranza dei casi che ricavare
l’equazione della parabola dato il vertice ed un punto era facile, ma che non sapevano
come fare per calcolare il perimetro del quadrilatero ottenuto dall’intersezione della
parabola con la retta passante per il punto (0,3) e di coefficiente angolare pari ad 1.
Osservando meglio i loro elaborati ho notato che era spesso il calcolo della distanza fra
due punti a generare difficoltà nei ragazzi. Davanti alle dichiarazioni degli stessi alunni
ed alle evidenze di problematiche connesse ad argomenti che si suppone debbano essere
padroneggiati con sicurezza in una terza Liceo (la formula della distanza fra due punti),
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si è rafforzata in me l’idea che i ragazzi abbiano delle lacune pregresse di preparazione
che vanno ad inficiare in parte le competenze acquisite nell’anno scolastico in corso.
Inoltre dimostrano di avere facilmente già dimenticato diversi argomenti trattati con la
Tutor nei primi mesi di scuola relativi alle rette ed alle circonferenze, sintomo questo di
una metodologia di apprendimento rivolta più verso una conoscenza a breve scadenza
temporale (si imparano e soprattutto si ricordano le cose fino alla verifica o alla
interrogazione, poi la memoria viene resettata) piuttosto che ad una competenza
duratura nel tempo. Come infatti si commentava insieme alla Tutor: “fanno bene le cose
nuove, ma sbagliano quelle vecchie; non hanno le basi”.
Ciò a mio avviso è messo in risalto dal fatto che molti di loro hanno preferito
affrontare un esercizio potenzialmente più complesso come il terzo, ma nel quale i temi
erano quelli toccati più recentemente (fasci di parabole e tangenti ad una parabola da un
punto esterno), piuttosto che il secondo.
Nel quarto la difficoltà maggiore è emersa sempre nella seconda parte dell’esercizio;
in pochi hanno impostato correttamente il sistema fra parabola e fascio di rette ponendo
la giusta condizione sul discriminante, ovvero che fosse maggiore od uguale a zero. La
maggior parte ha imposto >0, rivelando una misconcezione relativa al concetto di
intersezione fra retta e parabola: infatti la condizione di tangenza non viene intesa da
molti come un caso di intersezione in cui i due punti in comune fra retta e parabola
coincidono fra loro; l’intersezione quindi viene erroneamente considerata come
equivalente al caso di retta secante alla parabola.
L’esercizio numero cinque invece è stato affrontato da pochi solo per un problema di
tempo; infatti molti ragazzi hanno affermato che avevano capito come farlo ma che non
ne hanno avuto la possibilità a causa dell’imminenza della fine delle due ore a loro
disposizione.
4.3 La valutazione
L’azione del valutare rappresenta certamente un momento assai delicato; infatti
implica arrivare a delle conclusioni circa il processo di acquisizione delle conoscenze da
parte dei ragazzi e nello stesso tempo “giudicare” l’efficacia del proprio insegnamento.
La valutazione quindi va intesa come un processo che fornisce importanti
informazioni all’insegnante, per controllare l’efficacia della propria condotta didattica e
37
influenzare perciò le sue future decisioni, ma anche all’allievo, che può grazie a questo
strumento verificare il proprio livello di conoscenza e le proprie competenze
Poiché ciò che è più interessante dal punto di vista educativo è “il grado di
implicazione personale” nella costruzione della propria conoscenza, e questo è un
fattore assolutamente non banale da stimare, si comprende perché valutare sia un
processo assai complesso. Molto più semplice è invece (tentare di) valutare l’insieme
delle capacità raggiunte.
Agli occhi degli studenti l’insegnante deve essere in grado di dare una valutazione
oggettiva e incontestabile, uguale per tutti. Il voto espresso deve quindi attestare ciò che
un alunno “sa fare” o “non sa fare”.
E’ inteso che non sempre i voti sono confrontabili: infatti bisogna tenere conto anche
delle capacità personali, dell’impegno profuso e del livello di competenza acquisito a
partire dalle conoscenze precedenti.
Pensando ad una forma di valutazione ottimale bisognerebbe immaginarla formata da
una prima valutazione “formativa” (una sorta di valutazione diagnostica (Fandiño
Pinilla M. I., 2002) il cui scopo sia ricercare le difficoltà o manchevolezze di
apprendimento) e una sucessiva valutazione “sommativa” riassunta da un voto che
giochi però un triplice scopo:
o fare un bilancio di ciò che lo studente sa / non sa fare,
o da questo bilancio far partire il passo successivo del processo di
insegnamento – apprendimento sia a livello di trasposizione didattica sia a
livello di ingegneria didattica,
o indagare e scoprire le cause delle difficoltà di uno studente.
Per ritornare alla valutazione delle verifiche formative, lo scopo fondamentale non è
tanto quello di dare i risultati corretti ma di puntare a conseguire gli obiettivi prefissati.
Ciò è ben riassunto da Perrenoud (citato in Fandiño Pinilla, 2002) nel quale afferma:
“Se la valutazione vuole fornire informazioni e vuol essere pertinente, allora deve essere
lo strumento tramite il quale l’insegnante sprona l’allievo e sé stesso a sviluppare
meglio il processo di insegnamento-apprendimento, aiutando in questo l’allievo a non
essere solo un attore in dipendenza del contratto didattico”.
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La verifica sommativa non può essere l’unico mezzo per dare una valutazione
individuale dell’allievo; questa deve essere attuata lungo tutto l’arco del progetto e deve
tenere conto non solo del raggiungimento degli obiettivi specifici che erano stati
prefissati ma anche del livello di partecipazione e di interesse mostrati, della capacità di
gestire i nuovi concetti con i quali si è venuti a contatto e di collegarli ad altri argomenti
sia matematici che di altre discipline, della padronanza del linguaggio matematico e dei
contenuti. Sintetizzando il pensiero di Fandiño Pinilla si può affermare che le capacità
in matematica non si misurano solo a livello cognitivo ma occorre prendere in
considerazione anche capacità comunicative, metacognitive ed affettive, essendo
evidente la loro importanza nel processo di insegnamento-apprendimento e a fronte di
esigenze comunicative
Per quanto riguarda la valutazione relativa alla verifica formativa proposta durante il
mio tirocinio in classe, in accordo con la Tutor, e per venire incontro alle difficoltà
pregresse che la classe aveva palesato sia durante la fase osservativa che in quella attiva
del mio lavoro, si era deciso di assegnare la sufficienza a chi avesse risolto
completamente almeno uno dei tre quesiti proposti. Nell’istogramma seguente è
evidenziata la distribuzione dei voti (in rosso quelli insufficienti):
0
1
2
3
4
5
6
4 4+ 4,5 5- 5 5+ 5,5 6- 6 6+ 6,5 7- 7 7+ 7,5 8- 8
La media dei voti è risultata essere pari a 5.8, e le insufficienze undici su
ventiquattro: sicuramente non soddisfacente visto la bassa soglia alla quale era stata
fissata la sufficienza.
Nella verifica sommativa invece si era dato un punteggio massimo ad ogni punto
saliente dei singoli esercizi, e si era poi valutato che, essendo probabile che due ore di
cinquanta minuti l’una non fossero sufficienti per risolvere tutti e cinque i problemi, la
39
sufficienza potesse essere fissata intorno al 45% del punteggio massimo realizzabile.
Nell’istogramma successivo la distribuzione dei voti (in rosso quelli insufficienti):
0
1
2
3
4
5
6
4 4+ 4,5 5- 5 5+ 5,5 6- 6 6+ 6,5 7- 7 7+ 7,5 8- 8
La media risulta essere pari a 6.13 e le insufficienze quattro su ventiquattro: rispetto
alla verifica formativa c’è stato un netto calo delle insufficienze ed anche il voto
minimo, che prima era 4, ora si è alzato a 5-. L’altro dato interessante è che ben
diciannove alunni su ventiquattro hanno migliorato la loro valutazione fra le due prove,
e che nessuno di quelli che non sono migliorati è passato da un voto sufficiente ad uno
insufficiente.
40
Capitolo 5
Conclusioni
Questi due anni nei quali ho frequentato i corsi S.S.I.S, ed in particolare
quest’ultimo, per me sono stati, a causa del mio doppio lavoro di insegnante ed
allenatore e dei continui viaggi di trasferimento fra Forlì, Cesena, Reggio Emilia e
Bologna, estremamente faticosi ed impegnativi. Giunto però a questo punto, mentre
nella notte batto queste ultime righe, i sentimenti che prevalgono sono quelli
dell’orgoglio e della soddisfazione di essere riuscito a portare a termine un impegno che
in diversi momenti ho creduto di non riuscire a concludere.
Oltre a ciò però, se mi guardo indietro a come ero due anni fa e mi confronto con
quello che sono ora, vedo una persona arricchita sia culturalmente che umanamente. Il
mio modo di essere insegnante, prima di frequentare la S.S.I.S., si basava su un puro
empirismo dovuto all’esperienza e agli insegnamenti derivati da “maestri” più anziani di
me. Ora invece ho scoperto una nuova scienza, quella della didattica in generale e della
matematica in particolare. Ho dovuto fare, ed ancora lo sto portando avanti, un profondo
processo di autocritica sul mio modo di stare in aula; ora vedo cose che prima non
vedevo, capisco sfumature che prima non comprendevo.
Nei miei primi anni di insegnamento dopo la laurea sentivo il desiderio di “fare
qualcosa di nuovo, di diverso” dentro la scuola, ma non sapevo come fare. Ora i mezzi e
le conoscenze li ho, ed ho potuto provare a metterli in pratica durante il mio tirocinio.
Devo ammettere che si è trattato di un’esperienza estremamente positiva, che mi ha
arricchito molto sia umanamente che professionalmente. E di ciò devo ringraziare la
mia Tutor, prof.ssa Giuseppina Maria Currò, che ha dimostrato nei miei confronti
apertura, disponibilità, cordialità, professionalità e non per ultima grande umanità;
insieme a lei un grandissimo grazie ed un saluto immenso vanno a tutti i ragazzi e le
ragazze della 3°A del Liceo Moro, che mi hanno accolto benissimo fra loro e che
soprattutto mi hanno dovuto sopportare per tutti questi mesi. Una classe stupenda!
41
Un grazie colmo di gratitudine e di affetto al mio Relatore, il prof. Bruno D’amore,
che ha dimostrato nei miei confronti una disponibilità senza eguali.
A tutti gli amici e le amiche che insieme a me hanno percorso questo cammino
faticoso e il cui aiuto è stato fondamentale per permettermi di giungere al traguardo
(Elisa, Marina, Giulia, Betta, Mariasilvia, Silvia, ...) un grazie di cuore.
E dulcis in fundo il grazie più grande del mondo alla persona senza la quale non
sarei mai arrivato a questo punto e che ha avuto verso di me una pazienza ed una
costanza infinite, il mio Supervisore prof.ssa Sandra De Pietri.
42
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43
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Struzzi, Ed. Qualevita, Sulmona, 23-24-25 aprile 1999, pagg. 31-42.
44
Allegato 1
Introduzione storicaIntroduzione storica
•La matematica che oggi noi studiamo non è nata, come qualcuno può pensare, in tempi recenti. Recenti sono solo alcune sue applicazioni.•La matematica però non è neanche qualcosa che èsempre esistito, ma è il frutto del duro lavoro di uomini e donne che spesso hanno trovato motivo di ispirazione per le proprie fatiche dalla vita quotidiana e non dall’astrattezza nella quale spesso la matematica èpensata da parte dei più derivare.
Introduzione storicaIntroduzione storica
• Le prime linee che si presentano all'immaginazione dell'uomo sono la retta e il cerchio. Con esse nasce la geometria, il cui nome, letteralmente significa misura della terra. • Infatti i primi geometri dell'antichità sono gli agrimensori dell'antico Egitto (circa 2000 a.C.). Tirando le funi, essi potevano tracciare sul terreno rette e cerchi per disegnare i confini dei terreni• Un'operazione di cui resta una traccia in molte lingue moderne, nell'espressione "tirare una retta".
Le sezioni conicheLe sezioni coniche Le sezioni conicheLe sezioni coniche• Lo studio delle coniche si è evoluto nel corso di diversi secoli. Per quanto si sa, le sue le origini risalgono a Menecmo(350 a.C.) che scoprì le sezioni coniche nel tentativo di risolvere il problema della duplicazione del cubo, o problema di Delo. Narra la leggenda che la Grecia fosse funestata da una tremenda epidemia; l'oracolo diDelo disse che l'ira degli dei si sarebbe placata qualora l'altare a essi dedicato, a forma di cubo, fosse stato sostituito con uno grande il doppio. I Greci costruirono un altare, sempre a forma di cubo, e con il lato doppio del primo. Ma la pestilenza non accennava a calmarsi e si scoprì che il nuovo altare non era grande il doppio, ma otto volte più del primo. Infatti, essendo uguale ad a3 il volume del cubo di lato a, quello di lato 2a avràvolume (2a)3.
Le sezioni conicheLe sezioni coniche• Come risolse Menecmo il problema? Intersecando due parabole: Si considerino due parabole, di equazioni y2 = 2ax e x2 = ay. Se il punto di coordinate (x,y) appartiene ad ambedue queste curve,si avrà x4 = a2y2 =2a3x, da cui si trova x3=2a3,e quindi In definitiva, intersecando le due parabole si ottiene un punto la cui ascissa èil lato del cubo doppio.
3 2ax
Le sezioni conicheLe sezioni coniche• Anche Euclide (360-300 a.C.) si interessò alle coniche; scrisse ben 4 libri andati poi perduti.• La trattazione fu completata negli otto libri 'Leconiche' da Apollonio (200 a.C.).• Introdusse i nomi "ellisse", "parabola", e "iperbole“ e dimostrò una serie di proprietà poi applicate in molti campi della scienza e della tecnica.• I raggi che provengono dall'infinito sono delle rette parallele; riflettendosi sulla parabola vanno a finire nel fuoco.• Per concentrare in un punto i raggi del sole si dovràusare uno specchio parabolico. La leggenda narra che Archimede (III sec. a. C.) avrebbe incendiato le navi romane con uno specchio ustorio.• I grandi radiotelescopi e le antenne paraboliche agiscono secondo lo stesso principio.
45
Le sezioni conicheLe sezioni coniche• Pur interessante dal punto di vista matematico, lo studio delle coniche aveva scarsi interessi pratici e venne abbandonato per diversi anni. Solo dopo circa 1800 anni lo studio di Apollonio poté fare passi avanti. Questo fu dovuto essenzialmente all'introduzione dei nuovi metodi matematici basati sulle coordinate cartesiane, ma anche al sorgere di un nuovo interesse scientifico. Da segnalare nell'ordine Galileo (moto di un proiettile) Cartesio, Keplero, Pascal, ed infine Newton che utilizzarono lo studio delle coniche applicato a scoperte scientifiche.
Le sezioni conicheLe sezioni coniche
Le sezioni conicheLe sezioni coniche
46
Allegato 2
baxxba
xabax
osostituiscx
aby
bxyayx
byyxxabxxa
232
2
2
2
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maxmaaxosostituisc
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22
2
2
2
33
3323
ayx 2 axy 22
47
Università di Bologna
SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO
ANNO ACCADEMICO 2006/2007
Progetto di tirocinio
La matematica della parabola da un
punto di vista storico-fisico
Specializzando: Dott. Massimiliano Bacchi
Supervisore: Prof.ssa Sandra De Pietri Indirizzo Fisico-Informatico-Matematico
Classe di abilitazione: A049
Scuola di attuazione: Liceo Scientifico Statale “Aldo Moro”, Reggio EmiliaTutor: Prof.ssa Giuseppina Maria Currò
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Finalità dell’insegnamento della matematica
“Se alcuni argomenti matematici venissero presentati in maniera da incuriosire
l’opinione pubblica, si raggiungerebbe l’obiettivo di fare entrare più persone in
sintonia con la Matematica, sì da svelarla e renderla amabile a tutti.”
Guido Carolla
Scienza in continua evoluzione la Matematica è diversa da tutte le altre perché
studia oggetti da essa stessa creati che non esistono in natura, pur se questa lucida
descrizione della mente non solo trova nella natura un perfetto riscontro, prodigio che
ha stupefatto gli studiosi da Galileo a Einstein. Infatti spesso essa ricorre alla natura per
rendersi più comprensibile, ed allo stesso tempo per mostrare il proprio lato estetico ed
affascinante.
Molte persone colte che apprezzano la Letteratura, la Musica, le Arti figurative, e
che hanno maturato il gusto del bello nelle varie espressioni della creatività dell’uomo,
purtroppo considerano la Matematica come una disciplina misteriosa, certo importante
per lo sviluppo della scienza, che però ha sempre mostrato loro un aspetto non attraente,
quando non addirittura “orrendo”; il loro ricordo scolastico confina con l’incubo, perché
sicuramente, è mortificante riconoscerlo, non hanno avuto un insegnante all’altezza.
Queste persone, spesso, con un tratto di civetteria snobistica, si vantano di non aver mai
capito nulla di Matematica, né di aver mai provato interesse per essa e sia pure in senso
diverso, affermano il vero: non ne hanno mai capito lo spirito profondo, non sono mai
stati messi in condizione di vederne il lato estetico; non sarebbe altrimenti giustificabile
che una persona di media intelligenza non fosse in grado di comprendere semplici
processi logico-razionali. Il “non ne ho capito nulla” è in realtà conseguenza di un
rifiuto verso la Matematica quale sovente viene presentata negli anni di scuola, verso la
ripetitività noiosa di vuoti calcoli, l’elenco arido di teoremi, le proposte di problemi
assurdi da affrontare e risolvere con tecniche prive di logica, cioè con formule
preconfezionate, che, lungi dal provocare interesse e stimolare curiosità, inducono
repulsione e rifiuto. Il motivo per cui la matematica in Italia è la più detestata delle
materie scolastiche probabilmente va cercato proprio nel fatto che la nostra scuola la
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insegna come fine a se stessa senza far scoprire agli studenti le mille applicazioni e non
ne trasmette il fascino e la forza.
Certo che se due illustri intellettuali del passato hanno affermato che “O si fa scienza
o si fa arte” (Benedetto Croce) e che “la matematica è morta, infeconda, arida come un
sasso” (Gentile), si può ben capire perché le scienze, e la matematica in particolare,
siano sempre state viste nella scuola italiana quasi come un elemento estraneo alla
formazione culturale (prevalentemente di stampo classico) dei giovani studenti. Questa
impostazione formativa ha portato da tempo all’idea che nell’istituzione scolastica
italiana vi debba essere una netta divisione (contrapposizione) tra le materie tipicamente
umanistiche e quelle scientifiche, e la matematica in particolare; e la scuola stessa poco
o nulla ha fatto per smentire tale opinione che, purtroppo, è dei più. Ciò porta al
preconcetto dell’esistenza di due culture ben separate, quella letteraria e quella tecnico-
scientifica, che possono fare a meno una dell’altra. Si ignora però in questo modo che la
sete di conoscenza e l’amore per la scoperta che guida un matematico o un fisico da una
parte ed uno storico o un italianista dall’altra è esattamente la stessa. La cultura non
deve essere divisa in compartimenti stagni; i contatti e gli scambi fra le varie discipline
sono fecondi di crescita per tutti.
Quando un nostro studente ci dice la classica frase “ma non mi servirà a niente tutta
questa matematica!”, non possiamo che dargli ragione: presentata nel modo di cui si
diceva sopra la matematica è veramente “morta e infeconda”, per citare ancora Gentile.
Solo se siamo in grado di stimolare la curiosità nei giovani, provocando in loro il gusto
della discussione e del dubbio, facendo vedere loro quali sono i rapporti con la realtà
dalla quale la costruzione dell’edificio matematico prende le mosse, mostrando cosa
effettivamente la matematica conosce e quale sia la natura che si può attribuire agli
oggetti matematici, possiamo pensare di aprire la mente degli studenti al fascino ed al
mistero della matematica come incomparabile avventura dell’intelletto umano.
Il collegamento con il quotidiano e l’analisi storico-epistemologica dei vari
argomenti da affrontare in classe sono, a mio avviso, punti fondamentali di questo
approccio meno arido alla matematica che tutti auspichiamo. Il ragazzo deve sentire che
dietro ad una legge, dietro ad un teorema, dietro ad un nuovo ente matematico ci sono,
con la loro umanità e la loro storia, uomini e donne che nei secoli passati si sono posti
domande molto concrete ed hanno cercato soluzioni e spiegazioni ad esigenze
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quotidiane e profondamente tangibili; inoltre deve essere messo al corrente che questo
faticoso lavoro ha portato a ricadute pratiche delle quali lui stesso, spesso
inconsapevolmente, prova giornalmente i benefici.
Bisogna lottare contro l’idea che la matematica sia qualcosa di completamente
distaccato dalla realtà spaziale e temporale della nostra società, cioè che sia un ente
assoluto non collocabile storicamente e temporalmente nella vita e nell’evoluzione del
genere umano.
Se il ragazzo sente che attraverso l’apprendimento della matematica permette alla
propria mente di sviluppare facoltà intuitive e logiche, di incrementarne le capacità di
astrazione e di formazione dei concetti, di esercitare il ragionamento induttivo e
deduttivo, di accrescere la capacità di sintesi e di risoluzione di problemi grazie a
ragionamenti coerenti, di esercitare l’utilizzo di un linguaggio appropriato e preciso,
forse avrà trovato ciò che spesso invece manca nei giovani studenti: il gusto dello studio
di una materia difficile ma allo stesso tempo affascinante. E noi come insegnanti
avremo fatto bene il nostro lavoro.
Strategie d’insegnamento
Le più consolidate teorie sulla didattica della matematica mettono in mostra come
per poter pianificare una strategia di intervento non si possa prescindere dal cosiddetto
Triangolo di Chevallard, rappresentabile con ai suoi vertici i tre poli del processo di
apprendimento: insegnante, allievo e sapere. Per citare D’Amore, questo schema
geometrico deve essere inteso “come una semplice allusione a tre soggetti (enti, poli,
idee) che entrano (qualche volta fisicamente, qualche volta metaforicamente) in
contatto fra loro al momento dell’azione didattica”.
Il ruolo dell’insegnante è quindi molto delicato in quanto egli deve attuare una
trasposizione didattica dal sapere matematico, che proviene dalla ricerca, al sapere da
insegnare fino al sapere insegnato, ovvero quello della pratica in aula. Per fare questo il
docente non può non tenere in giusta considerazione il sistema didattico e l’ambiente
sociale e culturale (cioè la noosfera) nel quale deve operare, oltre alla tipicità e
singolarità dei propri allievi.
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Per sintetizzare questo discorso possiamo ancora rifarci a D’Amore quando afferma:
“La trasposizione didattica consisterebbe allora [...] nel costruire le proprie lezioni
attingendo dalla fonte dei saperi, tenendo conto delle orientazioni fornite dalle
istruzioni e dai programmi (sapere insegnare), per adattarli alla propria classe: livello
degli allievi, obiettivi perseguiti. La trasposizione didattica consiste nell’estrarre un
elemento del sapere dal suo contesto (universitario, sociale, eccetera) per
ricontestualizzarlo nel contesto sempre singolare, sempre unico, della propria classe”.
Quindi l’insegnante deve modulare il proprio intervento soppesando vari elementi e
rendendo quindi il proprio agire unico e irripetibile in altre situazioni didattiche. Ciò
comporta che non sia più accettabile il ruolo del docente come semplice esecutore di
direttive vincolanti provenienti dal Ministero (i famosi-famigerati programmi
ministeriali che fissavano “cosa” insegnare, “quando” farlo e “come” realizzarlo); non
vi sono contenuti irrinunciabili della disciplina che ad ogni costo devono essere (magari
male e di corsa!) affrontati, pena la squalifica di tutto il lavoro fatto dal docente. Ogni
insegnante ha le sue convinzioni, i suoi metodi e le sue strategie, apprese ed affinate
attraverso l’esperienza, ed ha il diritto di sperimentare, ricercare, migliorare i propri
metodi, nella consapevolezza che sarà egli stesso direttamente responsabile di tutto ciò.
L’insegnamento è un’arte e, come tale, deve essere libera.
Come già affermato precedentemente, uno dei punti più deboli dell’insegnamento
della matematica, è il disinteresse e la noia che pervade gli studenti durante le ore di
lezione. E’ necessario abbattere l’idea di una disciplina puramente mnemonica, avulsa
dal mondo reale e caratterizzata da una ripetitività d’aula che provoca il rifiuto degli
studenti a qualunque tipo di applicazione allo studio, se non finalizzato al voto e non
alla conoscenza.
In generale l’insegnamento scientifico nei giovani deve quindi puntare allo sviluppo
di basi razionali su cui fondare un cambiamento concettuale e ciò implica spesso forti
resistenze da parte degli studenti. Le anomalie possono aiutare molto in questo tentativo
educativo; esse forniscono una sorta di conflitto cognitivo che prepara lo studente ad un
accomodamento delle proprie idee e quindi ad un cambiamento. Ma solo se lo studente
ha a disposizione dei modelli di giudizio e ragionamento scientifico validi tutto ciò si
potrà ottenere. Il rischio è che in mancanza di ciò una nuova teoria venga accettata solo
perché “lo dice il libro o il prof.”. Come può allora il docente aiutare gli studenti ad
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accettare questi nuovi concetti? Può farlo puntando sia sugli obiettivi curriculari, sia sui
contenuti.
Per quanto riguarda i primi bisogna mirare a sviluppare negli studenti:
o Una consapevolezza delle proprie assunzioni personali e di quelle contenute
nella teoria scientifica;
o Una richiesta di coerenza delle proprie opinioni sul mondo;
o Una consapevolezza delle fondamenta storico-epistemologiche delle scienza
moderna;
o Un senso di fruttuosità dei nuovi concetti.
Se vogliamo sviluppare un cambiamento concettuale con basi razionali negli
studenti, i contenuti dei corsi scientifici devono essere tali da rendere le teorie
scientifiche intelligibili, plausibili e potenzialmente fruttuose. In quest’ottica bisogna:
o Dare più enfasi ai contenuti piuttosto che alla loro “copertina”;
o Includere “anomalie retrospettive”;
o Utilizzare ogni metafora, modello e analogia che renda più chiari e
plausibili i nuovi concetti.
Per quanto riguarda la matematica in particolare alcuni modi di intervento volti ad
aumentare la motivazione degli studenti possono essere:
o Inquadrare sotto un profilo storico ed epistemologico i vari argomenti. La
matematica non è sempre esistita, è frutto di lavoro, di studio ed è derivata
da esigenze dell’uomo;
o Collegare gli argomenti trattati a contesti di attualità e di realtà. Connetterli
con altre discipline. La matematica è vista troppo spesso come materia a sé
stante, che esiste solo in aula durante le lezioni e che non sarà più di alcuna
utilità una volta conseguito il titolo di studio;
o Utilizzare altre tecnologie, non solo la classica lavagna e il gesso.
L’informatica soprattutto può essere di grande aiuto e permette di
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risparmiare tempo e fatica nei calcoli e concentrarsi sull’interpretazione di
fenomeni, sull’analisi dei risultati, sicuramente attività più interessanti,
stimolanti e varie.
L’utilizzo di anomalie per stimolare un cambiamento, cui si accennava prima, possono
essere un cardine di una delle principali azioni che un docente può mettere in pratica
un’azione didattica efficace: la rottura del contratto didattico. Si tratta, secondo la
definizione data da Brousseau e ripresa da D’Amore, dell’“insieme dei comportamenti
dell’insegnante che sono attesi dall’allievo e
l’insieme dei comportamenti dell’allievo che sono attesi dall’insegnante”. In pratica
non è che quell’insieme di norme che regolano le relazioni tra gli argomenti trattati,
l’insegnante, gli studenti e le loro attese; per la matematica in particolare si tratta di un
processo in cui l’allievo è consapevole di dover acquisire determinate nozioni, che
rientrano nell’istituzionalizzato sapere scolastico, e che lo porterà, giunto al momento di
dover dare risposte, non a porsi domande sul contenuto ma a cosa l’insegnante si aspetta
che egli faccia o risponda.
Si tratta quindi di puntare su una continua rottura di tale contratto, facendo in modo
che sia lo studente stesso a farsi carico dell’apprendimento (“consegna di
responsabilità”), costruendo egli stesso la conoscenza (“devoluzione”). Per raggiungere
tale scopo si può pensare di mettere in pratica situazioni a-didattiche, nelle quali gli
studenti affrontano attività che li coinvolgono senza essere a conoscenza delle finalità
cognitive che l’insegnante si ripromette di raggiungere. Verranno quindi presentate
delle situazioni problematiche che essi dovranno affrontare tentando diverse vie
risolutive, vagliando le possibili alternative e le conseguenze, formalizzando
conclusioni che saranno successivamente discusse con il resto della classe; durante
questi confronti lo studente dovrà argomentare e difendere le proprie scelte e tentare di
smontare, grazie all’utilizzo di controesempi, le posizioni altrui diverse dalle sue. Il
ruolo dell’insegnante in questo tipo di attività non sarà quello di charificatore di idee e
presentatore di informazioni, ma dovrebbe invece diventare per i ragazzi sia un
avversario in senso socratico, ovvero con la funzione di stimolo, di mediazione, di
verifica del processo di apprendimento; sia un modello di pensiero scientifico, quando si
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assumerà il compito di istituzionalizzare le conoscenze conquistate durante l’attività
d’aula.
Questo tipo di approccio metodologico alla didattica richiede sicuramente un
maggior investimento in termini di tempo, con una conseguente riduzione della quantità
del lavoro eseguito, ma con un netto guadagno della qualità dell’apprendimento e del
coinvolgimento degli studenti. Può allora convenire focalizzare l’intervento tramite
attività a-didattiche sui cosiddetti nuclei fondanti della materia, cioè i contenuti chiave
della stessa disciplina matematica.
In questo modello di strategia d’insegnamento saranno importanti alcuni aspetti:
o In un’ottica costruttivista della matematica, si deve seguire un processo a
spirale nella costruzione dell’apprendimento, nel quale i vari punti vengono
affrontati più volte durante il percorso scolastico e dove i modelli intuitivi
degli alunni vengono via via accomodati, per giungere ad un modello di
concetto matematico vero e proprio;
o L’insegnante deve sempre avere il polso della situazione della classe,
ovvero un continuo monitoraggio delle conoscenze e delle competenze dei
singoli alunni. Il feedback è un ausilio fondamentale per il docente, in
quanto permette di perseguire l’individualizzazione dell’insegnamento e la
calibrazione della propria azione didattica;
o Sempre nell’ottica di interventi sempre più indirizzati e misurati sui singoli
studenti, vi è la possibilità di utilizzare diversi registri di rappresentazione
di uno stesso concetto (conversione) e di più rappresentazioni all’interno
dello stesso registro (trattamento). In questo senso possono venire in aiuto
software matematici, soprattutto di tipo tabulare e grafico, che possono
permettere allo studente di concentrarsi maggiormente sulla lettura del
grafico piuttosto che sulla sua costruzione; anche l’utilizzo di supporti
video, in particolare quando si crea un ponte interdisciplinare con altre
materie, per esempio con la Fisica, possono consentire di portare
maggiormente l’attenzione sui nuclei fondanti del tema in esame;
o L’atteggiamento entusiasta dell’insegnante nei confronti della materia mette
in gioco anche la sfera affettiva del rapporto docente-allievo. Il rapporto
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asimmetrico fra questi due vertici del triangolo di Chevallard deve essere
improntato alla chiarezza ed al rispetto dei ruoli, sempre però con l’intento
di una collaborazione la più ampia possibile. Mettendo in primo piano
l’attenzione per i processi di apprendimento degli studenti (Didattica B),
l’insegnante può stimolare gli allievi a coinvolgersi in prima persona nella
costruzione della propria conoscenza;
o L’utilizzo dei lavori di gruppo permette ai ragazzi di effettuare un confronto
diretto ed informale con propri pari, stimolando una riflessione sulle
strategie risolutive delle anomalie adottate da se e dagli altri. L’insegnante
avrà una funzione di supervisore e potrà ottenere molte informazioni sul
livello di apprendimento generale e dei singoli individui, oltre che sulle
dinamiche interpersonali presenti nel gruppo-classe;
o Organizzare le lezioni in modo che una buona parte del tempo sia dedicata
alla discussione degli errori degli studenti. L’insegnante deve analizzare a
fondo l’errore per capire se si sia in presenza di misconcezioni o comunque
conflitti cognitivi. L’errore deve essere inteso non come un fallimento
insormontabile, ma come un’opportunità per riorganizzare e riorientare le
proprie attività di studio; quindi non deve assumere una connotazione
puramente negativa, ma essere uno strumento per un’elaborazione critica da
parte dello studente stesso.
Vincoli
La scuola presso la quale si svolge la mia attività di tirocinante è il Liceo Scientifico
“Aldo Moro”, di Reggio Emilia. L’istituto è dotato di diversi laboratori scientifici
(Fisica, Informatica), di una biblioteca molto fornita ed attiva, e vi è la disponibilità di
supporti multimediali (tv, videoproiettori, ecc.) da utilizzare in classe o in aule
debitamente predisposte.
La scuola, frequentata da molte centinaia di studenti, offre diversi indirizzi di studi
(tradizionale, PNI, ecc.). La classe 3°A, presso la quale si svolge il mio tirocinio, in
particolare fa parte del cosiddetto “Triennio Autonomia Scientifico”. Nell’ambito di
questa tipologia di corso si inseriscono due ore settimanali, su un monte ore di sette, di
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codocenza: una con l’insegnante di filosofia ed una con il collega di fisica. Il gruppo-
classe è composto da 25 allievi, di cui 6 maschi e 19 femmine, e non presenta casi di
non superamento del debito formativo acquisito nell’anno scolastico precedente da parte
di sei alunni.
Il periodo di osservazione che sto effettuando mi porta ad affermare che il
comportamento della classe può essere definito nel complesso tranquillo e composto, e
le ore di lezione fluiscono abbastanza agevolmente senza dover ricorrere a frequenti
interventi disciplinari o di richiamo dell’attenzione da parte dell’insegnante.
L’atteggiamento da parte dei ragazzi appare quindi rispettoso ed essi, ad una prima
valutazione, si mostrano attenti e partecipi alla lezione. Ad una più approfondita
osservazione però si ha l’impressione che, più che curiosità ed interesse per ciò che in
aula viene fatto, vi sia una sorta di passività degli studenti nei confronti della materia, la
quale porta ad un atteggiamento apparentemente tranquillo e partecipe ma in realtà
nasconde una certa abulia nei confronti della matematica.
Osservando la classe dall’interno in queste settimane ho notato come gran parte
degli alunni passino il tempo a copiare pedissequamente tutto ciò che viene scritto alla
lavagna dall’insegnante o dai propri compagni che via via si alternano a risolvere
esercizi o a eseguire dimostrazioni durante le interrogazioni, senza una spiccata e
positiva partecipazione attiva e critica verso quello che viene fatto. A parte alcuni casi
di ragazzi che, durante la risoluzione pubblica di problemi, intervengono per
sottolineare incongruenze poste in essere dal proprio compagno interrogato in quel
momento o per suggerire vie alternative a quella proposta nella ricerca della soluzione
al quesito posto, la maggior parte della classe semplicemente prende nota di ciò che
viene scritto e detto rimandando, probabilmente, ad una successiva analisi da effettuare
a casa durante le ore di studio o di ripetizioni private i contenuti degli argomenti trattati
a scuola.
Mi sento quindi di affermare che il comportamento tranquillo e composto della
classe notato nei primi giorni del mio tirocinio deve essere attribuito in generale più ad
una passiva trascrittura di tutto ciò che viene detto e scritto durante la lezione che ad una
positiva ed attiva partecipazione agli specifici argomenti trattati.
Purtroppo sembra mancare per la maggior parte dei componenti di questo gruppo di
studenti quel sacro fuoco del desiderio di apprendere e capire una disciplina ricca di
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risvolti ed implicazioni come la matematica. In molti di loro si vede quell’atteggiamento
negativo e di rifiuto di cui si parlava nel primo paragrafo di questo mio progetto, ovvero
quel sentire la matematica come una materia arida, fatta solo di numeri e formule da
imparare a memoria, senza un collegamento con la realtà e la quotidianità.
Tale mia impressione è stata più volte confermata dalle parole dello stesso
insegnante-tutor, la quale mi ha sempre dipinto la classe come di livello medio, con
alcune discrete ma non eccelse individualità da riscontrare più nella minoranza maschile
che nella maggioranza femminile, e formata da ragazzi votati più che altro ad assolvere
il proprio “ruolo istituzionale” di studenti piuttosto che a cercare di cogliere il lato
affascinante della disciplina. Infatti ciò che traspare, e che rattrista, è che la finalità
ultima degli alunni sia semplicemente quella dell’ottenimento di un voto adeguato
piuttosto che l’appagamento di una “curiosità intellettuale”.
Per quanto riguarda lo stile di insegnamento del tutor direi che si basa
fondamentalmente su un approccio classico con scansione modulare dei contenuti: il
nucleo della modalità d’intervento didattico è formato da lezioni frontali, nelle quali
l’insegnante presenta i nuovi argomenti alla lavagna con puntuali dimostrazioni e
definizioni, e risoluzioni di esercizi relativi al tema in esame. Vi è anche l’uso integrato
del laboratorio di informatica ed inoltre sono previsti lavori di gruppo e l’utilizzo della
lavagna luminosa durante le lezioni.
Per quanto riguarda in particolare la lezione frontale in essa la parte teorica di un
argomento viene affrontata in piccoli segmenti durante un certo lasso di tempo,
intervallandoli l’uno all’altro con interrogazioni nelle quali viene chiesto ai ragazzi di
affrontare fondamentalmente la risoluzione di problemi proposti precedentemente come
lavoro da fare a casa. Quindi nella stessa ora di lezione abbiamo la classica
interrogazione alla lavagna il più delle volte seguita da un’implementazione ed
ampliamento dell’argomento in esame grazie alla presentazione da parte del docente di
alcuni casi nuovi o particolari, di strategie risolutive alternative per gli esercizi già
affrontati o della dimostrazione di nuove formule da applicare ad una tipologia di
problemi più complessa e completa.
Durante le interrogazioni l’attenzione del tutor è rivolta fondamentalmente al ragazzo
chiamato alla lavagna; a volte l’insegnante ha fatto domande tipo “botta e risposta” agli
studenti al posto per mantenere viva la loro attenzione e concentrazione, evitando così la
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pratica di semplice trascrizione dalla lavagna già descritta precedentemente.
L’interrogazione, come già detto basata principalmente sulla risoluzione di esercizi dati
come compito a casa o scelti al momento dal tutor, a volte, per mancanza di tempo, può
essere terminata nella successiva ora di lezione. L’esito non viene comunicato al
termine della prova ma il giorno successivo, dopo che l’insegnante ha riletto le proprie
note scritte durante la prova stessa.
Le verifiche scritte in classe si basano anch’esse sull’affrontare problemi di diversa
difficoltà e complessità che abbracciano tutti i temi toccati fino a quel momento relativi
all’argomento specifico del programma annuale in esame. Il loro numero è preventivato
in circa una al mese per un totale di tre a quadrimestre. Sono previste dalla
programmazione individuale del tutor anche test a risposta multipla e questionari con
domande aperte. Come scritto nel programma annuale, il tutor si impegna a comunicare
l’esito delle prove non oltre il ventesimo giorno dalla loro effettuazione.
Il programma è diviso in nove moduli più un “modulo zero” di ripasso dei contenuti
principali dell’anno precedente:
o Modulo uno: disequazioni irrazionali con valori assoluti e sistemi di
disequazioni;
o Modulo due: sistema di coordinate sulla retta e sul piano, distanza fra due
punti, punto medio di un segmento, baricentro e area di un triangolo,
equazione della retta, rette parallele e perpendicolari, fasci di rette;
o Modulo tre: luoghi geometrici, la circonferenza, fasci di circonferenze;
o Modulo quattro: la parabola, fasci di parabole;
o Modulo cinque: l’ellisse;
o Modulo sei: l’iperbole, definizione generale delle coniche;
o Modulo sette: informatica: array monodimensionali;
o Modulo otto: concetti fondamentali di geometria nello spazio;
o Modulo nove: funzione esponenziale, equazioni esponenziali, funzione
logaritmo, equazioni logaritmiche.
Il testo in adozione è “Moduli di lineamenti di matematica - Modulo B: geometria
analitica del piano cartesiano”, di Dodero, Baroncini e Manfredi edito dalla Ghisetti e
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Corvi Editori. Esso vene usato essenzialmente come eserciziario, lasciando che la parte
teorica della lezione si basi, come già detto, su spiegazioni alla lavagna da parte
dell’insegnante. Il tutor ha anche utilizzato fotocopie di altri testi scolastici per integrare
le varie tipologie di esercizi e problemi presenti nel testo a disposizione dei ragazzi.
Prerequisiti
La classe, in base la programma stilato dal tutor ad inizio anno, avrà acquisito una
serie di competenze e di conoscenze prima del mio intervento attivo nell’ambito del
progetto di tirocinio che permetteranno di affrontare gli obiettivi specifici che mi sono
posto e che saranno elencati nel prossimo paragrafo. Tal prerequisiti possono così essere
riassunti:
o Insiemi numerici:
Saper applicare le regole delle operazioni nei vari insiemi numerici.
o Piano cartesiano:
Avere acquisito il concetto di luogo geometrico;
Saper calcolare la distanza tra due punti del piano;
Saper rappresentare una retta sul piano cartesiano:
- saperne riconoscere ed applicare l’equazione generale
- saperne riconoscere ed applicare i relativi significati geometrici del
coefficiente angolare e del termine noto.
o Equazioni:
Riconoscere e saper risolvere equazioni di primo grado;
Riconoscere e saper risolvere algebricamente equazioni di secondo
grado ad una incognita.
o Funzioni:
Aver acquisito il concetto di funzione, in particolare di funzione
matematica e saperla interpretare correttamente sul piano cartesiano.
o Sistemi:
Riconoscere e saper risolvere con metodi di opportuni sistemi di
equazioni di primo e secondo grado.
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Obiettivi specifici
Come si evince dal titolo di questo progetto, l’argomento scelto per il mo intervento
attivo in collaborazione con il tutor ed il supervisore è la parabola.
La scelta del tema è stata influenzata anche dalla mia Laurea in Fisica, in quanto
tutti e tre abbiamo pensato di poter sfruttare al meglio questa mia specifica preparazione
per creare un ponte didattico-culturale ben strutturato fra la matematica e la fisica; in ciò
si inquadra il titolo del progetto “La matematica della parabola da un punto di vista
storico-fisico”, nel quale si legge la volontà di avere come obiettivo primario lo studio
di tale conica utilizzando più registri e punti di vista: oltre a quello matematico più
formale, quello storico-epistemologico, quello fisico e quello tecnologico con le sue
applicazioni alla vita quotidiana.
Proprio in rispetto di tali nostre finalità l’utilizzo di mezzi multimediali - oltre a
quello classico della lavagna, della carta e della matita – come filmati di didattica della
fisica tratti dalla raccolta del PSSC, softwear specifici come Derive, documenti di
carattere matematico-storico tratti dal web e l’uso del laboratorio di fisica per un
esperimento sul moto accelerato, sarà alla base del mio intervento.
Gli studenti arriveranno ad incontrare la parabola dopo aver affrontato nei mesi di
novembre, dicembre e gennaio lo studio della circonferenza. Ciò mi permetterà un
approccio più semplice all’argomento che dovrò presentare, in quanto la classe ha già
avuto un primo contatto con le coniche.
Oltre agli obiettivi didattici ed educativi più generali presenti anche nel programma
annuale del tutor, come:
o far acquisire i contenuti a livelli più elevati di astrazione e di
formalizzazione;
o potenziare le capacità di utilizzare metodi, strumenti e modelli matematici in
situazioni diverse;
o sviluppare l’attitudine a riesaminare criticamente e a sistemare logicamente
le conoscenze via via acquisite,
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ci siamo posti in maniera più specifica il raggiungimento di altre conoscenze
disciplinari riguardanti l’argomento del progetto, quali:
o Sapere rappresentare ed interpretare le caratteristiche grafiche delle funzioni
di 2° grado complete, comprendendo la rilevanza geometrica dei suoi
parametri;
o Sapere riconoscere la parabola e le sue caratteristiche geometriche;
o Sapere interpretare geometricamente le soluzioni di un’equazione di 2°
grado;
o Sapere interpretare le posizioni reciproche di rette e parabole sul piano
cartesiano;
o Essere in grado di determinare l’equazione di una parabola con l’asse
parallelo alle ordinate, dati tre punti o altre condizioni sufficienti;
o Essere in grado di determinate equazioni di rette tangenti ad una parabola
passanti per un punto;
o Essere in grado di determinare l’equazione di un fascio di parabole;
o Saper risolvere una disequazione di 2° grado utilizzando l’intersezione della
parabola con l’asse delle ascisse.
Nei momenti di confronto fra il sottoscritto, il tutor ed il supervisore è emersa
fortemente la volontà di raggiungere tali obiettivi attraverso una metodologia meno
classica che puntasse allo sviluppo negli studenti di un “pensiero funzionale”; questo li
può portare ad utilizzare vari registri interpretativi di una stessa situazione e creare in
loro un processo di integrazione di conoscenze che deve diventare un’attitudine mentale
degli studenti durante tutto il percorso scolastico, in modo che le tecniche matematiche
apprese non siano oggetto di pura applicazione meccanica ma frutto di una riflessione
sui significati nei diversi contesti affrontati.
L’utilizzo di supporti informatici dedicati e di link ad altre discipline non solo
scientifiche, per non parlare dei collegamenti con la quotidianità, sono a nostro avviso i
mezzi per ottenere tutto ciò e i punti qualificanti di questo progetto.
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Organizzazione dei contenuti
Il lavoro da effettuare in classe durante la fase attiva del tirocinio è stato pensato
diviso in due fasi principali, a loro volta poi suddivise in sottofasi. Le ipotesi relative al
numero di ore da impiegare durante i vari punti toccati dal progetto sono ovviamente
puramente indicative; non è possibile preventivare esattamente quanto tempo può
richiedere un determinato argomento per essere spiegato alla classe e soprattutto
compreso dai ragazzi quando questi è completamente nuovo e particolarmente quando a
fare tutto ciò è un insegnante che, a parte la fase passiva del tirocinio, entra attivamente
per la prima volta nell’aula. Sarà necessario quindi un periodo iniziale di calibrazione
dell’intervento da parte mia; ciò implica che in itinere, ovviamente in accordo con il
tutor, alcune variazioni sia sui temi da affrontare che sui tempi necessari per fare tutto
ciò potranno essere fatte rispetto alla mappa dei contenuti che poco più sotto vado ad
esporre.
A parte una prova scritta a fine tirocinio, che permetta di valutare l’avvenuta
comprensione dei concetti affrontati ed il raggiungimento dei relativi obiettivi specifici
previsti, ho preferito non riportare qui i momenti precisi in cui verranno effettuate
eventuali altre verifiche formative e sommative, e neanche la quantità di ore necessaria,
perché ritengo che ciò dovrà essere deciso strada facendo da me ed il tutor in base
all’impressione che coglieremo “sul campo” di come la classe sta recependo i nuovi
argomenti. Anche come tali verifiche saranno strutturate potrà variare a seconda di
quello che osserveremo durante le ore di lezione. Mia intenzione è però quella di
proporre non solo tipologie di esercizi già affrontati in classe, ma anche problemi
collegati al reale con i quali i ragazzi dovranno dimostrare di essere in grado di
rielaborare i concetti trattati, allontanandosi dalla semplice e sterile applicazione di
formule. La correzione verrà fatta in classe la lezione successiva; questo è
indubbiamente uno dei momenti più formativi per gli studenti, e ad esso verrà dedicato
tutto il tempo necessario.
E’ invece implicito che durante le ore di lezione vi saranno continui momenti di
verifica orale della preparazione dei ragazzi seguendo la falsa riga della modalità messa
in essere normalmente dal tutor durante le sue lezioni.
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FASE 1: APPROCCIO STORICO-EPISTEMOLOGICO E FISICO
Storia ed epistemologia (1 ora circa)
In questo primo appuntamento con la classe è mia intenzione come prima cosa
illustrare ai ragazzi che cosa andremo a fare insieme, per renderli partecipi del progetto
in prima persona e non farli sentire come semplici “riceventi” di nozioni calate
dall’alto. Sapere fin dall’inizio quello che l’insegnante intende raggiungere ed in che
modo pensa di farlo rende gli studenti consapevoli protagonisti della propria formazione
culturale.
Dopo questa introduzione farò un excursus storico-epistemologico sugli studi e
soprattutto sugli scienziati che nei secoli passati hanno affrontato per primi lo studio
della parabola. L’obiettivo è quello di far vedere loro che la matematica non è qualcosa
che è sempre esistito ma è il frutto del duro lavoro di uomini e donne che spesso hanno
trovato motivo di ispirazione per le proprie fatiche dalla vita quotidiana e non
dall’astrattezza nella quale spesso la matematica è pensata da parte dei più derivare.
In questa fase verrà fornito alla classe materiale scaricato dalla rete riguardante la
vita e le opere di illustri studiosi del passato, quali Apollonio, Hypatia di Alessandria,
ecc.
Fisica (3 ore circa)
Verranno mostrati ai ragazzi alcuni spezzoni tratti dai film didattici “Sistemi di
riferimento” e “Moti armonici” appartenenti alla famosa serie di documentari
scientifici degli anni cinquanta curati dal PSSC. Nel primo di questi verrà mostrato il
moto di caduta di un grave: inizialmente visto da un sistema di riferimento fermo
rispetto al laboratorio e nel quale il grave si muove orizzontalmente in moto rettilineo
uniforme prima di essere lasciato cadere e poi visto da un sistema solidale con quello
del grave. In questo modo si attirerà l’attenzione della classe sul fatto che il moto del
grave è composto da uno orizzontale rettilineo uniforme e da uno verticale
uniformemente accelerato.
Nel secondo filmato verrà mostrata la ricostruzione del moto visto precedentemente
grazie ad una serie di palline che rappresentano la posizione del grave ad intervalli di
tempo uguali e formanti una traiettoria di forma parabolica. Tale modello sarà visibile
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sia dall’alto (mettendo in mostra il moto rettilineo uniforme avvenuto lungo l’asse delle
ascisse) che da un punto di vista posto lungo la direzione di spostamento orizzontale del
corpo (evidenziando così la componente verticale della caduta, data da un moto
rettilineo uniformemente accelerato). Grazie ad un terzo contributo filmato si vedrà
come in un moto uniformemente accelerato la proporzionalità fra spazio percorso e
tempo è di tipo quadratico.
Sarà poi organizzato un esperimento nel laboratorio di fisica nel quale i ragazzi
potranno vedere direttamente sullo schermo del computer il grafico s-t (spazio-tempo)
di un moto uniformemente accelerato, osservando che la proporzione fra le due
grandezze non è lineare. Questo grafico verrà riutilizzato nella Fase 2 per notare come
tale curva sia ben approssimata dall’equazione di una parabola.
FASE 2: APPROCCIO MATEMATICO
y = ax2 (1 ora circa)
Verrà introdotta, grazie anche ai dati raccolti precedentemente in laboratorio ed alle
osservazioni fatte durante la visione dei filmati del PSSC, la relazione di proporzionalità
quadratica fra due grandezze esprimibile come y = ax2. Verrà poi data la definizione di
parabola come luogo geometrico e facendo il caso particolare della parabola con vertice
sull’origine degli assi cartesiani si vedrà come la sua equazione sia esattamente uguale
alla relazione di proporzionalità quadratica trovata precedentemente ed il suo grafico
approssimi molto bene quello ottenuto durante l’esperimento in laboratorio.
y = ax2 + bx + c (1 ora circa)
La seconda tappa sarà quella nella quale verrà generalizzato il caso particolare di
equazione della parabola visto in precedenza. Si passerà quindi ad analizzare la
funzione di 2° grado completa y = ax2+bx+c, introducendo le coordinate del fuoco, del
vertice, l’equazione della generatrice e dell’asse.
x = ay2 (1 ora circa)
Anche se solo come accenno verrà mostrato alla classe il caso della parabola con
asse parallelo a quello delle ascisse.
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Utilizzo di Derive (1 ora circa)
Questa fase del lavoro prevede una prevalenza del registro grafico, per cui ci si
avvarrà dell’uso di strumenti informatici, in particolare del software Derive, che
permettono una maggiore rapidità nella costruzione della curva, consentendo di spostare
l’attenzione degli allievi su lettura ed interpretazione, piuttosto che sulla sua creazione.
Si mostreranno anche i casi “degeneri”, ovvero come cambia il grafico con il
tendere del parametro a a zero e ad infinito. Inoltre si capirà cosa implica graficamente
il segno sempre del parametro a. Nel caso in cui il laboratorio non sia accessibile, è
sufficiente avere a disposizione un proiettore collegato ad un computer portatile.
L’intento di questo intervento è molteplice: forse il più evidente è quello di
sottolineare l’importanza del “parametro” come simbolo che consente la
generalizzazione, restituendogli una dignità che troppo spesso nell’attività di classe gli è
negata da esercizi di pura manipolazione simbolica. Anche in questo caso si tratta di un
percorso didattico che tenta di devolvere agli studenti la costruzione della conoscenza,
seppure in maniera guidata dall’insegnante cui tocca infine, al solito,
l’istituzionalizzazione della stessa.
Casi particolari (1 ora circa)
Partendo dall’ormai nota funzione quadratica si effettueranno valutazioni sui
parametri b e c, introducendo funzioni del tipo y = ax2+c e y = ax2+bx onde dedurne
più agevolmente il significato geometrico.
Risoluzione di una disequazione grazie al grafico di una parabola (1 ora circa)
Si parlerà di “zeri di funzione” e si indagherà sul significato geometrico di equazioni
con una, due o nessuna soluzione e, quindi, su come il valore del discriminante
dell’equazione determini la posizione della parabola rispetto all’asse x. Si avrà
l’accortezza di parlare di due soluzioni coincidenti dell’equazione in relazione alla
situazione limite di tangenza dell’asse.
L’intento è quello di unificare lo studio di oggetti e relazioni dell’algebra con quelli
della geometria, manipolando registri simbolici diversi per uno stesso fenomeno.
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Ricerca dell’equazione della parabola dati alcuni parametri (2 ore circa)
Nella prima parte di questa lezione si vorrà ottenere l’equazione di una parabola
passante per tre punti del piano di coordinate note. In primo luogo si tornerà ad
analizzare il problema, dal punto di vista algebrico, di una retta passante per due punti,
sottolineando la necessità di avere due equazioni indipendenti per determinare i due
coefficienti che individuano univocamente una retta. Si constaterà quindi la necessità di
avere tre equazioni indipendenti per ottenere univocamente i tre parametri che
individuano la parabola.
Nella seconda parte si otterrà l’equazione della parabola presentando altre condizioni
analoghe (un parametro e due punti, il vertice e un punto, l’equazione dell’asse di
simmetria e due punti). Si intende tentare, in questa maniera, di evitare che la
risoluzione di esercizi si trasformi in un procedimento meccanico e ripetitivo di
procedure standard tendenti quindi a staccarsi dal significato da cui hanno tratto origine.
Posizione reciproca tra retta e parabola (1 ora circa)
Si analizzeranno per prima cosa geometricamente le possibili posizione reciproche
di parabole e rette; verrà posta attenzione al caso particolare di rette parallele all’asse di
simmetria. Dopo alcuni esercizi per i quali si utilizzerà una risoluzione grafica, si
guiderà la classe a riconoscere in questo tipo di problemi quesiti già affrontati
precedentemente quando si ricercavano i punti di intersezione fra retta e circonferenza.
Lo scopo è quello di far trovare agli studenti stessi il legame che intercorre fra il segno
del discriminante e la posizione reciproca della retta rispetto alla parabola
Retta tangente alla parabola (2 ore circa)
In queste ore saranno presentati alla classe problemi che richiedono di trovare
l’equazione di una retta tangente ad una parabola nota, conoscendo le coordinate di un
punto della retta oppure il suo coefficiente angolare. Saranno operate inizialmente
considerazioni geometriche inerenti la posizione del punto sul piano cartesiano rispetto
alla parabola data (interno, esterno o sulla parabola), analizzando le varie possibilità
relative (nessuna, due o una tangente) e successivamente altre che consentiranno
all’insegnante di sottolineare, una volta in più, come la tangente possa essere
interpretata come caso limite della secante, con i due punti di intersezione coincidenti.
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Gli studenti saranno quindi invitati al passaggio al registro algebrico, e dovranno
individuare metodi di risoluzione dei problemi attraverso una discussione in classe; tale
discussione sarà guidata dall’insegnante che dovrà comunque cercare di fornire meno
informazioni possibili, nella consapevolezza che meno si dirigono gli studenti verso la
soluzione, più loro tenderanno ad appropriarsene, a farsene carico.
Fasci di parabole (1 ora circa)
Conoscendo già i fasci di rette, non sarà eccessivamente difficile per la classe
familiarizzare anche con il concetto di fasci di parabole. Si porrà soprattutto l’accento
sulla determinazione dell’equazione del luogo dei punti dei vertici delle parabole stesse.
Anche in questo caso si cercherà soprattutto di guidare una discussione collettiva
all’interno del gruppo degli studenti affinché risolvano autonomamente il problema
posto; si fortificherà così in loro il consolidamento di un procedimento logico-
matematico che potrà essere utilizzato quando si affronteranno nuovi quesiti, invece che
imparare a memoria ed applicare meccanicamente una formula risolutrice.
Curiosità fisica e collegamento fra parabola ed ellisse (1 ora circa)
Per concludere si mostreranno agli studenti alcune curiosità fisico-matematiche che
ritengo possano mantenere viva la loro curiosità sull’argomento.
La prima, di molto semplice realizzazione, consiste nel portare in classe una torcia
elettrica e proiettare nell’aula buia un fascio di luce contro una parete. Si mostrerà così
ai ragazzi come l’intersezione fra un cono (il fascio di luce) e un piano (la parete) , a
seconda dell’angolo formato da piano e asse del cono, possa formare diversi tipi di
coniche. In particolare farò vedere come partendo da una circonferenza (asse del cono
perpendicolare al piano) si passi, inclinando semplicemente la torcia, prima ad
un’ellisse e poi ad una parabola. La stessa cosa sarà poi vista proiettando alcune
immagini riportate su slides di Power Point di vari tipi di intersezione fra cono e piano.
Infine si getterà un’ultima occhiata ad un interessante aspetto fisico del moto di un
proiettile e si creerà così un ponte tra un argomento che si va a concludere con il mio
intervento (la parabola) e quello successivo che affronterà il tutor (l’ellisse). Per fare
questo si ricorrerà all’esperimento concettuale di Newton del proiettile sparato dalla
cima di una montagna parallelamente al suolo. Grazie a ciò che è stato affrontato nella
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Fase 1 i ragazzi sapranno già che la traiettoria di questo proiettile è una parabola;
verranno portati ad osservare che, aumentando la spinta iniziale impressa dal cannone,
la gittata del proiettile aumenterà sempre più. Quando la distanza percorsa
orizzontalmente comincerà ad essere considerevole non potrà più venir trascurata la
curvatura terrestre, e proseguendo nel far crescere la gittata, si potrà dimostrare che si
arriverà al punto che il proiettile ritorna al punto di partenza percorrendo un orbita
circolare. Si farà così capire loro che un oggetto in orbita è in continua caduta e che
viceversa un oggetto in caduta è in orbita. Da questo concetto si potrà immediatamente
passare al collegamento con l’ellisse, facendo vedere agli studenti che, se si
immaginasse il nostro pianeta tutto condensato al proprio centro, quando il proiettile
cade con traiettoria parabolica e non incontra il suolo non può far altro che posizionarsi
su un’orbita questa volta non circolare ma di forma ellittica.
L’utilizzo di una presentazione in Power Point raffigurante ricostruzioni grafiche
dell’esperimento concettuale di Newton renderà più fruibile la spiegazione da parte
degli alunni, tagliando i tempi morti legati alla necessità di disegnare a mano libera sulla
normale lavagna.
Valutazione
Mantenendo la linea tracciata dal tutor nel suo programma annuale, la valutazione
delle prove scritte terrà conto della correttezza e della qualità delle procedure usate nello
svolgimento dei problemi, dalla correttezza e completezza dei risultati ottenuti,
dall’ordine e dalla chiarezza nella presentazione dell’elaborato. Per la valutazione si
userà la scala decimale (1-10).
La valutazione delle prove orali terrà conto della correttezza e completezza dei
contenuti esposti, dell’organizzazione degli stessi nell’esposizione, del linguaggio usato
e della rielaborazione personale e farà uso dell’intera scala decimale.
La valutazione va intesa come un processo che fornisce importanti informazioni
all’insegnante, per controllare l’efficacia della propria condotta didattica e influenzare
perciò le sue future decisioni, ma anche all’allievo, che può grazie a questo strumento
verificare il proprio livello di conoscenza e le proprie competenze. In particolare nelle
verifiche formative, lo scopo fondamentale non è tanto quello di dare i risultati corretti
ma di puntare a conseguire gli obiettivi prefissati. Ciò è ben riassunto da Perrenoud nel
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suo lavoro citato da Fandiño Pinilla, nel quale afferma: “Se la valutazione vuole fornire
informazioni e vuol essere pertinente, allora deve essere lo strumento tramite il quale
l’insegnante sprona l’allievo e sé stesso a sviluppare meglio il processo di
insegnamento-apprendimento, aiutando in questo l’allievo a non essere solo un attore
in dipendenza del contratto didattico”.
La valutazione individuale degli allievi non è comunque ristretta alla sola verifica
sommativa, ma è attuata lungo tutto l’arco del progetto e terrà conto non solo del
raggiungimento degli obiettivi specifici prefissati ma anche della partecipazione e
dell’interesse mostrati, della capacità di gestire i nuovi contenuti affrontati e di
collegarli ad altri argomenti sia matematici che di altre discipline, della padronanza del
linguaggio matematico e dei contenuti. Sintetizzando il pensiero di Fandiño Pinilla si
può affermare che le capacità in matematica non si misurano solo a livello cognitivo ma
occorre prendere in considerazione anche capacità comunicative, metacognitive ed
affettive, essendo evidente la loro importanza nel processo di insegnamento-
apprendimento e a fronte di esigenze comunicative.
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Bibliografia
D’Amore B. (1999). Elementi di didattica della matematica. Bologna: Pitagora.
D’Amore B. & Godino J. D. (2003). Competenze in matematica. Bologna: Pitagora.
G. Carolla (2005). Qualche spunto di didattica matematica e programmi al computer
sulle progressioni e medie. Articolo tratto dal CD edizione 2005 dell’Associazione
per la Didattica con le Tecnologie (ADT).
Fandiño Pinilla M. I. (2002). Curricolo e valutazione in matematica. Bologna: Pitagora.
Marchi M. & Marro A. (2006). Incomparabile avventura della mente. Nuova
secondaria, N.1 2006, anno XXIII.
Posner G. J., Strike K. A., Hewson P. W., Gertzog W. A. (1982). Accommodation of a
scientific conception: toward a theory of conceptual change. Science Education
66(2): 211-227 (1982).
Zan R. (1999). Opinioni (non di lusso) sulle difficoltà in matematica. Articolo tratto da Allievo,
Insegnante, Sapere: dagli studi teorici alla pratica didattica, IV seminario internazionale di
didattica della matematica, a cura di B. Jannamorelli e A. Struzzi, Ed. Qualevita, Sulmona, 23-24-
25 aprile 1999, pagg. 31-42.
Libro di testo
Dodero N. , Barboncini P. , Manfredi R. (1999). Lineamenti di matematica. Milano: Ghisetti e Corvi.
Siti consultati
http://www.unibo.dm.it
http://web.unife.it/altro/tesi/A.Montanari/Apolloni.htm
http://www2.math.unifi.it/~archimede/archimede/index.html
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SSIS VII ciclo Indirizzo FIM – classe A049
Progetto virtuale di Fisica
Approccio sperimentale alla
legge del moto di Newton
Massimiliano Bacchi
“Un aspetto chiave nella vita dei giovani
è la ricerca di significato e di rilevanza.
Piacciono quelle discipline in cui la loro
voce è tenuta in seria considerazione, in
cui le loro visioni contano. La scienza e
la matematica hanno un’immagine di
autorità, almeno come materie
scolastiche. E’ facile dimostrare la
nostra ignoranza in tali materie. La
mancanza di possibilità di attribuire
significati personali alla conoscenza e
l’idea che esistano verità eterne e
risposte corrette allontanano molti più
giovani oggi di ieri”.
(Sjøberg, ESERA Conference, 2001)
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Finalità e strategia d’insegnamento
Molte persone colte che apprezzano la Letteratura, la Musica, le Arti figurative, e che
hanno maturato il gusto del bello nelle varie espressioni della creatività dell’uomo,
purtroppo considerano la Fisica come una disciplina misteriosa che ha sempre mostrato
loro un aspetto non attraente, quando non addirittura “orrendo”. Queste persone, spesso,
con un tratto di civetteria snobistica, si vantano di non aver mai capito nulla di Fisica,
né di aver mai provato interesse per essa e sia pure in senso diverso, affermano il vero:
non ne hanno mai capito lo spirito profondo, non sono mai stati messi in condizione di
vederne il lato estetico; non sarebbe altrimenti giustificabile che una persona di media
intelligenza non fosse in grado di comprendere semplici processi logico-razionali. Il
“non ne ho capito nulla” è in realtà conseguenza di un rifiuto verso la Fisica quale
sovente viene presentata negli anni di scuola, verso l’elenco arido di formule
preconfezionate e la loro applicazione a problemi apparentemente assurdi da affrontare
e risolvere con tecniche di puro automatismo matematico; tutto ciò è lungi dal
provocare interesse e stimolare curiosità, inducendo invece repulsione e rifiuto. Il
motivo per cui la Fisica, insieme alla Matematica, è in Italia la più detestata delle
materie scolastiche probabilmente va cercato proprio nel fatto che la nostra scuola la
insegna come fine a se stessa senza far scoprire agli studenti le mille applicazioni e non
ne trasmette il fascino e la forza.
Certo che se due illustri intellettuali del passato hanno affermato che “O si fa scienza
o si fa arte” (Benedetto Croce) e che “la matematica (possiamo leggervi anche la fisica,
n.d.a.) è morta, infeconda, arida come un sasso” (Gentile), si può ben capire perché le
scienze siano sempre state viste nella scuola italiana quasi come un elemento estraneo
alla formazione culturale (prevalentemente di stampo classico) dei giovani studenti.
Questa impostazione formativa ha portato da tempo all’idea che nell’istituzione
scolastica italiana vi debba essere una netta divisione (contrapposizione) tra le materie
tipicamente umanistiche e quelle scientifiche; e la scuola stessa poco o nulla ha fatto per
smentire tale opinione che, purtroppo, è dei più. Ciò porta al preconcetto dell’esistenza
di due culture ben separate, quella letteraria e quella tecnico-scientifica, che possono
fare a meno una dell’altra. Si ignora però in questo modo che la sete di conoscenza e
l’amore per la scoperta che guida un matematico o un fisico da una parte ed uno storico
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o un italianista dall’altra è esattamente la stessa. La cultura non deve essere divisa in
compartimenti stagni; i contatti e gli scambi fra le varie discipline sono fecondi di
crescita per tutti.
Quando un nostro studente ci dice la classica frase “ma non mi servirà a niente tutta
questa roba!”, non possiamo che dargli ragione. Solo se siamo in grado di stimolare la
curiosità nei giovani, provocando in loro il gusto della discussione e del dubbio, facendo
sentire quanto fascino abbia il “mettersi in gioco”, facendo vedere loro quali sono i
rapporti con la realtà dalla quale la costruzione dell’edificio delle teorie fisiche prende
le mosse, possiamo pensare di aprire la mente degli studenti al fascino ed al mistero
delle scienze come incomparabile avventura dell’intelletto umano.
Il collegamento con il quotidiano e l’analisi storico-epistemologica dei vari
argomenti da affrontare in classe sono, a mio avviso, punti fondamentali di questo
approccio meno arido che tutti auspichiamo. Il ragazzo deve sentire che dietro ad una
legge, dietro ad una teoria, dietro ad una formula ci sono, con la loro umanità e la loro
storia, uomini e donne che nei secoli passati si sono posti domande molto concrete ed
hanno cercato soluzioni e spiegazioni ad esigenze quotidiane e profondamente tangibili;
inoltre deve essere messo al corrente che questo faticoso lavoro ha portato a ricadute
pratiche delle quali lui stesso, spesso inconsapevolmente, prova giornalmente i benefici.
Bisogna lottare contro l’idea che la Fisica, così come viene fatta normalmente a
scuola, sia qualcosa di completamente distaccato dalla realtà della nostra società, cioè
che sia un qualcosa di astratto non collocabile storicamente e temporalmente nella vita e
nell’evoluzione del pensiero e della comunità umana.
Se il ragazzo sente che attraverso l’apprendimento delle scienze in generale permette
alla propria mente di sviluppare facoltà intuitive e logiche, di incrementarne le capacità
di astrazione e di formazione dei concetti, di esercitare il ragionamento induttivo e
deduttivo, di accrescere la capacità di sintesi e di risoluzione di problemi grazie a
ragionamenti coerenti, di esercitare l’utilizzo di un linguaggio appropriato e rigoroso,
forse avrà trovato ciò che spesso invece manca nei giovani studenti: il gusto dello studio
di una materia difficile ma allo stesso tempo affascinante, il piacere di capire e l’idea ,
per me fondamentale, che la conoscenza scientifica è una “sfida”. E se accade ciò noi
come insegnanti avremo fatto bene il nostro lavoro.
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In generale l’insegnamento scientifico nei giovani deve quindi puntare allo sviluppo
di basi razionali su cui fondare un cambiamento concettuale e ciò implica spesso forti
resistenze da parte degli studenti. Le anomalie possono aiutare molto in questo tentativo
educativo; esse forniscono una sorta di conflitto cognitivo che prepara lo studente ad un
riadattamento delle proprie idee e quindi ad un cambiamento. Ma solo se lo studente ha
a disposizione modelli di giudizio e ragionamento scientifico rigorosi tutto ciò si potrà
ottenere. Il rischio è che in mancanza di ciò una nuova teoria venga accettata solo
perché “lo dice il libro o il prof.”. Come può allora il docente aiutare gli studenti ad
accettare questi nuovi concetti? Può farlo puntando sia sugli obiettivi curriculari, sia sui
contenuti.
Per quanto riguarda i primi bisogna mirare a sviluppare negli studenti:
o Una consapevolezza delle proprie assunzioni personali e di quelle contenute
nella teoria scientifica;
o Una richiesta di coerenza delle proprie opinioni sul mondo;
o Una consapevolezza delle fondamenta storico-epistemologiche delle scienza
moderna;
o Un senso di fruttuosità dei nuovi concetti.
Se vogliamo sviluppare negli studenti un cambiamento concettuale con basi
razionali, i contenuti dei corsi scientifici devono essere tali da rendere le teorie
scientifiche intelligibili, plausibili e potenzialmente fruttuose. In quest’ottica bisogna:
o Dare più enfasi ai contenuti piuttosto che alla loro “copertina”;
o Includere “anomalie retrospettive”;
o Utilizzare ogni metafora, modello e analogia che renda più chiari e
plausibili i nuovi concetti.
Personalmente ritengo che la strategia di base da seguire nello strutturare un corso di
Fisica in una scuola superiore sia quella di puntare a un generale sviluppo intellettuale
degli studenti, e che quindi sia necessario fornire ai ragazzi l’occasione di ragionare e di
esprimere le proprie idee, e nello stesso tempo di permettere loro di seguire i
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ragionamenti fatti da altri. Per far questo torna utile pensare alla Fisica come
“interrogare la natura in base alle ipotesi”, cioè puntare a migliorare le capacità degli
alunni come osservatori e sperimentatori, e sviluppare in loro la qualità di saper
distinguere ciò che è importante ed essenziale da ciò che non lo è. Ma come fare tutto
questo? La risposta a questa domanda è il nome di un luogo: il laboratorio. Infatti è in
esso che meglio si può applicare un’altra affascinante definizione di che cosa sia la
Fisica: “studio finalizzato della natura”, dove studiare o esaminare altro non vuol dire
che porre domande, ottenere risposte, controllare le risposte e porre altre domande fino
ad ottenere un quadro sufficientemente chiaro e plausibile del fenomeno studiato.
In quest’ottica il mio progetto riguarda un segmento di percorso che vuole giungere
alla destrutturazione di un’idea aristotelica del moto tipica degli studenti abituati alla
presenza dell’attrito nella vita di ogni giorno e ad avvicinarli alla legge del moto di
Newton ed al concetto di massa inerziale.
Infatti molti studi mostrano che quando gli studenti devono riflettere su un problema
di meccanica dove l’immediata applicazione della relazione F = ma non sia così ovvia,
vi è una tendenza a ricadere nelle idee aristoteliche. Per evitare ciò verranno fornite ai
ragazzi esperienze e materiale atti a superare tali concetti “errati”, puntando così ad
“enfatizzare caratteristiche del gioco tipico della fisica: creare un ponte tra il mondo dei
fatti e quello delle forme razionali elaborate per comprenderlo”.
Questo approccio è tipicamente sperimentale, ed in esso si punterà pertanto ad
affrontare prima gli esperimenti in laboratorio e poi lo studio sul libro. Questo
permetterà ad ogni studente di farsi una propria idea personale sull’azione di una forza
costante su di un corpo.
Le attività si svolgeranno quindi prima in laboratorio per l’esperimento e poi in aula
per la discussione ed i chiarimenti. A questo scopo la classe verrà esortata ad intervenire
e si cercherà di stimolare il gruppo a discutere liberamente dei concetti e dei problemi
che verranno proposti. I conflitti cognitivi che nasceranno durante l’acquisizione dei
nuovi concetti verranno portati alla luce e resi il più espliciti possibile: si useranno per
questo fine esercizi e problemi individuali e di gruppo che punteranno anche a
consolidare le conoscenze già acquisite.
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La correzione degli errori e l’eventuale critica sulle strategie utilizzate nella
risoluzione di problemi saranno un punto fondamentale dei momenti di lavoro di
discussione effettuato in classe.
Vincoli e prerequisiti
Il mio progetto di percorso didattico si rivolge ad una classe terza di un liceo
scientifico, che affronta per la prima volta la relazione fra il moto e le forze, ovvero la
dinamica, in un’ottica disciplinare.
Agli studenti vengono richiesti i seguenti prerequisiti:
o Conoscere i concetti di spazio e tempo.
o Conoscere e padroneggiare il concetto di grandezze direttamente e
indirettamente proporzionali e saper leggere ed utilizzare i relativi grafici.
o Conoscere e saper interpretare i grafici spazio-tempo e velocità-tempo.
o Conoscere i concetti di velocità, velocità media e velocità istantanea.
o Conoscere la nozione di moto rettilineo uniforme.
o Conoscere il concetto di sistema di riferimento spazio-temporale.
o Conoscere, comprendere e calcolare le incertezze sperimentali.
Si può ipotizzare che il percorso si sviluppi in un lasso di tempo di circa 10-12 ore.
Obiettivi specifici
o Destrutturare l’idea aristotelica del moto.
o Comprendere e conoscere il legame fra variazione di velocità e forza
applicata.
o Comprendere i concetti di accelerazione, accelerazione media, accelerazione
istantanea e di moto uniformemente accelerato e saperli mettere in relazione
con la rappresentazione grafica.
o Comprendere il concetto di massa inerziale.
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o Conoscere e comprendere la legge del moto di Newton.
o Saper descrivere un moto a partire dall’analisi del grafico.
o Saper costruire un grafico a partire dalla descrizione del moto.
o Saper costruire e mettere in relazione i grafici posizione – tempo, velocità –
tempo e accelerazione – tempo.
o Acquisire consapevolezza e abilità nella raccolta dei dati sperimentali e
nella loro rappresentazione grafica.
o Acquisire consapevolezza del passaggio dai fatti naturali ai fenomeni fisici,
e nel successivo processo di formalizzazione matematica.
Organizzazione dei contenuti
Come già detto precedentemente, la scelta di questo progetto è quella di avvicinare
per la prima volta gli studenti alla legge del moto di Newton tramite esperienze in
laboratorio, ed in particolare gli esperimenti 3 e 5 presenti nella guida al laboratorio a
sussidio del libro di testo “ Fisica” a cura del PSSC (4° edizione). Questi potranno
fornire una diretta e personale esperienza di una forza costante esaminata sotto l’aspetto
dinamico (e non statico, come avviene per esempio quando si sostiene un oggetto con
una mano).
Fase 1: Approccio sperimentale alla variazione di velocità con una forza costante
I ragazzi verranno in primo luogo fatti riflettere sul fatto che, secondo l’esperienza
quotidiana, per mettere in movimento un oggetto o per variarne la velocità è necessario
agire su di esso applicando una certa azione, che verrà chiamata forza.
Obiettivo dell’esperimento numero 3 è che gli studenti ricavino dalle loro
misurazioni, nel limite delle incertezze sperimentali, la relazione quantitativa fra le
variazioni della velocità di un oggetto e la forza su di esso applicata, cioè che osservino
che una forza costante agente su un corpo ne varia la velocità in modo costante.
Per svolgere l’esperimento saranno necessari i seguenti materiali:
o Marcatempo e nastro di carta,
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o Tavolo,
o Carrello,
o Mattoncini,
o Morsetti,
o Asta graduata,
o Elastico (o una molla),
o Fermo applicato al tavolo per fermare il carrello.
Il tavolo dovrà avere la superficie possibilmente ben levigata ed orizzontale; ad una
sua estremità verrà fissato con dei morsetti il marcatempo, e il relativo nastro di carta
avrà un’estremità collegata al carrello.
Prima di eseguire l’esperimento per misurare gli effetti di una forza costante, verrà
studiato il moto del carrello quando non vi è alcuna forza agente su esso (se la velocità
del carrello è sufficientemente elevata, le forze di attrito dovute allo scorrere della
striscia di carta nel marcatempo ed al rotolare delle ruote del carrello sul tavolo saranno
trascurabili; potremo quindi affermare che per un intervallo di tempo relativamente
breve sul carrello non agisce alcuna forza). Si imprimerà quindi una spinta iniziale al
carrello, sul quale sono stati posti due mattoncini e dopo aver avviato il marcatempo,
per alcuni istanti, si osserverà che una volta cessata la spinta esso continuerà ancora per
qualche momento a muoversi. Si ripeterà la prova diverse volte e con differenti spinte
iniziali. Grazie al nastro del marcatempo si potrà tracciare un grafico velocità-tempo del
carrello dal quale si potrà osservare che la sua velocità, subito dopo che la spinta si è
esaurita, è quasi costante, e che il moto è quasi uniforme quando il carrello si muove a
velocità elevata.
A questo punto si potrà far riflettere gli studenti su quest’ultima osservazione e
confrontare ciò che è stato visto in laboratorio con le idee comunemente derivate
dall’esperienza quotidiana (concetti aristotelici del moto), ovvero creare in loro quelle
anomalie di cui si è accennato in precedenza. Far loro osservare che il carrello per brevi
intervalli di tempo si è mosso a velocità costante nonostante nessuna forza agisse su di
esso può far scattare nelle loro menti un conflitto cognitivo fra le idee pregresse di
origine aristotelica, ancora molto comuni sia fra chi non ha mai studiato la Fisica e sia
fra chi lo ha fatto, ma in maniera puramente nozionistica e non sperimentale, e le
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osservazioni dirette effettuate in laboratorio. Tutto ciò potrà aiutare ad introdurre ai
ragazzi la prima legge del moto o legge di inerzia, necessaria per arrivare a
comprendere appieno la legge del moto di Newton.
Si passerà poi ad osservare l’effetto di una forza costante sulla velocità del carrello.
Al carrello caricato con due mattoncini verrà attaccato l’elastico, che sarà fissato con
l’altro capo all’asta graduata. Un allievo terrà fermo il carrello, mentre un altro spingerà
in avanti l’asta fino ad ottenere un allungamento dell’elastico prestabilito (ciò dipenderà
dal tipo di elastico). Ad un segnale convenuto il carrello verrà lasciato libero di
muoversi e lo studente con l’asta graduata si muoverà in avanti cercando di mantenere
costante l’allungamento dell’elastico. Alla fine del tavolo un terzo ragazzo fermerà il
carrello prima che sbatta contro il fermo. Sarà necessario fare diverse prove per
abituarsi a mantenere costante l’allungamento dell’elastico (ovvero applicare una forza
costante al carrello) prima di raccogliere i dati. Una volta pronti si rifarà l’esperimento
ma questa volta con il marcatempo in funzione. Sarà opportuno ripetere almeno un paio
di volte la prova scegliendo quella nella quale, a detta di chi “spingeva” l’asta e di una
quarta persona che osservava, l’allungamento dell’elastico è stato relativamente più
costante. Solitamente questo è difficile che accada verso la fine della corsa del carrello,
quindi converrà scartare oltre la parte iniziale (corrispondente alla fase della spinta)
anche la parte finale del nastro. Con i dati raccolti si traccerà un grafico della velocità in
funzione del tempo. Per convenienza i segni presenti sul nastro verranno considerati a
gruppi di 5 o 10. Dallo studio del grafico appena costruito si noterà che la pendenza è
praticamente costante e che quindi c’è una proporzionalità diretta fra la variazione della
velocità e la variazione del tempo quando una forza costante è applicata all’oggetto:
ovvero una forza costante produce una variazione della velocità del moto costante.
Fase 2: Analisi dei dati e definizione di accelerazione
In classe verrà fatta l’analisi più approfondita dei dati ottenuti dal primo esperimento.
Si è già osservato che v t, ovvero che v = a t: la costante di proporzionalità a
verrà detta accelerazione e le sue dimensioni saranno [lunghezza x tempo-2]. Si
osserverà che il segno di a sarà sempre uguale a quello di v essendo t positivo, e si
introdurrà il concetto di accelerazione media quando il grafico velocità-tempo di un
corpo non è dato da una retta (ovvero la forza agente non è costante) e di accelerazione
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istantanea facendo tendere a zero t. Con l’introduzione di questo concetto si potrà
allora far osservare ai ragazzi direttamente su un grafico v-t come l’accelerazione
istantanea sia data dalla pendenza della retta tangente al grafico nel punto
corrispondente all’istante t. Verranno poi mostrate le analogie esistenti con i grafici
spazio-tempo ed i concetti di velocità media ed istantanea.
Fase 3: Esperimento sulla dipendenza dell’accelerazione dalla forza e dalla massa
Con l’esperimento 5 del PSSC si vorrà studiare come forze costanti ma differenti
accelerano una massa data e come una forza data accelera masse differenti. Si arriverà
così a trovare una proporzionalità diretta fra forza ed accelerazione. Da ciò si potrà
scrivere la legge di Newton del moto, ovvero F=ma.
Per procedere nell’esperimento si necessiterà degli stessi materiali elencati per quello
precedente, tranne il fatto di avere a disposizione quattro elastici e cinque mattoncini.
Per prima cosa si studierà l’accelerazione causata da forze differenti su una massa
costante. Si caricherà il carrello con quattro mattoncini e si ripeterà l’esperimento
numero 3, ma questa volta prima con uno, poi con due, poi con tre ed infine con quattro
elastici contemporaneamente; questi saranno fissati con un’estremità ad appositi “ganci”
posti nella parte anteriore del carrello, mentre l’altra sarà collegata ad un bastoncino al
quale è legato uno spago il cui altro capo sarà fissato all’asta graduata. Si dovrà
ottenere l’accelerazione dall’analisi dei nastri del marcatempo e per farlo, poiché
dall’esperimento precedente si sa che l’accelerazione è costante, sarà sufficiente
prendere sul nastro due intervalli temporali uguali e determinarne le corrispondenti
velocità medie, e non studiare un gran numero di intervalli. Si traccerà quindi un grafico
dell’accelerazione in funzione della forza, cioè del numero di elastici, e si osserverà una
proporzionalità diretta, ovvero il rapporto fra forza ed accelerazione è costante.
Come seconda tappa si studierà l’effetto della massa sull’accelerazione prodotta da
una forza costante. L’elastico attaccato al carrello sarà uno, ma di volta in volta si
caricheranno uno, due, tre, quattro ed infine cinque mattoncini. Si ripeterà ancora una
volta il procedimento attuato nell’esperimento 3 e i dati raccolti dai nastri del
marcatempo serviranno per costruire un grafico del rapporto fra forza ed accelerazione
in funzione del numero di pesi. Si osserverà ancora una volta una proporzionalità
diretta.
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Fase 4: Analisi dei dati e legge del moto di Newton
In classe si osserverà che dai dati sperimentali si può scrivere a F, ed anche ma =
F. Ai ragazzi la relazione appena scritta verrà presentata come la legge del moto di
Newton. Si potrà quindi definire la massa inerziale come il rapporto F/a, rapporto
costante per ogni corpo il quale dice quanto sia difficile accelerarlo: maggiore è la forza
necessaria per ottenere una certa accelerazione e maggiore è la massa inerziale del
corpo.
A questo punto, introdotti sperimentalmente i concetti di accelerazione e massa
inerziale ed ottenuta sempre grazie ai dati la legge del moto di Newton, sarà possibile
assegnare ai ragazzi esercizi e problemi nei quali dovranno applicare queste nuove
conoscenze; dopo questo tipo di approccio però il rischio che essi utilizzino formule e
relazioni in maniera meccanica ed inconsapevole dei loro contenuti fisici sarà a mio
avviso notevolmente ridotto.
Valutazione
E’ opportuno valutare ogni attività del singolo studente, ovvero la conoscenza della
teoria, la capacità di risoluzione degli esercizi, l’attività di laboratorio e la conseguente
stesura di una relazione.
La valutazione avverrà quindi sia in itinere, tenendo conto anche della partecipazione
alle lezioni, sia con una verifica sommativa finale.
La valutazione delle prove orali e scritte e delle relazioni di laboratorio terrà conto
della correttezza e completezza dei contenuti esposti, dell’organizzazione degli stessi
nell’esposizione, del linguaggio usato e della rielaborazione personale.
Nella risoluzione degli esercizi si valuterà non solo la correttezza del risultato, ma
anche le strategie risolutive adottate.
In generale la valutazione va intesa come un processo che fornisce importanti
informazioni all’insegnante, per controllare l’efficacia della propria condotta didattica e
influenzare perciò le sue future decisioni, ma anche all’allievo, che può, grazie a questo
strumento, verificare il proprio livello di conoscenza e le proprie competenze. In
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particolare nelle verifiche formative, lo scopo fondamentale non è tanto quello di dare i
risultati corretti ma di puntare a conseguire gli obiettivi prefissati.
Bibliografia
- Appunti del corso Laboratorio di Didattica della Fisica, prof. Nella Grimellini,
SSIS VII ciclo, classe A049;
- N. Grimellini Tomasini, O. Levrini, C. Casadio, M. Clementi, S. Medri Senni,
Insegnare la fisica per nuclei fondanti: un esempio riferito al concetto di spazio,
La Fisica nella Scuola, XXXII, 4, 1999;
- PSSC, Fisica, Zanichelli, Bologna 2001;
- PSSC, Fisica – Guida al Laboratorio, Bologna 2001;
- PSSC, Guida per l’insegnante, Bologna 2001;
- Rosenquist, McDermott, A conceptual approach to teaching kinematics,
American Journal of Physics, 55(5), 1987;
- G. Zanarini, Immagini del sapere e formazione scientifica, La Fisica nella
Scuola, XXV, 4, 1992;
- Sjøberg, ESERA Conference, 2001;
- B. D’Amore, Elementi di didattica della matematica, Pitagora, Bologna 1999;
- Posner G. J., Strike K. A., Hewson P. W., Gertzog W. A. (1982).
Accommodation of a scientific conception: toward a theory of conceptual
change. Science Education 66(2): 211-227, 1982.
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