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lucidi delle lezioni di Ingegneria Sanitaria Ambientale per Tecnici della Prevenzione Dott. Ing. Andrea Antonucci
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APPUNTI DI
INGEGNERIA SANITARIA AMBIENTALE
per tecnici della prevenzione
Ing. Andrea Antonucci
lucidi delle lezioni di Ingegneria Sanitaria Ambientale per Tecnici della Prevenzione Dott. Ing. Andrea Antonucci
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IL CICLO DELL’ACQUA
70% dell’acqua caduta viene restituita in tempi brevi all’atmosfera
20% scorre in superficie
10% filtra nel terreno
ACQUA – GENERALITA’ E CLASSIFICAZIONE
Acque meteoriche : acque ricche di costituenti gassosi dell’atmosfera oltre che di altre sostanze
(inquinamento atmosferico)
°C O2 N2 + gas rari CO2
0
10
20
30
10,19
7,87
6,36
5,26
18,99
14,97
12,32
10,38
0,57
0,41
0,32
0,25
Solubilità dei gas dell’aria in acqua in Ncm3/litro alla pressione di 1 atmosfera
Ossidi di azoto (NOx) originati principalmente da combustioni ad alta temperatura
Ossidi di zolfo (SOx) da combustibili contenenti zolfo
Particolati particelle piccolissime (< 10 micron) rilasciate in atmosfera
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Piogge acide: gli NOx e SOx sciogliendosi nell’acqua piovana si idratano formando acidi solforico
e nitrico provocando un sensibile abbassamento del pH: 5,7 → 4,5 generando le così dette piogge
acide.
1. Danni alla vegetazione
2. Danni agli ecosistemi idrici
3. Danni ai monumenti e al costruito
4. Dammi alla salute
Acque superficiali :
Sono acque particolarmente ricche di sostanze disciolte (principalmente sali) e di solidi in
sospensione.
Queste sostanze modificano radicalmente le caratteristiche chimiche e fisiche dell’acqua (pH,
conducibilità, alcalinità, durezza..) rendendola più o meno idonea a determinati usi.
Ad esempio la presenza di bicarbonati come Ca(HCO3)2 può comportare azioni di dilavamento nei
confronti dei cementi attaccando l’idrossido di calcio Ca(OH)2, oppure la presenza di carbonati
può formare precipitati ed incrostazioni.
Le acque superficiale sono ricche di sostanze organiche, troviamo numerosi microrganismi (alcuni
dei quali patogeni)
Si possono trovare tracce di sostanze tossiche (acidi e alcali forti, cloro libero, ammoniaca,
idrogeno solforato, sali di metalli pesanti..)
Se inquinate presentano notevole riduzione dell’ossigeno disciolto, sostanze organiche in
putrefazione oltre a olii e detergenti sintetici
Acque sotterranee: sono meno torbide delle precedenti a causa dell’azione filtrante del terreno.
Ricche di sali minerali. Presenza di sostanze organiche.
Si sottolinea che il caso di inquinamento di falda sotterranea è da considerarsi particolarmente
grave in quanto il suo risanamento è particolarmente difficile e costoso
NORMATIVA
⇒ Il panorama legislativo in materia di acque nel nostro paese è molto variegato, numerosi sono
infatti le leggi e i decreti volti a disciplinare il corretto uso di questa risorsa indispensabile alla
vita del nostro pianeta. Con l’abrogazione della legge Merli (Legge 319/76) che ha
rappresentato a lungo la Legge quadro sulla disciplina e la tutela dell’acqua nel nostro Paese, e
l’emanazione del D.Lgs. 152/2006 (Testo unico ambientale) nel quale sono confluiti molti dei
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principi legislativi introdotti dal D.Lgs. 152 del 11/05/1999, si è voluto, non soltanto tutelare la
qualità delle acque del nostro Paese disciplinandone l’uso, ma anche migliorarne la qualità.
Con l’obiettivo di:
a) prevenire e ridurre l'inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici inquinati;
b) conseguire il miglioramento dello stato delle acque ed adeguate protezioni di quelle destinate a particolari usi;
c) perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, con priorità per quelle potabili;
d) mantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici, nonché la capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate.
In quest’ottica, il D.Lgs. 152 ha individuato quelli che sono i corsi idrici significativi, imponendone la tutela da parte delle Regioni e dello Sato. Sono ritenuti corpi idrici significativi i seguenti:
- Corsi d’acqua superficiali: a) tutti i corsi d’acqua naturali di primo ordine (cioè quelli recapitanti direttamente in mare) il cui bacino imbrifero abbia una superficie maggiore di 200 km2. b) tutti i corsi d’acqua naturali di secondo ordine o di ordine superiore i cui bacino imbrifero abbia una superficie maggiore di 400 km2. Non sono significativi i corsi d’acqua che per motivi naturali hanno avuto portata uguale a zero per più di 120 giorni l’anno in un anno idrologico medio. - Laghi: sono significativi i laghi naturali aperti o chiusi, ampliati e/o regolati, aventi superficie dello specchio liquido parti a 0.5 km2 o superiore
- Acque marine costiere: Sono significative le acque marine comprese entro la distanza di 3000 metri dalla costa e comunque entro la linea batimetrica dei 50 metri - Acque di transizione:
Sono acque della zona di foce (delta od estuario) e le acque di laguna, anche dovute ad
infiltrazioni nel suolo, di laghi salmastri e di stagni costieri. Esse sono da considerarsi tutte
significative.
- Corpi idrici artificiali:
Sono considerati significativi i serbatoi o i laghi artificiali il cui bacino di alimentazione sia
interessato da attività antropiche che ne possano compromettere la qualità e aventi superficie
dello specchio liquido almeno pari a 1 km quadrato, o con volume di invaso almeno pari a 3
milioni di metri cubi (superficie riferita al periodo di massimo invaso). Sono significativi
tutti i canali artificiali che restituiscano almeno in parte le proprie acque in corpi idrici
naturali superficiali ed abbiano portata di esercizio di almeno 3 m3/s.
- Corpi idrici sotterranei:
Sono significativi gli accumuli d’acqua … le falde freatiche e quelle profonde (in pressione
o no) contenute in formazioni permeabili, e in via subordinata, i corpi d’acqua intrappolati
entro formazioni permeabili con bassa o nulla velocità di flusso, le manifestazioni
sorgentizie, concentrate o diffuse (anche subacquee).
Per tutti questi corpi idrici, sono stati stabiliti da parte delle Regioni, mediante analisi
effettuate dalle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale, gli stati di salute
classificati in riferimento alla tabella di definizione per i corpi idrici indicata dal D.Lgs. 152
del 1999.
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Definizione dello stato ambientale per i corpi idrici superficiali (D.Lgs. n. 152 del 1999)
STATO
DI SALUTE
DEFINIZIONE
ELEVATO • Non si rilevano alterazioni dei valori della qualità degli elementi chimico-fisici e
idro-morfologici per quel dato tipo di corpo idrico in dipendenza degli impatti
antropici, o sono minime rispetto ai valori normalmente associati allo stesso corpo idrico
in condizioni indisturbate.
• La qualità biologica sarà caratterizzata da una composizione e da una abbondanza
di specie corrispondente totalmente o quasi alle condizioni normalmente associate allo
stesso ecotipo.
• La presenza di micro-inquinanti, di sintesi e non di sintesi, è paragonabile alle
concentrazioni di fondo rilevabili nei corpi idrici non influenzati da alcuna pressione
antropica.
BUONO • I valori degli elementi della qualità biologica per quel tipo di corpo idrico mostrano
bassi livelli di alterazione derivanti dall’attività umana e si discostano solo
leggermente da quelli normalmente associati allo stesso ecotipo in condizioni non
disturbate.
• La presenza di micro-inquinanti è in concentrazioni da non comportare effetti a
breve e lungo termine sulle comunità biologiche associate al corpo idrico di
riferimento.
SUFFICIENTE • I valori degli elementi della qualità biologica per quel tipo di corpo idrico si
discostano moderatamente da quelli di norma associati allo stesso ecotipo in condizioni
non disturbate.
• La presenza di micro-inquinanti è in concentrazione da non comportare effetti a
breve e lungo termine sulle comunità biologiche associate al corpo idrico di
riferimento.
SCADENTE
• Si rilevano alterazioni considerevoli dei valori degli elementi di qualità biologica
del tipo di corpo idrico superficiale e le comunità biologiche interessate si discostano
sostanzialmente da quelle di norma associate al tipo di corpo idrico superficiale
inalterato.
• La presenza di micro-inquinanti è in concentrazione da comportare effetti a medio
e lungo termine sulle comunità biologiche associate al corpo idrico di riferimento.
PESSIMO • I valori degli elementi di qualità biologica del tipo del corpo idrico superficiale
presentano alterazioni gravi e mancano ampie porzioni delle comunità biologiche di
norma associate al tipo di corpo idrico superficiale inalterato.
• La presenza di micro-inquinanti è in concentrazione tale da comportare gravi
effetti a breve e lungo termine sulle comunità biologiche associate al corpo idrico di
riferimento.
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Definizione dello stato ambientale per i corpi idrici sotterranei (D.Lgs. n. 152 del 1999)
STATO DEFINIZIONE
ELEVATO • Impatto antropico nullo o trascurabile sulla qualità.
BUONO • Impatto antropico ridotto sulla qualità e/o quantità della risorsa.
SUFFICIENTE • Impatto antropico ridotto sulla quantità con effetti significativi sulla
qualità, tali da richiedere azioni mirate ad evitarne il peggioramento.
SCADENTE • Impatto antropico rilevante sulla qualità e/o quantità della risorsa con
necessità di specifiche azioni di risanamento.
PARTICOLARE • Caratteristiche qualitative e/o quantitative che pur non presentando un
significativo impatto antropico, limitano l'uso della risorsa per la presenza
naturale di particolari specie chimiche o per il basso potenziale quantitativo.
Entro il 31 dicembre 2001 le Regioni hanno avuto l’obbligo di identificare per ciascun corpo idrico
significativo, o parte di esso, la classe di qualità corrispondente. La disciplina giuridica a tutela delle
risorse idriche ha poi stabilito che entro il 22 dicembre 2015 dovranno essere raggiunti i seguenti
obiettivi:
a) per i corpi idrici significativi superficiali e sotterranei deve essere raggiunto l'obiettivo di
qualità ambientale corrispondente allo stato di "buono"
b) sia mantenuto, ove già esistente, lo stato di qualità ambientale "elevato"
c) siano mantenuti o raggiunti altresì per i corpi idrici a specifica destinazione di cui
all'articolo 6 gli obiettivi di qualità per specifica destinazione di cui all'allegato 2, salvo i
termini di adempimento previsti dalla normativa previgente.
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Ripartizione delle competenze per la tutela delle acque
Ente
Compito
Stato e Agenzia Nazionale
Protezione Ambiente
(A.N.P.A.)
Regioni Enti Locali,
Aziende
Acquedotti
Autorità di
bacino,
Consorzi…
Rapporti con l’U. E.
Emissione di Leggi, Decreti,
Regolamenti
Tenuta del Sistema
Informatico Nazionale
Ambientale; elaborazione dei
dati
Raccolta e divulgazione dati
Definizione situazione;
enunciazione obiettivi;
deliberazione piani di tutela
dei corpi idrici
Realizzazione azioni
salvaguardia e risanamenti
Autorizzazione utilizzazioni
acqua
Tramite Genio
Civile
Autorizzazione scarichi
Controlli, misure, analisi Tramite L.I.P.
(laboratorio di
igiene e profilassi)
A.R.P.A.
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Le acque possono considerarsi potabili se rispecchiano i seguenti requisiti principali
Parametri Espressione dei
risultati
Valori
guida(VG)
Concentrazione max
ammissibile Osservazioni
Colore mg/l(scala Pt/Co) 1 20 -
Torbidità mg/l SiO2 (Unita’
Jackson)
1
0,4
10
4
Assenza di materiali
grossolani
Odore Tasso di
diluizione 0
2 a 15°C
3 a 25°C
Da confrontare con le
determinazioni olfattive
Sapore Tasso di
diluizione 0
3 a 12°C
3 a 25°C
Da confrontare con le
determinazioni gustative
Temperatura °C 12° 25° -
Concentrazione
Ioni idrogeno pH (a 25°C)
6,5 < pH <
8,5 -
L’acqua non dovrebbe
essere aggressiva. Valori
massimi ammissibili:
6,0< pH < 9,5
Conducibilità
elettrica BS cm
-1 a 20°C 400 - -
Cloruri mg/l Cl 25 - Concentrazione da non
superare: 200 mg/ l
Solfati mg/l SO2 25 250 -
Silice mg/l SiO2 - - -
Calcio mg/l Ca 100 - -
Magnesio mg/l Mg 30 50 -
Sodio mg/l Na 20 175 -
Potassio mg/l K 10 - -
Alluminio mg/l Al 0,05 0,2 -
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Durezza totale - - da 15 a 50 °F Valori consigliati
Residuo fisso
mg/l dopo
essiccazione a
180°C
- 1500 -
Nitrati mg/l NO3- 5 50 -
Nitriti mg/l NO2- - 0,1 -
Ammoniaca mg/l NH4+ 0,05 0,5 -
Cromo Bg/l Cr - 50 -
Azoto Ammoniacale mg/l 0,05 0,5
Il valore può essere
superato soltanto quando
l’ammoniaca è di origine
geologica e non deriva da
contaminazione biologica
Azoto Nitrico mg/l 5 50
Argento mg/l - 0,01
Ferro mg/l 0,05 0,2
Fluoro mg/l - Da 1,7 a 0,8
Secondo la temperatura
media dell’aria della zona
geografica considerata
Fosforo mg/l 0,4 5
Manganese mg/l 0,02 0,05
Rame mg/l 0,1 1
Il valore limite non deve
superare il valore di 3
dopo 16 ore di ristagno
soltanto per i primi 10
giorni di servizio di
tubazioni in rame nuove
Zinco mg/l 0,1 3
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ACQUA – ANALISI CHIMICO/FISICA
La caratterizzazione dei principali parametri chimico fisici dell’acqua è fondamentale al fine di
poterne indicare sia lo stato di salute che l’idoneità a particolari impieghi (siano essi domestici o
industriali), da qui la necessità di effettuare le analisi.
Uno dei problemi principali che l’analista si trova ad affrontare è il campionamento. Le analisi
infatti per ovvie ragioni si effettuano su un campione, quest’ultimo deve essere rappresentativo,
ovvero prelevato in punti idonei e in quantità tali da poter rappresentare lo stato dell’intero bacino
o corso d’acqua del quale si vogliono determinare le caratteristiche.
Altro problema principale è la corretta manipolazione, trasporto e conservazione del campione
prelevato, ciò al fine di evitare la sua contaminazione con altre sostanze e in definitiva
l’alterazione delle sue caratteristiche chimico fisiche. Il prelevamento dei campioni è una delle fasi
più delicate dell’analisi e la sua errata esecuzione può falsare completamente ed irrimediabilmente
i risultati finali.
Alcune analisi come il pH, la determinazione dell’ossigeno disciolto, il potenziale di ossido
riduzione dovrebbero essere effettuate sul posto al fine di evitare la compromissione dei dati.
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CARATTERISTICHE METROLOGICHE DEGLI STRUMENTI DI MISURA
Prima di passare ad una breve descrizione del funzionamento dei principali strumenti di misura
utilizzati per determinare le caratteristiche fisico chimiche dell’acqua, è opportuno chiarire il
significato di alcuni parametri caratteristici che determinano le proprietà metrologiche di
qualunque strumento di misura. Una corretta indagine ambientale, infatti, non può prescindere dal
conoscere le proprietà degli strumenti di misura utilizzati, ciò onde evitare di commettere errori,
talvolta anche grossolani, nello svolgimento delle misure.
I parametri principali da conoscere al fine di determinare le caratteristiche di uno strumento di
misura sono: la stabilità, la linearità, l’accuratezza, la precisione,la risoluzione, il range, la
sensibilità, il tempo di risposta.
Stabilità: si intende per stabilità metrologica l’attitudine dello strumento a mantenere costante il
valore misurato quando è costante il valore del misurando (parametro ambientale che si vuol
rilevare). La stabilità della misura rilevata è connessa al tempo della misura e può variare anche
per tempi di misura molto piccoli. Il suo valore risulta quindi fondamentale per poter assicurare la
ripetibilità dei risultati su più misure. La stabilità inoltre può variare anche con il passare del
tempo e l’invecchiamento dello strumento.
Linearità: è la proprietà di uno strumento di misura di dare in uscita valori che sono in relazione
lineare con i valori in ingresso. In definitiva un comportamento lineare di uno strumento di misura
segue la seguente legge: Guscita = k • Gingresso + Ω
Dove:
Guscita è il valore restituito dallo strumento (grandezza misurata)
Gingresso è il valore da misurare (misurando)
K una costante di proporzionalità che a sua volta dipende dalla “sensiblità” dello strumento
Ω è il valore restituito dallo strumento quando è nullo il valore del misurando
Per errore di linearità si intende l’indicazione di quanto la curva di taratura si discosta
dall’andamento rettilineo all’interno del range di misura proprio dello strumento. In genere è
specificata fornendo il valore massimo dello scostamento, espresso in percentuale rispetto al fondo
scala, dei singoli punti della curva di taratura rispetto ad una retta di riferimento opportunamente
definita.
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Accuratezza: si intende per accuratezza di uno strumento di misura il grado di concordanza tra il
valore “vero” (valore del misurando) e il valore restituito dallo strumento (valore misurato).
Precisione: fa riferimento alla capacità dello strumento di restituire valori molto vicini tra di loro
quando si effettuano più misure differenti dello stesso misurando, ovviamente nelle medesime
condizioni esterne.
Risoluzione si intende per risoluzione di uno strumento di misura la sua capacità di rilevare una
minima variazione apprezzabile della grandezza in esame attraverso tutto il campo di misura. Il
concetto è molto simile alla definizione di “sensibilità” con l’unica differenza che la sensibilità si
riferisce unicamente al valore del fondo scala, mentre la risoluzione è mediata su tutto il campo di
misura. La risoluzione rappresenta quindi il valore dell’ultima cifra significativa ottenibile dallo
strumento e determina la definizione della “classe dello strumento”. Per i fonometr,i gli strumenti
in classe 1 sono quelli a risoluzione migliore (impropriamente detti i più precisi), mentre quelli in
classe 2 forniscono valori meno attendibili.
Range: il range di misura di uno strumento, anche chiamato campo di misura o intervallo di
misura, rappresenta la capacità dello strumento di rilevare il misurando all’interno di una certa
variabilità di quest’ultimo. Al di fuori di tale intervallo i valori del misurando sono ritenuti troppo
elevati o troppo piccoli per essere rappresentati dallo strumento.
Sensibilità: per sensibilità si intende la più piccola grandezza in grado di generare uno
spostamento apprezzabile del valore misurando rispetto all’inizio della scala dello strumento.
Tempo di risposta: anche detto prontezza, è la caratteristica dello strumento legata al tempo
necessario affinché questo risponda ad una variazione della grandezza in esame (misurando). In
altre parole in genere la prontezza rappresenta la rapidità con cui lo strumento è in grado di
fornire il risultato di una misura.
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Si riportano nel seguito alcune delle grandezze fisiche che occorre determinare per definire le
proprietà dell’acqua.
Temperatura:
La determinazione della temperatura dell’acqua è importante principalmente per i seguenti motivi:
• Influenza significativamente la velocità e la completezza delle reazioni in genere,
• Influenza le cinetiche di scomparsa batterica,
• Influenza la vita di piante e pesci,
• Determina la solubilità dei gas,
• E’ fondamentale si mantenga in determinati range per assicurare la vita dei microrganismi
necessari al trattamento delle acque reflue
Per un uso potabile la temperatura richiesta all’acqua è di circa 12°C.
La determinazione della temperatura avviene tramite termometri.
In seguito si prendono brevemente in considerazione le caratteristiche di funzionamento dei
principali termometri di utilizzo comune per la determinazione della temperatura dell’acqua.
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TERMOMETRO A LIQUIDO
E’ costituito da un bulbo di vetro contenente un liquido (mercurio, alcool, pentano, toluene,..)
collegato ad un tubo capillare, anch’esso di vetro, riempito del medesimo liquido. Assunta una
temperatura di riferimento a cui corrisponde un determinato livello del liquido nel capillare, un
aumento o una diminuzione di temperatura rispetto a questa temperatura di riferimento,
provocherà una salita e una discesa del liquido stesso lungo il capillare. Una scala graduata
solidale con il tubo permette una lettura diretta della temperatura.
A seconda del tipo di liquido contenuto nel bulbo, il termometro risulterà più o meno idoneo ad
essere utilizzato per determinati impieghi. E’ importante quindi conoscere le caratteristiche dello
strumento al fine di poter garantire un utilizzo corretto.
Si riportano nel seguito i range di variabilità di temperatura per alcune tipologie di liquido
comunemente utilizzato nei termometri a bulbo capillare.
Range: Mercurio -39 °C +300 °C
Alcool Etilico -80 °C +40 °C
Toluene -100 °C +100 °C
Pentano -200 °C +20 °C
Oltre al range di variabilità, al di fuori del quale il termometro fornirà un valore errato della
misura, è importante conoscere altri parametri, quali:
Accuratezza: dipende, in questo caso, dalla stabilità termica del vetro, ovvero dalle
contrazioni o dilatazioni che questo subisce a seguito di brusche variazioni di
temperatura
Risoluzione: direttamente proporzionale al diametro del bulbo e inversamente
proporzionale a quello del tubo capillare
Classi: esistono tre classi di termometri a diversa sensibilità:
I classe linee sottili, dove è possibile la lettura di frazioni di grado
II classe linee meno frequenti, possibile lettura della metà di grado
III classe linee spesse per letture in condizioni difficili
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TERMOMETRO A RESISTENZA
Un qualunque conduttore percorso da corrente elettrica, a causa delle resistenze proprie di
qualunque materiale al passaggio della corrente, si scalderà per effetto Joule. Il calore prodotto
dalla resistenza verrà scambiato con l’ambiente circostante in misura maggiore o minore a
seconda che la temperatura esterna sia più o meno bassa. Quanto maggiore sarà il calore ceduto
all’esterno, quanto minore risulterà la resistenza che il conduttore opporrà al passaggio della
corrente elettrica, ovvero questi termometri sfruttano l’aumento di resistenza elettrica che si
manifesta in un corpo di materiale elettroconduttore a seguito di un aumento di temperatura
esterna. I materiali metallici più usati sono il platino, il nichel e il rame.
Il filo di resistenza è avvolto a spirale all’interno di un bulbo di protezione che lo isola
meccanicamente ed elettricamente. I migliori termometri hanno la resistenza costituita da Platino
puro che offre:
- Un grande intervallo di utilizzo (da –200 a 1800 °C)
- Ottima stabilità (può essere utilizzato come termometro campione)
- Buona linearità
I termometri a resistenza hanno oramai sostituito quasi integralmente l’utilizzo dei termometri a
liquido e questo per diverse ragioni:
1) essi presentano una facilità di lettura (dispay a cristalli liquidi) che non è paragonabile a quella
di un termometro a liquido
2) la loro precisione può in alcuni casi essere decisamente superiore a quella dei termometri a
liquido e comunque mai in genere inferiore a 0,1 °C
3) i termometri a resistenza hanno la possibilità di essere collegati ad un PC che permette di
registrare i dati, sono quindi adatti a consentire un monitoraggio della temperatura in continuo
senza che l’operatore debba di volta in volta controllare visivamente il dato rilevato. Si prestano
inoltre a fare la media dei dati misurati in automatico.
4) la lettura dei dati misurati può avvenire anche a distanza (centraline di rilevamento dislocate nel
territorio)
Sono ormai stati del tutto sorpassati i lati negativi che scoraggiavano in passato l’acquisto di tali
apparecchiature, ovvero: costo elevato, lentezza di rilevazione, richiesta di una fonte di corrente.
La diminuzione dei costi, l’utilizzo di software sempre più veloci e la possibilità di usufruire di
batterie di notevole durata e di peso ed ingombro limitati, ha difatti annullato tutti i difetti propri di
queste apparecchiature.
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Nella figura sottostane è riportato lo schema di funzionamento di un termometro a resistenza nella
sua configurazione più semplice.
E : generatore di corrente
V : voltmetro
Vm :differenza di potenziale misurata con il voltmetro
Rc :resistenza elettrica dei conduttori
I :intensità di corrente
RTD : termo resistenza (ovvero parte sensibile dello strumento)
TERMOCOPPIA
La termocoppia è un dispositivo costituito da una coppia di conduttori elettrici aventi
caratteristiche termoelettriche diverse e realizzato con due fili di materiale differente saldati alle
estremità (in genere rame e costantana (60%Cu – 40% Ni). Se i due terminali opposti della coppia
sono mantenuti a temperatura diseguale, si manifesta tra di essi una differenza di potenziale (forza
elettromotrice) dovuta all’effetto Seebeck che da luogo ad una corrente termoelettrica.
Se una delle due giunzioni si pone ad una temperatura nota, ad esempio quella del ghiaccio
fondente, la f.e.m. sarà soltanto funzione della temperatura dell’altra giunzione che si metterà in
contatto con il corpo del quale si vuole misurare la temperatura.
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Intervallo di temperatura: -250 °C - 1400 °C
Precisione 0.1 °C
Altre caratteristiche da terminare per un’acqua possono essere:
Colore :
• Può essere imputato sia a composti presenti in forma soluta (colore vero) che sospesa
(colore apparente)
• La misura si effettua per confronto con campioni a diversa diluizione di una soluzione
concentrata di Platino e Cobalto
• Unità di misura PCU (scala platino cobalto) 0 -500
Sapore e odore:
• Giudizio soggettivo (manca unità di misura standard)
• Gruppo di assaggiatori qualificato
• Acque ricche di Ca e Mg amare, NaHCO3 dolci, NaCl salato…
• Odori putridi (dovuti principalmente ad idrogeno solforato)
• Odore di pesce (in genere dovuto ad ammine organiche)
• Odore di vermi (causato da sostanze fosforate)
• Odore di terra (dovuto a humus)
Conducibilità elettrica:
• Espressa in micro-siemens al centimetro (µS/cm)
• Utile per la determinazione del contenuto salino /residuo secco
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• Si misura con il conduttimetro
Il conduttimetro è lo strumento più comune per la misura della conducibilità elettrica di un liquido.
Essendo la conducibilità elettrica l’inverso della resistenza, in genere si misura la resistenza e in
seguito si determina la conducibilità elettrica.
La misura della resistenza viene al solito ricavata utilizzando la ben nota legge di Ohm. Ovvero
misurando la differenza di corrente (tramite un amperometro) che passa in un circuito, al variare
della resistenza, per una ben fissata forza elettromotrice.
CONDUCIBILITA’ (S/m) (µS/cm)
1S (siemens) = 1 Ω-1
R = ρ (L/S) R: resistenza
Χ = 1/ ρ ρ : resistività (materiale)
L : lunghezza
S : sezione
Nota la geometria del resistore, costituito di fatto dalla porzione di liquido che si trova all’interno
delle due piastre a differente potenziale (elettrodi), siamo in grado di determinare la sua resistenza,
ciò grazie alla misura di corrente che passa nel circuito (rilevata dall’amperometro). La misura
deve essere poi corretta utilizzando una costante che prende il nome di costante di cella, per il fatto
che il liquido interessato al passaggio di corrente in realtà non ha la stessa identica forma del
parallelepipedo che ha per geometria gli elettrodi e la distanza tra essi.
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K : Costante di cella
Ponte di KOHLRAUSCH
Sebbene ormai non più utilizzato in laboratorio, in quanto sostituito dalla cella conduttimetrica, si
descrive nel seguito il funzionamento di uno strumento di laboratorio molto usato in passato per la
determinazione della conduttività di un liquido.
Il ponte di Kohlrausch è costituito da un circuito nel quale sono presenti 4 resistenze e un
generatore di corrente alternata.
Si utilizza corrente alternata in quanto una
migrazione costante degli ioni all’interno della cella conduttimetrica potrebbe alterare le misure.
Si pone il liquido del quale si vuol determinare la resistenza all’interno del contenitore C, nel quale
sono immersi gli elettrodi. Il liquido costituirà la resistenza R1 incognita che vogliamo determinare.
La resistenza R2 è invece nota fin dal principio.
Il filo A-B è anch’esso una resistenza costituita dalla somma delle resistenze R3 (dal punto A fino al
punto X) ed R4 dal punto X fino al punto B. Di queste resistenze conosciamo il valore in quanto è
nota la resistività (ρ) del materiale, è nota inoltre la sezione (S) e possiamo misurare le lunghezze l3
ed l4 semplicemente leggendone il valore su una scala graduata applicata allo strumento1. Si da
quindi tensione al circuito.
1 Resistenza: R=ρ·L/S
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Per la geometria stessa del circuito e per le leggi di kirchhoff che regolano le proprietà dei circuiti
elettrici, qualora i punti X ed Y si trovano allo stesso potenziale,ovvero non passa corrente nel
tratto di filo (ponte) X-Y, e quindi l’amperometro T applicato al filo non misura alcun valore, vale
la proporzione: R1:R2 = R3:R4
Si regola lo strumento spostando il ponte mobile costituito dal filo X-Y finché non si registra nessun
passaggio di corrente all’amperometro T → X e Y allo stesso potenziale.
A questo punto vale la relazione:
4
321 R
RRR = e quindi
4
321 l
lRR =
ciò poiché il filo A-B che costituisce le resistenze R3 ed R4 ha medesimo diametro e medesimo
valore di resistività. A questo punto la resistenza R1 incognita è determinata in quanto sono noti i
valori di R2, l3 ed l4.
Sostanze in sospensione e torbidità:
• Non hanno effetti diretti sulla salute ma spesso i solidi dispersi costituiscono habitat ideale
per microrganismi (H2O torbida→ microbiologicamente sospetta)
• L’analisi dei costituenti viene determinata raccogliendo le sostanze in sospensione per
filtrazione su un filtro tarato
• La torbidità viene misurata tramite nefelometri
• Le unità di misura possono essere UT/NTU unità nefelometrica di torbidità; l’unità
Jackson; mg/l di SiO2;FTU
NEFELOMETRO
Il nefelometro è uno strumento ottico che misura la quantità di luce che viene deviata a causa della
dispersione della luce incidente sulle sostanze in sospensione (effetto tyndall) dovuta a fenomeni di
riflessione e rifrazione. Il nefelometro è utilizzato per la determinazione della torbidità delle acque,
qualora la dimensione delle particelle in sospensione sia di dimensioni comparabili a quelle della
lunghezza d’onda della luce incidente (dell’ordine di decine o al massimo alcune centinaia di
manometri).
Si pone il campione d’acqua all’interno di una contenitore a volume noto e si fa passare un raggio
di luce all’interno di esso. La luce che colpisce le particelle in sospensione viene dispersa per
effetto Tyndall e rilevata da un “rilevatore luminoso” posto ad angolo retto rispetto alla luce
incidente.
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Unità di misura: NTU unità nefelometria di torbidità
Schema di funzionamento di un nefelometro
Unità di misura nefelometriche
Analisi dei gas disciolti (O2- N- CO2…)
• Alcuni gas favoriscono la corrosione dei materiali metallici e delle opere cementizie
• I gas possono creare bolle all’interno del liquido che compromettono il corretto utilizzo di
determinate apparecchiature (cavitazione)
• La determinazione si effettua tramite ebollizione che genera l’espulsione dei gas disciolti
che vengono poi raccolti in contenitori graduati per l’analisi dei costituenti
• Espressa in parti per milione (ppm) che corrisponde a milligrammi per litro d’acqua
Unità Jackson
(JTU)
Unità
formazi
na
(FTU)
Unità Silice (mg/l SiO2)
Unità Jackson
(JTU) 1 19 2.5
Unità
formazina
(FTU)
0.053 1 0.13
Unità Silice
(mg/l SiO2) 0.4 7.5 1
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Misura del quantitativo di ossigeno disciolto
L’ossigeno disciolto (DO) sebbene sia scarsamente solubile in acqua (circa 9 mg/l alla temperatura
ambiente) è una risorsa fondamentale alle vita acquatica. In molte delle analisi chimiche è quindi
importante conoscere il suo quantitativo.
Per la misura dell’ossigeno disciolto in acqua, si utilizza uno
strumento che prende il nome di ossimetro.
OSSIMETRO ,Sonda elettrolitica:
L’ossimetro non è altro che una cella elettrolitica all’interno
della quale vengono immersi due elettrodi costituiti da piombo
e argento. Sull’elettrodo di Pb si verifica la reazione:
Pb + 2OH- →PbO + H2O + 2e-
Gli elettroni liberati migrano attraverso il circuito passando
per il microamperometro che ne misura il quantitativo e
raggiungono l’elettrodo di Ag dove avviene la reazione:
2e- + ½ O2 + H2O →2OH- Il complesso delle due reazioni può avvenire soltanto
qualora sia presente ossigeno disciolto nella soluzione.
In questo modo si correla il valore di corrente misurato dal microamperometro con il livello di
ossigeno presente nella soluzione, ottenendone così il valore.
Sugli elettrodi è posta una membrana porosa che permette soltanto piccole migrazioni di ioni, in
questo modo la misura del passaggio di corrente risulta proporzionale al quantitativo di ossigeno
presente in soluzione.
Concentrazione idrogenionica (pH)
• Esprime lo stato di acidità o basicità di una soluzione
pH = -log10 [H+] = 7 in caso di neutralità
A 24,5 °C [H+] = [OH -] = 10 -7 mol/l
pH > 7 soluzione basica; pH < 7 soluzione acida
Il pH varia con la temperatura, per l’acqua:
0 °C → pH= 6,15
100 °C → pH=7,45
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• Importante per i processi di addolcimento, disinfezione, deferrizzazione, desolforazione…
• Influenza molto l’efficacia di alcune fasi del trattamento di depurazione biologica delle
acque reflue, nonché i trattamenti chimico fisici dei liquami
• Influenza la vita degli organismi acquatici, i pesci sopravvivono in un intervallo di pH 5-9
• Importante per la corrosione
• Aumento del pH provoca svolgimento di NH3
Misura sperimentale del pH
Il primo metodo che si prende in esame è utilizzato come metodo indicativo per la misura del pH,
non è però considerato valido ai fini del D.Lgs: 152/99 in quanto non consente di ottenere risultati
precisi. In laboratorio si usano particolari sostanze (indicatori) che assumono colorazione diversa
a seconda del pH della soluzione con cui sono posti a contatto.
Gli indicatori sono acidi o basi organici caratterizzati dal fatto che la molecola indissociata
presenta un colore diverso da quello dell’anione o del catione.
Es: supponiamo di avere una molecola indissociata di tipo acido: HIn essa si dissocia nel seguente
modo:
A seconda del grado di dissociazione della molecola, che a sua volta dipende dalla concentrazione
degli ioni H+ e quindi dal pH dell’acqua, la sostanza cambia colore. Ciò permette di stabilire il pH
della soluzione per confronto con campioni standard.
Indicatori per la misura del pH
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Misura potenziometrica del pH
Si ricava utilizzando misure di potenziale d’elettrodo tramite opportuni elettrodi indicatori
(elettrodo a vetro, elettrodo a calomelano).
Poiché la misura del potenziale d’elettrodo dipende dalla tendenza di un materiale ad assumere
forma ionica quando viene posto a contatto con una soluzione contenente ioni dello stesso
materiale, e poiché il valore di detto potenziale dipende dalla concentrazione degli ioni dello stesso
materiale presenti in soluzione; un elettrodo di idrogeno avrà minor potenziale e quindi minor
tendenza a liberare ioni H+ quanto più la soluzione sarà ricca di ioni H+ (soluzione acida) e
viceversa. La misura del potenziale d’elettrodo di un elettrodo ad idrogeno potrebbe quindi essere
utilizzata per la misura del pH della soluzione. Costruendo infatti una pila nella quale un elettrodo
è costituito da idrogeno e l’altro è a potenziale noto; tramite la misura della forza elettromotrice
risultante(che è uguale alla differenza con segno fra i valori dei potenziali d’elettrodo dei due
semielementi che costituiscono la pila) si può ricavare infatti la misura del pH della soluzione.
Quanto detto è in sostanza il principio del metodo, nella realtà però, a causa della difficoltà pratica
della realizzazione di un elettrodo ad idrogeno, si utilizzano elettrodi a vetro. Essi sfruttano la
seguente proprietà: tra le due facce di una sottile membrana di vetro che separa due soluzioni a
diverso pH, nasce una differenza di potenziale che dipende entro certi limiti dalla differenza di pH
delle due soluzioni. Poiché da un lato della membrana è posta sempre una soluzione tampone a pH
noto, la differenza di potenziale consente di risalire al pH della soluzione in esame. Nella soluzione
tampone è in genere immerso un elettrodo ad argento cloruro di argento. La catena galvanica è
completata dalla soluzione della quale di vuole determinare il pH e da un secondo elettrodo di
riferimento.
Alcalinita’
• Si definisce come la capacità di neutralizzare gli acidi, essa è dovuta alla presenza in
soluzione di ioni OH – derivanti dalla dissociazione di ossidrili oppure da reazioni tra acidi
deboli e basi forti.
• L’alcalinità ha un effetto tampone in quanto impedisce che i livelli di pH diventino troppo
acidi.
• Gli ioni OH – si formano in seguito a dissociazione di:
Carbonati: Na2CO3+2H2O ↔ H2CO3+2Na++2OH–
Bicarbonati: Ca(HCO3)2 + 2H2O ↔ H2CO3+Ca+++2OH–
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• Si determina titolando l’acqua con soluzione di acido cloridrico (HCl) oppure acido
solforico.
L’avvenuto completamento della reazione viene evidenziato tramite l’utilizzo di opportuni
indicatori come per esempio il metilarancio che a reazione completata (pH = 4,5) vira dal
giallo- paglierino al giallo- arancio
• si esprime indicando i milligrammoequivalenti di HCl utilizzati per la titolazione oppure
tramite i mg/l di CaCO3 secondo la relazione:
Alcalinità = (A⋅N⋅PE/C) ⋅ 100
Dove: A: quantitativo di acido titolato (ml)
N :esprime la normalità dell’acido (di solito N=0.02)
PE : peso equivalente del CaCO3
C : quantità di campione utilizzato (ml)
la legislazione italiana non fissa livelli di alcalinità per le acque potabili in quanto non è
pericolosa per la salute umana, un’acqua con alcalinità elevata può però provocare variazioni del
pH lacrimale con conseguenti irritazioni per gli occh.i
L’alcalinità è anche legata all’aggressività: un aumento di alcalinità determina una riduzione
dell’aggressività dell’acqua, ovvero la capacità di quest’ ultima di produrre fenomeni corrosivi.
Durezza
• rappresenta il quantitativo di sali di calcio e magnesio disciolti in acqua
• si misura in gradi francesi: un acqua ha 1 grado francese di durezza quando la quantità di
sali di calcio e magnesio contenuta in 100 litri d’acqua corrisponde stechiometricamente ad
1 grammo di carbonato di calcio (CaCO3)
• acqua dura: superiore a 15 °F
• Durezza temporanea:
quella dovuta ai Sali di calcio e magnesio sottoforma di bicarbonato. Essi si eliminano
facilmente (bollendo l’acqua a 90°C) secondo le reazioni:
Ca(HCO3)2 → CaCO3+ CO2 + H2O
Mg(HCO3)2 → Mg(OH)2 + 2CO2
• Durezza permanente:
quella dovuta ai Sali di calcio e magnesio
• Durezza totale:
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la somma delle durezze temporanea e permanente
• conseguenza dell’impiego di acqua dura sono le incrostazioni e i depositi. Più comuni sono
le incrostazioni calcaree dovute prevalentemente a precipitazione di CaCO3
Di norma si hanno incrostazioni per temperature > 70°C
Elevata durezza → acque profonde
Bassa durezza → acque superficiali e di montagna
MISURA SPERIMENTALE DELLA DUREZZA
• metodo di Boutron Boudet
su un quantitativo definito di H2O (di solito 40 cm3) viene introdotta goccia a goccia una soluzione
acquoso - alcolica di sapone (Sali di sodio e potassio di acidi organici). Quest’ultima reagisce con
gli ioni Ca e Mg formando un precipitato:
2 RCOONa + CaSO4 → (RCOO)2Ca + Na2SO4
2 RCOO – + Ca++ → (RCOO)2 Ca
Quando tutti gli ioni Ca e Mg sono precipitati il nuovo sapone aggiunto passa in soluzione con
conseguente formazione di schiuma. Si continua ad aggiungere sapone finché la schiuma che
siforma è alta 5mm e persiste per almeno 5 minuti.
Sulla buretta graduata si legge il valore corrispondente al livello di sapone precipitato che fornisce
direttamente il valore della durezza totale in gradi francesi.
La durezza permanente si misura con lo stesso metodo portando preventivamente ad ebollizione
con precipitazione dei Bicarbonati di (Ca, Mg).
metodo titrimetrico all’EDTA
In una buretta da 250 ml si versano 100 ml d’acqua, si aggiungono 4 ml di soluzione tampone di
ammonio cloruro (NH4Cl) e circa 0.2 g di indicatore (nero di eriocromo). Si agita e si titola
immediatamente con una soluzione di sale disodico dell’acido etilendiamminotetracetico (EDTA).
La soluzione a questo punto assume colore rosso-violetto; si continua ad aggiungere EDTA fin
quando la soluzione non diventa di colore blu intenso, ciò avviene quando tutti gli ioni calcio e
magnesio sono stati complessati dall’EDTA. La misura della durezza si ricava da quella del volume
in ml consumato per la titolazione del campione. Per questo metodo si consiglia di prelevare i
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campioni in bottiglie di vetro o polietilene, pulite con acido cloridrico, detersivo e risciacquate con
acqua distillata. L’analisi andrebbe eseguita sul posto, se necessario i campioni devono essere
conservati al buio e ad una temperatura di 4°C per non più di 24 ore. I campioni devono essere
riportati a temperatura ambiente prima di eseguire la misura.
Analisi ionica (mg/l)
• Unità di misura: milliequivalente/litro (meq/l)
• Si determinano in genere: Al+++,Fe++e Fe+++,Ca++,Mg++,Na+,K+,Cl -,HCO3-, SO4
- -
Residuo fisso (secco)
• E’ ciò che rimane dopo la completa evaporazione dell’acqua
• Rappresenta l’insieme delle sostanze di natura organica ed inorganica disciolte in acqua
Si determina introducendo un quantitativo noto d’acqua in una capsula di platino, facendola
evaporare e seccando il residuo a 105°C
Ferro e Manganese (mg Fe/l mg Mn/l)
Il ferro ed il manganese (quest'ultimo in minor misura) possono essere reperiti nelle acque
profonde cui conferiscono, a contatto con l'aria, colore (ruggine per Fe, bruno scuro per Mn)
dando poi luogo a precipitati; anche il sapore dell'acqua cambia e determinate lavorazioni
industriali risultano impedite.
Sodio (mg Na/l)
Va tenuto sotto controllo solo nel caso di persone che necessitano di una dieta povera di tale
elemento (cardiopatici, nefropatici).
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Fluoro (mg F/l)
Questo elemento può essere presente sotto forma di fluoruri ed esercita un benefico effetto sulla
resistenza alla carie (se assunto nei primi anni di vita in concentrazioni dell’ordine di 1 mg F/l);
invece può provocare danni allo smalto dei denti già per concentrazioni >1,5 mg F/l (ed anche
alle ossa per concentrazioni superiori).
Idrogeno solforato (mg H2S/l)
Può essere riscontrato naturalmente nelle acque di falde profonde o in aree vulcaniche e, oltre a
impartire all'acqua sgradevoli caratteri organolettici (odore e sapore), può dare luogo a problemi
di corrosione; in alcuni casi viene considerato come indice di contaminazione.
Solfati (mg SO4/l) E' possibile trovare in natura acque ricche di solfati, soprattutto in falde
profonde ed in zone con attività termale; la loro presenza in elevate concentrazione impartisce
all'acqua un sapore amarognolo ed ha effetti lassativi.
Fattori inorganici di tossicità
Si tratta di elementi chimici solitamente assenti o presenti in tracce.
Se presenti in concentrazioni elevate, sono conseguenza di scarichi industriali: acqua contaminata
Arsenico: mortale a dosi elevate, probabile cancerogeno in concentrazioni sub acute,
provoca danni alla pelle e/o al sistema nervoso. Presente in diverse formulazioni
insetticide.
Bario: danneggia il cuore, il sistema vascolare (ipertensione) e quello nervoso
- Nikel: può determinare danni renali;
- Piombo: determina tossicità cronica (anemia, problemi renali e di ipertensione, etc.),
ritardi nello sviluppo mentale e fisico dei bambini, nonché maggiori rischi di contrarre tumori.
La presenza di Pb è da ascrivere a rilasci dalla rete interna alle abitazioni.
- Rame: si tratta di un elemento essenziale per il nostro metabolismo ma l’uso continuato di
acqua a concentrazioni superiori alla CMA determina nel tempo danni all’apparato
gastrointestinale, al fegato e ai reni
- Selenio: pur essendo un elemento essenziale per il nostro metabolismo può provocare
problemi ai sistemi nervoso, circolatorio, epatico, gastroenterico e renale, indebolimento di capelli
e unghie.
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LE ACQUE DI SCARICO
Le acque reflue si possono dividere in due principali categorie:
Acque derivanti da impieghi civili (maggiormente ricche di materiale organico)
Acque derivanti da impieghi industriali (possono essere presenti altre sostanze di natura non
organica derivanti dai trattamenti chimici proprie dell’industria)
La legge obbliga al trattamento di tutte le acque reflue vietando lo sversamento nei corsi d’acqua
di liquami non trattati.
Noi ci occuperemo esclusivamente delle acque di scarico derivanti da impieghi civili.
I liquami di origine domestica Acque nere.
Prendono origine principalmente, se non esclusivamente, da cucine e toillettes. Esse pertanto
contengono residui di cibi, bevande, sapone e detergenti sintetici, carta e involucri di plastica, oltre
naturalmente ai prodotti finali del metabolismo umano.
Se le condutture fognarie sono di tipo “misto”, esse conterranno anche le acque provenienti dai
tombini e quindi saranno in alcuni periodi (correlati alle precipitazioni) ricche di terriccio e detriti
di asfalto.
Gli inquinanti si trovano in parte in soluzione, in parte in sospensione, in parte in dispersione
colloidale.
Le acque reflue sono inoltre caratterizzate dall’avere un’alta carica batterica (fino a 20 milioni di
batteri per cm3), oltre che virus, funghi e protozoi.
Non possono essere scaricate nei corsi d’acqua senza essere preventivamente trattate in quanto
comporterebbero la riduzione dell’ossigeno presente nel corso d’acqua con generazione di
fenomeni putrefattivi e sviluppo di gas (NH3 CH4 ..)
Potere autodepurante dei corsi d’acqua:
Nei corsi d’acqua (fiumi, torrenti…) sono presenti dei microrganismi batteri (aerobi) e piante che
sono in grado di reagire con il materiale organico proveniente dalle acque di scarico
degradandolo in composti via via meno complessi: processo di catabolismo.
Questo processo ha vita fintantoché nell’acqua è presente una quantità di ossigeno sufficiente a
garantire la vita dei batteri aerobi responsabili del processo di catabolismo. L’ossigeno inoltre
garantisce la vita dell’ecosistema naturale associato al corso d’acqua ed è quindi di fondamentale
importanza per la sopravvivenza delle specie animali in essa presenti. Allorquando lo scarico
inquinante è indiscriminato, nel corso d’acqua si genera una produzione di microrganismi aerobi
talmente elevata che porta rapidamente al consumano di tutto l’ossigeno in esso disciolto. Il corso
d’acqua reagisce in parte in modo naturale a questo processo riossigenandosi. La riossigenazione
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di un corso d’acqua, anche detta “potere autodepurante” è un fenomeno di natura fisico-
meccanica, costituito principalmente dal fatto che l’acqua, nel suo movimento vorticoso, e
soprattutto a causa di piccoli salti dovuti alla conformazione del letto del corso d’acqua stesso, è in
grado di recuperare parte dell’ossigeno presente in atmosfera sciogliendolo al suo interno.
Il grafico sottostante riporta la variazione del contenuto di ossigeno lungo un corso d’acqua
allorquando vengono introdotti dei liquami di natura organica e il corso d’acqua è in grado di
sostenere il versamento dei liquami riossigenandosi in modo naturale.
Il quantitativo di ossigeno iniziale del corso d’acqua è posto uguale a quello di saturazione (Cs).
Nel punto B avviene l’introduzione del liquame. L’ossigeno comincia a diminuire a causa della
presenza dei microrganismi aerobi e se il corso d’acqua non fosse in grado di autodepurarsi,
l’andamento del quantitativo di ossigeno disciolto seguirebbe la curva AC fino a raggiungere livelli
talmente bassi da ingenerare un processo anaerobo, ovvero morte dei microrganismi aerobi con
prolificazione di microrganismi anaerobi e conseguente formazione di idrogeno solforato, fosfina,
ammoniaca…oltre che morte delle specie animali e vegetali presenti.
Se invece il corso d’acqua è in grado di riossigenarsi (potere autodepurante), via via che si scende
a valle del punto B, esso ingloba una certa quantità di ossigeno secondo la curva BD.
La curva AA’ è la risultante delle due curve precedenti e rappresenta l’andamento dell’ossigeno
disciolto per un corso d’acqua in grado di sostenere in modo naturale il versamento del liquame.
DECOMPOSIZIONE DELLE SOSTANZE ORGANICHE
Un composto organico complesso del tipo CxHyNz può essere scomposto in presenza di ossigeno
oppure in assenza di ossigeno:
Decomposizione aerobica:
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η+++→+
++zNOOH
yxCONHCO
zyxzyx 222
22
3
l’ossidazione da origine ad anidride carbonica, acqua, ossidi di azoto (nitriti e nitrati) NO2- e NO3
-
ed altri prodotti minori: η→ (fosfati, solfati)
I composti contenenti zolfo e fosforo (come ad esempio i mercaptani contenuti negli escrementi)
sono ossidati a ioni del tipo: SO4- - (ione solfato) e PO4
- - - (ione ortofosfato)
Decomposizione anaerobica
CxHyNz →CO2 + CH4 +NH3 + altri composti
Gli “altri composti” derivano dalla trasformazione di proteine contenenti zolfo e fosforo, essi
vengono trasformati in:
acido solfidrico (H2S),
fosfina (PH3)
In assenza di ossigeno l’ammoniaca non può essere ossidata a nitrito o a nitrato in quanto
l’idrogeno non ha più ossigeno per formare nuova acqua; alla stessa stregua parte del carbonio
non può essere ossidata a CO2 e quindi anch’essa si combina con l’idrogeno fornendo CH4,
analogamente per zolfo e fosforo che si combinano con idrogeno per formare i su citati PH3 e H2S.
N.B. il tenore di fosfato presente nell’acqua di fogna è aumentato dall’apporto dei moderni
detergenti sintetici; in Italia si impiegano circa 36000 t di fosforo per la fabbricazione dei
detergenti, sebbene provvedimenti che prevedono una graduale riduzione dei polifosfati nei
detergenti porteranno ad una diminuzione futura di questo valore.
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Un corso d’acqua anaerobo è facilmente identificabile a causa della presenza di detriti fognari
galleggianti e notevole produzione di bolle gassose. I gas si formano poiché l’ossigeno non è
utilizzabile per combinarsi con l’idrogeno formando acqua e quindi l’idrogeno si combina con altre
sostanze producendo ammoniaca (NH3), acido solfidrico (H2S) proveniente dalla scomposizione
da parte di batteri delle proteine contenenti zolfo e altri composti.
Il corso d’acqua appare inoltre di colore scuro (elevata torbidità) con presenza di numerose specie
di alghe.
L’effetto si ripercuote anche sulla vita dei pesci e delle piante, essi cambiano drasticamente di
specie (prolificano carpe e pescegatto, oltre che lombrichi sul fondo melmoso, viene invece ridotta
la presenza di trote) e di numero nei punti a valle dello scarico inquinante.
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Le conseguenze dello smaltimento di acqua di fogna senza gli opportuni trattamenti:
1. Deposito di sostanze sospese sul letto dei fiumi, a lungo andare provoca uno strato di melma
che riduce le capacità del letto; nel caso di acque lacustri provoca fenomeni putrefattivi negli
strati più profondi;
2. Le sostanze organiche che esercitano domanda di ossigeno depauperano il corso d’acqua
dell’ossigeno disciolto compromettendo il suo potere autodepurante;
3. L’ammoniaca (NH3) e l’idrogeno solforato (H2S) esercitano una spiccata azione tossica sugli
organismi acquatici danneggiando il patrimonio ittico;
4. I composti fosforati e azotati provocano un’indebita crescita di alghe in acque relativamente
stagnanti;
5. I detergenti sintetici se in alta concentrazione sono tossici per la fauna acquatica, inoltre
portano formazione di schiuma con effetti sfavorevoli sulla riossigenazione delle acque, nonché
effetti sfavorevoli sul turismo;
6. I batteri patogeni possono diffondere epidemie nella popolazione, nonché infettare il bestiame
che va ad abbeverarsi;
7. Alcuni funghi come lo “Sphaerotilus natans” prolificano eccessivamente formando lunghe
colonie filamentose e viscide di aspetto repellente sulle rive e sul letto del fiume
BOD (Biochemical Oxygen Demand):
Rappresenta la domanda di ossigeno (quantitativo espresso in milligrammi/litro) richiesto dai
batteri e da altri organismi impegnati nella biodegradazione del materiale organico decomponibile
per svolgere le loro attività.
Un consumo di ossigeno molto basso indica che nell’acqua sono presenti pochi microrganismi ⇒
acqua pulita, oppure presenza di microrganismi non interessati a cibarsi di composti organici.
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In genere ci si riferisce al BOD5 ovvero al consumo di ossigeno riferito a 5 giorni.
Si determina sperimentalmente prendendo un campione di acqua, saturandola con ossigeno
(aumento del DO) e lasciando agire i microrganismi per 5 giorni a 20°C in assenza di luce.
Successivamente si ripete l’analisi del quantitativo di ossigeno disciolto e per differenza si ricava
l’ossigeno consumato.
Il BOD nella maggior parte delle acque di scarico domestiche è pari a circa 250mg/l.
Sperimentalmente l’analisi del BOD si effettua misurando l’ossigeno consumato tutti i giorni o
anche più volte al giorno, ciò se si vuole ottenere una curva di andamento del BOD simile a quella
riportata nella pagina seguente. Per questo motivo si utilizzano più campioni (boccette di circa 300
ml d’acqua) da analizzare, ognuna delle quali fornirà il consumo di ossigeno al giorno n-esimo.
Nel caso il campione esaurisce tutto il contenuto di ossigeno prima dello scadere del 5° giorno
(curva B) è necessario procedere alla diluizione del campione con acqua pulita
(microbiologicamente priva di sostanza organica).
La curva (C) rappresenta l’andamento del BOD per il medesimo campione (B) una volta che si è
effettuata la diluizione.
Nel caso si vada ad effettuare una diluizione1:10 ovvero 1 parte di campione diluita in 10 parti di
acqua pura, la formula del BOD dovrà tenere conto di tale diluizione, ovvero si dovrà dividere il
valore per il coefficiente di diluizione. In questo caso 1/10=0,1
lmgBOD /401,0
48=
−=
Se invece di effettuare un’analisi su 5 giorni si lasciano continuare le reazioni misurando il DO
(ossigeno disciolto) giorno dopo giorno si può tracciare una curva del tipo:
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Dopo il quinto giorno la curva tende a salire verso l’alto in quanto i microrganismi decompongono
i composti organici azotati in nitrati stabili, NO3-
La curva si divide quindi in due zone, una dovuta al BOD da carbonio organico e l’altra dovuta al
BOD da azoto organico. Il BOD finale comprende entrambi i BOD.
Il BOD5 rappresenta circa il 65% del BOD ultimo, anche detto UOD.
COD (domanda chimica di ossigeno):
Nasce dall’esigenza di diminuire il tempo impiegato in una prova di UOD, avvero nel caso in cui si
vuole determinare, su campione diluito, la domanda di ossigeno ultima, fino a completo
esaurimento.
A tal proposito può essere utilizzato il metodo di ossidazione chimica del materiale organico al
posto di utilizzare i microrganismi.
La prova consiste in un ebollizione a riflusso, per due ore, del campione in esame con acido
solforico (H2SO4) ed un eccesso noto di bicromato di potassio K2Cr2O7 seguita dalla titolazione
della quantità di bicromato di potassio rimasta al termine della prova.
La reazione ossidante riguarda il cromo esavalente che si riduce a cromo trivalente:
CxHyOz + Cr2O7-- + 2K+ →(x+3)CO3
-- +(y/2)H2O + 2 Cr+++ +2K+
Il cromo trivalente formatosi viene riportato tramite un opportuno reagente a cromo esavalente.
Si misura la differenza del quantitativo di cromo esavalente all’inizio e alla fine; essa è funzione
del bicromato utilizzato per ossidare il materiale organico. Il suo quantitativo determina il COD.
Poiché nella determinazione chimica del COD quasi tutti i composti organici vengono ossidati
mentre nella determinazione del BOD soltanto alcuni (per esempio i composti organici prodotti
dalle cartiere ricchi di cellulosa si ossidano molto più facilmente per via chimica che per via
batteriologica), questa prova fornisce in genere valori più elevati rispetto al BOD.
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TOC (Total Organic Carbon):
utilizzato per valutare la contaminazione dell’acqua da sostanze organiche.
Il metodo consiste nella determinazione dell’anidride carbonica sviluppata durante la
combustione per via umida delle sostanze organiche contenute in un campione d’acqua
Il campione utilizzato deve essere preliminarmente acidificato con (HCl) allo scopo di
eliminare la CO2 già presente.
Concentrazione o “forza” dell’acqua di fogna, in ragione del contributo individuale di ogni
abitante e della quantità di acqua scaricata in fogna giornalmente per abitante
I DETERGENTI SINTETICI:
Oltre alle sostanze di natura organica essi rappresentano una parte considerevole delle sostanze
che si rinvengono nelle acque reflue di uso domestico. Apparsi nel mercato nel 1940 hanno avuto
un rapido sviluppo grazie alle migliori proprietà detergenti rispetto ai saponi e grazie alla
proprietà di poter essere utilizzati anche con acque molto dure senza per questo formare
precipitati.
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La legge n.136 del 26 aprile 1983 prescrive che i detersivi sintetici debbono essere biodegradabili
in misura del 90% ovvero devono essere attaccati e demoliti da batteri aerobi presenti nelle acque
e negli impianti di depurazione biologica dei liquami di fogna.
I detergenti si possono dividere in 4 categorie: 1) anionici, 2) cationici, 3)non ionici
Detergenti anionici:
in soluzione acquosa si scindono in un catione Na+ e in un anione organico solforato che
costituisce la parte attiva:
Dove R rappresenta un radicale alchilico a catena lunga.
Esistono anche altre forme di detergenti:
Detergenti non ionici: Detergenti cationici:
La maggiore o minore biodegradabilità del detergente dipende dalla natura del radicale R: se
questo è a catena ramificata il detergente non è biodegradabile (anche detto “duro”), se R è a
catena lineare il detergente è biodegradabile (anche detto “dolce”)
Tipico esempio di detergente anionico duro:
Tipico esempio di detergente anionico dolce:
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LA DEPURAZIONE DELLE ACQUE REFLUE
La depurazione delle acque reflue di tipo domestico avviene in tre differenti stadi:
Trattamenti meccanici o primari: servono a separare dai liquami le sostanze in sospensione,
principalmente di natura inorganica;
Trattamenti biologici o secondari: servono ad eliminare le sostanze organiche che sono le
principali responsabili del consumano ossigeno per i fenomeni di catabolismo descritti in
precedenza;
Trattamenti chimico – fisici o terziari: hanno lo scopo di migliorare ulteriormente la qualità
dell’effluente, eliminando quasi integralmente le sostanze in sospensione, rimuovendo le
sostanze azotate e fosforate (elementi nutritizi per le alghe), distruggendo inoltre i
microrganismi patogeni.
TRATTAMENTI MECCANICI
Grigliatura
La grigliatura costituisce il primo trattamento di un impianto di depurazione delle acque reflue. Si
è già accennato al fatto che l’acqua di fogna può trasportare con se sostanze grossolane
accidentalmente riversate nei condotti (es. rami di alberi, materiale plastico grossolano,…). Queste
sostanze devono essere eliminate o comunque ridotte di dimensione per non compromettere
l’efficacia dei trattamenti successivi e per non rovinare le pompe per il sollevamento del liquame.
Quando il liquame arriva all’impianto di trattamento, infatti, si trova in genere ad una quota
piezometrica più bassa di quella delle vasche utilizzate per il trattamento, ciò a causa del fatto che
la pendenza dei condotti fognari non sempre consente di seguire il profilo del terreno, per questo
motivo in genere il liquame va pompato. Per tale operazione se il dislivello non è troppo elevato si
possono utilizzare degli elevatori a coclea.
La grigliatura consiste quindi nella separazione delle frazioni inerti più grossolane.
Le griglie sono costituite da barre parallele (distanza da 0.5 fino a 15 cm) posizionate all’interno di
un canale nel quale fluisce l’acqua reflua.
La velocità di passaggio del liquame deve essere superiore a quella di sedimentazione per evitare
depositi di materiale a monte della griglia.
Le griglie grossolane sono provviste di pettini o rastrelli raschiatori che ne garantiscono la pulizia
in maniera automatizzata.
Le griglie più fini sono costituite da vere e proprie reti montate su tamburi rotanti. Esse vengono
pulite con getti d’acqua, d’aria o vapore.
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Il materiale solido grigliato può essere separato e trattato a parte oppure inviato in un trituratore,
comminuito e successivamente reimmesso nel liquame già grigliato prima delle vasche di
sedimentazione.
Nelle due figure seguenti sono rappresentati 2 schemi di griglie. Quella a sinistra è la classica
griglia a barre dotata di pettini per la pulizia automatica dei depositi grossolani che si fermano a
monte. La figura a destra rappresenta invece una griglia a tamburo rotante.
In quest’ultima l’acqua entra all’interno del tamburo costituito da una rete (in genere metallica
oppure di materiale sintetico) che costituisce il mezzo filtrante. Le sostanze più grossolane (fanghi
di prima captazione) rimangono intrappolati all’interno del cilindro dal quale fuoriescono tramite
un opportuno condotto (d), l’acqua chiarificata può invece uscire dalla rete e venire convogliata
presso i successivi trattamenti.
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Comminutor
L’estrazione delle sostanze solide che si sono fermate a monte della griglia, il loro trasporto ai
molini trituratori e la loro successiva reintroduzione nel liquame, sono operazioni che avvengono
all’asciutto, per questo motivo le sostanze organiche subiscono un accelerato processo di
putrefazione con conseguente sviluppo di cattivi odori.
Per evitare questo sgradevole fenomeno negli impianti più moderni vengono adottati trituratori
sommersi che effettuano entrambe le operazioni di grigliatura e sminuzzamento delle sostanze
solide grossolane. Essi prendono nome di “comminutor”.
Nella figura sottostante è schematizzato un comminutor. All’interno della macchina gira un
tamburo, mosso da un motore esterno, la cui superficie è munita di numerosissimi fori sul quale
sono montati una serie di denti taglienti. Questi provvedono alla triturazione del materiale fino alla
dimensione opportuna (5-10 mm) per poter passare all’interno del tamburo.
IL PRINCIPIO DELLA SEDIMENTAZIONE
La sedimentazione è il meccanismo attraverso il quale si attua la deposizione spontanea delle
sostanze solide sospese, senza intervento di alcuna altra forza esterna che non sia quella di gravità.
Valutare la velocità di sedimentazione delle sostanze in sospensione in un acqua reflua è di
fondamentale importanza per la progettazione delle vasche stesse, in quanto il tempo di
attraversamento dell’acqua all’interno della vasca deve essere superiore a quello necessario
affinché la maggior parte delle particelle sospese possano cadere sul fondo. La sedimentazione è
regolata dalla legge di Stokes che permette di valutare la velocità di movimento di sostanze solide
in campo fluido e quindi applicata al caso nostro ci permette di valutare la velocità con cui si
muoveranno le particelle in sospensione verso il fondo della vasca di sedimentazione.
Qui si riporta la formula semplificata della legge di Stokes, che ha validità allorquando la
particella solida della quale si vuol determinare la velocità di spostamento in campo fluido, abbia
forma perfettamente sferica, si muova in regime laminare, sia immersa in un fluido in quiete, e il
suo moto non sia ostacolato dalla presenza di altre particelle.
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. Nel nostro caso comunque la formula approssima molto bene il fenomeno.
Legge di Stokes:
)( 21
2
92 ddRv g −= η
dove:
v: velocità di caduta della particella
g: accelerazione di gravità
η: viscosità del liquido
R: raggio della particella supposta sferiche
d1: densità della particella solida
d2: densità del liquido
Dimostrazione:
Supponiamo una sfera di massa m immersa in un fluido, essa sarà soggetta alle seguenti forze:
Forza peso: Fp = m·g diretta verso il basso
Forza di attrito viscoso: Fd = - 6·π·η·R·v diretta in senso opposto al movimento della particella
Forza di Archimede: FA= - d2·g·V diretta verso l’alto (dove V è il volume della particella)
Nel suo movimento di caduta libera,la particella dopo un certo tempo, raggiungerà una condizione
di equilibrio dinamico dovuto al fatto che aumentando la sua velocità di spostamento, aumenta
anche la forza di attrito viscoso Fd al punto che vale la relazione di equilibrio di forze:
Fp+ Fd+ FA = 0
Sostituendo alle forze i loro valori, per la condizione di equilibrio si avrà:
m·g - 6·π·η·R·v - d2·g·V = 0
sostituendo a V (volume sfera) il suo valore: V=4/3 π R3 e ad m (massa della particella) il suo
valore m=d1.V ovvero d1·4/3 π R3
si avrà:
d1·4/3 π R3·g - 6·π·η·R·v - d2·g·4/3 π R3=0
risolvendo si ottiene:
)( 21
2
92 ddRv g −= η
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Disabbiatura
Si utilizzano appositi canali ove sedimentano i materiali solidi inerti (la velocità di passaggio del
liquame è opportunamente regolata per dare tempo alle sostanze solide di sedimentare).
Il valore della velocità di sedimentazione (v0) per gli inerti silicei di fogna si aggira sui 120-180
cm/ora corrispondente ad una portata specifica di 1,2-1,8 m3/m2/ora.
La portata specifica è la portata del flusso dei liquami per unità di superficie della vasca di
sedimentazione, essa rappresenta un parametro di notevole importanza nel dimensionamento delle
vasche di sedimentazione.
In questo tipo di vasche vengono in genere condotte acque di fogna miste, di origine domestica e
meteorica, che possono contenere sabbie silicee, residui d’asfalto…
Lo scopo del dissabbiatore è quello di rimuovere il materiale sabbioso e al contempo di limitare il
più possibile la sedimentazione delle sostanze organiche che devono essere trattate
successivamente in apposito impianto. Ciò è possibile in quanto la sabbia ha densità circa 2,5 volte
maggiore di quella delle sostanze organiche e quindi sedimenta più velocemente.
Un altro parametro importante che viene considerato nel dimensionamento delle vasche di
sedimentazione è che la velocità del liquame nelle vasche a flusso orizzontale non deve mai
superare un certo valore denominato velocità critica.
Questo limite, valutabile analiticamente mediante una formula che tiene conto dei fattori di attrito
sul fondo, rappresenta il valore massimo di velocità oltre il quale i fanghi depositati sul fondo si
risollevano rendendo quindi vano il trattamento. Si può utilizzare anche una formula
approssimativa che valuta la velocità critica pari a 10 volte la v0 di sedimentazione.
Vasca di sedimentazione a flusso orizzontale
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Bacino di sedimentazione a flusso verticale o radiale:
Utilizzato in alternativa al precedente per ridurre i tempi del trattamento di chiarificazione del
liquame.
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Le vasche di sedimentazione a flusso verticale o radiale riducono i tempi di sedimentazione del
materiale solido sfruttando la forza d’inerzia oltre che la forza di gravità. Nella tipologia
rappresentata nella figura precedente, il liquame entra tramite un condotto verticale posizionato al
centro della vasca, successivamente un convogliatore cilindrico posto all’uscita del condotto devia
il flusso del liquame spingendolo verso i basso. All’uscita del convogliatore sia l’acqua che le
particelle solide si muovono quindi verso il fondo della vasca ad una velocità che dipende dalla
portata iniziale e dalle dimensioni del convogliatore; in questo punto l’acqua, non essendo più
costretta a proseguire il suo cammino verso il fondo della vasca, tende a risalire verso lo stramazzo
sul bordo, mentre le particelle solide grossolane proseguono per inerzia il loro cammino verso il
fondo della vasca facilitando così la sedimentazione.
Allo scopo di diminuire ulteriormente i tempi del trattamento, questi disabbiatori possono essere
dotati anche di un dispositivo di insufflaggio di aria nella torbida.
L’aria, insufflata ad una pressione opportuna e distribuita mediante appositi convogliatori dal
basso della vasca verso l’alto, trascina con se le particelle organiche, meno dense delle sabbie,
portandole in superficie. Le particelle organiche, le schiume e gli olii, tenderanno quindi a
galleggiare, mentre le altre sostanze inorganiche sedimentano sul fondo.
Queste apparecchiature possono essere predisposte anche per la deoleazione, disponendo nella
parte superficiale della vasca una rastrelliera cilindrica che crea una zona di quiete tra la parte
esterna del cilindro e quella della vasca. Qui le gocce oleose e le particelle di grasso si stratificano
superiormente e possono essere asportate tramite stramazzo in apposita canaletta di raccolta.
Come per le vasche a flusso orizzontale, anche in questo caso si utilizzano dei dispositivi di
rimozione del fango dal fondo vasca. Uno dei dispositivi più usato è una lama raschiante collegata
ad un ponte girevole che congiunge il bordo vasca con il centro. La lama gira ad una velocità
molto lenta (1 – 1,5 m/min) per evitare il risollevamento dei fanghi dal fondo e li convoglia verso il
centro vasca dove è presente un canale di raccolta oppure un aspiratore idropneumatico.
Il ponte girevole permette inoltre di poter ispezionare la superficie della vasca e il punto di uscita
fanghi senza dover procedere allo svuotamento.
Tempo di ritenzione: è uno dei parametri fondamentali considerati dai tecnici per il
dimensionamento delle vasche. Esso è pari a:
dove V è il volume in m3 della vasca e Q è la portata.
Questo parametro rappresenta il tempo necessario a svolgere il processo di sedimentazione.
QV
Rt =
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45
Dati dimensionali delle vasche di sedimentazione:
Il dimensionamento delle vasche di cui abbiamo parlato non può prescindere dal tenere in
considerazione l’entità delle numerose variabili di progetto, alcune delle quali abbiamo descritto in
precedenza: portata, carico idraulico, temperatura, caratteristiche del liquame, …
Ogni impianto quindi ha dimensioni proprie, valutate tramite formule matematiche ma soprattutto
anche grazie all’esperienza maturata dalla costruzione di altri impianti e grazie alla
modellizzazione di laboratorio. Tutto ciò riguarda la progettazione vera e propria degli impianti di
trattamento, argomento tecnico tipico dei corsi di ingegneria che esula pertanto dagli obiettivi di
questo corso.
Al solo scopo di avere un’idea delle dimensioni degli impianti di cui abbiamo parlato, si riportano i
seguenti dati:
Vasche a flusso orizzontale:
La lunghezza può in alcuni impianti giungere a 90 m, ma in genere non si superano i 30 m per
evitare un’azione dannosa del vento sui fanghi depositati.
Secondo autorevoli studiosi il rapporto lunghezza larghezza dei canali dovrebbe essere compreso
tra 3 e 5 e il rapporto lunghezza profondità tra 7 e 20.
La pendenza del fondo deve essere dell’1 per cento al fine di garantire la giusta velocità di
passaggio dei liquami e la velocità dei raschiatori inferiore a 0,3 m al minuto per evitare il
risollevarsi dei fanghi.
Vasche a flusso radiale:
Il diametro può raggiungere in casi eccezionali i 60 m, ma anche in questo caso per le stesse
considerazioni espresse sopra in genere non si superano i 30 m.
Il rapporto diametro profondità è in genere 5 – 12.
La pendenza del fondo è in genere dell’8% circa, non è consigliabile superare il limite del 10% per
evitare problemi di ispezionabilità delle vasche dopo lo svuotamento.
La velocità periferica dei raschiatori non supera in genere 1,5 m/min.
TRATTAMENTI BIOLOGICI
Alla fine dei primi trattamenti di natura meccanica, l’acqua esce chiarificata grazie
all’eliminazione delle sostanze sospese sedimentabili, degli olii e dei grassi.
Salvo rarissime eccezioni il trattamento meccanico non è sufficiente a poter consentire di riversare
le acque all’interno di un corpo idrico naturale, e quindi l’acqua deve essere sottoposta a
trattamento biologico.
Lo scopo principale di questo trattamento è quello di ridurre il BOD (a fine trattamento deve essere
ridotto del 75- 90%) in modo che l’acqua non crei danni biologici al corpo idrico ricettore.
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Questo tipo di trattamento non fa altro che effettuare artificialmente e quindi in un tempo
ragionevolmente breve quanto avviene in natura ad opera dei microrganismi aerobi i quali in
presenza di ossigeno scindono le sostanze organiche dei liquami in prodotti via via più semplici
(CO2, H2O, nitrati, solfati…) secondo le reazioni viste in precedenza.
Principali parametri influenzanti il trattamento biologico.
temperatura: i microrganismi secernono enzimi che fungono da catalizzatori del processo e che
esplicano la loro azione in un ben determinato campo di temperatura (40-60°C)
PH : anch’esso deve essere ben definito, per questi processi compreso tra 6 e 8. Devono essere
trattate le acque fortemente acide o basiche.
Superficie di contatto (granulometria del materiale di supporto alla proliferazione e vita dei
microrganismi atti alla filtrazione biologica) in genere 3 – 10 cm come dimensione dei grani e
il 50% di vuoti sul totale.
Quantità di sostanze nutritizie necessarie al metabolismo (spessore del letto filtrante: 2-3 m)e
opportuna regolazione degli ugelli
Rapporto tra azoto e fosforo: elementi particolarmente importanti per il processo in quanto, se
in abbondanza, creano proliferazione di alghe indesiderate. Rapporto consigliato 5:1
Carico dell’impianto: sono dannosi sia carichi elevati di inquinante che troppo contenuti. Valori
ottimali di BOD sono da 250 e 500 ppm
Sostanze tossiche: esse inibiscono fortemente i processi biologici, le reazioni batteriche
ossidative e di nitrificazione sono rallentate o addirittura bloccate dalla presenza di qualche
ppm di cromo, nickel, zinco, rame, cadmio…
Contenuto salino: si consiglia di non superare i 10 g/l (valore consigliato 5 g/l) per non
pregiudicare la vita dei microrganismi
Contenuto di ossigeno disciolto: al fine di evitare l’instaurarsi di processi anaerobi, il
contenuto di ossigeno presente nel liquame non deve mai scendere al disotto di 0,5 – 1 mg/l
Filtrazione biologica
I filtri biologici sono costituiti da materiale granulato con funzione di supporto (coke, scoria d’alto
forno, ciottoli, materiale plastico) di dimensioni in genere di qualche centimetro sul quale viene
depositata sottoforma di film gelatinoso una colonia batterica aerobia (batteri, funghi, protozoi…)
L’acqua filtra dall’alto in basso attraverso gli inerti grazie all’azione della gravità.
L’aerazione necessaria a garantire la sopravvivenza dei microrganismi è ottenuta per insufflazione
dell’aria attraverso il fondo bucherellato del filtro, oppure tramite nebulizzazione del liquame
dall’alto.
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Il tempo di ritenzione di tali bacini di norma deve essere almeno di 4 ore.
Questi filtri, per poter funzionare a regime, hanno bisogno di un periodo di tempo preparatorio
(variabile a seconda della temperatura esterna) che va da qualche settimana a qualche mese.
In questo periodo il materiale biologico, inizialmente presente in piccole quantità sulla superficie
degli inerti, si moltiplica e raggiunge un equilibrio tra le varie forme viventi in modo tale da poter
esplicare la sua funzione in modo ottimale.
Questo tempo iniziale può tuttavia essere notevolmente ridotto introducendo nel filtro adatte
quantità di microrganismi liofilizzati.
Notevole importanza ha il tempo di contatto liquame - film di batteri deposto sui supporti:
aumentando l’altezza del letto filtrante si ha una maggiore sicurezza dell’effetto delle
trasformazioni. Subentra però (dopo altezze di circa 3 metri) il meccanismo della mancanza di
ossigeno (letto troppo profondo) per cui i microrganismi aerobi tendono a morire.
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Se il letto filtrante ha un altezza troppo elevata, (>3m) lo strato sottostante del bacino non riesce
ad ossigenarsi a sufficienza, questo può causare l’originarsi di trasformazioni ad opera di
microrganismi di tipo anaerobio.
Il tempo di ritenzione per questo tipo di filtri viene valutato tramite la seguente formula:
dove:
C: coefficiente che tiene conto sia della crescita del film biologico che della struttura del mezzo
Filtrante
ν: viscosità del fluido
g: accelerazione dei gravità
D: altezza del filtro
A/V: superficie specifica del mezzo filtrante
Q: carico idraulico
Fanghi attivi
La differenza con il trattamento tramite filtro percolatore è che in questo caso i microrganismi si
trovano direttamente all’interno del liquame, essi inoltre subiscono un ricircolo continuo e quindi
non devono essere rimpiazzati come nel processo precedente.
I microrganismi vengono disposti in sospensione direttamente all’interno dell’acqua in un’apposita
vasca areata in modo da favorire le reazioni di metabolismo dei batteri.
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I microrganismi decompongono le sostanze organiche trasformandole principalmente in CO2, H2O,
nitriti e nitrati ed energia utilizzata per la sopravvivenza e la riproduzione (vedi schema pagine
precedenti)
Nelle vasche di aerazione si concentra la fase più importante di questo tipo di processo a fanghi
attivi. Le vasche devono infatti garantire una perfetta ossigenazione in tutti i punti, ciò al fine di
evitare la morte dei microrganismi aerobi responsabili del processo di trasformazione della
sostanza organica. Bisogna infatti ricordare che in queste vasche la forza del liquame è molto alta,
i microrganismi inoltre agiscono in fase di crescita illimitata, consumano pertanto molto ossigeno
che se non fosse apportato di continuo, provocherebbe la morte di questi ultimi con l’istaurarsi di
processi anaerobi degenerativi.
VASCHE DI AERAZIONE
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Il grafico seguente riporta l’andamento relativo all’abbattimento del BOD5 e quello di crescita dei
microrganismi in funzione del tempo di permanenza del liquame nella vasca di aerazione.
Il ciclo vitale degli organismi in vasca di ossidazione può essere suddiviso in quattro fasi
raffigurate nel grafico sopra:
I. Fase stazionaria (o di latenza) e di avviamento: i microrganismi incominciano ad
utilizzare il substrato (sostanza organica), secernendo enzimi, e iniziano a
riprodursi.
II. Fase di crescita illimitata (o logaritmica): la velocità di sintesi delle molecole
batteriche è al massimo livello ed è proporzionale alla densità di popolazione.
Co
nce
ntr
azio
ne
(mg
/l)
Fabbisogno O2
BOD
Crescita
microrganismi
Tempo
I
II
III
IV
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III. Fase di crescita limitata: inizia a scarseggiare il substrato organico che diventa
limitante per la vita dei batteri. Quindi la velocità di crescita batterica è funzione
della quantità di substrato ancora presente. Inoltre una certe frazione di cellule ini-
zia a morire.
IV. Fase endogena: prosegue la diminuzione della velocità di sintesi e si raggiunge un
valore di soglia per cui essa eguaglia e poi diventa minore della velocità di
degradazione endogena dei batteri stessi. Se tale fase si prolunga, essa conduce alla
morte totale dei microrganismi.
La condizione normale di funzionamento di un impianto a fanghi attivi è quella di crescita illimitata
dei microrganismi.
Le alte concentrazioni microbiche presenti nelle vasche di aerazione che consentono di abbreviare
i tempi di digestione aerobica, sono rese possibili dal continuo ricircolo del fango proveniente
dalla sedimentazione secondaria. In questo modo è possibile operare sempre in condizioni di
crescita illimitata dei microrganismi, senza quindi impiegare tempo nella fase di attivazione.
Le sostanze organiche ed inorganiche contenute nei liquami in arrivo determinano una crescita
della massa di microrganismi e delle sostanze inerti presenti, la concentrazione del fango va quindi
gradualmente aumentando, per questo motivo è necessario procedere all’allontanamento periodico
di una certa quantità di fango, detta fango di supero.
In genere nei comuni impianti di trattamento di acque reflue il BOD5 viene ridotto fino a circa 10
– 15 mg/l
Nelle vasche di chiarificazione (o decantazione) avvengono dei processi di assorbimento e
bioflocculazione per cui anche parte delle sostanze colloidali e sospese del liquame, unitamente
alla biomassa formatasi, determinano la formazione di fiocchi e la separazione dalla fase liquida
del materiale non solubile.
Si ha in tal modo la formazione di fanghi di composizione chimica variabile e complessa.
L’acqua “pulita” viene eliminata tramite stramazzo in appositi canali, mentre i fanghi, decantati
sul fondo, vengono rinviati nelle vasche areate di primo trattamento.
I fanghi in eccesso destinati allo smaltimento, devono essere preventivamente trattati tramite
processi di stabilizzazione ed essiccamento.
Il metodo a fanghi attivi è in genere più veloce ed efficace rispetto al filtro percolatore, con
riduzione dei tempi da 4-8 ore a 1-3 ore.
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Nitrificazione e denitrificazione
L’azoto ammoniacale è una sostanza particolarmente inquinante che si forma in acque reflue dove
la presenza di ossigeno disciolto (DO) è molto scarsa, ciò a causa del fatto che nelle condotte
fognarie l’acqua rimane per parecchio tempo senza ossigenarsi adeguatamente.
I composti azotati, insieme a quelli del fosforo, qualora immessi in notevole quantità nel corpo
idrico ricettore, possono portare all’instaurarsi di un processo degenerativo molto dannoso che
prende il nome di eutrofizzazione. Questo processo porta ad un notevole prolificare di alghe in
modo disordinato ed eccessivo, queste ultime quando muoiono vanno in putrefazione depauperando
notevolmente le acque del loro contenuto di ossigeno. L’effetto dei composti dell’azoto e del fosforo
è quindi, per quanto indiretto, indubbiamente assai insidioso, al pari degli effetti legati
direttamente all’eccesso di sostanza organica.
E’ da considerare inoltre che l’azoto ammoniacale (NH4+) che costituisce la forma azotata presente
nelle acque reflue, si trasforma in ammoniaca (NH3) semplicemente a seguito dell’aumento del pH:
NH4+ + OH- →NH3↑ + H2O
Ciò può risultare molto dannoso per la vita di molte specie ittiche per le quali l’ammoniaca è da
considerarsi letale già per concentrazione di 0,01 mg/l.
Obiettivo della nitrificazione è quindi la trasformazione per ossidazione biologica delle forme
ammoniacali dell’azoto presenti nei liquami in forma di nitriti e poi nitrati.
Il processo di nitrificazione avviene all’interno delle vasche di aerazione a fanghi attivi, o nei filtri
percolatori, per opera di opportuni microrganismi, “Nitrosomonas” e “Nitrobacter”.
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Nello schema sottostante sono riportate le trasformazioni che subisce l’azoto da quando viene
introdotto all’interno del condotto fognario a quando ne esce:
azoto organico
(introdotto nel condotto fognario)
↓
NH4+ (azoto ammoniacale)
NH3 (ammoniaca)
(trasformazione che avviene lungo il percorso all’interno della rete fognaria a seguito della
scarsità di ossigeno presente)
↓
NO2-(nitrito)
(trasformazione che avviene all’interno delle vasche di aerazione a fanghi attivi/ filtri percolatori
da parte dei microrganismi del tipo Nitrosomonas)
↓
NO3- (nitrato)
(trasformazione che avviene all’interno delle vasche di aerazione a fanghi attivi/ filtri percolatori
da parte dei microrganismi del tipo Nitrobacter)
↓
N2
(trasformazione che avviene qualora sia necessaria la completa rimozione dell’azoto, es.
immissione in acque particolarmente stagnanti si procede alla trasformazione in azoto
molecolare . La reazione prende nome di denitrificazione)
Nitrificazione (processo aerobo)
I batteri del tipo“Nitrosomonas” e “Nitrobacter” traggono l’energia necessaria alle loro funzioni
vitali dall’ossidazione dell’ammoniaca (in realtà ione ammonio) secondo le reazioni:
2NH4+ + 3O2 → 2NO2
- +2H2O + 4H+ + 272 KJ
2NO2- + O2 → 2NO3
- + 78 KJ
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la figura sottostante riporta l’andamento delle trasformazioni dell’azoto da ione ammonio a nitrato
in un filtro percolatore (filtrazione biologica) in funzione dell’altezza del filtro stesso.
Denitrificazione (processo anaerobo)
La denitrificazione è un processo a se stante che viene talvolta effettuato qualora si vuole
trasformare in azoto gassoso N2 il nitrato NO3- proveniente dalle reazioni di nitrificazione attuate
nelle vasche a fanghi attivi ad opera dei microrganismi aerobi.
Questo processo viene attuato in apposite vasche nelle quali la presenza di ossigeno è molto
scarsa, ad opera di particolari microrganismi anaerobi del tipo “Pseudomonas”.
Le reazioni avvengono in presenza di sostanza organica aggiunta (in genere metanolo CH3OH)
6NO3- + 5 CH3OH → 3N2 ↑+ 5CO2↑ + 7 H2O + 6OH-
Defosfatazione
I folfati (PO4 n-) presenti nel liquame possono essere rimossi sia biologicamente che chimicamente.
Rimozione biologica:
Si sfrutta la naturale tendenza dei microrganismi di ritorno dal chiarificatore finale del processo a
fanghi attivi di assimilare il fosforo quando vengono a contatto con nuove acque reflue.
Se gli organismi ricchi di fosforo vengono velocemente rimossi, essi portano con se l’eccesso di
fosforo con i fanghi attivi.
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Defosfatazione chimica:
Si utilizza la calce Ca(OH)2 e l’allume Al2(SO4)3
In condizioni alcaline lo ione fosfato (PO4- --) si combina con lo ione calcio (Ca++) formano un
precipitato [è un solfato di calcio idrato che prende nome di idrossiapatite di calcio
Ca10(PO4)6(OH)2] bianco e insolubile che precipita sul fondo della vasca e può quindi essere
rimosso.
Contemporaneamente lo ione alluminio (Al3+) combinandosi con lo ione fosforico (PO4 3-) da luogo
al fosfato di alluminio anch’esso poco solubile che precipita secondo la reazione:
Al3+ + PO4 3- → AlPO4 ↓
SMALTIMENTO DEI FANGHI
Come si è accennato in precedenza i fanghi in eccesso, prodotti nelle vasche di sedimentazione
secondaria, non possono essere smaltiti riversandoli direttamente all’interno del corso d’acqua
ricettore, specialmente qualora si tratti di acque lacustri. Essi infatti a causa della loro elevata
domanda di ossigeno provocherebbero seri danni al corpo idrico ricettore provocando sia la
diminuzione dell’ossigeno disciolto, con le ben note conseguenze negative sulla vita degli animali e
delle piante, sia l’aumento di torbidità con un’eccessiva deposizione di fango sul fondo.
Per questi motivi, i fanghi devono essere preventivamente trattati.
I fanghi provenienti dai trattamenti primari (meccanici) hanno un colore grigio scuro, contengono
elevate quantità di sostanze grasse, hanno odore estremamente sgradevole e sono facilmente
sedimentabili;
I fanghi attivi hanno un colore bruno ed un odore gradevole di terreno agricolo arato da poco, la
loro disidratabilità e la loro sedimentabilità sono alquanto scarse; essi costituiscono un’ottima
fonte di vitamine del tipo B1, B2, B6, B12.
Le fasi che si possono compiere sui fanghi per renderli stabili ed idonei ad essere smaltiti, si
dividono in quattro principali attività:
1) Pre-trattamento: ispessimento/concentrazione
2) Trattamento: stabilizzazione
3) Essiccazione
4) Smaltimento
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ISPESSIMENTO O CONCENTRAZIONE
Poiché il fango in uscita dai bacini di sedimentazione contiene soltanto circa il 3-4% di sostanze
solide, è necessario prima di ogni cosa eliminare il più possibile l’acqua in esso contenuta.
In prima fase i fanghi in uscita dai bacini di sedimentazione primaria vengono miscelati a quelli
provenienti dal trattamento biologico al fine di migliorare la sedimentabilità di questi ultimi.
Successivamente il fango viene convogliato in apposite apparecchiature chiamate ispessitori. Essi
non sono altro che ulteriori bacini di sedimentazione molto simili ai bacini di sedimentazione a
flusso radiale, dotati però di particolari raschiatori provvisti di pale a sezione triangolare. Le pale
penetrano di taglio all’interno della massa fangosa, in tal modo rompono le bolle d’acqua e di gas
in essa presenti, consentendo così all’acqua e ai gas di portarsi in superficie. Con questo
procedimento è possibile portare la concentrazione del fango a circa il 7-8% di sostanza solida.
L’acqua in uscita da queste vasche contiene un elevato valore di BOD e per questo motivo viene
rinviata all’ingresso del bacino di sedimentazione primaria.
Importante in questa fase è evitare che nel bacino ispessitore si instaurino processi putrefattivi; a
tal riguardo, se la fase di ispessimento dovesse risultare eccessivamente lunga, si provvede ad una
preventiva clorazione in modo tale da eliminare la carica batterica presente.
Il processo di ispessimento del fango consente oltre ad ottenere una sostanza più facilmente
trattabile nelle fasi successive, una considerevole riduzione del volume finale. Come si può vedere
nella figura 9-5, un aumento di concentrazione della sostanza solida che passa dall’1% al 5%
Consente una riduzione del volume di fango complessivo pari all’80%
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STABILIZZAZIONE: DIGESTIONE ANAEROBIA
Il trattamento vero e proprio ha lo scopo di rendere il fango inoffensivo ed anche di migliorare le
caratteristiche di disidratabilità.
Uno dei principali trattamenti impiegati è la digestione anaerobia attuata mediante opportuni
“digestori”
Caratteristiche del trattamento:
1) riduzione del BOD;
2) modifica della struttura del fango in modo da renderlo disidratabile;
3) riduzione del volume complessivo finale a causa della trasformazione da parte dei
microrganismi di parte della sostanza solida in gas;
4) il gas prodotto in questa fase (essenzialmente metano 65-75%) ha un elevato potere
calorifico, per questo motivo nei grossi impianti può essere riutilizzato;
5) la produzione di acido solfidrico (SH2) dovuta al catabolismo proteico contribuisce
all’eliminazione degli ioni metallici;
6) la temperatura [range 35 –65 °C] che nei grandi impianti, per accelerare le reazioni
biochimiche, arriva a 65°C fornisce un contributo nella diminuzione del numero di
microrganismi patogeni;
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Digestori:
Sono gli impianti più utilizzati per la digestione anaerobia necessaria al trattamento dei fanghi.
La maggior parte degli impianti è costituita da due stadi: un digestore primario e uno secondario.
Il digestore primario è costituito da un serbatoio chiuso, generalmente in calcestruzzo, riscaldato,
dotato di sistemi di miscelazione del fango (per esempio per gorgogliamento di gas metano) che
favoriscono le reazioni anaerobiche. Il riscaldamento è ottenuto generalmente mediante il riutilizzo
del gas metano prodotto dalle reazioni biochimiche ovvero bruciandolo in prossimità di uno
scambiatore di calore posto all’esterno del digestore.
Il digestore secondario in genere non è riscaldato e neppure miscelato, qui si completa il processo
recuperando il gas prodotto tramite un dispositivo a coperchio galleggiante (gasometro) e
avviando il fango alla separazione della parte liquida da quella solida. Negli impianti più evoluti il
gas prodotto è utilizzato per produrre energia necessaria al funzionamento di tutto l’impianto di
trattamento acque reflue.
Questo tipo di trattamento consente anche di abbattere molti degli agenti patogeni presenti nel
fango, a tal proposito la temperatura del digestore può essere aumentata dall’aggiunta di CaO che
realizza una reazione esotermica. Questo trattamento non consente tuttavia di raggiungere la
completa sterilizzazione del fango, molti organismi come per esempio la Salmonella Typhosa, o il
virus della poliomielite riescono a sopravvivere all’aumento della temperatura ottenuta in questi
impianti e per questo motivo una completa sterilizzazione è ottenuta soltanto con i trattamenti di
tipo terziario (trattamenti chimici).
I dati sperimentali dimostrano che le acque reflue contengono circa 120 g di sostanze solide al
giorno procapite, questo dato può essere utilizzato per calcolare la portata giornaliera di sostanze
solide che deve essere trattata dall’impianto di depurazione una volta nota la popolazione
equivalente del bacino di utenza. Al valore calcolato deve essere aggiunto il quantitativo di solidi
prodotti nel sistema di depurazione secondario. Il risultato di queste considerazioni ha portato a
considerare un volume del digestore di circa 45 – 50 litri per abitante.
Il tempo di ritenzione per questi impianti è di circa 10 – 20 giorni.
N.B. la stabilizzazione del fango di supero può avvenire anche in condizioni aerobiche. Il processo
è identico a quello descritto per i fanghi attivi, tant’è che avviene in vasche di aerazione identiche a
quelle già viste (con dimensioni più piccole). La differenza è che in questo caso l’apporto di nuova
sostanza organica è molto limitato (nullo se si lavora in ciclo discontinuo) e quindi i microrganismi
responsabili del processo “lavorano” fino ad esaurimento di tutte le sostanze nutritive presenti nel
fango stesso. In questo modo si evitano i problemi di putrescibilità del fango che in mancanza di
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ossigeno entrerebbe in fermentazione settica sviluppando odori molesti e causando difficoltà di
smaltimento.
DIGESTORI
Nelle figure seguenti è rappresentato lo schema di funzionamento di un digestore a doppio stadio
ESSICCAZIONE
A completamento del trattamento vero e proprio descritto prima, prima dello smaltimento finale, è
necessario ridurre ulteriormente il quantitativo di acqua presente nel fango stabilizzato.
Vengono di seguito analizzati due metodi:
1) spandimento su letti
2) filtro – pressatura
Spandimento su letti:
Consiste semplicemente nello spandimento dei fanghi su appositi letti provvisti di sistema di
drenaggio dell’acqua assicurato tramite scanalature praticate sul pavimento del letto. Il letto è
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costituito da uno strato ghiaia coperto da uno strato di alto circa 20-25 cm di sabbia; il fango
viene distribuito sopra il letto in uno spessore di circa 20 – 30 cm e ivi lasciato finché non sia
possibile asportarlo meccanicamente con pale caricatrici. Ciò accade quando il contenuto di
sostanza secca presente è salito a circa il 25%, in genere dopo 2 – 3 mesi.
L’evaporazione contribuisce sensibilmente al processo di disidratazione del fango, con essa si
perde circa il 25% dell’acqua, mentre il resto è smaltito tramite drenaggio, il quale a sua volta
dipende sia dalle caratteristiche del mezzo drenante (sabbia) sia dalla drenabilità del fango, ovvero
dalla capacità di quest’ultimo di perdere acqua.
Secondo studi empirici si può stimare la superficie minima dei letti di essiccazione di circa 0,3 –
0,5 m2 per abitante (una città di 100.000 abitanti ha quindi bisogno di un letto di essiccazione che
va dai 3 ai 5 ettari di terreno).
Il maggior inconveniente di questo trattamento è costituito dal fatto che l’acqua meteorica
restituisce al fango buona parte dell’acqua perduta durante l’essiccazione, per ovviare a ciò si
potrebbero coprire i letti, questa operazione però è eccessivamente costosa e inoltre le coperture di
inverno impediscono al fango di gelare (il fango dopo il disgelo è drenato più rapidamente).
Il liquido drenato viene reimmesso a monte del bacino di sedimentazione primaria.
Filtro – pressatura
Il metodo di spandimento dei fanghi è sempre più sostituito dal metodo meccanico della filtro –
pressatura. Si utilizzano macchinari in grado di “strizzare” il fango permettendone la fuoriuscita
dell’acqua in tempi relativamente brevi (4 – 12 ore) e in spazi sensibilmente ridotti.
Le piastre della pressa si stringono comprimendo il fango preventivamente introdotto all’interno
del tessuto filtrante. L’operazione di filtraggio è interrotta a intervalli regolari per permettere la
pulizia del filtro.
Con questi macchinari si può raggiungere un contenuto di sostanza secca all’interno del fango che
può arrivare al 45%. Anche in questo caso il liquido estratto dal fango viene riportato a monte
dell’impianto di trattamento
Esistono anche altri mezzi meccanici di filtrazione: filtri a nastro, filtrazione centrifuga, filtrazione sotto vuoto…
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SMALTIMENTO FANGHI
Costituisce l’ultimo stadio del trattamento dei fanghi, ma non per questo meno importante; quando
si procede alla localizzazione dell’impianto di trattamento dei liquami occorre infatti studiare
prima di tutto le possibilità di smaltimento dei fanghi. A tal proposito si ricorda che un trasporto
fanghi tramite auto cisterne è economicamente sostenibile qualora esso si attua antro una distanza
di massimo 15 km.
In genere lo smaltimento avviene secondo uno dei seguenti metodi:
1) Smaltimento tal quale:
a) smaltimento entro il terreno: effettuato introducendo i fanghi in apposite
cavità praticate nel suolo, ricoprendoli successivamente con uno stato di
terra. Questo metodo non è da preferire in quanto rappresenta un insidia
per le falde acquifere le quali possono andare in contro ad episodi di
contaminazione anche dopo molto tempo dalla deposizione dei fanghi.
b) smaltimento sul terreno: il metodo è adottato in considerazione del fatto
che i fanghi hanno un, seppur modesto, potere fertilizzante. Lo
svantaggio è costituito dalla natura igienica non ottimale del prodotto.
c) smaltimento in mare: è effettuato da città dislocate lungo o in prossimità
delle coste. Da qui partono di tanto in tanto delle navi cisterna che
portano i liquami al largo. Molto spesso si realizzano dei veri e propri
condotti sotterranei (es Los Angeles)
2) Incenerimento
3) Biostabilizzazione - compostaggio
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TRATTAMENTI CHIMICI E CHIMICO-FISICI (terziari)
Qualora l’acqua debba essere smaltita in litorali marini, laghi o acque stagnanti o addirittura
recuperata per un successivo trattamento di potabilizzazione, non sono sufficienti i trattamenti
finora visti.
E’ necessario distruggere la carica batterica residua ed eliminare le sostanze che impartiscono
all’acqua odore e sapore sgradevole.
Si prendono in seguito in considerazione alcuni trattamenti chimico fisici anche detti “terziari”,
alcuni dei quali sono per altro tipici delle acque destinate alla potabilizzazione:
Coagulazione/flocculazione (in genere con cloruro ferrico)
Filtrazione su letto di sabbia
Demineralizzazione
Degasaggio
Disinfezione (clorazione e raggi UV)
Coagulazione e flocculazione
Qualora sia necessaria una chiarificazione più spinta dell’acqua, specialmente se si vuole
procedere ad una successiva sterilizzazione con lampade a vapori di mercurio si può procedere con
il trattamento di coagulazione e successiva flocculazione.
Le particelle più piccole (particelle colloidali) sfuggono al trattamento per decantazione
spontanea, ciò è dovuto oltre che alle piccole dimensioni, al fatto che in esse sono presenti cariche
elettriche negative che rendono impossibile l’aggregarsi in particelle più grandi.
Metodo : si aggiunge all’acqua un elettrolita che neutralizza le cariche delle particelle colloidali
(coagulazione) e nello stesso tempo da origine a sostanze insolubili di natura fioccosa
(flocculazione).
Più usato: solfato di alluminio: Al2(SO4)3
Esso si dissocia fornendo ioni Al+++ che reagiscono con le cariche negative delle particelle
colloidali.
Esse poi vengono trascinate verso il basso dall’idrossido di alluminio fioccoso, insolubile che si
forma tramite la reazione tra solfato di alluminio e bicarbonati presenti in soluzione secondo la
reazione:
Al2(SO4)3+3Ca(HCO3)2 → 3CaSO4 + 2Al(OH)3 +6CO2
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Nel caso di acque poco dure (assenza di bicarbonati) si aggiunge oltre al solfato di alluminio un
certo quantitativo di calce spenta:
Reazione:
Al2(SO4)3+3 Ca(OH)2 → 3CaSO4 + 2Al(OH)3
I fiocchi di idrossido di alluminio che precipitano esercitano un azione di adsorbimento anche nei
riguardi degli eventuali batteri presenti nell’acqua, dando inoltre luogo ad una parziale
sterilizzazione.
Nella figura è rappresentato lo schema di una classica vasca di flocculazione e sedimentazione
Filtrazione
Trattamento necessario per la completa chiarificazione delle acque. Consiste nel passaggio
dell’acqua attraverso mezzi porosi (filtri) insolubili ed
inattaccabili dall’acqua stessa in genere costituiti da sabbia
silicea o carbone.
I filtri agiscono secondo 4 differenti meccanismi:
• Setacciatura
• Sedimentazione
• Intercettazione
• Diffusione
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Si descrive nel seguito il funzionamento dei vari meccanismi:
• Setacciatura: avviene nei primi centimetri del mezzo filtrante. Il meccanismo di
funzionamento è molto simile ad un normale setaccio. Il letto di sabbia infatti è costituito da
grani che possono essere schematizzati come un insieme di griglie sovrapposte. Le
particelle più grosse della dimensione interstiziale tra i grani, non riescono a passare e
quindi vengono intrappolate all’interno del letto di sabbia. Nello schema precedente il loro
movimento è rappresentato dalla particella A.
• Sedimentazione: Riguarda quelle particelle che seppur abbiano una dimensione più piccola
rispetto a quella degli spazi interstiziali tra i grani, e quindi potrebbero pasare attraverso il
filtro, per motivi casuali dovuti al loro movimento, vengono ad impattare sul grano stesso
rimanendone attaccate. Si tratta quindi di una vera e propria sedimentazione sul grano.
Nello schema il loro movimento è rappresentato dalla particella B.
• Intercettazione: si verifica per particelle che seguono la linea di corrente, passano
attraverso i primi stradi dei grani, ma avendo dimensioni prossime a quelle degli spazi
interstiziali, urtano con i grani ed esauriscono la loro energia cinetica per attrito. In questo
modo rallentano sempre più fino a fermarsi, in genere negli strati inferiori del letto
filtrante. Nello schema il loro movimento è rappresentato dalla particella C.
• Diffusione: Riguarda le particelle più piccole, di dimensioni anche di qualche ordine di
grandezza inferiori rispetto alle dimensioni dei grani che costituiscono il letto filtrante e dei
relativi spazi interstiziali. Queste particelle a causa delle loro dimensioni molto ridotte, si
muovono disordinatamente con moto Browniano non seguendo la vena fluida. Nel loro
movimento possono collidere con i granelli di sabbia e rimanervi attaccati grazie a deboli
forze di natura elettrostatica. Questo tipo di azione riguarda essenzialmente le particelle di
natura colloidale. Nello schema il moro movimento è rappresentato dalla particella D.
Filtro rapido a sabbia:
I filtri rapidi a sabbia costituiscono uno dei sistemi meccanici di filtraggio industriale di liquidi
maggiormente diffuso, ciò sia per la loro semplicità costruttiva ch e per la rapidità di rigenerazione
del letto filtrante.
I filtri sono costituiti da vasche drenanti sul fondo delle quali è presente un letto (1-1,5 m) costituito
da ghiaia e sabbia grossolana che fa da supporto ad uno strato di sabbia fine (diametro variabile:
0.3 ; 1 mm)
La velocità di filtrazione dell’acqua è dell’ordine di 5-20 m3ora per m2
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Il filtro funziona nel seguente modo: durante il normale funzionamento sono aperte le valvole A e C
e sono chiuse le valvole B e D. L’acqua da filtrare entra attraverso il condotto di alimentazione
passando attraverso la valvola A. All’interno della vasca, immediatamente a valle della valvola di
mandata, si trova un setto (rappresentato in figura con un rettangolo verticale tratteggiato) che
impedisce all’acqua in ingresso di venire direttamente e in modo brusco a contatto con la sabbia,
evitando di perturbare i grani che costituiscono il letto.
L’acqua raggiungerà quindi dolcemente il livello necessario a garantire una pressione idrostatica
necessaria al funzionamento del filtro e fluirà attraverso i grani depurandosi delle sostanze in
sospensione secondo i meccanismi di filtrazione descritti in precedenza.
Arriverà quindi nel fondo della vasca e defluirà attraverso la valvola C.
Poiché a causa del depositarsi dei grani all’interno del letto, il filtro dopo un certo numero di ore
di funzionamento si intasa, è necessario provvedere alla sua rigenerazione (pulizia).
Essa avviene in automatico: si chiudono le valvole A e C e si aprono le valvole B e D le quali
permettono all’acqua di lavaggio (contenuta in un’altra vasca con piezometrica superiore a quella
del livello dell’acqua nella vasca di filtraggio) di entrare dal fondo del filtro. Il flusso in contro
corrente è a gran velocità in modo da provocare la disaggregazione del letto filtrante oltre ad
ottenere un’azione di sfregamento dei grani gli uni contro gli altri. In questo modo il filtro si
pulisce nel giro di qualche minuto. Il lavaggio può avvenire anche con aggiunta di ipoclorito di
sodio che garantisce un’azione disinfettante. E’ necessario in questo caso disporre di un serbatoio
di contatto, nel quale viene inserito l’ipoclorito di sodio ad una percentuale in genere del 15%.
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Al lavaggio vero e proprio ne segue un altro cosiddetto di condizionamento: qui l’acqua scorre ad
una velocità inferiore in modo tale da garantire il riassestamento dei grani.
L’acqua proveniente dal lavaggio viene rimandata in testa all’impianto di trattamento per essere
sottoposta nuovamente al ciclo di depurazione.
In genere lo schema tipico di funzionamento di questi filtri è costituito da almeno due filtri in
parallelo, ciò consente di poter utilizzare l’impianto in continuo senza dover interrompere il flusso
d’acqua, quest’ultimo viene dirottato sul secondo filtro quando il primo è in fase di rigenerazione.
Demineralizzazione
Riguarda la completa eliminazione di tutte le sostanze disciolte nell’acqua.
Si realizza con l’impiego di resine scambiatrici: sostanze di natura organica insolubili in grado di
scambiare atomi in esse contenuti con ioni della soluzione.
Resine scambiatrici cationiche:
Reagiscono cedendo alla soluzione ioni H+ e asportando cationi metallici (Na+ , Ca++ ,
Mg++….)
Resine scambiatrici anioniche:
Reagiscono cedendo alla soluzione ioni OH– e asportando gli anioni (Cl– , SO4– –…)
Le resine scambiatrici si dividono ulteriormente in forti e deboli:
Resine deboli: esercitano la loro azione solo in ambiente neutro o basico
Resine forti: esercitano la loro azione anche in ambiente acido
(esempio di resina cationica forte)
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L’idrogeno dei gruppi solfonici è unito al resto della molecola con legame di tipo ionico e può
quindi staccarsi dal polimero attraverso una reazione di doppio scambio per essere sostituito da
cationi metallici.
Ogni catione sostituirà un gruppo di ioni H+ pari alla sua valenza.
Resina anionica forte
il gruppo OH– è unito al resto della molecola da un legame di natura ionica in grado di sostituire
anioni di qualunque tipo.
Elettrodialisi
Altro metodo efficace per ridurre la carica salina di un’acqua.
Si utilizza una cella di elettrodialisi divisa in numerosi scomparti da una serie di setti, costituiti
alternativamente da lamine di resine scambiatrici di tipo cationico e di tipo anionico.
I setti del primo tipo sono permeabili ai cationi ma non agli anioni, viceversa per i setti del secondo
tipo.
Nella scomparto B la soluzione tende ad impoverirsi mentre il contrario avviene nello
scomparto D. Ciò si ripete alternativamente in tutti gli altri setti.
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Degasaggio
Consiste nell’eliminazione dall’acqua da trattare dei gas in essa disciolti.
Si ottiene per:
Aerazione
il metodo consiste nel far piovere dall’alto di un silos acqua polverizzata e insufflando dal
basso una corrente d’aria.
La polverizzazione aumenta la superficie di contatto con la fase gassosa e di conseguenza i
gas vengono eliminati aumentando la velocità del processo.
Degasaggio per via termica:
sfrutta il principio secondo il quale la solubilità dei gas nei liquidi diminuisce all’aumentare
della temperatura.
Si utilizzano torri di materiale ceramico all’interno delle quali si introduce l’acqua da
trattare che viene portata ad una temperatura prossima all’ebollizione mediante circolazione
in controcorrente di vapore acqueo surriscaldato.
Disinfezione
Metodo che viene utilizzato per l’eliminazione di microrganismi, alcuni di questi patogeni, presenti
in acqua. Si utilizza cloro stoccato in appositi serbatoi che viene addizionato all’acqua in adatte
proporzioni.
L’azione del cloro sui microrganismi patogeni è di tipo ossidante.
Il cloro gassoso aggiunto all’acqua si idrolizza formando acido ipocloroso e acido cloridrico
secondo la reazione:
Cl2 + H2O ↔HOCl + H+ + Cl –
L’acido ipocloroso a sua volta si ionizza:
HOCl↔OCl -+H+
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Sia l’acido ipocloroso che lo ione OCl – agiscono come potenti disinfettanti e costituiscono il così
detto cloro libero disponibile.
Il cloro può però avere effetti secondari negativi in quanto si può combinare con sostanze
organiche presenti in tracce nell’acqua dando origine a composti che possono essere cancerogeni.
Le recenti analisi hanno indicato che l’aggiunta di ammoniaca assieme al cloro riduce gli effetti
negativi di quest’ultimo.
In alternativa si può utilizzare la disinfezione mediante ozonizzazione, facendo gorgogliare tale gas
nell’acqua.
Raggi UV
Tale metodo ha sicuramente un costo iniziale gravoso, ma fornisce risultati qualitativi decisamente
elevati nell’eliminazione della carica batterica di eventuali microrganismi patogeni
Fondamentalmente il concetto è abbastanza semplice: i raggi UV, in dosi massicce, sono letali per
gli organismi, che scompaiono con una percentuale altissima.
In apposite vasche l’acqua viene quindi sottoposta a bombardamento di onde elettromagnetiche
ultraviolette.
Uno dei problemi principali è quello di filtrare l’acqua prima del trattamento, ovvero eliminare i
solidi sospesi, abbassando la torbidità, altrimenti l’intensità dei raggi UV non si propagherebbe
sufficientemente nell’acqua per assicurare un buon rendimento e un’alta percentuale di batteri
patogeni eliminata.
Vengono utilizzate lampade a vapori di Hg, che emettono raggi con lunghezza d’onda circa di
240÷280 nm. Esse sono contenute in contenitori stagni
I raggi UV sono in grado di danneggiare gli acidi nucleici cellulari.
Si tratta quindi di un sistema di sterilizzazione sicuro, che non altera il chimismo dell’acqua, né le
sue proprietà, oltre a non causare liberazione nel ricettore di sottoprodotti indesiderati e nocivi
(clorazione).
La scomparsa batterica, a parità di esposizione, dipende dall’intensità di irraggiamento.
Il tempo di contatto è, di norma, inferiore al minuto, sufficiente per abbattere oltre il 99% degli
agenti patogeni totali.
La lampada germicida è inserita in un tubo di quarzo che a sua volta è montato in una struttura di
acciaio di contenimento. L’acqua da sterilizzare viene immessa nella camera di sterilizzazione
passando all’esterno dei tubi di quarzo.
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PRINCIPALI INQUINANTI ATMOSFERICI
L’aria che respiriamo trascina con se molte sostanze solide e gassose che hanno origine sia da
processi naturali (es. gas prodotti dal metabolismo di piante ed animali, gas prodotti da reazioni
chimiche spontanee, polveri prodotte dal naturale dilavamento dei corpi solidi, da eruzioni
vulcaniche…) sia da processi industriali (es. gas e particolati prodotti dagli autoveicoli, dalle
caldaie per il riscaldamento…). Molte di queste sostanze inglobate dall’aria, a causa della sempre
più crescente concentrazione di industrie e grandi centri abitati in aree del nostro pianeta piuttosto
ristrette, raggiungono oggi concentrazioni troppo elevate per poter essere tollerate dall’uomo
senza rischi per la propria salute. A tal proposito è inoltre da ricordare che le conseguenze
dannose per il nostro organismo dovute all’inalazione di sostanze nocive, si possono manifestare
dopo diversi anni, ciò ha portato ai ben noti problemi legati all’amianto, ed in genere ha consentito
negli anni passati di avere lavoratori in industrie ad altra produzione di sostanze nocive senza
adeguate protezioni. I dispositivi di protezione individuale (DPI), tra l’altro, vengono a volte forniti
al lavoratore come unico rimedio alle alte concentrazioni inquinanti, mentre la corretta prassi
progettuale imporrebbe di risolvere il problema alla fonte, limitando la dispersione nell’aria dei
particolati e dei gas pericolosi per la salute.
Nel seguito si farà un breve cenno ai principali prodotti della combustione dei motori termici per
autoveicoli, ed alcuni accorgimenti adottati per limitare le emissioni inquinanti. Successivamente si
parlerà di particolati aerodispersi e si prenderanno brevemente in considerazione alcune delle più
diffuse tecnologie industriali di abbattimento.
GLI INQUINANTI DELL’ARIA
Principali inquinanti gassosi:
- Ossidi di azoto (NO e NO2)
- Monossido di carbonio CO
- Diossido di zolfo (SO2)
- Idrocarburi COV (CxHy)
- Ozono e ossidanti fotochimici (O3)
Inquinanti non gassosi:
- Polvere: particelle solide di varia natura di diametro compreso tra 1 micron e 10
mm
- Fibre: particelle solide di varia natura che hanno una dimensione dominante
rispetto alle altre
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- Fuliggine: particelle solide formatesi dalla condensazione di vapori per
sublimazione (es. ossidi di piombo e ossidi di zinco) di diametro compreso tra 0,03 e
0,3 µm
- Fumo: particelle solide formatesi per incompleta combustione di materiali
contenenti carbonio (diametro 0,05 –1 µm)
- Nebbia: particelle liquide che si formano per condensazione di vapore (diametro 0,5
– 3 µm)
Nella tabella sono indicate le dimensioni e la relativa classificazione di alcune sostanze aerodisperse
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COMBUSTIONE
La maggior parte degli inquinanti di origine gassosa proviene da reazioni di combustione, in
seguito si riporta la reazione ideale di combustione del metano:
Combustione ideale:
2224 2 COOHOCH +→+
OHn
mCOOn
mHC nm 22224
+→
++
in realtà il processo di combustione, non avviene secondo quanto scritto nella formula ideale, ma
esso genera una serie di altre sostanze, principalmente per i seguenti motivi:
• Il processo è spesso incompleto: ovvero i reagenti non si ossidano in modo ideale a causa
dei rapporti non stechiometrici tra combustibile e comburente e a causa dell’influenza della
temperatura e della pressione, ciò porta alla formazione di CO, idrocarburi
incombusti(COV), particelle carboniose …
• La reazione ideale prende in considerazione soltanto l’ossigeno, mentre nelle combustioni
reali (es. caldaie, motori a combustione, centrali…) la combustione si effettua con aria, essa
comprende un’alta percentuale di azoto che prende parte alla reazione con formazione
principalmente di NO e NO2
• Nel combustibile sono in genere presenti impurità e additivi che portano alla formazione di:
SO2 , SO3 ed altre sostanze…
I principali parametri fisici da tenere in considerazione per ottenere una combustione il più
possibile ideale sono:
• Temperatura
• Pressione
• Tempo di permanenza della miscela nella camera di combustione
• Turbolenza: questo parametro influenza la miscela all’interno della camera di
combustione, generando zone maggiormente ricche di combustibile e zone dove invece
prevale la presenza del comburente; il parametro gioca inoltre un ruolo fondamentale
nella determinazione della temperatura all’interno della camera di combustione.
• Indice di aria (n = Re/Rs) dato dal rapporto tra il rapporto effettivo e quello
stechiometrico espressi in peso, tra l’aria comburente e il combustibile
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A seconda del valore dell’indice di aria si possono avere i seguenti casi:
n >1 : identifica una miscela povera di combustibile e quindi ossidante
n <1 : identifica una miscela ricca di combustibile e quindi riducente
n=1 : identifica una miscela aria combustibile uguale a quella
Monossido di carbonio CO
CO + 1/2O2 ↔ CO2
• Principale prodotto della combustione incompleta, svolge funzione di tracciante
dell’efficienza del processo;
• Si genera per combustioni di miscele ricche di combustibile (basso valore dell’indice d’aria
[n])
• La produzione di CO è proporzionale all’aumento di temperatura;
• Si genera per tempi brevi di permanenza della miscela nella camera di combustione;
• In impianti fissi la produzione di CO ha concentrazioni comprese tra qualche ppm a
qualche decina di ppm;
• Elevati valori di CO sono indice di elevata presenza di COT (fuliggini);
CO CO
t n
effetti dovuti al CO:
• Nessun danno sulle piante, se non a concentrazioni elevatissime
• Tossico sugli animali e sull’uomo per effetto della reazione tra CO ed emoglobina →
formazione di carbossiemoglobina (COHb) al posto di ossiemoglobina (O2Hb).
etricostechi
etricastechi
effettivo
effettiva
s
e
bustibileC
Aria
bustibileC
Aria
R
Rn
om
om
om
om==
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Per concentrazioni di COHb ( normalmente 0,5% ) superiori al 5% si hanno alterazioni
della funzione cardiaca e polmonare per giungere alla perdita di conoscenza (30%) ed alla
morte (50%).
Concentrazioni pericolose nell’ambiente: 40 – 70 ppm
Riduzione del CO di combustione
• Adeguati tempi di svolgimento della reazione di combustione⇒ bisogna aspettare che
l’ossidazione avvenga in modo completo
• Elevato valore dell’indice d’aria (combustioni povere)
• Utilizzo di opportuni catalizzatori (marmitte catalitiche per motori per trazione)
Ossidi di azoto NOx
Si originano a causa della seguente reazione di ossidazione dell’azoto contenuto nell’aria
N2 + O2 ↔ 2NO
Principalmente NO con qualche percento di NO2
La produzione degli ossidi di azoto è generata da tre distinti meccanismi:
• Produzione “ termica” da azoto atmosferico “Thermal NOx”
Alte temperature >1600 °C
Eccesso d’aria
Alto tempo di permanenza delle miscele all’interno camera di combustione
• Produzione da azoto del combustibile “Fuel NOx”
Impurità del combustibile (piridina, piperidina…0.01-1% N2, carbone 0.5-3% di
N2)
Eccesso di aria
Medie temperature (legame C-N più debole del N-N)
• Produzione da “prompt NO”
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Produzione di NO da composti chimici intermedi che si formano durante la
combustione (radicali dell’idrocarburo) che si legano all’azoto atmosferico
ossidandolo
In genere produzione irrilevante per le normali combustioni
Miscele ricche
Effetti dovuti a NOx
• Dannoso per l’uomo e per gli animali (effetto tossico più marcato dovuto agli NO2)
comporta:
Difficoltà respiratorie, irritazioni acute delle mucose degli occhi e del naso
(per concentrazioni di 10-15 ppm)
Alterazioni del tessuto polmonare (per concentrazioni superiori a 50 ppm)
Sgradevolezza olfattiva (per concentrazioni di 1-3 ppm)
• Danni più o meno gravi alla vegetazione
Riduzione degli NOx
La strategia è quella di:
• evitare zone in cui si verificano contestualmente elevati eccessi d’aria ed alte temperature;
• realizzare tecniche di combustione in più stadi “staging”: creazione di zone di post
combustione nelle quali la temperatura è più bassa e la miscela è ricca. Qui l’NO formato
può essere riconvertito in N2;
• abbassare la temperatura tramite il ricircolo parziale dei gas combusti, oppure tramite
immissione di acqua nelle zone di produzione di NO;
• utilizzare opportuni catalizzatori (marmitta catalitica)
questi metodi consentono la riduzione degli NOx fino a valori dell’ordine del 20-50%
singolarmente, ma possono essere utilizzati anche combinati con riduzioni dell’ordine del 70-80%.
Zolfo
Contenuto in varia misura nei combustibili fossili grezzi e nei gas naturali: (FeS2 pirite; H2S acido
solfidrico,…)
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Contenuto principalmente nei gasoli, quasi totalmente assente nelle benzine
La normativa odierna prevede i seguenti contenuti massimi di zolfo:
- massimo 1% nei carboni
- 0.1 – 0.3 % nei gasoli
- 0.2 - 4% negli oli combustibili
Nei gas di scarico si trova in genere zolfo combinato con ossigeno:
anidride solforosa (SO2)
anidride solforica (SO3)
Effetti di SO2
Dannosa per l’uomo in quanto è un inquinante molto solubile
effetti irritanti per lo più al tratto superiore dell’apparato respiratorio
irritante per gli occhi
a lungo andare comporta l’insorgenza di bronchiti croniche
effetti negativi sul sistema nervoso
è tra i principali responsabili assieme agli NOx delle piogge acide
Riduzione di SOx:
utilizzare combustibili a basso contenuto di zolfo (5 ppm)
utilizzo di opportuni catalizzatori
Idrocarburi (CxHy)
• Emissioni di idrocarburi
- componenti idrocarburiche da parziale ossidazione
- composti organici volatili COV (dovuti ad evaporazione diretta in atmosfera del
combustibile)
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- idrocarburi pesanti adsorbiti dal particolato
• Sono sintomo di bassa efficienza di combustione (generazione di incombusti)
• Concentrazioni normali sono dell’ordine di qualche ppm
MARMITTA CATALITICA
Nel seguito si fornirà una breve descrizione di uno dei più comuni dispositivi antinquinamento
utilizzato oramai in quasi tutti i motori a combustione interna per autotrasporto.
La marmitta catalitica è grado di eliminare dai gas di scarico oltre il 90% delle emissioni
inquinanti, principalmente:
- Idrocarburi incombusti (HC)
- Ossidi di carbonio (CO)
- Ossidi di azoto (NOx)
I catalizzatori per le automobili sono costituiti da blocchi di ceramica solcati internamente da
piccoli canali a nido d’ape rivestiti da materiale attivo, palladio e platino per i HC e CO con
azione ossidante e rodio per NOx con reazione riducente.
I catalizzatori hanno la funzione di velocizzare le reazioni chimiche di riduzione degli inquinanti.
Il campo di temperatura necessario per il funzionamento del catalizzatore è dell’ordine di 300-
900°C
Se nei gas di scarico c'è poca disponibilità di ossigeno (carburazione grassa), allora si avrà un
eccesso di produzione di CO e HC che, in presenza del catalizzatore Rh sottraggono l'ossigeno
dagli ossidi di azoto, per produrre anidride carbonica e acqua e liberano azoto N2, secondo la
seguente reazione di riduzione :
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Se, al contrario, è disponibile dell'ossigeno (carburazione magra), l'ossido di carbonio e gli
idrocarburi incombusti lo assorbono formando acqua e anidride carbonica, in una sorta di
reazione di post combustione detta reazione di ossidazione:
Il quantitativo di ossigeno disponibile nei gas di scarico affinché possano avvenire le reazioni di
ossidazione e riduzione dipende dal tipo di carburazione.
Essa è governata da un sistema di iniezione elettronica che è governato a sua volta da un sensore
posto in prossimità della marmitta catalitica: “sonda lambda”
EMISSIONI GASSOSE per tipo di emissione e Km
(ACI aprile '99)
g/Km non catal catal < 80000 Km catal > 80000 Km
CO 10,2 1,16 1,94
HC 2,1 0,18 0,25
NOx 1,9 0,18 0,25
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PARTICOLATI AERODISPERSI SISTEMI DI ABBATTIMENTO
Si prendono nel seguito in considerazione alcuni dei principali metodi di abbattimento dei
particolati aerodispersi utilizzati nelle industrie.
I sistemi di abbattimento si possono classificare nel modo seguente:
Sistemi meccanici
- cicloni,
- camere di sedimentazione,
- separatori ad urto,
- separatori ad acqua,
- filtri a maniche,
Sistemi elettromagnetici
- filtrazione elettrostatica
Sistemi chimici
- Adsorbimento
- Assorbimento
CAMERE DI SEDIMENTAZIONE
Le camere di sedimentazione rappresentano uno dei sistemi più semplici ed allo stesso modo
efficaci per abbattere il particolato che viaggia insieme ad un flusso d’aria. Esse non sono altro
che camere di espansione posizionate lungo il condotto che trasporta l’aria e le particelle solide da
eliminare. Questo tipo di filtro consente di eliminare esclusivamente particelle piuttosto grossolane,
delle dimensioni superiori a 100 micron, ciò a causa del fatto che l’unica forza che agisce non è
altro che quella di gravità. Il principio è quindi analogo a quello visto per la sedimentazione delle
sostanze solide nella depurazione delle acque reflue ed in genere per la sedimentazione spontanea
in mezzo fluido. Anche qui vale la legge di Stockes.
Le particelle solide, essendo più pesanti dell’aria sono soggette ad una maggior forza
gravitazionale, proporzionale al loro peso, i grani quindi percorrono il condotto secondo una
traiettoria parabolica e precipitano verso il basso ad una distanza inversamente proporzionale al
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loro peso. Per questo motivo questo tipo di filtro è in grado di realizzare anche una classificazione
granulometrica.
SEPARATORI AD URTO
Il fluido è convogliato in un percorso tortuoso in modo che le particelle più pesanti che
accompagnano il fluido non riescono a seguire il moto della vena fluida a causa della loro inerzia e
precipitano. Il principio è lo stesso che avviene per i bacini di sedimentazione radiali trattati nella
depurazione delle acque reflue
Vantaggi: Svantaggi
basso costo D>100µm
ingombro ridotto
recupero tal quale
DEPOLVERATORI CENTRIFUGHI (CICLONI):
Questi dispositivi realizzano la separazione delle particelle solide o liquide dal flusso di aria
convogliato all’interno dell’apparecchio mediante l’impiego della forza centrifuga.
Il dispositivo è costituito da due parti saldate insieme: una superiore cilindrica e una inferiore
troncoconica che presenta una piccola apertura in basso.
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82
L’aria entra dalla parte superiore tramite una bocca d’ingresso posizionata tangenzialmente
rispetto all’apparecchio, in questo modo comincia a girare vorticosamente all’interno del cilindro
viaggiando verso il basso in un moto a spirale. La rotazione genera una forza centrifuga sul
materiale solido che viene in questo modo spinto verso il bordo dell’apparecchio. La forza
impressa al materiale è regolata dalla seguente formula:
Fc=m⋅v2/r
Dove:
Fc : è la forza centrifuga m : è la massa della particella solida v : è la velocità tangenziale di rotazione r: è il raggio dell’apparecchio
volendo esprimere la formula mediante la velocità angolare ω(t)=dφ/dt dove φ è l’angolo percorso
all’unità di tempo, poiché v = ω X r (dove per X si intende il prodotto vettoriale quindi prodotto dei
moduli per sinθ) ed essendo θ uguale a 90° si ha che Fc=m⋅ω2·r
Dalla formula appare evidente che tanto più la particella solida ha massa maggiore quanto più
tenderà ad essere spinta verso il bordo dell’apparecchio e quindi a ruotare su orbite esterne.
L’effetto viene aumentato via via che l’aria si spinge verso il basso, in quanto il diametro
dell’apparecchio diminuisce (parte conica); qui le particelle solide entrano in contatto con il bordo
dell’apparecchio subendo una forte decelerazione, in questo modo possono essere convogliate
verso la bocca d’uscita posizionata nella parte inferiore. L’aria invece, essendo notevolmente più
leggera, non fuoriesce dal basso a causa dell’ostruzione dovuta all’accumularsi delle particelle
solide, ma trova una più facile via d’uscita risalendo verso la parte superiore dell’apparecchio.
L’efficienza di separazione aumenta al diminuire del diametro del ciclone. Quando le portate
d’aria sono elevate si ricorre all’utilizzo di più cicloni in parallelo al posto di utilizzare cicloni di
maggiori dimensioni
la giusta scelta del ciclone dipende dalla conoscenza della distribuzione granulometrica delle
particelle e del rendimento di ogni tipo di apparecchio al variare della granulometria.
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I cicloni hanno bassa efficienza per polveri al di sotto dei 10µm, sono pertanto spesso installati
con funzione di pre-trattamento
Dimensioni: raramente il diametro è superiore a 3 metri
Vantaggi:
- Basso costo dell’impianto
- Manutenzione semplificata (mancanza di organi meccanici in movimento
- Recupero tal quale delle polveri
- Impegno di spazio relativamente contenuto
Svantaggi:
- Scarse efficienze per granulometrie fini
- Rischi di erosione, corrosione e intasamento
Filtri VENTURI
Il filtro venturi non è un separatore ma migliora l’efficienza di separazione in quanto umidifica i
grani in modo che essi abbiano maggior peso e possono quindi essere separati con maggior facilità
in un separatore pneumatico posto immediatamente a valle.
Vantaggi:
- basso costo dell’impianto
- manutenzione semplificata
- aumento di efficienza di separazione anche per polveri submicroniche
Svantaggi:
- le polveri non vengono separate tal quale ma conservano un certo quantitativo
d’acqua.
SEPARATORI AD ACQUA
Il sistema ciclone – venturi può essere combinato in un singolo apparecchio che sfrutta sia
l’impatto tra l’inquinante e le goccioline d’acqua sia la forza centrifuga.
Vantaggi:
- Facilità di gestione
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- Basso costo di manutenzione Svantaggi:
- Rischi di erosione, intasamento - Recupero fanghi, non tal quale
MEZZI FILTRANTI (filtri a maniche)
Sono adatti principalmente per la rimozione di materiali particolati secchi.
Realizzano il blocco delle particelle per cattura aerodinamica su tessuti e mezzi porosi
Il sistema è adatto alla rimozione di particelle fini (<5 µm)
I mezzi filtranti industriali hanno un funzionamento che non differisce molto da quello utilizzato
nelle comuni aspirapolveri domestiche. Anche in questo caso si utilizza un filtro attraverso il quale
viene fatta passare l’aria da trattare; il filtro trattiene le sostanze solide (ed anche in alcuni casi
gassose) e permette all’aria di uscire. I filtri sono in genere costituiti da cotone, lana, poliestere,
fibra di vetro, …a seconda delle caratteristiche (principalmente la temperatura) dell’aria da
filtrare oltre che naturalmente a seconda delle altre sostanze trasportate dall’aria utilizzata nel
processo industriale, queste possono aggredire il filtro rendendolo inefficace.
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A tal proposito la tabella seguente fornisce un esempio delle principali tipologie di filtri
comunemente utilizzati.
Vantaggi
- Elevata efficienza di captazione per ogni tipo di granulometria (usualmente >99%)
- Indipendenza dell’efficienza alle variazioni di flusso
- Recupero tal quale del materiale
- Assenza di problemi di corrosione
- Spazi ridotti
- L’impiego di additivi sui filtri consente di impiegare il sistema anche per la
rimozione dei gas
Svantaggi
- Ridotta durata del filtro specialmente alle alte temperature
- Rischio di intasamento per polveri igroscopiche o adesive
- Rischio di incendio ed esplosione (dovuto al trattamento con polveri finissime
esplosive)
SEPARATORI ELETTROSTATICI
La separazione avviene a causa dell’elettrizzazione del particolato ottenuta tramite il passaggio in
un campo elettrico artificialmente creato e quindi per l’effetto corona (processo di ionizzazione del
dielettrico) che viene a determinarsi.
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La superficie di raccolta è l’elettrodo positivo.
Le forze agenti sono:
-Trascinamento da parte dell’aeriforme
-Attrazione elettrica
-Gravità
Caratteristica fondamentale delle particelle: resistività compresa tra 104 e 1010 ohm·cm
Vantaggi
- Elevate efficienze di rimozione (>99%) anche per granulometrie finissime (al
disotto di 0,1 micron)
- Adattabilità al trattamento di portate elevate anche in condizioni di estreme
temperature e pressione
- Recupero del materiale tal quale
- Perdite di carico del fluido molto modeste
Svantaggi
- Alti costi di installazione
- Variazione dell’efficienza a seguito di variazione di portata e di temperatura
- Impiego notevole di spazio (i fumi devono viaggiare a velocità molto basse affinché
possa avvenire la separazione)
SISTEMI AD ADSORBIMENTO
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L’adsorbimento consiste nell’adesione e nel concentramento a ridosso della zona superficiale di un
corpo, di sostanze disciolte o aerodisperse di dimensioni piccolissime, prossime a quelle
molecolari.
Le sostanze adsorbenti sono costituite da materiale estremamente poroso (carboni attivi, zeoliti
sintetiche…) la cui superficie libera può avere dimensioni superiori a 1000 m2 per grammo di
sostanza.
Forze coinvolte:
- Di natura fisica (deboli forze elettrostatiche Van der Waals)
- Di natura chimica (forze di legame)
Il processo si utilizza nei casi:
Inquinante difficilmente combustibile o nel caso in cui si producono inquinanti secondari dalla
combustione
Casi in cui è interessante il recupero della sostanza (deadsorbimento:tramite la circolazione di
aria o gas inerti ad alta temperatura >70°C oppure tramite l’abbassamento della pressione)
Concentrazione del flusso da trattare molto bassa (solitamente inferiore a 100 ppm) e a
temperatura inferiore a 50°C
Importante che vi sia un basso contenuto di umidità e di particolato(ostruisce i pori)
Maggiori campi di applicazione:
industrie di vernici, industrie grafiche, lavanderie a secco, sgrassaggi dell’industria meccanica,
industria della gomma, industria del cuoio, industrie alimentari (cotture, tostature di caffè,
lavorazione di carni e di pesce..) industrie chimiche (petrolchimica, fertilizzanti, farmaceutiche..)
cartiere, concerie, fonderie, impianti di depurazione.
Vantaggi:
- Recupero delle sostanze adsorbite con eliminazione degli scarichi residui
- Efficace anche per concentrazione di inquinante estremamente basse
- Impianti semplici
Svantaggi:
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- Pretrattamento del flusso in ingresso
- Deterioramento del letto adsorbente
- Costo iniziale di una certa entità
SISTEMI AD ASSORBIMENTO
Questo sistema riguarda principalmente la rimozione di gas all’interno dell’aria. Si rimuovono gli
inquinanti presenti nella miscela gassosa tramite la loro dissoluzione in un opportuno solvente
liquido.
Il processo può essere:
fisico → quando il liquido presenta unicamente proprietà solventi nei confronti del
gas
chimico → quando la soluzione contiene sostanze in grado di reagire chimicamente
con il materiale da rimuovere
il liquido in uscita può essere rigenerato previo trattamento depurativo
In genere si utilizza acqua per la rimozione di composti idrofili di natura inorganica (acidi
alogenidrici, ammoniaca)
si utilizzano soluzioni acquose di reagenti acidi (acido nitrico, acido solforico) o alcalini (soda,
ammoniaca, calce, idrossido di magnesio) per la rimozione di componenti poco solubili in acqua
Fattori che influenzano il processo:
- pH: la solubilità dei gas nei liquidi diminuisce al diminuire del pH
- temperatura: la solubilità dei gas nei liquidi diminuisce all’aumentare della temperatura
- pressione: l’aumento di pressione favorisce la solubilità dei gas nei liquidi. In genere però i
sistemi di abbattimento funzionano a pressione ambiente.
- Tempo e superficie d’aria di contatto: variabili necessarie affinché i gas si possano
disperdere nel liquido e da questo venire assorbiti
Vantaggi:
- Vasto campo di applicabilità
- Perdite di carico in genere modeste per i sistemi più comuni
- Elevati rendimenti (gas: 70 – 99%)
Svantaggi:
- Trattamento e smaltimento finale del liquido esausto
- Rischi di corrosioni e incrostazioni
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PRODUZIONE DI RIFIUTI IN ITALIA
La quantità di rifiuto pro-capite prodotta in Italia è passata negli ultimi anni da 0,68 kg /ab/g del
1979 a 1,37 kg/ab/g del 2000, pari ad un incremento medio percentuale di circa il 100% in venti
anni.
Secondo il “rapporto rifiuti ANPA (Associazione Nazionale Protezione Ambientale) 2002” la
produzione annua di rifiuti ammonta a circa 102 milioni di tonnellate, rispettivamente 29 milioni di
tonnellate di RSU, mentre le produzione di rifiuti speciali ammonta a 72,5 milioni di tonnellate
costituiti per il 33% da inerti (costruzioni, demolizioni..); per il 61,5% da rifiuti speciali non
pericolosi; per il 5,2% da rifiuti pericolosi e per lo 0,3% da rifiuti non determinabili.
Previsione 2005: totale di 120 milioni di tonnellate di cui 35 milioni di RSU, il resto rifiuti speciali
Valori più elevati in Toscana, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta
Il trend di crescita nella produzione di rifiuti in Italia è principalmente dovuto a:
⇒ Aumento dei prodotti di consumo (tipologia e quantità)
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⇒ Trasformazione delle modalità di consumo e distribuzione (usa e getta)
⇒ Diminuzione del ciclo di vita dei prodotti (elettrodomestici, telefonia, computer..)
⇒ Impiego massiccio degli imballaggi
PRINCIPALE LEGISLAZIONE IN MERITO ALLA GESTIONE DEI RIFIUTI IN ITALIA
D.Lgs. 5 febbraio 1997 n.22 (Decreto Ronchi)
D.Lgs. 8 novembre 1997 n. 389 (Ronchi bis)
Legge 426/1998 (Ronchi ter)
titolo esatto del decreto: "Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti
pericolosi e 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio".
Il testo di legge è composto da 58 articoli e da 6 allegati.
Oggi il Decreto Ronchi è stato sostituito dal:
- D.Lgs. 3 APRILE 2006 N. 152 NORME IN MATERIA AMBIENTALE
Chiamato anche “Testo Unico Ambientale”, di esso si richiamano le seguenti parti principali:
PARTE SECONDA
procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione d'impatto ambientale
(VIA) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC);
PARTE TERZA
difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque dall'inquinamento e la gestione
delle risorse idriche;
PARTE QUARTA (art. 177 – 266)
gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati;
PARTE QUINTA
tutela dell'aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera;
PARTE SESTA
tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente.
DEFINIZIONE DI RIFIUTO (TESTO UNICO AMBIENTALE)
“Qualsiasi sostanza o oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente Decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi” Gli allegati del testo unico ambientale definiscono le categorie di rifiuti. Esse sono in ogni caso rimaste identiche a quelle già definite dal decreto Rochi: ALLEGATO A - Ronchi(categorie di rifiuti) Q1 Residui di produzione o di consumo in appresso non specificati Q2 Prodotti fuori norma Q3 Prodotti scaduti
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Q4 Sostanze accidentalmente riversate, perdute o aventi subito qualunque altro incidente, compresi tutti i materiali, le attrezzature, ecc. contaminati in seguito all'incidente in questione Q5 Sostanze contaminate o insudiciate in seguito ad attività volontarie (a esempio residui di operazioni di pulizia, materiali da imballaggio, contenitori, ecc.) Q6 Elementi inutilizzabili (a esempio batterie fuori uso, catalizzatori esausti, ecc.) Q7 Sostanze divenute inadatte all'impiego (a esempio acidi contaminati, solventi contaminati, sali da rinverdimento esauriti, ecc.) Q8 Residui di processi industriali (a esempio scorie, residui di distillazione, ecc.) Q9 Residui di procedimenti antinquinamento (a esempio fanghi di lavaggio di gas, polveri di filtri dell'aria, filtri usati, ecc.) Q10 Residui di lavorazione/sagomatura (a esempio trucioli di tornitura o di fresatura, ecc.) Q11 Residui provenienti dall'estrazione e dalla preparazione delle materie prime (a esempio residui provenienti da attività minerarie o petrolifere, ecc.) Q12 Sostanze contaminate (a esempio olio contaminato da PCB, ecc.) Q13 Qualunque materia, sostanza o prodotto la cui utilizzazione è giuridicamente vietata Q14 Prodotti di cui il detentore non si serve più (a esempio articoli messi fra gli scarti dell'agricoltura, dalle famiglie, dagli uffici, dai negozi, dalle officine, ecc.) Q15 Materie, sostanze o prodotti contaminati provenienti da attività di SIO
Q16 Qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate
PRINCIPALI ESCLUSIONI
1) effluenti gassosi immessi in atmosfera di cui (art. 183 comma 1 lettera z)
2) gli scarichi idrici, esclusi i rifiuti liquidi costituiti da acque reflue
3) i rifiuti radioattivi
4) i rifiuti risultanti dalla prospezione, estrazione, trattamento, ammasso di risorse minerali o dallo
sfruttamento delle cave
5) le carogne e …(alcuni) rifiuti agricoli (materiali fecali, materiali litoidi o vegetali…)
6) eccedenze derivanti dalle preparazioni nelle cucine…cibi solidi, cotti e crudi…destinati alle
strutture di ricovero di animali….
7) Materiali esplosivi
8) Materiali vegetali non contaminati da inquinanti…utilizzabili tal quale, in misura superiore a
limiti stabiliti dal Ministero dell’Ambiente
9) Il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo
10) Materiale litoide estratto da corsi d’acqua, bacini…
11) I sistemi d’arma, mezzi materiali e infrastrutture direttamente destinati alla difesa militare ed
alla sicurezza nazionale individuati con apposito decreto del Ministero della Difesa
PRINCIPI FONDAMENTALI
Al di la della classificazione ed identificazione dei rifiuti, il Testo Unico Ambientale, così come
pute il decreto Ronchi Ter, definiscono una serie di principi fondamentali per la corretta gestione
del rifiuto inteso come bene secondario non destinabile in discarica senza previo trattamento.
Tra i principi fondamentali ricordiamo:
RIDUZIONE è necessario ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti prodotti
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PIANIFICAZIONE: i servizi di raccolta e smaltimento devono essere allestiti all’interno di ambiti territoriali ottimali (ATO). Il decreto individua l’ambito provinciale come quello idoneo “fatte salve particolari realtà locali” OBBIETTIVO PRIMARIO: CREAZIONE DI UN SISTEMA INTEGRATO DI SMALTIMENTO CHE ABBIA COME ELEMENTO CARATTERIZZANTE A BREVE-MEDIO TERMINE LA VALORIZZAZIONE DEL RIFIUTO IN QUANTO FONTE DI MATERIA ED ENERGIA E COME OBIETTIVO A LUNGO TERMINE LA RIDUZIONE DELLA PRODUZIONE DI RIFIUTI. “…i rifiuti da avviare allo smaltimento devono essere il più possibile ridotti, potenziando la prevenzione e le attività di riutilizzo, di riciclaggio e di recupero…” “…lo smaltimento dei rifiuti deve essere attuato con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento…”
CLASSIFICAZIONE
Sono individuati tre criteri di classificazione generale dei rifiuti:
1. in base all’origine: RU (Rifiuti Urbani) e RS (Rifiuti Speciali)
2. in base alla pericolosità: RP (pericolosi) e RnP (non pericolosi)
3. in base alla provenienza in termini di ciclo produttivo (codice CER)
i rifiuti urbani:
a) i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione; b) i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell’articolo 21, comma 2, lettera g); c) i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade; d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua; e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali; f) i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), c) ed e).
i rifiuti speciali:
- i rifiuti da attività agricole e agro-industriali;
- i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti [pericolosi] che
derivano dalle attività di scavo;
- i rifiuti da lavorazioni industriali;
- i rifiuti da lavorazioni artigianali;
- i rifiuti da attività commerciali;
- i rifiuti da attività di servizio;
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- i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla
potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da
abbattimento di fumi;
- i rifiuti derivanti da attività sanitarie;
- i macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti;
- i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti.
Rifiuti pericolosi
Nel Testo Unico Ambientale, così come nel Decreto Ronchi, al criterio di classificazione per
origine dei rifiuti (urbani, speciali), si aggiunge quello per pericolosità: ad eccezione dei rifiuti
domestici di cui al primo punto dell’elenco dei rifiuti urbani, tutti i rifiuti urbani o speciali
possono essere qualificati pericolosi se contengono o sono contaminati dalle sostanze pericolose
in quantità e concentrazioni tali da presentare un pericolo per l’ambiente (allegato D del D. Lgs.
22/97).
La pericolosità di un rifiuto può dipendere da:
- provenienza (ad esempio il Decreto Ronchi considera tutti i reflui derivanti dall’attività
conciaria come pericolosi)
- utilizzo che aveva il prodotto (Un materiale non pericoloso può acquisire caratteristiche di
pericolosità in base alla sua destinazione d’uso)
Le caratteristiche di pericolosità (allegato I) che fanno si che un determinato rifiuto identificato
con il suo specifico codice sia da considerarsi pericoloso sono le seguenti:
H1 - Esplosivo
H2 - Comburente
H3 - Facilmente infiammabile
H4 - Irritante
H5 - Nocivo
H6 - Tossico
H7 - Cancerogeno
H8 - Corrosivo
H9 - Infettivo
H10 - Sostanza tossica per il ciclo riproduttivo
H11 - Mutageno
H12 - Sostanze e preparati che, a contatto con l’acqua, l’aria o un acido, sprigionano un gas tossico o
molto tossico
H13 - Sostanze e preparati suscettibili, dopo l’eliminazione, di dare origine in qualche modo ad
un’altra sostanza
H14 - Ecotossico
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In definitiva i rifiuti si possono classificare nel modo seguente:
- Rifiuti urbani non pericolosi
- Rifiuti urbani pericolosi
- Rifiuti speciali non pericolosi
- Rifiuti speciali pericolosi
Con la decisione 2001/118/CE del 16 gennaio 2001, la Comunità Europea ha emanato un nuovo
elenco dei rifiuti che sostituisce integralmente quelli riportati negli Allegati A e D del D.Lgs.22/97
e successive modifiche. Tale decisione:
- ribadisce che i materiali inseriti nell’elenco sono da considerare “rifiuti” solo quando il loro
produttore o detentore se ne disfi o intenda o abbia l’obbligo di disfarsene avviandoli a smaltimento
o recupero;
- riunisce in un unico nuovo elenco i due precedenti, relativi rispettivamente ai “rifiuti” e ai
“rifiuti pericolosi”, individuando nel nuovo elenco questi ultimi con un asterisco “*”;
- specifica che non rientrano tra i rifiuti considerati nell’elenco quelli disciplinati da altre
normative e in particolare, i rifiuti radioattivi, i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione,
dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali e dallo sfruttamento delle cave, le carogne e i
seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate
nell’attività agricola, le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido, i materiali esplosivi in
disuso.
- definisce esplicitamente le caratteristiche che determinano la pericolosità dei rifiuti;
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RIFIUTI TOSSICO NOCIVI (D.P.R. 915/1982)
La dicitura di rifiuto tossico nocivo è scomparsa dal Decreto Ronchi in poi, essa tuttavia viene ancora mensionata in alcuni atti, per questo motivo si riporta una vecchia tabella (1982) nella quale sono indicate le sostanze etichettate come tossiche nocive.
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CATALOGO EUROPEO DEI RIFIUTI (CER)
L’elenco dei codici CER vigenti in Italia è quello fissato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio, a partire dal 1 gennaio 2002, nel quale è stata fornita anche una transcodifica tra i
codici precedenti, riportati nel Ronchi del 1997 ed i nuovi codici vigenti.
ciascun rifiuto deve essere definito mediante un codice a sei cifre, raggruppate a due a due:
XX YY ZZ
La logica dei codici CER è legata alla produzione: ciascun gruppo riporta i rifiuti che hanno la
stessa provenienza in termini di ciclo produttivo. All’interno di tali gruppi , o classi, si trovano dei
sottogruppi e successivamente le informazioni sui singoli rifiuti
- la prima coppia, rappresenta le 20 classi di attività da cui originano i rifiuti (ad esempio 04
– Rifiuti della produzione conciaria e tessile);
- la seconda coppia, le sottoclassi in cui si articola ciascuna classe di attività (ad esempio 04
02 – Rifiuti dell’industria tessile);
- la terza coppia, i singoli tipi di rifiuti provenienti da un’origine specifica (ad esempio 04 02
21 – Rifiuti da fibre tessili grezze).
Di seguito vengono riportati i 20 gruppi di rifiuti del catalogo CER:
(prima coppia di numeri)
01 RIFIUTI DERIVANTI DA PROSPEZIONE, ESTRAZIONE DA MINIERA O CAVA, NONCHE' DAL
TRATTAMENTO FISICO O CHIMICO DI MINERALI
02 RIFIUTI PRODOTTI DA AGRICOLTURA, ORTICOLTURA, ACQUACOLTURA, SELVICOLTURA, CACCIA E
PESCA, TRATTAMENTO E PREPARAZIONE DI ALIMENTI
03 RIFIUTI DELLA LAVORAZIONE DEL LEGNO E DELLA PRODUZIONE DI CARTA, POLPA CARTONE,
PANNELLI E MOBILI
04 RIFIUTI DELLA LAVORAZIONE DI PELLI E PELLICCE NONCHE' DELL'INDUSTRIA TESSILE
05 RIFIUTI DELLA RAFFINAZIONE DEL PETROLIO, PURIFICAZIONE DEL GAS NATURALE E
TRATTAMENTO PIROLITICO DEL CARBONE
06 RIFIUTI DEI PROCESSI CHIMICI INORGANICI
07 RIFIUTI DEI PROCESSI CHIMICI ORGANICI
08 RIFIUTI DELLA PRODUZIONE, FORMULAZIONE, FORNITURA ED USO DI RIVESTIMENTI (PITTURE,
VERNICI E SMALTI VETRATI), ADESIVI, SIGILLANTI E INCHIOSTRI PER STAMPA
09 RIFIUTI DELL'INDUSTRIA FOTOGRAFICA
10 RIFIUTI PRODOTTI DA PROCESSI TERMICI
11 RIFIUTI PRODOTTI DAL TRATTAMENTO CHIMICO SUPERFICIALE E DAL RIVESTIMENTO DI METALLI
ED ALTRI MATERIALI; IDROMETALLURGIA NON FERROSA
12 RIFIUTI PRODOTTI DALLA LAVORAZIONE E DAL TRATTAMENTO FISICO E MECCANICO
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SUPERFICIALE DI METALLI E PLASTICA
13 OLI ESAURITI E RESIDUI DI COMBUSTIBILI LIQUIDI (TRANNE OLI COMMESTIBILI ED OLI DI CUI AI
CAPITOLI 05, 12 E 19)
14 SOLVENTI ORGANICI, REFRIGERANTI E PROPELLENTI DI SCARTO (TRANNE 07 E 08)
15 RIFIUTI DI IMBALLAGGIO, ASSORBENTI, STRACCI, MATERIALI FILTRANTI E INDUMENTI
PROTETTIVI (NON SPECIFICATI ALTRIMENTI)
16 RIFIUTI NON SPECIFICATI ALTRIMENTI NELL'ELENCO
17 RIFIUTI DELLE OPERAZIONI DI COSTRUZIONE E DEMOLIZIONE (COMPRESO IL TERRENO
PROVENIENTE DA SITI CONTAMINATI)
18 RIFIUTI PRODOTTI DAL SETTORE SANITARIO E VETERINARIO O DA ATTIVITA' DI RICERCA
COLLEGATE (TRANNE I RIFIUTI DI CUCINA E DI RISTORAZIONE NON DIRETTAMENTE PROVENIENTI
DA TRATTAMENTO TERAPEUTICO)
19 RIFIUTI PRODOTTI DA IMPIANTI DI TRATTAMENTO DEI RIFIUTI, IMPIANTI DI TRATTAMENTO DELLE
ACQUE REFLUE FUORI SITO, NONCHE' DALLA POTABILIZZAZIONE DELL'ACQUA E DALLA SUA
PREPARAZIONE PER USO INDUSTRIALE
20 RIFIUTI URBANI (RIFIUTI DOMESTICI E ASSIMILABILI PRODOTTI DA ATTIVITA' COMMERCIALI E
INDUSTRIALI NONCHE' DALLE ISTITUZIONI (INCLUSI I RIFIUTI DELLA RACCOLTA DIFFERENZIATA
Esempio:
04 00 00 Rifiuti della produzione conciaria e tessile 04 01 00 rifiuti dell'industria della lavorazione della pelle 04 01 01 carniccio e frammenti di calce 04 01 02 rifiuti di calcinazione 04 01 03 bagni di sgrassatura esauriti contenenti solventi senza fase liquida 04 01 04 liquido di concia contenente cromo 04 01 05 liquido di concia non contenente cromo 04 01 06 fanghi contenenti cromo 04 01 07 fanghi non contenenti cromo 04 01 08 cuoio conciato, scarti, cascami, ritagli, polveri di lucidatura contenenti cromo 04 01 09 cascami e ritagli da operazioni di confezionamento e finitura 04 01 99 rifiuti non specificati altrimenti 04 02 00 rifiuti dell'industria tessile 04 02 01 rifiuti da fibre tessili grezze ed altre sostanze fibrose naturali, principalmente di origine vegetale 04 02 02 rifiuti da fibre tessili grezze principalmente di origine animale 04 02 03 rifiuti da fibre tessili grezze principalmente artificiali o sintetiche 04 02 04 rifiuti da fibre tessili grezze miste prima della filatura e della tessitura 04 02 05 rifiuti da fibre tessili lavorate principalmente di origine vegetale 04 02 06 rifiuti da fibre tessili lavorate principalmente di origine animale 04 02 07 rifiuti da fibre tessili lavorate principalmente artificiali o sintetiche 04 02 08 rifiuti da fibre tessili lavorate miste 04 02 09 rifiuti da materiali compositi (fibre impregnate, elastomeri, plastomeri) 04 02 10 materiale organico proveniente da prodotti naturali (es. grasso, cera) 04 02 11 rifiuti contenenti composti alogenati da operazioni di confezionamento e finitura 04 02 12 rifiuti non contenenti composti alogenati da operazioni di confezionamento e finitura 04 02 13 tinture e pigmenti 04 02 99 rifiuti non specificati altrimenti
OBBLIGHI NELLA GESTIONE DEI RIFIUTI
Il produttore del rifiuto ha l’obbligo di identificare il rifiuto attribuendo il codice CER, in quanto
egli conosce il ciclo produttivo a monte del rifiuto che produce.
È anche compito del produttore andare a determinare se il rifiuto è pericoloso o non pericoloso.
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Tutti i soggetti che hanno a che fare con i rifiuti (produttore, gestore, trasportatore, etc.) hanno
inoltre i seguenti obblighi amministrativi imposti dal Decreto Ronchi:
1. la registrazione regolare di tutti i rifiuti prodotti e consegnati (registro di carico e scarico);
2. la predisposizione di un documento che identifica in maniera univoca da un punto di vista
chimico e merceologico il rifiuto:(formulario di identificazione del rifiuto);
3. l’obbligo di rendicontazione annuale di movimentazione e gestione dei rifiuti effettuata
(Modello Unico di Dichiarazione MUD).
PRINCIPALI FASI DELLA GESTIONE DEI RIFIUTI
Raccolta
I soggetti che si occupano di raccolta dei rifiuti possono effettuare a norma di legge le seguenti
attività:
1 prelievo;
2 cernita;
3 raggruppamento dei rifiuti per trasporto;
4 Raccolta differenziata per raccogliere classi merceologicamente omogenee finalizzata al
riciclaggio.
Trasporto
Chi si occupa di trasporto dei rifiuti può effettuare:
1. trasporto allo smaltimento
2. trasporto al recupero
Smaltimento
Lo smaltimento dei rifiuti comprende una serie di attività tecniche e di processo per eliminare dalla
circolazione i rifiuti. Queste attività di smaltimento sono codificate nel decreto Ronchi con il codice
“D” (da D1 a D15):
D1 Deposito sul o nel suolo (ad esempio discarica)
D2 Trattamento in ambiente terrestre (ad esempio biodegradazione di rifiuti liquidi o fanghi nei
suoli)
D3 Iniezioni in profondità (ad esempio iniezioni dei rifiuti pompabili in pozzi. In cupole saline o
faglie geologiche naturali)
D4 Lagunaggio (ad esempio scarico di rifiuti liquidi o di fanghi in pozzi, stagni o lagune, ecc.)
D5 Messa in discarica specialmente allestita (ad esempio sistemazione in alveoli stagni separati,
ricoperti o isolati gli uni dagli altri e dall’ambiente)
D6 Scarico dei rifiuti solidi nell’ambiente idrico
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D7 Immersione, compreso il seppellimento nel sottosuolo marino
D8 Trattamento biologico non specificato altrove nel presente allegato, che dia origine a composto
a miscugli che vengono eliminati secondo uno dei procedimenti elencati nei punti da D1 a D12
D9 Trattamento fisico-chimico non specificato altrove nel presente allegato che dia origine a
composti o a miscugli eliminati secondo uno dei procedimenti elencati nei punti da D1 a D12 (ad
esempio evaporazione, essiccazione, calcinazione, ecc.)
D10 Incenerimento a terra
D11 Incenerimento in mare
D12 Deposito permanente (ad esempio sistemazione di contenitori in
una miniera, ecc.)
D13 Raggruppamento preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D12
D14 Ricondizionamento preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D13
D15 Deposito preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D14 (escluso il
deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti)
TERMINOLOGIA
RECUPERO: l’attività che comprende tutta la filiera di trattamento dei rifiuti volta ad evitare il
diretto smaltimento in discarica (Il Testo Unico Ambientale ingloba nella terminologia recupero
tutte le operazione inerenti la gestione dei rifiuti: il riciclaggio, il riutilizzo,la
termovalorizzazione…)
RIUTILIZZO: fa riferimento a prodotti e componenti che, per quanto scartati come rifiuti, non
hanno ancora terminato la loro vita utile. Il riutilizzo comporta che l’oggetto scartato viene
nuovamente utilizzato così com’è per gli stessi scopi per i quali è stato costruito.
REIMPIEGO: fa riferimento a prodotti o parti di essi che sebbene non più idonei a svolgere la
funzione per la quale sono stati realizzati possono essere reimpiegati per altri utilizzi.
RICICLAGGIO: fa riferimento a prodotti o parti di essi di cui è possibile recuperare gli elementi
costituenti in modo da utilizzarli in input della filiera produttiva come vere e proprie materie prime
utilizzate per rigenerare il prodotto.
RECUPERO ENERGETICO energia che ancora rimane a valle degli interventi di riutilizzo e
riciclaggio
SMALTIMENTO FINALE IN DISCARICA per tutto ciò che non trova collocazione in nessuna
delle possibili vie di trattamento sopra elencate
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Raccolta differenziata: l’obiettivo imposto dalla Comunità Europea per il 2001 era del 25%
rispetto al totale, in Italia si è arrivati al 14,5 %
L’obiettivo per il 2003 era del 35% sul totale, in Italia si è arrivati attualmente (2005) al 17,5% –
18%
IL RECUPERO riferimenti normativi
Il recupero è un’attività ben definita nel Decreto Ronchi (art. 4). Si possono recuperare i rifiuti secondo due strade: una esclusiva per i RnP, e una per i RP. ⇒ DM del MATT 5.2.98 il recupero dei RnP ⇒ DM n. 161/02 del MATT il recupero dei RP ⇒ DL 36/2003 attuazione della Direttiva 1999/31/CE: tale decreto legge (insieme al DM 13/03/2003 del MATT) fissa i criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica nel DL 36/2003 è stabilito che dal 16/07/2005 non possono più essere conferiti in discarica rifiuti
indifferenziati, come ancora oggi avviene.
Per quanto concerne il recupero e lo smaltimento all’art. 2 del decreto Ronchi è specificato che “i
rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare
procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente”
ANALISI MERCEOLOGICA E CHIMICO FISICA DEI RIFIUTI
La composizione merceologica del rifiuto dipende da diversi fattori: ⇒ prodotto lordo pro-capite ⇒ ubicazione (città/campagna) ⇒ scala spaziale del bacino considerato ⇒ diversa influenza delle iniziative di raccolta differenziata ⇒ abitudini della popolazione ⇒ destinazione d’uso delle aree ⇒ pendolarismo ⇒ …
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CLASSI MERCEOLOGICHE
Sono state individuate 18 classi merceologiche di rifiuto, anche se nella pratica comune le classi
sono state ridotte ad otto.
ANALISI MERCEOLOGICA:
L’analisi merceologica del rifiuto è altrettanto importante di quella chimico fisica, essa consente
infatti in modo piuttosto semplice di individuare quali sostanze (divise nelle 8 classi merceologiche
di cui sopra) costituiscono il rifiuto. Questa analisi ha come obiettivo quello di poter stimare il
quantitativo di rifiuti che possono essere trattati nello stesso identico modo (es. metalli, carta,…),
ciò è fondamentale per poter pianificare le operazioni di recupero, riutilizzo, riciclaggio…
Per stimare la distribuzione merceologica dei rifiuti prodotti in una determinata zona, è
fondamentale procedere alle seguenti operazioni:
I. Scelta del campione: il campione deve essere realmente rappresentativo dell’”universo” dei
rifiuti che si vuole sottoporre ad analisi. Esistono a tal proposito più metodologie di analisi per la
scelta del campione, qui si riporta quella messa a punto dal CNR.. Il metodo di analisi prescrive di
utilizzare una massa iniziale di rifiuti pari a 3-4 tonnellate (costituente il carico di un automezzo) il
cui percorso di raccolta sia scelto come rappresentativo. Esso dovrà pertanto percorrere la città in
tutte le zone, in quanto la composizione merceologica del rifiuto può variare notevolmente tra una
quartiere di soli uffici, uno residenziale, uno popolare…
II. Preparazione del campione: a questo punto si può procedere con la preparazione del
campione vero e proprio da sottoporre ad analisi. I rifiuti vengono scaricati in un piazzale, e per
prima cosa si eliminano quelli ingombranti (es, materassi, elettrodomestici, mobili…) che vengono
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classificati a parte. Si procede quindi all’apertura dei sacchetti di plastica contenenti i rifiuti e
quindi ad una loro omogenizzazione tramite un rimescolamento con pala meccanica. Il metodo
messo a punto dal CNR prescrive a questo punto di costituire una “torta” di altezza 50-60 cm.
L’ultima fase detta inquartamento, consente invece di ridurre la massa del campione iniziale fino a
circa 200 kg. Semplicemente si divide la torta in quattro parti uguali e sei prelevano i due
diametralmente opposti, gli altri due vengono scartati. Si ricostituisce nuovamente una torta e di
nuovo si ripete l’operazione di inquartamento, ciò fino ad avere un campione delle dimensioni
volute.
III. Analisi merceologica: a questo punto prende avvio l’analisi merceologica vera e propria;
per la classificazione del materiale si utilizzano dei vagli vibranti (descritti in seguito) di 20 mm; il
sopravaglio, ovvero tutto ciò che non passa entro la rete viene passato a cernita manuale per
determinare la classe di appartenenza. La classificazione vene fatta in peso, ovvero si pesa il
materiale appartenente alla stessa classi e quindi si fa una distribuzione percentuale. Tutti gli
oggetti misti (es. carta e plastica, plastica e metalli…) vengono inseriti nella categoria per la quale
il materiale supera il 50% in peso rispetto al totale.
Si pesano i materiali appartenenti alle diverse categorie merceologiche e si riportano i pesi in
tabelle.
Ptot = C+B
Ptot :peso totale
C: sommatoria delle frazioni merceologiche
B: aliquota dovuta ai rifiuti ingombranti (1/8 del peso degli ingombranti)
Vetro: poiché gran parte del vetro si frantuma, passa nel sottovaglio e deve essere preso in
considerazione:
VT = VA + VS
VT : vetro totale
VA : vetro selezionato dall’analisi merceologica manuale
VS : vetro presente nel sottovaglio
Es. di classificazione merceologica
lucidi delle lezioni di Ingegneria Sanitaria Ambientale per Tecnici della Prevenzione Dott. Ing. Andrea Antonucci
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ANALISI CHIMICO FISICA:
l’analisi chimico fisica consente invece di determinare più nel dettaglio i costituenti dei rifiuti.
Si costituisce un campione di 3-4 Kg (ricavato dal campione iniziale di 200 Kg tramite
inquartamenti successivi) previa eliminazione di ogni metallo. Il campione viene comminuto fino ad
ottenere dimensioni di qualche millimetro, in seguito si determinano:
1. analisi delle sostanze volatili
2. analisi delle ceneri
3. quantitativo di umidità
4. potere calorifico (inferiore)
5. analisi dei componenti elementari
Sostanze volatili:sono costituite prevalentemente dai componenti organici che volatilizzano per
ossidazione alle alte temperature. Sperimentalmente la determinazione avviene in forno a 650° per
4-6 ore nel quale viene introdotto il materiale “secco”
SV = [(Ps – Pc)/Ps]·100 SV: sostanze volatili Pc: peso delle ceneri (in grammi) Ps:peso del secco (in g)
Umidità: si determina su un campione di poche decine di grammi. E’ necessario quindi che il
campione abbia granulometria inferiore a 1 mm Il campione viene essiccato in forno a 105°C
U = (Pt – Ps) / Pt ·100
Pt : peso del tal quale (in g) Ps : peso del secco (in g)
Potere calorifico: nel caso dei rifiuti viene effettuato per determinazione calorimetria diretta
mediante bomba di Mahler.
Campione di 3-4 g, granulometria inferiore a 1 mm introdotto nel crogiolo
Si introduce ossigeno fino a raggiungere una pressione di circa 25 atm
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La bomba è immersa in un vaso calorimetrico contenente un quantitativo noto di acqua e munita di
un termometro agitatore
In base all’aumento di calore della massa d’acqua si può risalire all’energia termica sviluppata
dalla combustione (kJ/kg)
Analisi dei componenti elementari si effettuano analisi di carattere chimico per individuare la
composizione molecolare dei rifiuti.
VALUTAZIONI ENERGETICHE
Al fine di avere un’idea di quanto in alcuni casi sia utile il recupero e riciclaggio dei rifiuti, si
mostra un semplice calcolo che permette di ottenere una stima del bilancio energetico di
produzione e riciclo di un bene comune come la carta.
Siano:
− X1: energia spesa dall’uomo per ottenere un certo prodotto (ad esempio per un kg di carta
partendo dagli alberi occorrono 10.000 kcal)
− X2: energia spesa per recuperare un prodotto dai RSU (ad esempio per separare un kg di
carta dalla massa dei rifiuti occorrono circa 120 kcal)
− X3: energia spesa per riciclare o reimpiegare il prodotto recuperato (ad esempio per
riottenere un kg di carta partendo da quella recuperata occorrono circa 3.000 kcal)
− X4: energia ricavata dalla riutilizzazione del prodotto recuperato (ad esempio bruciando un
kg di carta si ottengono 4.000 kcal)
− X5: valore energetico del prodotto riciclabile (una volta riciclato il prodotto quanta energia
può di nuovo fornire [potenziale energetico])
Per il calcolo si utilizza la seguente Equazione di bilancio energetico:
X=X1+(X2+X3+X4+X5)·N
dove N è il numero di volte che il prodotto può essere riciclato.
N.B. si assegna segno positivo all’energia ricavata e segno negativo all’energia spesa.
A) CASO DELLA CARTA IN DISCARICA CONTROLLATA
In questo caso si fa l’esempio di produzione di 1 kg di carta che alla fine del suo utilizzo viene
smaltita in discarica. Così facendo, nell’equazione di bilancio energetico avremo: X1= -10.000
kcal/kg; X2=X3=X4=0 N=0 ciò poiché si è spesa energia per fabbricare la carta, ma poi una
volta usata la si è buttata. Il bilancio è quindi in negativo → X= - 10.000 kcal/kg (senza per altro
tenere conto dell’ulteriore energia spesa per il trasferimento in discarica).
B) CASO DI INCENERIMENTO TOTALE DELLA CARTA CON RECUPERO DI CALORE
In questo caso, è sempre: X1= -10.000 Kcal/kg energia spesa per la produzione; X2= -120 kcal/kg
in quanto abbiamo speso ulteriore energia per le operazioni di recupero; X3=X5=0 non abbiamo
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né reimpiegato né riciclato il prodotto; X4=4.000 kcal/kg in quanto dalla combustione della carta
nel termovalorizzatore abbiamo ricavato una certa quantità di energia; N=1, ovvero possiamo
bruciare la carta una sola volta per le operazioni di incenerimento. Il bilancio questa volta è→ X=
-6.120 kcal/kg, ovvero come si può vedere rispetto al caso precedente si è risparmiato già un certo
quantitativo di energia (circa4.000. kcal/kg).
C) CASO DI RICICLO DI CARTA PER RIFARE LA CARTA
Nell’ipotesi di voler riciclare la carta per farne della nuova avremo:X1= - 10.000 kcal/kg (energia
spesa per produrre il mostro kg di carta la prima volta; X2= -120 kcal/kg, energia spesa per
recuperarla; X3 -3.000 kcal/kg, energia spesa per riciclare la carta per ottenerne della nuova;
X4= 0;X5= +10.000 Kcal/Kg, ovvero alla fine del trattamento abbiamo riottenuto di nuovo un kg
di carta, quindi il potenziale energetico a nostra disposizione è nuovamente di 10.000 kcal. Questo
processo illustrato può inoltre ripetersi indefinite volte e quindi:
per N=1 X= -3.120 kcal/kg
per N=2 X= +3.760 kcal/kg
per N=3 X= +10.640 kcal/kg
come si può vedere già la seconda volta che ricicliamo la carta il bilancio energetico è andato in
positivo!
Il discorso fatto ovviamente è puramente indicativo in quanto non tiene conto di una serie di
parametri che influenzano i processi descritti e che modificherebbero i calcoli effettuati, rimane
però la sua validità come discorso teorico, ovvero il riciclaggio consente un notevole risparmio di
risorse energetiche, specialmente quando abbiamo a che fare con risorse difficilmente rinnovabili
in breve tempo, esso è quindi sempre da preferire qualora le tecnologie di recupero e riciclo lo
consentano (a bassi costi!).
Nonostante ciò il grafico sottostante riporta la situazione relativa alla destinazione dei rifiuti solidi
urbani in Italia nel 2000
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TRATTAMENTI DI RECUPERO DELLE MATERIE PRIME
SECONDARIE
Si riportano in seguito alcuni dei principali vantaggi e svantaggi che si hanno nel processo di
recupero dei rifiuti:
Vantaggi:
• diminuzione (fino al totale annullamento) dei rifiuti da smaltire
• risparmio di materie prime
• risparmio di energia
• minor degrado ambientale
Svantaggi:
• difficoltà del recupero
1. di tipo impiantistico
2. di tipo organizzativo
• problema della qualità dei prodotti recuperati
• difficile commercializzazione
• problema dei costi
PRINCIPALI METODOLOGIE UTILIZZATE PER IL CRECUPERO
DELLE MATERIE PRIME DAI RIFIUTI
COMMINUZIONE: costituisce in genere la prima fase del trattamento dei rifiuti. Lo scopo è
ridurre di dimensioni il materiale, ovvero ottenere una granulometria finale il più possibile
omogenea ed adatta ad operare con i trattamenti industriali di separazione. Viene quindi effettuato
per i seguenti scopi:
1. migliore omogeneizzazione del materiale
2. facilita i trattamenti di recupero, smaltimento, incenerimento
l’operazione di comminuzione è descritta mediante curve granulometriche
ordinate: percentuale di materiale che passa al setaccio; ascisse: diametro del setaccio
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Caratteristica peculiare delle macchine utilizzate per la comminuzione è il rapporto di riduzione
(ρρρρ):esso è il rapporto tra la dimensione caratteristica dell’alimentazione e quella del prodotto.
Frantumatori Frantumantori alternativi (anche detti a mascelle)
In queste macchine il materiale da comminuire viene caricato dall’alto tramite apposita tramoggia
e viene successivamente frantumato dallo spostamento della mascella mobile verso quella fissa.
Sono macchine che lavorano in continuo, molto robuste, utilizzate in genere come primo
trattamento ciò in quanto la dimensione in uscita del materiale solido è di dimensioni minime di100
mm.
Queste macchine si utilizzano di rado nel trattamento dei rifiuti solidi urbani a causa delle notevoli
dimensioni in uscita dei grani, sono invece molto utilizzate nel trattamento del materiale inerte e
quindi dei rifiuti provenienti da demolizioni.
Il movimento della mascella è regolato da un volano al quale sono collegate delle aste e delle
cerniere. Il materiale viene frantumato a causa della pressione esercitata dalla mascella mobile su
quella fissa; per questo motivo le mascelle sono costituite da leghe metalliche di notevole resistenza
meccanica.
Rapporto di riduzione:
5≅=d
Dρ
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Portata: Q = 0,1⋅ L⋅ S dove L: larghezza delle mascelle S: scartamento medio in uscita
Frantumatori rotativi
Costituiscono un’alternativa ai frantumatori a mascelle, sono peraltro maggiormente utilizzati nel
trattamento dei rifiuti solidi urbani in quanto consentono una dimensione in uscita dei grani più
piccola.
Anche in questo caso il materiale è caricato dall’alto ed è spinto verso il basso per gravità. La
macchina funzione in modo simile ad un macinino per caffè; la parte esterna (chiamata mantello)
può avere forma cilindrica oppure svasata, all’interno ruota un rocchetto tronco conico (chiamato
noce) innestato su un albero eccentrico. Ciò fa si che la distanza tra la superficie esterna della
noce e quella interna del mantello varia in continuazione consentendo al materiale solido di
scendere verso il basso spinto dalla gravità. In seguito quando la distanza tra la parte mobile e
quella fissa si riduce di nuovo, il materiale rimane intrappolato all’interno e sgretolato dalla forze
di pressione e attrito che si formano.
Il Rapporto di riduzione è grossomodo simile a quello dei frantumatori a mascelle:
la portata (Q) è invece molto più grande, circa 4 volte quella del corrispondente frantumatore
alternativo
Dimensione minima ottenibile grani in uscita: 10 mm
TRITURATORI
Cilindraie
Queste macchine appartengono alla categoria dei trituratori, ovvero apparecchi che consentono
una riduzione del materiale ad una pezzatura più piccola di quella dei frantumatori. La macchina è
costituita da una coppia di cilindri paralleli controruotanti montati all’interno di una tramoggia.
Anche in questo caso il materiale viene introdotto dall’alto e grazie al suo stesso peso viene spinto
tra i cilindri, questi ultimi a causa delle forze d’attrito che si sprigionano tra la loro superficie e i
85 −≅=d
Dρ
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materiale da comminuire, lo trascinano verso il basso rompendolo. Per aumentare la forza d’attrito
i cilindri possono essere muniti anche di denti sulla loro superficie. L’angolo che si forma tra i due
cilindri prende nome di angolo mordente (α), esso più è piccolo e maggiore è la capacità di
trascinare il materiale all’interno dei cilindri, per questo motivo a volte si utilizzano coppie di
cilindri di diametro differente.
La distanza tra i cilindri prende nome di scartamento, essa rappresenta la dimensione massima che
possono avere i grani in uscita.
Il Rapporto di riduzione non è molto elevato (ρ = 2-3) in quanto materiale molto grosso rispetto
allo scartamento tra i cilindri non tenderebbe a sfuggire senza poter essere trascinato all’interno.
Portata: Q = s ⋅ v = piuttosto modesta s: scartamento tra i cilindri
v: velocità tangenziale dei cilindri
Dimensione minima grani in uscita: 2 mm
Molazze (molini)
Queste apparecchiature consentono di ottenere materiale
finissimo, ridotto a polvere. Il principio di funzionamento è
del tutto analogo ai molini che su utilizzavano nei frantoi
per la produzione della farina o dell’olio. Il materiale da
comminuire viene inserito in un catino all’interno del quale
girano due pesanti ruote d’acciaio mosse da un albero
rotante collegato ad un motore elettrico. La macinazione
avviene a causa dello schiacciamento del materiale solido al disotto delle ruote, per facilitare
questa operazione l’apparecchio è dotato di opportuni convogliatori che spingono il materiale
verso il centro del catino evitando che questo si accumuli sul bordo senza passare sotto le ruote.
Un difetto di questa macchina è che a differenza delle altre finora viste, lavora in modo
discontinuo, ovvero bisogna aspettare un intero ciclo di macinazione prima di poter fermare la
macchina, svuotare il materiale comminuito tramite appositi fori praticati sul fondo del catino e
infine riempirlo di nuovo. Alcune molazze per usi speciali, come per esempio quelle utilizzate nella
frantumazione di materiale nocivo come ad esempio alcune
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matrici contenenti fibre d’amianto, sono interamente chiuse al fine di evitare la dispersione delle
polveri / fibre nell’ambiente; all’interno della macchina è convogliata una corrente d’aria regolata
ad una velocità opportuna in modo da consentire l’uscita soltanto del materiale communuito.
Queste varianti possono lavorare in modo continuo.Il rapporto di riduzione delle molazze è molto
elevato ρ = 20 a causa del fatto che si possono ottenere più cicli di lavorazione (la macinazione
può durare anche diversi minuti/ore) e quindi il materiale passa sotto le ruote macinanti diverse
volta prima di essere estratto. Anche la dimensione in uscita dei grani è molto piccola. Dimensione
minima in uscita: 0,5 mm
Molino a tamburo rotante
Queste macchine sono costituite da un cilindro vuoto ruotante all’interno del quale si inserisce il
materiale da comminuire insieme ad un certo quantitativo di “carica macinante”. Quest’ultima è
costituita da materiale molto duro in genere sfere o barre metalliche, ma anche pietre, l’importante
è che sia più duro di quello da comminuire. La carica macinante in genere occupa circa il 40 –45%
del volume complessivo disponibile. Durante il funzionamento il cilindro ruota sollevando il
materiale da comminuire e la carica macinante, quest’ultima si solleva fino ad una certa altezza a
causa della forza centrifuga e poi cade schiacciando e rompendo il materiale da comminuire.
Per far funzionare bene l’apparecchio, l’importante è regolare bene la velocità di rotazione, essa
deve consentire alle cariche macinanti di salire fino ad una certa altezza, (la massima possibile)
per poi ricadere, evitando che la forza centrifuga impressa dalla rotazione d
sia più forte della forza peso della carica macinante (velocità critica). In genere comunque la
velocità di rotazione si attesta al 40% - 60% della velocità critica.
Il rapporto di riduzione è il migliore ottenibile tra le macchine viste, ρ=20-40 per una singola
macinazione fino a ρ=100-200 per più cicli. La dimensione minima dei grani in uscita è anch’essa
molto piccole, dell’ordine di 0,05 mm.
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MACCHINE AD URTO
Queste macchine sono usate di frequente nella comminuzione del materiale di risulta, hanno infatti
un buon rapporto di riduzione e anche la dimensione dei gran in uscita è ottimale per i trattamenti
di separazione riguardanti i rifiuti solidi urbani. Il materiale entra all’interno della macchina
tramite una tramoggia laterale, in seguito urta violentemente contro una girante che presenta sulla
sua superficie dei risalti incernierati (martelli), oppure dei denti fissi (nel caso del frantumatore ad
impulso), ed viene sbattuto sulla sul telaio della macchia o su apposite piastre d’urto rompendosi.
I martelli si piegano ruotando all’indietro qualora incontrano materiali molto duri che non si
rompono, essi vengono spinti fuori dalla macchina in una camera di raccolta (4). In questo modo il
trituratore a martelli può essere utilizzato anche per effettuare la separazione tra i grani duri e
quelli meno duri.
Velocità periferica del rotore 15 – 50 m/s (ad urto); fino a 100 m/s (a martelli)
ρ = 15 (ad urto) ρ = 30 (a martelli)
Dimensione grani in uscita 10 mm (ad urto); 2 mm (a martelli)
LA SEPARAZIONE
Il trattamento successivo la comminuzione del materiale costituente il rifiuto è quello che consente
una separazione. Per riciclare o riutilizzare il materiale è infatti necessario separare quello che ci
interessa dall’ammasso di rifiuti tal quale; a tal proposito si ricorda l’importanza della raccolta
differenziata che consente di evitare questa fase e passare direttamente al riutilizzo o al riciclaggio.
Gli strumenti industriali utilizzati per la separazione, sfruttano le diverse proprietà fisiche che il
materiale può avere, esse sono:
dimensione
forma
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resistenza meccanica
proprietà elastiche
densità (peso)
proprietà di superficie
proprietà magnetiche
proprietà elettriche
potere riflettente (opacità, colore)
proprietà termiche
SEPARAZIONE TRAMITE DIFFERENTE DIMENSIONE
VAGLIATURA: operazione di classificazione di elementi assortiti in base alla differente
dimensione. Si realizza tramite il passaggio attraverso superfici a fori calibrati. La vagliatura può
in alcuni casi essere utilizzata per separare anche in base alla differente forma, ciò utilizzando
maglie speciali.
Reti / Griglie
Sono le superfici vaglianti più usate. Per questo tipo di applicazione le maglie hanno dimensioni
che variano da 1 mm fino a 100 mm
Vibrovagli
La macchina è costituita da un telaio collegato
mobile collegato al resto della struttura tramite
delle molle. Un motore fa girare una cinghia
collegata ad un eccentrico, la cinghia quindi mette
in vibrazione il telaio soprastante sul quale sono
montate delle reti a seconda del numero di tagli
granulometrici che si vogliono eseguire. Il movimento vibrante della macchina facilita le
operazioni di vagliatura facendo saltellare i granelli sulle reti. Le vibrazioni sono ad alta
frequenza(500 –3.000 cicli al minuto) e ampiezza relativamente piccola( 1-2 fino a 10-20 mm)
proporzionata all’apertura di maglia della rete. La rete è sempre leggermente inclinata in modo da
favorire il movimento dei grani del sopravaglio. Il meccanismo di vibrazione è ottenuto tramite
volani a massa eccentrica
Trommel
Sono tamburi rotanti, cilindrici o prismatici la cui superficie esterna è la superficie vagliante. Essa
è costituita normalmente da lamiera forata o da materiale plastico molto resistente. Ruotano su un
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asse inclinato di 5° - 10° per consentire l’avanzamento del materiale.Possono realizzare
contemporaneamente uno o più tipi di tagli granulometrici.
Velocità di rotazione: circa 50% della velocità critica (per evitare la centrifugazione)
Pregi: sono macchine semplici e robuste che fanno pochi sfridi e sono adatte anche a materiali di
vagliatura difficile come carta, stracci che occluderebbero le luci di passaggio dei vagli vibranti
Difetti: molto ingombranti, cambio superfici vaglianti laborioso
Efficienza della vagliatura: rapporto tra il sottovaglio realizzato dalla macchina e quello teorico
(con stacciatura di laboratorio) espresso in percentuale. In genere 70 – 90%
SEPARAZIONE TRAMITE DIFFERENTE PESO
CLASSIFICAZIONE IN MEZZO FLUIDO: Questa operazione serve a separare due materiali in
genere di diverso peso usando come separatore un mezzo fluido (in genere acqua oppure aria).
Questo tipo di classificazione è influenzato principalmente dalle differenze di peso, un ruolo minore
può a volte avere la forma del materiale.
TAMBURO WEMCO (METODO SINK – FLOAT)
1: alette per il sollevamento del sink; 2: canale inclinato fisso posizionato all’interno del tamburo
per la raccolta del sink ;
La separazione avviene sfruttando il differente peso del materiale che si vuole separare rispetto
alla massa del tal quale. in questo processo interviene in minima parte anche la forma del
materiale. Si utilizza un tamburo rotante all’interno del quale è posto un liquido a densità
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114
intermedia tra il prodotto pesante che affonda(sink) e quello leggero che galleggia (float).
Il materiale che affonda viene captato dalle alette posizionate all’interno del tamburo e quindi
sollevato e fatto cadere all’interno di un apposita tramoggia. Il materiale che galleggia esce
insieme a parte del liquido per stramazzo attraverso il bordo del tamburo. Questo sistema di
classificazione si applica in genere a grani non più piccoli di 1 mm, ciò per avere velocità di
sedimentazione elevata e quindi tempi limitati di permanenza negli apparecchi. Il float va poi
trattato successivamente per separarlo dal mezzo fluido che viene reinserito a monte del sistema.
CRIVELLI
Anche questo sistema è adatto a separare grani con diverso peso, il principio del metodo è infatti la
differente velocità di caduta in mezzo fluido di grani per i quali interessa la separazione tra leggeri
e pesanti. La sostanziale differenza con il metodo precedente sta nel fatto che mentre nel tamburo
wemco, per rendere possibile la separazione, una parte di materiale deve andare a fondo
(sedimentare) e l’altra deve rimanere in superficie (galleggiare); con i crivelli ciò non è necessario,
tutti e due i materiali possono sedimentare, la proprietà che si sfrutta è la differente forza d’inerzia
che due materiali di diverso peso oppongono al moto. Ricordiamo infatti che se volessimo mettere
in movimento due masse inizialmente ferme, esse opporrebbero una resistenza al moto
proporzionale alla differenza di peso (forza d'inerzia), questo principio è quello che si sfrutta nei
crivelli. La separazione avviene in caduta fortemente ostacolata (letto affollato da grani), i grani
vengono disposti all’interno di un contenitore con fondo bucherellato, tutto il contenitore è
riempito da un mezzo fluido (es. acqua). Un pistone collegato alla massa fluida viene posto in
agitazione, in questo modo i grani vengono sottoposti ad una corrente d’acqua verticale pulsante
che li solleva e li fa ricadere con numerosi cicli di accelerazione e decelerazione.
La separazione avviene per il fatto che i grani essendo sottoposti ad una forza pulsante, prima
diretta in un verso e poi nel verso opposto, si muovono in regime di accelerazione / decelerazione,
non in moto uniforme come nel caso della sedimentazione spontanea in mezzo fluido. In questo
caso il peso (che genera la forza di inerzia del grano) è l’unica componente che entra in gioco per
la separazione.
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I grani pesanti si raccolgono sul fondo mentre quelli leggeri in superficie. Un’apertura sul fondo
consente di rimuovere i grani più pesanti, mentre quelli più leggerei possono essere asportati
tramite stramazzo sfiorando dal bordo del contenitore.
Frequenza di oscillazione: 100-400 cicli/minuto
Tempo per la separazione: in genere qualche secondo
Dimensione grani: da 1mm fino a 20- 30 mm
SEPARAZIONE TRAMITE DIFFERENTI PROPRIETA’ DI SUPERFICIE
Separazione con tavole
Principio del metodo: si sfruttano le differenze di movimento di grani trascinati da un sottile velo
fluido in moto laminare su un piano inclinato di qualche grado sull’orizzontale.
Distribuzione della velocità del fluido di tipo parabolico il grano è soggetto a 4 forze: 1) forza peso 2) forza di attrito 3)forza di trascinamento H2O 4) spinta idrostatica (verso l’alto),in genere trascurabile
Su una tavola inclinata viene posto il materiale comminuito in piccoli granelli in genere più piccoli
di 1 mm, quindi si fa scorrere una leggera vena fluida che trascina via parte del materiale che
fornisce una forza d’attrito minore a contatto con la tavola, esso è in genere anche il più leggero,
ma non sempre è così..
I granelli il cui bilancio delle forze in gioco (vedi sopra) fa si che vincano le forze resistenti rispetto
a quella di trascinamento della vena fluida e della componente peso lungo l’asse di inclinazione
della tavola, rimangono attaccati alla superficie. Il giusto equilibrio per i grani in gioco si può
trovare variando l’inclinazione della tavola.
Il metodo viene quindi usato qualora la differenza di peso non garantisce da sola una separazione
ottimale, mentre invece risulta efficace una differenza di proprietà di superficie che conferisce
differente coefficiente d’attrito.
L’apparecchio funziona a cicli alternati di separazione e di lavaggio per eliminare i grani rimasti
sulla tavola.
Dimensione grani: minore di 1 mm fino a 0,05 mm
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SEPARAZIONE TRA MATERIALE CONDOTTURE E MATERIALE NON CONDUTTORE
Questo metodo sfrutta l’effetto del campo elettrico sui grani dipendente delle cariche elettriche da
questi precedentemente acquisite o indotte dal campo stesso del separatore.
La separazione avviene in due fasi:
1. caricamento elettrico selettivo dei grani dotati di differenti proprietà elettriche,
2. separazione dei grani in campo elettrico in funzione del segno e della quantità di carica
elettrica acquisita.
Nella prima fase la macchina separatrice carica elettrostaticamente i grani da separare tramite
uno dei seguenti metodi: per bombardamento ionico (effluvio); per contatto e frizione (strofinio);
successivamente i granelli non conduttori mantengono la loro carica elettrostatica acquisita,
mentre i grani conduttori, a contatto con del metallo messo a terra, si scaricano immediatamente
perdendo il potenziale elettrico.
In pratica per avere una separazione i grani devono avere una diversa conduttanza. I separatori
elettrici pertanto effettuano la separazione tra grani conduttori e non conduttori.
Separazione per bombardamento ionico
Lo schema sottostante riporta il funzionamento di una macchina separatrice che adotta il
principio del caricamento per effluvio:
1) tamburo rotante messo a terra
2) elettrodo ad alto potenziale con punte
affiancate per effluvio
3) effluvio
4) spazzola per il distacco dei grani non
conduttori
il punto A rappresenta la tramoggia di alimentazione del materiale, i granelli passano attraverso
un elettrodo ad alto potenziale (2) con punte che caricano il materiale per effluvio di elettroni, il
tamburo rotante sul quale viene trasportato il materiale è messo a terra (potenziale nullo), in
questo modo il materiale caricato per effluvio ma conduttore, si scarica immediatamente e quindi
in seguito alla rotazione del tamburo percorre una traiettoria d’uscita parabolica dipendente dalla
velocità di rotazione del tamburo stesso; il materiale non conduttore, caricato elettricamente,
rimane invece incollato tramite forze di natura elettrostatica al tamburo proseguendo il percorso di
rotazione fino alla spazzola (4) che attua il distacco del materiale conduttore facendolo cadere in
una tramoggia apposita.
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Questo tipo di separatore è adatto al trattamento di grani a secco con dimensione minore di 1 mm.
E’ quindi necessario l’essiccamento preliminare del materiale da trattare, in quanto l’umidità
attenuerebbe le differenze tra conduttori e non conduttori.
Separazione a correnti indotte
Questo metodo è una variante del precedente e consente anch’esso di separare materiale
conduttore da quello non conduttore, anche qualora le dimensioni dei grani siano piuttosto grandi
(qualche millimetro).
Il principio del metodo si basa sulla legge di Faraday – Lenz:
“Quando un corpo conduttore è posto in un campo magnetico ad esso concatenato e
variabile nel tempo, nel corpo si generano correnti indotte la cui intensità è
proporzionale alla rapidità di variazione del flusso di campo”
semplificando il più possibile il discorso, la macchina usa un elettromagnete in grado di creare un
campo magnetico variabile nel tempo, ciò è proprio quello che richiede la legge di Faraday Lenz,
quindi il materiale che passa attraverso questo campo, se è conduttore, genererà a sua volta un
campo magnetico (si magnetizza) con carica opposta a quello dell’elettrocalamita; a questo punto
è come se avessimo 2 magneti di carica uguale, ovviamente essi tenderanno a respingersi (il campo
indotto è repulsivo nei confronti del campo inducente). Quanto detto è proprio quello che avviene
in questo caso, ovvero il materiale conduttore sarà respinto dall’elettrocalamita e quindi cadrà in
una tramoggia separata, il materiale non conduttore, non risentendo del campo magnetico indotto,
prosegue indisturbato nella sua traiettoria iniziale cadcendo in un’altra tramoggia.
SEPARAZIONE MAGNETICA
Principio del metodo: grani con differenti proprietà magnetiche tra di loro possono essere separati
ricorrendo alla diversa forza di attrazione che un campo magnetico esercita su di essi.
Questo metodo sfrutta il campo magnetico prodotto da semplici calamite o elettrocalamite per
attirare metalli sensibili a campi magnetici.
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Puleggia magnetica Separatore a nastro
Separatore magnetico a doppio tamburo ruotante
La macchina può funzionare sia a secco che a umido.
Si utilizzano due tamburi in modo da avere una separazione più certa (ridondanza)
SEPARAZIONE TRAMITE DIFFERENTI PROPRIETA’ ELASTICHE
Separazione per urto e rimbalzo
In questo caso si sfruttano le differenti proprietà elastiche del materiale, ovvero grani
maggiormente rigidi, se urtati contro una superficie anch’essa rigida tendono a rimbalzare con un
urto simile a quello elastico, mentre quelli più morbidi nell’urto dissipano gran parte della loro
energia cinetica rimanendo in prossimità della piastra d’urto. E’ quindi possibile sfruttare le
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differenti traiettorie di rimbalzo per separare il materiale in due tramogge differenti. Una spazzola
pulente provvede a rimuovere di volta in volta il materiale rimasto incollato alla piastra d’urto.
SEPARAZIONE TRAMITE DIFFERENTE DENSITA’ /FORMA
Ventilazione forzata
Questo metodo è in genere molto utilizzato per separare elementi fibrosi o in fogli da grani
isodiametrici.
Un ventilatore posto al di sotto di una griglia forata insuffla aria che trascina verso l’alto i
materiali più leggeri o con superficie maggiore, gli altri proseguono il loro percorso.
SEPARAZIONE TRAMITE DIFFERENTI PROPRIETA’ OTTICHE
Separazione ottica
I grani vengono “ispezionati” automaticamente da un separatore ottico collegato ad un eiettore ad
aria compressa.
La cernita viene effettuata in base alle proprietà di riflessione del materiale da selezionare. Questa
tecnica è spesso utilizzata per separare vetro da materiali opachi.
1) tramoggia che alimenta il nastro in un velo di materiale uniforme
2) nastro trasportatore
3) camera ottica di ispezione con fotocellule
4) eiettore ad aria compressa
5) valvola dell’aria compressa comandata dal processore (6) che ri-
riceve il segnale dalle fotocellule
6) processore
7) serbatoio d’aria compressa
il grano passa al centro della camera ottica, sui lati della camera, in prossimità degli spigoli, sono
posizionati 2 o più emettitori di luce (nel campo del visibile o dell’infrarosso a seconda delle
caratteristiche del materiale da esaminare). Il fascio di luce colpisce la fotocellula che si trova
nell’angolo diametralmente opposto, quest’ultima a sua volta trasforma il segnale luminoso in un
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120
segnale elettrico che viene inviato al processore che comanda la valvola di espulsione del
materiale. A seconda della maggiore o minore opacità del materiale da analizzare, varia la
corrente elettrica che raggiunge la valvola comandandone l’apertura.
SEPARAZIONE TRAMITE DIFFERENTI PROPRIETA’ TERMICHE
Termoadesione
Sfrutta le differenti proprietà termiche del materiale. I grani che si scaldano maggiormente a causa
del calore irradiato da lampade a raggi infrarossi rimangono aderenti al nastro trasportatore
rivestito da una resina termoplastica, in questo modo proseguono il loro viaggio rimanendo
attaccati al nastro per poi venire staccati tramite un’apposita spazzola.
1) tramoggia con vibratore per l’alimentazione in velo monogranulare; 2) lampade a raggi
infrarossi; 3) nastro trasportatore di riscaldamento; 4) scivolo; 5) nastro di separazione rivestito
di resina termoplastica; 6) tramoggia per prodotto “freddo”; 7) tramoggia per prodotto “caldo”
8) raschietto per staccare i grani caldi 9) dispositivo per il ripristino della resina.
Cernita manuale
Ancora oggi utilizzata per quei materiali per i quali non è possibile o non ancora conveniente
ricorrere ad un trattamento automatico. Il materiale è in genere caricato su un nastro
trasportatore, uno ma in genere più operatori (per ridurre al minimo possibili sviste) prendono
posto ai lati del nastro effettuando la cernita.
Questa operazione richiede buon allenamento da parte degli addetti, illuminazione e velocità del
nastro adeguata.
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COMPOSTAGGIO
Definizione: biostabilizzazione aerobica in fase solida di matrici organiche putrescibili
A cosa serve: il compost si definisce ammendante, ovvero una sostanza in grado di aggiungere
materiale organico a terreni coltivati con conseguente beneficio per le coltivazioni.
Conferisce inoltre al terreno:
sofficità: favorisce la propagazione delle radici
porosità: migliora la permeabilità dell’aria nel terreno
ritenzione idrica: i grani del compost trattengono l’umidità
stabilità degli aggregati: il terreno è meno soggetto ad erosione
Responsabili della produzione del compost sono particolari microrganismi (batteri, attivo miceti,
funghi filamentosi…) essi agiscono in fasi distinte:
1. fase di crescita (qualche giorno)
inizio reazione e riproduzione dei microrganismi
2. fase termofila (30 giorni)
azione dei microrganismi termofili che si sviluppano nel range di temperatura 50-65°C (importante
che la temperatura sia la più alta possibile in modo da generare la morte di alcuni agenti patogeni
come la salmonella)
3. fase di maturazione (8 settimane)
azione di microrganismi mesofili che si sviluppano nel range di temperatura 30 – 50 °C. E’
importante che questa fase sia completata prima di utilizzare il materiale (analisi di un esperto
agronomo, biologo…)in modo da non comportare danni ai terreni a causa di microrganismi che
potrebbero assorbire ossigeno.
I PARAMETRI FISICI CHE DEVONO ESSERE TENUTI SOTTO CONTROLLO
- temperatura il più possibile costante all’interno dei range a seconda delle fasi
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- Areazione: necessaria alla vita dei batteri, non deve essere però troppo spinta in quanto
provocherebbe l’abbassamento delle temperatura e dell’umidità.
In genere 5 – 10 % di aria rispetto al volume complessivo
- Umidità: 45-65% se superiore genera mancanza di ossigeno
TECNICHE DI PRODUZIONE DEL COMPOST
Cumulo statico:
L’aria viene insufflata o aspirata attraverso il cumulo costituito dal materiale organico, tramite
apposite pompe che convogliano l’aria in condotti forati.
La superficie del cumulo è coperta da uno strato coibentante in genere costituito da compost già
maturo.
L’aria in uscita viene filtrata prima di essere reintrodotta nell’ambiente, il cumulo è conservato in
capannoni chiusi ermeticamente.
L’insufflaggio dell’aria è comandato automaticamente in funzione della temperatura: maggiore o
minore necessità di aria da parte dei microrganismi.
Difetti: difficile omogeneizzazione delle temperature, tempi lunghi
Cumulo con rimontaggio
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Il cumulo viene aerato tramite una macchina munita di ruota a tazze che solleva il materiale
favorendone l’aerazione e successivamente lo scarica su un nastro trasportatore che ricostituisce il
cumulo nella parte posteriore.
I cicli di rimontaggio sono variabili in funzione della temperatura.
Metodo molto efficace per l’omogeneizzazione del quantitativo di aria a contatto con il materiale
organico oltre che della temperatura
Difetti: l’aerazione è ciclica
Bioreattori
Sono in genere costituiti da silos chiusi con il vantaggio di un controllo migliore degli odori ed una
notevole riduzione dei tempi di fermentazione. Alcuni hanno inoltre il vantaggio di poter lavorare a
ciclo continuo.
Bioreattore a tamburo: costituito da un cilindro rotante all’interno del quale viene inserito il
materiale. L’areazione è determinata dal ribaltamento del materiale all’interno del cilindro.
Negli impianti a ciclo continuo il cilindro è leggermente inclinato e il materiale avanza per gravità.
Difetti: la parte iniziale del cilindro è fredda, ciò genera difficoltà nell’avvio della reazione in
quanto il cilindro ruota a velocità costante senza possibilità di gestire il quantitativo di aria
immessa in funzione della temperatura del materiale organico.
Per ovviare a questo inconveniente una parte del prodotto in uscita può essere reintrodotta in
ingresso al fine di facilitare l’avvio della reazione.
Bioreattore a silos
Il materiale viene introdotto dall’alto in un cilindro chiuso all’interno del quale viene insufflata dal basso aria. Sul fondo è presente una coclea per facilitare l’uscita del materiale una volta completata la reazione, essa è utilizzata anche per il mescolamento del materiale all’interno. Difetti: Le pareti del contenitore sono piuttosto fredde e lì il materiale non raggiunge la temperatura adeguata. Si forma condensa sulle pareti che a lungo andare genera corrosione.
lucidi delle lezioni di Ingegneria Sanitaria Ambientale per Tecnici della Prevenzione Dott. Ing. Andrea Antonucci
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FINISSAGGIO
E’ la parte conclusiva del processo di produzione del compost da RSU.
Il materiale, finita la reazione chimica di maturazione deve essere ulteriormente trattato al fine di
eliminare eventuali sostanze indesiderate che sono ancora presenti nel cumulo.
Bioreattore Cumuli di compost
maturi
A questo punto il compost è impuro:
passa quindi attraverso un trituratore a cilindri controruotanti (cilindraia) oppure attraverso un molino a martelli al fine di ridurne ulteriormente le dimensioni.
Successivamente la polvere passa attraverso un vibrovaglio a due
piani. Il materiale più grossolano costituito in genere da plastica in
fogli e da materiale non fermentato ed il materiale finissimo costituito
in genere da vetro vengono eliminati. Il materiale di granulometria
media è costituito da compost più in genere qualche percentuale di
vetro e
materiale plastico piccolo.
Essi vengono eliminati grazie ad un ciclone oppure grazie ad un separatore ad urto (il compost
rimbalza meno rispetto al vetro).