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EMIGRANTI ITALIANI NEL MONDO
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PRESENTAZIONE DELL’ARGOMENTO
Oggi l'Italia è uno degli otto paesi più ricchi e avanzati del mondo, dal punto di vista sia
tecnologico che sociale, ma soprattutto è terra di fortissima immigrazione per le genti d'Africa e
d'Asia.
Fino agli anni '70, però, non era così: dall'Italia, piuttosto, partivano enormi flussi di braccianti e
di operai, che approdavano in ogni parte del mondo per cercare un posto dove stabilirsi e lavorare,
senza dover patire la fame.
Giunti a destinazione, questi uomini crearono delle vere e proprie comunità italiane all'estero,
che ancora oggi costituiscono un valido tramite tra il nostro paese e il resto del mondo per aver
perpetuato, nel proprio seno, dei modelli culturali di origine.
L'emigrazione, come fenomeno storico, è in realtà presente fin dai tempi più remoti, ma allora si
trattava piuttosto dello spostamento di piccoli gruppi.
Alla metà dell' ‘800, in coincidenza con la nascita della società di massa, essa, al contrario, è
diventata un allarmante problema per le sue spaventose proporzioni, come da indagini statistiche
riferibili all’epoca in questione.
Per quanto riguarda l'Italia, la prima grande ondata migratoria si ebbe a partire dal 1830,
allorquando piccoli gruppi di braccianti agricoli del Nord Italia (lombardi, veneti, piemontesi e
liguri) e coloro che si opponevano al predominio dei sovrani assoluti dell' ‘800 (rivendicando la
riunificazione e l'indipendenza della nazione italiana) si spostarono verso Sudamerica, Oceania e
Stati Uniti.
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Un illustre rappresentante di questo periodo fu Giuseppe Garibaldi, che emigrò in Brasile, ove
mise a frutto le tecniche di combattimento, già utilizzate nelle battaglie del Risorgimento italiano.
Ci furono, inoltre, altri protagonisti degni di essere ricordati: sei soldati di origine italiana che, al
seguito del generale Custer, sopravvissero al massacro di Little Big Horn e il giovane mazziniano
Raffaele Carboni, che capeggiò la più significativa rivolta dei minatori d'Australia del XIX secolo.
Gli emigranti di questo periodo fondarono numerose città (come Roseto negli Stati Uniti e Nova
Padova, Nova Milano e Nova Vicenza in Brasile) che si affermarono presto per la loro ricchezza
economica via via sempre più crescente.
Dal periodo post- unitario fino all'avvento del fascismo, ci fu una seconda ondata migratoria,
costituita, questa volta, da genti del Meridione che trovarono riparo dalla povertà negli Stati Uniti e
in Brasile; vi furono, tuttavia, anche dei rifugiati politici, per lo più anarchici, che optarono per un
esilio volontario.
I viaggi erano compiuti su vecchi bastimenti, nei quali erano stipate centinaia o migliaia di
persone, e duravano trenta o addirittura cinquanta giorni; le condizioni igieniche disumane che
contrassegnavano questi viaggi comportarono un'elevata mortalità.
Coloro che riuscivano ad arrivare a destinazione erano sottoposti, soprattutto negli Stati Uniti, a
visite mediche e controlli di polizia e addirittura alla quarantena, che si effettuava ad Ellis Island (un
isolotto beffardamente distante solo un braccio di mare dalla Statua della Libertà).
Sbarcati a terra, i nuovi venuti entravano in contatto direttamente con i padroni o con i loro
rappresentanti, per accedere a dei contratti di lavoro che imponevano spesso delle condizioni
decisamente vessatorie.
In Brasile, alcuni italiani sostituirono gli schiavi di colore nel lavoro agricolo delle fazendas , che
erano immense tenute agricole tipiche del luogo (si rammenta, infatti, che, con la cosiddetta Legge
del Ventre Libero del 1871, venne abolita la schiavitù), mentre altri lavorarono negli opifici laggiù
costruiti dai connazionali industriali.
I padroni, per evitare rivolte, presero addirittura a bruciare le lettere indirizzate dagli immigrati
alle proprie famiglie, affinché nessuno sapesse delle loro dure condizioni di vita.
La situazione degli italiani negli Stati Uniti non era molto differente: essi vivevano in quartieri-
ghetto (per es. Little Italy a New York), ove esercitavano mestieri umili e degradanti ed erano,
inoltre, molto spesso soggetti a persecuzioni razziali. Le donne, poi, erano considerate solamente alla
stregua di ottime balie, per via della loro costituzione fisica, e dovevano vivere in maniera
irreprensibile, secondo quelli che erano i principi dettati dai padroni; alcune di queste, più sfortunate,
finivano in fabbrica, dove venivano trattate come schiave.
Gli italo- americani presero lentamente coscienza della loro condizione di disagio e reagirono
consolidando la cultura e il patrimonio italiano ed implementando, dunque, il loro senso di
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appartenenza ad un’unica cultura madre: nacquero, a testimonianza di questo processo, numerosi
ristoranti italiani e negozi che vendevano prodotti tipici.
Molti italo-americani acquisirono onori e poteri, grazie ai commerci e alle speculazioni; a titolo
meramente esemplificativo ricordiamo: Zafferino Poli, noto impresario teatrale newyorchese e
proprietario di molte sale da teatro, che operò piccole fortunate speculazioni ai danni dell'industria
cinematografica Fox, Alfredo Giannini, che abilmente trasformò la piccola banca S. Francisco,
alimentata in origine dai risparmi dei suoi connazionali italiani, nell'attuale Bank of America e
Joseph Zeppa, magnate texano del petrolio.
Quanto alla politica, gli italo-americani furono maggiormente attivi tra la I e la II guerra
mondiale, periodo in cui si ebbe anche la massima ondata xenofoba verso di loro, culminata con
l'esecuzione di Giuseppe Sacco, calzolaio pugliese, e Bartolomeo Vanzetti, pescivendolo
piemontese, sospettati di anarchia, accusati ingiustamente di omicidio e riabilitati - dopo
cinquant'anni di polemiche ed una copiosissima letteratura sul caso giudiziario in questione -
soltanto nel 1977.
I politici italo- americani più famosi furono i due senatori Vito Marcantoni e Francesco Tresca e
l'ufficiale dell'esercito statunitense, nonché sindaco di New Jork negli anni Trenta, Fiorello La
Guardia.
Il periodo fascista, fino alla fine della seconda guerra mondiale, ha conosciuto due tipi
d'emigrazione molto particolari: la fuga verso gli Stati Uniti e gli altri paesi europei (soprattutto la
Francia) degli oppositori al regime di Mussolini o delle vittime di persecuzioni di Stato, come
intellettuali, anarchici, ricercatori, storici, artisti, politici antifascisti e ebrei e la colonizzazione delle
colonie d'Africa da parte delle “Fanterie Rurali dell'Impero” (famiglie di coloni inviate da Mussolini
e da Balbo in Libia, Eritrea, Etiopia e Somalia).
Tra i nomi celebri degli espatriati ricordiamo Arturo Toscanini, Enrico Fermi, Palmiro Togliatti,
Gaetano Salvemini e Don Luigi Sturzo.
In alcuni paesi, come ad esempio in Australia, gli italiani immigrati ed i loro discendenti furono
internati in appositi campi di detenzione, ove poterono, tuttavia, soggiornare in condizioni
abbastanza umane, mentre negli Stati Uniti fu data loro l'opportunità di scegliere tra i campi i
detenzione, gli arresti domiciliari o l'arruolamento (facendoli giurare fedeltà allo Stato che li aveva
accolti e combattere in Europa, se non addirittura in Italia).
Non mancarono casi in cui alcuni immigrati furono accusati di spionaggio a favore della
madrepatria, processati ed infine giustiziati tramite fucilazione o impiccagione.
Nelle file dell'esercito americano, ci furono personaggi divenuti in seguito molto famosi, come il
noto campione di baseball Joe Di Maggio e il padre della cinematografia moderna Frank Capra.
Il dopoguerra vide una massiccia emigrazione dall'Italia (per sfuggire alla miseria e alle
devastazioni del conflitto), un processo migratorio dalle terre perdute nel conflitto - Istria, Dalmazia,
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Carso, Venezia Giulia Orientale, Briga e Tenda - verso l'Italia e una fuga dalle ex colonie italiane
Etiopia e Eritrea.
In quest’ultimo contesto, si delinearono due nuove figure di donne nella società del tempo, ossia
le spose di guerra e le vedove bianche. Le prime erano donne italiane, sposate con militari americani
o inglesi, che avevano abbandonato l'Italia per seguire i mariti; le seconde erano donne sposate con
militari o civili italiani andati all'estero, i quali si erano poi creati delle nuove famiglie.
Gli emigranti di questo periodo andavano soprattutto in Australia, per lavorare nei giacimenti
d'opale, o nel Benelux (Belgio- Olanda- Lussemburgo) ove si dedicavano alle piantagioni delle
canne da zucchero, o, ancora, in Germania per andare a lavorare nelle miniere di carbone e nelle
fabbriche di automobili.
Il programma E.R.P ( European Recovery Program ), detto anche “Piano Marshall”, operato
dagli Stati Uniti per favorire la ricostruzione postbellica e per ottenere l'aiuto italiano nel bloccare
l'avanzata comunista in Europa, fece diminuire gradualmente il numero d'emigrati.
Grazie al miracolo economico, l'emigrazione si arrestò del tutto e venne favorito il rientro degli
ex coloni italiani in Somalia, dove dal 1970 ci fu la fine dell'amministrazione fiduciaria italiana, e
dalla Libia, dove sempre nello stesso anno ci fu la rivolta nazionale precedente al golpe del
colonnello Gheddafi.
Iniziò, anzi, la tendenza immigratoria tutt'oggi in atto ed i cui volumi di flusso tendono
continuamente a crescere in misura esponenziale.
Ignoto fotografo, Gruppo di emigranti friulani a Kitzbuel (Austria), 1906, collezione privata.
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LE CAUSE INTERNE DELLA GRANDE MIGRAZIONE
EUROPEA
L'enorme movimento migratorio, forse il più grande di tutti i tempi (più di 30 milioni di europei
emigrarono nelle Americhe nel corso dei tre quarti di secolo antecedenti la prima guerra mondiale),
fu una conseguenza dello sviluppo generale dell'economia capitalistica in America e in Europa.
L'emigrazione, infatti, fu fortemente stimolata, da un lato, dai massicci processi di
industrializzazione sempre più accelerata che si stavano attuando negli Stati Uniti e dalla possibilità
di colonizzare vastissime terre vergini negli Stati Uniti stessi, in Canada, in Argentina e in Brasile, e,
dall'altro lato, dall'eccedenza di manodopera verificatasi nei vari paesi d'Europa e riconducibile alla
rivoluzione demografica e all'entrata degli stessi paesi nell'area economica del capitalismo.
Il forte accrescimento demografico e il movimento emigratorio ebbero, tuttavia, una durata
diversa nei vari paesi.
Si può affermare, in linea generale, che, nei paesi che compirono il decollo industriale negli
ultimi decenni dell’Ottocento, il forte incremento demografico e l’emigrazione furono fenomeni
tipici della fase di passaggio da una struttura prevalentemente agricola ad una prevalentemente
industriale e che l’emigrazione si esaurì quasi del tutto quando l’industrializzazione giunse ad un
livello tale da determinare un forte assorbimento di manodopera e, poi, una notevole diminuzione del
quoziente di natalità; nei paesi che hanno avuto uno sviluppo industriale tardivo e insufficiente,
invece, il forte incremento demografico è continuato molto più a lungo e così pure l’emigrazione
(che in parecchi di essi ha tuttora dimensioni assai notevoli).
L’Italia appartiene sostanzialmente a questo secondo gruppo di paesi, sebbene presenti taluni
caratteri particolari, che l’avvicinano ai paesi del primo gruppo.
Per valutare con chiarezza questi caratteri si deve anzitutto ricordare che, già al momento
dell'Unità, l’Italia soffriva di un certo squilibrio riconducibile ad un’alta densità popolativa in
rapporto alle risorse relativamente limitate della sua economia (ancora prevalentemente agricola e
nel complesso arretrata).
Da questa dissonanza, oltre che da altre peculiari circostanze di carattere locale, muoveva una
cospicua emigrazione temporanea di lavoratori (carpentieri, scalpellini, muratori, ecc.) - provenienti
soprattutto dalle zone alpine e prealpine - verso la Francia, la Svizzera ed i paesi dell’Europa
centrale; a questa emigrazione, essenzialmente stagionale e ormai di tradizioni secolari, si aggiunse -
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nei trenta o quarant’anni precedenti l’Unità - una più limitata emigrazione permanente, che indusse
la formazione di nuclei abbastanza consistenti di emigrati italiani in Francia, in Tunisia, in Egitto, in
Argentina e nell'Uruguay.
Sulla scia di queste vecchie correnti, l’emigrazione si intensificò intorno al ’70, allorquando
cominciarono a partire gruppi di lavoratori dalle zone montuose e più povere del Mezzogiorno
continentale, e, più ancora, dopo l’80, quando l’accentuarsi dell’incremento demografico coincise
con la crisi agraria: si mossero, in questo ultimo periodo, emigranti un po’ da tutte le regioni
(soprattutto da quelle meridionali e dal Veneto) ed ebbe un forte impulso, come peraltro già sopra
accennato, l’emigrazione transoceanica, che si implementò ancor più negli anni tra l’87 e il ’95,
caratterizzati da una grave crisi economica generale.
Questi fatti possono essere considerati fisiologici e notevolmente positivi in un paese con una
popolazione fitta e crescente e che stava cercando faticosamente di superare la sua arretratezza.
Questo processo migratorio si intensificò dopo il '95, raggiungendo proporzioni addirittura
gigantesche (una media annua di 615.980 espatri) nel periodo 1900-1914.
L’emigrazione divenne, insomma, un elemento essenziale dell'equilibrio economico-sociale
italiano proprio nel periodo in cui si verificò il decollo industriale dell'Italia nord-occidentale e
rimase, da allora in poi, una condizione necessaria (data la situazione di squilibrio tra il Nord e il
Sud dell'Italia, ancora oggi non superata) dello sviluppo economico italiano.
EMIGRANTI ITALIANI
a) la crisi nelle campagne
Il processo di industrializzazione, estesosi progressivamente dall'Inghilterra al continente
europeo nel corso del XIX secolo, si insedia in Italia tardivamente e con dei tratti di incertezza. In un
paese, quale l’Italia, rimasto fortemente contadino, il perdurare di una diminuzione dei prezzi
agricoli sul mercato mondiale e la politica dei dazi doganali costituiscono elementi di forte criticità
per migliaia di agricoltori.
In complesso, tra il 1875 e il 1920, oltre cinque milioni di persone vengono sostanzialmente
allontanate dalle campagne e si muovono per andare alla ventura verso paesi lontanissimi,
soprattutto le due Americhe.
Quando il governo italiano introduce i dazi doganali sulle importazioni, ne consegue un grande
vantaggio per gli industriali e gli agrari italiani, perchè ora possono finalmente vendere i loro
prodotti a prezzi elevati, senza più temere la concorrenza dei prodotti stranieri, meno costosi. A farne
le spese sono, però, gli agricoltori che esportavano prevalentemente in Francia i loro agrumi e
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prodotti ortofrutticoli. Quando, infatti, la Francia risponde ai dazi doganali italiani introducendone a
sua volta, questi agricoltori cadono irrimediabilmente in miseria a migliaia.
b) l' emigrazione estera
Prima fase migratoria: 1861-1900
Nella storia dell'emigrazione italiana dei primi sessant'anni dopo l'Unità, si possono distinguere
due periodi. La prima fase, che giunge grosso modo fino alla fine dell'Ottocento, è caratterizzata da
un forte flusso migratorio dalle regioni settentrionali.
Tra i paesi di destinazione, l'America settentrionale (in particolare gli Stati Uniti) occupa una
posizione di rilievo, ma non esclusiva. Altrettanti emigranti sono attirati dai grandi paesi del sud,
Brasile e Argentina.
La scelta tra le aree di destinazione – America settentrionale ovvero Brasile ed Argentina - è una
scelta, rispettivamente, tra la prospettiva di un radicale e brusco cambiamento di vita e quella di un
lavoro e una collocazione sociale simili a quelli lasciati in patria.
Emigranti italiani in Nordamerica
Gli italiani emigrati nell'America settentrionale si inserivano in un paese fortemente urbanizzato
e si avviavano ad attività lavorative di tipo industriale (in genere dequalificate) o alla costruzione di
strade e ferrovie, raramente al lavoro agricolo.
Il flusso dall'Italia settentrionale - così come quello tedesco, scandinavo e britannico - proviene
da paesi dove è in corso una rivoluzione industriale e un' intensa trasformazione sociale: si tratta di
un'immigrazione relativamente colta e qualificata dal punto di vista lavorativo, i cui costumi
differivano poco da quelli "americani", cioè da quella cultura di origine britannica che era stata
introiettata dalla maggioranza della popolazione statunitense.
Emigranti italiani in Sudamerica
L'emigrazione in Sudamerica, in particolare in Brasile, andava spesso a collocarsi nell’ambito
dell'agricoltura, in molti casi arrivando a fondare delle aziende indipendenti.
L'emigrazione veneta in America latina arriva a produrre un fenomeno unico: le cosiddette
golondrinas, (rondinelle) che, a partire dagli anni Novanta, sfruttando l'inversione delle stagioni nei
due emisferi, si muovevano da ottobre a marzo per i raccolti e soprattutto per la mietitura.
Ogni emigrante tendeva ad andare là dove sapeva di poter trovare parenti, amici o conoscenti,
presso i quali poteva sperare in un aiuto.
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Tra aree di partenza e aree di destinazione si stabilivano dei nessi privilegiati, così gli emigranti
dalla zona di Bassano, nel Veneto, tendevano a emigrare in Brasile, in particolare nell'area nota
appunto come "Nuova Bassano", quelli di molti villaggi liguri, in California, e così via.
Seconda fase migratoria:1900-1950
La seconda fase della storia dell'emigrazione italiana inizia all'incirca con il nuovo secolo ed è
caratterizzata da un semplice mutamento: quanto alle aree di partenza, le regioni meridionali e,
prima fra tutte, la Sicilia, acquistano un ruolo predominante (si realizza così, all'interno del nostro
paese, quella generale tendenza della demografia europea a delimitare sempre più a sud e ad est le
aree di partenza degli emigranti transoceanici); quanto alle aree di destinazione, gli Stati Uniti
rappresentano la meta quasi esclusiva.
Migranti meridionali: le caratteristiche
Tale "nuova immigrazione" è perlopiù costituita da analfabeti, da contadini sradicati dalla terra,
da poveri e, in generale, da soggetti portatori di una cultura radicalmente diversa da quella
"americana".
E’ un'emigrazione in larghissima prevalenza maschile e adulta (donne e bambini, cioè, restavano
in Italia), con una percentuale di rimpatri straordinariamente elevata (quasi uno su tre), dedita ai
lavori di tipo operaio, poco o per nulla qualificato (scarsissimi sono gli emigranti che si dedicano ad
attività rurali) e che destina gran parte dei suoi magri guadagni, spesso oltre la metà, alla famiglia
rimasta in Italia.
La rappresentazione interiore delle loro aspettative non era (come era avvenuto per gli irlandesi o
per gli emigranti settentrionali che li avevano preceduti e come avveniva ancora per gli ebrei
dell'Europa orientale) il puro e semplice abbandono della propria terra incapace di mantenerli, bensì
il guadagno, con l'emigrazione, di denaro sufficiente a comprare della terra in paese, al fine, dunque,
di mutare la propria condizione nel paese d'origine.
Si inserisce in quest’ottica l'incredibile flusso di "rimesse", di denaro, cioè, inviato in patria dagli
emigranti. L'emigrazione di massa, proprio per il flusso di una simile quantità di denaro dall'estero,
costituiva una risorsa privilegiata per l'economia italiana, tale da consentire al Paese di acquistare
materie prime e di fronteggiare il pagamento dei debiti internazionali.
La classe dirigente italiana ha compreso solamente molto tempo dopo quanto quei vantaggi
immediati siano stati poi pagati con il decadimento economico di intere aree, oltre che naturalmente
con tragedie e sofferenze personali e collettive quasi paragonabili a quelle provocate da una guerra.
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Gran parte delle forze politiche dominanti era nettamente favorevole all'emigrazione di massa
anche perché fungeva da valvola di sfogo laddove le tensioni sociali rischiavano di divenire
ingovernabili, in particolare nell'Italia meridionale.
Atteggiamenti razzisti negli Stati Uniti
Molti americani percepiscono i meridionali italiani come l’emblema della "nuova immigrazione"
meridionale ed orientale (russi, slavi del sud, greci).
Al fine di apportare una spiegazione "scientifica" - cioè biologico-razziale - alle evidenti
differenze culturali ed economiche tra le due aree di provenienza degli emigranti italiani (e, quindi,
tra il nord e il sud del nostro paese), sociologi e governo americani sentono il bisogno di ricondurre
gli immigranti italiani a due ceppi diversi : "celtici" (i settentrionali, visti come similari agli irlandesi
e ai francesi) ed "iberici" (i meridionali, ascrivibili, per affinità, ai portoghesi e agli spagnoli).
Per spiegare le differenze di cultura e di comportamento tra gli italiani del nord e del sud
emigrati negli Stati Uniti, anzichè ricorrere a simili assurde categorie pseudo-scientifiche, sarebbe
bastato conoscere la diversa situazione economica delle diverse regioni italiane ed il diverso
atteggiamento che, prima dell'unificazione (ma anche dopo di questa), il potere politico aveva ivi
tenuto, soprattutto con riguardo all'istruzione ed alle dinamiche sociali delle campagne.
La chiusura delle frontiere americane
Con due leggi, una del 1921 e l'altra, ancora più restrittiva, del 1924, gli USA chiudono le
frontiere all'immigrazione.
La campagna anti-immigrazionista muove soprattutto dalla convinzione in base alla quale
l'afflusso di immigranti dall'Europa meridionale ed orientale ha una ricaduta negativa sul paese, sia
dal punto di vista razziale (in quanto sarebbe accresciuto il peso sociale delle "razze inferiori"
rispetto a quello delle “superiori”, in particolare delle "anglosassoni"), sia dal punto di vista
economico (i "nuovi immigranti" erano considerati meno produttivi e più tendenti a farsi mantenere
dalla collettività di quanto fossero stati i loro predecessori).
Si poneva, in questo modo, fine a quella che era stata la massima valvola di sfogo, per oltre un
secolo, degli squilibri demografici europei.
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L’ideale e le immagini della realtà
Nel 1921 anno in cui fu varato l’Immigration Act, legge che limitava
l’immigrazione soprattutto italiana e cinese, la statua della libertà montava
ancora la guardia del porto di New York, il suo faro era ancora tenuto
orgogliosamente alto; non era ancora cancellata l’iscrizione sul suo piedestallo
che così recitava:
Give me your tired, your poor,
Your huddled masses yearning to breathe free,
The wretched refuse of your teeming shore,
Send these, the homeless, tempest-tost to me:
I lift lamp beside the golden door
(Datemi gente affaticata, la gente povera,
le vostre masse confuse, ansiose di respirare liberamente,
I disgraziati rifiuti delle vostre prolifiche sponde,
Mandateli, i senza tetto, i percossi, gli angariati, a me: Innalzo la mia pace accanto alla porta d’oro.)
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LA GEOGRAFIA DELL’EMIGRANTE ITALIANO
Dai primi anni dell'unificazione nazionale, le migrazioni verso l'estero rappresentarono, per un
lungo periodo, un fenomeno strutturalmente connesso all'evoluzione demografica, economica e
sociale del regno, consentendo la sopravvivenza stessa degli individui e delle famiglie, resa
problematica dalla drastica riduzione delle opportunità occupazionali venutasi a creare in seguito
allo squilibrio fra crescita demografica e sviluppo economico.
Il processo di transizione demografica si trovava ancora, nell’Italia degli ultimi decenni
dell’Ottocento, nella sua prima fase: alla diminuzione della mortalità non aveva ancora fatto seguito
una contrazione della natalità, con un conseguente elevato incremento naturale della popolazione.
Le trasformazioni delle strutture produttive e, in particolar modo, lo sviluppo tecnologico nel
settore agricolo e in quello industriale determinarono, nel contempo, dei significativi scollamenti fra
settori produttivi, fra classi sociali, fra aree territoriali, inducendo la scomparsa di vecchie
professioni ed un'eccedenza di manodopera.
Dal punto di vista quantitativo il fenomeno assunse dimensioni notevoli. Si stima, infatti, che -
fra il 1876, anno in cui si cominciarono a rilevare ufficialmente i dati, ed il 1985 - circa 26,5 milioni
di persone lasciarono il territorio nazionale.
Con riguardo al citato periodo, i flussi annui di emigrati ebbero andamenti significativamente e
notevolmente diversi: gli anni in cui si verificò la massima espansione dei flussi migratori furono
quelli compresi fra gli ultimi decenni della fine del secolo e la prima guerra mondiale (quasi 14
milioni di espatri).
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La rilevanza del fenomeno migratorio rese necessaria - agli inizi del Novecento - l'istituzione del
Commissariato generale dell'emigrazione, precipuamente deputato alla regolamentazione dei flussi
ed alla tutela degli emigrati.
L'emigrazione riprese intensamente negli anni seguenti il conflitto, assumendo dei valori ancora
sensibilmente elevati, seppur trattandosi di un fenomeno di breve durata.
Dalla seconda metà degli anni venti, infatti, gli espatri diminuirono progressivamente a fronte
delle restrizioni all'immigrazione disposte dagli Stati Uniti e della politica antiemigratoria del
governo fascista.
Il flusso di migrazioni riprese nuovamente consistenza dopo la seconda guerra mondiale,
mantenendo una misura di intensità costante fino alla metà degli anni sessanta.
Il fenomeno, in quest'ultima fase, pur non raggiungendo i livelli dell'inizio del secolo, ebbe
comunque un’incidenza ancora relativamente forte.
L'emigrazione non riguardò contemporaneamente e in eguale misura tutti i territori dello stato
italiano, ma nel corso del tempo furono diverse le aree di provenienza e l'entità dei flussi. Da un
punto di vista temporale furono le regioni del nord le prime ad essere interessate dal fenomeno, in
quanto, essendo queste le zone economicamente più ricche, furono le prime a risentire degli squilibri
legati allo sviluppo industriale; sotto un profilo quantitativo, fu dai territori del nordest (Triveneto ed
Emilia-Romagna) e da quelli del mezzogiorno (isole comprese) che partirono i flussi più consistenti
di popolazione.
Il ritardo dell'emigrazione meridionale rispetto a quella del nord è verosimilmente riconducibile
ad un coinvolgimento più graduale nei processi oltre che ad una generale minore disponibilità di
denaro indispensabile per intraprendere quei lunghi e costosi viaggi.
L'esodo di massa dal sud, verso la fine dell'Ottocento, era soggetto alla sinergia delle due
seguenti variabili: un aumento della domanda di manodopera specializzata da parte degli Stati Uniti
(che, senza dubbio, agì come fattore di richiamo) e la ristrutturazione dei trasporti marittimi a Napoli
e, in un secondo tempo, a Palermo (ove si dette un iniziale corso alla navigazione a vapore, che
comportava una considerevole riduzione dei tempi e dei costi dei viaggi).
Relativamente alle destinazioni delle correnti migratorie, fra il 1876 e il 1885, l'Europa centrale
costituì la meta principale (circa il 64% del totale degli espatri): in particolare la Francia, la Svizzera
e, in minor misura, l'Austria-Ungheria e la Germania. Dal 1885 fino agli anni seguenti la prima
guerra mondiale, si preferirono le destinazioni transoceaniche (rappresentate soprattutto da Brasile,
Argentina e Stati Uniti).
Negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale, l'emigrazione continentale
(prevalentemente diretta verso la Francia) tese nuovamente a superare quella transoceanica, anche
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perché, come si è già avuto modo di accennare, quest'ultima risentì dell'effetto delle leggi restrittive
emanate da alcuni paesi di immigrazione (in particolar modo dagli Stati Uniti).
Tra la fine del secondo conflitto mondiale e la prima metà degli anni cinquanta, i flussi migratori
si diressero in misura pressochè paritaria verso i paesi europei (primo, fra tutti, la Germania
occidentale) e verso le nazioni extraeuropee (l'Australia, in particolare), per poi orientarsi, negli anni
seguenti, prevalentemente verso il mercato di lavoro europeo.
EMIGRANTI ITALIANI IN 140 ANNI
Anni Tot.
Emigrati Uomini Donne Rimpatriati Saldo + o -
1861-1870 1.210.000 1.008.000 202.000 non noti - 1.210.000
1871-1875 585.000 525.000 60.000 non noti - 585.000
1876-1880 544.000 464.000 80.000 non noti - 544.000
1881-1885 771.000 654.000 117.000 non noti - 771.000
1886-1890 1.110.000 871.000 239.000 non noti - 1.110.000
1891-1895 1.283.000 989.000 294.000 non noti - 1.283.000
1896-1900 1.552.000 1.240.000 312.000 non noti - 1.552.000
1901-1905 2.770.000 2.287.000 473.000 544.000 - 2.226.000
1906-1910 3.256.000 2.658.000 598.000 1.000.000 - 2.256.000
1911-1915 2.743.000 2.198.000 545.000 976.000 - 1.766.000
1916-1920 1.085.000 718.000 367.000 233.000 - 852.000
1921-1925 1.516.000 1.076.000 440.000 137.000 - 1.379.000
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1926-1930 1.061.000 776.000 285.000 685.000 - 376.000
1931-1935 458.000 278.000 180.000 535.000 + 77.000
1936-1940 421.000 314.000 107.000 535.000 + 114.000
1941-1945 250.000 242.000 8.000 230.000 - 20.000
1946-1950 1.128.000 713.000 415.000 455.000 - 673.000
1951-1955 1.366.000 927.000 439.000 660.000 - 706.000
1956-1960 1.739.000 1.275.000 464.000 917.000 - 822.000
1961-1965 1.556.000 1.221.000 335.000 1.043.000 - 513.000
1965-1970 1.078.000 747.000 329.000 820.000 - 258.000
1971-1975 637.000 439.000 198.000 600.000 - 37.000
1976-1980 502.000 346.000 155.000 490.000 - 12.000
1981-1985 415.000 287.000 128.000 415.000 00 (fine di
un'epoca) TOTALI 29.036.000 22.253.000 6.780.000. 10.275.000 18.761.000
Considerazioni a margine:
1) Oltre alle perdite di popolazione effettiva sul territorio, è opportuno tenere in debita
considerazione anche i danni riconducibili al significativo dislivello di genere (cioè: tra maschi e
femmine) creatosi nella popolazione rimasta: fino al 1925 la popolazione emigrante era composta
dall'85% di maschi e dal 15% di femmine e, solo negli ultimi decenni, dette percentuali si
assestarono, rispettivamente, nella misura del 65% e del 35%.
2) L'età media dell'emigrante tipo si attestava nella fascia compresa tra i 16 ed i 45 anni; fino al
1950, gli emigranti avevano la condizione di celibe nel 90% dei casi. Dopo il 1950 questa
percentuale di non sposati scende al 78% (questo dato va letto così: il 22 % si recava a lavorare
all'estero, soprattutto nei Paesi Nord-Europei, pur avendo famiglia in Italia).
3) Con riguardo ai dati appena esposti, è possibile rilevare che in Italia c’erano delle folte schiere
di nubili e che i matrimoni mancati hanno prodotto un significativo decremento di natalità sul
territorio nazionale, fattori, questi ultimi, che hanno contribuito in grande misura a far diventare
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(come media, ovviamente) vecchia la popolazione residente e non solo la popolazione è invecchiata,
ma sono venute a mancare anche le generazioni di giovani che a milioni erano emigrati.
Si registrerà un analogo fenomeno a livello interno, allorquando le migrazioni del Sud verso
Nord determinarono un repentino invecchiamento della popolazione meridionale (dal 1985 in avanti
si avviano dei processi connotati da una tendenza inversa).
Nel sud Italia mancano all’appello circa 5 milioni di soggetti nati negli anni 1920-1940, i quali si
erano trasferiti al nord (e che, diversamente, sarebbero potuti invecchiare nel loro paese d’origine).
Le mani di aiuto tese dalle aree industriali del nord hanno indotto - negli anni '50 e '60 –
l’emigrazione delle giovani popolazioni meridionali e adesso se ne registrano i danni, sotto forma di
invecchiamento nella popolazione settentrionale (con tutte le conseguenze negative che si possono
intuitivamente dedurre).
4) Un altro aspetto sconosciuto alla maggior parte degli italiani di oggi è l'appartenenza regionale
degli emigranti, pregiudizialmente considerati invariabilmente tutti provenienti dal Sud. Dobbiamo
rammentare, invece, che - fino agli anni 1880 - l'80% degli emigranti era del Nord, il 7% del Centro
e solo il 13 % del Sud. Dal 1880 e fino al 1925, dei 16.630.000 partiti per l'estero, il 50 % era del
Nord con 8.308.000 (di cui 3.632.000 Veneti), 1.1819.000 (11%) del Centro e 6.503.000 (39%)
provenivano dal Sud.
5) Da non dimenticare, inoltre, che circa il 90 % degli emigranti del primo periodo era analfabeta
e questi, al loro arrivo alle frontiere, venivano subito individuati dal famigerato e umiliante
"Passaporto Rosso" che inevitabilmente li avviava ad manovalanza non qualificata da prestare in
lavori umili. Nel successivo periodo – 1950/1970 – il livello di scolarizzazione era più elevato,
sebbene l'analfabetizzazione rimaneva comunque sempre a livelli oscillanti fra il 60 e il 75 %
(sopratutto negli emigranti del Sud e del Veneto).
6) Occorre ricordare la seguente punta dolente: la disumana ed umiliante legge varata il 19
ottobre 1945. Questa regolamentava un'intesa tra il governo italiano e quello belga, in base alla quale
quest’ultimo si impegnava a dare all'Italia 24 quintali di carbone all'anno per ogni italiano che si
recava a lavorare nelle sue miniere, dove nessun belga voleva più scendere. Con il successivo
accordo del 23 giugno del 1946, venne addirittura sottoscritto l'impegno per favorire l'invio in Belgio
di 50.000 italiani. Il contingente necessario per questo scambio uomini-carbone, fu quasi
interamente messo insieme nella popolazione Veneta (solo dal territorio vicentino partirono circa
23.000 uomini!). Gli emigranti italiani andarono a lavorare nelle miniere di Marcinelle a Charleroi,
affinchè potessimo avere carbone per le nostre acciaierie (le quali dettero vita, entro breve tempo, al
cosiddetto “boom" (!) italiano). Non sarebbe tanto azzardato ipotizzare che ogni auto o ogni
elettrodomestico bianco prodotto negli anni del "miracolo" (!?) aveva dietro un pezzo di carbone
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bagnato dal nero sudore di un veneto e - in certe circostanze drammatiche (una per tutte: Marcinelle,
8 Agosto 1956, 262 minatori italiani soffocati nella miniera) - anche dal suo sangue. Non possiamo e
non dobbiamo dimenticare tutto questo!
7) Veniamo adesso ai dati relativi al periodo del ventennio di Mussolini: per la prima volta
registriamo un saldo non solo a pari, ma, in alcuni periodi, addirittura positivo.
L’economia italiana di quel periodo, infatti, non solo riduceva e tamponava l'emorragia delle
giovani forze lavoro verso l'estero, ma fece in modo, in pochissimi anni, di far rientrare molti di
quelli che prima erano emigrati in cerca di un lavoro.
Venne emanata anche una legge che regolamentava l'emigrazione interna (in base a detta
normativa, chi non avesse una casa e un lavoro non poteva fare il vagabondo o il disoccupato in
un'altra città della nostra penisola). Tale legge fu abolita solamente il 10 febbraio 1961.
Italiani al lavoro nelle miniere del Belgio
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CRONOLOGIA
1871 - Primo censimento degli italiani all'estero. Leone Carpi pubblica il Saggio sull'emigrazione
italiana.
1875 - Fondazione della Società per il Patronato degli Emigranti Italiani.
1876 - Pubblicazione della prima statistica dell'emigrazione ad opera della Direzione Generale di
Statistica. Il ministro Finali propone una legge, non approvata, di disciplina e tutela
dell'emigrazione.
1877 - Firma del Trattato commerciale con la Francia.
1878 - Presentazione di due progetti di legge DelGiudice, Minghetti, Luzzati per frenare
l'emigrazione.
1882 - Progetto di legge di Pubblica Sicurezza sull'emigrazione.
1885 - Gli Stati Uniti varano una legge che proibisce l'ingresso di immigrati con contratti di lavoro
già siglati.
1887 - Introduzione in Italia della nuova tariffa doganale protezionistica. Scalabrini fonda la
Congregazione Missionaria per gli emigrati.
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1888 - Decreto presidenziale francese relativo all'obbligo della dichiarazione di residenza in Francia
per tutti gli stranieri. La Camera approva la legge Crispi sull'emigrazione (legge n. 5877
del 30 dicembre).
1898 - Una legge francese permette agli stranieri di partecipare alle Società di Mutuo Soccorso.
1900 - Il vescovo di Cremona, Geremia Bonomelli, istitutisce l'Opera di assistenza degli operai
emigrati in Europa e nel Levante.
1901 - Legge Luzzati sull'emigrazione (n. 23 del 31 gennaio) e istituzione del Commissariato
Generale dell'emigrazione.
1902 - Pubblicazione del Bollettino dell'emigrazione.
1904 - Istituzione del Consorzio dell'emigrazione temporanea in Europa.
1907 - Accordo di Stoccarda: i lavoratori edili italiani possono iscriversi alle organizzazioni
sindacali tedesche.
1908 - Primo Congresso degli italiani all'estero.
1910 - Legge n. 538 per la riorganizzazione del Commissariato generale dell'emigrazione.
1911 - Secondo Congresso degli italiani all'estero.
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La politica e gli emigranti
Se per i poveri emigrare era una necessità, i ceti dirigenti considerarono il fenomeno migratorio
un'autentica calamità. I proprietari terrieri, in particolare, vi vedevano sia il rischio di una
diminuzione di manodopera e di una rottura dei patti colonici, sia il pericolo di un crollo
demografico che avrebbe conseguentemente aumentato i salari agricoli.
Si può affermare, in generale, che a una più netta opposizione della proprietà terriera meridionale
fece da contrappeso una più favorevole posizione dei settentrionali, soprattutto del mondo
imprenditoriale (più attento ai benefici derivanti dalla libera circolazione della popolazione).
Furono, in effetti, favorevoli all'emigrazione non solo gli armatori, per intuibili interessi
economici diretti, ma anche gli industriali manifatturieri e gli impresari in genere.
In alcune circostanze, per esempio durante e dopo l'esplosione delle lotte bracciantili seguita alla
crisi agraria, gli stessi agrari, pur avversando l'emigrazione in quanto responsabile dell'aumento dei
salari, videro con favore uno sfoltimento della forza lavoro; l'emigrazione in quei casi diventava una
insostituibile valvola di sfogo economico e un mezzo per il controllo sociale.
La stessa diversità di valutazione si ritrova nelle posizioni ufficiali delle forze politiche del
tempo: opinioni favorevoli e sfavorevoli si fronteggiarono fino alla fine del secolo tanto all'interno
della destra storica, naturale portavoce degli interessi della proprietà fondiaria, quanto fra le file della
sinistra.
I socialisti, per esempio, espressero spesso un giudizio severo poiché vedevano nell'emigrazione
un mezzo attraverso il quale i contadini inseguivano quel sogno della proprietà privata e individuale
della terra che essi invece avversavano. Consideravano, inoltre l'espatrio una conseguenza
dell'incapacità di dar vita a un'organizzazione di classe e di modificare così la realtà sociale e politica
dalla quale gli emigrati fuggivano.
Anche i gruppi cattolici temevano l'emigrazione per ragioni etiche e di controllo sociale:
l'additavano sia come occasione di alcolismo, di dissolutezza, di adulterio e, quindi, di dissoluzione
dell'istituzione familiare, sia come fattore che consentiva all'emigrante di poter entrare in contatto
con le idee socialiste e anarchiche.
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Fino al varo della prima legge sull'emigrazione, che avvenne nel 1888, prevalse un
atteggiamento di diffidenza, puntualmente recepito dall'ordinamento legislativo e dai provvedimenti
amministrativi. Varie circolari, emanate nel corso degli anni settanta, documentano un atteggiamento
ostile basato su considerazioni economiche (aumento dei salari) ed etico-morali (dissoluzione della
famiglia e dei valori cristiani). L'emigrante era addirittura considerato un soggetto "pericoloso",
tant’è che il controllo dei suoi movimenti rientrava in una specifica normativa poliziesca di controllo
dell'ordine pubblico.
La grande emigrazione, a partire dal 1888, venne ufficialmente istituzionalizzata in una
legislazione che – quanto alle politiche migratorie - allineò l'Italia al resto d'Europa. La legge
riconobbe per la prima volta la libertà di emigrare ed attribuì agli agenti e ai subagenti il diritto di
reclutare gli emigranti, ma non prevedeva un intervento diretto delle forze governative, al fine di
tutelare gli emigranti stessi, con provvedimenti e istituzioni di assistenza.
Prevalse, negli anni successivi, il fronte unitario di quelli che vedevano nell'emigrazione una
valvola di sfogo nei momenti di conflittualità sociale ed una risorsa economica (costituita dalle
rimesse).
Il Parlamento approvò, con la legge del 1901, un intervento organico destinato a riflettersi su
tutta la legislazione successiva.
Detta legge, in primo luogo, introdusse dei presidii di tutela nei momenti iniziali della partenza e
del viaggio, vietando l'attività degli agenti, sostituiti dai 'vettori' (ossia gli armatori o i noleggiatori).
Al fine di meglio coordinare le attività di difesa e di tutela dell'emigrante, il fenomeno migratorio
fu classificato nelle due categorie di emigrazione continentale e tansoceanica.
Venne costituito un Commissariato dell'emigrazione, organismo tecnico dipendente dal
Ministero degli Esteri, ma dotato di autonomia finanziaria e del potere di varare una propria
legislazione e normativa.
Il Commissariato promosse, attraverso l'attività dei Consoli, inchieste e rilevazioni sulle
comunità degli italiani all'estero, che si affiancarono a quelle effettuate dalla Direzione Generale
della Statistica. I risultati di quelle indagini vennero regolarmente pubblicati nel Bollettino
dell'emigrazione, l'organo di stampa del Commissariato.
I risultati furono inferiori alle attese. L'organizzazione consolare, affidata ad una rappresentanza
diplomatica di estrazione sociale prevalentemente aristocratica, si dimostrò incapace di comprendere
le condizioni e i problemi degli emigranti. Vi era, inoltre, un’assoluta mancanza di interventi di
tutela nei paesi di arrivo: la legge non era riuscita a realizzare, infatti, alcuna forma di negoziazione e
alcun accordo che agevolasse l'inserimento della manodopera immigrata nei mercati del lavoro
esteri.
La legge dette comunque corso ad altri interventi assistenziali e di tutela che furono delegati ad
associazioni private, sia laiche che religiose.
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La Chiesa, d’altronde, si era attivata già a partire dagli anni settanta: la Società di San Raffaele,
promossa da monsignor Scalabrini, vescovo di Piacenza, si era posta come primo obiettivo quello di
seguire gli emigranti transoceanici per evitarne la "scristianizzazione"; gli "scalabriniani" si
occupavano dell'emigrante difendendolo dalla rapacità delle compagnie di navigazione e degli
intermediari al momento dell'imbarco, aiutandolo ad integrarsi nelle città e nelle campagne del paese
di arrivo e supportandolo nella ricerca attiva di un’occupazione lavorativa; un'altra istituzione
cattolica, l'Opera per gli emigranti nell'Europa e nel Levante, fondata da monsignor Bonomelli nel
1900, si adoprava a beneficio dell’emigrazione continentale e temporanea. Nell'Opera Bonomelli,
così come nella Società Scalabriniana, è evidente un comune intento di mantenere la fedeltà alla
chiesa combattendo la laicizzazione.
Anche le forze laiche e socialiste costituirono le loro Società assistenziali, la più importante delle
quali fu certamente la Società Umanitaria di Milano, che predispose una rete periferica di segretariati
dislocati strategicamente nelle aree di più intensa emigrazione temporanea. Applicando i propri
programmi pedagogico-educativi di solidarietà, l'Umanitaria cercava di favorire l'integrazione
dell'emigrante.
La scelta di intervenire soprattutto in favore dell'emigrazione temporanea muoveva dalla
considerazione che questa fosse, grazie alla sua composizione prevalentemente operaia, più
permeabile agli ideali del socialismo.
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In navigazione verso l'odio
Nella foto Farabola, emigranti a bordo del "Principe di Udine" nel 1926. Alcuni avrebbero fatto
fortuna, molti no. Tutti sarebbero stati accolti, in Australia come negli Usa, da forti ostilità. Un
giornale di Melbourne del 1925 dedicato agli italiani, in gran parte veneti e piemontesi, titolava:
"L'invasione delle pelli-oliva".
I NOMIGNOLI
ABIS: rospi (Francia, fine Ottocento);
BACICHA: baciccia (Argentina, dal personaggio al centro della commedia e delle barzellette
genovesi: allegro, divertente, sempliciotto ma capace anche di fare il furbetto);
BAT: pipistrello (diffuso in certe zone degli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento e ripreso dal giornale
“Harper’s Weekly” per spiegare come molti americani vedessero gli italiani “mezzi bianchi e mezzi
negri”);
BLACK DAGO: dago negro (Louisiana e stati confinanti, fine Ottocento, per sottolineare come più
ancora degli altri dagoes - vedi definizione - gli italiani fossero simili ai negri);
BOLANDERSCHLUGGER: inghiotti-polenta (Basilea e Svizzera tedesca).
ARCAMANO: furbone, quello che calca la mano sul peso della bilancia (diffusissimo in
Brasile);
CHIANTI: ubriacone (Usa, con un chiaro riferimento al vino toscano che per gli americani
rappresentava tutti i vini rossi italiani, chiamati dago red);
CHRISTOS: cristi (Francia, fine Ottocento: probabilmente perché i nostri erano visti come dei gran
bestemmiatori);
CINCALI: cinquaioli (dialetto svizzero tedesco, dalla fine dell’Ottocento: cincali equivaleva a
tschingge, dal suono che faceva alle orecchie elvetiche il grido cinq! lanciato dagli italiani quando
giocavano alla morra, allora diffusissima. La variante caiba cincali! - luridi cinquaioli - fu quella
urlata dagli assassini di Attilio Tonola);
CRISPY: suddito di Crispi (Francia, seconda metà dell’Ottocento, dovuto a Francesco Crispi,
disprezzato dai francesi, ma il gioco di parole era con grisbi, ladro).
AGO: è forse il più diffuso e insultante dei nomignoli ostili nei paesi anglosassoni, vale per tutti i
latini, ma soprattutto per gli italiani e l’etimologia è varia. C’è chi dice venga da they go, finalmente
se ne vanno. Chi da until the day goes (fin che il giorno se ne va), nel senso di «lavoratore a
giornata». Chi da «diego», uno dei nomi più comuni tra spagnoli e messicani. Ma i più pensano che
venga da dagger: coltello, accoltellatore, in linea con uno degli stereotipi più diffusi sull’italiano
«popolo dello stiletto»;
DING: suonatore di campanello, ma con un gioco di parole che richiama al dingo, il cane selvatico
australiano (Australia).
RANÇAIS DE CONI: francesi di Cuneo (Francia, fine Ottocento, con gli immigrati italiani che
tentavano di spacciarsi per francesi).
REASEBALL: palla di grasso o testa unta (per lo sporco più che per la brillantina, Usa);
GREEN HORNS: germogli (ultimi arrivati, matricole, sbarbine, Usa);
GUINEA: africani (Stati Uniti, soprattutto Louisiana, Alabama, Georgia, ove era più radicato il
pregiudizio sulla «negritudine» degli italiani).
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ATZELMACHER: fabbricacucchiai (Austria e Germania; nel senso di stagnaro, artigiano di
poco conto ma anche «fabbricagattini» forse perché gli emigrati figliavano come gatti. Decenni di
turismo tedesco in Italia hanno fatto sì che, negli ultimi anni, si sia aggiunto per assonanza un terzo
significato che gioca con la parola italiana «cazzo»).
THAKER: giramondi senza patria, vagabondi come Ulisse (gioco di parole tra Italia e Itaca,
Germania).
ACCHERONI, MACARONI, MACARRONE: mangia pasta (in tutto il mondo e tutte le
lingue, con qualche variante);
MAFIA-MANN: mafioso (Germania);
MAISDIIGER: tigre di granturco (solo Basilea);
MAISER: polentone (Basilea, nel senso di uomo di mais);
MESSERHELDEN: eroi del coltello, guappi (Svizzera tedesca, dalla seconda metà dell’Ottocento);
MODOK: pellerossa (Nevada, metà Ottocento. Dal nome di una tribù di indiani d'America).
APOLITANO: napoletano (ma buono un po’ per tutti gli italiani in Argentina: in particolare
dopo la «conquista del deserto» del 1870 in cui l’esercito argentino che massacrò tutti gli indios
aveva vivandieri in buona parte napoletani).
RSO: in Francia, alla fine dell’Ottocento, con un preciso riferimento agli “orsanti”, i mendicanti-
circensi che giravano l’Europa partendo soprattutto dall’Appennino parmense con cammelli,
scimmie e orsi ammaestrati.
APOLITANO: storpiatura ironica di napoletano, valida per tutti i meridionali italiani
(Argentina).
POLENTONE: polentone (così com’è in italiano, Baviera).
ITAL: italiano di Francia (spregiativo ma non troppo, era la contrazione di franco-italien e
veniva usato per sottolineare come l’immigrato italiano oltralpe non riusciva neppure dopo molti
anni a pronunciare correttamente la «r» francese. È il punto di partenza di Pierre Milza, lo storico
francese autore di Voyage in Ritalie).
ALAMETTISCHELLEDE: affetta salame (solo Basilea);
SPAGHETTIFRESSER: sbrana-spaghetti (mondo tedesco).
ANO: abbreviativo di «napolitano» e di «papolitano» (gioco di parole argentino intorno a
napoletano);
TSCHINGGE: cinque (vedi cingali).
ALSH: variante tirolese di welsh (vedi)
WELSH: latino (nei paesi di lingua tedesca ha due significati: se accoppiato con Tirol in «Welsh-
Tirol» per definire il Trentino vuol semplicemente dire «Tirolo italiano». Se viene usato da solo ha
via via assunto un valore spregiativo, tipo italiota o terrone);
WOG: virus (gergale, in Australia, buono anche per cinesi e altri emigrati poco amati);
WOP: without passport o without papers (in America e nei paesi di lingua anglosassone significa
«senza passaporto» o «senza documenti», ma la pronuncia uàp si richiama a «guappo»).
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YDROONESCHITTLER: scrolla-limoni (Basilea e dintorni, con un rimando a Wolfgang
Goethe e alla celeberrima poesia che ha stimolato la «Sehnsucht», la nostalgia, di tanti artisti
tedeschi verso l’Italia: «Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni? / Nel verde fogliame splendono
arance d’oro / Un vento lieve spira dal cielo azzurro / Tranquillo è il mirto, sereno l’alloro / Lo
conosci tu bene? / Laggiù, laggiù / Vorrei con te, o mio amato, andare!». Un amore struggente,
adagiato dolcissimo nella memoria. Ma che, al ritorno del grande scrittore nel suo secondo viaggio,
sarebbe subito entrato in conflitto con le solite cose: «L’Italia è ancora come la lasciai,/ ancora
polvere sulle strade, / ancora truffe al forestiero, / si presenti come vuole. / Onestà tedesca ovunque
cercherai invano, / c’è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina; / ognuno pensa per sé, è
vano, / dell’altro diffida, / e i capi dello stato, pure loro, / pensano solo per sé...».
I CANTI
L'emigrazione nei canti popolari
30 giorni di nave a vapore (tradizionale)
Mamma mia dammi 100 lire (tradizionale)
Il tragico naufragio del vapore Sirio (tradizionale)
Sante Caserio (P. Gori - A. Capponi)
Italia bella mostrati gentile (tradizionale)
Sacco e Vanzetti (tradizionale)
Cara moglie di nuovo ti scrivo (tradizionale)
Minatori non partite (tradizionale)
L'emigrazione vista dall'altra sponda
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Quando Bepi l'è vegnesto (Domenica Casarotto)
Ricordarse dei nostri bisnoni (Valter Marasca)
Sacco e Vanzetti (Vampo - Pensiero)
Marcinelle (tradizionale)
L'emigrazione nella canzone italiana
Fox trot della nostalgia (Bixio - Cherubini - Vitaliani)
Lacreme napulitane (Buongiovanni - Bovio)
Ciao amore (L. Tenco)
Il treno che viene dal sud (S. Endrigo)
L'emigrazione nella canzone d'impegno sociale
Con la lettera del prete (I. Della Mea)
Emigrazione (A. D'Amico)
Partono gli emigranti (A. Bandelli)
Noi (G. Bertelli - I. M. Zoppi)
GLOSSARIO
Emigrante= chi lascia il paese natale, specialmente per cercare lavoro.
Emigrare= detto di persone, andare a vivere in un paese diverso dal proprio, provvisoriamente o
definitivamente.
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Emigrato= che ha lasciato il proprio paese di origine per sempre o per un periodo di tempo in
cerca di lavoro o per motivi politici.
Emigrazione= spostamento da una zona all’altra di persone singole o gruppi in carca di lavoro o
per cause politiche.
Immigrato= che si è trasferito in un paese diverso da quello d’origine, specialmente per trovare
lavoro.
Oriundo= chi è originario di un luogo diverso da quello in cui vive.
Autoctono= riferito a un popolo e alla sua cultura, originario del luogo stesso in cui vive, ; non
immigrato.
Geo-= primo elemento di composti in cui significa “distribuzione geografica”.
Georama= tipo di planisfero in rilievo.