A mezza luce

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Luca Lanfredi

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A MEZZA LUCE

LUCA LANFREDI

Il ventre infertile

Maeba Sciutti

A mezza luce

Luca Lanfredi

Prima edizione: maggio 2009

Ebook © Clepsydra Edizioni

- didascalie -

(I)

Ecco, - questa note che il sole è dato assente –un disco rossazzurro a rischiarareogni minima intenzione eterodossa

di qua dal vetro, cori di zanzare e mille battdi mani soto i tavoli, di là,l’aria ingombrante del doversi muovereveloci.

(II)

Se il vento è di burrasca o di desertose il fumo che non s’alza dai comignolise dentro casa è atesase fuori casa, nientese nuvole di calce imbizzarritase d’improvviso noi,tempo imperfeto carta da arderepioggia da bere e paglia da fumare.

Se d’improvviso noi, mot d’un cielo infermo,bloc notes di impazienzeirriverent.

(III)

In fondo, fn dove arriva l’occhio,panni getat sopra un flo, ecamicetevuote di seni, vuote di dita imbarazzatea sciogliere botoni e desideri, chetroveranno, al sorgere del sole,un rinnovato batto di cuore ratoppato.

(IV)

Si cerca e si ritrova il proprio tempo evaporatotraguardando una fla di boccali allineat; si cerca e poisi scova nella note una preghiera - mosaico di bestemmie e voci rote -;come si cerca e si rintraccia il proprio corpofort del buio, che ne impediscel’ombra.

(V)

Che d’uno scorcio d’improvvisa atesasi riempiono le cose più minuscole,

rime volgari, immagini tradite,idee di sogni efrastuoni silenziosi.

Che d’una vista di reggia dignitosail barocco spurio dei nostridesideri.

(VI)

Prima era crepuscolopoi sete di vento e spasimo di muscoli e fame di crampi e baci, e il sovrapporsi vezzosodei pianet.

Ancora dopo è stato avorio carezzatoe inciso fno all’anima da dieci polpastrelli levigate il veloce sovrapporsi di una note dai sogniafastellat.

(VII)

Poi,la piazza che si specchia nella piazza,ed è la Loggia senza loggia,la storia senza un lato cui appoggiarsi, esono quatro adesso i Mat che batono le ore raddoppiate che soto, non al centro,ma un poco deflato,un uomo,e sopra c’è una feta di cielointenerito.

(VIII)

Di tuto ciòche appare dentro al cielo della terra,(il forilegio delle cose nuove, piene di luce che brilla e poi scolora)in quell’istante – ché un istante dura - nel quale al tempo viene dato tempo.

(IX)

Carezzano gli sguardi i corpi bluche nessuno poi tocca e poi non vede

ricordi: eravamo noi un tempo ad esser morte a muoverci più lent dei pensieri, sino a quandole lampade che fanno mezza lucenon hanno rischiarato con lo schiocco di dita intorpidite le uscite d’emergenza ei corridoi e gli ectoplasmi accesiche solitamente ci sono di cieca compagnia.

(X)

Così:

E’ tempoDi

andareOppure

diGiungere

quiOra

stanoteChe

laVita

acerbaStacca

dalla passataLo spazio

sempliceDi uno

scartamento.

Che tu ci siaO non mi voglia,accanto-

(XI)

Di quanta quiete è simbolola pietra soddisfatanella note.

Come sorrisodella vecchia saggia,come preghieradi chi per sé nulla ha da dare, non si atendeniente.

(XII)

Il nostro cielosono due paret messe in piedisenza temere, - ché il vento qui da noi è ben poca cosa,girandole bizzose di pensieri.

Perciò t ascolto, sai, evado all’angolo a aspetart

guardo gli sguardi,

che troppo spesso imbrogliano i discorsiche se ne stanno stret dentro ai corpi.

Nota

Le dodici liriche che prendono il nome colletvo di “A mezza luce (Didascalie)” sono state ispirate da altretante immagini scatate da Gabriele Borboni, alle quali – seppure distaccate ed, ora, indipendent – contnuano a fare doveroso riferimento.

Tutti i diritti dei testi riservati all’autoreCopertina © Andrea Guandalini

Ebook © Clepsydra Edizioni