Post on 11-Jan-2017
« REVISIO NISM O « F A SC IST A E D E S P A N S IO N E C O L O N IA L E *
(ï 925 - 1935)
« Gli orientamenti fondamentali della nostra politica estera sono i seguenti: i trattati di pace, buoni o cattivi che siano, una volta che sono stati firmati e ratificati, vanno eseguiti. Uno Stato che si rispetti non può avere altra dottrina. I trattati non sono eterni, non sono irreparabili: sono capitoli di storia, non epilogo della storia. Eseguirli significa provarli. Se attraverso l’esecuzione sia palese il loro assurdo, ciò può costituire il fatto nuovo che apre la possibilità di un ulteriore esame delle rispettive posizioni «fi « I trattati di pace non sono eterni... Ci sono nei trattati di pace dei grandi fatti compiuti, corrispondenti a supreme ragioni di giustizia, patti compiuti che tali restano e che nessuno di noi pensa a revocare e nemmeno a mettere in discussione. Ma ci sono trattati di pace, clausole territoriali, coloniali, finanziarie, sociali, che possono essere discusse, rivedute, migliorate allo scopo di prolungare la durata dei trattati stessi e quindi di assicurare un più lungo periodo di pace... » 2. Due passi mussoliniani dalla sostanza non troppo dissimile, e tuttavia inseriti dalla recente storiografia sull’ Italia contemporanea in due del tutto distinte prospettive. Nel discorso mussoliniano del novembre ’22, si è voluta vedere la riprova della pur transitoria buona disposizione del « Duce » agli orientamenti della « Consulta », della sua volontà di distensione, della rinuncia a velleitarie originalità 3. Il discorso tenuto di fronte al Senato, sei anni dopo, sarebbe invece la maggiore testimonianza del contradditorio revisionismo fascista, generico e chiassoso, e pur determinato ad alterare a proprio favore l’equilibrio politico europeo: Mussolini darebbe qui un contributo non trascurabile al sovvertimento di quei trattati che le diplomazie avevano tanto fati-
* Questo articolo si riallaccia al precedente su « F a sc ism o d e lle o r ig in i » e p ro b le m i d i p o lit ic a e s t e r a , pubblicato sul n. 7 5 (19 6 4 ) di questa rivista, e con gli stessi fini si basa prevalentemente sulla pubblicistica fascista del periodo. Il lavoro si limita a proporre un’ipotesi per una migliore interpretazione del discusso « revisionismo » del regime. Il confronto coi documenti diplomatici italiani finora pubblicati ( 19 2 2 - 19 2 7 ) conferma tuttavia ampiamente, ci sembra, la prospettiva qui sostenuta.
1 Atti del Parlamento Italiano. C a m e ra d e i D e p u ta t i . L e g . X X V I , to rn a ta d e l 1 6 n o v e m b r e 1 9 2 2 . (D i s e g u ito in d ic a t i co n Atti Camera e c c .) .
2 Atti del Parlamento Italiano. C a m e ra d e i S e n a to r i. L e g . X X V I I , to rn a ta d e l 5 g iu g n o 19 2 8 . (D i se g u ito in d ic a t i co n Atti Senato).
3 C f r . E . D i N olfo, Mussolini e la politica estera italiana, P a d o v a , i9 6 0 , p p . 5 2 -5 3 .
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cosamente elaborato per assicurare al continente qualche possibilità di pacifica convivenza *.
L ’azione internazionale del regime sembra dunque passare at- traverso due principali influenze: dalla realistica e bene intesa tutela degli interessi nazionali, cara alla vecchia consulta, all’esa- sperato dottrinarismo eversivo del periodo post-contariniano. E ’ , insomma, la tesi del Guariglia: « ... quando dopo un lungo col- loquio senza testimoni, Salvatore Contarmi venne a portarci il primo telegramma firmato da Mussolini (dopo quello circolare a tutti gli uffici all’estero che faceva solenne richiamo all’ Italia di Vittorio Veneto, anche esso di ispirazione e di redazione conta - rimano) dovetti constatare che il nuovo Ministro, soltanto pochi minuti dopo essere stato investito della responsabilità del governo, aveva saputo spogliarsi degli orpelli del demagogo ed impartire azioni assai ragionevoli... » 4 5. E i motivi sono chiari: « l’azione di Contarmi all’avvento del Fascismo si iniziò col rappresentare all’estero la cosidetta « rivoluzione fascista » in una veste di serietà che pochi erano disposti a riconoscerlo. Egli... fece di Mussolini un uomo di stato, nascondendo il più possibile il demagogo agli occhi altrui e riusci ad ottenergli qualche primo successo che ne consolidò la posizione in Europa, ma in sostanza giovò moltissimo al paese, disilluso ed avvilito nella sua attività internazionale » 6. Ritorna, nelle memorie del diplomatico, la concezione della politica estera del paese come qualcosa di permanente, relativamente insensibile ai mutamenti delle ideologie politiche all’interno. « Contarmi guidò per mano Mussolini fino a Locarno»7: ecco quel che più importa, ed il segretario generale sta a rappresentare la continuità degli interessi italiani, il rispetto della tradizione diplomatica europea, l’equilibrato e prudente patriottismo...
Non diversamente si esprime un altro diplomatico, il Luciolli, nel suo noto Mussolini e VEuropa: « i primi collaboratori di Mussolini a palazzo Chigi (e innanzi tutto, in ordine di importanza, il segretario generale Contarini ed il capo di gabinetto Barone - Russo, poi marchese Paolucci di Calboli) erano diplomatici di carriera, del tutto estranei spiritualmente al fascismo ed a qualsiasi
4 Cfr. E . Di N olfo, Mussolini e la politica estera italiana, cit., pp. 242-247; L . Salvatorelli - G. M ira, Stona d ’Italia nel periodo Fascista, Torino, 1957, pp. 692 sgg.
5 R. G u a r i g l i a , Ricordi, N a p o l i , 19 4 9 , p . 1 2 .
6 R. G u a r i g l i a , op. cit., p p . 1 3 - 1 4 .
7 R. Guariglia, op. cit., p. 13.
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altro movimento di piazza e di masse. La loro principale preoc- cupazione fu di ostentare un conveniente grado di ammirazione per Mussolini e di forzarlo ad avviare la politica estera italiana sul binario della diplomazia tradizionale » a. La carriera argine del- l’ inquietudine e dell’aggressività insite nella politica fascista: è il quadro consueto nella memorialistica diplomatica italiana cui, con qualche prudente riserva, sostanzialmente consente anche il Di Nol- fo, quando imposta l’intera questione della continuità o della discontinuità della politica estera fascista rispetto alla tradizione diplomatica dell’ Italia liberale in termini di equilibrio fra le capacità di freno e di moderazione della Consulta, e la volontà di rottura mussoliniana. « Il Contarmi intendeva continuare col maggiore impegno richiesto dalla nuova situazione la politica estera tradizionale dei governi liberali italiani » 8 9. Ed è il fallimento di questo tentativo che apre poi la via alle avventure del regime. La carriera si confessa presto impotente a controllare la situazione. « A nessuno di noi fu dato modo di incanalare per vie normali la soluzione dell’incidente », osserva il Guariglia a proposito dell’episodio di Corfu 10 11. E ’ il primo cedimento vistoso; e poi la situazione precipita: « a frenare la ’ esuberanza’ a contenere il’ dinamismo » della politica estera mussoliniana non rimaneva ormai che l’ostacolo di una persona » 11, conclude il Di Nolfo. Le dimissioni del segretario generale degli esteri sciolgono così il « Duce » da ogni impedimento nella realizzazione dei suoi disegni.
A l senso della misura, alla saggezza consacrata nei canoni tradizionali della prassi diplomatica, subentra il dilettantismo, lo spirito di avventura; la sete di successo fascista. E ’ questa l’interpretazione più diffusa, e imposta subito la questione del revisionismo in modo tutt’affatto particolare. « Quando un dittatore, per ambizione o per la necessità di distrarre l’opinione pubblica interna, si induce a dedicare alla politica estera il più della sua attenzione, non si rassegna ad esercitare nel campo internazionale una parte secondaria. Gli occorre emergere, distinguersi dagli altri, farsi paladino di qualche ’ principio ’ , buono o cattivo che sia » 12,
8 M . D o n osti, Mussolini e l’Europa. La politica estera fascista, R om a, 1945, p . 1 3 .
9 E. Di N olfo, op. cit., p. 47.10 R. G uariglia, op. cit., p. 28.11 E . Di N olfo, op. cit., p. 139.12 M. Donosti, op. cit., pp. 29-30.
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il Luciolli è pronto ad osservarlo. Così, dallo stretto rapporto fra politica interna ed estera, dal crescente dottrinarismo dell’azione fascista, dalla spregiudicata ricerca del successo, quasi a caso, in questa prospettiva, nasce il fenomeno revisionista. « Quanto più debole (è il regime), tanto più viceversa deve cercare nel campo internazionale soddisfazioni di prestigio, diversivi, appoggi interessati », osserva il Luciolli 13 14. E non diversamente parla il Gua- riglia, quando definisce il fascismo « movimento che bene o male si poteva pur qualificare di rivoluzionario, e che era sorto con l’ingenuo proposito di presto sovvertire il rapporto delle forze politiche in Europa » : o quando dipinge Mussolini alla ricerca « dei successi da sfruttare ai fini del consolidamento interno del paese, e non sempre si curava se questi successi fossero reali od apparenti, effimeri o duraturi, tali da produrre risultati effettivi nella struttura politica ed economica della nazione... oppure destinati soltanto ad illudere le cosidette masse... » u.
E ’ la linea più seguita, e, certo, ad essa non sfugge tutta una serie di problemi e di novità creati dalla politica estera fascista. Sono, innanzi tutto, le masse a pesare sull’azione diplomatica, quelle masse che il regime si sforza di disciplinare ed avvincere col miraggio dell’espansione e della grandezza, coll’esasperata esaltazione del sentimento patriottico. V ’è la percezione del legame fondamentale che unisce la politica estera del regime a quella interna, il tentativo di soffocare dissensi ed eliminare avversari invocando superiori necessità nazionali. Non manca neppure il problema della convivenza dell’autoritarismo fascista accanto ad una Europa — almeno fino al 1933 — tendenzialmente democratico liberale... E tuttavia, questa ricca tematica non è poi ripresa e sviluppata in tutte le sue implicazioni. Il discorso della memorialistica e della storiografia « diplomatica » insiste più che altro sulle genericità e sulle contraddizioni della politica mussoliniana. Mancherebbero obiettivi precisi, e, in ogni caso, il regime perseguirebbe interessi estranei a quelli « italiani ». « Il lato più assurdo della politica mussoliniana, soprattutto a partire dal 1928, consistette appunto in questo: che l’Italia fascista appoggiava, senza nessuna contropartita importante, una quantità di rivendicazioni altrui, completamente estranee ai propri interessi o, peggio
13 M. Donosti, op. cit., p. io.14 R. G uariglia, op. cit., p. 39.
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ancora, contrario ai medesimi... Essa scavava un abisso fra sè ed i popoli dai quali logicamente nulla avrebbe dovuto dividerla. Quan- do poi avanzava delle lamentele sue, nessuno si sognava di spezzare una lancia in suo favore » lo. L ’allineamento col revanchismo di Berlino è il logico sbocco: « Mussolini si trovò imbrigliato ed irretito nella sua stessa attività revisionistica, che si confuse con quella germanica, tolse all’Italia ogni possibilità di ottenere dei compensi e dagli uni e dagli altri, e finì per condurci alla catastrofe legati al carro tedesco » 15 16.
Tra l’amicizia con gli alleati della guerra europea, l’esaltazione della Vittoria delle armi italiane, la determinazione a mantenere e potenziare il ruolo di grande potenza, e la volontà di scardinare l’ordine stabilito a Versailles, le simpatie per l’Ungheria revan- chista ed anche per la Germania già percorsa da profonde inquie- tuni nazionalistiche, per la Bulgaria umiliata, per i vinti, insomma, del T8, il regime sembra così ondeggiare, apparentemente incapace, al di là della ricerca del successo immediato, di trovare la propria via. Neppure il « Duce » sapeva con precisione a cosa mirasse... 17. Il revisionismo appare come malattia segreta del regime, germe distruttore di una collaborazione fra vecchio e nuovo nell’azione diplomatica italiana, altrimenti ricca di possibilità e suscettibile di realizzazione proficua 18. E quel che vanifica la sapiente opera di mediazione avviata dalla carriera è, se non altro, « il carattere sempre più spiccatamente ideologico, cioè sempre più estraneo agli interessi nazionali ed aderente invece agli interessi del regime » I9, è il « dottrinario determinismo storico » 20 : su questa via l’avventura mussoliniana conduce inevitabilmente alla follia bellica, alla catastrofe del regime e del paese. Così si ripete; e si finisce col rievocare, con più o meno accentuata nostalgia, la sana concezione degli « interessi nazionali », da tutelarsi con perseverante fermezza, e che fu invece ostacolata dalle aberrazioni ideologiche del fascismo. E ’ il punto comune d’approdo di questa prospettiva; ed apre però subito il fianco ad una serie di equivoci.
15 M. D onosti, op. cit., p. 32.16 R. G uariglia, op. cit., p. 79.17 E . Di N olfo, op. cit., pp. 284-285; Id., Il revisionismo nella politica estera di
Mussolini in 11 Politico, 19 54 , pp. 85 sgg.18 R. Guariglia, op. cit., pp. 14 sgg.19 M. D onosti, op. cit., p. 12.20 R. Guariglia, op. cit., p. 79.
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Sembra quasi che vi siano due generi di revisionismo, quello fascista, clamoroso e contradditorio, e quello, ben altrimenti equilibrato e prudente, che muove dalla parziale insoddisfazione di Versailles, dalla delusione subita nella distribuzione dei frutti di una guerra lunga e sanguinosissima... Non a caso la piega delle argomentazioni dei due diplomatici, Donosti e Guariglia, torna con insistenza agli « interessi », ai « compensi » mal rivendicati dal regime e mal soddisfatti. E il Di Nolfo lo conferma, riprendendo ed ampliando la contrapposizione fra il verboso ma anche aggressivo revisionismo fascista ed una effettiva e ben altrimenti proficua opera di revisione dei trattati. Esistono — memorialistica e storiografìa diplomatica lo ripetono con sintomatica consonanza di accenti — dei « permanenti interessi nazionali » che esigono una continua opera di miglioramento dei trattati esistenti, ove occorra, la loro revisione. « Quando si parla di revisionismo occorre intendersi. Ogni Stato, come ogni individuo, si sforza quotidianamente di migliorare la propria situazione morale e materiale, di assicurare più saldamente il proprio avvenire. La vita, sotto qualunque aspetto, è un continuo processo di revisione. Non occorreva certo la nascita del regime fascista per rendersi conto che non si può cristallizzare indefinitamente, in ogni dettaglio, una data situazione internazionale ». Cosi il Luciolli, nella sua polemica con Mussolini ed il regime21. Ma anche per questa via, e senza che egli se ne avveda, il problema si disperde. Di fronte alle difficoltà del dopoguerra, ed alle incognite lasciate o create dai trattati di Versailles, i rimedi della diplomazia italiana, così come traspaiono dalla memorialistica, sono quanto mai relativi. Il margine fra il « revisionismo » degli uomini avveduti e devoti al paese, e l’ inconsulto « revisionismo » fascista è fragile, incerto ed elusivo. E a leggere gli scritti di Luciolli, o di tanti altri, può accadere che spesso si ritrovino senz’altro — come riserve, critiche od ammonimenti — quelle stesse espressioni ed immagini tipiche del « duce »; già usate in occasione della visita di Wilson, nel lontano gennaio 19 19 2\ confermate poi a San Sepolcro, riprese ancora — tra il ’25 ed il ’ 26 — in una intervista alla United Press... 23. Lontana per astrazione personale e forma mentis dagli
21 M. Donosti, op. cit., p. 29.22 Popolo d ’Italia, i gennaio 1919.23 Echi e commenti, 5 gennaio 1926: «Rapporti e problemi internazionali all’inizio
del 1926 ».
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estremismi mussoliniani, la diplomazia, alla fin fine, non rivela cosi punti di contatto, compromissioni, affinità col movimento dei fasci? Invece di una soluzione, si scopre, o s’intravvede un altro e più difficile problema: i rapporti fra fascismo e diplomazia, fra politica estera del Regime e paese. Certo, il fascismo raggiunge delle punte estreme sconosciute al mondo diplomatico: sono i progetti di colpire l’ impero britannico nel Canada, mediante un’alleanza con gli Stati Uniti 2‘. « L ’ Italia — aveva minacciato nel gennaio 19 19 — anche per la sua posizione geografica che la mette in contatto quasi immediato con l’Egitto ed il Canale di Suez, con il mediterraneo orientale e col mondo indiano, potrebbe domani assolvere il compito di far saltare l’impero inglese, asiatico ed africano... » 24 25. Sono insomma le minacce di « far giustizia fra noi proletari e la più grassa e borghese nazione del mondo (la Gran Bretagna) »26, è la diffidenza profonda per la Società delle Nazioni, che « non può pretendere di fissare per l’eternità le posizioni odierne, non può soffocare, per favorire la staticità nella quale tendono di adagiarsi i popoli arrivati, il dinamismo di quelli che vogliono arrivare » 2', è la condanna dell’ intera sistemazione della pace: « tutto ciò che si fa a Versailles, che è ingiusto, caduco e vessatoria, non durerà. La revisione del trattato di Versailles sarà l’avvenimento dei prossimi anni e potrebbe verificarsi a Roma. Versailles dà il suo nome alla pace dei diplomatici, Roma è ben degna di dare il suo alla pace dei popoli » 28. E c’è poi il navigare necesse 29, e lo « svincolamento dell’Italia dal gruppo delle nazioni plutocratiche », il « riavvicinamento ai paesi nemici» seppur « con dignità », per riguardo alla psicologia tracotante del popolo tedesco e quindi « l’inorientamento dell’ Italia, cioè l’entrata in rapporti coi gruppi dell’oriente europeo » 30.
Un completo disegno di revisione dell’equilibrio politico mon-
24 Popolo d ’Italia, 24 aprile 19 19 : « La conferenza paralizzata ».25 Popolo d ’Italia, 20 aprile 19 19 : « Ideali e affari » (B. Mussolini).26 Popolo d ’Italia, 20 aprile 1919, art. cit.27 Popolo d ’Italia, 16 febbraio 19 19 : « Un altro passo » (B. Mussolini).28 Popolo d ’Italia, 6 giugno 19 19 : «V ia da Versaglia? » (B. Mussolini).29 Popolo d ’ Italia, 1 gennaio 1920: « Navigare necesse » (B. Mussolini).30 Popolo d ’Italia, 25 maggio 1920: « Politica interna ed estera » (relazione di Be
nito Mussolini all’adunata del 23 maggio 1920). Per questi ed altri aspetti dei primi orientamenti di politica estera del movimento fascista, si può v . il mio art. su Il « fascismo delle origini » ed i problemi di politica estera in II Movimento di Liberazione in Italia, anno 1964, n. 75, pp. 3-29.
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diale sembra, a prima vista, emergere dagli orientamenti fascisti: rifiuto di Versailles, negazione dei principi di stabilità e pacifica convivenza della S. D .N .; incondizionato allineamento coi vinti del 19 18 , e, infine, estremo punto di rottura, contrapposizione rigida tra paesi « giovani », « proletari » e « plutocrazie » occidentali... E tuttavia, fin dagli inizi, il « revisionismo » fascista mostra il suo vero significato strumentale in ordine al conseguimento di vantaggi precisi. Ben presto, e in modo assai più concreto di quanto possa apparire, il Mediterraneo si rivela come il punto d’arrivo dello spregiudicato gioco mussoliniano di pressioni e di cedimenti. Da tempo, il « duce » aveva proclamato che « noi restiamo con gli alleati solo se i patti di Londra saranno alla fine realmente applicati ed accettati, altrimenti ciascuno andrà per la sua strada » 31. E ’ un’ammissione preziosa: e infatti l’arbitrario allargamento del limitato disposto del patto di Londra ad un ben più ampio quadro mediterraneo chiarisce progressivamente il vero contenuto di quella particolare elaborazione degli orientamenti nazionalistici, più elastica ed accessibile ad un vastissimo pubblico, di cui si fa interprete Mussolini. Le sue pretese non si limitano mai al vicino regno serbo-croato-sloveno, e in questo senso non risparmia esortazioni ed ammonimenti: « gli italiani non devono ipnotizzarsi nell’Adriatico o in alcune isole o sponde dell’Adriatico. V ’è anche non c’inganniamo un vasto mare... che si chiama Mediterraneo, nel quale le possibilità vive dell’espansionismo italiano sono moltissime... » 32. Così all’indomani di Rapallo; e certo, la linea fascista, per la capacità di evoluzione e la natura stessa delle mete prefissate, innova, almeno parzialmente, alla linea più tradizionale della politica estera italiana. E tuttavia, non mancano del tutto affinità ed analogie con talune posizioni della diplomazia. Alle stesse conclusioni si arriva poi se si allarga la prospettiva dal giornale mussoliniano alla stampa dei reduci, « nazionale », « sindacalista », « antibolscevica », come variamente si presenta, ritroviamo molti temi e motivi tipici del Popolo d’Italia. E c’è poi la nascente stampa fascista: l’Assalto di Bologna, il Maglio di T o rino, Cremona Nuova, il Fascio, il Popolo di Lombardia, e molti altri fogli ancora che riprendono le indicazioni del « duce », le
31 Popolo d ’Italia, 1 1 giugno 1920: « Il ritorno di Giolitti » (Gaetano Polverelli).33 Popolo d ’Italia, 13 novembre 1920: « Ciò che rimane e ciò che verrà » (B. Mus
solini).
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diffondono con singolare fedeltà d’accenti, elaborando — in una parola — il programma fascista di politica estera. La via è se' gnata: critica dell’assetto stabilito dalla diplomazia di Versailles, imperiosa affermazione dei « diritti » italiani nell’Adriatico, e poi delle necessità d’espansione mediterranea ed africana, insofferenza della tradizionale cautela delle Cancellerie e del vecchio mondo librale, mito di Roma e della latinità, concezione gerarchica dei rapporti umani e sociali, competizione fra i popoli, contrapposta al solidarismo di marca democratica ed ottocentesca, e infine trasposizione sul terreno internazionale di miti e formule della lotta di classe... Ma nella varietà dei motivi e nella passionalità delle prese di posizione che caratterizzano questa pubblicistica, due argomenti restano come punti costanti di riferimento, il rifiuto dell’equilibrio politico consacrato dai trattati, la pressante rivendicazione dello sbocco coloniale. E ’ , ancora, quel « revisionismo » unilaterale di stampo mussoliniano a colorare gli orientamenti fondamentali della stampa fascista di provincia. Più che da una effettiva volontà di rivoluzionare la carta politica del continente, il « revisionismo » fascista, che nasce con lo stesso formarsi del movimento ed è caratterizzato da una sostanziale continuità di orientamenti, muove con crescente consapevolezza verso un’affermazione imperiale. Ed è proprio su questo terreno che il Regime può realizzare convergenze ed ottenere consensi Ji. In certi ambienti conservatori, nell’ inesausta polemica dei nazionalisti, e, per questa via, se non altro, nella diplomazia, le infiltrazioni sono evi- 33
33 Manca ancora uno studio approfondito delle diverse correnti revisioniste nell’Italia postbellica. L ’opera migliore resta La critica a Versailles, a cura di C. Morandi, Milano 1940, e si v . anche l’ampia bibliografia cit. Per un’ interpretazione nazionalista e fascista dell’ assetto della pace, cfr. G. Caprin, Sistema e revisione di Versaglia nel pensiero e nell’azione di Mussolini, Milano 19401 F. Coppola, La pace coatta, Milano 1929; Italicus, Italia, in La critica a Versailles, cit., pp. 1-23. Per il mondo cattolico: I. G iordani, La politica estera del Partito Popolare Ita- liano, Roma 1924; L . Sturzo, L ’ Italia e l’ordine internazionale, Torino 1946; G . G ualerzi, La politica estera dei Popolari, Roma 1959, pp. 1 1 e sgg. (con un’ampia bibliografia); M. BENDISCIOLI, La S. Sede e la guerra, in Benedetto X V , i cattolici e la prima guerra mondiale. Atti del Convegno di Studio tenuto a Spoleto nei giorni 7, 8, 9 settembre 1962, Roma 1963, pp. 25-49, e sPec- PP- 44 s8g- Sull’attività revisionistica nittiana, cfr. le opere autobiografiche L'Europa senza pace, Firenze 19 21; La pace, Torino 1925; Rivelazioni. Dramatis personae, Napoli 1948. E per un giudizio sul N itti, si v . C. Sforza, L ’ Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Roma 1945, p. 74. Per una critica di ispirazione democratica si può v. L . Bissolati, La politica estera dell’ Italia dal 1897 al 1920, Milano 1923, pp. 393 sgg., ed infine G . Salvemini, Lezioni di Harvard, L ’ Italia dal 1919 al 1929, in Scritti sul Fascismo, vol. I, pp. 314 sgg.
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denti: ne fa cenno la memorialistica 3‘, lo attesta la letteratura politica del ventennio 34 3S. E chi ha studiato, sia pure per inciso, la formazione politica del personale diplomatico non ha mancato di confermarcelo 36 37. Ovviamente, la carriera era ben altrimenti cauta del primo Mussolini e degli aggressivi ras del fascismo di provincia nel mettere in crisi il sistema dei trattati, tutto il complesso dei risultati raggiunti con un lungo e paziente lavoro diplomatico. Quel che interessava agli uomini della Consulta era, se mai, — lo si è visto ■— ottenere un potenziamento del ruolo internazionale del paese, sfruttando il carattere autoritario « nazionale » del regime: ma la stessa prospettiva indica talune affinità di non scarso rilievo. Lo aveva lucidamente inteso Gaetano Salvemini nel suo Mussolini diplomatico 31, lo conferma ora il Moscati: « E ’ bene precisarlo fin d’ora, non è esatto ed è troppo comodo scindere le due responsabilità, e definire come ’ contari- niano ’ tutto quello che di buono vi poteva essere nella politica estera del primo periodo fascista e come ’ Mussoliniano ’ tutto il male » 3S. E al fondo, quel che sembra avvicinare l’ambiente diplomatico agli uomini del fascismo è proprio il mito, di derivazione nazionalista, della vittoria mutilata: dei modesti frutti raccolti dal grandissimo, sanguinoso sforzo bellico inteso qui in modo tutto particolare. Non si guarda più tanto e solo all’ Istria o alle isole adriatiche: l’orizzonte si amplia al Medio Oriente, al Medi- terraneo, al continente africano, e si cerca il prestigio alle conferenze internazionali, e si crea un’aspettativa crescente di grandezza e di primato presso strati sempre più larghi della pubblica opinione. E ’ un problema aperto, che attende ancora di essere studiato ed approfondito. Forse, una via per impostare l’ intera questione, è rappresentata proprio dal tanto discusso « revisionismo » fascista. E allora, al di là delle lezioni di protocollo, della
34 R. Guariglia, op. Cìt., p. io; ed anche D. V are, Il diplomatico sorridente, Milano, 1941, p. 234.
35 R. Cantalupo, Racconti politici dell’altra pace, Milano, 1940, p. 106.36 G. Carocci, Giolitti e l’ età giolittiana, Torino, 1961, pp. 146-147.37 G. Salvemini, Mussolini diplomatico, Bari, 1952, p. 58; Cfr. anche B. VlGEZZI,
Politica estera ed opinione pubblica in Itinerari, 1961, nn. 47-48, pp. 53-63; « E ’ troppo semplice vedere nella politica estera fascista un periodo iniziale, in cui gli elementi tradizionali fanno da freno e da equilibrio (il cosidetto « periodo Contarmi j>) e distinguerlo dalle follie successive... ».
33 R. Moscati, Gli esordi della politica estera fascista. Il periodo Contarmi. Corfù in la politica estera italiana dal 1914 al 1943, Roma, 1963, p. 81.
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redingote e del cilindro, cui il volonteroso allievo si sottomette docilmente, come ha notato, soffermandovisi fin troppo, larga parte della storiografia e della memorialistica, Territet, Corfu ed il na- poleonico piano di alleanza continentale contro l’ Inghilterra non possono giungere inaspettate...
A ll’indomani della marcia su Roma, piuttosto, questo « revi' sionismo » risente ancora degli entusiasmi e delle facili speranze della vigilia, ed ignora le abili teorizzazioni, i sottili distinguo del periodo successivo. E tuttavia, i suoi orientamenti sono già radi' cati e diffusi: neppure le cannonate di Corfu sembrano scuotere il largo consenso suscitato, gli atti parlamentari sono lì a testi' moniarlo 39. L ’immagine che il fascismo ha saputo creare di sè, di rigeneratore di una direttiva immanente alle possibili scelte deh l’uomo di stato 40 ha avuto amplissimo successo. La battuta d’ar- resto che col ’24 caratterizza l’azione diplomatica mussoliniana, a questa stregua, non può essere che apparente, e conferma semmai ancora una volta la stretta particolare interdipendenza tra politica
39 Cfr. Atti Senato, Leg. X XV II, tornate del 9, io e n dicembre 1924, discussione sul bilancio del ministero degli esteri. Il sen. Scialoja giunge a dichiarare: « Se la politica interna ha diviso anche il Senato in partiti ed in opinioni diverse ed opposte, io constato con grande gioia come italiano, che la politica estera ci riunisce » (io dicembre 1924, p. 541). E quindi Atti Camera, Leg. X XVII, tornate del 13, 14 e 15 novembre 1924: il bilancio degli esteri è approvato quasi senza discussione, con 314 voti contro 6 (i deputati Fazio, Giolitti, Poggi, Massimo Rocca, Rubidi e Soleri). Per il largo consenso della stampa all'azione mussoliniana a Corfu, si v. ad es. La Stampa, 30 agosto 1923, « L e riparazioni chieste ad Atene dal Governo italiano »; ivi, 1 settembre 1923, « I marinai italiani sbarcano a Corfu. Per l’ Italia e per la civiltà »; ivi, 5 settembre 1923, « Il Governo greco non ricerca gli assassini, ma chiede che l’ Italia ritiri le sue richieste! ». Corriere della sera, 30 agosto 1923, « Energiche richieste del Governo italiano alla Grecia per l ’ eccidio della missione italiana in Albania »; ivi, 1 settembre, « L ’occupazione militare di Corfu ordinata dal Governo italiano dopo la risposta non soddisfacente della Grecia »; 1 1 settembre 1923, « La vittoria del diritto » (Emanuel); 13. settembre 1923, « Inutili insistenze » (Emanuel), ecc. E non diversamente la stampa cattolica: si v . L ’Italia, 30 agosto 1923, « Dopo il massacro della missione Teliini. L ’energica azione del Governo » (g); ivi, 1 settembre 1923, « La legittimità dell’ azione »; ivi, 4 settembre 1923, « Il fermo atteggiamento del Governo »; ivi, 5 settembre 1923, « Direttiva chiara e risoluta ».
40 Cfr. Popolo d ’ Italia, 1 1 febbraio 1923: « ...n o n c’è nessuna originalità in materia di politica estera, e mi rifiuterei energicamente di fare l’originale se questa originalità dovesse procurare qualche linea soltanto di danno al mio paese »; Atti Camera, Leg. XXVI, tornata del 15 novembre 1924: « Una politica estera non è mai originale. La politica estera è strettamente condizionata da circostanze di fatto, nell’ordine geografico, nell’ordine storico e nell’ordine economico. Niente originalità, dunque...»; Atti Camera, Leg. XXVI, tornata del io febbraio 1923: « Non v ’è originalità in politica estera. La politica estera non è futurismo e nemmeno poesia! ». E v. poi M. T oscano, Il patto di Londra, Bologna, 1934» P- 3 . che interpreta le dichiarazioni mussoliniane come ossequio ai cosidetti « permanenti interessi nazionali ».
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interna ed estera del regime. La pausa mostra tutta la gravità della crisi Matteotti, e in effetti, l’esporsi a qualche avventura diplomatica, il subire una sconfitta sul piano internazionale, avreb' be potuto costituire un danno irreparabile per il già precario equi' librio politico fascista. Tutto sembra avviarsi per i più sperimentati canali della tradizione, come la documentazione diplomatica sta a dimostrare: e tuttavia, stampa e pubblicistica di partito non abbandonano completamente la vecchia prospettiva, innovatrice ed espansionistica insieme, e trovano anzi l ’occasione per saldare meglio le diverse tendenze del « revisionismo » fascista. Il depu' tato Cantalupo, nella discussione dell’ indirizzo di risposta al di' scorso della Corona, giunge a denunciare l’esistenza di una « cor' rente estrema, limitatissima, di origine nota, che mescolava un nobile ed esasperatissimo patriottismo a forme utopistiche. Que' sta tendenza estrema predica in sostanza una certa rivoluzione imperiale mercè la quale l ’ Italia nel colmo del dolore e dello smarrimento, avrebbe dovuto mettersi alla testa di non si sa quale rivolta dei popoli vinti, di una insurrezione a cui avrebbero par- tecipato (fo un’ ipotesi) dalla Germania alla Turchia, una specie di ’ rivoluzione imperiale ’ dei popoli che erano usciti dalla guerra senza neanche un territorio proprio... ». E ’ la ripulsa delle punte più estreme dell’ impetuoso « revisionismo » fascista delle origini, e segna, al tempo stesso, una non trascurabile convergenza sulle posizioni di quei settori della diplomazia più propensi ad « incanalare » le energie fasciste per il potenziamento della posi- zione internazionale dell’Italia. « Il revisionismo dei trattati, pu' ramente verbale, era riuscito a questo scopo: avevano perduto ogni credito da parte delle nazioni potenti perchè non avevano nessuna fiducia nel nostro revisionismo. Noi avevamo fatto del revisionismo che aveva consolidato i trattati là dove essi garam tivano le vittorie acquisite da altri, e che permetteva agli altri la non applicazione di quella parte dei trattati che era favorevole alla realizzazione del nostro programma... » *\ Cantalupo sembra preconizzare qui il giudizio di Guariglia 41 42 : quel che auspica è un altro revisionismo, cioè, che riconosca i limiti delle possibilità italiane e che muova con piena consapevolezza dalle alternative offerte dalla spaccatura esistente fra democrazie occidentali e
41 Atti Camera, Leg. X XV II, tornata del 3 giugno 1924.42 Cfr. R. G uariglia, 0p . c it ., p. 79 sgg.
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« vinti » di Versailles. E ’, insomma, quella « politica ricostruì zionista » che lo stesso Cantalupo contrappone, in un opuscolo coevo 4\ ai socialisti rinunciatari o al revisionismo democratico nittiano. Sono questi gli avversari, che lasciano poi scoperto un amplissimo settore della pubblica opinione. Proprio qui Canta' lupo spera di trovare vaste solidarietà alla linea capace di garantire « quel massimo di benefici che una ’ liquidazione al meglio ’ evidentemente ci dà e che ci sarebbe stato tolto da una ’ liquidazione al peggio ’ u. Le immagini sono trasparenti: ossessiva e martellante, la volontà di ottenere i sospirati ingrandimenti informa di se tutta la politica del regime. Senza lasciar distogliere il giudizio dalle disinvolte evoluzioni diplomatiche o dalle declamazioni oratorie mussoliniane, Gaetano Salvemini ha chiaramente percepito questa costante: « Mussolini doveva mantenere l’Europa in uno stato permanente di fermento, grazie al quale esigere per la sua alleanza o dalla Germania o dalla Francia il più alto prezzo possibile. Ed era costretto a questa politica di disordine internazionale dal fanatismo nazionalista che aveva creato in Italia e che doveva essere giustificato da continui successi. E questi successi, non potendo essere che coloniali, dovevano essere pagati dalla Francia » 43 44 45 46.
* * #
Con gli accordi di Locamo la prassi del negoziato mostra bene il suo significato puramente contingente e strumentale. La stessa partecipazione italiana è subito giustificata da imprescindibili ragioni di prestigio internazionale: « la necessità di essere presente e giudice in un patto che ha un vero e proprio aspetto di patto continentale è evidente. Il futuro è nel grembo del Dio dei popoli e non è dato sapere la soluzione che avrà in un avvenire prossimo o lontano questo patto di garanzia. Ma esserne fuori potrebbe essere pernicioso a noi ed agli altri » « L ’Italia e l’Inghilterra,in virtù delle stipulazioni di Locamo assumono una particolare
43 R. C antalupo, Fatti europei e politica italiana. 1922-1924, Milano, 1924, p. 170 (n. io dei Quaderni Imperia, diretti da Dino Grandi).
44 R. Cantalupo, Fatti europei..., cit., ivi.45 G. Salvemini, Mussolini diplomatico, cit., p. 1 15 .46 Popolo d ’Italia, 1 1 ottobre 1925: « L ’ intervento dell’ Italia nel Patto come potenza
garante confermato ufficialmente dalla Conferenza di Locamo » (P. Parini).
5 ° Giorgio Rumi
funzione di garanti e di giudici. Tale considerazione vale per comprendere l’eventualità e l’ interesse dell’ intervento italiano a Locamo. L ’ Italia come grande potenza non avrebbe potuto restare assente... » 47 48. Non è tanto il consolidamento della pace europea quel che sta a cuore al maggiore organo fascista, ma attraverso il « revisionismo », prevale ancora una volta la ricerca dell’affer- mazione diplomatica clamorosa, che comporti un riconoscimento concreto dei nuovi bisogni italiani. La meta fascista non è diffìcilmente individuabile: Locamo, di per se, non può pretendere di risolvere tutti i problemi internazionali, anzi, « dopo Locamo sorgeranno i problemi della Russia, dei confini orientali, delle materie prime e delle colonie. Non è possibile fermare la storia con le sue trasformazioni, le decadenze e le ascensioni, così come non è possibile arrestare il sole con le sue albe ed i suoi tramonti... 4S. Il discorso si sfuma, si confonde, introduce elementi apparentemente eterogenei, quali l ’accoglimento sul piede di parità del regime bolscevico fra le altre maggiori potenze; e tuttavia l’indicazione coloniale costituisce sempre lo sbocco inevitabile dell’ intera prospettiva. Tutta la stampa fascista, organi di provincia, riviste di varia cultura, fogli d’espansione economica e commerciale, raccolgono ed ampliano le argomentazioni del vecchio giornale mussoliniano. Meno diffusa e quindi meno soggetta a responsabilità ed a controlli, questa pubblicistica riprende e svolge il filone centrale della politica estera del regime, quello dell’espansione oltremare. Le voci sono concordi, le prospettive hanno profonde analogie, quasi che fossero risposte ad un’unica parola d’ordine o eco di una profonda e comune convinzione. « I problemi che più ci interessano riguardano il Mediterraneo e l’Africa — e qui entra in campo un revisionismo che deriva da Locamo e che non deve rivolgersi ai nostri danni... Se si ammette una revisione del trattato di Versailles, l’ Italia deve essere la prima a beneficiarne » 49.
« Noi siamo rivoluzionari — almeno tendenzialmente — in
47 Popolo d ’Italia, 16 ottobre 1925: « I l Patto e l’Italia» (G. Polverelli).48 Popolo d'Italia, 17 ottobre 1925: « La funzione dell’Italia nel nuovo equilibrio
europeo » (G. Polverelli).49 L ’Assalto (settimanale della Federazione provinciale fascista di Bologna) dir. G. Pi
ni, 21 novembre 1925: «Diritti italiani» (G. M. Sangiorgi).
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politica estera » o0: lo slogan del quotidiano dei fascisti romani Tevere è pretesto per reiterare le richieste di concreti compensi oltremare. E in effetti, al di là di talune asprezze verbali, la stampa di partito mantiene poi sempre impregiudicata la scelta dei mezzi per la realizzazione dei disegni fascisti, occorre giun- gere ad « una revisione profonda — pacifica o bellica, non importa — della gerarchia imperiale del mondo » 50 5l. La minaccia del ricorso alla forza e del generale sovvertimento dell’ordine internazionale esistente non è mai disgiunta da una relativa fiducia nelle possibilità del negoziato. Lo stesso Tevere, talvolta in polemica con gli stessi nazionalisti per l’ « estremismo » delle posizioni 02, lo ammette: « forse, il tentativo più pacifista in favore della vecchia Europa, sarà fatto da noi, che siamo guardati in sospetto come nazione aggressiva: se riusciremo a modificare l’equilibrio attuale, inserendovi due formidabili forze (Germania e Russia) che a Versailles non erano rappresentate, tanto meglio per l’Europa. Se non riusciremo, lo ’ spirito di Locamo ’ darà prossimamente i suoi frutti e l’Europa sarà sommersa da una nuova guerra... » 53. Ancora una volta, al centro del discorso, sono gli esclusivi interessi italiani, e come alternativa alla loro concreta soddisfazione, si evoca il fantasma della conflagrazione generale, si prospetta la possibilità di rovesciare la balance of povers mondiale con l’intervento dei due massimi esclusi dal « banchetto » di Versailles...
Così, dalla mancata realizzazione degli auspicati ingrandimenti, nasce presto la polemica contro lo spirito di Locamo, contro la giustizia, « formale » che, a danno dei popoli più poveri le nazioni occidentali vogliono garantirsi a tutela dei propri interessi. Giulio Douhet, uno dei fondatori dell’aeronautica militare, gloria e vanto del regime, riprende con temi di intensa drammaticità questo vecchio motivo della pubblicistica fascista: « si, è giusto che chi ha, tenga, è giusto che l’oro vada con l’oro, il ferro, al ferro... E ’ giusto che chi ha arraffato prenda per il collo chi non ha saputo fare altrettanto. Tutto ciò è giusto. Ma impera forse la giu
50 II Tevere (quotidiano romano), dir. T . Interlandi, 21 dicembre 1925: «Due forze nuove ».
51 II Tevere, 15 settembre 1925: «Solidarietà suicide».52 11 Tevere, art. cit.53 II Tevere, 21 dicembre 1925, art. cit.
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stizia nel mondo? Purtroppo non sempre: e qui sta il guaio. Ci sono dei popoli giovani e malissimo educati, che non sentono profondamente questo tipo di giustizia, che, bestialmente, si moltiplicano come i conigli, e sono abituati a giocare di gomito ». La conversazione pura e semplice dello stato quo non permette di assicurare ai popoli e alle nazioni nessuna tranquillità: vani sono i tentativi di infrenare, con puri divieti legali, il moto ascensionale dei paesi « proletari ». E continua: « Se per avventura venisse il giorno in cui una nazione non avendo più spazio per stare, nè pane per mangiare, si gettasse contro un’altra avente spazio e pane in esuberanza, la S. D. N . ed altri aggeggi del genere verrebbero mobilitati per costringere in nome dell’umanità della civiltà e di tutte le altre analoghe idealità, la socia prepotente a morire asfittica o per fame » 5*. Eppure nonostante l’amarezza, il sarcasmo e la malcelata impazienza che traspare da tanta parte della pubblicistica fascista, la via pacifica, la via dell’accordo negoziato con le democrazie non è mai del tutto abbandonata. La meta è una sola, la scelta dei mezzi resta sempre secondaria: lo testimoniano fogli di ispirazione nazionalista come L ’idea coloniale o L ’ Ordine fascista ” , i mussoliniani di stretta osservanza di Gerarchia, i polemici « diciannovisti » dell’omonimo giornale milanese... Ad un’identica sostanza, corrispondono differenze di riguardo quasi irrilevanti. Solo, « un più vivo sentimento di solidarietà degli stati della vecchia Europa » 54 * 56 può forse evitare che essa cada, travolta dalle lotte intestine. La soluzione dei problemi internazionali non necessariamente deve essere affidata alle armi 57 *, una volonterosa diplomazia movente dal presupposto della necessità di una più oculata distribuzione delle ricchezze e delle possibilità di espansione, può fare molto E infatti, « come può essere l’equilibrio europeo stabile se non con una più ade
54 L ’ Ordine Fascista, ottobre-dicembre 1925: «Variazioni sul patto di garanzia»(G. Douhet).
35 L ’Idea coloniale si presenta come « supplemento settimanale all’Idea Nazionale; l'Ordine Fascista ha come direttori A . doglia e Luigi Freddi, fra i redattori sono Corradini, Panunzio, Del Vecchio e Teresa Labriola.
36 Gerarchia, 1925, N . II, « Il Trattato di Locamo » (V. Scialoia).57 Gerarchia, 1926, IN. 1, «Mussolini e l ’Impero» (V. Gayda).38 Millenovecentodiciannove! (rassegna mensile della vecchia guardia fascista, dir.
M. Giampaoli), dicembre 1925 : « Il fascismo e la politica espansionistica » (Fabius) pp. 7-8.
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guata ripartizione dei compiti coloniali? » 3S. Ancora una volta, il fascismo cerca di inquadrare le proprie, esclusive finalità espan- sionistiche nell’ambito più vasto di un’azione generale di riequi' librio della politica europea. E tuttavia, il disegno è troppo sco- perto per non apparire subito in tutta evidenza: manca ogni effettiva comprensione degli interessi e delle rivendicazioni altrui, manca ogni reale solidarietà coi confratelli popoli « proletari ». Al contrario, le aspirazioni fasciste escludono, o mettono in sottordine, ogni ulteriore considerazione: la formula fissata dal Coppola, « stabilità e sicurezza alle spalle, in Europa, libertà e mobilità dinnanzi a se, nel mediterraneo ed oltre il mediterraneo, dove debbono restare aperte le vie del necessario avvenire (dell’ Italia) »59 60, lo conferma. Il regime vorrebbe cristallizzare la situazione sul continente, per rivolgersi oltremare, possibilmente col beneplacito delle grandi potenze marittime e coloniali... Ecco perchè, il fascismo non rinuncia mai alla possibilità di negoziare, « ecco anche perchè, per esempio, l’Italia ha firmato il patto di Locamo, che sotto il controllo anche italiano mira ad assicurare ed a consolidare l’equilibrio continentale europeo, mentre ha respinto e non poteva non respingere il protocollo di Ginevra del ’ 24, che col suo stabilimento universale della pace coatta, tendeva a consolidare anche l’equilibrio mediterraneo e coloniale, a fissare cioè immobilisticamente la carta imperiale del mondo » 61. E ’ la prospettiva che lo stesso Mussolini, di lì a poco, conferma in Senato: pace in Europa (e quindi rigida tutela della posizione acquisita al Brennero ed al confine orientale), ingrandimento coloniale e mediterraneo per l’ Italia, tramite negoziato. « Bisognerà che anche questa giovane Italia si faccia un po’ di posto nel mondo. Credo che bisognerebbe essere abbastanza intelligenti per farlo in tempo e con buona grazia, perchè questo veramente è il modo di tutelare la pace, di fame la parte giusta e duratura, come si legge nei Vangeli ormai molto vecchi del tempo wilsoniano...» 62. La minaccia è appena velata, l’alternativa coinvolge l ’intero assetto della carta mondiale. Puntualmente, in parallelo alle dichiarazioni
59 L ’Idea Coloniale, 16 gennaio 1926: « Un peso e due misure » (F. Nobili Massuero),60 Politica, 1925, fase. 7 1, « L ’idea imperiale della nazione italiana » (F. Cop
pola) p. 41.61 Politica, art. cit., p. 42.62 Atti Senato, Leg. X XV I, tornata del 28 maggio 1926, p. 5894.
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ufficiali solo in apparenza più rassicuranti, il coro concorde della pubblicistica di partito teorizza senza troppe remore le possibilità derivanti dall’uso della forza, dall’applicazione di criteri di « giu- stizia rivoluzionaria, capace di adeguare i rapporti di potenza tra i popoli, consacrati dai trattati, alle loro reali necessità. « L ’idea della pace, della giustizia... si ritorce contro chi la mette in moto e se ne vuole servire. E ’ un’idea conservatrice, ed è dei potenti che vogliono conservarla. Non può essere dell’ Italia decisa ad arrivare anche contro tutto e contro tutti. La nazione proletaria esclusa a Versailles dal gran bottino austro-germanico non può accettarla, deve combatterla « 63 64. E il Forges Davanzati in un altro, e ben più noto opuscoletto sulla politica del regime: « L ’ Italia si rifiuta di riconoscere un sistema societario dove possa cessare il merito delle nazioni e degli imperi e trasformarsi in un privilegio che attraverso le dottrine societarie, diventi sottomissione ingiusta per coloro che, man mano che si sviluppi la storia, acquistano ca- pacità e diritto ad essere nazioni di impero » “ . In ordine al con- seguimento di reali ingrandimenti, è l’intero edificio di Versailles ad essere messo in discussione: l’esperienza ginevrina, con tutte le sue implicazioni solidaristiche e democratiche, è esclusivamente condizionata alle esigenze italiane. E c’è poi, se mai occorresse ripeterlo, una precisa indicazione delle « direttive storiche, reali, essenziali della politica internazionale », che sono sempre « i problemi della nostra espansione coloniale, della nostra vita mediterranea, se il Mediterraneo che ci circonda non può, non deve essere prigione dell’ Italia; della nostra espansione nei mercati, della nostra emigrazione; problemi che rappresentano formidabili posizioni verso le quali l ’Italia deve necessariamente muovere all’attacco... ». Ed allora, occorre veramente che si realizzi una completa mobilitazione degli spiriti e delle energie del paese: « i discorsi della pace — osserva il nazionalista Carli su l’Impero van bene per i libri di scuola di Francia, Inghilterra ed America. Noi come il virile Giappone, vogliamo insegnare ai nostri figli l’uso delle armi prima che quello della logica... Quando poi saremo marci di civiltà come un certo popolo d’occidente o turgidi d’oro come certi altri, allora sì diporremo il brando e ci porremo a goz-
63 C. E . Ferri, La S. d. N . e l ’Italia, Milano, 1924, p. 100.64 R. Forges D avanzati, Premesse fasciste di politica estera, Milano, 1926, p. 5.
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zovigliare, in pace. Ma per ora... » 65. Non si esclude, per questa via, l’eventualità di un nuovo conflitto europeo per la conquista dei « posti al sole » 66 67 68 * 70 71, da cui l’ Italia non può e non deve restare assente. « Dall’osservatorio di Palazzo Chigi l’occhio d’aquila divenuto Mussolini sorveglia. Dietro di lui, una nazione ricondotta al culto dell’egoismo attende fiduciosa l’ordine di marciare per le strade del mondo » 61. Il linguaggio della stampa fascista, ancora una volta, è trasparente. C’è una precisa volontà di rivedere a proprio esclusivo favore i rapporti di forza internazionale: i mezzi saranno dettati dai fini stessi che il fascismo si propone e cioè al tempo stesso « accordi con gli altri popoli, e potenziazione delle nostre forze belliche » 6S, e neppure si esclude « l’ intesa, oltre che col mondo musulmano, anche con quello russo e tedesco, con un conseguente deciso programma di revisione di tutti i trattati di pace e addirittura di tutto l’equilibrio mondiale » ra... E ’ la minaccia consueta che però non ostacola i disegni di penetrazione e di dominio sui paesi arabi, nè la più aperta e sfrenata competizione sul terreno coloniale colla rinascente potenza germanica. A ll’indomani di Locamo, quindi, la politica estera fascista è già pienamente caratterizzata, e l ’attività svolta in questo periodo dalla diplomazia sia pure con metodi e dentro canali maggiormente sperimentati, è 11 a dare ulteriore testimonianza della coerenza e della tenacia con cui il governo fascista persegue la sua politica d’affermazione e di ingrandimento.
« Perchè l’Italia possa collaborare alla ricostituzione pacifica dell’Europa, le occorreva di poter assicurare alla sua crescente popolazione convenienti sbocchi e rifornimenti di materie prime... Era perciò indispensabile di prendere in necessaria considerazione le nostre aspirazioni per un dominio coloniale in Africa suscettibile di popolamento e di sviluppo economico »'°. Così il Romano- Avezzana, che « anche se un po’ scettico e discontinuo, era senza dubbio il miglior tecnico che si avesse in carriera » n, riferisce a
65 L'Im pero, 15 ottobre 1925: «Idillio europeo» (M. Carli).66 L ’Impero, io ottobre 1925: « I posti al sole».67 L ’ Impero, io ottobre 1925, art. cit.68 G. A mbrosini, L ’ Italia nel Mediterraneo, Foligno, 1927, p. 275.63 G. A mbrosini, op. cit., pp. 282-283.70 Documenti Diplomatici Italiani, Serie VII, Volume III, doc. N . 829 (30 apri
le 1925). (Di seguito indicati con D . D. I. ...).71 R. MOSCATI in La Politica estera italiana . . . cit., pp. 80-81.
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Mussolini le avances fatte a Painlevé. Lo stesso diplomatico fa poi cenno a precedenti scambi di vedute con il Contarini sulle possibilità che la Società delle Nazioni assegni in mandato all’ Italia le colonie portoghesi, in decadenza per la debolezza e l’ incuria della metropoli... 72 73. Ed è qui, a far proprie le aspirazioni del regime, un uomo della Carriera, non esente perfino da sospetti di antifascismo: ulteriore prova delle possibilità di intesa e di collaborazione fra partito e diplomazia. Gli argomenti del nostro ambasciatore a Parigi non mancano di suggestione: Francia ed Inghilterra non possono continuare a godere l ’esclusivo possesso dell’intera Africa « senza provocare presto o tardi delle reazioni ». La soluzione è a portata di mano: senza sacrificio delle due potenze imperiali l’Italia può essere almeno parzialmente soddisfatta, l’alleanza di guerra è perpetuata a spese dei piccoli stati. E ’ un progetto, questo, assai caro al Romano - Avezzana, che non manca di ritornarvi due volte: l’Italia ha un duplice ordine di interessi, eccolo precisare a Briand, « l’uno coincideva con la politica della Francia per la comune necessità di mantenere la Germania nei limiti delle frontiere definite dal trattato di Versailles... d’altra parte, esisteva una similitudine di situazione della Germania e dell’Italia, in quantochè, mentre avevano una popolazione in continuo aumento, e una crescente forza di espansione, si trovavano entrambe accerchiate e compresse nel loro sviluppo ». E allora, come superare l’ impasse? Con « una revisione dei mandati e., un diritto preferenziale sulle colonie portoghesi » n. Ancora. Nel quadro delle conversazioni per Tangeri e Tunisi, ecco Berthelot segretario generale del Quai d’Orsay, ventilare una proposta d’acquisto della piccola nazione iberica. E i tentativi di espansione continuano sulle più disparate direttrici. Una volta è l’ambasciatore a Mosca che lamenta la cattiva volontà dei sovieti nel non offrirci terre per colonizzazioni « in tutta la regione russa del mar Nero, nelle regioni dell’ immediato Transcauso » 74. E ’ il momento della stipulazione degli accordi di Locamo; e Mussolini si fa attentissimo di fronte ad ogni possibilità di ingrandimento e rivendica « il suo incontestabile diritto di priorità » che, se dimenticato, potrebbe indurre l’Italia a « riesaminare » tutta la si
72 D. D. I., s. VII, V. Ili, doc. cit.73 D. D. I., s. VII, v. Ili, doc. n. 842 (7 maggio 1925).74 D. D. I., s. VII, v . IV, doc. n. 100 (19 agosto 1925).
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tuazione anche nei confronti politici di Locamo e a negare in ogni caso la sua adesione a deliberazioni che ne misconoscerebbero duramente interessi e diritti » 75. A l ministro a Lisbona, poi, tele- grafa « segua molto attentamente situazione colonie portoghesi di cui ai rapporti ricevuti, ed in caso di novità avverta tempestivamente il Ministero » 76. E c’è perfino un progetto di spartizione della penisola arabica in due zone di influenza italiana e britannica: in particolare sullo Yemen, prospiciente la colonia Eritrea, si appuntano gli interessi del nostro ministero delle colonie '7. La documentazione diplomatica è ricca di spunti consimili, Le colonie portoghesi, il Medio Oriente, il Mar Nero, lo Yemen, la Tunisia, perfino la Siberia Meridionale... nessuna indicazione, neppure la più utopistica, è trascurata, nessuna possibilità è messa da parte, e la stessa varietà delle soluzioni proposte indicano ancora una volta l’esasperata volontà d’espansione del regime. Nascono così ben presto, presso l’opinione pubblica inglese, pur sensibile alle necessità dell’ Italia di « procurarsi nuovi sbocchi ove dirigere la sua emigrazione » 78 79, le prime perplessità di fronte alla prospettata penetrazione in Anatolia. E poi, l’allarme si diffonde: i pourparlers italo-britannici suscitano gravi apprensioni in Etiopia e Mussolini è costretto a precisare che l’azione comune concordata fra i due governi riguarda « unicamente una intesa per rivolgere insieme- ai governo Etiopico delle domande di ordine economico » ra. E ’ quindi, la stessa Inghilterra a mostrare vive preoccupazioni di fronte all’accordo con l’Imam Iahia dello Yemen (« prima parola imperiale della nostra politica coloniale che segna cautamente la decisiva volontà fascista di non imprigionare nei limiti del territorio le risorse dei nostri domini coloniali » come nota il ministro delle colonie Di Scalea) 80. L ’ambasciatore a Londra deve notare subito le possibilità di un aperto conflitto di interesse fra i due paesi: lo stesso sistema imperiale di comunicazione con le Indie viene ad essere minacciato da una eventuale presenza italiana sulle due sponde del Mar Rosso 81. Neppure la Francia sfugge poi alle
75 D. D. I., s. VII, v . IV , doc. n. 185 (25 novembre 1925).76 D. D. I., s. VII, v. IV , doc. n. 231 (1 febbraio 1926).77 D. D. I., s. VII, v . IV , doc. n. 245 e nota (15 febbraio 1926).78 D. D. I., s. VII, v. IV , doc. n. 320 (29 maggio 1926).79 D. D. I., s. VII, v. IV , doc. n. 267 (9 marzo 1926).80 D. D. I., s. V II, v. IV , doc. n. 414 (io settembre 1926).81 D. D. I., s. V II, v . IV , doc. n. 416 (-- settembre 1926).
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attenzioni mussoliniane : mentre si cerca di ottenere « all’Italia una soddisfazione che le è assolutamente dovuta per la sua situazione mediterranea di diritto e di fatto » 8\ ecco i progetti di favorire la penetrazione di mano d’opera e di capitali italiani in Corsica s\ di moltiplicare i servizi marittimi con l’isola, in vista di « un prò- gramma graduale di intensificazione di contatti tra la costa To- scana e quella Corsa » 82 83 84.
Fin qui la documentazione diplomatica: e la pubblicistica a carattere coloniale, largamente ispirata dalle correnti nazionaliste, e talvolta emanazione degli ambienti governativi 85, amplia ancora la prospettiva. Le concessioni di Giarabub e dell’Oltregiuba rientrano sempre nel patto di Londra, si sostiene: ora è tempo di realizzare la continuità territoriale tra i possedimenti eritrei e somali, fra Ras Kasar a nord dell’Eritrea e Ras Chiambane a sud dell’Oltregiuba 86 87 88. La direttiva che se ne ricava altera di molto il quadro idilliaco dei rapporti italo-abissini che il Guariglia ha tracciato nelle sue memorie s7. Infatti, quel che la stampa sembra suggerire, è proprio l’apertura del territorio etiopico ad una vastissima immigrazione italiana: « il problema etiopico è anche problema di mano d’opera (pronta a mettere a frutto) così vaste terre vergini, che centinaia di migliaia di lavoratori nostri per generazioni e generazioni vi troverebbero impiego » S8. La prima tappa per la realizzazione del disegno è la costruzione di una ferrovia
82 D. D. I., s. V II, v . IV , doc. n. 403 (1 settembre 1926).83 D. D. I., s. VII, v . IV , doc. n. 324 ( ... maggio 1926).8i D . D. I., s. VII, v . IV , doc. n. 460 (15 ottobre 1926).85 II carattere ufficioso della stampa colonialista italiana risulta quanto meno evidente
se si ha riguardo alle persone dei redattori e dei collaboratori. Per ricordare solo i fogli più diffusi, L ’Azione Coloniale, che ha per direttore M. Pomilio, pubblica sovente articoli di ministri e sottosegretari di stato alle Colonie, fra cui, in particolare, il Lessona, e conta, fra i collaboratori abituali, V . Mantegazza, M. Pigli, A . Leonori Cecina ed altri noti pubblicisti. L ’Oltremare, diretto da Roberto Can- talupo, ha un comitato redazionale formato, fra gli altri, dal Duca degli Abruzzi, dall’amm. Cito Filomarino, da Alberto De Stefani, R. Forges Davanzati, il ministro Lanza di Scalea, A . Pirelli, 'A. Solmi e Giuseppe Volpi di Misurata. L ’ Idea Coloniale, come si è detto, supplemento a L ’Idea Nazionale, pubblica regolarmente scritti di Orazio Pedrazzi, Ferdinando Nobili Massuero, F. Galli e Maurizio Rava. E infine l'Illustrazione Coloniale, rassegna mensile d’espansione italiana fondata già nel 1919 e diretta da Arturo Miniaci, si avvale della frequente collaborazione di Italo Balbo, Giotto Dainelli, Mario de’ Gaslini, Piero Foscari...
86 Idea Coloniale, 1 maggio 1926: « Coscienza coloniale » (S. Belleni).87 R. Guariglia, op. cit., p. 54 e sgg. Cfr. anche G. V edovato, Gli accordi italo-
etiopici dell’agosto 1928, Firenze 1956, pp. 221.88 Idea Coloniale, i o luglio 1927: « Gli interessi dell’Italia sono gli interessi dell’E
tiopia » (M. Rava).
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che colleghi le due esistenti colonie italiane. Poi, proclama Can- talupo « la bandiera ha sempre seguito l’uomo » 89, la costituzione anche formale del dominio italiano sarà col tempo inevitabile. E lo stesso modus-operandi è prospettato per altri settori dello scac- chiere mediterraneo e africano: una larga penetrazione, commer- ciale e immigratoria, e quindi la creazione del possedimento, eventualmente rivestito della qualifica di « mandato ». E ’ il caso del Medio Oriente, « noi soli nel Mediterraneo, in confronto di inglesi e di francesi, possiamo ripopolare sia per numero che per capacità di adattamento le regioni spopolate del levante e svilupparne l’economia col nostro lavoro » 90. Quel che si vuole ancora una volta, è una revisione dell’assetto dei mandati, e infatti « una collaborazione anglo-franco-italiana non può essere sincera e leale e specialmente durevole senza un più equa distribuzione » 91 92. Qui torna puntualmente la polemica fascista, da qui prendono sempre le mosse le considerazioni di politica estera. Il leit-motiv è martellante: « le potenze conservatrici, quali sono la Francia e l’ In- eh il terra, non possono pretendere di averci al loro fianco nella difesa di un’ipotetica civiltà europea, auando di essa non godiamo alcun beneficio » 9a.
Alla luce di auesto revisionismo sostanziale che caratterizza la nolitica mussoliniana, le contraddizioni apparenti ancora una volta perdono significato. Quel che interessa al regime è la cessione del mandato, lo sbocco per l’emigrazione, il mercato per i nrodotti italiani. Anzi, fra vincitori e vinti, fra le democrazie occidentali e la Germania, se ancora non revanchista, certo impaziente di liberarsi del pesante fardello imposto a Versailles, il calcolo del regime e le naturali propensioni dei diplomatici fanno propendere per la pressione sui vecchi alleati e la conservazione del fossato del i q i 8 . E non v ’è traccia, poi, in questi anni, a stare alla pubblicistica, ai documenti diplomatici pubblicati, alla memorialistica, di una preparazione militare capace di procurare all’ Italia i desi
89 Idea Coloniale, 24 aprile 1926 (Discorso di Cantalupo al teatro S. Carlo di Napoli).90 Politica, 1925, fase. 7 1, « La Sìria, i mandati e gli interessi italiani » (R. Tritoni)
pp. 127-158.91 Politica, 1925, fase. 7 1, art. cit.92 Rassegna Italiana, 1926, n. 63, aprile, « La giornata coloniale ed il viaggio del
Duce in Libia » (La Direzione).
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derati possessi mediterranei ed africani con un’azione bellica 93. Il negoziato, dunque, la ferma determinazione a sfruttare le tensioni europee, a muoversi fra i nascenti contrapposti allineamenti, restano i procedimenti abituali dell’azione diplomatica fascista, che solo in via subordinata si pone apertamente in contrasto con la vecchia prassi internazionale, che preferisce sempre piegare alle « necessità nuove » del regime. E tuttavia, se non si perde di vista il posto particolarissimo ed il significato che la propaganda e la pubblicistica fascista attribuiscono alla politica estera, non si può ancora una volta non riconoscere un nucleo originale e coerente di orientamenti fondamentali. Lontanissimi dalla concezione liberale ed ottocentesca del « concerto » europeo, e pur tenaci nel riaffermare per l’Italia un posto fra le grandi potenze nel direttorio supremo degli affari mondiali; più duttili dei nazionalisti, ma non per questo meno convinti della necessità dell’espansione e del destino « imperiale » dell’Italia; profondamente scettici di fronte ai tentativi societari, di ispirazione democratica ed internazionalistica e persuasi della storicità dell’urto fra popoli giovani e popoli ricchi, della competizione, della lotta per la vita, Mussolini, Grandi, i loro collaboratori ed una fittissima schiera di giornalisti e pubblicisti percorrono la loro strada. Il decennio 19 25-19 35 è lì a dimostrare l’ inesistenza di soluzioni di continuità nella prospettiva fascista, e, pur in assenza dei documenti diplomatici italiani e tenuto conto delle larghissime lacune esistenti nei carteggi ufficiali di altre potenze europee, non sembra impossibile tracciare un primo disegno, avviare un bilancio di questa fase della politica del Regime.
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C ’è innanzitutto il tentativo di interpretare la messa al bando della guerra come strumento di soluzione di controversie internazionali, in chiave revisionistica: « l ’istituto ginevrino identifica il mantenimento della pace con l’immutabilità degli odierni trattati, mentre il patto americano prescinde intieramente da ogni trattato o accordo che non abbia per scopo la pace, e nella sua latissima e assoluta formulazione, sembra dar ragione alla tesi italiana della
93 A simili conclusioni giunge anche G. Rochat in un saggio su Politica militare e politica estera del fascismo, nel volume di imminente pubblicazione Politica estera ed opinione pubblica in Italia dal 1870 al 1945.
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rivedibilità dei trattati mediante procedimenti pacifici e come mezzo di prevenzione contro il pericolo di nuove guerre » 91. Ma la delusione non si fa attendere: « il Patto Kellog — sono presto obbligati ad ammettere i fascisti del Tevere —- buon ultimo nella serie dei tentati miracoli, è stato accolto da noi fascisti con la corretta sopportazione che meritava » 9a. L ’ammonimento alle de- mocrazie occidentali era stato più che esplicito, infatti « il rivo- luzionario — o meglio, il sovversivo — può diventare, anzi diventa ipso fatto conservatore in una sola maniera: acquistando qualcosa da conservare » 94 95 96 97 98. Ed è proprio questa spinta incontenibile al possesso ed all’ingrandimento a costituire l’elemento determinante dell’ azione diplomatica del Regime. Nella rozza filosofia politica di questi « fascistissimi », la storia del mondo è eterno conflitto fra chi ha un avvenire da conquistare e chi ha un passato da difendere. « Tizio possiede due rivoltelle — esemplifica l ’Educazione fascista — e propone a Caio che ne ha una soltanto di disarmare parzialmente buttandone via una per uno. Caio naturalmente non accetta. Tizio grida che Caio vuol fare la guerra e trae pretesto dal rifiuto di Caio per procurarsi una terza rivoltella » 9'. Il Patto Kellog puro espediente dei popoli « arrivati » per contenere l ’ impeto di quelli proletari: questa l’interpretazione che, con crescente uniformità d’accenti, prospetta la stampa fascista. « Lo stesso mistero psicologico per cui il sovversivo, diventando proprietario, si fa conservatore ad oltranza, e chiama a difesa degli acquistati quattro sassi tutta la severità e la forza legale della classe dominante, fa sì che gli Stati una volta giunti alla ricchezza, diventino pacifisti senza riserve, per potersela godere in beata tranquillità » 93. Ed il discorso della Corona dell’aprile 1929 conferma, con ben diversa autorevolezza, quelle posizioni che si potrebbe esser tentati d’attribuire a gruppi isolati d’estremisti: « Le conferenze per il disarmo si sono susseguite in questi anni ultimi: nobili iniziative furono tentate, uomini politici e periti della materia si riunirono, ma il disarmo è rimasto, sino ad
94 Corriere Padano, 28 agosto 1928: «Collaborazione all’Europa!» (Miron).95 II Tevere, 9 agosto 1928: « Eclissi parziale ».96 II Tevere, 8 agosto 1928: «Popoli d’avvenire».97 L ’Educazione Fascista (Organo dell’ Istituto Nazionale Fascista di Cultura, dir.
G. Gentile), 1928, n. 8, « A proposito del patto di Kellog » (A. O. Olivetti), p. 474.98 Augustea (Rivista di politica, economia ed arte. Dir. Franco Ciarlantini), 1928,
n. 1 , « La pacifica proposta di Kellog ».
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oggi, una generosa speranza contraddetta dagli armamenti con- tinui in terra, in mare, nell’aria » " , Ma, continua il Sovrano, « questo non significa che l’ Italia non voglia o non possa perseguire una politica di pace e d’amicizia con gli altri popoli; e però la condizione è esplicitamente formulata: ... quando i legittimi interessi dell’Italia siano concretamente e lealmente riconosciuti»99 100. Ed allora, non a caso la stampa fascista riprende il consueto motivo della « pace con giustizia », che più o meno copertamente, implica il riconoscimento della guerra come uno strumento normale, se pure estremo, per la soluzione dei conflitti ed il soddisfacimento dei maggiori bisogni delle nazioni. « Finche al diritto internazionale mancherà quell’organo (e nessun segno ne fa prevedere la costituzione) che sia il supremo moderatore delle azioni degli Stati e il realizzatore, nelle proprie norme giuridiche della libertà etica, che adesso gli Stati realizzano per proprio conto, non è possibile accogliere alcuna norma perpetua ed universale, della portata di quella contenuta nel patto franco-americano » 101. E ’ insomma possibile, nell’attuale equilibrio di potenza, parlare di « guerre d’aggressione? ». Certo, « al lume dei nuovi principi — osserva il Popolo d’Italia — Cavour per la guerra sacrosanta contro l’Austria e Garibaldi per la leggendaria spedizione dei Mille sarebbero condannati come deplorevolissimi aggressori.., ma esiste (oggi) una giustizia di perfezione divina per gli Stati e le colonie?». La conclusione indica bene ciò che più sta a cuore alla diplomazia del regime: occorre evitare il definitivo consolidamento dell’attuale distribuzione dei possessi coloniali, degli sbocchi emigratorii, di possibili mercati. Se il fascismo partecipa alla formale sotto- scrizione dell’accordo sull ’outlawry of war, e se proclama la lealtà dell’adesione, le riserve non sono meno importanti ed esplicite. Il giornale mussoliniano lo dichiara subito: « sotto le concezioni, un poco ingenue e molto furbesche della guerra fuorilegge, noi avvertiamo l’agitarsi di un istinto barbarico ed ingordo, intento all’acquisto di materiali e beni, e preoccupato di salvaguardarsi dalle audacie di chiunque... ». Spirito di Locamo e patto Kellog, ideali internazionalistici di disarmo e di pacifica composizione delle
99 A tti Camera, 20 aprile 1929, inaugurazione della XVII Legislatura, p. 3.109 Atti Camera, loc. cit., p. 4.101 L ’Ordine Fascista, 1928, n. 1, « L ’extralegalità della guerra » (G. Chiarelli)
pp. 15-16.
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vertenze, tutto assume per il fascismo un significato ben chiaro ed indiscutibile: « non disturbate gli operosi ozii di chi si trova ad essere più potente di voi » ... 10\
Nessuna incrinatura, quindi, nell’ impostazione fascista. Certo, non per questo viene meno la consueta duttilità nella realizzazione concreta di questi orientamenti di politica estera: eppure, a ben vedere, anche qui il margine di oscillazione è molto ridotto. Si preme su Francia ed Inghilterra, ma senza sfiorare mai il limite della rottura; si solleva il motivo della solidarietà tra i popoli « proletari », ma senza dimenticare la vittoria del 19 18 e la scon- fitta di germanici e di ungheresi. Ora all’uno, ora all’altro di questi strumenti fa ricorso il regime; la meta resta l’ingrandimento, la revisione dei mandati e dell’assetto coloniale, il riconoscimento del ruolo di grande potenza spettante all’ Italia. Su questa prospettiva si collocano e la questione del disarmo e gli accentuati appelli revisionistici, le trattative del patto a quattro e l’ incontro con Lavai, che chiude una fase della politica estera fascista ed inaugura il periodo imperiale del Ventennio. Sarà, quello, il maggior trionfo del revisionismo mussoliniano, appena velato dalla minacciosa ed inarrestabile ascesa hitleriana. L ’impero è, insomma, la meta suprema cui si dirige la politica del regime, e non è, già, quell’imperialismo prevalentemente « spirituale » che aveva caratterizzato il periodo immediatamente seguente la marcia su Roma: ad esso, il fascismo tende ora in piena consapevolezza.
La politica estera è la risultante di molteplici componenti, il coronamento degli sforzi e delle aspirazioni di tutto un popolo; e la posizione internazionale che lo Stato sa conquistarsi è al tempo stesso l’unico metro per giudicare della sua effettiva potenza, del suo grado di civiltà. Così il Popolo d’Italia: « ... dalla popolazione alla religione, dalla produzione alla scuola, dalla coscienza alla potenza, dalla moralità alla funzione sociale, tutto è necessario, ma secondo una legge ed una direzione esclusiva. Non abbiamo paura pertanto di dichiararci imperialisti e statolatri, perchè guardiamo all’ impero come al segno concreto e severo della nostra civiltà nel mondo, e perchè guardiamo allo Stato come al centro attivo dinamico e sovrano della nuova rinascenza italia- 102
102 Popolo d ’ Italia, 29 luglio 1928: « L a guerra ’ fuori legge’ » (G. Polverelli); ivi, 23 agosto 1928: « L ’ anarchia nella legge » (C. Pellizzi).
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na » 103 104 105. E ’, insomma, una « tremenda concentrazione delle direte tive e degli sforzi », una totale polarizzazione delle capacità nazionali, votate al culto esclusivo della potenza. Qui si dirige, innanzitutto, la politica demografica del regime. Il numero — ripete incessantemente la propaganda — è potenza: e insieme, l’incremento demografico è motivo d’allarme e giustifica le reiterate pretese di sbocchi e di concessioni coloniali. « Una nazione esiste non solo come storia e come territorio, ma come masse che si riproducono di generazione in generazione. Caso contrario è la servitù o la fine. Fascisti italiani: Hegel, il filosofo dello Stato, ha detto:’ Non è uomo chi non è padre! ’ ... 60 milioni di italiani faranno sentire il peso della loro massa e della loro forza nella storia del mondo » E, d’altra parte, la pressione demografica si sta facendo insostenibile. « Anche l’ Italia — proclama Grandi al Senato — ha il suo problema da porre davanti al mondo. Esso non è meno alto nè meno grave che quello della sicurezza, che quello della libertà, che quello della ripresa e dei rapporti economici fra Stati vicini... Problema di pace, di tranquillità e di lavoro ad un popolo di 42 milioni di abitanti che saranno 50 fra un quindicennio. Possono essi esistere, vivere, prosperare, compressi in un territorio che è mezzo di quello francese, di quello spagnolo, di quello germanico, che non ha ricchezze di materie prime, che non ha risorse per i suoi rifornimenti vitali, prigioniero in un mare chiuso oltre il quale esso ha i suoi commerci, del quale alcuni Paesi posseggono gli sbocchi, altri controllano le vie d’accesso che sono come le forche caudine della sua libertà, della sua ricchezza, della sua alimentazione medesima, mentre tutte le nazioni elevano barriere allo sviluppo dei traffici, al movimento dei capitali, alle correnti d’emigrazione...? » 103. Le parole del ministro degli esteri tracciano un compiuto disegno dei motivi e delle tendenze della politica internazionale del regime: i bisogni dell’ Italia vi sono indicati con chiarezza, e riguardo poi ai mezzi, la piega del discorso ancora una volta indica bene la limitatezza della prospettiva, la disponibilità di fondo per ogni soluzione che possa assicurare il successo e l’ ingrandimento oltremare.
Tipica è l’argomentazione degli ostacoli alle possibilità emi
103 Popolo d ’Italia, 1 maggio 1928: « Integralismo » (G. Gamberini).104 Gerarchia, 1928, n. 9, « Il numero come forza » (B. Mussolini).105 Atti Senato, Leg. XXVIII, tornata del 3 giugno 1932, p. 5421.
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gratorie della nazione italiana. Se diplomatici, uomini di governo e pubblicisti fascisti lamentano concordi le barriere imposte alle tradizionali correnti emigratorie del Paese, dall’altro non mancano di scoraggiare queste vie di soluzione del problema demografico, e ciò proprio in ragione delle necessità di potenza, per non pri- varsi di questa ulteriore giustificazione agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. Così il senatore Rolandi Ricci, « nessuno può pensare che possasi ritornare ai vecchi sistemi d’emigrazione, ripugnanti alla dignità italiana, depauperatore della forza e della ricchezza nazionale » 106. Qui, si sottolinea, è uno dei più importanti punti di rottura con la vecchia tradizione della politica liberale. « A ll’emigrazione si applaudiva, alle colonie si irrideva — dichiara in sede di discussione del bilancio delle Colonie il deputato De Nobili — Il regime fascista ha rovesciato d’un colpo queste esiziali ideologie: il Regime ha proclamato che questa nostra ricchezza demografica deve essere messa a servizio della nazione, nazione che si protende oltre mare e abbraccia i possedimenti africani e dell’Egeo... La politica coloniale s’ innesta così nel gran tronco della politica demografica, che è politica di potenza. Restrizioni e disciplina dell’emigrazione all’estero, bonifica integrale all'interno, avvaloramento delle colonie... » “ 7. E poiché, come si è detto, allo stato attuale della ricerca, non vi sono elementi per prospettare l’esistenza di una adeguata preparazione militare in funzione espansionistica, la mobilitazione fascista sembra compiersi, ancora una volta, sul terreno della propaganda e della psicologia collettiva, sia interna che internazionale. Quel che si vuole creare, insomma, è l’immagine di un’Italia forte, compatta intorno al regime, volonterosamente disposta al mantenimento dell’ordinata convivenza e, al tempo stesso, caratterizzata da un’incontenibile bisogno d’espansione. E Arnold Toynbee, nel suo prezioso Survey of international affairs, lo aveva pur rilevato: « between the march on Rome and the autumn of 1927, Signor Mussolini whatever language he might have used, had always refrained, in the last resort, from breaking the peace of Europe and that he had even cooperated in the constructive work on behalf of European peace... » 10S, riconoscendo che « Italy had a 108
108 Atti Senato, Leg. XXVIII, tornata del 2 giugno 1930.107 Atti Camera, Leg. XXVIII, tornata del 5 giugno 1929.108 Survey of International Affairs, 1927, by A. Toynbee, London 1929, part II,
p. 12 1.
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genuine need for expansion in some form ». Poiché si ammette da più parti che le attuali colonie italiane non bastano alla ne- cessità del paese, « bisogna dunque trovare una colonia di popolamento. E (dato che) non abbiamo nessuna intenzione di prendere roba altrui, non c’è che da proporre a Ginevra una revisione della distribuzione dei mandati. Ed è qui che potremo saggiare il funzionamento pratico della Società delle Nazioni » 109 110 111 112 : così il Rolandi Ricci. E ’ la stessa conclusione cui giunge Roberto Michels in una relazione tenuta al primo Congresso di studi coloniali « Firn- perialismo nasce quando un paese è saturo di popolazione al punto di produrre una sovrapopolazione (sproporzione tra il numero degli abitanti ed i mezzi ottenibili di sussistenza, che spinge i soprannumerari all’emigrazione). Allora lo Stato procura di crearsi un impero coloniale proprio, suscettibile d’assorbire l’eccesso di popolazione, affinchè questa rimanga parte integrante della Patria... » no. Un soddisfacimento delle inderogabili esigenze italiane è poi nell’interesse della pace generale: « l ’ Italia ha urgente bisogno di piazzare le sue forze lavorative: non sarebbe forse meglio dirigerle in Africa, piuttosto che farle esplodere in Europa? Perchè non bisogna farsi illusione: l’intero sistema fascista sta sotto il motto « espandersi o esplodere! » m. « Quando un popolo è saturo di forze e di uomini, cosa deve fare per non scoppiare o per non diventare schiavo? » u2.
L ’unico rimedio alla crisi mondiale, apparentemente inarrestabile, è ancora una volta, negli orientamenti fascisti, il revisionismo. (( Non si sopprime un morbo sì diffuso ed organico se non si sopprimono i suoi focolari d’ infezione. La crisi è soprattutto politica, e solo con la revisione dei trattati, ossia dei bastardi e falsi risultati della guerra, potrà arrivare ad un novus ordo che saldi l’Europa ed il mondo » 113. Potrebbe sembrare, a prima vista, un ritorno alle più clamorose declamazioni revisionistiche successive a Locamo; all’ immagine consacrata dalla propaganda fascista, dell’ Italia dispensatrice di giustizia e riparatrice dei torti di Ver
109 Atti Senato, Leg. XXVIII, tornata del 2 giugno 1930, p. 2730.110 R. M ich els, Storia delle teorie coloniali, in Atti del 1 Congresso di studi Colo
niali, Firenze, 19 31, vol. II, p. 179.111 Echi e Commenti, 25 giugno 1931, « Fame coloniale ».112 Popolo d’ Italia, 6 dicembre 1930: « I fittavoli del mondo » (A. Mussolini).113 Popolo d ’Italia, 6 dicembre 1930, art. cit.
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sailles. E tuttavia, se si ha riguardo ai crescenti allarmi che desta la ripresa politica ed economica tedesca, alla miope e rigida difesa della priorità delle proprie rivendicazioni oltremare, alla riaffer- mazione ossessiva del ruolo di grande potenza assicurato all’ Italia da Vittorio Veneto, non si può non rendersi conto della peculia- rità del fenomeno revisionistico fascista, della sua prospettiva, al fondo, sempre rigorosamente limitata alle aspirazioni coloniali dell’ Italia. E ’ proprio questa caratteristica che permette alla diplomazia del regime, volta a volta, di appoggiare e fomentare le inquietudini germaniche (o, seppur con un rilievo quasi trascurabile, a stare alla pubblicistica, quelle ungheresi) e di rinnegarle, dando nuova vita alle solidarietà d’armi del 19 15 - 18 , o più semplice- mente invocando le superiori esigenze del paese... « l’ Italia non è più quella del 19 19 — dichiara poco dopo Locamo L ’Idea Co' loniale — e non è più disposta a lasciarsi defraudare di ciò che le spetta, e la prima cosa che le spetta è di precedere la Germania nella ripartizione di riserve naturali ancora disponibili per popoli sovraffollati » 1U. Così, molto indicativa è la progressiva evoluzione dell’atteggiamento fascista, proprio in rapporto alla parabola che la democrazia di Weimar percorre verso il nazionalismo e la dittatura. Inizialmente, è la competizione per la priorità nel soddisfacimento delle aspirazioni espansionistiche. Osserva l’ufficioso Oltremare ancora nel 1929 : « E ' possibile... che la Germania e l’ Italia abbiano un bisogno economico approssimativamente uguale di ottenere nuove fonti di ricchezza e nuove terre per la propria eccedenza demografica, ma è certo che la Germania ha perduto la guerra e l’ Italia l’ha, con immenso sacrificio di sangue e di danaro, vinta. E ’ assurdo che... si possa pensare che il diritto del vincitore debba soffrire danni da un’artificiale parità con il diritto del vinto » 115. E tuttavia, c’è già chi pensa ad una possibile complementarità d’interessi: i due popoli trovano sulla loro strada un solo avversario, e allora « le due politiche hanno troppi punti di interferenza per consentire un’attività dissociata od indipendente... A Roma guardano gli sconfitti di Versailles, primi tra essi, la Germania » U6. Possono i « beati possidentes » frenare 111
111 L ’Idea Coloniale, 20 marzo 1926, « Lo spirito di Locamo non può soffocare le nostre necessità di vita. Pensare prima all’Italia » (F. Nobili Massuero).
115 Oltremare, 1929, n. 5, « Episodio diplomatico » (L’O.), p. 175.116 Critica Fascista, 1929, n. 16, « Bandiere sul Reno », p. 314.
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l’impeto dei « grandi popoli, ricchi di tradizioni e di civiltà come l’italiano, il germanico e l’ungherese » n'. L ’arco sembra compiuto: l’ Italia fascista non tarda a porsi come polo catalizzatore di tutte le insoddisfazioni, di tutte le volontà di rivincita europee: è questo, indubbiamente uno dei volti della politica fascista. Ma se si proclama, « attorno a noi graviteranno quei paesi che per esigenze della loro stessa vita dovranno procedere alla revisione dei trattati ed alla stipulazione di nuove norme, alla elaborazione di nuove forme che reggono la vita ed i rapporti internazionali » n°, non mancano le riserve e gli allarmi per il crescente successo del nazionalsocialismo tedesco. Sono proprio i gruppi nazionalisti di Politica a notarlo, cogliendo il pericolo reale di un conflitto, che vanificherebbe l’oramai decennale politica mussoliniana di realizzazioni, al fondo, pacifiche: « l’avvento personale di Hitler potrebbe apportare pochi ulteriori benefici e invece molti nuovi pericoli e specialmente uno grandissimo, capitale, e per la Germania e per l’Europa... » 117 118 119 120. Non manca neppure l’esplicita volontà di preservare talune posizioni conquistate con la guerra, e l’ammonimento è diretto contemporaneamente a Berlino ed a Budapest. « L ’ordine di Versailles — osserva Alfredo Signoretti, collaboratore abituale per la politica estera della mussoliniana Gerarchia ■— non è un nostro ordine, tutt’altro, ma abbiamo delle conquiste che non fu possibile contestarci e che difenderemo aprioristicamente, decisamente... i nostri diritti sovrani sull’Alto Adige, l’opposizione alì’Anschluss, il veto ad eventuali restaurazioni asbur- giche.*. » .
Unicuique suum tribuere 121 122, neminem laedere 122 : le massime fondamentali della legge romana ricorrono con frequenza sulla pubblicistica fascista, e vorrebbero testimoniare quel principio di giustizia internazionale cui la politica mussoliniana pretende di ispirarsi. Ma, come si è visto, la forzatura è evidente, ed un osservatore straniero, attento ed imparziale, il Toynbee, può osser
117 iCritica Fascista, 1931, n. 1 , « Crisi economica e revisione dei trattati » (L. Inganni).
118 Ottobre (Giornale del Fascismo universale; dir. A . Gravelli), 15 novembre 1932: « Sulla via d’ottobre è il destino d’Europa » (A. Gravelli).
119 Politica, 1922, n. 103-104: «Postilla» (F. Coppola), p. 309.120 La Stirpe, 1929, n. 1 , « L ’incubo dell’isolamento e la libertà politica estera ita
liana » ((A. Signoretti), pp. 4-5.121 Educazione Fascista, 1928, n. 8, art. cit., p. 478.122 Atti Senato, Leg. XXVIII, tornata del 1 giugno 1932, p. 5392.
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vare: « The remarkable change in Fascist policy which had thus come about in the course of the three years 1928 to 1930, did not imply any change in aim... Signor Mussolini was really ca- pitulating to the spirit of the times when he inscribed the formula of disarmament and treaty revision on his fascist stendards. In hoc signo vinces. Italy might hope to realize her own aims in so far as she harmonised and identified these with the general aims of manking at large » 123. Le rivendicazioni del regime, insomma, vogliono inserirsi nel quadro più ampio di una pacifica ricostruzione dell’ordine e della pacifica convivenza europea. « Rivoluzione e non conquiste: giustizia e non usurpazione » 124 125 è veramente lo slogan della diplomazia mussoliniana, che non tarda a prospettare le crescenti minacce che lo sviluppo economico e la potenzialità bellica di altre « razze », quali l’americana e l'asiatica, rappresentano per il primato del vecchio continente... Il fine è evidente: mostrare in tutta la sua urgenza la necessità dell’accordo fra le nazioni europee, che presuppone sempre ed in primo luogo il soddisfacimento delle aspirazioni italiane. « Bisogna rimaneggiare la carta dell’Africa e bisogna farlo di comune accordo, perchè l’ interesse è comune 1!b. Il centro degli interessi sembra gravitare, ancora una volta, più che sui delicati equilibri balcanici, sulle colonie e l’oltremare.
E ’ insomma, una « soluzione africana della crisi europea », quel che la pubblicistica del regime non si stanca di esaltare. E non manca neppure il suggerimento di mettere in comune la totalità dei possedimenti coloniali, dei mandati, dei domini, e di aprirli semplicemente alla libera emigrazione ed al commercio 126... Così, nell’ insieme, al di là degli aspetti multiformi, delle prospettive utopistiche, delle evoluzioni vistose, degli ondeggiamenti apparenti, è quel che si potrebbe dire un « revisionismo coloniale » a costituire il perno attorno a cui ruota tutta la politica estera fascista. E, se occorresse mai una ulteriore conferma, la questione del disarmo è lì a confermarlo. Stampa e dichiarazioni ufficiali alla Camera ed al Senato concordano: l’ Italia è disposta ad accet-
123 Su rvey..., cit., 1930, p. a i .m W . Rossi, Rivendicazioni mediterranee e imperiali, Milano, 1932, (Quaderni della
scuola di mistica fascista Italico Mussolini), p. 13.125 P . D ’A g o st in o O r s i n i , Revisionismo in Africa, in Africa: espansionismo fascista
e revisionismo (a cu ra d i A . G r a v e l l i) , R o m a , 1 9 3 3 , p. 66.
126 Critica Fascista, 1930, n. 19, « L ’ internazionale delle colonie » (M. Govi).
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tare il livello più basso che si intenda fissare ed osservare per gli armamenti 127, e tuttavia la condizione esplicitamente posta ri' chiede un’opera preliminare di « giustizia », il riesame di alcune clausole di Versailles. « Disarmare — osserva il Sen. Gallenga nella discussione dello Stato di previsione del ministero degli esteri — anzitutto gli spiriti e comporre senza ciechi egoismi e schiaccianti supremazie in uno stato di equilibrio la vita econo- mica delle diverse nazioni. Ecco quel che occorre se si vuole davvero arrivare al disarmo ed alla pace universale ». Ed il Sen. V alvassori Peroni, relatore, « le sicure basi di un’intesa europea non possono essere fondate che sulla reciproca comprensione e sulla creazione di armoniche condizioni di sviluppo fra i vari Stati»...128.
Lentamente, è attorno all’ Impero Etiopico che si accentrano le mire e le speranze fasciste. Il Toynbee, per la verità, l’aveva nettamente percepito fin dal 1929, sottolineando quella « exclusive Italian economie influence » che l’accordo italo-britannico del ’ 25 aveva riconosciuto. Ma c’è di più. Notando l’aumento di prestigio che i patti lateranensi avevano portato al regime, riteneva quasi inevitabile che « the Italians should cherish the ambition of turning these forlow colonies into more profitable concerns (and perhaps incidentally wiping out the still unefEaced humiliation of Adowa) by eventually establishing some kind of economic, if not political, continuity between the two colonies across their common Abyssinian hinterland »... è il vecchio disegno degli anni ’ 25 e ’ 26: la strada (o ferrovia) di grande comunicazione fra Eritrea e Somalia, attraverso il semicivilizzato impero del Negus, con una possibile diramazione per la capitale129. Un’occasione unica, per incrementare i traffici, per soppiantare la vecchia influenza francese movente da Gibuti, per avviare una colonizzazione degli altipiani etiopici, per accrescere l ’ influenza politica ad Addis Abeba. E la pubblicistica fascista riprende e sviluppa questi temi, pur con qualche perplessità, per non privarsi di altri, eventuali campi di manovra, per evitare i pericoli di un’azione diretta contro il Negus. Così, anche « contro il nostro interesse, immediato o lontano», come nota Santi N a v a 130,
127 Echi e Commenti, 5 novembre 1932: «Dieci anni di politica estera fascista».128 Atti Senato, Leg. XXVIII, tornata del 2 giugno 19 31, p. 4053; ivi, p. 2683.129 Su rvey..., cit., 1929, p. 225; 2 13 .130 L ’Educazione Fascista, 1932 (luglio), « La penetrazione italiana nell’Africa orien
tale » (S. Nava), p. 557.
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ecco il regime atteggiarsi a fautore del consolidamento del potere centrale etiopico, contro le molteplici forze centrifughe delle province e delle influenze straniere. « La Francia dunque, a giudicare dall’ indirizzo seguito in questi ultimi tempi, non sarebbe aliena a spingere l’ Italia in Etiopia, a vedere la spartizione di questo impero... Sempre però facendo pagare caro un suo eventuale disinteressamento » 131 : con la rinuncia italiana ad eventuali cessioni di mandati nel Tanganica, a Gibuti, nel Kenia e nello Yemen, di differente importanza commerciale, strategica o di popolamento. Quel che è certo, per la stampa fascista, è l’ intensificazione dei rapporti con l’ Impero confinante, e non si esclude ancora che la penetrazione possa avvenire pacificamente 132. Gli ostacoli, tuttavia, non sono trascurabili, per la xenofobia delle vecchie classi dirigenti e la sicumera delle nuove generazioni, che guardano a Parigi ed a Londra, piuttosto che a Roma 133. E poi, « le rivalità in Abissinia ci impediscono di avere in quel paese la funzione di vettore di merci, di propulsore di energie e di civilizzatore, cui ci chiamano cinquantanni di sforzi singoli e statali » 13‘. L ’intervento non è però escluso e, anzi, lì sembra condurre la piega delle argomentazioni fasciste. Occorre l’avallo delle potenze: ed il primo tentativo è condotto in occasione del Patto a quattro, di quell’accordo che la propaganda del regime attribuisce proprio a Mussolini. In esso, la stampa fascista saluta la fine del vecchio ordine consacrato a Versailles e faticosamente conservato per tanti anni dalla diplomazia del Quai d’Orsay 135. « Il Patto — commenta La Stirpe — non esclude, non ignora la realtà e la vitalità delle opposizioni di interessi e di tradizioni, ma vuole essere lo strumento per risolverle pacificamente » 136. Nasce insomma un nuovo « sistema » europeo, dinamico e solidale, contrapposto ai vecchi allineamenti di potenze, « saldo, du-
131 Azione Coloniale, 8 dicembre 1932: « L ’Etiopia e le mire italiane» (m. Pi.)C fr. anche: io aprile 19 31, « L a Germania ed il Tanganica» (V. Mantegazza);
1 dicembre 1932 « L ’unità della politica coloniale italiana »s 15 dicembre 1932 « La manovra continua »; 27 ottobre 1932 « Dieci anni di politica estera » ecc.
132 Azione Coloniale, 1 1 maggio 1933.133 Azione Coloniale, 12 ottobre 1933: « E ’ possibile una collaborazione italo-etio-
pica » (Aethiopus).13i Antieuropa, marzo-aprile 1933: «Revisionismo in Africa» (P. D ’Agostino Or
sini), p. 89.135 Rassegna Italiana, 1933, marzo, « Fine di Versailles » (S. de Cesare), p. 216.136 La Stirpe, 1933, n. 6, « L ’atto universale della Rivoluzione Fascista ».
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raturo, semplice o semplificato almeno, capace di iniziare e condurre a termine le iniziative prese, di impedire sopraffazioni, di mantenere effettivamente l’equilibrio, di procedere con giustizia distributiva, di dare a ciascuno ed a tutti il posto che gli spetta » I37. E ’ la consueta riserva che il regime appone ad ogni iniziativa tesa alla conservazione della pace e dell’ordine internazionale 13S; è la « revisione ricostruttiva europea » 139 su cui fonda le basi un nuovo senso di solidarietà e di civiltà comune. Come di consueto, non tarda a comparire l’eterno motivo delle rivendicazioni coloniali: quel che il fascismo vuole, è « una ’ carta dell’Africa » antiversagliesca, cioè ispirata alla giustizia e all’equilibrio, non alla vendetta nè aH’egemonia ». E la minacciosa alternativa è pure la solita « compensi, sbocchi, mercati, emigrazioni in Africa, nella realpolitik hanno un nome solo: Pace in Eu - ropa! » uo.
Le raccolte estere di documenti diplomatici ci confermano questo orientamento della politica mussoliniana. Un esempio ci è dato dal testo preparato da Palazzo Chigi in vista del Patto a quattro. Esso riaffermava « il principio della revisione dei trattati in quelle circostanze capaci di produrre un conflitto fra nazioni », sia pure « nefl’ambito della Lega delle Nazioni e attraverso il mutuo riconoscimento della natura comune degli interessi coinvolti », e prevedeva poi, al punto quarto, un’azione comune in Europa e fuori d’Europa 141. Il tentativo mussoliniano fu respinto da una controproposta inglese, che muoveva da un « scrou- pulous respect for all treaty obligations » e ammetteva la possibilità di una revisione dei trattati, in caso di minaccia di conflitto, ma che d’altra parte eliminava ogni riferimento alle colonie ed ai possedimenti d’oltre mare. E un prova, sia pure indiretta, dell’ampiezza delle pretese fasciste, ci è fornita dalla soddisfazione con cui un governo neutrale, quello belga, accoglie la scomparsa
187 Costruire, giugno 1933, « II fondamento ideale del ’ Patto Mussolini ’ » (D. Li- ski), pp. 7 sgg.
138 L ’Assalto, 1 1 marzo 1933,, «Sincerità».139 Critica Fascista, 1933, n. 13 , « Il Patto a Quattro - Ricostruzione fascista del
l’Europa » (R. Longhitano), p. 242.140 Ottobre, 1 febbraio 1933, « A ll’ordine del giorno dell’Europa, l’Africa » (N. Pa-
scazio).141 Documents on British Foreign Policy, 1919-1939, London 1947, serie II, vol. 5°,
n. 44 (20 marzo 1933), allegato 13, punto 2. (Di seguito B. D. ...).
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dal testo del patto di ogni riferimento all’assetto coloniale ll2. E la corrispondenza diplomatica tedesca conferma i « seri timori » suscitati dal testo italiano del patto anche nei governi portoghese ed olandese...142 143. Ancora una volta, sulla strada tenacemente perseguita da Mussolini verso il successo internazionale e l’ impero, sono sorte delle « enormous difficulties... or even hostilities », come nota l’ambasciatore tedesco a Roma. Ma non per questo il revisionismo mussoliniano si volge ora alla carta politica del continente. Von Hassel lo percepisce chiaramente: il consolidamento delle posizioni italiane in Africa, e poi « an understanding with France regarding colonies » sono le prossime tappe del regime...144. E ’ proprio la via che la diplomazia italiana sta seguendo, e di cui, nel prevalente silenzio della stampa, si possono individuare alcune tappe attraverso i carteggi esteri. Così i faticosi dinieghi di Suvich nascondono malamente le conversazioni sul destino deH’Abissinia avute col conte Chambrun, ambasciatore francese a Roma 14\ Così l’ambasciata americana può segnalare fra agosto e settembre ’34 cospicui preparativi militari diretti contro il Negus, nonostante che Suvich smentisca « assolutamente » le intenzioni di aprire le ostilità lt6. Qualcosa trapela; questa volta è l’ambasciatore italiano a Mosca che conversando col collega statunitense, osserva che « England had promised definitely last year that she would not interfere with Italy’s actions in Abyssinia no matter what Italy might do; (and) the French had now agreed to take a similar position » 147 148. Nell’ottobre, la risoluzione è già presa. Le due democrazie occidentali sembrano dare mano libera a Mussolini, « feeling that the Ethiopians could take care of themselves » 146 14S. La politica revisionista di Mussolini sta per realizzare il suo disegno, e l’ incontro con Lavai ne rappresenta la sanzione definitiva.
Giorgio Rumi.
142 B. D ., ivi, e allegato 5. Si v. inoltre n. 68 (4 aprile 1933).113 Documents on German Foreign Policy: 1918-1945, London 1957, series C, (1933-
1937), vol. I, n. 172 (20 aprile 1933). (Di seguito indicati con G. D. ...).144 G. D. cit., vol. 30, n. 118 (25 luglio 1934).145 G . D. cit., vol. 3°, n. 230 (4 ottobre 1934).146 Foreign Relations of the United States, Washington 1951, vol. 20, p. 754 (29 ago
sto 1934), p. 756 (21 settembre 1934), pp. 755 sgg. (19 settembre 1934). (Di seguito indicati con U S. D. ...).
147 U S. D ., vol. 2°, p. 757 (22 settembre 1934).148 U S. D ., vol. 2°, p. 758 sgg. (12 ottobre 1934). Cfr. anche B. H a r r is Jr ., The
United States and the Italo-Ethiopian Crisis, Stanford 1964, pp. 1-24.